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Janusz Korczak. Schizzo biografico Janusz Korczak (Varsavia, luglio 1878 - ucciso in una camera a gas del campo di sterminio di Treblinka, probabilmente il 6 agosto 1942). Pseudonimo di Henryk Goldszmit, pedagogo, pubblicista, scrittore, medico, militante sociale polacco di origine ebraica, noto anche come Il vecchio Dottore o Il signor Dottore. Fu un precursore della lotta a favore di una totale uguaglianza dei diritti del bambino. Nelle istituzioni da lui fondate introdusse l’autogestione, dando agli educandi il diritto di deferire i propri educatori a un tribunale unicamente composto da ragazzi. Fondatore della prima rivista al mondo redatta da soli bambini, fu un pioniere nel campo della risocializzazione dei minori, della diagnosi in età pediatrica e della tutela del bambino difficile. L’infanzia Nacque a Varsavia, da Cecylia Gębickaę e Józef Goldszmidt (1844-1896), in una famiglia ebraica assimilata. Il padre era un avvocato, il nonno, Hersz Goldszmit, era stato medico a Hrubieszów, il bisnonno un vetraio. Non venne registrato all’anagrafe alla nascita: per questo è difficile stabilire con precisione l’anno della sua nascita. La famiglia Goldszmit cambiò ripetutamente di indirizzo a Varsavia;

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Janusz Korczak. Schizzo biografico

Janusz Korczak (Varsavia, luglio 1878 - ucciso in una camera a gas del campo di sterminio

di Treblinka, probabilmente il 6 agosto 1942).

Pseudonimo di Henryk Goldszmit, pedagogo, pubblicista, scrittore, medico, militante

sociale polacco di origine ebraica, noto anche come Il vecchio Dottore o Il signor Dottore.

Fu un precursore della lotta a favore di una totale uguaglianza dei diritti del bambino. Nelle

istituzioni da lui fondate introdusse l’autogestione, dando agli educandi il diritto di deferire i

propri educatori a un tribunale unicamente composto da ragazzi. Fondatore della prima rivista

al mondo redatta da soli bambini, fu un pioniere nel campo della risocializzazione dei minori,

della diagnosi in età pediatrica e della tutela del bambino difficile.

L’infanzia

Nacque a Varsavia, da Cecylia Gębickaę e Józef Goldszmidt (1844-1896), in una

famiglia ebraica assimilata. Il padre era un avvocato, il nonno, Hersz Goldszmit, era stato

medico a Hrubieszów, il bisnonno un vetraio.

Non venne registrato all’anagrafe alla nascita: per questo è difficile stabilire con precisione

l’anno della sua nascita. La famiglia Goldszmit cambiò ripetutamente di indirizzo a Varsavia;

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abitarono prima in via Bielanska 18 (suo probabile luogo di nascita), poi in Krakowskie

Przedmieście 77, in via Miodowa 19, in piazza Krasińskich 3 e in via Nowosenatorska 6

(oggi via Moliera). Tra il 1886 e il 1897 Henryk frequentò la scuola primaria di Augustyn Szmura

in via Freta, e successivamente le otto classi del ginnasio del quartiere di Praga (oggi il VIII Liceo

Ogólnokształcące Władysław IV). A 15 anni annotava nel diario: «caddi allora un uno stato di

follia, il furore della lettura. Ai miei occhi il mondo era scomparso, esistevano solo i libri».

Dopo la tragica morte del padre nel 1896, la sua adolescenza e la prima giovinezza trascorsero

in difficili condizioni materiali, e fu costretto a dare ripetizioni per aiutare la famiglia a

mantenersi.

Medico

Nel 1898 iniziò gli studi universitari presso la facoltà di Medicina dell’Università Imperiale di

Varsavia. Nell’estate del 1899 si recò in Svizzera per poter conoscere più da vicino l’opera e

l’attività pedagogica di Pestalozzi. Durante quel soggiorno si interessò in particolare alle scuole,

agli ospedali pediatrici e ai gabinetti di lettura gratuita dei periodici per bambini e giovani. Il 17

marzo 1905, dopo cinque anni di studi universitari e l’esame di Stato, ottenne il titolo di Dottore

in Medicina. Come medico militare prese parte alla guerra russo-giapponese del 1905,

avanzando fino al grado di maggiore. Tra il 1903 e il 1912 lavorò come pediatra presso

l’Ospedale pediatrico ebraico Berson e Bauman in via Śliska 51 e in via Sienna 60 (nella Casa

d’accoglienza transitoria). Come medico aveva diritto a risiedere in un appartamento interno

all’ospedale e riceveva uno stipendio annuo di 200 rubli ripartito in quattro rate. Eseguiva i suoi

compiti in maniera esemplare, lavorando anche nei quartieri proletari della città. Curava gratis

i pazienti poveri, ma non esitava a richiedere ai ricchi onorari elevati. Collaborò con il neurologo

e filantropo Samuel Goldflam, con cui intraprese una ramificata attività a carattere sociale.

Nel 1907, grazie a un periodo di studio a Berlino (autofinanziato) completò la sua formazione

e qualificazione, seguendo corsi e tirocini presso varie cliniche pediatriche e studiando i principi

degli istituti pedagogici specialistici. Al 1911 risale la sua rinuncia a formarsi una famiglia:

sempre più propenso all’idea di non possedere quelli che chiamava i bambini privati,

considerava suo ogni bambino che curava o educava. L’attività successiva avrebbe confermato

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questo atteggiamento: analoghe convinzioni altruistiche lo spinsero anche a non privilegiare

alcun gruppo di ragazzi a lui affidati. Non riteneva la famiglia tradizionale il principale anello

della catena sociale, anzi rifiutava il ruolo a essa attribuito sia dai settori conservatori cristiani,

sia da quelli tradizionalisti ebraici. Del resto poteva ben essere considerato, da se stesso come

dagli altri, come il padre dei circa duecento orfani della Casa che dirigeva e di altre varie

centinaia, che nei decenni di sua attività pedagogica e sociale sarebbero passati per i suoi

orfanotrofi.

Riteneva che il bambino dovesse stare in compagnia dei coetanei e non ritirato in casa.

Desiderava che i bambini “scontrassero” pareri e idee al loro primo germogliare. Si sarebbero

così sottoposti a un processo di socializzazione che attraverso un’accettazione reciproca li

avrebbe preparati alla vita adulta, ben lontana dall’idillio o dal “quieto cantuccio domestico”.

Cercò al tempo stesso di garantire ai bambini un’infanzia spensierata, ma non priva di obblighi,

che li conducesse per una strada diritta, senza imporre loro limiti soverchi. Malgrado la grande

differenza di età, prendeva molto sul serio i ragazzi, con cui conduceva un dibattito aperto.

Credeva che il bambino dovesse arrivare da solo a comprendere e sperimentare emotivamente

le varie situazioni, traendone conclusioni e eventualmente trovandovi rimedio, invece di venir

semplicemente informato dall’educatore sui fatti e le loro conseguenze.

L’attività letteraria e radiofonica

Si servì invece dello pseudonimo Hen-Ryk quando, nel febbraio del 1900, iniziò a collaborare

con il settimanale satirico “Kolce”, come coautore di un romanzo giallo, Il servitore. Si avverava

così il vaticinio di un suo insegnante di ginnasio che, dopo averlo scoperto a leggere durante

una lezione, aveva profetizzato che sarebbe presto finito a collaborare a testate di poco valore,

a 3 grosze la riga. Il vaticinio però si avverò solo a metà, visto che la tariffa per uno scrittore ai

suoi inizi poteva essere ancora più bassa. Dal 1901 Korczak iniziò a scrivere editoriali, nello

stesso anno comparve il romanzo I figli della strada, prima a puntate, in “Czytelnia dla

wszystkich” (nn. 1-18), e poi in volume. Tra il 1903 e il 1905 fu editorialista del settimanale

“Głos” con una sua rubrica, All’orizzonte. Proprio su “Głos”, nel gennaio 1904, comparve a

puntate il romanzo Il bambino da salotto, pubblicato poi in volume nel 1906, che gli avrebbe

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procurato fama internazionale. Nel 1939 apparvero Una pedagogia scherzosa, Le mie

vacanze e Le chiacchierate alla radio del Vecchio Dottore.

Nel 1926 fondò “Mały Przegląd” (1926-1939), supplemento settimanale del quotidiano

ebraico-polacco “Nasz Przegląd”, che avrebbe redatto per quattro anni (1926-1930). Era un

giornale senza precedenti, scritto esclusivamente da bambini e giovani. Dopo il 1930 la

redazione passò al suo assistente Igor Newerly, socialista, e futuro apprezzato scrittore. La

rivista conobbe una serie di ostacoli nella Polonia degli anni Trenta, guidata dalle formazioni

antisemite della Sanacja, a causa dell’origine ebraica del suo direttore e della crescente

tendenza alla discriminazione razziale.

Korczak condusse una vasta attività di divulgazione radiofonica a difesa dei diritti del bambino.

Nonostante il loro successo in vasti segmenti della società polacca, le trasmissioni radiofoniche

del Vecchio Dottore vennero interrotte per le proteste di alcuni radioascoltatori, irritati

dall’identità etnica del loro autore. Korczak tornò a parlare alla Radio Polacca nel

settembre 1939, all’alba dell’inizio della guerra.

A partire dal 1896 Korczak aveva iniziato a collaborare a molti periodici con testi umoristici,

articoli a sfondo sociale, civile e pedagogico. Scrisse anche una quindicina di romanzi per

bambini e sui bambini, tradotti in molte lingue e popolari anche all’estero. Il suo Diario dal

ghetto è ritenuta una delle più importanti testimonianze del periodo dell'occupazione nazista

della Polonia.

Nel 1937 fu insignito dell’onorificenza Alloro d’Oro dall’Accademia Polacca della Letteratura.

L’attività sociale

Il 23 dicembre 1899, insieme a decine di altre persone appartenenti

all’intelligenzia progressista, venne arrestato dalla polizia zarista. L’accusa era probabilmente

partita dalle autorità cattoliche e dal principe Michał Radziwiłł, Presidente della

Società Filantropica di Varsavia. Loro intento era contrastare il progetto, sostenuto anche da

Korczak, di introdurre nuovi testi letterari (tra cui Hugo, Balzac, Dumas e Sienkiewicz) e opuscoli

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di ispirazione socialista, nelle sale di lettura gratuite aperte alla popolazione, nelle quali i partiti

cattolici avrebbero voluto l’esclusiva presenza di testi liturgici o morali.

Korczak entrò a far parte della massoneria prima della fine del 1925. Era affiliato alla loggia La

stella del mare, creata dalla Federazione Internazionale Le Droit Humain, il cui scopo era

“conciliare tutti gli uomini divisi da barriere religiose; ricercare la verità nel rispetto per gli altri

uomini”.

A metà degli anni Trenta visitò la Palestina. Fu seriamente tentato di lasciare la Polonia: tra i

vari motivi che lo spingevano c’erano il nazionalismo e la segregazione razziale in alcuni ambiti

della vita sociale polacca (ad esempio nelle Università), sull’esempio dalla Germania nazista.

Per un vero socialista come Korczak la situazione era difficilmente sopportabile, sia dal punto

di vista personale che da quello del suo lavoro sociale e pedagogico.

Il ghetto di Varsavia

Durante tutta la guerra Korczak indossò la divisa da ufficiale polacco. Se ne era fatta cucire una

sperando di poter partecipare alla difesa di Varsavia, nel settembre 1939. Non venne accettato

nell’esercito perché aveva superato i limiti di età. Portò però con orgoglio, forse unico ebreo,

quella divisa anche nel ghetto. Fino all’ultimo si rifiutò di indossare la fascia con la stella azzurra,

imposta dai nazisti agli ebrei di Varsavia, che considerava non solo un segno di umiliazione ma

anche la profanazione di un simbolo.

Korczak trascorse gli ultimi tre mesi di vita all’interno del ghetto di Varsavia. È qui che redasse

il suo Diario, pubblicato per la prima volta in Polonia nel 1958. Aveva iniziato a scriverlo nel

1939, ma aveva poi interrotto le annotazioni per circa due anni e mezzo, quando tutta la sua

energia veniva impiegata dalla tutela sui bambini della Casa degli Orfani. Nel ghetto Korczak

rifletté più volte sul suicidio e sulla possibilità di una morte più umana per i bambini piccoli e

gli anziani che morivano di fame nelle strade del ghetto, a una morte meno infamante di quella

nelle camere a gas. Forse l’eutanasia dei neonati ne avrebbe abbreviato la lenta agonia per

fame.

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Igor Newerly che, non ebreo, si trovava “dalla parte ariana”, tentò più volte di procurargli falsi

documenti ariani, ma Korczak non volle abbandonare i suoi protetti, anche se la sua fama

internazionale gli avrebbe probabilmente consentito di trovare riparo in uno qualsiasi dei paesi

neutrali.

La sua ultima annotazione nel Diario è probabilmente del 5 o 6 agosto 1942

Annaffio i fiori. La mia calvizie alla finestra: che buon obbiettivo!

Ha un fucile. Perché sta così fermo a guardare tranquillamente?

Non ne ha ricevuto l’ordine.

Chissà, forse da borghese faceva l’insegnante in campagna, o il notaio, o il netturbino a Lipsia, o il cameriere a Colonia.

Che cosa farebbe se gli facessi un piccolo cenno con la testa?

Un gesto amichevole con la mano?

Forse lui non sa neppure cosa sta succedendo: forse è arrivato soltanto ieri, e da molto lontano….

L’ultima marcia

Korczak morì insieme ai suoi bambini. Fu portato via dal getto in un carro bestiame i primi giorni

dell’agosto 1942. La mattina del 5 o del 6 agosto l’area del cosiddetto Piccolo Ghetto venne

attorniata da reparti delle SS e dagli ascari, soldati ucraini e lituani. Il Diario di Abraham Lewin

situa gli avvenimenti il 7 di agosto.

Venerdì, 7 agosto

Il diciassettesimo giorno del massacro. Ieri è stata una giornata orribile con un gran

numero di morti. Dal ghetto piccolo la gente è stata prelevata in massa. Il numero delle

vittime è valutato intorno alle 15.000. Hanno svuotato l’orfanotrofio del dottor Korczak a

cominciare dal dottore stesso. Duecento orfani.

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Korczak era alla testa del corteo. Senza cappello, con gli stivali militari, si racconta portasse in

braccio due bambini. Alla marcia presero parte 192 bambini e dieci educatori, fra cui la

pedagoga braccio destro di Korczak, Stefania Wilczyńska.

Il giorno stesso 4000 bambini con i loro educatori vennero presi dagli orfanotrofi e deportati a

Treblinka.

L’ultima marcia di Korczak è raccontata con toni diversi in numerose testimonianze. Qui citiamo

quella di Marek Rudnicki, noto grafico e pittore, bambino nel ghetto, e la poesia Un foglio dal

diario di una Aktion di Władysław Szlengel (1914-1943), il cantore del ghetto di Varsavia.

Non voglio passare per iconoclasta, per sovversivo, ma oggi devo raccontare quello che

ho visto allora. L’atmosfera era intrisa di una sorta di enorme scompiglio, automatismo,

apatia. Non ci fu alcuna emozione al passaggio di Korczak. Nessuno fece il saluto militare,

descritto da alcuni, di sicuro non ci fu nessun intervento da parte dello Judenrat, nessuno

si avvicinò a Korczak. Non ci furoro grandi gesti, canti, teste orgogliosamente erette; non

ricordo che qualcuno portasse la bandiera della Casa degli Orfani, eppure dicono che ci

fosse. C’era un silenzio terribile, sfiancato. Korczak trascinava un piede dietro l’altro,

camminava come ingobbito, bofonchiava qualcosa fra sé e sé […]. Gli adulti della Casa

degli Orfani, come Stefa Wilczynska, gli camminavano accanto, e così facevo io stesso.

Nelle prime file i bambini andavano a righe di quattro, poi così come capitava, in ordine

sparso, in fila indiana. Qualche bambino teneva Korczak per la giacca, o forse gli stringeva

la mano. Camminavano come in trance.

Un foglio dal diario di una Aktion

Janusz Korczak oggi ho veduto,

Nell’ultima marcia andare coi bambini,

E i bambini avevano vestiti puliti,

Come andassero di domenica al giardino.

Avevano grembiulini puliti, da festa,

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Che ora potranno sporcare,

A file di cinque va l’Orfanotrofio,

Per la città-giungla di gente braccata.

La città aveva il viso atterrito,

Un gigante bizzarro, nudo e stracciato,

Finestre vuote guardavano la strada,

Come orbite di sguardo private.

A volte un urlo, come un uccello smarrito,

Suonava a martello per la morte insensata,

Trainati sui risciò giravano apatici

Del nostro ghetto i signori e padroni.

Scalpiccio a volte, calpestio, poi silenzio,

Qualcuno parlava camminando di fretta,

Atterrita e silenziosa, in preghiera

In via Leszno si innalzava la chiesa.

In fila per cinque marciavano calmi i bambini,

Erano orfani: nessuno accorreva per riportarli a casa,

Nessuno infilava una mancia

in mano ai colleghi dalle divise blu scuro.

Sulla Umschlagplatz nessuno interveniva,

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Nell’orecchio di Szmerling nessuno alitava,

Nessuno gli orologi di famiglia raccoglieva

Come compenso al lèttone ubriaco.

Janusz Korczak guidava la marcia

A testa nuda, gli occhi senza paura,

A una sua tasca si aggrappava un bambino,

In braccio portava lui due piccolini.

Giunse un tale di corsa, con un foglio in mano,

Parlava e gridava nervoso:

-- Venga via! -- Ho una lettera da Brandt!

Korczak scuoteva la testa, silenzioso.

Cosa doveva stare ancora a spiegare

A chi arrivava con la grazia tedesca,

come far capire a teste senz’anima

cosa significa lasciar solo un bambino.

Tutti quegli anni… una vita ostinata,

Per dare in mano a un bimbo un piccolo sole.

Potrebbe forse lasciarli ora, soli, spaventati?

Andrà con loro… avanti… senza timore.

Al re Matteuccio anche pensava

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Cui la sorte risparmiò quel destino,

Re Matteuccio nell’isola selvaggia

Avrebbe scelto lo stesso cammino.

E i bambini andavano ai vagoni

come partissero in gita a Lag Ba’Omer,

Quel piccolino dal viso spavaldo

Si sentiva come un piccolo Shomer.

E io pensai in quel momento banale

Per l’Europa privo d’ogni valore

Che lui per noi, in quel momento,

Scriveva della storia la pagina migliore.

Che in quella guerra ebraica, vergognosa,

nell’onta illimitata, nel fragore insensato,

nella lotta ad ogni costo per la vita,

nell’abisso del tradimento, del degrado,

Sul fronte, dove la morte non dà onore

In quella danza notturna, infernale,

C’era un solo soldato valoroso:

Janusz Korczak, dei bambini il protettore.

Vicini al di là del muro, che dal reticolato

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Ci osservate ogni giorno morire per niente,

ascoltate: Janusz Korczak quel giorno ha mostrato

la Westerplatte della nostra gente.

Traduzione e rielaborazione di Laura Quercioli Mincer e Giovanna Tomassucci

Parzialmente tratto dalla voce Janusz Korczak in Wikipedia.pl.

[da http://www.disclic.unige.it/lastradadikorczak/bio.php]

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I bambini del dottor Korczak

Le utopie, scriveva Elias Canetti, hanno un che di dimesso che fa sì che gli uomini ne siano respinti.

Non le utopie pedagogiche. A volte viene il sospetto che i pedagoghi siano forse i veri rivoluzionari.

Essi paiono aver capito che il mondo si può migliorare soltanto partendo dall’educazione dei

bambini: insegnando loro i valori di eguaglianza, fratellanza, libertà e solidarietà è possibile

realizzare dei cambiamenti profondi e tentare di mettere al sicuro il futuro dell’umanità. Se questo

però non lo si fa nei primi anni, fino all’adolescenza, dopo è troppo tardi e tutto diventa più

difficile. La testa e il cuore delle persone adulte non si cambiano, ormai sono troppo rigide e piene

di pregiudizi. A quel punto, gli individui vanno convinti. Ma non è facile persuadere le persone ad

andare, per esempio, contro i propri interessi. Questo pensava l’ebreo polacco Janusz Korczak. E

queste furono anche le convinzioni di Socrate, Comenio, Pestalozzi, Piaget e di tutti quei

pedagoghi che hanno ragionato e sperimentato come far crescere, con amore, i futuri uomini.

La prima volta che sentii parlare del dottor Janusz Korczak fu alla scuola elementare: la Scuola

città Pestalozzi di Firenze, fondata nel 1945 nel quartiere popolare di Santa Croce, dal pedagogista

Ernesto Codignola. Una scuola dove si ritrovavano ragazzi e insegnanti diversi per estrazione

sociale, orientamento religioso (cattolici, ebrei, valdesi) e politico, che della tolleranza e della

comprensione reciproca facevano una regola di vita. Una scuola largamente sperimentale sia sul

piano didattico, che su quello dell’organizzazione democratica della vita comunitaria: veniva

cogestita, sia dagli adulti che dai ragazzi, come una piccola città, dotata di un’amministrazione in

miniatura con tanto di sindaco, assessori, consiglieri comunali e corte di giustizia. Da questi aspetti

derivava il nome della scuola. Venivano valorizzate le attività manuali (come tipografia,

falegnameria, orto, giardino) e altre attività importanti per la formazione culturale (come il

giornale e la biblioteca). I ragazzi rimanevano a scuola fino al tardo pomeriggio, disponendo anche

del servizio mensa (dove, a turno, aiutavano le cuoche a cucinare). Il motto, e la filosofia sorniona,

di Scuola-città era: Festina lente (“affrettati lentamente”), un motto attribuito all’Imperatore

Augusto dallo scrittore Svetonio. Un motto che era stato usato, accostandolo alla figura di una

tartaruga con la vela, da Cosimo I dei Medici e scelto dall’editore e tipografo veneziano Aldo

Manuzio.

Questo metodo pedagogico Janusz Korczak lo apprese nel 1901, quando, da Varsavia dove stava

studiando medicina, decise di recarsi a Zurigo per approfondire la conoscenza dell’opera del

grande pedagogista e riformatore svizzero Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827), come lui

orfano di padre e fondatore di scuole-convitto (a Neuhof, Stans, Burgdof e Yverdon) dove si

praticò un metodo educativo che cambierà il modo d’intendere l’insegnamento elementare in

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tutta Europa. Korczak rimase a studiare in Svizzera fino al 1906. Quel metodo, lo applicherà in

Polonia nelle scuole degli orfanotrofi ebraici che dirigerà.

Tra le molte immagini che ci mostrano il dolore, le umiliazioni, la fame e la morte che segnarono

il dramma del Ghetto di Varsavia, ce ne sono due che raccontano una storia diversa. Una, mostra

gli eroici rivoltosi male armati che, nell’aprile del 1943, vendettero cara la pelle e mandarono

all’Europa un segnale di riscossa contro i tedeschi e, l’altra, ci fa vedere l’anziano dottor Korczak,

assieme all’educatrice capo Stefania Wilczyńska e gli altri suoi collaboratori, che, il 5 agosto del

1942, guidarono un corteo di bambini ebrei orfani che marciavano fino al treno che li avrebbe

deportati nel campo di sterminio di Treblinka, cantando e tenendosi per mano, dietro le loro verdi

bandiere. Un’immagine (posta significativamente a conclusione del bel film del regista polacco

Andrzej Wajda, Korczak, del 1990) che colpisce per la dignità e il coraggio. Queste furono le

caratteristiche, assieme all’umanità e al rispetto per i bambini, della vita del dottor Korczak: un

uomo grande non soltanto alla fine della sua vita, ma anche per le sue idee e per le cose che fece

e scrisse.

Janusz Korczak si chiamava in realtà Henryk Goldszmit e nacque a Varsavia (che allora

apparteneva all’Impero Russo) il 22 luglio del 1878 (o 1879: il padre per molti mesi si era

“dimenticato” di iscriverlo al registro), da una famiglia ebraica parzialmente assimilata, liberale,

legata alla cultura e alle tradizioni polacche.

Korczak era molto legato ai suoi genitori e la loro scomparsa fu un trauma che lo segnò

profondamente. Il padre, famoso avvocato, morì nel 1896, dopo una lunga malattia mentale

(forse provocata dalla sifilide) che aveva prosciugato tutti i beni della famiglia. Da quel momento

Henryk dovette mantenere la madre che morirà nel 1920 di tifo esantematico, proprio mentre

stava curando della stessa malattia il figlio, contagiato nell’ospedale dove lui lavorava. Ai suoi

genitori Korczak dedicò un libro: Sam na sam z Bogiem. Modlitwy tych, ktòrzy sie nie modla (A tu

per tu con Dio. Preghiere per coloro che non pregano, 1922). Mentre, nel “racconto

didattico” Spowiedz motyla (Confessione di una farfalla, 1914), accennò ai suoi complicati legami

familiari e anche alle sue tendenze sessuali: «Nei miei sogni erotici compaiono delle donne. Ma

anche dei ragazzi».

La caratteristica principale di Korczak fu di avere un enorme bisogno di donare amore (di riceverne

si preoccupava meno: gli bastavano un sorriso o la fine di un pianto). La sua dedizione totale ai

bambini non va confusa con l’attrazione sessuale. In molti pedagoghi, del resto, i sentimenti nei

confronti dei bambini stanno su un confine sottile, ma, salvo rare eccezioni, il loro amore per i

fanciulli non è legato a un interesse erotico. Korczak visse in una “grande famiglia” fatta di

collaboratrici, assistenti e centinaia di bambini orfani e poveri. Un’esistenza che lasciava poco

spazio alla dimensione privata. Ma la decisione di non sposarsi, non avere una propria famiglia, e,

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soprattutto, dei figli fu dettata anche da una lucida, amara, consapevolezza: «Uno schiavo non ha

diritto ad avere bambini. Io, ebreo polacco sotto l’occupazione zarista, (nel 1911) ho scelto di

servire il bambino e la sua causa» (lettera a Mieczysław Zybertal, 30 marzo 1937).

Nel 1899 Korczak-Goldszmit iniziò a studiare medicina all’Università di Varsavia. Ma la sua precoce

passione fu la letteratura. Si cimentò nello scrivere testi e drammi teatrali, che furono firmati con

lo pseudonimo di Janusz Korczak, nome di un eroe di un romanzo dello scrittore polacco Jòzef

Ignacy Kraszewski (1812-1887), autore di romanzoni storico-patriottici come, appunto: Historia o

Janaszu Korczaku i o pięknej miecznikównie: powieść z czasów Jana Sobieskiego (La storia di J.K. e

della bella portatrice di spada: romanzo dei tempi di Jan Sobieski, 1874). Questo pseudonimo

letterario (che celava il suo ebraismo) divenne, per convenienza, il suo nome ufficiale.

Nel 1901, Korczak pubblicò il suo primo romanzo-feuilleton: Dzieci Ulicy (Bambini di strada) e, nel

1904, il romanzo Dziecko Salonu (Il bambino del Salone) che lo rese famoso. Nel frattempo ebbe

modo di soggiornare, per motivi di studio, a Berlino, Parigi e Londra. Nel 1909 venne arrestato per

le sue idee politiche (a favore dell’indipendenza della Polonia) e passò un certo periodo nella cella

col famoso sociologo socialista polacco Ludwik Krzywicki. Uscito, prese contatto con la Società di

aiuto agli orfani, divenendone membro della direzione, e occupandosi della costruzione di un

Orfanotrofio modello per i bambini ebrei. Questa è la forma di “impegno politico-sociale” che

trovò più utile per tentare di salvare tanti bambini e costruire un futuro alla Polonia e anche al

suo antico popolo disperso nella diaspora.

Così, il 7 ottobre del 1912, assieme all’educatrice Stefania Wilczyńska, alla quale era legato da

un’affettuosa amicizia che però non ebbe un’evoluzione e rimase sempre un rapporto

professionale, aprì un Orfanotrofio in via Krochmalna, 92. Era quello il centro del quartiere ebraico

(a Varsavia, su 1.300.000 abitanti, 350.000 erano ebrei). Un luogo affollato e povero: si chiamava

così dal polacco krochmal (amido). Era la via delle lavanderie ebraiche. In via Krochmalna, al

numero 10, viveva lo scrittore, premio Nobel per la letteratura (1978), Isaac Bashevis Singer

(1904-1991): «La mia casa paterna in via Krochmalna a Varsavia era una casa di studio, un

tribunale, una casa di preghiera, un luogo dove si narravano storie e si celebravano anche

matrimoni e banchetti chassidici. (…) Ho ascoltato da mio padre rabbino e da mia madre tutte le

risposte che la fede in Dio può suggerire a chi dubita o cerca la verità. Nella nostra casa e in molte

altre case ho capito che i problemi eterni erano più attuali delle ultime notizie che si leggevano su

un giornale yiddish».

La Casa dell’Orfano (Dom Sierot), fondata da Korczak e inaugurata il 27 febbraio 1913, fu una vera

e propria società dei bambini, organizzata secondo i principi della giustizia, della fraternità,

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dell’uguaglianza nei diritti e i doveri tra educatori e alunni. Lì vennero bandite le punizioni

corporali e la privazione del cibo, metodi violenti (e inefficaci) applicati con grande frequenza nelle

famiglie e nei collegi di tutto il mondo. Korczak definì questi metodi, nel 1923, “punizioni

criminali”. Nel 1914 Korzczak fu richiamato in guerra, come ufficiale medico dell’esercito russo, e

dovette lasciare alla sua assistenze, per un lungo periodo, la direzione dell’ospedale: dal 1915 al

1917 lavorerà in un ospizio ucraino per bambini, vicino a Kiev. Là terminò il suo libro

fondamentale: Jak kochać dziecko (Come amare il bambino). Non fece in tempo a smobilitare che,

nel 1919, dovette tornare al fronte, questa volta con l’uniforme di ufficiale dell’esercito polacco,

nella guerra polacco-russa. Lavorò all’ospedale per le malattie infettive dell’importante città

industriale di Łódz.

Nella Polonia tornata, seppur tra mille difficoltà sociali, nazionali ed economiche, un paese

sovrano e indipendente, Korczak si dimostrò una miniera di iniziative e pubblicazioni. Nel 1921,

avendo ottenuto in dono un terreno con degli edifici a Gocławek, vicino a Varsavia, vi istituì un

Centro di vacanze estive per i ragazzi della Casa dell’Orfano (chiamato “Rózycka”, Rosellina). In un

campo preso in affitto mise all’opera i suoi bambini nel giardinaggio e nell’agricoltura, teorizzando

il fatto che un elemento molto importante della crescita è il saper procurarsi il cibo (e i fiori) con

il proprio lavoro. Componente essenziale della sua attività pratica e teorica di pedagogo, fu la

pubblicazione di romanzi per l’infanzia: Król Marcius Pierwszy (Il Re Mattia I) e Król Marcius na

Wyspie Bezludnej (Il Re Mattia sull’Isola Deserta), entrambi del 1923. Ma un grande successo di

pubblico e critica lo ottenne, nel 1924, con un libro destinato espressamente ad adulti e

piccini: Kiedy Znów Będę Mały (Quando sarò di nuovo piccolo), che fu, tra l’altro, la lettura

preferita del futuro Premio Nobel per la poesia, Czesław Miłosz. Una sorta di Peter Pan (1904),

ma senza il rifiuto della crescita e della maturità.

Nel 1926 creò una rivista scritta apposta per i bambini (Mały Przegląd: La piccola rivista),

pubblicata come supplemento al giornale ebraico, scritto in polacco, Nasz Przegląd (La nostra

rivista). Fu allora che iniziò a collaborare con la radio dove, dal 1934, condurrà la popolare rublica

“Piccole chiacchiere di un vecchio dottore”.

Nel 1929 pubblicò il suo celebre manifesto dei diritti dell’infanzia: Prawo dziecka do szacunku (Il

diritto del bambino al rispetto): un testo perfetto, ancora insuperato. Iniziò a insegnare Pedagogia

all’Università libera di Varsavia e pubblicò un “libro scientifico” assai all’avanguardia: Prawidła

życia (Le regole della vita). Nel 1931 mise in scena al Teatro Ateneum uno spettacolo satirico

dirompente: Senat Szalenców (Il Senato dei folli), con il grande attore Stefan Jaracz nel ruolo

principale (soltanto nel 1978 il testo ottenne, dalla censura comunista, il permesso di essere

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rappresentato: fu il primo spettacolo teatrale che vidi, quando capitai per la prima volta a

Varsavia).

Molto importante fu il viaggio di tre settimane che Korczak fece, nel giugno del 1934, in Palestina,

per andare a trovare i suoi vecchi collaboratori e studenti che si erano trasferiti nel kibbuz di Ein

Harod (vi ritornerà nel 1936). In Israele, sono sopravvissuti alcuni suoi studenti, da lui salvati, in

quanto orfani, dalla strada e dalla delinquenza. Alcuni di loro lo hanno, nel dopoguerra, ricordato

con affetto e testimoniato del suo pionieristico lavoro. Korczak fu per loro un pedagogo-amico,

laico ma attento a trasmettere i valori della cultura ebraica, totalmente dedito al suo lavoro, fatto

con grande rispetto e affettuosa tolleranza.

Allo scoppio della guerra, nel settembre del 1939, quando a Varsavia dominavano la paura e la

confusione, Korczak lanciò alla radio appelli alla calma e a organizzare azioni di mutuo soccorso,

per mettere al sicuro prima di tutto i bambini. Nonostante che Korczak venisse insistentemente e

ripetutamente sollecitato a trasferirsi all’estero (da organizzazioni internazionali, dai suoi

collaboratori preoccupati per la sua salute e, persino, da ufficiali medici dell’esercito tedesco che

conoscevano il suo lavoro), decise senza esitazioni di rimanere a vivere con i suoi bambini nella

“casa comune”.

Nell’ottobre del 1940 i tedeschi ordinarono a tutti gli ebrei di Varsavia di trasferirsi nel Ghetto

(che arriverà a contenere fino a 400 mila persone). Malgrado l’opposizione di Korczak, anche i

suoi orfani vennero costretti a stare dentro al Ghetto. Furono sistemati nella vecchia Scuola di

Commercio (ulica Chłodna, 33) che divenne una sorta di isola-fortezza dove i bambini vivevano

rinchiusi ma, per quanto possibile, sereni e non esposti alle azioni violente dei tedeschi e dei

collaborazionisti. Korczak si trasformò in un abilissimo procacciatore di cibo al mercato nero e

impiegò tutta la sua influenza per ottenere dall’esterno dei fondi che premettessero ai bambini

di sopravvivere.

Un anno dopo (dicembre 1941) l’orfanotrofio venne trasferito nel vecchio Club dei commercianti

(ulica Śliska, 9) e le condizioni di vita dei bambini peggiorarono. Il Ghetto era diventato

l’anticamera per i viaggi senza ritorno nei campi di sterminio: quasi ogni giorno venivano

organizzate retate e deportazioni. Ormai malato, Korczak fu costretto a organizzare una sede di

fortuna, per i 600 bambini che affollavano il suo ospizio, nella ulica Dzielna al 39. Lì, a partire dal

maggio 1942, iniziò a scrivere il suo diario notturno. Salvatosi miracolosamente dalla distruzione,

questo diario, fu pubblicato per la prima volta in Polonia nel 1958, a cura dello scrittore Igor

Newerly, e costituisce una delle testimonianze più importanti e lucide del Ghetto di Varsavia. Da

esso veniamo, tra l’altro a sapere che, su ispirazione di Korczak, uno degli ultimi gesti collettivi dei

suoi bambini fu, l’8 giugno, un giuramento solenne di “coltivare l’amore per gli esseri umani, per

la giustizia, la verità e il lavoro”. Fino all’ultimo non smisero di fare come avessero un futuro, come

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se il Male non ci fosse e non li riguardasse. Rimanere umani è la grande lezione che Korczak seppe

trasmettere di fronte all’annientamento.

Il 18 luglio, prima della chiusura della Casa dell’orfano, Korczak fece mettere in scena ai suoi piccoli

ospiti Il corriere dello scrittore indiano Robindranath Tagore (autore proibito dalla censura

nazista). La storia di un bambino malato, rinchiuso nella sua camera, che muore sognando di

correrre per i campi: «per abituare i bambini ad accettare la morte come qualcosa di delicato»

Francesco Cataluccio

[da http://www.ilpost.it/francescocataluccio/2014/12/04/i-bambini-del-dottor-korczak/]