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I presenta Contaminazioni. —————————— Sopravvivenze etniche nella ceramica apula prima della conquista romana. (IV°- III° sec. a.C.) Testi: Lorenzo Turco Marina Balestra Turco Fotografie e Progetto Grafico: Lorenzo Turco

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Sulla Ceramica Apula e dintorni prima della conquista romana (IV sec.a.C.). Catalogo della Mostra e degli oggetti proposti in vendita.

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I

presenta

Contaminazioni.——————————

Sopravvivenze etniche nellaceramica apula prima della

conquista romana. (IV°- III° sec. a.C.)

Testi:Lorenzo Turco

Marina Balestra Turco

Fotografie e Progetto Grafico:Lorenzo Turco

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INDICE

Prefazione .............................................. pag. IIIMappa .............................................. pag. IVIntroduzione .............................................. pag. VLa Ceramica a stile geometrico .................... pag. IXLa Ceramica a vernice nera ............................. pag. XIICeramica plastica canosina .............................. pag XIVCeramica a figure rosse .....................................pag. XVI Appendice: Creando un' anfora ...................... pag. XVIII L'argilla ........................................pag. XIX Vasi e Vasai ...................................pag. XXI Tecniche di decorazione .................pag. XXIII La Cottura .................................... pag. XXVI

Bibliografia essenziale ................................... pag. XXVIII Tavole ............................................................... Note alle Tavole ...............................................

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IIIPrefazione.

L'Associazione Antiquari del Friuli Venezia Giulia ha progressivamente cercato, negli anni, di svincolare la figura dell'antiquario dall'univoco significato di mercante d'arte, prediligendo e incentivando invece la sua collaborazione con Enti, Istituzioni e Musei, dove egli potesse apportare il suo contributo di esperienza e professionalità, a corollario ed integrazione degli accademici tout court.

Ixion Archeogallery, nella sua pur recente apparizione sullo scenario antiquariale regionale, si é imposta quale attivitá innovativa, per forma, contenuti e metodologie di approccio. Lorenzo Turco e Marina Balestra hanno scelto di cimentarsi in modo professionale - non piú quali “semplici” appassionati – nel commercio di arte antica e archeologica, sfidando, per certi versi, l'intrico di norme che regolamentano la materia e, soprattutto, l'ingenua diffidenza della potenziale clientela, interessata a possedere manufatti etruschi, egizi o, in genere, archeologici, ma dissuasa, anche per ignorantia legis, dall' applicarsi a tale passione. Hanno sviluppato un professionale approccio all'adempimento delle procedure formali richieste dalla legge sui Beni Culturali, favorito dalla loro rigorosa preparazione scientifica, rendendo accessibile e praticabile, al vasto pubblico di appassionati, il collezionismo di tali manufatti.

“Contaminazioni” é prova concreta dello spirito che anima i due antiquari: essi condividono il loro sapere con gli appassionati del genere ma anche con coloro che ne sono digiuni, si confrontano con gli eruditi e gli intenditori, prediligono e antepongono la formazione e la divulgazione di queste scienze alle attivitá meramente commerciali, contribuendo a consolidare nell'antiquario professionista il giusto ruolo di declinatore di conoscenza.

In questa mostra sono stati proposti svariati reperti di rilevante importanza archeologica che hanno fatto compiere ai visitatori un percorso a tappe, debitamente documentato, sulla ceramica della Puglia antica del III sec. a.C., dando la possibilita', con la chiarezza dell'esposizione e con l' accurata descrizione dei pezzi, di creare una base di conoscenza anche al semplice curioso di passaggio.

La nostra Regione si arricchisce, con Ixion Archeogallery, di un luogo speciale, unico e prezioso: una sorta di piccolo museo curato con passione dai titolari, dove poter soddisfare, oltre al proprio senso estetico, anche l'erudita brama di possesso di beni millenari, con la tutela, la professionalita' e le capacita' rese disponibili gia' dal primo appuntamento .

Dott. Roberto Borghesi Pres. Ass.ne Antiquari Friuli Venezia Giulia.

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Mappa della Puglia Antica.

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VIntroduzione.

Contaminazioni.

Le motivazioni che stanno alla base della scelta di sviluppare una mostra divulgativa sulla ceramica della Puglia antica e proprio su di un lasso di tempo così ben determinato della sua millenaria storia sono fondamentalmente piuttosto semplici e derivano dall'osservazione “sul campo”, di un certo tipo di colta ignoranza in cui ci siamo spesso imbattuti.

Nel corso della nostra pur giovane attività abbiamo notato, in varie occasioni di conversazione, che discussioni intorno (ad esempio) Etruschi, Greci o Celti ci hanno portato ad interagire con un certo “background” dei nostri interlocutori che si è venuto a stratificare nel corso degli anni, attraverso studi, mostre, pubblicazioni più o meno divulgative, programmi Tv ed altro ancora. La comunicazione si presentava facile e spesso l'unica preoccupazione, da parte nostra stava nel dover calibrare il livello tecnico della conversazione per non tediare ingiustificatamente l'interlocutore, se non proprio il potenziale cliente.

Molto diversa, per converso, si presentava la scena quando l'argomento scivolava sulla cultura Iapigia, Dauna o Peuceta; quando, non di rado, notavamo un velo buio scorrere negli occhi dello spiazzato conversatore di turno.

Ciò dispiace, soprattutto (come spero vi faremo intuire) per l'inestimabile apporto dato da queste antiche etnie dell'Italia meridionale in tanti campi dell'arte, in special modo in quei due secoli, precedenti la conquista romana, in cui si scontrano, collidono, ed appunto, si permeano (e quindi si contaminano) con la ”globalizzante” cultura ellenistica che non solo subiscono ma anche, originalmente, rielaborano.

Quando, nel 270 a.C., Taranto, la locale “superpotenza” dall'anima greca, cede sotto la pressione romana, il processo di ellenizzazione iniziato nel VI° sec. a.C. dalle colonie greche di Turii, Metaponto e Taranto è già praticamente completato in Messapia e parte della Peucezia tanto che solo la Daunia, la più lontana dall'orbita culturale ellenica, appoggierà i conquistatori.

Sarà per questo che proprio la Daunia, amica di Roma ma non certo insensibile ai richiami culturali greci diverrà la regione simbolo di queste reciproche contaminazioni culturali dove, metaforicamente, abbracci e rifiuti si leggono in quasi ogni opera. Quando, nel 216 a.C. Annibale annichilisce le legioni romane nella disastrosa battaglia di Canne, il passaggio delle città apule sotto l'influenza cartaginese, è dichiaratamente entusiastico da parte dei

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territori tarantino-messapici (i più meridionali) mentre risulta certamente più sofferto da parte di tutte le città del nord, Arpi e Canosa in primis laddove i “principes” (come venivano chiamate le elites nobiliari indigene detentrici le leve del potere politico ed economico) pur avendo abbracciato modelli e lingue ellenistici avevano invece aderito al “progetto” socio-militare romano.

Sarà comunque solo nel 203 a.C. che Annibale, salpando frettolosamente dalle coste calabre, metterà la parola fine non solo alla II° guerra Punica ma anche alle residue speranze di indipendenza delle popolazioni iapigie, sancendo così la loro definitiva romanizzazione.

Per illustrare questo processo di integrazione/colonizzazione culturale, considerando che la ceramica, in questo periodo è il tipo di evidenza archeologica più largamente ed articolatamente attestato, niente ci è sembrato più appropriato che seguire parte dei corrispondenti mutamenti morfologici e stilistici che investono l'arte ceramico-vascolare in un lasso di tempo in cui tutti gli “attori” principali sono ben presenti sul palcoscenico della storia.

Deve risultare ben chiaro che non abbiamo nessuna intenzione di sostituirci a storici od archeologi professionisti, accademici e non, come parimenti il fatto che questa mostra è lungi dal voler travalicare i confini della divulgazione storico/artistica, seppure (si spera) di buon livello.

In quanto realtà privata con finalità commerciali non abbiamo potuto contare né su contributi né su prestiti museali pubblici e quindi certe classi ceramiche (fortunatamente di minore importanza) sono poco o per nulla rappresentate ma crediamo che tutto questo possa essere agilmente sopportato se, sfogliando queste pagine, rivolgerete un pensiero di stima o ammirazione a quegli anonimi artigiani/artisti di tanto tempo fa e se la parola Iapigi non vi provocherà più fastidiosi quanto imbarazzanti pruriti.

Trieste, Settembre 2007

Questo che avete letto era il testo introduttivo da noi presentato all'apertura della mostra “Contaminazioni. Sopravvivenze etniche nella ceramica apula prima della conquista romana (IV°-III° sec..a.C.)” che si è tenuta presso i nostri locali di via Punta del Forno a Trieste tra il 22 settembre ed il 18 ottobre 2007. Decisamente fuori dall' ordinario ( probabilmente per la prima volta in Italia abbiamo varato un' esposizione tematico/divulgativa di manufatti archeologici completamente privata ed al di fuori da qualsiasi iniziativa istituzional-museale) la mostra era centrata su un gruppo di reperti inediti acquistati e riportati in Italia dalla IXION,

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VIIprovenienti da collezioni private estere.

Colpevolmente, nei mesi successivi, presi da molteplici impegni non siamo riusciti a pubblicare il catalogo della mostra. E così e' passato un intero anno.

Molti dei reperti a suo tempo presentati sono già stati venduti ma il rovescio (positivo) della medaglia è che in questi ultimi dodici mesi il nostro catalogo si è notevolmente arricchito con l'arrivo di diversi nuovi manufatti di provenienza apula, alcuni dei quali veramente notevoli.

Non ci rimaneva che una cosa da fare: pubblicare il catalogo della Mostra, completo di alcuni cenni generali sulla ceramica del periodo, e tentare di farci perdonare “allargandolo” ibridamente ai nuovi arrivati. Per amor di precisione i manufatti originariamente presentati sono stati accuratamente segnalati nelle Tavole fotografiche con un asterisco. Tutto è iniziato con loro ed è giusto così: scusate il ritardo!

Trieste, Ottobre 2008

Marina e Lorenzo Turco IXION Archeogallery

AVVERTENZA:Tutte le opere qui pubblicate, se non diversamente specificato, sono di

proprietà della IXION Archeogallery. che ne cura la diffusione certificando e garantendo l'autenticità e la legittimità del possesso.

Tutti i reperti sono posti in vendita soddisfando pienamente i requisiti di legge sulla Tutela dei Beni Culturali, in particolar modo quelli contenuti nel D. Lgs. N°42 del 22.01.2004.

Testi e immagini presenti nella presente pubblicazione non possono essere in alcun modo riprodotti senza il consenso scritto della IXION Archeogallery.

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Thymaterion,( part. della vasca)cfr. Tav. IV

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IX

1. La Ceramica a stile Geometrico.Cenni Generali

Intorno la metà del X° sec. a.C. la popolazione degli Iapigi, la più antica presenza etnica dell' antica Puglia, è già pienamente radicata in questa regione. Rimarrà abbastanza unitaria fino circa l'VIII° secolo a.C. quando, una sempre più progressiva frantumazione, porterà alla nascita di tre distinte sottoetnie: i Dauni, i Peuceti ed i Messapi.

Questa divisione, dai confini territoriali incerti, si specchierà anche nella produzione ceramica. All' uso dell'impasto (argilla grezza non depurata) intorno all' XI° sec.a.C. succederà la produzione di ceramica depurata che viene inizialmente decorata in uno stile chiamato Protogeometrico Iapigio.

Da questo, intorno al IX° sec.a.C. nasce lo stile geometrico vero e proprio anche se, sul piano tecnico, poco viene a differenziarsi dalla produzione precedente. A cavallo tra il IX° ed VIII° sec. a.C. si svilupperanno a seconda dell'area geografica considerata stili diversi che, pur avendo certe caratteristiche comuni, manterranno nei secoli futuri le loro peculiarità.

La successiva fondazione di Taranto (intorno al 700 a.C.) e delle altre colonie greche influenzerà in modo ancora più selettivo i costumi delle popolazioni indigene che acquisiranno così caratteristiche culturali ed artistiche sempre più distinte.

Daunia

La Daunia è la regione che più delle altre ha mantenuto un forte conservatorismo per quel che riguarda la produzione vascolare, non tanto nelle decorazioni e nelle forme, in cui ha cercato sempre di rinnovarsi, ma soprattutto per il ritardo con cui ha subito l'influenza delle coeve produzioni greche. Gli scambi culturali e commerciali con altri popoli (Liburni, Sanniti ed Etruschi in primis) hanno inoltre sicuramente condizionato le istanze artistiche di questa parte della Puglia rispetto alle altre zone, forse territorialmente più isolate.

Il Geometrico si evolve nello stile Subgeometrico Daunio e lo si può distinguere in tre fasi : Daunio I° (700-550 a.C.), Daunio II° (550-400 a.C.) e Daunio III° (400-300 a.C.) [De Juliis, 1997].

Tutta la produzione è divisa in due ulteriori distinte classi a seconda del luogo di maggior sviluppo: Ordona e Canosa a cui si aggiungerà più tardi Ascoli Satriano. Mentre nella prima la decorazione risulta più povera e monocroma fino al Daunio II°, in cui viene introdotta la bicromia (cioè il colore rosso accanto al bruno, entrambi di tipo opaco), a Canosa lo stile è molto più ricco sia nelle forme che nelle decorazioni e l'adozione del doppio colore è molto più precoce. Il disegno è dato soprattutto da fasce orizzontali e

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verticali, meandri, zig-zag cerchi e figure geometriche. Il “trapezio pendulo”, pendente da una linea orizzontale ed occupante la parte inferiore del vaso, è uno dei motivi decorativi più tipici attribuibili a Canosa. [Cfr. Fig.1]

Il VI° sec.a.C. vede un profondo rinnovamento artistico; l'olla ad imbuto [Cfr. Tav.I] entra nella produzione canosina e rimarrà la forma più caratteristica fino tutto il III° secolo a.C., mentre accanto alla decorazione Geometrica vengono aggiunti elementi plastici quali protromi zoomorfe e mani apotropaiche che nella fase successiva (Daunio III°) verranno sostituite da semplici palette rettangolari mentre gli elementi geometrici saranno affiancati da quelli fitomorfi.

L'uso della ruota lenta, per quel che riguarda la produzione indigena, perdura fino al IV° secolo a.C. mentre l'uso del tornio veloce viene adottato, per la realizzazione delle ceramiche di derivazione greca, già a partire dal VI° sec.a.C (ceramica in stile Gnathia, in stile Xenon, a figure nere ed a a figure rosse).

Sono da menzionare per quel che riguarda la produzione locale, dal IV° sec a.C. in poi, sia l'importante ceramica plastica policroma (vedi capitolo dedicato) sia quella listata.

Quest'ultima, prodotta dalla metà del IV° fino la metà del III° sec.a.C., è caratterizzata dalla disposizione a strisce (o liste) del disegno inframezzate da elementi fitomorfi. Il colore delle fasce è sempre bruno, mentre durante l'ultima delle tre fasi che caratterizzano questa produzione (Listata A 350-320a.C., Listata B 320-300 a. C., Listata C prima metà III° sec.) si aggiunge l'uso del rosso e del rosa. Sempre in quest'ultima fase viene introdotto l'utilizzo del tornio veloce anche su ceramiche indigene e compaiono nuove forme vascolari che risulteranno distintive come l'Askos a doppia bocca [cfr. Tav. II] ed il Thymaterion [cfr. Tav. IV ]

Messapia

La Messapia è la regione che, anche per ovvie ragioni geografiche, più ha risentito dell'influenza greca ed infatti già dal VI° sec. a.C. l'uso del tornio veloce e del colore non più opaco ma lucente entreranno a far parte del repertorio locale. Allo stile geometrico, parimenti, si affiancano a cavallo del VI°-V°sec.a.C. decorazioni di ispirazioni attico/corinzia ed il tornio veloce verrà adottato anche per modellare vasi tipicamente indigeni.

E' in questo periodo che nasce la Trozzella, [cfr.Fig.2] il vaso più peculiare

Fig.1

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XIdella ceramica messapica. Sono riportati in letteratura quattro fasi del Geometrico Messapico, dal Messapico I° (680-400 a.C.) al Messapico IV° (320-250 a.C.) caratterizzati da un progressivo insinuarsi di uno stile di ispirazione vegetale molto ricco e, più tardi, anche dalla presenza di figure zoo/antropomorfe di colore bruno in una struttura geometrica all' inizio piuttosto rigida e tradizionale che verrà comunque ripresa nella fase di esaurimento del movimento stesso.

Peucezia

Piuttosto ridotto, all' interno di questa classe ceramica, risulta il contributo peuceto. La prossimità geografica con i colonizzatori greci ha di fatto parzialmente “anestetizzato” la creatività indigena la cui decorazione peculiare, la cosiddetta “svastica peduncolata” tra pannelli contenenti un motivo a pettine [cfr. Fig. n° 3] , cessa già intorno al 450.a.C. mentre dal 500 a.C. si ha notizia di vasi torniti e decorati “alla greca” con decorazioni a fasce oppure in uno stile ibrido geo/fito/zoomorfo detto anche “misto”.

Fig.3: (da De Juliis,cit., 1997)

Fig.2 Cfr. Tav. V

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2. Ceramica a Vernice Nera (e sovraddipinta)

Di sicura derivazione greca la ceramica a vernice nera è una delle classi vascolari più importanti, per quantità e longevità, nel variegato campionario della produzione apula. Caratterizzata da un velo di “vernice” di colore nero o di un bruno più o meno profondo, la sua presenza all'interno dei corredi funerari è pressoché costante in tutto il periodo da noi preso in esame. Per “vernice” si intende un rivestimento coprente e lucente derivante dalla trasformazione, durante la cottura, della miscela argillosa fluida applicata sul manufatto. Se il rivestimento ha una granulometria molto fine ed omogenea e la temperatura raggiunge livelli elevati (per l'epoca intorno ai 900-950 gradi) mantenuti abbastanza a lungo può innescarsi il processo di sinterizzazione ossia un processo di densificazione chimico/fisico che riduce al minimo la porosità, e quindi rende “impermeabile” il manufatto donandogli, al contempo, compattezza e lucentezza.

I primi prodotti di questa classe ceramica si trovano in Puglia, importati da Atene (o Corinto), già dalla metà del VI° sec. a.C. La produzione locale inizierà, comunque, vista anche la relativa semplicità realizzativa, pressoché in parallelo con la comparsa dei primi coloni. Se, specie agli inizi, le produzioni attiche si distinguono per la qualità superiore, data principalmente dalla lucentezza della superficie (maggiore presenza di ossidi di ferro nell'argilla ed un maggior grado di depurazione della stessa) bisogna notare che “tale criterio deve essere usato con estrema cautela dal momento che l'acquisizione della tecnologia in Italia Meridionale ha condotto in molti casi all'esecuzione di esemplari di alto ed altissimo livello qualitativo e d'altro canto, è documentata anche una produzione attica piuttosto scadente”.1 A partire soprattutto dal IV° sec. a.C. la diffusione della ceramica a vernice nera diventa massiccia in tutta la Puglia, anche nei territori indigeni più lontani (dalle colonie greche) come in Daunia, la cui presenza è documentata dalla grande quantità di tali manufatti rinvenuti accanto ai più costosi e raffinati vasi figurati nei corredi funerari delle “elites” locali.

Se da un punto di vista tecnico-realizzativo non si notano significativi apporti dalle maestranze indigene molto più evidenti sono i contributi di carattere morfologico; accanto alle predominanti forme classiche della tradizione attica coeva, che concernono in

Fig.4: Vedi Tav.IX

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XIIIspecial modo la sfera del banchetto e del simposio (piatti, kylikes [Fig.4], skyphoi, olpai, oinochoai per l'acqua e, soprattutto, per il vino) si sviluppano numerose varianti locali come oinochoai dalla forma insolita e, soprattutto i Gutti, sorta di contenitore per olii o profumi dalla tipica forma discoidale con figurazioni impresse in rilievo al centro, che contribuiscono a sdoganare tale classe dalla sola funzione di pregiate suppellettili da mensa. Ben presto accanto a questi oggetti iniziano a diffondersi prodotti delicamente decorati: la classe sovraddipinta più anticamente attestata è denominata “Gruppo di Xenon”. Entrata a far parte della classe vascolare apula come prodotto importato dalla Grecia e dalle sue colonie verrà successivamente prodotta ampiamente in loco. I motivi sono in gran parte fitomorfi, più raramente zoomorfi, quasi tutti con delicate decorazioni geometriche mentre la sovraddipintura più comune è un rosso argilloso talmente diluito da virare in certi casi fino al rosa/arancio chiaro.

Probabile evoluzione di questa classe, in età ellenistica, si diffonde sempre più la richiesta di un tipo particolare di ceramica, quella sovraddipinta policroma, di cui la classe detta di “Gnathia” è la più importante. Il nome deriva da Egnazia, città Messapica al confine con la Peucezia dove sono state inizialmente ritrovate grandi quantità di vasi decorati in questo stile anche se da successivi studi è emerso che è probabilmente Taranto a poter vantare la primogenitura di tali manufatti poi diffusisi in tutti i centri ellenizzati e non della Puglia.

I vasi (in gran parte di piccolo formato), dal punta di vista tecnico sono in una prima fase rivestiti dalla “vernice” argillosa che, dopo l'asciugatura, verrà sovraddipinta con pigmenti bianchi, gialli e rossi-paonazzo [cfr. Fig.6] mentre la cottura finale segue le medesime modalità della ceramica a “vernice nera”.

Le decorazioni tipiche consistono prevalentemente in motivi vegetali, (ghirlande, palmette, grappoli d'uva, foglie d'edera ecc.) ma anche, più raramente, vengono completate da satiri e menadi, elementi del mondo dionisiaco ed animale. Presenti in maniera ancor più rara e distintiva sono anche le raffigurazioni di maschere tragiche e comiche ispirate al quanto mai variopinto mondo teatrale dell'epoca (vasi detti “fliacici”).

1 Grassi M.T., ( in Sena Chiesa G. e Arslan, A.E., Miti Greci, cit., pag. 163)

Fig.6: vedi Tav.VII

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3. Ceramica Plastica Canosina

L'inizio della produzione di questa classe vascolare rara e peculiare della Daunia nel periodo a cavallo tra la fine del IV°sec. e la prima metà del III° a.C. si pone in connessione con l'ultima fase produttiva della ceramica a figure rosse con cui convive per qualche tempo. In questa fase non è raro trovare, all'interno dei corredi funerari a noi pervenutici, sia i grandi vasi dipinti a figure rosse tipici del periodo Tardo Apulo sia questi “nuovi” vasi plastici dipinti policromi decorati “a freddo” (cioè con colori a tempera di origine vegetale) uno stile quest'ultimo che sembra rimandare a temi e tecniche della pittura parietale dell' epoca, oggi praticamente scomparsa.

L' approccio degli studiosi contemporanei con questa classe ceramica è stato (ed è tuttora, vedi lo sprezzante giudizio del Cook)1 piuttosto difficile perché se pur è riconoscibile un debito ”classico” nelle morfologie di provenienza non c'è alcun dubbio sull' impatto spiazzante e sovversivo della tecnica manifatturiera.

L'inconfondibile particolarità di questi manufatti consiste nella peculiarità della decorazione dove, accanto alla “tradizionale” pittura, scopriamo un fiorire di elementi plastici (appliques) lavorati a rilievo o a tutto tondo realizzati sia a matrice sia a mano libera. Si tratta di protomi equine, teste , busti (o figure intere) femminili, centauri, tritoni, mascheroni ed anse a forma di figure ibride mostruose o di animali. Non solo: accanto alle tradizionali forme vascolari tipiche della scuola greca osserviamo in questa fase (come anticipato) un prepotente emergere di creazioni e variazioni tipicamente locali; askoi otriformi [cfr. Tav. XI], lekythoi configurate, pseudo-vasi con teste femminili sormontate da figurine [cfr.Tav. XII], thymatheria [cfr. Fig.7 e Tav.X] che si originano da delicate teste femminili, per non parlare delle deliziose figurine a stampo dette anche “Tanagrine” (di chiara origine greca), talmente originali, anche nelle acconciature, da essere spesso immediatamente riconoscibili anche da un osservatore poco attento.

Le appliques vengono aggiunte al corpo ceramico o prima della cottura dello stesso mediante argilla diluita o subito dopo mediante un materiale adesivo catramoso di origine vegetale di colore scuro. I vasi, una volta cotti, sono rivestiti da una sorta di ingobbio (rivestimento di fondo) bianco detto anche scialbatura dato da derivati caolinici o da latte di calce.

La diversità di questa copertura rispetto alle altre sta nel fatto che essa viene stesa a freddo e non è quindi fissata dai procedimenti chimico/fisici innescati

Fig.7: vedi Tav. X

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XVdal calore della fornace come comunemente avviene nelle altre classi ceramiche .

Le sovraddipinture successive in rosa, rosso, giallo e azzurro (da notare la straordinaria tonalità nella coppia Eros e Psiche, fig.9) subiscono lo stesso procedimento e ciò provoca una scarsa tenuta dei colori che tendono, con il passare del tempo a staccarsi.

La fragilità di questi reperti dovuta alla rilevante quantità di elementi plastici sporgenti, alla delicatezza dei colori ed alla mancanza del fondo di alcuni esemplari evidenziano la destinazione prettamente funeraria di questi straordinari capolavori, che mal si adattavano all' uso quotidiano ma facevano bella mostra di sè durante i riti funebri e poi nella camera sepolcrale. Se “sorprendente” è l'aggettivo più consono al primo manifestarsi di questo movimento stilistico “spiazzante” potrebbe essere quello più calzante riguardo alla repentina scomparsa. La fine si consumerà infatti quasi misteriosamente nell'arco di una manciata d'anni a cavallo della penetrazione romana nella Daunia, tanto che all'alba del III°sec. a C. di questa magnifica avventura stilistica non rimarrà pressoché nessuna traccia.

Fig. 9: Eros e Psiche

(part.) Tav. XIII

1 “[...]The best Canosa vase-painting has a decent charme. This is more than can be said of the shapes .” (Cook R..M. , Greek Painted Pottery, cit. p.199)

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4. Ceramica a Figure Rosse

Siamo intorno al 530 a.C. quando un gruppo di artisti del quartiere ceramico di Atene (il Kerameikos) guidati dal pittore Andokides si cimenta in una nuova tecnica pittorica che da lì a poco conoscerà un successo travolgente: quella delle “figure rosse”.Si tratta di una rivoluzione copernicana che nel giro di pochi anni spazzerà via (con rare eccezioni) la secolare produzione della ceramica a figure nere (quella delle immagini in nero che si stagliano sul colore nativo della terracotta). Le possibilità espressive si moltiplicano, la resa delle immaginini è senza paragoni; il soggetto disegnato “a risparmio”, cioè non ricoperto dalla “vernice” usata per lo sfondo, è un trionfo della figura umana; muscoli guizzanti, acconciature elaborate, panneggi maestosi sottolineati dalla ricchezza del drappeggio.Le nuove tecniche non metteranno molto a valicare il mare: alle importazioni di ceramica figurata attica, già rilevanti nella seconda metà del V° sec.a.C., verranno presto ad affiancarsi le produzioni indigene. In seguito alla fondazione (in Calabria) della colonia ateniese di Turii è infatti quasi certa la presenza, vista la similarietà tra i vasi attici del periodo ed i primi esemplari coloniali, di artigiani greci trasferitisi in Magna Grecia. Il movimento partito da Turii si estenderà così rapidamente nelle colonie di Taranto (di fondazione laconica) e Metaponto (achea) in primis e poi in tutta l'Italia Meridionale e la Sicilia.Il successo di questa tecnica, all'alba del IV° secolo a.C., è dilagante, favorito anche da tutta un serie di eventi socio-economici e politici favorevoli. L'espansionismo ateniese (prima della disfatta nella Guerra del Peloponneso) è al suo culmine, mentre la richiesta dei pregiati vasi prima dal mondo etrusco e poi dalle “aristocrazie” indigene apule, affascinate dal raffinato mondo ellenico, è continua e pressante. Metaponto e Taranto costituiscono quindi un mercato in continua espansione, dotate di manodopera e materie prime all'altezza delle procedure di lavorazione e con un ottimo retroterra commerciale (Dauni, Peucezi, Messapi, Sanniti ecc.) anche in aree non “militarmente” colonizzate.Non sorprende quindi che, alla fine del secolo in esame, nel venir meno dell'egemonia commerciale ateniese e alle difficoltà politico-militari di alcune

Fig.10: vedi Tav. XIX

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Fig.11: vedi Tav. XVII

XVIIcolonie, come ad esempio Taranto stessa, interi “ateliers” ceramici si spostino direttamente in territori “non greci” ma gìà culturalmente ellenizzati come nel caso del Pittore della Patera (l'autore dell'anfora da noi presentata, vedi Tav..XVIII) e del Pittore di Baltimora che da Taranto emigrano in Daunia prima a Ruvo e poi a Canosa. Dal punto di vista tecnico- morfologico non si notano innovazioni particolari da parte del mondo apulo, il quale ben presto si concentra invece nel modificare, rendendoli idonei alla propria sensibilità, i temi decorativi. Tutto questo porta, specie nel periodo in esame, ad una maggior apertura al mondo femminile ed alla sua bellezza più che agli spazi polverosi e virili delle palestre egee e ad un insinuarsi sottile, accanto alle “solite” tematiche dei grandi miti classici , di una copiosa produzione prettamente funeraria permeata da una peculiare e dolente visione del mondo ultraterreno dove il defunto non pare mai lasciare veramente lo spazio in cui è vissuto ma solo trasferirsi in una dimensione parallela in cui sembra convivere, senza purtroppo poter più interagire, con coloro che sono rimasti.

Ci rimane un dubbio: questi artisti che vivono e lavorano nella penisola sono greci o italici? E' difficile rispondere con certezza alla domanda in quanto, a differenza dei colleghi d' oltremare i nostri artisti non firmavano mai, a parte rarissime eccezioni, i propri lavori. Sarebbe comunque illogico pensare ad un' assenza di maestranze locali nello sviluppo di questo movimento ed è per questo che il massimo studioso di questa forma d'arte, il neozelandese Trendall, chiamava “italioti” questi artisti che pensavano e lavoravano “alla greca” per distinguerli dagli artisti indigeni che, peraltro, a giudicare dalla cospicua presenza delle loro opere nei corredi funerari, erano pur ben numerosi e dalle indubbie peculiarità artistiche.

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1. Appendice

Creando un' anfora ...

Preparando un' introduzione riguardante la realizzazione tecnica di questa magnifica opera attribuita al Pittore della Patera, un artista vissuto ed operante in varie parti della Puglia alla fine del quarto secolo a.C.(periodo Tardo-Apulo), ci siamo accorti che, con opportuni aggiustamenti, il discorso per quanto allargato e tecnicamente più impegnativo, poteva investire gran parte della produzione ceramica del periodo in questione.Non ci siamo lasciati scappare questa occasione, ma ci dispiaceva levare dalla scena questo meraviglioso reperto...

Se però un vasaio, tanto tempo fa, avesse posto sul suo tornio un pane d'argilla e avesse deciso di crearvi un'anfora panatenaica a figure rosse che male ci sarebbe stato nel provare a raccontare questa storia, pur divagando un poco tra le varie classi ceramiche ?

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XIX

1.1 L'Argilla.

Se i vasai di oggi sono abituati a acquistare già pronto il materiale che costituirà le loro opere, ben diverse erano le condizioni in cui si trovavano gli artigiani dell'epoca in questione. La cavatura ed il raffinamento dell'argilla, la materia prima del vaso, non dovevano essere per il vasaio questioni di poco conto. Se l'argilla, considerata un prodotto di disgregazione della terra dovuto fondamentalmente all'azione degli elementi atmosferici, veniva ritrovata “naturalmente” in vasti banchi negli stati più profondi del suolo dove sedimentava, l'estrazione ed il raffinamento non erano certo processi agevoli.

L'argilla è, come vedremo più tardi, ben più di un materiale da lavoro: è l'anima stessa del vaso. Un'anima, a dir la verità, dalla struttura piuttosto complessa.

All' inizio di questo processo l'acqua, infiltrandosi dalla superficie attraverso vari strati terrosi, “trasporta” nel suo cammino svariati elementi che ne determineranno la sua composizione [ cfr. Tab.1] e la sua “coloritura” finale. La natura geologica dei luoghi, la presenza di metalli, silicati, quarzi, carbonati e svariate altre componenti condizionano in modo essenziale il colore dell'argilla che solo il momento della cottura esalta comunque in tutta la sua diversità. Nel campo della produzione fittile antica le famiglie ceramiche si possono a volte distinguere non solo attraverso parametri stilistico-morfologici ma anche dall' “aspetto” o meglio dal colore stesso della terracotta. Se, ad es., la terracotta corinzia è tipicamente giallo/verdastro, quella attica, ricca di ossidi di ferro risulta di un bel colore rossastro mentre nel caso delle ceramiche apule la dominante cromatica (data essenzialmente dal carbonato di calcio) è una sorta di beige più o meno chiaro.

Ritornando ai processi di preparazione, l'argilla, una volta estratta, (molto

Fig.1: La cavatura dell' argilla in un "pinax" corinzio (VI° sec. a. C.). Berlino, Museo Statale.

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spesso dal vasaio stesso o dai suoi assistenti), viene messa a macerare in delle vasche dette “di decantazione” dove verrà depurata dai materiali accidentali [cfr. Tab.1] e dove la parte più pesante e non utile, depositandosi sul fondo delle vasche verrà eliminata, mentre la parte più fine e limosa rimasta in superficie sarà fatta defluire in bacili ed eventualmente mescolata con altri elementi (solitamente altri minerali non argillosi) per incrementarne lavorabilità, plasticità, resistenza al ritiro durante l'essiccamento o per magnificarne determinate qualità.

A questo punto il prodotto è pronto per una sorta di parziale essiccamento, viene tagliato in blocchi e messo a “stagionare” anche per parecchi mesi in locali coperti prima di accedere nella parte “nobile” del laboratorio ceramico. Questa fase del processo non deve sorprendere: come il falegname cerca sempre di usare il legno da lui appositamente accantonato tempo prima così il vasaio sa che più l'argilla è “vecchia” tanto più è malleabile.

E' solo a questo punto che l'argilla “entra” nel laboratorio del vasaio ed è finalmente pronta ad incontrare le sue abili mani.

Tabella 1. Composizione chimico/mineralogica. .

Minerali argillosi: illite, caolinite ecc.

Minerali non argillosi: quarzo, calcite, feldspati,

Argilla ossidi di ferro ecc.

Materiali accidentali:sostanze organiche, residui

vegetali ecc.

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XXI

1.2 Vasi e Vasai.

Non disponendo di informazioni dirette a proposito delle botteghe italiche ed italiote impegnate nella realizzazione dei manufatti ceramici le osservazioni raccolte sulle quelle greche coeve possono risultare illuminanti.

Si tratta fondamentalmente di piccole imprese, generalmente a conduzione familiare, di solito situate a ridosso dei centri abitati o, per ovvie ragioni commerciali, in prossimità di complessi religiosi o tombali. Nei momenti di maggior fervore lavorativo, identificabili dalla primavera alla fine dell'autunno, la bottega poteva essere rafforzata da altre unità lavorative (schiavi od operai salariati) ma difficilmente si può immaginare impiegate più di una decina di persone. I segreti del mestiere venivano tramandati di padre in figlio e la presenza femminile, individuabile in certe immagini arrivate a noi attraverso le decorazioni vascolari, va interpretata in un' ottica di collaborazione familiare all' attività del laboratorio in momenti di intensa attività più che in una presenza costante . Tale struttura organizzativa, e non abbiamo motivo di immaginare altrimenti, doveva essere operativa pure da questa parte dell' Adriatico.

E' molto probabile che il procedimento che andremo a descrivere, riferito ad un unico vaso, venisse invece applicato a serie complete di manufatti appartenenti alla stessa classe. Questo processo di “industrializzazione” permetteva di sincronizzare il lavoro comune della bottega e beneficiava del perfezionamento derivante dalla ripetizione e dall' affinamento del metodo.

Tornando alla nostra storia, il “pane” d'argilla opportunamente stagionato entra finalmente, assieme a molti altri, nella bottega del vasaio (è stato stimato, nel caso di avviate botteghe, un consumo pari a diverse decine di chili al giorno). La modellazione dell'impasto argilloso poteva avvenire a mano libera, (ad esempio in gran parte della ceramica geometrica Daunia più antica), mediante il tornio oppure per mezzo di matrici (come ad es. nel caso delle famose statuette femminili dette “Tanagrine”). Se, anticamente, i primi vasi venivano modellati a mano solitamente mediante sovrapposizione successive di anelli argillosi, la produzione fittile apula intorno al IV° sec.a.C., che è quella che ci riguarda più direttamente, veniva realizzata quasi interamente al tornio veloce, che si ritiene introdotto in Italia proprio dai vasai greci immigrati nel nostro paese.

Dal punto di vista tecnico, l' innovazione è di portata epocale: perfezione nelle rotondità, mantenimento delle proporzioni e velocità di realizzazione sono senza pari. Praticamente nessun artigiano poteva più prescindere da questo

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nuovo strumento ed il nostro laboratorio non costituisce certo un' eccezione.Il vasaio centra il pane di argilla sul tornio ed inizia ad abbozzare il vaso con

la pressione delle dita. I tempi di lavorazione variano a seconda della grandezza e della difficoltà della forma da elaborare . I vasi di grandi dimensioni e le kylikes più ampie ponevano non pochi problemi tecnici, anche se bisogna considerare che “la maggior parte della ceramica realizzata nelle officine consisteva di semplici prodotti di serie” (Schleibler, 1995) realizzati in numerosi esemplari in pochi minuti. Gli abbozzi, una volta completati, venivano tolti dal tornio e sottoposti ad una prima fase di asciugatura per poi passare, una volta eliminati gli eccessi d'acqua, ad un' accurata lisciatura e levigatura. Il trattamento delle superfici riguardava tutti gli oggetti ceramici ma è certa una maggior cura negli oggetti più fini.

Eliminare, ad essiccamento appena iniziato, tutti i residui argillosi, assottigliare lo spessore e levigare perfettamente la superficie (anche con l'ausilio di strumenti metallici) prima dell'applicazione del rivestimento era una processo decisivo per la buona riuscita del manufatto. E' in questa fase dell' essiccamento che l'artigiano completa il vaso con le “applicazioni”, cioè tutte quelle parti del manufatto che non hanno potuto essere realizzate contemporaneamente al processo di tornitura. Anse, rotelle, applicazioni in rilievo a volte (nel caso di grandi manufatti) anche piedi e bocche vengono ora applicate (mediante un'argilla limosa molto fine) al vaso che appare , da un punto di vista morfologico, finalmente completo.

Il vaso a questo punto viene nuovamente riposto in un ambiente, possibilmente fresco e asciutto, per proseguire il suo essiccamento fino quella fase che viene chiamata “durezza cuoio” in cui, pur perdendo gran parte della sua plasticità, ha acquisito un buon grado di porosità ed è quindi pronto ad affrontare i complessi processi di rivestimento e decorazione che seguiranno.

Finito l'essiccamento il nostro vaso, riportato sul banco da lavoro, viene energicamente spazzolato con un panno di pelle per un'ulteriore levigatura.

Il suo destino sta per compiersi: solo ora sapremo a quale classe apparterrà il manufatto. La nostra anfora, perché di lei si tratta, (ancora nuda e cruda, diremmo dalle nostre parti) è pronta per essere “vestita”...

Atena veglia sul lavoro del vasaio. Cratere siciliota a fig. rosse, circa 430 a.C. Caltagirone,

Museo Regionale.

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XXIII1.3 Tecniche di Decorazione.

Per realizzare un prodotto commercialmente appetibile, la sola cura dell' argilla e la perizia al tornio da parte del vasaio non erano chiaramente sufficienti. Il rivestimento inteso come “strato sottile, di composizione e proprietà chimico-fisiche variabili, che ricopre la superficie del manufatto ceramico allo scopo di migliorarne l'aspetto e la funzione” (Cuomo Di Caprio, 2007) costituiva la parte più immediatamente fruibile all' attenzione dei possibili acquirenti e quindi era soggetta a particolari cure da parte degli artigiani.

A seconda delle classi ceramiche lavorate al momento, il ceramista poteva teoricamente scegliere (per iniziare il lavoro decorativo) tra tre tipi di rivestimento: quello ad ingobbio rosso, ad ingobbio bianco ed infine quello a vernice nera. Se, a proposito della diffusissima classe ceramica a vernice nera protagonista indiscussa di banchetti e simposi si potrà vedere il capitolo dedicato, sulle tipologie degli ingobbi sarà meglio sprecare qualche parola in più vista l'importanza che rivestono proprio per la ceramica apula del periodo. Tecnicamente parlando la stessa differenza tra “vernice” ed ingobbio è piuttosto labile in quanto si parla comunque di una miscela semiliquida a base argillosa di composizione varia che dopo la cottura, attraverso varie trasformazioni chimico-fisiche (vedi cap. seguente) si trasforma nel rivestimento vero e proprio. A parte l'ingobbio bianco (argille caoliniche), tipico in certe ceramiche plastiche canosine, che mantiene anche in cottura un predominante colore biancastro, è sempre bene ricordare che gli altri rivestimenti come l'ingobbio rosso e la “vernice” nera sono composte dalla stesse materie prime: variano solo i trattamenti preliminari e le depurazioni, più o meno accurate.

Tornando alla nostra storia, l'attività giornaliera della bottega prevede il finissaggio di una pregiata serie di ceramiche a figure rosse tra cui la nostra anfora. E' in questo momento che entra in scena una nuova figura chiave

Fig.3: Buon esempio del procedimento di "contornatura".

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dell'atelier ceramico: il decoratore. E' lui che, in questa fase della lavorazione, prende il comando delle operazioni, detta regole e tempi d'esecuzione. E' probabile che la sua prima azione sia quella di ripassare a pennello (o immersione) tutte le superfici da trattare con una mistura di ocre argillose rosse (il famoso ingobbio rosso di cui accennavamo prima, slip per gli inglesi). Lo scopo è evidente: l'argilla apula usata dal vasaio è “terribilmente” chiara rispetto ai modelli attici e l'unico sistema praticabile per esaltarne la componente rossastra è ricoprirla con una soluzione argillosa semiliquida ricca di ematite che, a cottura ultimata, “arrossirà” ulteriormente le figure risparmiate.

Riasciugato il manufatto, il ceramografo è pronto per la fase artisticamente più complessa, quella della realizzazione del progetto narrativo e decorativo dell' opera tenendo ben a mente le preferenze e le aspettative dei committenti o dei futuri potenziali acquirenti in quanto un' arte sganciata ed indipendente dal tessuto socio-culturale di appartenenza era qualcosa di impensabile per l'artista italiota. Come ben scrive al proposito il Lippolis “nel mondo magnogreco del V e IV sec a.C. la ceramica figurata costituisce soprattutto uno strumento di comunicazione, un linguaggio complesso e particolare usato per raccontare non solo conoscenze mitologiche e letterarie, ma anche tradizioni familiari ed individuali, comportamenti e volontà di adesione culturale, status sociale.”1

Rapidamente discusso ed approvato il progetto, i disegni preliminari vengono eseguiti con un sottile stilo. Si tratta per lo più di sottili linee guida che permettono la sistemazione spaziale dei personaggi e delle decorazione accessorie, spesso piuttosto impegnative (anche se seriali) come nel caso dello stile Apulo Tardo. A questo punto il ceramografo può tracciare con il pennello imbevuto d'argilla il profilo definitivo delle figure separando “con una linea marcata la zona della figura risparmiata dallo sfondo che solo alla fine viene riempito con il rivestimento.”(Scheibler, cit., cfr. Fig. 3).Ora, con un abile alternarsi di finissime argille limose (sempre loro!) di varia granulometria e densità e diversi tipi di pennelli (cfr. Fig. 4) il ceramografo procede a delineare

Fig.4 (da Scheibler, cit.,1995)

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XXVtutti i particolari più minuti dei personaggi e dei loro accessori (cfr. Fig.5).

Sembra fatta eppure il decoratore è cosciente che solo l'impiego di altri colori riuscirà a dare una scossa ad una scena certo piena ma non ancora

“viva”. Sarà quindi dalle sovraddipinture in bianco (argilla caolinica) in rosso detto “paonazzo”(ocra rossa con l'aggiunta di ruggine macinata) ed infine in giallo (stessa miscela della vernice nera stemperata in molta acqua) da cui scaturiranno i dettagli più ricercati. Se ad un esame attento queste vernici alla fine risultano spesso opache e non ben fissate sulla superficie ceramica a causa di differenti coefficenti di dilatazione ( in cottura ) esse risultano decisive nel rendere quella sensazione di profondità e vivacità della scena che alle sole figure “risparmiate” difettava.

Il pittore ripone i suoi pennelli e contempla ancora un attimo la sua opera, finalmente completata. Ad un osservatore non esperto il vaso

risulterebbe particolarmente deludente: l'anfora sembra un ammasso di segni semilucidi su cui si muovono figure quasi indistinguibili e dal contrasto cromatico praticamente inesistente . Ma è normale; non dimentichiamoci che l'artista ha lavorato per tutto il tempo con gli stessi derivati argillosi da cui è costituito il vaso stesso e che solo la cottura, attraverso il processo di sinterizzazione del rivestimento, (un processo di densificazione che riduce al minimo la porosità, e quindi rende “impermeabile” il manufatto donandogli, al contempo, compattezza e lucentezza), permetterà al corpo ceramico di ottenere quell' effetto scuro e lucente che sovente ammiriamo.

L'anfora è completa ma l'opera è ben lontana dall'essere finita.La cottura, fase particolarmente pericolosa (per il destino dei vasi e le fortune dell' officina) è alle porte. 1 Lippolis E. in Sena Chiesa ed Arslan A.E.., Miti Greci, cit, pag. 150

Fig.5: Si notino i dettagli (bracciali e capelli) ottenuti con una forte diluizione della stessa argilla di cui è composto anche lo sfondo della figura. (da Clark et

al.,Understanding Greek Vases,cit., 2002 )

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1.4 La Cottura.

Come abbiamo visto il vaso è pronto ma il lavoro è tutt'altro che finito: la cottura, l'ultima fase del processo di realizzazione, è un momento delicatissimo che può facilmente vanificare tutto l'impegno profuso.

Il manufatto, accatastato nella fornace [cfr. Fig.8] assieme al resto della produzione giornaliera o del periodo (il consumo di materiale combustibile era estremamente alto e quindi la fornace veniva impiegata solo a pieno regime) veniva sottoposto ad una temperatura finale vicina agli 850/900 gradi. Occorrevano tra le otto e le nove ore per raggiungere (e mantenere) queste temperature, mentre il fuoco iniziale serviva soprattutto per eliminare gli ultimi residui d'acqua. Andando a vedere nel dettaglio, il processo di cottura vero e proprio iniziava appena dopo sei-sette ore ad una temperatura di circa 500 gradi quando i vasi iniziavano a diventare

ben arroventati e di una colorazione rosso acceso. Siamo alla prima delle tre fasi necessarie alla realizzazione del vaso, un ciclo alternante di fasi di ossidazione, riduzione e riossidazio_ ne/raffreddamento. Nella prima fase (ossidativa) fin quando l'ossigeno, tramite opportuni cana_ li di ventilazione, ali_ menta il fuoco, il rivestimento (“verni_ ce”) ricco di ossidi di

Fig:7 Un vasaio di fronte alla fornace mentre regge un gancio per chiudere gli sfiati (da un Pinax corinzio, VI sec. a C.) Museo del

Louvre,Parigi.

Fig:8 (da Scheibler, cit., 1995)

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XXVIIferro (Fe2O3) vira in un colore rosso acceso. Non solo; anche l'argilla con cui è stato modellato il vaso, avendo una composizione simile, subisce la medesima trasformazione.

Durante questa fase l'argilla “risparmiata” cioè non trattata con il rivestimento diventa di colore rosso chiaro mentre la parte rivestita vira verso un colore rosso bruno.[Fig.9 lett.b] Raggiunta una temperatura intorno ai 950 gradi l'addetto alla for_ nace varia l'atmo_ sfera interna della stessa immet_ tendo foglie e legni non stagionati (materiali fumo_ geni). E' l'inizio della fase riducen_ te; la “vernice”, a causa del muta_ mento ambientale, subisce la trasfor_ mazione dell' ossi_ do ferrico (ematite rossa) di cui è ricca in ossido ferroso e ferroso-ferrico (nero). Il vaso diventa una sorta di massa scura [Fig.9 lett.c]. E' in questa fase che avviene il processo di sinterizzazione prima descritto per cui lo strato trattato diventa lucido, coprente, impermeabile e resistente. Le parti risparmiate diventano grigie scure mentre le parti trattate assumono infatti una lucidezza che non perderanno più, neppure nell'ultima fase della cottura, quella del raffreddamento. La fornace viene aperta provocando un abbassamento della temperatura e, nel contempo, l'ingresso dell'ossigeno. L'atmosfera interna viene quindi nuovamente modificata ed ha inizio una nuova fase ossidante.

Le parti ricoperte dalla vernice, essendo più o meno bene sinterizzate (e quindi impermeabili), non subiscono più l'influenza dell'ambiente e rimangono quindi di colore nero. Si fosse trattato di un vaso a vernice nera, il processo sarebbe concluso. In questo caso, invece, le parti in argilla risparmiata, più porose come tutto il resto del corpo ceramico, subiscono una rapida riossidazione che fa virare definitivamente il colore nero in un rosso più o meno intenso.[Fig.9 lett.d]. Il lavoro è finalmente finito, ora si tratta solo di aspettare il raffreddamento della fornace.

L'anfora è pronta per raggiungere il suo acquirente.

Fig:9 (Simulazione digitale di M Elston, da Clark et al., Understanding Greek Vases,cit..,2002)

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