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PIÙ FORTE DELL'ONORE MARGARET MOORE Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Questo volume è stato impresso nel gennaio 2010 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

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PIÙ FORTE DELL'ONORE

MARGARET MOORE

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: A Warrior's Heart

Harlequin Historical © 1992 Margaret Wilkins

Traduzione di Linda Rosaschino

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 1998 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici agosto 1998

Seconda edizione I Romanzi Storici Harlequin Mondadori febbraio 2010

Questo volume è stato impresso nel gennaio 2010

da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

I ROMANZI STORICI HARLEQUIN MONDADORI ISSN 1828 - 2660

Periodico mensile n. 61 del 3/2/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 212 del 28/3/2006 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Galles, 1201 «Non è cambiato molto, non è vero?» Il guerriero alto, inginocchiato su un affioramento roccioso, si voltò verso il fratello d'arme senza far caso alla pioggia che gli bagnava il giustacuore di pelle e la calzamaglia, né al vento freddo che soffiava sulle sue braccia nude e sul capo scoperto. Sotto di loro, una piccola processione di cavalieri av-volti in mantelli fradici seguita da due vecchi carri scric-chiolanti e da diversi soldati a piedi stava avanzando lentamente lungo la strada piena di fango. Il guerriero alto fece una breve risata sprezzante men-tre seguiva con lo sguardo l'uomo alla testa della proces-sione. «Cynric cavalca ancora come se avesse una lancia infilata nel...» «Emryss!» esclamò il suo compagno soffocando a stento una risata. «Per le piaghe del Salvatore, Gwil, stavo per dire nel-l'armatura. A volte sei peggio di una vecchia.» Poi indi-cò con un cenno del capo la figuretta coperta da un man-tello scuro che cavalcava un vecchio ronzino. «Quella dev'essere la fidanzata. Sta in sella come un sacco di me-le. Di certo lui non la sposa per come cavalca, oppure ci

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vedo peggio di quello che credo.» Sistemandosi la benda sull'orbita vuota, Emryss fece una smorfia al fratello d'arme. Era vicino alla trentina ed era un guerriero con-sumato. Su un altro uomo quella smorfia sarebbe apparsa assurda, ma Gwilym sapeva che quando Emryss sogghi-gnava in quel modo erano in arrivo dei guai. «E non ha neppure una dote cospicua» considerò Gwilym, cominciando a preoccuparsi delle intenzioni del suo compagno. Neppure la lunga permanenza in Terra-santa aveva diminuito l'odio di Emryss per i DeLanyea di Beaufort. «La suocera della figlia del maniscalco va al mercato a Beaufort. Si dice che la dote sia miserevole» aggiunse Gwilym, ansioso di andarsene. «È molto bella, allora?» «No, questa è la cosa più strana. Ha un'aria malaticcia ed è magra come un bastone, dicono. Ma ora hai visto quello che ti interessava, perciò andiamocene.» «Non è da Cynric fare un matrimonio del genere» dis-se Emryss. «Cos'altro c'è sotto, Gwil?» Gwilym soffocò un sospiro d'esasperazione e si acco-vacciò. Per fortuna la processione stava entrando nella foresta. «È stato il vecchio barone a combinare il matri-monio. Lo zio di lei... quello accanto a Cynric e che so-miglia a una poiana, è ben introdotto a corte, e loro han-no bisogno di un amico in quegli ambienti.» Emryss indicò un guerriero che cavalcava accanto alla sposa. «E chi è quello là? Quello con i capelli neri che si guarda intorno come se si aspettasse qualche imbosca-ta?» «Fitzroy. Devi fare attenzione a lui, Emryss. È un ot-timo guerriero.» «Da dove viene?» Gwilym scrollò le spalle. «Nessuno lo sa. Combatte dietro compenso, abbiamo sentito.» Emryss annuì con un'espressione pensierosa. Quando

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l'ultimo dei soldati fu entrato nella foresta si alzò in pie-di. «Non mi sorprende che Cynric debba ricorrere ai mercenari. Senza dubbio quell'uomo è ricercato per omi-cidio o qualcosa del genere.» Poi si tolse la benda che copriva l'occhio e se la mise in tasca. «Bene, Gwil, è tempo che il mio caro cugino sappia che sono tornato a casa.» «Tu sei matto, Emryss.» Gwilym si alzò in piedi e cercò di non guardare la cicatrice violacea e raggrinzita che solcava il volto di Emryss. «Credi di poter avvicina-re Cynric e augurargli il buongiorno? Lui ti odia. Ti farà ammazzare immediatamente.» «Oh, ne dubito. Vorrà fare una buona impressione sul-la futura sposa. Pensavo di augurargli il buongiorno in gallese. Gli piacerà, ne sono certo.» Gwilym scosse la testa mentre Emryss montava len-tamente a cavallo, sollevando con cautela una delle due gambe. «È una follia. Vuoi già mostrargli quello che ti è successo?» L'espressione di Emryss s'indurì. «Non verrà a sapere della gamba. Con quella me la cavo. Quanto alla faccia, voglio che sappia che non mi sono fatto ammazzare da un saraceno perché ho ancora dei conti in sospeso con i DeLanyea di Beaufort.» Gwilym annuì e montò sul proprio cavallo. «Allora va bene, Emryss. Sono con te.» «Sono una massa di barbari» si lamentò Cynric De-Lanyea con una voce simile al ronzio di un insetto. «Non capisco proprio come mai il re si interessi a questa terra selvaggia. È buona solo per allevarci pecore puzzolenti. E contadini puzzolenti.» Lord Westercott si voltò verso Cynric e gli sorrise de-bolmente. Stava cominciando a stancarsi delle lamentele del giovane uomo, ma non voleva contraddirlo finché

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non avesse sposato sua nipote e gliel'avesse tolta di torno una volta per tutte. «Immagino che la lana renda pure qualcosa, messere. Vostro padre non sembra avere sofferto per essere stato barone di queste terre.» «Trova delle... compensazioni» rispose Cynric con un sorriso che mise a disagio persino Westercott, che non era certo un uomo dotato di intuito. Naturalmente aveva sentito dire che i DeLanyea spendevano parecchio dena-ro per soddisfare la propria lussuria. Per quello erano co-sì spietati con i loro fittavoli. Adesso avevano bisogno di tutto l'appoggio possibile alla corte del nuovo re, Giovanni Senzaterra, tanto che il Barone DeLanyea era disposto ad accasare il figlio pur di ottenerlo. Be', se non altro la folle temerarietà del ba-rone gli aveva dato l'opportunità di liberarsi di quella rompiscatole di sua nipote. La fanciulla era apparsa quando meno se lo aspettava e non faceva che andarsene in giro per il castello come un'anima in pena, tanto che lui aveva cominciato a disperare della possibilità di tro-vare qualcuno disposto a prendersela. «Avete detto qualcosa, messere?» chiese Cynric quan-do il sospiro soddisfatto di Lord Westercott interruppe il ticchettio regolare della pioggia sulle foglie degli alberi. «Temo che stia cominciando a piovere più forte. Man-ca molto a Beaufort?» chiese Westercott. Si stava facendo tardi e il suo stomaco iniziava a brontolare. «No. Saremo laggiù prima del calare della sera.» Lord Westercott annuì e lanciò un'occhiata ai carri. Poi guardò la nipote con un'espressione arcigna. Roanna sembrava un pulcino bagnato. Per le piaghe del Salvatore, non vedeva l'ora che si sposasse. «È un peccato che non ci fosse un convento nei pressi dei vostri possedimenti» disse Cynric con voce sommes-

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sa, seguendo la direzione del suo sguardo. «Vostra nipo-te sarebbe stata un'ottima suora.» Lord Westercott si voltò e vedendo l'espressione di-sgustata del futuro sposo si schiarì la voce. «Ci ho pensa-to, anche se costa parecchio denaro. Stavo per metterla comunque in convento, poi vostro padre...» Si interruppe e tossicchiò. «Ho pensato che sarebbe stato meglio se Roanna fosse tornata utile a tutti, eh, messere?» Prima che Cynric potesse fare qualche commento, un corvo si sollevò nel cielo grigio gracchiando forte. Lady Roanna Westercott strinse le redini e si guardò intorno. I soldati a piedi, bene armati e chiaramente ner-vosi, si fermarono e scrutarono fra gli alberi. «Per l'amor del cielo, è solo un uccello!» esclamò Cynric voltandosi indietro e guardandoli con un'espres-sione fredda. I suoi occhi azzurri erano socchiusi e le sue labbra sottili erano percorse da un fremito. Roanna notò l'evidente fastidio con il quale il promes-so sposo la osservava. «Nemmeno una banda di briganti gallesi sarebbe così stupida da attaccarci, imbecilli.» Con un'abilità derivata dall'esperienza Roanna man-tenne un'espressione calma e indifferente. Aveva sentito parlare dell'audacia dei gallesi contro i normanni, che consideravano ancora degli invasori. E tuttavia Cynric era un uomo orgoglioso e vanaglorioso, che si sarebbe sicuramente offeso se la futura sposa l'avesse contraddet-to. Sarebbe dovuta stare molto attenta a come si compor-tava con lui, di questo era certa. Roanna sapeva tutto del patto che lo zio aveva stretto con i DeLanyea. Sapeva che il padre dello sposo aveva accettato una dote irrisoria che costituiva un vero e pro-prio insulto per lei; che il barone era talmente in difficol-tà, sia con i normanni sia con i gallesi, che Lord Wester-cott sarebbe stato costretto a chiedere la restituzione di

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parecchi favori al fine di ottenere l'appoggio per i nuovi parenti; che i DeLanyea erano colpevoli di crimini effe-rati contro i loro fittavoli; che Cynric DeLanyea era un famigerato seduttore; che i suoi soldati avevano scom-messo che non avrebbe consumato il matrimonio a meno che non fosse stato del tutto ubriaco. Anche se avesse voluto, Roanna ormai non poteva fa-re più nulla. Suo zio aveva stipulato un contratto, e l'ono-re voleva che lei ne rispettasse le condizioni. La pioggia cominciò a cadere più fitta, e a ogni passo gli zoccoli del ronzino erano risucchiati dal fango. Roanna scostò un poco dal viso il cappuccio fradicio, ma riuscì a vedere solo una strada fangosa e degli alberi gocciolanti. Lord Westercott e Cynric DeLanyea stavano ancora parlando, ma suo zio non prestava attenzione alle parole dell'uomo più giovane. Chiaramente stava pensando alla cena. Roanna sperava che non ci volesse ancora molto per arrivare a Beaufort, altrimenti si sarebbero ammalati tutti. Quando il carro che conteneva la sua misera dote e pochi capi di abbigliamento scontrò una pietra con un tonfo sordo, Roanna si voltò. I due robusti carrettieri, entrambi normanni prove-nienti dai possedimenti dei DeLanyea, saltarono giù per rimuoverla. Con le spalle appoggiate a uno dei carri, cominciarono a estrarla dal fango. Improvvisamente Cynric tirò le redini. Roanna si guardò intorno e vide Fitzroy sguainare rapidamente la spada. La grassa cavalla di suo zio nitrì quando fu co-stretta a indietreggiare. I soldati a piedi estrassero le pro-prie armi e si avvicinarono. Sforzandosi di tenere a bada la paura che le aveva stretto la gola, Roanna fece accostare il cavallo a quello di Fitzroy, che era sicuramente il guerriero più abile.

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Poi comprese il motivo per il quale si erano fermati. Un uomo solitario era in groppa a un enorme cavallo nero, apparentemente incurante della pioggia che goccio-lava giù dall'elmo e gli bagnava il giustacuore di pelle. L'elmo gli copriva completamente la testa, fatta eccezio-ne per due fessure che gli permettevano di vedere all'e-sterno. Era un elmo vecchio ma ben lucidato, proba-bilmente rubato. Gocce di pioggia luccicavano sulle braccia nude dell'uomo, che non indossava né casacca né camicia. Le sue lunghe gambe muscolose erano fasciate da una calzamaglia di lana e da stivali di cuoio. Roanna fece un sospiro di sollievo. I soldati di Cynric lo avrebbero sopraffatto senza alcun problema. Solo uno stupido avrebbe cercato di derubarli da solo. Cynric sguainò la spada. Nello stesso momento qual-cosa fischiò accanto a Roanna. Lei s'irrigidì e una freccia si conficcò nel tronco di un albero alle sue spalle. Dun-que quell'uomo non era solo. Lo sconosciuto ridacchiò e scese da cavallo. Lo spa-done che portava al fianco gli batté sulla coscia. «Che sorpresa!» esclamò in gallese. Il suo tono di vo-ce era divertito. Roanna guardò Cynric e poi il cavaliere sconosciuto. Doveva essere matto. Lo sconosciuto si avvicinò al cavallo di Cynric e si fermò solo quando fu a pochi passi da lui. «E allora, Cynric» disse in francese con voce profonda, «vedo che non hai ancora imparato né il gallese né le buone manie-re!» «Che cosa volete?» chiese Cynric. «È un peccato che tu sia così maleducato» continuò lo sconosciuto. «Pensavo che saresti potuto essere un po' più gentile con un vecchio amico.» Sollevò un braccio e si sfilò lentamente l'elmo. Una cicatrice violacea gli solcava il viso dalla fronte

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fin quasi all'orecchio. L'orbita dell'occhio destro era vuo-ta. Il suo naso diritto, le labbra piene e la mascella qua-drata non erano stati toccati dalla terribile ferita che gli deturpava un lato della faccia. Cynric spalancò la bocca. Il suo imbarazzante silenzio fu rotto dalla risata dello sconosciuto. Roanna continuò a guardarlo con palese stupore. Qua-le uomo poteva sopravvivere a una ferita del genere e ridere della reazione degli altri quando la vedevano? Lo sconosciuto sorrise, ma lei fece in tempo a scorgere un'e-spressione piena d'odio nel suo sguardo. «Pensavamo che fossi morto» disse Cynric con uno strano tono di voce. «Come puoi vedere non lo sono» rispose lo scono-sciuto con una punta di sarcasmo. «In ogni caso non so-no venuto per scambiare piacevolezze con te, ragazzo. Voglio vedere la tua sposa.» Poi ridacchiò e si diresse verso Roanna. Lei trattenne il fiato. Cynric non fece nulla per fer-marlo, ma si limitò a guardarlo torvo, come se avesse paura. Da sotto le ciglia abbassate Roanna lanciò un'occhiata allo zio, ma Lord Westercott era pallido e stava treman-do. Perfino Fitzroy si allontanò un poco mentre l'uomo si avvicinava a lei. Non sapendo che altro fare, Roanna fissò le proprie dita strette attorno alle briglie. I piedi dello sconosciuto si fermarono accanto al ron-zino. «Questa dev'essere la damigella.» Tutto a un tratto la sua voce profonda aveva preso un tono intimo e inte-ressato. Con un respiro profondo, Roanna si fece coraggio e lo guardò. Lui sorrise lentamente, e le sue guance abbronzate s'incresparono. Alcuni riccioli castani gli sfioravano la

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fronte. Con l'occhio sano la guardò come se potesse leg-gerle direttamente nell'anima. Per alcuni istanti Roanna si concentrò totalmente sul-l'uomo che le stava di fronte, sforzandosi di cogliere la sua personalità. Quell'uomo aveva conosciuto il dolore e la sofferenza, ma era uscito rafforzato e maturato da quell'esperienza. Lo sconosciuto si rivolse a Cynric. «Non la meriti, ra-gazzo, su questo non c'è dubbio.» A quelle parole Roanna provò un'intima soddisfazione e si avvolse meglio nel mantello per nascondere il rosso-re che le era salito alle guance. Fitzroy e i soldati la sta-vano fissando. Lo sconosciuto si voltò e tornò in fretta verso il pro-prio cavallo. Si muoveva con la grazia di un guerriero esperto, ma lei notò la leggera tensione e capì che era pronto a combattere. Roanna cercò di non guardarlo mentre montava in sel-la e indossava l'elmo, ma fu costretta a farlo. Lo sconosciuto fece girare il cavallo e si lanciò una occhiata alle spalle, pronto ad andarsene. Senza pensarci, Roanna incontrò il suo sguardo. Come se avesse improvvisamente cambiato idea, lui la raggiunse. Prima che Cynric e gli altri si rendessero conto di ciò che stava accadendo, afferrò le briglie del ronzino. Roanna non fece neppure in tempo a urlare. «Hai bisogno di una lezione sulle usanze gallesi, Cynric!» urlò mentre spronava il proprio cavallo e si di-rigeva verso un sentiero angusto che s'inoltrava in mezzo agli alberi, trascinando con sé il ronzino. Roanna si aggrappò disperatamente alle redini, cer-cando di evitare i rami bassi. Aveva la gola stretta per la paura e il cuore che le bat-teva forte. Le foglie bagnate le percuotevano il viso e i rami le si impigliavano nel mantello. I sobbalzi continui

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del ronzino le rendevano difficile anche respirare. Lo sconosciuto continuò a cavalcare più in fretta che poteva, senza curarsi della pioggia, del fango e degli al-beri. Finalmente raggiunsero una radura, ma lui continuò a cavalcare, allontanandosi sempre più da Cynric e dagli altri. Salirono su per un sentiero molto ripido e quando giunsero in una prateria spinse il proprio cavallo al ga-loppo. Roanna temette di perdere la presa e si aggrappò ancora più forte alle redini. Improvvisamente si rese conto che doveva fuggire. Si era sbagliata sul conto di quell'uomo. Lui avrebbe potuto perfino... Fece un respiro profondo, sollevò di scatto le gambe dalla sella e saltò. Cadde per terra con un tonfo e il colpo la lasciò senza fiato. Cercò di respirare, ma i muscoli non le obbediro-no. Tutto cominciò a ruotare attorno a lei e un boato sor-do le risuonò nelle orecchie. Quando cercò di strisciare sotto un cespuglio sentì un dolore lancinante al petto. Pochi istanti dopo l'uomo con un occhio solo si chinò su di lei e la tirò su. «Lasciatemi andare!» urlò Roanna cercando di ripren-dere fiato. Lui obbedì, e lei barcollò. Emryss la sorresse. Non voleva che quella fanciulla dagli straordinari occhi blu si facesse del male mentre era sotto la sua protezione. Lei si ritrasse e lo fissò. «Non toccatemi» sussurrò, ma non fece alcun tentativo di fuggire. Non fosse stato per il luccichio dei suoi occhi e per il rapido alzarsi e ab-bassarsi del suo petto, sarebbe potuta essere una statua. «È solo uno scherzo» disse Emryss, aspettandosi uno scoppio di pianto. «Non vi farò del male.» «Preferisco morire che essere disonorata.»

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Lui non fu sorpreso da quelle parole, ma dal tono con il quale furono pronunciate. Aveva parlato sul serio. «Vi do la mia parola che non vi farò alcun male» le promise, e provò una strana soddisfazione nel vedere che lei sembrava un po' rassicurata. «Allora lasciatemi andare.» «Credo che dovreste ringraziarmi» disse lui. «Solo una sciocca sarebbe contenta di sposare quello zoticone, e voi non siete una sciocca.» «Voi non sapete ciò che voglio, e neppure chi sono.» Tutto a un tratto la fanciulla si raddrizzò. Quel movi-mento lo colse di sorpresa. Era come se una statua aves-se preso vita. «Riportatemi indietro» aggiunse facendo un passo verso di lui. «Perché dovrei? Non restituirei nemmeno un cane a Cynric DeLanyea.» «Io non sono un cane, e non vi appartengo.» I suoi occhi blu lampeggiarono. «Se avete uno straccio d'onore, riportatemi al mio fidanzato.» Emryss si chinò un poco verso di lei. «Io non prendo ordini da nessuno, madamigella. È meglio che ve lo met-tiate in testa.» Lei abbassò gli occhi e congiunse le mani. «Per favo-re.» Emryss allungò un braccio e le fece sollevare il men-to. «Non fate la smorfiosa con me, madamigella. Non vi si addice.» Lei allora lo guardò ed Emryss rimase senza parole. Aveva già visto quell'espressione. Durante una battaglia, sulla faccia di un uomo. La sua rabbia svanì immediatamente e fu sostituita dal rincrescimento. Se solo si fossero incontrati in un luogo diverso, in un momento diverso! «Tornerete da quel mucchio di letame domani. Per ora verrete con me.» Lei non si mosse. «Non sono affari

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miei se siete decisa a sposare Cynric, ma non intendo di-scuterne sotto la pioggia.» Ciò detto, la sollevò come se fosse stata un fuscello e la mise sul proprio cavallo, poi montò in sella e le cir-condò il busto con un braccio. Roanna rimase immobile. Il cavallo si avviò per un sentiero appena visibile in mezzo agli alberi. «Non provate a saltare giù.» Lei rimase in silenzio. «Avreste potuto ammazzarvi. Meglio morta che spo-sata con Cynric, naturalmente, ma ci sono altre maniere per sfuggire al vostro destino.» Roanna s'irrigidì. «Possibile che mi sia sbagliato e che vogliate davvero sposare quel bellimbusto? Vi credevo troppo intelligente per accettare, nonostante il suo bell'aspetto.» «Mio zio ha stipulato un contratto.» «Ma la damigella in questione deve essere d'accordo.» «Non ho scelta.» «Allora avete accettato? Formalmente?» «Voi non sapete nulla di queste cose.» Lui strinse le redini. «Se vi fa piacere pensarlo...» «Non potete conoscere le consuetudini della nobiltà.» «Ah, no?» Roanna decise di rimanere in silenzio. Aveva già det-to troppo a quell'uomo che l'aveva portata via con la for-za. Nel migliore dei casi era un ladro, nel peggiore un ribelle. Sarebbe dovuta essere terrorizzata per quello che a-vrebbe potuto farle, ma non lo era affatto. Come mai? Che cosa le era successo? Lo sconosciuto non aggiunse altro. Il silenzio della foresta era disturbato solo dal ticchettio della pioggia e dal rumore degli zoccoli del cavallo. Dopo un po' raggiunsero un piccolo corso d'acqua. I

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rami dei salici sfioravano la corrente. La riva era sassosa e sembrava pericolosa. Roanna si aggrappò al pomo del-la sella. Lui spinse avanti il cavallo. «È più sicura di quello che sembra, madamigella.» Attraversarono il fiume lentamente. Il cavallo proce-deva sicuro. Evidentemente conosceva bene quel guado. Giunti sull'altra sponda, Roanna vide che il sentiero proseguiva fra gli alberi. Mentre attraversavano un bosco di salici, noccioli, querce e pini, cercò di memorizzare il percorso, in caso fosse riuscita a scappare. Ma il sentiero era così angusto e gli alberi così vicini gli uni agli altri che ben presto si rese conto che non sarebbe mai riuscita a orientarsi in quel labirinto. Il profumo delle foglie bagnate e degli aghi di pino era intenso. Dalle fronde degli alberi cadevano su di lei gocce gelate. Non appoggiarsi al petto saldo e tiepido dell'uomo che cavalcava dietro di lei le costava un note-vole sforzo, ma Roanna tenne duro. Finalmente raggiunsero una specie di altopiano. Ro-anna vide alcune piccole case. Forse un villaggio. Quando furono più vicini si accorse che non si tratta-va di un villaggio. C'erano solo quattro capanne, usate probabilmente dai pastori. Un cane si mise ad abbaiare e una manciata di uomini vestiti poveramente uscì da quei rifugi. Due erano ancora dei ragazzini, armati con i corti archi gallesi; un terzo era un vecchio, con la schiena dritta e la barba bianca. Gli altri, apparentemente non armati, sembravano più abitua-ti a tosare le pecore che a combattere. Tutti salutarono amichevolmente il nuovo arrivato. Un giovane guerriero tarchiato e non molto alto, con folti capelli neri e occhi castani, si fece avanti e prese le redini del cavallo, guardando Roanna con malcelata an-tipatia.

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«Mio Dio, brawdmaeth, amico mio, come mai l'hai portata qui?» chiese Gwilym in gallese. «Perché volevo farlo» gli rispose Emryss. Smontò da cavallo e per il momento non badò a Roanna. «C'è un fuoco, da qualche parte?» «Laggiù» rispose Gwilym indicando una delle capan-ne più lontane. «Molto bene, Gwil.» Emryss sollevò le braccia e aiutò Roanna a scendere, cercando di ignorare la pressione dei suoi palmi sulle proprie spalle. «Venite» le ordinò in francese, prendendole una mano morbida e fragile come un uccellino. Lei la ritrasse. Stringendo i denti, lui gliela riprese e si diresse verso la capanna, trascinandola con sé. Santo Dio, che cosa doveva fare di lei, di quella donna che apparteneva a un uomo che detestava? Era bastato un suo sguardo, e lui l'aveva portata via. Forse si era solo immaginato l'espressione intensa con la quale l'aveva fissato. Forse era solo passato troppo tempo dall'ultima volta che una donna l'aveva guardato in quel modo. Tutto preso da quei pensieri, Emryss non si accorse che la fanciulla era costretta a correre per tenergli dietro. Finalmente aprì la porta di una minuscola capanna e la spinse dentro. L'interno era pieno di fumo. In un buco poco profon-do scavato nel pavimento di terra battuta ardeva un fo-cherello. Roanna si sentì bruciare gli occhi. Liberò la mano dalla stretta del proprio rapitore e si avvicinò bar-collando a un mucchio di paglia. Questa volta lui non tentò di aiutarla, ma aspettò che ritrovasse da sola l'equilibrio. Poi incrociò lentamente le braccia sul petto e parlò. «Levatevi il vestito.»

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La vecchia si staccò dalla finestra. «Ah, Bronwyn! Sta diluviando e quei due non sono ancora ritornati!» disse con voce stridula. «Potrebbero anche trascorrere la notte sulle colline, Mamaeth» rispose la ragazza castana dal volto sorriden-te. «Oppure Emryss si è cacciato in qualche guaio» mor-morò Mamaeth continuando a guardare fuori, come se potesse vedere attraverso il muro non ancora completato della fortezza. «Gwilym farà in modo che non accada.» Mamaeth lanciò alla ragazza un'occhiata sagace. «Da quando in qua Gwil riesce a fermare Emryss? Soprattut-to quando ci sono di mezzo quei normanni?» Bronwyn sospirò e sollevò lo sguardo dal lavoro di cucito che teneva in grembo. «Visto che Emryss ha im-parato da te a odiare tutti i normanni eccetto suo padre, non capisco perché tu dia la colpa a Gwilym. Lui fa del suo meglio, ma non può dare ordini al signore del castel-lo, come tu sai bene.» Mamaeth parve sul punto di imprecare, poi si tratten-ne per timore della collera divina. Fece alcuni passi ver-so il piccolo braciere che illuminava a malapena la gran-de stanza riservata alle fantesche di Craig Fawr e sollevò

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un angolo della pezza di lino sulla quale la ragazza stava lavorando. «Può essere» disse, «ma gli converrebbe smettere di preoccuparsi di battaglie e fortificazioni e co-minciare a darsi da fare per trovarsi una moglie.» Bronwyn fece una risatina sommessa. «Se non mi sbaglio gliel'hai già detto la prima sera che è tornato a casa.» «Certo, e ho fatto bene. I tuoi punti stanno diventando troppo larghi, ragazza.» Bronwyn controllò il proprio lavoro e accorgendosi che la vecchia aveva ragione cominciò a scucire gli ulti-mi punti. «Forse Emryss non ha ancora trovato una fan-ciulla di suo gusto.» «Lui?» Mamaeth si mise a ridere. «Ha cominciato a dare la caccia alle ragazze quando è stato abbastanza grande da portare le braghe... e ne ha avute più d'una, bada bene, anche se non se ne vanta.» Poi tacque per un attimo, ma solo per un attimo. «È ora di cominciare a preparare da mangiare, altrimenti se quei due torneranno a casa, stasera, non troveranno la cena.» Bronwyn annuì. Anche lei era preoccupata per i due uomini, perché a differenza di Mamaeth sapeva che si erano avventurati nei possedimenti dei DeLanyea di Beaufort. La vecchia uscì rapidamente dalla stanza, muovendosi con l'agilità di una ragazza. Avendo dovuto badare prima agli interessi della madre vedova di Emryss e poi a quelli di lui, era in perpetua attività. Bronwyn la guardò allon-tanarsi e con un sospiro riprese a cucire. Non faceva che pensare a Gwilym, ma lui sembrava non accorgersi neppure della sua esistenza. La trattava con gentilezza, certo, ma senza nessun particolare riguar-do. E dire che avrebbe fatto qualsiasi cosa per un suo sguardo, per un suo sorriso. Aveva perfino rifiutato la corte del figlio del mugnaio nella speranza che prima o

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poi il fratello d'arme di Emryss si accorgesse di lei... Ma forse un giorno Gwilym avrebbe capito quanto lo amava. Fino a quel momento avrebbe consegnato i suoi messaggi, gli avrebbe versato il vino e avrebbe custodito nel proprio cuore i sentimenti che nutriva per lui. «Imbecille! Stupido! Cretino!» Il barone picchiò il pu-gno ingioiellato sul bracciolo della poltrona. Un'ombra gigantesca, proiettata sulla parete coperta di arazzi, ripeté quel gesto rendendolo grottesco. Le figure ricamate furono percorse da un fremito e si mossero leg-germente, come se stessero cercando di ascoltare. Cynric si scostò dalla fronte i capelli flosci e aprì la bocca per parlare, ma prima di averne il tempo suo padre ricominciò a urlare: «Come diavolo hai potuto permet-tere che quel bastardo sciancato e guercio te la portasse via da sotto il naso? Oppure eri così preso ad ammirarti che non te ne sei neppure accorto?». Cynric guardò il pugno del padre abbattersi un'altra volta sul bracciolo e tenne a bada l'impulso di risponder-gli per le rime. Poi sollevò gli occhi e li posò sul volto flaccido e sulle guance cascanti del signore di Beaufort. Il barone non aveva un bell'aspetto. Proprio per nien-te. Forse era malato. Quello sì che era un pensiero interessante. «Hai permesso a lui e ai suoi pastori di avere la me-glio su di te! Abbiamo bisogno di quella ragazza... oppu-re non ti interessa mantenere il possesso delle tue terre?» Sentendo menzionare le terre, Cynric si concentrò di nuovo sulla faccenda della ragazza. Le terre significava-no potere, e lui bramava il potere. «Voi non c'eravate, messere» disse con un'espressione imbronciata. «Non era possibile sapere quanti uomini avesse... e sapete bene che quei bifolchi sanno combatte-re, quando vogliono.»

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«Io so soltanto che tu avresti dovuto combattere, in-vece di restartene lì come una femminuccia, per Dio!» Cynric si scostò di nuovo i capelli dalla fronte. «Non c'era motivo di rischiare i miei uomini.» Accorgendosi che suo padre stava ansimando, Cynric si rese conto che sarebbe potuto morire proprio lì, in quel momento. «Non c'era motivo! Ti ha fatto solo fare la figura del-l'imbecille! Cribbio, comincio a pensare che abbia ragio-ne lui!» «Che cosa diavolo m'importa se si è portato via quella racchia? Preferirei sposare il mio cavallo.» Il barone si alzò e lo guardò minacciosamente. Per un attimo Cynric ebbe paura, ma solo per un attimo. «Asso-migliasse anche a un cadavere, tu gliela porterai via e la sposerai!» «A meno che Emryss non si sia sollazzato con lei.» «Sai benissimo che Emryss non ha mai preso una donna con la forza.» Il barone si avvicinò al figlio e lo fissò con gli occhi socchiusi. «Idiota! Che cosa importa, in ogni caso? Che cosa sarà di te se il re assegnerà le mie terre a qualcun altro?» Cynric posò la mano sull'elsa della spada e sorrise so-lo con le labbra. «Avete ragione, padre. Che cosa impor-ta? Come avete detto voi più di una volta, al buio tutte le donne si assomigliano.» Il barone scrutò il figlio con sospetto. «Già, proprio così.» «Se accetto di sposarla, nessuno oserà mettere in dub-bio la sua verginità» mormorò Cynric. Suo padre annuì. «Allora credo che me la riprenderò. Che Emryss si diverta pure. Smetterà di ridere quando si renderà conto che rapendola mi ha dato la scusa ideale per marciare sulle sue terre.»

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«Comincio a pensare di averti sottovalutato, figlio mio» disse il barone guardando Cynric con un nuovo ri-spetto. «Davvero?» Cynric sollevò le sopracciglia. Ormai era troppo tardi per fare ammenda. Davvero troppo tardi. Suo padre adesso non era altro che un vecchio malato che intralciava i suoi piani. «Comincerò le ricerche al-l'alba.» Senza attendere la risposta del barone, Cynric uscì dalla stanza e si diresse verso il salone. Salì sulla piatta-forma e si sedette. Al posto di suo padre. Tutto a un tratto dei passi pesanti risuonarono all'en-trata dell'enorme sala di pietra. Cynric si raddrizzò im-mediatamente. Una grande ombra si proiettò sul muro. Poi sulla porta che conduceva alla cucina apparve un uomo corpulento. «E voi chi diavolo siete?» domandò a quell'estraneo. «Jacques de la Mere, il cuoco di Lord Westercott» ri-spose l'uomo. «Per favore, messere, quand'è che andrete in soccorso di Lady Roanna?» «Domattina, credo» rispose Cynric lisciandosi la tuni-ca. Aveva a malapena fatto in tempo a cambiarsi prima che suo padre lo mandasse a chiamare. «Posso venire con voi?» Cynric fece una risata crudele. «Un cuoco? E che cosa fareste, li uccidereste a colpi di mestolo?» Jacques si raddrizzò. «Strangolerei volentieri con le mie stesse mani chiunque le abbia fatto del male.» Cynric sollevò un sopracciglio. «Davvero? Be', credo che riusciremo a salvarla anche senza il vostro aiuto.» Poi si alzò e uscì dal salone, passando accanto al cuoco. Jacques s'incamminò lentamente verso la cucina. Do-po il rapimento della sua pupilla si era aspettato di trova-re il castello in subbuglio, con i soldati pronti ad andare in soccorso di Lady Roanna. Invece era stato condotto in

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cucina e gli era stato detto che Lord Westercott voleva cenare immediatamente. E Cynric DeLanyea non sembrava preoccuparsi mi-nimamente per la sorte di Roanna. Jacques si sentì affer-rare dalla disperazione. La povera ragazza ne aveva già passate abbastanza. Ci mancava solo quello! Nell'enorme cucina, una sguattera stava strofinando una pentola. I fuochi erano stati coperti, ma alcuni tizzo-ni ardenti spandevano un po' di luce. La stanza era silen-ziosa, perché gli altri servi si erano ritirati per la notte. Jacques si sedette su una panca accostata al muro e si prese la testa fra le mani. Che cosa sarebbe accaduto a Roanna? Lui sembrava essere l'unica persona che si pre-occupasse per la sorte della poveretta. La sguattera tossicchiò. Jacques le lanciò un'occhiata. Era un tipetto grazioso. Accorgendosi di essere osserva-ta, la ragazza si sistemò la scollatura del corpetto, che copriva a malapena i seni generosi e le spalle arrotonda-te. Poi scosse la testa, facendo danzare le chiome color del miele. «Io non mi preoccuperei, se fossi voi. Non le farà del male.» «Eh?» Jacques raddrizzò la schiena. La ragazza posò la pentola. «Sì. Emryss non farebbe mai del male a una donna.» «E voi come fate a saperlo? Allora non è un fuorileg-ge? O un ribelle?» Lei si mise a ridere, mostrando i denti bianchi. «Che il Signore ci salvi, no! Quello che l'ha portata via è Emryss DeLanyea. Il nipote del barone.» «Mon Dieu, ma che razza di nipote è?» «Oh, si sono sempre detestati. Ma ho sentito dire che Emryss DeLanyea non ha mai preso una donna con la forza.» La sguattera si avvicinò e si sedette accanto a Jacques. «Non ne ha mai avuto bisogno» continuò a vo-

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ce più bassa. «Ci sono sempre state ragazze disposte a rinunciare all'amobr per una notte con lui.» Jacques la guardò con sospetto. «Rinunciare a cosa?» La ragazza si mise a ridere. «Al denaro... per la loro verginità. Ah, gli stranieri!» Sospirò con rammarico e prima che Jacques avesse il tempo di dire qualcosa ripre-se a parlare. «Mi hanno detto che era molto bello... ma ho sentito che adesso fa spavento.» Jacques annuì. «Ha il volto deturpato, sì.» «Allora mi dispiace. Madamigella si spaventerà a morte, non sapendo che era abituato a trattare le donne come se fossero qualcosa di sacro.» Jacques si sentì un po' più tranquillo. «Certo Lady Roanna non si lascerà spaventare dalle cicatrici. È troppo coraggiosa.» «Be', allora come non detto.» La ragazza si alzò come se volesse andarsene. «Aspettate!» Jacques le posò una mano sul braccio. «Sedetevi...» «Lynette.» «Lynette. Parlatemi di questa gente.» La ragazza esitò. «Be', non so se dovrei... Devo finire di pulire le pentole, e ho la gola secca per la sete.» «Lasciate perdere le pentole.» Jacques si alzò in piedi e si diresse verso una credenza. Tirò fuori una bottiglia di vino e riempì due tazze, poi le posò sul tavolo e indicò la panca. La ragazza sorrise e si sedette. «Oh, che buono» disse dopo aver bevuto un sorso di vino. Jacques annuì e aspettò che avesse bevuto un altro sorso. «Bene» cominciò Lynette, rendendosi conto che per il momento il cuoco non le avrebbe versato altro vino. «La madre di Emryss DeLanyea, Angharad, era una princi-pessa gallese, ed era molto bella. Capelli scuri, grandi

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occhi... e anche intelligente, dicono. Be', il re portò via ai gallesi tutte le terre, eccetto alcuni possedimenti che An-gharad avrebbe portato in dote al marito... un normanno. Lei non era affatto contenta, dicono, finché non incontrò Ralf DeLanyea. Assomigliava a Emryss, sapete. Alto, ardito... un uomo forte per una donna forte. E così si sposarono.» La ragazza tossicchiò e lanciò un'occhiata alla propria tazza. Jacques le versò ancora un po' di vino. «Grazie. Bene, la cosa sarebbe finita lì, senonché Ul-frid DeLanyea, che adesso è il barone, decise che voleva Angharad per sé, matrimonio o non matrimonio. Natu-ralmente il re era contrario.» Lynette abbassò la voce e si fece più vicina a Jacques. «Ma questo non fermò il baro-ne. Cominciò a farle la corte, anche se era la sposa di suo fratello. In ogni caso, non ottenne nulla. Ma il barone era un uomo vendicativo. Un bel giorno la incontrò nel bo-sco, insieme alle sue dame. Le donne furono mandate via e corsero a cercare aiuto, ma nel frattempo il barone a-veva picchiato a sangue la povera Angharad. Da allora le due famiglie si odiano.» Jacques la guardò con un'espressione atterrita. Santo cielo, in che brutta situazione era finita Roanna! «Tutti pensavamo che Emryss fosse morto da tempo. Era andato a combattere in Terrasanta. Gli altri erano già tornati da un bel po', ma di lui non si erano più avute no-tizie. Il barone continuava a volere la terra del fratello, ma Angharad non aveva nessuna intenzione di cedere. È morta non molto tempo fa, e ha lasciato tutte le respon-sabilità a quella Mamaeth. Buon Dio, è una vecchia co-riacea. Una volta il barone andò a dirle che le terre sa-rebbero dovute passare a lui, dal momento che Emryss era sicuramente morto. Lei lo mandò via subito. Comun-que credo che il barone sarebbe riuscito nel suo intento, alla fine, se Emryss non fosse tornato a casa.»

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«Come potete essere sicura che Emryss non farà del male a Lady Roanna, se odia così tanto il barone e suo figlio? Non potrebbe picchiarla per vendetta? Forse è cambiato...» Jacques fece una pausa e un gelido terrore s'impadronì di lui. «Oh! Non ci avevo pensato! Forse è cambiato. In ef-fetti è rimasto per un bel po' di tempo fra gli infedeli. Ho sentito che hanno delle usanze strane.» Gli occhi di Ly-nette ebbero un bagliore, come se desiderasse sapere in che cosa consistessero esattamente quelle strane usanze. Jacques la guardò. Cynric DeLanyea poteva essere un presuntuoso e un codardo che scappava con la coda fra le gambe al primo accenno di pericolo, ma Emryss De-Lanyea cominciava ad apparirgli ancora peggiore. Emryss si diresse verso una capanna dall'altra parte della piccola spianata. Non sapeva se imprecare o met-tersi a ridere per l'impulso che gli aveva fatto rapire la promessa sposa di Cynric, ma non avrebbe mai immagi-nato che lei fosse una donna così ostinata e orgogliosa. Si era aspettato una fanciulla normanna scipita e piagnu-colosa, e si era ritrovato fra le mani una creatura piena di fierezza e di coraggio. Con quei grandi occhi e i capelli lunghi sembrava una bambina, finché non la si guardava meglio. Lady Roanna aveva in realtà una tempra d'acciaio. Quante altre donne, sentendosi ordinare da uno sconosciuto di togliersi il ve-stito, sarebbero state capaci di restare immobili e di fis-sarlo con tanto odio da farlo vergognare? Emryss si era sentito terribilmente in imbarazzo, e si era affrettato a rassicurarla. Semplicemente, temeva che quel vestito fra-dicio le facesse prendere un raffreddore. A differenza di sua madre, la principessa gallese An-gharad, quella fanciulla non sarebbe stata danneggiata da un parente assetato di vendetta. Emryss sperava che lei

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ormai l'avesse capito. Naturalmente Cynric si sarebbe ar-rabbiato per il rapimento della fidanzata, il che era pro-prio ciò che lui desiderava. Quanto alla fanciulla, l'a-vrebbe restituita l'indomani, sana e salva. Emryss aprì la porta della capanna e fu accolto da una raffica di improperi in gallese. «Per le piaghe del Salvatore, Emryss, sono già gelato fin nelle ossa!» Gwilym era accucciato accanto a un pic-colo fuoco. «La lasci in pace, eh?» domandò poi. Dalla sua espressione si capiva bene che era convinto che il fratello d'arme fosse diventato matto. «Dove sono gli altri?» chiese Emryss per procrastina-re l'inevitabile discussione. Sebbene Gwilym fosse più giovane e per di più figlio illegittimo di un cavaliere, considerava proprio dovere ricordare a Emryss che do-veva prendere sul serio il barone e suo figlio. «Sono andati a casa. Non hanno tempo per i tuoi gio-chi.» «E Hu?» «Oh, lui è ancora qui. Non lo capisco proprio, ma quel ragazzo non ne vuole sapere di andarsene se ci sei tu. L'ho mandato a prendersi cura dei cavalli.» «Facciamogli sorvegliare la capanna per un po', allo-ra. Digli che è di guardia. E digli anche di portarle del pane e dell'acqua. Non deve averne paura. È una cosina piccina piccina. Basta che chiami, se tenta qualcosa.» Gwilym gli passò il vino e si diresse verso la porta. Quando fu sulla soglia si fermò e si voltò indietro. «Emryss» gli disse con calma, «che cosa hai in men-te? Pensavamo che volessi solo far vedere a DeLanyea che sei ancora vivo. E poi te la sei data a gambe con quella donna.» Emryss strofinò la cicatrice che gli attraversava il vol-to. «Ehi, Gwil, hai dimenticato le usanze dei gallesi? Stai per caso diventando un normanno?»

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Gwilym sollevò le sopracciglia con un'espressione scettica, poi aggrottò la fronte. «D'accordo, allora, cyfathrachwr, fratello d'arme» dis-se Emryss con un sospiro, «è stato un impulso improvvi-so. Non mi sono fermato a pensare.» Scosse la testa e si passò le dita fra i capelli arruffati. Gwilym uscì. Emryss bevve un sorso di vino e fissò il fuoco. Quan-te cose aveva fatto nella sua vita senza fermarsi a pensa-re? Troppe, avrebbe detto Gwilym. Eppure quella fanciulla l'aveva incuriosito. Qualsiasi altra donna sarebbe scoppiata a piangere e avrebbe avuto una crisi isterica, ma lei gli aveva tenuto testa come... come un uomo. Ed era anche taciturna. Parlava così poco che quando diceva qualcosa non si poteva fare a meno di ascoltarla con interesse. Poco dopo tornò Gwilym. Emryss rimase in silenzio, con un'espressione assorta. Gwilym prese il vino e si se-dette accanto a lui. «Non te la perdonerà mai» disse. Emryss gettò un legnetto nel fuoco. «Da quando in qua m'importa qualcosa se Cynric mi perdona o meno?» Gwilym annuì. «È vero. Quella povera ragazza è spa-ventata a morte?» Poi bevve un sorso di vino. Emryss scosse la testa. «È più forte di quanto non sembri.» Gwilym lo guardò e sbatté le palpebre. Emryss fece una piccola smorfia e si strofinò di nuovo la cicatrice. «Potrebbe uccidere un uomo con un'occhia-ta.» Gwilym si mise a ridere. «Proprio quello che ci vuole per Cynric, allora. Povero diavolo... ed è anche magra come un chiodo. Ho pensato che fossi diventato matto, quando hai afferrato le redini del suo cavallo. Avresti dovuto vedere la faccia di Cynric!»

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A quell'uscita, Emryss cominciò a ridere di gusto. Non faceva fatica a immaginare la sorpresa del cugino di fronte all'antica usanza gallese di rapire la sposa. «E dire che ormai dovrebbe conoscere i gallesi!» esclamò asciu-gandosi l'occhio sano. «Domani la riportiamo indietro, vero?» «Sì.» «Sa chi sei?» Emryss si fece serio. «No. Ma lo scoprirà presto.» Gwilym ridacchiò e barcollò leggermente. «Farò il primo turno di guardia. Buonanotte.» «Buonanotte, Gwil.» Gwilym aprì la porta e uscì. Emryss rabbrividì e gettò un altro legnetto nel fuoco, poi si sdraiò. I suoi pensieri tornarono alla fanciulla chiusa in una capanna poco lon-tano di lì. Come se la stava cavando? Sperava solo che non soffrisse troppo il freddo. Roanna cercò di attizzare il piccolo fuoco e si chiese che ne sarebbe stato di lei se l'uomo con un occhio solo non l'avesse liberata. Non era affatto detto che Cynric e suo zio andassero a cercarla. Poteva anche darsi che fos-sero tutti e due ben contenti di essersi liberati di un peso. L'unico a essere davvero dispiaciuto sarebbe stato Jac-ques. Quell'omone burbero aveva un cuore d'oro, e da quando era arrivata al castello di Lord Westercott le ave-va fatto da padre. Udendo un fruscio, Roanna s'irrigidì. Qualcuno stava entrando nella capanna. Cercando di non fare rumore, indietreggiò e aspettò con il fiato sospeso. Un bambino di circa otto anni spinse la porta e guardando la prigioniera con gli occhi spalancati posò per terra una brocca d'acqua e del pane. Roanna si rese conto che era più spaventato di lei. «Grazie» mormorò.

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Lui la guardò senza capire. Quando lei si avvicinò per prendere il pane, ebbe un sussulto e uscì dalla capanna, chiudendosi precipitosamente la porta alle spalle. Roanna si rese conto che il bambino aveva dimentica-to di tirare il catenaccio.

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Roanna mangiò frettolosamente il pane e bevve un sorso d'acqua. Nel frattempo ascoltava con attenzione i rumori provenienti dall'esterno della capanna, per capire se qualcun altro avesse notato la dimenticanza del bambino. Apparentemente nessuno se n'era accorto, perché il pic-colo accampamento era tranquillo. Gli unici rumori era-no quelli dei cavalli, che ogni tanto sbuffavano o batte-vano gli zoccoli per terra, e l'occasionale richiamo di un uccello notturno. Rassicurata, Roanna si avvicinò lentamente alla porta e la tirò verso di sé. Improvvisamente udì un rumore di passi che si avvi-cinavano alla capanna. Con il cuore in gola tornò indie-tro, si rannicchiò nella paglia e chiuse gli occhi. La porta si aprì e si richiuse. Dopo qualche minuto Roanna sollevò un poco le palpebre. L'uomo con un occhio solo sedeva accanto al fuoco, le lunghe gambe allungate in avanti e la schiena appog-giata alla parete. Aveva un pugnale infilato nella cintura e una spada posata accanto a sé. Una benda nera gli co-priva l'orbita vuota e l'occhio sano era chiuso. Il suo re-spiro era regolare. Roanna rimase immobile e continuò a osservarlo. Chi

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era quell'uomo? Un gallese o un normanno? Un nobile o un villano? Parlava il gallese, ma anche un ottimo fran-cese. Per la statura sarebbe potuto essere un normanno, ma era vestito così poveramente e aveva tanta familiarità con gli altri uomini che doveva essere per forza gallese. E allora come mai non temeva i potenti normanni? Le era parso addirittura che Cynric DeLanyea avesse paura di lui. Roanna sapeva che i normanni avevano cominciato a essere molestati dai banditi fin da quando erano giunti nel paese, ma quell'uomo non sembrava un fuorilegge. Che cosa sembrava, allora? Un valoroso guerriero, ben addestrato e sicuro di sé. Le sue cicatrici erano la prova della sua indomabile vo-lontà. Lo sguardo di Roanna scivolò dal suo volto alle spalle robuste, all'ampio torace e alle gambe lunghe e muscolose. Tutto a un tratto non ebbe più freddo e uno strano languore s'impadronì di lei. Il sangue cominciò a pulsare nella parte più segreta del suo corpo. Imbarazzata, di-stolse lo sguardo. Eppure l'odore di lui, odore di cavallo, di cuoio e di capelli umidi di pioggia, continuava ad arrivarle alle na-rici. Doveva assolutamente scappare. Se fosse rimasta lì ancora un po', sarebbe stata in pericolo. Avrebbe rischia-to di soccombere all'attrazione che provava per quel-l'uomo. Roanna si mise lentamente a sedere, cercando di non fare rumore. Vedendo che il suo rapitore continuava a dormire, si alzò in piedi con cautela e raccolse il mantel-lo. Dopo averlo ripiegato e posato sulla paglia si infilò il vestito umido, poi fece un passo verso la porta. L'uomo non si mosse. Roanna fece un altro passo e un altro an-cora, senza mai distogliere lo sguardo dal suo rapitore.

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Quando giunse vicino alle sue gambe esitò. Avrebbe dovuto aggirarle. Respirò profondamente e sollevò un piede. «Ve ne andate così presto?» Per poco Roanna non cadde. L'uomo si alzò in piedi. Lei allora fece un passo indietro e lo guardò con ostilità. «Ho un occhio solo, ma funziona bene» continuò lui. «E devo dire che mi piace quello che vedo.» Il suo sorri-so era intimo e indolente. Roanna fece un altro passo indietro e cercò di restare calma. Lui le si fece più vicino. «Mi avete dato la vostra parola» mormorò indietreg-giando ancora. Lui incrociò sul petto le braccia robuste. «Infatti.» Poi il suo sorriso si spense e la sua espressione s'indurì. «Non si può giudicare il montone dalla lana. Il fatto che assomigli a una creatura uscita da un incubo non signifi-ca che sia un demonio sotto spoglie umane.» Sentendosi arrossire, Roanna chinò la testa. Che cosa avrebbe fatto, quell'uomo, se avesse potuto leggerle nella mente? «Non m'ingannate» continuò lui con voce aspra. «È troppo tardi per recitare la parte della fanciulla docile e spaurita. Siete molto più accorta di quanto non vogliate lasciar credere.» Emryss osservò la fanciulla che gli stava davanti con la testa china e le mani giunte. Forse si era sbagliato sul suo conto. Forse lei era come tutte le altre gentildonne, e voleva solo fare un matrimonio vantaggioso. «Ditemi, madamigella, recitate sempre la parte del-l'ingenua, o soltanto quando vi conviene?» Roanna sollevò immediatamente la testa e i suoi occhi lampeggiarono. «Alcuni uomini credono che tutte le donne siano delle sciocche. Perché mai dovrei contrad-dirli?»

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Emryss trattenne un sorriso. «Vi chiedo perdono, madamigella» disse senza distogliere lo sguardo dal suo volto. «Adesso sono assolutamente certo che Cynric non sia l'uomo adatto a voi.» La sua presunzione le fece perdere la calma. «E chi siete voi, per dirmi chi dovrei sposare? Che cosa ne sa-pete della mia vita, o di quella di qualsiasi altra donna?» Lui allungò un braccio e le sfiorò una guancia. «So che Cynric vi rovinerà l'esistenza.» Roanna sbatté le palpebre per trattenere le lacrime che le erano salite agli occhi. «Che cos'altro posso fare? È stato stipulato un contratto.» «L'avete stipulato voi?» «L'onore vuole che mantenga l'impegno preso da mio zio.» «Ma voi che cosa volete?» Emryss le si fece più vici-no. Roanna sapeva che avrebbe dovuto scostarsi, ma non poteva. «Io... Io...» Prima che avesse il tempo di muoversi, Emryss la pre-se fra le braccia. Le sue labbra sfiorarono quelle di lei, delicate e carezzevoli come la brezza che spira nella pra-teria. Quando se la strinse al petto, Roanna avvertì una specie di capogiro e il suo cuore cominciò a battere più forte. Senza quasi rendersene conto, gli appoggiò le ma-ni contro il petto e sospirò di piacere. Non avrebbe mai creduto che potessero esistere sen-sazioni così sconvolgenti. Continuando a baciarla, Emryss le accarezzò la nuca con la punta delle dita e poi slacciò i nastri che tenevano chiuso l'abito. Sentendo il palmo della sua mano contro la schiena nuda, Roanna gemette e si abbandonò contro il suo petto. Quando però lui cercò di esplorare l'interno delle sue labbra con la punta della lingua, lei ebbe un sussulto e si ritrasse.

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«Basta, vi prego.» «Se volete» rispose Emryss con un sorriso seducente. Roanna avvampò per l'umiliazione. Si era comportata con quello sconosciuto come una sgualdrina! Proprio lei, Lady Roanna Westercott, così orgogliosa e gelosa del proprio onore. Tale era la sua vergogna, che gli voltò le spalle per non guardarlo in faccia. «È stato solo un bacio» disse Emryss con voce som-messa. «Non è il caso di mettersi a piangere.» «Io non piango mai.» Roanna si girò. «Voi non potete capire. Il mio onore è tutto quello che ho» sussurrò. Improvvisamente apparve sulla soglia il bambino. L'uomo si rivolse a lui con un sorriso e gli parlò a bassa voce, arruffandogli i capelli. Il bambino lo guardò con un'espressione adorante e poi corse via. «È vostro figlio?» chiese lei. Sul volto di lui passò una strana espressione. «No. Non ho figli» rispose chinandosi per prendere la brocca. Qualcosa nel suo tono toccò Roanna nel profondo, ma lei cercò di convincersi che non era affar suo se quel-l'uomo non aveva figli, che di lui non le importava nulla. Emryss si raddrizzò lentamente e la guardò con le labbra contratte. «Non ho bisogno della pietà di nessu-no.» Roanna non disse nulla. «Non ho figli perché non ho una moglie. Con un pa-trimonio modesto, poche terre e questa faccia, quale donna potrebbe volermi?» «Come se tutto ciò che le donne volessero fosse il de-naro e una bella faccia!» ribatté lei d'impulso. Quando vide il sorriso che gli era affiorato alle labbra, si rese conto di ciò che aveva detto. Arrossendo violentemente, si portò una mano alla bocca. Lui le si avvicinò, gli occhi scintillanti. Roanna si ri-trasse e cominciò ad allacciare i nastri del vestito.

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«È un vero peccato. Qui non c'è nessuna donna che possa aiutarvi.» Roanna colse il tono divertito della sua voce e si sentì ancora più umiliata. «Voltatevi.» Lei obbedì. Emryss cominciò a infilare i nastri nelle asole con sorprendente abilità. Roanna s'irrigidì, cercando di man-tenere un minimo di dignità e di non pensare alle sue dita che le stavano sfiorando la schiena. «Ecco fatto» annunciò lui annodando i nastri. «È pas-sato un bel po' di tempo dall'ultima volta che l'ho fatto.» Roanna si voltò e lo guardò con sospetto. Tutto a un tratto Emryss si sentì impacciato come un adolescente al primo amore. Santo cielo, gli conveniva andarsene, se lei continuava a guardarlo in quel modo. Non aveva avuto l'intenzione di baciarla, ma quando a-veva posato su di lui quegli occhi blu... «Voglio andare a Beaufort.» Dunque era proprio decisa a sposare Cynric. Emryss si disse che avrebbe dovuto immaginarlo, che aveva fatto male ad avvicinarsi a lei. «Molto bene» rispose in tono asciutto. «Ci andrete immediatamente.» Uscì dalla capanna e sbatté la porta. «Per l'amor del cielo, muovetevi, altrimenti vi farò frustare a sangue!» urlò Cynric mentre i suoi uomini si affrettavano a montare a cavallo. Poi alzò gli occhi al cielo. Una volta tanto il tempo era passabile, in quel lem-bo di terra dimenticato da Dio. Come odiava quel danna-to paese, si disse per l'ennesima volta. Detestava ogni albero, ogni roccia, ogni corso d'acqua e ognuno di quei miserabili gallesi. Cynric spronò il cavallo e si avvicinò agli scalini che

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conducevano al salone, dove si trovavano suo padre e lo zio della ragazza. «Se non riesci a trovarla non ritornare neppure» bron-tolò il barone. Lord Westercott lo guardò nervosamente e poi rivolse a Cynric un sorriso conciliante. «Sono certo che la trove-rete, messere. Naturalmente mi rendo conto che ci po-trebbero essere delle... complicazioni, ma sono certo che riusciremo a trovare un accordo.» Cynric sorrise con freddezza. Forse sarebbe riuscito a costringere quella vecchia poiana ad aumentare la dote, soprattutto se la ragazza non fosse stata più vergine. «Non temete, Lord Westercott, la riporterò indietro.» Fece girare il cavallo e si mise alla testa della colonna di soldati dall'aria tetra. Per poco non si mise a ridere forte. Emryss in persona, il coraggioso e audace Emryss, gli aveva dato la scusa perfetta per invadere i suoi pos-sedimenti. Forse lo avrebbe ringraziato, dopo averlo sconfitto. La colonna si diresse rapidamente verso il fiume e ne seguì la riva. A un certo punto Cynric diede uno stratto-ne alle redini per costringere il cavallo a uscire da una pozzanghera piena di fango. Dannazione a quel posto, e dannazione a suo padre che lo tratteneva lì. Non era mai stato a Londra né a corte, e la sua richiesta di partecipare alla Crociata era stata rifiutata sdegnosamente. «Che cosa?» aveva urlato il barone. «Sprecare denaro e soldati in qualche maledetto deserto? Che cosa abbia-mo da guadagnarci, ragazzo?» Naturalmente non aveva dimostrato la minima preoc-cupazione per la vita del figlio. Solo per il denaro. E così Cynric era stato costretto ad ascoltare gli elogi rivolti ai prodi guerrieri che partivano per strappare la Terrasanta dalle mani degli infedeli, e a subire occhiate sprezzanti.

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Poi Emryss era tornato, straziato ma ancora forte e or-goglioso, e aveva ricominciato a essere una spina nel fianco del cugino. A un certo punto lui e i suoi uomini raggiunsero una biforcazione. Da una parte il sentiero conduceva nel pro-spero e popoloso sud, dall'altra nei possedimenti di Em-ryss. Cynric sollevò una mano e i soldati si diressero a nord. Poco tempo dopo, tre persone comparvero sul sentiero che conduceva a Beaufort. Gwilym, che cavalcava in un silenzio imbronciato dietro la ragazza, vide Emryss guardarla di nuovo. Santo cielo, che cosa gli era saltato in mente di rapirla? Credeva davvero che il barone a-vrebbe ignorato quella specie di burla? Come poteva spiegargli quello che era accaduto in sua assenza? Il barone aveva imparato a usare il denaro per influenzare il re e la corte. Emryss pensava solo in ter-mini di onore e di valore, e non avrebbe mai capito il po-tere che aveva la ricchezza. Gwilym aveva cercato di spiegargli i cambiamenti che erano avvenuti nel paese negli ultimi anni, ma Emryss non gli dava ascolto. L'unica volta che aveva pronuncia-to il nome di Riccardo, il fratello d'arme aveva imprecato e gli aveva ingiunto di non parlare mai più di sovrani in sua presenza, e soprattutto di quel sovrano. Forse avrebbe voluto che tutto fosse rimasto com'era prima della sua partenza per la Crociata. Forse, pensò notando che Emryss lanciava un'altra occhiata alla fan-ciulla, voleva illudersi di non essere cambiato neppure lui. Gwilym ricordava bene i tempi felici in cui Emryss era conteso dalle ragazze, e a ben pensarci non si stupiva affatto che volesse rivivere quei giorni. Ma le cose erano cambiate, e non poteva avere quella fanciulla.

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A un certo punto cercò di attirare la sua attenzione, ma Emryss era assorto. «Delff!» urlò allora. «Somaro!» A quell'insulto, Emryss si voltò e aggrottò la fronte. Gwilym lo raggiunse, passando accanto alla fanciulla che non valeva certo tutto quel disturbo. «Non la starai riportando a Beaufort, vero, fratello?» «Perché no?» «Buon Dio, hai perso la testa? La tua vita non varrà più neppure un soldo quando sarai laggiù.» «Non mi uccideranno.» «Non ne sarei tanto sicuro, se fossi in te.» Emryss guardò la ragazza. «Insomma, non puoi levarle gli occhi di dosso e ascol-tarmi?» «Intendi il mio unico occhio?» chiese Emryss con una piccola smorfia. «Come vuoi tu, imbecille. Ti dico che le cose sono cambiate. Il barone è come un ragno che ha tessuto una ragnatela di ferro mentre tu eri via. Non puoi andare a Beaufort.» Emryss guardò diritto avanti a sé e assunse un'espres-sione determinata. «Perfino il barone dovrebbe sapere che rapire la sposa è un'usanza comune.» «Sì, se vuole ricordarsene. E smettila di guardarla. Hu dice che ti ha stregato, e io comincio a credere che abbia ragione.» «Stai dicendo sciocchezze, Gwil» ribatté Emryss con una risata sommessa. «Probabilmente Hu crede anche che lei sia la Dama Bianca, per quanto non siamo vicini a Ognissanti.» «Per l'amor di Dio, sii serio! Dobbiamo lasciarla tor-nare indietro da sola. Non dovrebbe essere difficile, se segue il sentiero.» «Non abbandonerò una donna nella foresta, neppure

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se appartiene a Cynric. Hai detto tu stesso che la zona è infestata dai briganti.» Alle loro spalle, Roanna teneva il capo chino per evi-tare lo sguardo penetrante dell'uomo con un occhio solo. Lui continuava a fissarla, aumentando il suo disagio. Quando ricominciò a piovere, Emryss fece voltare il proprio cavallo e la raggiunse. «Avete bisogno d'aiuto, madamigella?» Tirò le redini e si tolse il mantello, poi glielo mise attorno alle spalle. Con il ginocchio sfiorò quello di lei. Roanna lo lasciò fare e non disse nulla. Non voleva bagnarsi di nuovo, e non sarebbe riuscita a trova-re le parole per rifiutare quella cortesia. Emryss si scostò un poco, ma continuò a cavalcare accanto a lei. «Non vi piace la pioggia?» le chiese fissandola per alcuni lunghi istanti. «A voi piace bagnarvi?» ribatté lei. «Quando si è stati nel deserto si arriva ad amare la pioggia» mormorò lui. Il deserto. Non poteva che fare riferimento alla Terra-santa. «Avete partecipato alla Crociata?» «Sì.» «Forse avete conosciuto mio padre, Edmund Wester-cott» disse lei in tono speranzoso. Lui la guardò. Alcune gocce di pioggia luccicavano sulla benda che gli copriva l'orbita destra. «Sì, l'ho conosciuto. Un uomo d'onore, dicono.» «Sì, lo era.» Roanna ricordò i momenti felici trascorsi insieme ai genitori, prima che suo padre partisse per la Crociata per non tornare mai più. La malattia di sua madre e poi la sua morte, l'avevano lasciata sola al mondo fatta eccezione per uno zio che non aveva mai incontrato. «Allora è un peccato che sia morto. Avremmo avuto bisogno di uomini onorevoli, in quel posto.»

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Lei lo guardò per vedere se stesse parlando sul serio. «Sono certa che tutti i Crociati fossero uomini d'onore. Sono andati laggiù al servizio di Cristo.» Lui contrasse la mascella e una piccola vena cominciò a pulsargli sulla tempia. «Se l'onore comprende il furto, la violenza carnale, l'assassinio, la sodomia...» Roanna sussultò. «Dovete sbagliarvi!» esclamò. «Co-m'è possibile che uomini del genere siano...» «Madamigella, io c'ero» la interruppe lui. Roanna non riuscì a dire nulla. Di certo quell'uomo si stava sbagliando. Di certo i crociati non erano stati... non avevano fatto quelle cose. Doveva stare mentendo. Se mentiva, non era un uomo d'onore. E se non era un uomo d'onore, non doveva provare per lui ciò che prova-va. «Perdonatemi per aver fatto vacillare le vostre con-vinzioni, madamigella. Pensavo che cercaste l'onestà, e l'avete avuta.» «Io non so nulla di voi. Forse volete solo screditare la mia gente, i normanni.» Lui scoppiò a ridere. «Non hanno bisogno delle mie parole. Si screditano da soli ogni giorno.» «A quanto pare sapete ben poco su di loro. Non c'è da stupirsene, visto che non siete un normanno» ribatté lei, indignata. Lui fece un sorriso di scherno. «Voi non sapete nulla su di me. Speravo di rimediare, ma comincio a rendermi conto che siete cieca quanto il resto dei vostri compatrio-ti.» «Forse invece ci vedo più chiaramente di quanto voi non pensiate.» «Ah, sì? E allora come fate a voler sposare Cynric?» Roanna strinse i denti e sollevò il mento. Per quale motivo quell'uomo andava a parare sempre lì? Che cosa aveva in mente?

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«Madamigella, siete certa di volerlo sposare?» «Ve l'ho già detto. È stato stipulato un contratto. Devo rispettarlo.» «Ma voi non avete acconsentito.» «E se non mi sposo secondo i desideri di mio zio, che ne sarà di me? Diventerò peggio di una mendicante. Non avrò una posizione, né una casa. Neppure una possibilità di essere felice.» «Perché il contratto sia legale, voi dovete dare il vo-stro assenso, madamigella» disse lui guardandola atten-tamente. «Che cosa ne sapete voi della legge?» chiese lei igno-rando il battito del proprio cuore. «Debbo rispettare il contratto stipulato da mio zio. È una questione d'onore.» Lui annuì e non disse nulla. A un tratto udirono un'esclamazione. Si trovavano sulla cima di una collina, e Gwilym stava indicando qualcosa. Nella valle sottostante, Roanna scorse una colonna di uomini a cavallo. «Cynric» disse Gwilym. «Già» rispose Emryss. Poi si voltò verso di lei. «Cynric DeLanyea è laggiù, alla testa dei suoi uomini. Sta venendo a cercarvi. Ebbene, madamigella?» Roanna guardò in faccia il suo rapitore. La pioggia gli bagnava le labbra piene e le guance abbronzate. Dalla benda nera spuntava la cicatrice. I riccioli castani gli in-corniciavano il volto. Nel suo sguardo vide rispetto e qualcos'altro. Qualcosa di molto più profondo. Con uno sforzo immane scese da cavallo e s'incam-minò lentamente verso la valle. Era l'unica cosa onorevole che poteva fare.

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«Vi ha violentata?» Lo sguardo di Roanna si posò sul barone, che stava aspettando la sua risposta, sullo zio, che la stava guar-dando come se ciò che era accaduto fosse in qualche modo colpa sua, e infine su Cynric, allungato con indif-ferenza su una sedia a un capo del lungo tavolo. Nella stanza faceva freddo, ma non era questo che la faceva rabbrividire. Nell'angolo sedeva un prete, intento a rigirarsi fra le dita un lembo della tonaca sporca d'inchiostro. Su un piccolo tavolo di fronte a lui era posata una pergamena srotolata. Il contratto di matrimonio. Roanna lanciò un'occhiata allo zio, seduto accanto al barone. Lord Westercott aveva la punta delle dita unite, in modo da formare una specie di cupola. Gli aveva visto tante volte quell'atteggiamento impassibile, mentre am-ministrava la giustizia fra i suoi fittavoli. Avrebbe dovu-to sapere che non poteva aspettarsi nient'altro da lui, an-che se era sua nipote. «Rispondetemi!» la esortò il barone. La sua voce era aspra e spazientita. Per la prima volta da quando era stata condotta in quella stanza, senza avere avuto neppure il tempo di cambiarsi l'abito, Roanna guardò direttamente il proprio inquisitore. I suoi minuscoli occhietti luccica-

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vano malignamente fra le spesse pieghe di grasso. «Ebbene?» la incalzò Lord DeLanyea. «No, messere, non l'ha fatto» rispose lei con voce sommessa, sperando che le fosse consentito di andarsene presto. Udì il leggero tintinnio delle armi dei soldati di guardia davanti alla porta, ma si sforzò di concentrarsi sugli uomini che le stavano di fronte. Il barone grugnì e guardò il figlio. Anche Roanna si voltò verso Cynric. Era così diverso dall'altro uomo... eppure c'era una vaga somiglianza fra i due. Lord Westercott disgiunse le dita e prese la parola. «Evidentemente, Barone DeLanyea, non è accaduto nul-la di sconveniente. Credo che il matrimonio possa pro-cedere.» Il barone lanciò un'occhiata a Cynric, che dopo una breve pausa parlò. «Molto bene. Faremo come volete voi. La sposerò.» Roanna abbassò gli occhi. E così la situazione non era affatto cambiata. Quando aveva raggiunto Cynric, nella valle, lui non le aveva detto nulla. Sulle sue labbra era apparso qualcosa che poteva essere una smorfia oppure un sorriso, ma per tutto il tragitto verso Beaufort non le aveva rivolto la parola. «Suppongo che Emryss la farà franca» disse Cynric in tono bellicoso. Emryss. Dunque il suo nome era Emryss. Suonava come una carezza. «Supponi bene» disse il barone, poi scostò la sedia e si preparò ad andarsene. Roanna giunse le mani e fece un respiro profondo. «Come mai non è stato chiesto il mio consenso al ma-trimonio?» Le sue parole furono seguite da un attimo di silenzio. Lord Westercott spalancò gli occhi, sbalordito dal suo ardire. Il barone pareva piuttosto allarmato. Cynric la

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guardò come se avesse appena annunciato l'intenzione di ammazzare qualcuno. Lord Westercott aggrottò la fronte e socchiuse gli oc-chi. «Non è necessario.» Inaspettatamente il prete fece un passo avanti. Mentre annodava la cintura di corda si schiarì la voce. «Perdonatemi, messeri, ma madamigella ha ragione. Deve dare il proprio consenso perché l'accordo sia vin-colante.» Il barone si alzò e il prete tornò nell'angolo come un coniglio spaventato. «Mi avete mentito» disse Roanna con voce ferma e piena di disprezzo. «Siete uomini privi di onore e infe-riori perfino alle pietre che ho sotto i piedi. Non voglio avere più nulla a che fare con voi.» Lord Westercott sentì una stretta allo stomaco. Aveva riconosciuto la voce, il tono e le parole. Era come se il fratello minore fosse ancora vivo e avesse improvvisa-mente parlato. Per la prima volta in tanti anni si vergognò di se stes-so. Ma quando Cynric scostò la sedia e fece per alzarsi, si rese conto che senza matrimonio non avrebbe ottenuto il denaro che gli era stato promesso. «Non siate frettoloso, messere» disse. «Datemi un po' di tempo per far ragionare mia nipote. Vedrete che si ravvedrà.» Roanna fissò lo zio senza curarsi di nascon-dere il disprezzo che provava per lui. «La stanza in cima alla torre settentrionale farà al caso vostro» disse il barone con freddezza. Lord Westercott annuì con un'espressione cupa, poi prese Roanna per un braccio e la condusse verso i gradi-ni di pietra. Era furibondo. Non era arrivato fin lì perché la nipote rovinasse i suoi piani all'ultimo momento. Co-me se il consenso di una donna avesse qualche impor-tanza.

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E al diavolo i preti, che parlavano nei momenti meno opportuni. Aveva trovato il modo di liberarsi di Roanna in cambio di un bel po' di denaro, e adesso l'accordo ri-schiava di fallire. Raggiunta la minuscola stanza in cima alle scale, spinse la nipote all'interno. «Sposerai Cynric DeLanyea, sciocca che non sei altro. E nel frattempo resterai qui a meditare sui vantaggi di questo matrimonio.» Poi uscì e chiuse la porta. Roanna si guardò intorno. La stanza era vuota a ecce-zione di un mucchio di paglia sporca e di un secchio. Una finestrella lasciava filtrare un po' di luce. Udì la chiave girare nella toppa e poi i passi dello zio che scen-deva le scale. Il cielo era diventato scuro e i rumori provenienti dal salone erano cessati. Il pasto serale doveva essersi concluso, pensò Roanna posando la testa sulle ginocchia. Nessuno le aveva porta-to da mangiare, ma d'altra parte se l'era aspettato. Era si-cura che lo zio l'avrebbe tenuta a digiuno per costringer-la ad arrendersi. Sentendo dei passi fuori della porta, Roanna si alzò e si preparò ad affrontare per la seconda volta la collera di Lord Westercott. Sulla soglia apparve invece Cynric. «Vi sentite sola, madamigella?» le chiese con un sor-riso sgradevole. Roanna non disse nulla e si sforzò di mantenere un'e-spressione serena, anche se si sentiva come un animale in trappola. Cynric le si avvicinò lentamente, poi estrasse il pu-gnale e cominciò a pulirsi le unghie già pulitissime. Roanna giunse le mani e aspettò che lui dicesse qual-cos'altro.

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La sua apparente indifferenza non la ingannava. Cynric voleva sicuramente qualcosa. «E così, non vi ha toccata.» Lei fissò il pavimento e ricordò il bacio. Le labbra del suo rapitore erano state gentili e carezzevoli. «Non mi ha disonorata» rispose. «Così avete detto.» Cynric le si fece ancora più vici-no. «Non siete bella, ma trovo difficile credere che Emryss non si sia sollazzato con voi. Ha vissuto per mol-ti anni fra gli infedeli. Forse ha dimenticato come si comportano gli uomini d'onore.» Roanna tenne lo sguardo fisso sul pavimento. «No, non l'ha dimenticato» rispose con fermezza. Cynric le girò intorno e si fermò alle sue spalle, vici-nissimo a lei. «Davvero?» Poi le accarezzò lentamente un braccio. «Allora parlatemi di lui, il mio onorevole cu-gino.» «Che cosa?» Roanna si voltò e lo guardò. Cynric sorrise o meglio, sogghignò. «Come? Siete sorpresa? Non vi ha detto di essere Lord Emryss DeLan-yea, il cugino del vostro promesso sposo?» Lei scosse la testa. «No, non mi ha detto nulla...» «Ebbene, mia cara, quel barbaro, quel bastardo con un occhio solo, è figlio del mio defunto zio. Naturalmente non avreste potuto indovinarlo dal suo abbigliamento, né dal suo modo di parlare. È una vergogna per il nome dei DeLanyea, e lo è sempre stato.» Cynric la osservò con calma. «Senza dubbio vi ha rapita per infastidirci. Lui è fatto così, grottesco nella sua stupidità. Se non vi ha vio-lentata, è sicuramente perché sapeva che la cosa non mi avrebbe dato fastidio. Dev'essere un nuovo giuoco.» Poi le si avvicinò ancora. «La sorpresa vi si addice, mia cara. Vi fa assomigliare a un essere vivente, e non a una statua di marmo.» Tutto a un tratto l'afferrò per le spalle e la baciò con

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brutalità. Roanna cercò di divincolarsi, ma la violenza di quell'assalto l'aveva lasciata senza fiato, incapace perfino di pensare. Finalmente lui la lasciò andare. Lei si ritrasse e si passò il dorso della mano sulle labbra. «Non fatelo mai più!» disse ansimando. Cynric scrollò le spalle. «Posso aspettare finché non saremo sposati» ribatté con un sorriso crudele. Poi si di-resse verso la porta. Quando fu sulla soglia si voltò. «Ah, e non preoccupatevi se la prima notte di nozze scoprirò che avete mentito. Preferisco le donne esperte.» «Credete che abbia mentito?» Roanna arrossì per l'in-dignazione. «Sì, lo credo. Ma la cosa non ha importanza, no?» ri-spose lui in tono di scherno. «Emryss può pure essersi preso la vostra verginità. Io avrò la dote, per misera che sia, e l'influenza di vostro zio.» «No» ribatté Roanna. «Non le avrete. Io non vi spose-rò mai!» Con un movimento fulmineo, lui l'afferrò per le brac-cia e avvicinò il volto al suo. «Credete che io voglia spo-sare voi? Avrei potuto scegliere fra un bel numero di donne, tutte molto più attraenti e con una dote più ricca della vostra. Ma mio padre vuole questo matrimonio, e siccome quando morirà ci tengo a ereditare le sue terre, vi sposerò. E vi porterò a letto, che vi piaccia o meno.» La strinse più forte e contrasse le labbra sottili. «Se mi detestate, portarvi a letto potrebbe non essere poi così noioso.» Roanna si liberò con uno strattone. «Preferirei morire. Non accetterò di venire insozzata da un uomo come voi!» esclamò stringendo i pugni. Cynric sorrise. «Solo da vecchi guerrieri invalidi, co-me Emryss?» «Almeno lui ha un onore. Voi no!» «E voi non avete alcuna bellezza. Io sono disposto a

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passarci sopra.» Cynric l'afferrò un'altra volta e le sfiorò una guancia con le labbra. Lei lottò per qualche istante, poi rimase immobile come una statua. Non voleva fare nulla che potesse eccitarlo. Forse lui avrebbe cambiato idea. «Ah, Roanna, vi arrendete così facilmente? Oppure cominciate a rendervi conto che state sbagliando?» Cynric la baciò con violenza e fece un passo indietro. La sua risata sardonica echeggiò nella piccola stanza. «For-se dovrei invitare mio cugino al nostro banchetto di noz-ze!» Poi si voltò e uscì. Il giorno successivo Emryss si trovava nella vecchia scuderia di Craig Fawr, la fortezza della quale era il si-gnore. Mentre passava la spazzola sulla criniera del pro-prio cavallo ascoltava distrattamente i rumori provenien-ti dal cortile. Stava scendendo la sera e presto sarebbe stato troppo buio per lavorare. Tutti gli abitanti di Craig Fawr si sarebbero radunati nella sala grande, appena fini-ta di costruire, per il pasto serale. Emryss sorrise. Gli faceva piacere pensare che l'opera cominciata da suo padre sarebbe presto terminata. Man-cavano ancora due sezioni della cerchia di mura. Con un po' di fortuna i lavori si sarebbero conclusi prima dell'in-verno. Poi il suo volto si fece serio. Grazie al cielo sua madre era riuscita a eludere i tentativi del barone di imposses-sarsi delle terre finché lui non era tornato. Con una forza di volontà non comune in una donna, Angharad aveva realizzato il sogno del marito: costruire un castello in quel sito fortificato da secoli. Nemmeno i Romani ave-vano saputo conquistarlo. Solo i normanni, avidi e privi di scrupoli, erano riusciti a sconfiggere i guerrieri galle-si. Avevano distrutto la vecchia fortezza e per molto tempo le pietre erano rimaste sul terreno, perché i gallesi

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si erano sempre rifiutati di portarle via per riutilizzarle. Quelle pietre appartenevano a Craig Fawr. Con il tempo, il loro rispetto e la loro pazienza erano stati ricompensati. Il padre di Emryss, pur essendo un cavaliere normanno, aveva amato una principessa gallese e aveva riconosciuto l'importanza di quel sito. Aveva riconosciuto anche il valore della fedeltà dei gallesi, e in cambio aveva ottenuto il loro affetto. La sua morte prematura avrebbe potuto significare la fine del progetto accarezzato per tanto tempo. Era stata sua moglie, con uno spirito indomabile, che aveva tenuto in vita quel sogno e lo aveva tramandato al figlio. Nep-pure quando sembrava che Emryss fosse morto Angha-rad aveva accettato di interrompere i lavori. Molti le avevano detto che in quel modo stava fa-cendo il gioco del barone, che sarebbe stato lui a instal-larsi a Fawr Craig quando tutto fosse finito. Ma lei non aveva mai abbandonato la speranza che un giorno o l'al-tro Emryss tornasse. Due mesi dopo che il figlio aveva varcato il cancello della fortezza, era morta. Presto sarebbero stati in grado di punire il barone per tutto il male che aveva fatto, pensò Emryss mentre spaz-zolava vigorosamente la criniera del cavallo. L'animale nitrì. «Scusa, Wolf, non ce l'ho con te» mormorò lui rallen-tando i movimenti. «Meglio pensare a qualcosa di piace-vole, prima che tu mi dia un calcio.» Qualcosa di piacevole. La fanciulla. Mentre dormiva, nella capanna, l'aveva guardata per alcuni minuti. Co-m'era bella, con i lunghi capelli neri sparsi attorno alla testa e le ciglia scure abbassate sulle guance lisce e ap-pena rosate. Ma da sveglia era ancora più bella. I suoi grandi occhi blu erano pieni d'intelligenza e di passione! Emryss aveva visto molte donne bellissime, provenienti

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da diversi paesi, eppure lei lo aveva affascinato come nessun'altra. «Stai pensando al deserto degli infedeli, ragazzo?» chiese la voce gracchiante di Mamaeth, la sua vecchia balia. Come amava quella voce! Emryss si voltò e le sorrise. Mamaeth gli lanciò un'occhiataccia. «Sarà pure estate, ma devi coprirti un po' di più.» «Come sempre hai ragione, Mamaeth!» Emryss posò la spazzola su uno sgabello e si avvicinò alla vecchia, poi la sollevò e le baciò una guancia grinzosa. «Ehi, ragazzo. Mettimi giù e smettila!» esclamò Ma-maeth, senza riuscire a nascondere il proprio compiaci-mento. «Devo smetterla?» Lui fece un passo indietro e finse di essere sorpreso. «E chi era che non faceva che chie-dermi baci, quando ero un ragazzino?» domandò sfor-zandosi di non mettersi a ridere. «Adesso basta!» Mamaeth gli diede un colpetto sul braccio. «Ti abbiamo educato male, ragazzo. Non hai nessun rispetto per gli anziani. E non li ascolti nemmeno. Fa troppo freddo per startene seminudo.» Emryss si mise a ridere. «Mamaeth» disse, «come ho fatto a cavarmela senza di te?» Gli occhi della vecchia s'incupirono, e lui si rammari-cò di averle ricordato il periodo in cui nessuno sapeva se fosse vivo o morto. «Visto che sono il tuo signore, credo che sia ora che ti trovi un marito, così potrai circondarlo di premure.» «Che cosa?» Mamaeth prese un'aria bellicosa. «E perché mai dovrei desiderare un marito? Ho già abba-stanza da fare con te. Ah! Un marito? Sarebbe come un altro bambino, e ormai sono troppo vecchia.» Poi lo guardò con un'espressione maliziosa. «Sei tu che dovre-sti sposarti.»

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Emryss si sforzò di sorridere. «Be', dovrò pensarci.» Mamaeth raddrizzò le spalle strette e aggrottò la fron-te. «Una ragazza che non si faccia impressionare da te o dal tuo titolo, ecco cosa ti ci vuole. Una ragazza che ti dia dei figli.» Poi sorrise e si affrettò verso la cucina. Emryss la guardò allontanarsi, poi si chinò a racco-gliere la spazzola e sospirò. Gwilym sarebbe stato il suo erede, oppure i figli di Gwilym. Non aveva confessato a nessuno la gravità delle ferite che gli erano state inflitte, anche se tutti potevano vedere la cicatrice che aveva sul volto e la sua andatura claudicante quando era stanco. Come poteva dire a qualcuno del taglio che lo aveva la-sciato menomato nella virilità e della terribile infezione che era seguita? Abram, che sul campo di battaglia lo aveva salvato dagli uomini del Saladino e poi lo aveva curato, gli aveva detto che avrebbe potuto avere lo stesso dei figli. Ma quando aveva cercato di andare a letto con la sguattera di una taverna, durante il viaggio di ritorno, era andato incontro a un fallimento. Non aveva nessuna intenzione di ripetere quell'esperienza umiliante. «Guarda che quella serve per spazzolare il cavallo» disse Gwilym ridacchiando. Emryss sussultò e guardò la spazzola che teneva in mano. Quando si voltò aveva sulle labbra un sorrisetto indulgente. «Mamaeth dice che non ho alcun rispetto per gli anziani. Mi sembra che sia un difetto molto diffuso, a Craig Fawr. I miei uomini non mostrano rispetto per il loro signore.» Gwilym si sedette sullo sgabello. «E perché dovrem-mo? Solo perché tuo padre era un normanno?» «Per le piaghe del Salvatore!» Emryss sollevò la spaz-zola come se volesse colpire l'amico per il suo ardire, ma non riuscì a stare serio. «Adesso mi stai insultando! Per-ché mia madre era una principessa gallese, stupido. E io sono il signore di Craig Fawr.»

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Gwilym annuì e fece un profondo inchino. «Le mie più sentite scuse, mio onorevole signore. Perdonate il vostro umile servitore, ve ne prego.» Emryss gli diede un leggero colpetto. «Ti perdono.» «Sapevo che l'avresti fatto» disse Gwilym mettendosi fuori della portata della spazzola. «In fin dei conti sono il migliore guerriero che tu abbia.» Per un attimo sorrise, poi la sua espressione si fece seria. «Emryss, c'è stato un altro attacco contro alcuni viaggiatori, nei pressi del fiu-me.» «Nessuno è rimasto ucciso?» «No, ma sono stati derubati. Li hanno privati perfino dei vestiti che avevano addosso.» «I ladri... erano gallesi, sassoni o normanni?» «Non lo so.» «E i viaggiatori?» «Normanni, ma abbastanza poveri.» Emryss gettò una coperta sulla groppa di Wolf. «È meglio fare una ricognizione, domani. Porteremo venti uomini.» Gwilym annuì, poi esitò. «Allora non ti aspetti fastidi da Beaufort?» «No.» Emryss si avviò verso il salone. Gwilym lo seguì. «Credi davvero che Cynric e il ba-rone dimenticheranno quello che hai fatto?» «E perché no? Abbiamo restituito la ragazza sana e salva.» «Ma l'insulto...» «Sono dei codardi.» Gwilym posò una mano sul braccio del fratello d'arme e lo costrinse a fermarsi in mezzo alla corte ingombra di blocchi di pietra, legname, attrezzi e impalcature. «Emryss, non sottovalutare il barone, e neppure Cyn-ric.» Emryss sospirò. «Lo so, Gwil. Tutti possono vedere

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che una volta ho sottovalutato un nemico. Puoi stare si-curo che non succederà un'altra volta.» Roanna balzò in piedi. Due occhietti brillanti la stava-no fissando da dentro una grossa crepa nel muro. Con un brivido di repulsione si allontanò, muovendo a fatica le gambe intorpidite. Era rimasta sveglia per tutta la notte, terrorizzata dai topi e dal pensiero che Cynric tornasse. Poi era arrivata l'alba, e le ore avevano cominciato a trascinarsi una dopo l'altra, in una insostenibile monotonia. Roanna alzò gli occhi verso la finestrella. Era scesa di nuovo la sera, e i topi erano tornati. Tutto a un tratto la porta si spalancò. Lord Westercott apparve sulla soglia. Aveva il volto paonazzo e puzzava di vino. Roanna si allontanò da lui il più possibile. «Ebbene, nipote, hai rico... ricon... ci hai ripensato?» chiese Lord Westercott con la voce impastata, barcollan-do e aggrappandosi agli stipiti della porta. Roanna lo guardò con un'espressione ostile. «Non sposerò mai Cynric DeLanyea.» «Sei matta?» Lord Westercott entrò nella cella. «Stu-pida che non sei altro! Se non lo sposi, ti garantisco che ti manderò in qualche gelido convento su al nord. Nes-sun altro uomo chiederà la tua mano.» Roanna lo fissò senza battere ciglio, immobile e silen-ziosa. Lord Westercott allora balzò in avanti e l'afferrò per le braccia. Roanna gli diede uno spintone. Lui vacillò e andò a sbattere contro lo spigolo della porta. «Per Dio, adesso te le do di santa ragione!» urlò Lord Westercott avventandosi di nuovo contro di lei. Roanna si spostò e lui cadde contro il muro di pietra. Stordito dal colpo, si accasciò sul pavimento. «Tu farai quello che dico io» borbottò massaggiandosi la testa. «Accidenti alle donne! Perché i tuoi genitori ti

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hanno affidata a me?» Poi la guardò con gli occhi iniettati di sangue. «Non hanno pensato a nulla. Hanno lasciato a me ogni responsabilità. Così ho combinato un matrimonio. Un buon matrimonio. E questo è il ringra-ziamento.» Continuando a borbottare, si prese la testa fra le mani. «Dovrei picchiarti, ma non voglio lasciarti segni sulla faccia.» Poi si alzò faticosamente in piedi. «Roan-na, mia cara» disse in tono lamentoso, mentre lei si avvi-cinava alla porta, «non credi che sarebbe una cosa ono-revole sposarti per far piacere all'uomo che ti ha alleva-ta? Per ripagarlo di tutto il cibo e degli abiti che ti ha da-to durante tutti questi anni?» Roanna era ormai arrivata sulla soglia. «State dicendo che dovrei prostituirmi?» Lord Westercott arrossì di rabbia. Tutto a un tratto si lanciò contro la nipote e la buttò per terra. «Oh, no, mia cara!» esclamò in tono trionfante. «Re-sterai qui finché non darai il tuo consenso al matrimo-nio!» La tirò su e la riportò dentro la cella. «Credevi di raggirarmi, ragazza? Vedremo chi vincerà questa batta-glia.» Con una risata stridula chiuse la porta e girò la chiave nella toppa. Roanna si lasciò cadere sul mucchio di paglia e si pas-sò la lingua sulle labbra riarse. Non avrebbe mai acconsentito a sposare Cynric, mai. La fame e la sete, però, stavano cominciando a tormentarla. Improvvisamente udì un lieve rumore fuori della por-ta. Poi qualcuno la chiamò. Il cuore le diede un balzo nel petto. «Sono qui, Jacques» rispose a voce bassa. «Vi ha fatto del male, gattina?» «No.» «Sia ringraziato il cielo. Vi ho portato del cibo.» Il cuoco fece passare sotto la porta una sottile fetta di pane. Roanna la mangiò avidamente.

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«Jacques!» «Sì?» «Non hai un coltello?» «Che cosa ne vorreste fare?» «Il cuoio dei cardini è vecchio e consunto. Se avessi un coltello potrei tagliarlo...» «E la porta vi cadrebbe addosso. In ogni caso come fareste a scappare dal castello? È pieno di guardie. E poi dove andreste? Non avete denaro.» Roanna non disse nulla. «A meno che io non vi aiuti» sussurrò Jacques. «Che cosa?» «Sono stufo di cucinare per un uomo così avaro da non voler comprare neppure il pepe. Credo che sia il momento di andarmene.» «E dove andresti?» «Dove volete voi. Un bravo cuoco come me troverà sempre un signore disposto ad assumerlo.» «Jacques, non posso permetterti di fare questo per me.» «Lo faccio anche per me, gattina. Tornerò fra poco con un coltello. Tutti credono che stia dormendo, e nes-suno mi disturberà. Fra poche ore bisogna cominciare a mettere in forno il pane, e noi dovremo essere già lonta-ni.» «Ma potrebbe essere pericoloso per due viaggiatori solitari avventurarsi sulla strada.» «Credete che sareste più sicura da sola? No, no, verrò con voi, gattina.» Roanna sentì i passi di Jacques allontanarsi.

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«Jacques? Sei tu?» Roanna era senza fiato per la paura. E se invece di Jacques là fuori ci fosse stato Cynric? «Sì, sono io» rispose il cuoco facendo passare sotto la porta un coltello lungo e sottile. «Ecco qui. Io vado a preparare il resto. Farò più in fretta possibile. Non dispe-rate!» Poi si allontanò di nuovo. Roanna afferrò il coltello e cominciò a segare i vecchi cardini. Le ci volle parecchio tempo per fare la prima in-cisione, ma poi il lavoro procedette speditamente. Tutta presa da ciò che stava facendo, Roanna non si accorse che Jacques era tornato fin quando lui non la eb-be chiamata. «Credo che ci siamo, Jacques» sussurrò. «Prova a spingere.» Il cuoco appoggiò alla porta la propria considerevole mole, facendola cadere con un tonfo sordo. «Presto, gattina, venite con me.» Roanna non se lo fece ripetere due volte e lo seguì giù per le scale. «C'è un carro tutto per noi che ci aspetta» sussurrò lui mentre attraversavano la grande cucina. Nella corte c'era un carretto scoperto al quale era ag-giogato un asino. Jacques fece cenno a Roanna di salire e

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la coprì con una coperta, poi si mise al posto di guida. Con un sobbalzo, il carretto si mise in moto. Pochi minuti dopo si fermarono di nuovo. «Chi siete?» chiese una voce sconosciuta. «Sono Jacques de la Mere, il cuoco di Lord Wester-cott, e se domani volete mangiare vi conviene lasciarmi passare.» «Che cosa intendete?» chiese la voce. «La farina è piena di vermi. A meno che non li voglia-te nel pane, dovete lasciarmi andare al mulino. Sceglierò io stesso la farina. E siccome è quasi l'alba, vi conviene non farmi perdere tempo, altrimenti Sua Signoria si ar-rabbierà. Dovrò dirgli che una guardia non mi ha lasciato passare.» Roanna udì lo sferragliare della saracinesca che veni-va alzata. Sentendo il bisogno di una boccata d'aria fre-sca, sollevò un poco la coperta mentre il carretto attra-versava la corte esterna. Finalmente raggiunsero la se-conda cinta di mura. Il cammino di ronda era perlustrato da guardie armate. Quando raggiunsero il cancello più esterno, Jacques raccontò un'altra volta la storia della farina e riuscì di nuovo a passare. Mentre si lasciavano alle spalle la fortezza del Barone DeLanyea, Roanna sbirciò di nuovo da sotto la coperta. Tutto sembrava tranquillo. Il silenzio era rotto di tanto in tanto solo dall'abbaiare di qualche cane. «Prima dobbiamo andare a nord, gattina» disse Jac-ques imboccando una strada. «Il mulino si trova in quel-la direzione, ed è più prudente andare dove meno se lo aspettano, in caso la nostra fuga fosse scoperta troppo presto. Una sguattera mi ha detto che a un certo punto questa strada si biforca. Quando raggiungeremo il bivio ci dirigeremo verso sud.» Roanna sollevò un po' di più la coperta e guardò il

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cielo pieno di stelle. La luna illuminava la strada che correva lungo il fiume. Dopo che ebbero oltrepassato il mulino, Jacques cominciò a canticchiare fra sé. Emryss si svegliò di soprassalto, fradicio di sudore e con il cuore in gola. Si strofinò la faccia con entrambe le mani e si mise a sedere sul letto. Era stato solo un incu-bo. Per l'ennesima volta da quando era tornato a casa, aveva sognato di trovarsi ancora in Terrasanta. Attraverso la finestra della sua stanza filtrava la prima luce dell'alba. Emryss si alzò e si avvolse un lenzuolo attorno ai fianchi, poi andò a lavarsi la faccia. Quando ebbe finito prese la calzamaglia che la sera prima aveva posato sul baule e lasciò scivolare per terra il lenzuolo. La porta si aprì improvvisamente. «Dannazione!» esclamò Emryss infilandosi rapida-mente la calzamaglia. «Hai imparato a imprecare, durante la Crociata?» chiese Mamaeth. Su un braccio aveva delle lenzuola pu-lite. «Mi dispiace» si scusò Emryss prendendo una cami-cia. «Vorrei solo che bussassi, tutto qui.» Mamaeth gettò le lenzuola sul letto e si posò le mani sui fianchi. «Che cosa hai detto?» «Non sono più un bambino, Mamaeth. Vorrei che bussassi» insistette Emryss sedendosi sul letto per infi-larsi gli stivali. La vecchia aggrottò la fronte, poi fece un sorriso ma-lizioso. «C'è per caso una donna?» «No.» «Perché no?» Lui sollevò la testa e la guardò. «Era solo una domanda» disse Mamaeth. «Non vole-vo irritarti.» Emryss si alzò e prese il giustacuore di pelle.

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Mamaeth cominciò a rifare il letto con le lenzuola pu-lite. «Potrebbe farti bene» mormorò. Emryss s'infilò il giustacuore. «Che cosa hai detto?» Mamaeth si raddrizzò e lo guardò con aria truce. «Ho detto che potrebbe farti bene.» «No» ribatté lui con voce aspra, prendendo la cintura e armeggiando con la fibbia. Finalmente riuscì ad allac-ciarla. «Gwilym ha già mangiato?» chiese nella speranza di distrarre la vecchia balia. «Ha mangiato per dieci. Che appetito! Credo che a-desso sia andato nella scuderia, a prepararsi per partire.» Mamaeth sprimacciò un cuscino e lanciò a Emryss una occhiata di sbieco. «Vai anche tu?» «Sì. L'ultimo attacco è stato troppo vicino.» «Vorrei averli io fra le mani, quei maledetti.» Mamaeth sprimacciò un altro cuscino. «Augurami buona fortuna, allora» disse lui mentre si dirigeva verso la porta. «Buona fortuna. Ma sta' alla larga dai possedimenti di Beaufort... e da quella donna.» Emryss uscì dalla stanza senza rispondere. Ormai tutti gli abitanti di Craig Fawr avevano saputo della sua ulti-ma bravata. Quando raggiunse il salone salutò con un cenno del capo gli uomini radunati per il pasto mattutino e afferrò un pezzo di pane. Ne strappò un morso e lo inghiottì aiu-tandosi con un sorso di birra, poi si diresse verso la corte continuando a mangiare. I muratori erano già sulle impalcature e stavano per cominciare a lavorare. Emryss lanciò un'occhiata al muc-chio di pietre. Di giorno in giorno si faceva sempre più piccolo. Doveva trovare altro denaro per terminare di fortificare Craig Fawr. I suoi genitori avevano speso somme enormi per armarlo ed equipaggiarlo per parteci-pare alla Crociata. Emryss sospirò amaramente. Se quel

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giorno infausto l'arcivescovo Baldwin se ne fosse rima-sto a Canterbury, o se lui non avesse ascoltato la sua predica! Giovane e ingenuo com'era, si era infervorato ed era voluto partire a tutti i costi per strappare Gerusa-lemme dalle mani degli infedeli. Quando entrò nella scuderia vide che Gwilym aveva già sellato Wolf. Gli altri componenti della pattuglia era-no a cavallo e stavano aspettando pazientemente il suo arrivo. Il fratello d'arme gli rivolse un sorriso di benve-nuto e poi montò sul proprio stallone. Emryss finì di mangiare il pane e poi salì lentamente in sella. «Non hai dormito bene, vero?» gli chiese Gwilym. «Quand'ero giovane dormivo meglio» rispose Emryss. «Può darsi che sia il letto. Troppo morbido.» Gwilym ridacchiò. «Hai bisogno di una donna, cre-do.» Nella mente di Emryss si affacciò un volto dominato da due grandi occhi blu e circondato da una massa di ca-pelli neri. «Perché tutti sembrano convinti che sia suffi-ciente portarmi a letto una donna compiacente per risol-vere ogni problema?» ribatté in tono irritato. «Fra poco cercherete di convincermi che anche le cicatrici spari-ranno.» Poi fece voltare Wolf verso il cancello. «Adesso basta con questi discorsi. Dove è avvenuto esattamente l'attacco?» «Lungo la strada che costeggia il fiume, a poche mi-glia di qui, dove la foresta è più densa, messere.» «Vicino al guado?» «Sì.» «Dove sono gli altri uomini?» «Stanno aspettando nella corte esterna, messere.» «Bene. Andiamo, allora.» «Sì, messere.» Emryss sospirò e lanciò un'occhiata a Gwilym che te-neva lo sguardo fisso davanti a sé. «Gwil» cominciò. Per

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un attimo ebbe la tentazione di spiegargli come mai sen-tir parlare di donne lo turbava, ma poi cambiò idea e spronò il cavallo. Lo scricchiolio del carro echeggiava nella valle asso-lata. Roanna si guardò intorno. I rami dei salici si curva-vano sulle acque del fiume e gli scoiattoli si rincorrevano in mezzo alle fronde delle querce. Su alcuni cespugli cantavano degli uccelli. Quel paesaggio, che sotto la pioggia le era parso de-primente, aveva ora un fascino tutto particolare. Roanna ripensò ancora una volta a Lord Emryss De-Lanyea e si rese conto di non avere alcuna voglia di scappare al sud. Naturalmente dopo aver rifiutato di sposare Cynric aveva dovuto lasciare il castello di Beaufort. Restare sa-rebbe stato intollerabile, oltre che pericoloso. Ma le si stringeva il cuore all'idea di allontanarsi dall'unico uomo che avesse saputo suscitare in lei emozioni tanto profon-de. Che cosa avrebbe pensato Emryss quando avesse sa-puto che se n'era andata? Gli sarebbe importato qualcosa? «Non dovete preoccuparvi, gattina» disse Jacques. «Vostro zio non entrerà nella cella se non dopo il pasto di mezzogiorno, ne sono certo. È stato alzato fino a tardi per assaggiare i vini del barone.» Poi fece una smorfia eloquente. Roanna sorrise. «Mi chiedo che cosa faranno quando scopriranno...» «Che li abbiamo raggirati?» Jacques ridacchiò. «Ci inseguiranno, naturalmente. Penseranno che siamo anda-ti a sud, e invece noi andiamo a nord.» «Sei sicuro che quella ragazza, la sguattera, non vada a raccontare tutto?» Jacques scrollò le spalle. «Ci metteranno un po' di

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tempo per prepararsi all'inseguimento. Abbiamo un van-taggio di alcune ore, e non penso...» Poi tacque e arrossì. «Non pensi che il mio fidanzato si darà molto da fare per trovarmi» disse Roanna. «È uno spaccone e un arrogante. Avete fatto bene a liberarvene. Però penso che sia meglio che per un po' non ci fermiamo.» Roanna annuì e si chinò per prendere un contenitore d'acqua. Improvvisamente Jacques urlò e il carretto si fermò con uno scossone. Roanna si aggrappò alla fiancata per non cadere e si voltò a guardare il suo amico. «Jacques!» esclamò afferrando le redini che gli erano sfuggite di mano. Il cuoco aveva una freccia conficcata in una spalla. Sulla sua casacca c'era una grossa macchia di sangue. Jacques guardò la freccia e impallidì. «Non fermatevi» mormorò parlando a fatica. «Dob-biamo andare...» Prima che avesse il tempo di terminare la frase, una banda di uomini armati fino ai denti sbucò dalla foresta e circondò il carretto. Avevano capelli lunghi e arruffati, e sui loro volti sudici c'erano delle espressioni di scherno. Roanna cercò di spronare l'asino. Jacques cadde al-l'indietro quando un'altra freccia lo colpì a una gamba. Adesso sui volti dei banditi c'erano dei ghigni bestiali. Uno di loro, armato di spada e pugnale, afferrò la ca-vezza dell'asino e sorrise, mostrando i denti guasti. Jacques gemette, ma Roanna non osò distogliere lo sguardo da quello che doveva essere il capo dei banditi. L'uomo l'afferrò per un braccio e la tirò giù dal carret-to, poi la gettò per terra. Roanna cadde in ginocchio. Lui non le badò e comin-ciò a frugare in mezzo ai pochi bagagli che i due fuggiti-vi avevano portato con sé. Roanna continuò a guardarlo,

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immobile ma pronta a scattare se si fosse avvicinato a Jacques. Un altro bandito, molto magro e maleodorante, afferrò una ciocca dei suoi capelli, poi scoppiò a ridere sguaia-tamente e sussurrò qualcosa a uno dei compagni. Il capo dei banditi sbuffò vedendo le scarse provviste e afferrò Jacques per un braccio. Roanna cercò di alzarsi in piedi, ma il bandito magro le impedì di muoversi. Fi-nalmente il capo trovò la piccola borsa di Jacques. La scosse e se l'appese alla cintura. A quel punto il bandito magro gli disse qualcosa e co-strinse Roanna ad alzarsi, continuando a parlare in tono concitato. Il capo allora si avvicinò e guardò la prigio-niera con un ghigno lascivo, poi annuì. Il bandito magro le immobilizzò le braccia dietro la schiena e con la punta di un pugnale cominciò a lacerarle il corpetto dell'abito. Tutto a un tratto si udì un urlo agghiacciante. Roanna spalancò gli occhi. Il bandito magro la lasciò andare e corse a nascondersi in mezzo ai cespugli, seguito dai compagni. Due uomini a cavallo comparvero improvvi-samente sulla strada e si buttarono all'inseguimento dei fuorilegge. Roanna si coprì il petto come meglio poteva e salì sul carretto. Jacques era riverso sul sedile. Per un attimo te-mette che fosse morto, ma lui sollevò le palpebre e si sforzò di sorridere. Bisognava andare subito a cercare aiuto in qualche villaggio. Roanna prese le redini e spronò l'asino. L'ani-male si mosse, ma al primo sobbalzo del carretto Jacques gemette forte. «Siete feriti?» chiese una voce alle loro spalle. Emryss uscì dal bosco e infilò la spada nel fodero. Mentre si avvicinava si sistemò la benda sull'orbita vuo-ta.

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Roanna lo vide e il cuore le fece un balzo nel petto. Tutto a un tratto si sentì straordinariamente felice. «Io no, ma Jacques sì.» Emryss guardò l'uomo riverso sul sedile del carretto. «Ho visto di peggio. E ne ho passate di peggio.» Poi af-ferrò la cavezza dell'asino. «Mi dispiace che tutto questo sia accaduto sulle mie terre, madamigella. Se mi seguite, farò in modo che il vostro amico venga medicato.» «Vi ringrazio, messere» rispose Roanna con voce sommessa. Emryss la guardò con una strana espressione. «Allora sapete chi sono, madamigella?» «Sì. Cynric me lo ha detto.» Lui fece un sorrisetto amaro. «Sono certo che abbia tessuto anche le mie lodi.» Poi diede uno strattone alle redini e il carretto cominciò a muoversi. Mentre nella foresta continuava la caccia ai banditi, i tre seguirono la strada finché non giunsero a un bivio. Emryss imboccò un sentiero stretto e ripido che s'inerpi-cava su per la collina. A ogni scossone Jacques gemeva pietosamente, e Roanna cercava di rassicurarlo dicendo-gli che presto sarebbero arrivati a destinazione. Finalmente raggiunsero un altopiano. In lontananza s'intravedevano i terrapieni di un'antica fortezza. In cima sorgeva un castello. Attorno alla sua base c'era un ag-glomerato di edifici che formavano un villaggio, e sulla riva del fiume era stato costruito un piccolo mulino. «È vostro?» chiese Roanna, stupita dalle dimensioni della fortezza. «Sì, della mia famiglia.» Poco dopo raggiunsero il villaggio. Un uomo si rivol-se a Emryss in gallese. Lui gli rispose nella stessa lingua, e l'uomo cominciò a correre verso il castello. «Andrà a chiamare Mamaeth» spiegò Emryss. «Lei saprà cosa fare per il vostro amico.»

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Attraversarono il primo cancello, poi il secondo e fi-nalmente giunsero in una corte dove ferveva l'attività. Un gran numero di muratori salivano su e giù dalle im-palcature sollevando grossi blocchi di pietra con l'aiuto di paranchi e carrucole. Alcune donne erano ferme ac-canto al pozzo, le brocche appoggiate al fianco. Un gruppo di bambini giocava a rincorrersi sotto le impalca-ture, senza badare ai rimproveri dei muratori. Quando comparve Emryss, nella corte si fece silenzio. Da un edificio basso che sorgeva ai piedi della torre più larga uscì una donnetta anziana e si diresse rapida-mente verso il carretto. Ignorando Roanna, si arrampicò sul sedile e mormorando fra sé osservò le due frecce che avevano colpito Jacques. Il cuoco aprì gli occhi e la guardò. «Non posso morire in pace?» chiese mentre la vecchia gli tastava la spalla e la gamba. «Morire? Voi non morirete, sciocco. Ah, gli uomini! Basta un piccolo graffio e credono di essere sull'orlo del-la fossa. Scendete, ragazza. Ho bisogno di spazio.» Roanna annuì e guardò Jacques, che stava gemendo di nuovo. Mamaeth si voltò verso di lei e la osservò lenta-mente. Poi fece un cenno d'assenso. «Non abbiate paura, ragazza. Non sono ferite gravi. Vedrete che guariranno, con i miei rimedi.» Jacques ge-mette un'altra volta e imprecò a bassa voce. Mamaeth gli diede un colpetto su un polso. «Adesso basta, altrimenti dovrete curarvi da solo.» Poi si rivolse al signore del ca-stello. «Emryss» disse in tono autoritario, «sistemalo nella caserma. Dev'essere trasportato con delicatezza, mi raccomando. Io vado a preparare le medicine, e poi e-strarrò le frecce. Dov'è Gwil?» «Sta ancora inseguendo quei fuorilegge.» La vecchia annuì e saltò agilmente giù dal carretto. «E porta questa ragazza da Bronwyn. Ha bisogno di

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abiti decenti.» Roanna arrossì e distolse lo sguardo. Emryss chiamò due dei muratori e trasmise gli ordini di Mamaeth, poi posò delicatamente una mano sul brac-cio di Roanna. «Adesso volete dirmi che cosa ci fate sulle mie ter-re?» In quel momento si accorse che tutti quelli che era-no nella corte li stavano guardando con curiosità. «Veni-te» disse porgendole il braccio. «Andiamo a parlare in un posto più tranquillo.» Roanna si lasciò condurre all'interno di un'enorme sa-la costruita interamente in pietra. Quando si furono sedu-ti a un piccolo tavolo protetto da un paravento, Emryss si rivolse di nuovo a lei. «Ebbene, madamigella, che cosa è accaduto?» La sua voce era gentile e sommessa. Roanna sollevò gli occhi su di lui. Emryss sostenne lo sguardo della ragazza per qualche istante, poi abbassò il proprio e arrossì leggermente sotto l'abbronzatura. «Vi chiedo perdono, messere» mormorò lei. «Mio zio mi ha detto molte volte che non dovrei fissare le perso-ne.» «Non importa» rispose lui con un sorrisetto. «Ormai mi sono abituato a essere fissato.» Imbarazzatissima, Roanna abbassò gli occhi. «Grazie per avermi soccorsa. E per aver salvato Jacques.» «Sono contento di essere capitato lì proprio in quel momento. Ma vorrei sapere come mai non siete a Beau-fort. Non dovevate sposarvi?» «Ho rifiutato.» «Perché?» Roanna si guardò le mani. «Mi spiace avervelo chiesto, madamigella, ma devo sapere» continuò Emryss in tono pacato. «Io e quel ramo dei DeLanyea siamo acerrimi nemici, e quello che è ac-

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caduto potrebbe condurre a una guerra. Devo conoscere la verità.» Roanna si alzò bruscamente in piedi. «Non voglio es-sere la causa di altri guai. Ce ne andremo subito.» «Sedetevi. Non sto dicendo che dovete andarvene. Pe-rò è meglio che sappia come stanno le cose.» Roanna si sedette di nuovo e arrossì leggermente. «Non ho accettato di sposare Cynric DeLanyea.» «Tutto qui?» Il suo rossore si accentuò. «Lui... mi ha insultata.» «Cynric insulta tutti. È sempre stato così. Ma vostro zio? Non ha preso le vostre parti?» «No.» Roanna distolse lo sguardo. «Mi sorprende che Cynric vi abbia lasciata andare.» «Lui non sa che me ne sono andata.» «Che cosa?» «Sono scappata. Mio zio mi aveva rinchiusa in una cella per costringermi a dare il mio consenso alle nozze. Jacques mi ha aiutata a fuggire.» Emryss aggrottò la fronte. Era davvero un bel pastic-cio. Non voleva rimandarla a Beaufort, ma se fosse ri-masta lì Cynric avrebbe potuto accusarlo di trattenerla a Craig Fawr contro la sua volontà. Posò lo sguardo sul suo corpetto strappato e poi lo abbassò. «Jacques e io partiremo domani, se ci permetterete di restare qui per stanotte» disse Roanna. «Vi sono molto grata per il vostro aiuto.» Emryss lanciò un'occhiata al suo volto pallido e stan-co. «Non c'è fretta. Potete fermarvi finché lo vorrete.» «No, messere. È meglio che io e Jacques ce ne andia-mo, in modo da non mettervi nei guai.» Roanna si alzò in piedi. «C'è anche un'altra ragione per la quale ho rifiu-tato di sposare Cynric DeLanyea. Mi ha accusata di ave-re mentito quando gli ho detto che voi non mi avevate... fatto del male.»

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Emryss picchiò violentemente il pugno sul tavolo. «Maledizione!» esclamò furibondo. «Mi conosce troppo bene per dire una cosa del genere, quel maledet-to...» Poi s'interruppe. «Scusatemi, madamigella. Ormai dovrei sapere com'è fatto quel farabutto.» In quel momento arrivò una giovane donna. «Perdo-nate, messere, la mia intrusione» disse. «Ma mi è stato detto che devo aiutare madamigella.» «Ah, già.» Emryss si rivolse a Roanna. «Questa è Bronwyn. Vi troverà un altro vestito. Ma per prima cosa vi condurrà nella mia camera.»

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Roanna fissò l'enorme letto. Occupava tutto un lato della piccola stanza. Emryss le aveva detto che quello era l'u-nico posto dove avrebbe potuto avere un po' d'intimità, e così lei aveva inghiottito le proteste. «È abbastanza grande per sei persone» disse timidamente Bronwyn. Roanna distolse lo sguardo dal letto e fissò la bella ragazza bruna. «Mamaeth dice che dovete fare il bagno e che vi devo portare qualcosa da mettervi. Purtroppo non abbiamo molta scelta, quanto a vestiti.» «Andrà bene qualsiasi cosa» rispose Roanna. In quel momento si udì bussare alla porta. Alcune fan-tesche entrarono nella stanza portando una grande tinoz-za di legno, degli asciugamani e alcuni secchi pieni d'ac-qua calda. Per ultima arrivò una bambina con una botti-glietta. In piedi accanto al letto, Roanna assistette ai pre-parativi per il bagno. Quando la tinozza fu piena d'acqua calda, la bambina aprì la bottiglietta e versò alcune gocce nel bagno. La stanza si riempì immediatamente di un delizioso aroma fruttato. Finalmente le fantesche se ne andarono. Bronwyn chiuse gli occhi e aspirò il profumo. «Che meraviglia! Sua Signoria l'ha portato fin qui dall'Orien-

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te.» Poi lanciò un'occhiata a Roanna. «Avete bisogno d'aiuto, madamigella?» «No, grazie.» Non era abituata a essere servita in quel modo, e tutto a un tratto si sentiva molto stanca. Aveva voglia di restare da sola. «Molto bene, madamigella. Vi porterò un vestito.» Bronwyn uscì dalla stanza e si chiuse silenziosamente la porta alle spalle. Roanna si spogliò ed entrò nella tinozza. L'acqua calda e profumata l'avvolse come un abbrac-cio e l'aiutò a rilassarsi. Sospirando di piacere, Roanna si guardò intorno. A parte il letto, la stanza conteneva pochissimi mobili. Un piccolo tavolo sul quale erano posati una brocca e un ca-tino, un'unica sedia, due bracieri spenti e un baule. Cercando di allontanare i pensieri inopportuni che la vista di quel letto mastodontico le suscitava, chiuse gli occhi e appoggiò la schiena al bordo della tinozza. Improvvisamente la porta si aprì di nuovo. Sulla so-glia apparve Mamaeth, con alcuni indumenti sul braccio. «Il vostro amico se la caverà, se starà fermo e berrà la pozione che gli ho preparato, ma siccome è un uomo vorrà fare di testa sua e finirà per uccidersi» annunciò la vecchia in tono burbero. Roanna aggrottò la fronte. «Non preoccupatevi, ragazza. Gli ho detto chiaro e tondo cosa gli accadrà se si comporta da stupido, ma quando mai gli uomini danno retta alle donne?» Tutto a un tratto Mamaeth annusò l'aria. «Ah, che buono. Hanno fatto ciò che ho detto io. Immagino che adesso vi sentia-te meglio.» «Sì, credo di sì» rispose Roanna, che cominciava a sentirsi sopraffatta dall'irruenza della vecchia. «Bene. Adesso uscite di lì, prima che prendiate fred-do.»

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«L'acqua è ancora tiepida» mormorò Roanna, che non voleva mostrarsi interamente nuda a un'estranea. «Non fate la vergognosa, ragazza. Ho già visto tutto quello che c'è da vedere, perciò fareste meglio a uscire di lì. Ecco, qui c'è un telo, se volete custodire i vostri segre-ti.» Roanna prese il telo e si alzò in piedi, avvolgendoselo attorno al corpo. Mamaeth la scrutò e poi posò sul letto un vestito. «È di Bronwyn, ma ho paura che vi starà largo. Io non ho più la vista per cucire, altrimenti ve lo sistemerei.» «Io so cucire» disse Roanna. «Davvero?» «Trascorrevo quasi tutto il mio tempo cucendo. Era l'unica cosa che mio zio mi lasciava fare.» Mamaeth annuì. «Bene. Vi porterò quello che vi ser-ve.» Le si avvicinò un poco e la guardò in faccia. «Voi siete stanca, ragazza. Perché non vi riposate un po'? C'è ancora tempo prima di cena.» Roanna annuì. Il bagno caldo l'aveva spossata. La vecchia uscì frettolosamente dalla stanza. Roanna si sdraiò sul letto. Il materasso era morbidis-simo. Con un sospiro di sollievo chiuse gli occhi e dopo pochi minuti si addormentò. Poco dopo Mamaeth socchiuse la porta e sbirciò nella stanza. Roanna giaceva sul letto, ancora avvolta nel telo, i lunghi capelli neri sparsi sui cuscini. La vecchia entrò in punta di piedi e posò ago e filo sul tavolino, poi guardò la fanciulla addormentata. «È magra, ma basterà un po' di buon cibo» mormorò fra sé. «Quei fianchi sono perfetti per mettere al mondo dei bambini. Sembra una ragazza senza grilli per la testa, e come lo guarda...» I suoi occhi si riempirono di lacri-me. «Come lui guarda lei, vecchia stupida. Sì, è la donna giusta per il mio bambino.»

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Con un sorriso malizioso si avvicinò al letto in punta di piedi e scoprì le gambe e la sommità dei seni di Roan-na, poi uscì silenziosamente. «Adesso devo trovare Emryss» mormorò mentre ac-costava la porta. Emryss e Rhys, l'amministratore di Craig Fawr, si tro-vavano l'uno accanto all'altro di fronte al magazzino. Emryss sembrava a disagio. «Tutto questo non mi piace» stava dicendo Rhys. Il suo volto abitualmente sorridente era offuscato dalla preoccupazione. Con dita nervose si tirò la lunga barba nera. «È già da un po' che il barone sta aspettando di tro-vare un pretesto per attaccarci, messere.» Emryss non rispose. «Quella ragazza dovrebbe andarsene, anche se mi di-spiace per lei. È davvero una brutta faccenda. Per di più sta avvicinandosi il tempo del raccolto.» «Mamaeth dice che il suo amico morirà, se sarà co-stretto a muoversi» disse Emryss. «Che ne direste di portarla in un convento? Le suore le darebbero ospitalità» propose Rhys. «Così sarebbe al sicuro, e noi ce la saremmo tolta di torno.» Emryss esitò. In quel momento si udì sbattere una porta e la voce di Mamaeth giunse fino a loro. «Oh, voi uomini! Sempre impegnati in chiacchiere inutili. Di che cosa state par-lando?» «Rhys è preoccupato. Teme che il barone possa attac-carci, se teniamo qui Lady Roanna e il suo amico.» «Fifone!» Mamaeth lanciò un'occhiataccia a Rhys, che avvampò. «Ormai il ragno è troppo vecchio per al-lontanarsi dalla ragnatela. Lady Roanna e il suo amico dovranno fermarsi qui, almeno per alcuni giorni. La ragazza è stanca morta, e quello sciocco di un grassone

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morirà dissanguato, se sarà costretto a rimettersi in viag-gio.» Emryss scrollò le spalle. «Allora è deciso. Resteran-no.» «Non abbiamo provviste a sufficienza per resistere a un assedio» obiettò Rhys. Emryss lanciò un'occhiata alla vecchia balia, poi so-spirò. «Hai ragione, Rhys. Appena l'uomo si sarà ripreso dovranno andarsene. Nel frattempo che nessuno vada in giro a parlare di questa faccenda.» Con un'espressione sollevata, Rhys annuì. «Siamo d'accordo, allora» disse Mamaeth. «È meglio che adesso vada a dare un altro po' della mia pozione a quello sciocco. Emryss, la ragazza vuole vederti. Proba-bilmente vorrà sapere che cosa hai deciso.» Poi si diresse verso la caserma. «Gwil e gli uomini della pattuglia torneranno presto. Spero che abbiano catturato i fuorilegge» disse Emryss all'amministratore. «Avvertimi appena saranno qui.» «Sì, messere» rispose Rhys. Mentre saliva le scale che portavano nella sua stanza, Emryss si chiese se Roanna avesse deciso di raccontargli qualcosa di più circa la propria fuga da Beaufort. Giunto davanti alla porta, bussò piano ed entrò. Roanna stava dormendo sul letto, coperta a malapena da un telo di lino bianco. Il candore della stoffa faceva apparire più scuri i suoi capelli e più rosea la sua pelle. Emryss provò un fortissimo desiderio di toccarla. Di far scorrere le mani sulle sue gambe lunghe e snelle. Di baciare la sommità di ciascuno dei suoi seni. Di acca-rezzare i suoi capelli neri. Di premere le labbra contro le sue palpebre, le sue guance, le sue labbra... Con un gemito soffocato uscì dalla stanza e chiuse la porta. Senza nessuna intenzione precisa se non quella di al-

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lontanarsi il più possibile da Roanna, Emryss uscì nella corte e si diresse verso la caserma. Mentre si avvicinava udì la voce insistente di Mamaeth e quella esasperata di un uomo. Tanto per cambiare, la vecchia balia stava discutendo con qualcuno. Tutto a un tratto la porta della caserma si spalancò e Mamaeth uscì. «Continuate pure così! Vi si avvelenerà il sangue!» borbottò la vecchia mentre passava accanto a Emryss. «Ah, gli uomini!» Emryss avrebbe sorriso se non fosse stato preoccupa-to. Con un'improvvisa risoluzione entrò nell'edificio e si avvicinò a Jacques, che giaceva a letto sostenuto dai cu-scini. «Come state, amico mio?» gli chiese con sollecitudi-ne. «Bene, purché quella strega non mi faccia bere ancora la sua pozione infernale. Mon Dieu, è un insulto per il mio palato!» Jacques sollevò la testa e guardò Emryss. «E Lady Roanna? Come sta?» «Sta bene. È solo stanca, dice Mamaeth.» Emryss si sedette su uno sgabello accanto al letto. «Ditemi... Jac-ques. Com'è che vi siete trovati in questa situazione?» «Lady Roanna non ve l'ha detto?» «Mi ha detto che ha rifiutato di sposare Cynric De-Lanyea. Che suo zio l'ha imprigionata e che voi l'avete aiutata a scappare.» «È quello che è successo, messere.» Emryss si chinò un poco in avanti. «Tutto qui?» «Se è tutto quello che Lady Roanna desidera dire, è tutto quello che dirò anch'io.» «Ma che cosa aveva intenzione di fare, dopo essere fuggita? Ha qualche parente che le dia ospitalità?» Jacques scosse la testa. «Solo lo zio, di questo sono certo.» «E lui rifiuta di aiutarla?»

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Jacques sbuffò in maniera eloquente. «Non gli impor-ta nulla di Lady Roanna. Proprio nulla.» Si sporse verso Emryss e sussurrò: «La trattava peggio di una serva, quando non la ignorava, povera ragazza». «C'è per caso qualcun altro che aspira alla sua...» Em-ryss attese la risposta con il fiato sospeso. «No, messere» disse Jacques con un sorrisetto mali-zioso. «Anche se qualsiasi uomo avrebbe di che compia-cersi, se Lady Roanna gli facesse un simile onore.» Sollevato, Emryss si sforzò di riprendere il filo della conversazione. «Dove stavate andando?» «Verso sud. Lady Roanna ne ha abbastanza della pro-pria condizione di nobile nullità, messere. È orgogliosa, come ogni gentildonna, ma anche dotata di senso prati-co. Sa cucire molto bene, e aveva l'intenzione di guada-gnarsi da vivere in quel modo.» «Capisco.» Emryss guardò meglio l'uomo che giaceva sul letto e si accorse che aveva delle ombre scure sotto gli occhi. Per il momento gli aveva fatto abbastanza do-mande. Quando fece per alzarsi, Jacques gli afferrò una mano. «Lady Roanna non chiederebbe mai il vostro aiuto, mes-sere, perciò lo farò io. Lasciateci restare qui per un po'. È più provata di quanto non voglia ammettere.» «Naturalmente potete restare.» Jacques sospirò e lasciò ricadere la mano. «Adesso dovremo convincerla.» «Diteglielo. Non vi darà ascolto?» Jacques scosse la testa. «Voi non la conoscete, messe-re. È molto saggia per essere una donna, ma come tutte le donne è molto testarda. Non posso semplicemente di-re: "Fate questo". Lady Roanna è una persona molto in-dipendente.» Jacques appoggiò la testa ai cuscini e chiu-se gli occhi. «È sempre stata così, anche da bambina.» Poi riaprì gli occhi. «Dopo la morte dei suoi genitori,

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vedendo che lo zio non la mandava a chiamare, raggiun-se a piedi il suo castello perché aveva deciso che era quello che doveva fare. Pensateci, messere, una bambina di soli nove anni, tutta sola...» Jacques abbassò di nuovo le palpebre. «Quando Lady Roanna decide una cosa, non cambia idea.» «Con l'eccezione dell'uomo che sposerà» mormorò Emryss alzandosi in piedi. Jacques aprì gli occhi. «No, messere» disse in tono determinato. «Voi continuate a non capire. Avrebbe spo-sato quel pezzo di... L'uomo che faceva le veci di suo pa-dre aveva stipulato un contratto. Lei l'avrebbe rispettato, se non avesse appreso che le avevano mentito. Mi chiedo come lo sia venuta a sapere, eh, messere?» Emryss contrasse un poco le labbra. «Grazie per a-vermi parlato di lei.» «L'ho fatto perché credo che ci possiamo fidare di voi, messere.» Emryss annuì e poi uscì dalla stanza. Una voce lo chiamò dai bastioni e lui sollevò la testa. «È tornata la pattuglia!» urlò uno dei muratori. Emryss si diresse rapidamente verso il cancello, spe-rando che Gwilym e gli altri avessero catturato i fuori-legge che avevano avuto l'audacia di entrare nei suoi possedimenti. Li avrebbe puniti come si meritavano. La sua prima preoccupazione doveva sempre essere Craig Fawr. Quando la ragazza e il suo amico si fossero rimessi, se ne sarebbero dovuti andare. In fin dei conti lui non aveva nulla da offrire a una donna. Assolutamente nulla. Raynald Westercott gemette piano. Sprofondato sotto le coperte, voltò le spalle alla luce del sole che filtrava attraverso la finestra. Aveva la bocca cattiva. Il vino del barone era delizio-

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so, ma adesso stava scontando gli eccessi della sera pri-ma. Il piccolo tonfo di un ceppo che scivolava nel fuoco gli fece aprire un occhio. Nel caminetto ardeva un bel fuoco. Un terribile spreco di legna, pensò, poi si accomodò meglio nell'altrettanto dispendioso letto di piume. Una fantesca piuttosto graziosa, bionda e pettoruta, aprì la porta con esitazione. «Ebbene?» biascicò Lord Westercott. Lei sorrise, ma lui non prestò alcuna attenzione alle sue moine. «Buongiorno, messere» disse la ragazza. «Avete biso-gno di nulla?» «Vattene» ordinò lui. «Anzi, no, aspetta» aggiunse un attimo prima che la porta si chiudesse. «Portami un po' del brodo speciale del mio cuoco. Lui capirà quello che intendo.» La ragazza fece un piccolo inchino e si allontanò le-sta. Lord Westercott si abbandonò sui cuscini. Aveva un terribile mal di capo. Dove diavolo si era cacciata quella ragazza?, si chiese alcuni minuti dopo, vedendo che la fantesca non tornava. La servitù! Gentaglia miserabile e infida, sempre pronta a derubare... Improvvisamente sentì bussare alla porta. «Era ora!» esclamò mettendosi a sedere e tirandosi le coperte fin sotto il mento. Cynric DeLanyea entrò nella stanza. «Buongiorno, messere.» Il suo tono insolente era insopportabile, ma Lord We-stercott aveva troppo male alla testa per lamentarsi. «O forse non tanto buono» continuò Cynric. «Sembra che la mia deliziosa piccola sposa abbia deciso di fuggire con il vostro cuoco.»

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«Cosa?» Lord Westercott si tirò su di scatto. Una fitta dolorosissima gli attraversò il cervello. «Che cosa avete detto?» «Lady Roanna se n'è andata. E anche il vostro cuoco. Devo dire che non è molto lusinghiero avere una fidan-zata che scappa via insieme a un uomo grasso e di mez-z'età, ma così stanno le cose.» «Le tirerò il collo» borbottò Lord Westercott uscendo dal letto. Cynric si appoggiò con indolenza alla spalliera di una sedia. «Pensate che ne valga la pena?» Lord Westercott, che stava per infilarsi una vestaglia di pelliccia, si fermò e guardò il giovane uomo. «Forse, Lord Westercott, dovremmo cancellare il no-stro accordo. Evidentemente la ragazza non è interessa-ta.» Lord Westercott si erse in tutta la propria altezza. «Vostro padre e io abbiamo firmato un contratto. Non c'è altro da dire.» Cynric si avvicinò al baule aperto che conteneva i ve-stiti di Lord Westercott e sfiorò l'orlo di una tunica di velluto rosso. «Be', potrei anche mettere a tacere il mio orgoglio, forse, se la dote fosse più consistente. Ma per come stanno le cose...» Lord Westercott socchiuse gli occhi. «Molto bene. Pagherò... di più.» «Quanto?» «Venti capi di bestiame.» «Voglio dell'oro.» «Cinquanta pezzi.» «Duecento» disse Cynric. «Che cosa? Siete matto? Non ho tanto denaro.» Lord Westercott gli si avvicinò e chiuse il coperchio del baule. «Centosettantacinque.» «Cento.»

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Cynric sorrise lentamente. «Molto bene, messere. Cento pezzi d'oro e venti capi di bestiame.» «Aspettate un momento, giovane arrogante che non siete altro! Niente bestiame!» «Allora il nostro accordo è cancellato. Spero che tro-verete qualcun altro disposto a sposare quella ragazza tutta pelle e ossa.» Cynric si voltò e si diresse verso la porta. «So che è molto dispendioso mantenere una donna in convento, soprattutto se raggiunge un'età avanzata.» «Aspettate» disse Lord Westercott. Cynric si voltò. «Siete esoso, Cynric DeLanyea. Ma come avete sottoli-neato, mia nipote potrebbe essersi rovinata la reputazio-ne. Perciò vi darò quello che chiedete.» Cynric annuì e fece per andarsene. Lord Westercott lo trattenne per un braccio. Cynric guardò la mano di quel-l'uomo, poi la sua faccia. Lord Westercott ritirò la mano. «Naturalmente sono contento che siate disposto a ignorare lo strano compor-tamento di mia nipote» disse lentamente. «Sono certo che nulla di sconveniente sia accaduto con il cuoco. Mi hanno detto che le vuole bene come a una figlia.» Il sorriso di Cynric non era affatto comprensivo. «Na-turalmente vi credo, messere. Forse la mente di vostra nipote era confusa per la mancanza di cibo. Sì, sono cer-to che si tratti di questo. Forse si è già resa conto del pro-prio errore. E quando la troverò, sarà molto grata che io sia ancora disposto a sposarla, non credete? Ogni uomo dovrebbe avere una moglie riconoscente.» Lord Westercott fissò il giovane uomo. «È per questo che la sposate?» Cynric fece il gesto di spazzolare la manica della pro-pria tunica, là dove Westercott aveva posato la mano. «Le mie ragioni non vi riguardano.»

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Cynric si guardò intorno. Nella radura stava scendendo l'oscurità. Il suo cavallo era nervoso, come la colonna di soldati a piedi che lo seguiva. Sembrava che tutti temes-sero che da un momento all'altro una banda di gallesi ur-lanti potesse sbucare dagli alberi. Diede uno strattone alle redini e il cavallo si fermò. Alla propria sinistra vide una quercia schiantata da un fulmine. Alla propria destra alcuni affioramenti rocciosi s'innalzavano verso il cielo come dita puntate. Quello era il posto giusto. «Aspettatemi qui» ordinò a Fitzroy. Il mercenario an-nuì e si avvicinò al resto degli uomini. Cynric sorrise mentre smontava da cavallo. Urien Fi-tzroy era un soldato prezioso, finché obbediva senza fare domande. Attraversò con un balzo il piccolo corso d'acqua e scomparve in mezzo alla vegetazione che cresceva sulla riva opposta, chinandosi per evitare i rami più bassi. Trovò un sentiero quasi invisibile e cominciò a salire su per la collina. Quando fu a metà del pendio scorse due massi e un grande cespuglio spinoso. Masticando un'im-precazione quando le spine gli si impigliarono nella tu-nica, si fece largo in mezzo agli arbusti ed entrò in una piccola grotta.

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Immediatamente vide il bagliore di alcuni pugnali. «Metteteli via» ordinò agli uomini accucciati all'interno della cavità. Loro sogghignarono, ma rinfoderarono le armi. «Buonasera, messere» disse il loro capo con una giovialità forzata. Cercando di non mostrare il proprio disgusto per l'o-dore repellente che usciva dalla bocca dell'uomo, Cynric si sedette per terra. «Che cosa possiamo fare per voi?» chiese l'uomo con un accento che tradiva le sue umili origini. Cynric provò ancora più fastidio, ma aveva bisogno di quegli uomini privi di terre e di titoli, di quei fuorilegge che in cambio di una somma di denaro adeguata erano disposti a fare qualsiasi cosa. «Voglio che mi troviate una donna.» L'uomo fece un sorriso lascivo. «Un'altra, messere?» «Una speciale.» «Ah. State diventando schizzinoso, eh?» Con un movimento fulmineo, Cynric estrasse il pu-gnale e glielo puntò alla gola. «Ascoltatemi, pendaglio da forca, voglio che mi troviate una ragazza, giovane, bruna e magra, che sta viaggiando con un uomo grasso. Voglio che la prendiate e la portiate da me senza farle neppure un graffio. Avete capito?» «Calma, messere, calma.» Cynric rinfoderò il pugnale e l'uomo si ritrasse un po-co. «Avete detto bruna e con un uomo grasso?» Cynric notò l'espressione rapace dei suoi occhi. «Sì. Che cosa sapete?» «Be', forse so qualcosa, messere, e forse no.» Cynric aprì la borsa che portava attaccata alla cintura e gettò alcune monete nella caverna. Gli altri banditi si affrettarono a raccoglierle, ma il capo rimase fermo. «Adesso ditemi quello che sapete.»

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«Abbiamo visto due persone simili a quelle che ci a-vete descritto, messere. Le abbiamo avute fra le mani, per così dire.» Cynric socchiuse gli occhi ma non disse nulla. «Stavamo per divertirci un po', ma siamo stati in-terrotti.» Il capo dei banditi prese una borraccia di vino. «Tutto questo parlare mette sete, messere. Volete un sor-so?» «No, non voglio. Spicciatevi! Chi vi ha interrotto?» «Quelli di Craig Fawr.» Il capo dei banditi vide che Cynric tratteneva il fiato e decise che avrebbe dovuto chiedere più denaro per quel lavoro, se era così impor-tante. Di solito il giovane DeLanyea dava gli ordini re-stando impassibile. «Era un vero e proprio squadrone. Cinquanta o sessanta uomini. Ce n'era uno nuovo con loro... un ottimo guerriero, cieco da un occhio, ma se n'è andato quasi subito.» «E la ragazza?» «Non lo so, messere. Non ho aspettato di vedere cosa le fosse successo, se capite quello che intendo. Siamo venuti subito qui. Quasi non ce la facevamo, ma poi li abbiamo seminati.» Cynric infilò una mano nella borsa e ne trasse una moneta d'oro. Gli occhi del capobanda s'illuminarono. Cynric gliela lanciò. «Ce ne saranno delle altre, se mi porterete quella ragazza.» «E l'altro lavoro che ci avete affidato, messere?» «Fate quello che volete sulle terre di Emryss, purché vi teniate alla larga dalle mie. Ma trovatemi quella ra-gazza.» «Faremo del nostro meglio, messere... visto che siete tanto generoso. E che cosa dovremmo fare dell'uomo grasso, se lo troviamo?» «Uccidetelo.» Nel salone di Craig Fawr, Gwilym ed Emryss si tro-

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vavano l'uno accanto all'altro. Attorno a loro c'era un viavai di servitori che apparecchiavano i tavoli, spronati dall'onnipresente Mamaeth. Emryss strinse i denti. Era furibondo. I banditi che avevano attaccato Lady Roanna e il suo amico erano riu-sciti a far perdere le loro tracce. I suoi uomini li avevano cercati finché c'era stata luce, e poi erano tornati indietro. Gwilym allungò una mano per prendere un pezzo di pane, ma Mamaeth gliel'allontanò con una pacca. «E co-sì si è messa in testa di scappare, eh?» Emryss tamburellò con le dita sul piano del tavolo. «E perché no? La volevano costringere a sposare Cynric. Qui sta molto meglio.» «Per adesso, forse.» «Certo, per adesso.» Emryss strinse i pugni e continuò a parlare a voce bassa. Gli abitanti di Craig Fawr stavano affluendo a poco a poco nel salone per il pasto serale. «Cynric l'ha accusata di mentire quando lei gli ha detto che non l'avevo violentata.» «Vorrei averlo fra le mani!» sibilò Gwilym. «Io ho il diritto di precedenza» rispose Emryss. In quel momento Roanna apparve sulla soglia. L'abito nuovo fasciava alla perfezione il suo corpo snello. I suoi capelli erano stati spazzolati con cura e formavano una specie di nuvola scura attorno al suo bel volto. Emryss incontrò il suo sguardo e si ricordò che presto quella fanciulla se ne sarebbe dovuta andare. Roanna sbatté le palpebre, abbagliata dalla luce di tante candele. Candele di ottima qualità, ben diverse da quelle economiche che usava suo zio. Quando entrò nel salone, la piccola folla che era lì radunata fece silenzio. Roanna esitò, non sapendo dove andare a sedersi. In quel castello era un'intrusa, non un'amica o un'ospite gra-dita. Abbassò gli occhi e attese.

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Sentendo una specie di brusio soffocato sollevò lo sguardo. Emryss stava dirigendosi verso di lei. L'espres-sione del suo viso era solenne. Quando lui le porse il braccio, Roanna trattenne il fia-to. Gli posò le dita tremanti sulla manica e si lasciò ac-compagnare a tavola. Emryss le indicò il posto alla propria destra, quello riservato agli ospiti d'onore, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Roanna si guardò timidamente intorno e non vide al-cuna sorpresa sulle facce dei presenti. Tutti la stavano osservando con curiosità, ma senza disapprovazione. Quando Emryss si sedette gli altri commensali fecero lo stesso, in silenzio. Roanna allungò un poco il collo e cercò con lo sguar-do il prete che avrebbe benedetto il cibo. I tavoli erano apparecchiati, il vino era stato versato e gli aromi che giungevano dalla cucina erano appetitosi, tuttavia nessun sacerdote si alzò in piedi per pronunciare la preghiera di ringraziamento. Intorno a lei gli abitanti di Craig Fawr cominciarono a spezzare il pane e il suono delle loro vo-ci riempì la sala. «Perdonate, messere, ma nessuno dice la preghiera di ringraziamento?» domandò a Cynric. Per la prima volta da quando era entrata nel salone lo guardò dritto in fac-cia, e si rese conto di essere seduta dal lato dell'occhio mancante. Emryss continuò a fissare il proprio calice, che Bron-wyn stava riempiendo di vino. «Non voglio preti qui dentro. Ne ho già visti fin troppi in Terrasanta.» Roanna cercò di nascondere la propria reazione scan-dalizzata. Perfino Lord Westercott alloggiava un vecchio prete nel proprio castello e, stando a quello che le aveva detto Cynric, il Barone DeLanyea aveva speso una som-ma considerevole di denaro per costruire un grande mo-

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nastero nei possedimenti di Beaufort. La Chiesa era troppo importante per offenderla in quel modo, e inoltre il benessere spirituale dei fittavoli richiedeva la presenza di un prete al castello. Ma il tono di Emryss non ammetteva repliche. Il profumo del pane appena sfornato le solleticava le narici. Era passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che aveva mangiato, e il cibo posato davanti a lei sem-brava più appropriato per un banchetto che per un pasto normale. Sperando che il Signore la perdonasse, Roanna si fece il segno della croce e benedì silenziosamente il cibo. Mentre mangiava, si mise a osservare gli altri com-mensali. Sebbene non capisse il gallese, si sforzò di co-gliere l'intonazione delle loro voci. Concentrarsi non era facile, con Emryss così vicino. La sua presenza le toglie-va il fiato e le faceva battere più forte il cuore. Roanna era consapevole di ogni suo più piccolo movimento e sentiva perfino il leggero odore di cuoio che emanava dai suoi vestiti. Il cibo era squisito, abbondante e incredibilmente va-rio. Il pane bianco che veniva servito al tavolo alto era ottimo, ma anche quello scuro destinato ai commensali più umili sembrava di una qualità superiore rispetto alla media. Mentre masticava un boccone di pane, Roanna lanciò un'occhiata a Emryss. Forse si era seduta per troppo tempo alla tavola di uno spilorcio, e aveva dimenticato la generosità della maggior parte dei gentiluomini. Al tavolo alto vennero serviti in rapida successione grandi vassoi di carne di montone, di maiale, di manzo e di gallina, ciascuna accompagnata da una salsa diversa. Poi arrivarono dei gnocchetti fatti di pane e uova sbattu-te, cotti nel brodo di pollo. Nel frattempo vino e birra scorrevano a fiumi. Sebbene fosse tentata, Roanna si

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sforzò di bere pochissimo. Non voleva correre il rischio di perdere l'autocontrollo. Mentre i servitori andavano avanti e indietro, Roanna notò che Bronwyn rallentava l'andatura ogni volta che passava accanto al tavolo alto. L'oggetto delle sue atten-zioni non era il signore del castello, bensì Gwilym. Que-st'ultimo però la ignorava, e continuava a conversare con Emryss. «Potrei avere un po' di vino, per favore?» chiese Ro-anna in modo da attirare l'attenzione sulla povera ragaz-za. Sentendo la sua voce, Emryss trasalì. Finalmente si era decisa a parlare, anche se solo per chiedere del vino. Da quando era cominciato il pasto lei non l'aveva degna-to neppure di una parola, e ciò lo aveva irritato. Cercando di non guardare le esili dita di Roanna men-tre si allungavano verso una mela, Emryss cominciò a giocherellare con il proprio bicchiere e ad ascoltare di-strattamente quello che gli stava raccontando Gwilym. «Emryss!» Lui si voltò verso il fratello d'arme. «Smettila di giocare con quel bicchiere! Bevi, oppure non bere, ma deciditi. Mi stai facendo diventare matto!» Emryss si sforzò di assumere un'espressione divertita e si portò il bicchiere alle labbra. Senza volerlo sfiorò la manica di Roanna e sussultò come se fosse stato schiaf-feggiato, versando un po' di vino sul tavolo. Per fortuna Gwilym non se ne accorse. «I fuorilegge devono conoscere bene il territorio» dis-se Emryss per non pensare alla donna seduta al proprio fianco. «Direi di sì, a giudicare dal fatto che sono spariti. Si sono dileguati come neve al sole, e dire che avevamo con noi i migliori battitori.» «È possibile che qualcuno dei nostri li abbia aiutati?»

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Emryss detestava pensare a quell'eventualità, ma non po-teva scartarla. «No... non è possibile. Quei banditi derubano chiun-que, che sia gallese o normanno. Nessuno dei nostri da-rebbe aiuto a gentaglia del genere, ne sono certo. Ma i DeLanyea...» Gwilym assunse un'espressione eloquente. «Credi che arriverebbero a tanto?» «Sono convinto che userebbero qualsiasi mezzo, per quanto ignobile. Sono senza onore.» Emryss sospirò. «Mio Dio, sapevo che Cynric era un farabutto, ma almeno aveva qualche principio etico.» «Molto tempo fa, amico mio.» Emryss si appoggiò allo schienale della sedia e impre-cò in gallese. «Vi chiedo scusa, messere?» Emryss si voltò e guardò Roanna. La sua ospite aveva un'espressione confusa. «Non era... nulla d'importante, madamigella.» Poi si accorse che il suo piatto era vuoto. «Vedo che avete gra-dito il cibo.» Lei arrossì leggermente. «Era delizioso.» Poi abbassò lo sguardo. «Sono convinta che Jacques darebbe dieci anni della sua vita per poter lavorare con del cibo come questo.» Emryss dovette farsi forza per non accarezzarle una guancia. «Anche se non viene detta la preghiera di rin-graziamento?» «Sarebbe appropriato ringraziare il Signore per tanta abbondanza» ribatté lei. Emryss non disse nulla. Non intendeva scusarsi per il fatto che alla sua tavola non era ammessa l'ipocrisia del-la Chiesa. Tutto a un tratto Rhys, l'amministratore, disse qualco-sa in gallese, a voce alta. Tutti i presenti cominciarono a urlare: «Emryss! Emryss!» e a picchiare i palmi delle

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mani sui tavoli e a battere i piedi per terra. Il rumore era assordante. Roanna si guardò intorno, chiedendosi che cosa aves-se causato tutta quell'eccitazione. Emryss sollevò una mano per chiedere silenzio e pronunciò alcune parole. I presenti gli risposero con un altro coro di esclamazioni e lui chinò la testa per esprimere il proprio assenso. Si alzò in piedi, bevve un sorso di vino e si diresse verso l'angolo accanto al camino. Roanna notò che in quel punto era collocata una piccola telyn, la tipica arpa gallese. Mentre gli abitanti di Craig Fawr continuavano a urlare, Emryss sollevò l'arpa. Sotto lo sguardo incredulo di Roanna, il signore del castello cominciò a sfiorare delicatamente le corde dello strumento e poi si mise a cantare con una bella voce di basso. Dopo le prime note Roanna si sentì sopraffatta dalla dolcezza di quella melodia e dal tono struggente della voce di Emryss. Sebbene non capisse il gallese, la can-zone le andava dritto al cuore. Le ultime note echeggiarono fra le pareti di pietra. Per un attimo nessuno parlò, poi la sala si riempì di nuovo di urla e di applausi. Emryss annuì e chiamò Mamaeth. Questa volta cominciò a suonare un motivetto allegro e la sua vecchia balia si mise a cantare con la sua voce gracchiante. A giudicare dai gesti e dalle smorfie con i quali accompagnava le parole, doveva trattarsi di una canzone scollacciata. Ben presto tutti i presenti comin-ciarono a ridere e a cantare insieme a lei. Roanna si guardò intorno e si sentì terribilmente sola e isolata. In mezzo a tutta quella gente, lei era un'estra-nea, unica normanna fra tanti gallesi. Mentre inghiottiva un singhiozzo, si rese conto che Gwilym le stava parlando. «Bella canzone, eh, madamigella? Il nostro Emryss è

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un ottimo bastynwr... menestrello, cioè» disse con voce leggermente impastata, chinandosi un poco verso di lei. «Davvero bella» rispose Roanna abbassando lo sguar-do. Tutto a un tratto si vergognò di essere stata sul punto di piangere per una canzone. «È sua, sapete. L'ha inventata lui.» Gwilym rise forte. «Magari sapesse combattere altrettanto bene!» «Se volete scusarmi, avrei bisogno di un po' d'aria» mormorò Roanna alzandosi in piedi. Si diresse rapida-mente verso la porta del salone e uscì all'aperto. Era una notte estiva tiepida e silenziosa. La luna splendeva nel cielo senza nuvole e le stelle sembravano ammiccare. Una scaletta conduceva ai bastioni. Roanna sollevò l'orlo della gonna e salì. Quando giunse in cima guardò il villaggio sottostante e respirò a pieni polmoni l'aria fre-sca della sera. A poco a poco cominciò a sentirsi più calma. Dal salone giungevano fino a lei gli echi delle canzoni, ma lì non la disturbavano più. Davanti ai suoi occhi si estendeva la campagna, simile a un mare cupo e immobile. «Spero che non vi sentiate poco bene.» Roanna non si era accorta dell'arrivo di Emryss. Sen-tendo la sua voce fu pervasa da un'ondata di calore. Si voltò e vide che il chiaro di luna illuminava il suo volto. La benda nera sulla palpebra destra era solo un'ombra fra le tante. «Avevo bisogno di un po' d'aria fresca.» Lui annuì e guardò il panorama. «Bello, non è vero?» «Sì.» «Mio Dio, quanto mi è mancato!» «Siete stato lontano per molto tempo?» Adesso che erano soli, Roanna non provava più tanta soggezione nei suoi confronti. «Ben undici anni.» Emryss si voltò a guardarla. Ro-

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anna non vide traccia di autocommiserazione sul suo volto. «Mi hanno abbandonato, sapete. Ad Acri, una del-le gloriose vittorie di Riccardo.» La sua espressione fa-ceva capire chiaramente che cosa ne pensasse di quella gloria. Poi però sorrise. «Mi credettero morto, immagi-no. Per fortuna Abram mi trovò mentre cercavo di allon-tanarmi dal campo di battaglia e curò le mie ferite. Ma quando fui di nuovo in grado di camminare, Riccardo era già partito.» «Non c'era nessuno che vi potesse aiutare?» «Era pericoloso anche per Abram, dopo quello che Riccardo aveva fatto alla guarnigione musulmana che era stata sconfitta.» «Che cosa aveva fatto?» mormorò lei. «Riccardo ordinò che tutti i difensori fossero allineati fuori della città, legati con delle corde, e poi li fece ma-cellare come animali.» Emryss distolse lo sguardo e ag-grottò la fronte, come se quel ricordo gli facesse ancora male. Come se potesse ancora udire le urla degli uomini morenti. «Dopo di ciò, la vita di un crociato non ebbe più alcun valore per il Saladino.» Poi scosse la testa. «Riccardo era valoroso in battaglia, ma a parte questo era uno sciocco. In ogni caso, dovetti fare il viaggio di ritorno senza denaro, senza cavallo e senza la mia arma-tura.» «Come faceste?» Roanna ebbe l'impressione di vederlo arrossire leg-germente, ma forse si era trattato solo di uno scherzo del chiaro di luna. «Mi pagai il viaggio cantando. Non avevo armi, per-ciò non potevo trovare impiego come mercenario. E poi non ero sicuro che la gamba ferita avrebbe retto sul campo di battaglia. Ma sono sopravvissuto... e questo è quello che conta. Jacques mi ha detto che anche voi ave-te fatto un bel viaggio da sola, una volta.»

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Roanna si ritrasse un poco. La vicinanza di quell'uo-mo le impediva di riflettere. «È andata davvero così?» insistette lui, un po' dubbio-so. «Avete raggiunto a piedi il castello di vostro zio?» Roanna si voltò a guardarlo. «Sì.» «È stata un'impresa coraggiosa.» La sua voce, gentile e suadente, le fece l'effetto di una carezza. «Era l'unica cosa da fare.» Emryss le si avvicinò un poco. «Non avevate paura?» Roanna gli voltò la schiena, sperando che lui se ne andasse e allo stesso tempo temendo che lo facesse. «Ero terrorizzata.» Poi alzò gli occhi verso il cielo. «Mi sono detta che ogni stella era un angelo che vegliava su di me.» Lui le posò le mani sulle spalle. «Credo, Roanna, che abbiate fatto un viaggio molto più difficile del mio, per-ché almeno io stavo tornando a casa.» «Spero di trovare anch'io una casa, quando ce ne an-dremo di qui.» Lui sorrise con calore. «Jacques non potrà mettersi in viaggio ancora per un po'. Nel frattempo...» «Jacques e io dobbiamo andarcene di qui il più presto possibile. È troppo pericoloso.» «Perché non lasciate che sia io a preoccuparmi degli eventuali problemi?» «Perché il problema sono io, messere. Non sono più una bambina. Non mi si può mandare a dormire con una carezza sulla testa.» «Mi dispiace» mormorò lui. «So che non siete stupi-da.» «No, non lo sono. Non lo siete neppure voi, messere, ma sembrate convinto che Cynric e suo padre siano degli ignoranti e degli imbecilli, incapaci di sconfiggervi in un combattimento leale. Può darsi che sia così... se un simi-le combattimento avesse luogo. Io vi devo molto, messe-

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re, perciò vi prego di ascoltarmi. Lo sapete che i vostri nemici si sono fatti degli amici potenti a corte? Amici che non sanno che farsene di coloro che hanno servito Riccardo Cuor di Leone? Adesso il potere è nelle mani di Giovanni Senzaterra, che non esita a usarlo a proprio vantaggio.» «E allora? Che cosa me ne importa? Io non voglio più saperne dei re normanni.» «Il barone non combatterà con uomini e armi. Com-batterà con la legge e l'influenza. È per questo che vole-va che Cynric mi sposasse, perché mio zio ha amici po-tenti che gli devono parecchi favori. Cynric mi ha anche detto di come lui e suo padre abbiano attirato i monaci più istruiti nel nuovo monastero costruito nei possessi di Beaufort, e i monaci sono esperti in tutte le branche del diritto. Possono portarvi via le vostre terre senza alzare neppure un dito, se hanno dalla loro il diritto e il potere.» Emryss chinò il capo e si passò una mano sulla bocca. «Allora come posso combattere contro di loro?» mormo-rò quasi parlando fra sé. «Imparando anche voi il diritto, oppure trovando qual-cuno che lo conosca.» Emryss sollevò la testa, e lei trattenne il fiato vedendo l'intensità del suo sguardo. «Voi conoscete il diritto, Roanna?» le chiese prendendole le mani nelle proprie. «No» sussurrò lei. «Non so neppure leggere.» «Peccato, perché altrimenti vi avrei chiesto di restare e di aiutarmi.» Poi la strinse a sé e le baciò le labbra. Istintivamente, Roanna sollevò le mani e gli sfiorò il viso. Forse, finalmente, la sua solitudine era finita. Ma a quale prezzo, per lui e per coloro che dipende-vano da lui? E che ne sarebbe stato del suo onore, se gli si fosse concessa?

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Con un piccolo gemito, Roanna allontanò le mani. «No... non posso!» «Sopportare di toccare la mia faccia?» chiese lui con la voce piena di angoscia. «No, Emryss. Io vi amo! Ma non posso. Non devo!» Poi si voltò e corse via.

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La pioggia cadeva dal cielo grigio e batteva contro il muro come fosse ghiaia. Roanna si alzò dal grande letto e andò alla finestra. Nel corso della notte aveva visto le nubi riempire il cielo e coprire le stelle. Il sonno era giunto solo dopo molte ore, ed era stato agitato, pieno di sogni. Non riusciva a smettere di pensare a Emryss e ai sen-timenti che si agitavano dentro di lei. Quei pensieri non le davano pace. Coperta solo dalla sottoveste, con i piedi nudi sul pa-vimento di pietra, Roanna rabbrividì. Aveva bisogno di andare a messa. Assistere alla fun-zione religiosa l'avrebbe sicuramente aiutata, e forse do-po avrebbe saputo cosa fare. Si udì un colpetto alla porta ed entrò Bronwyn con una brocca piena d'acqua calda. La posò sul tavolino e senza troppo entusiasmo augurò a Roanna il buongiorno. Roanna la guardò di sottecchi mentre indossava il vestito. «Dove viene celebrata la messa?» «Scusate, madamigella?» «Dove posso andare ad ascoltare la messa?» Bronwyn arrossì. «Madamigella» cominciò, poi s'in-terruppe. Roanna aspettò pazientemente che si decidesse

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a continuare. «Madamigella, qui non si celebra la messa, eccetto la domenica.» Roanna aggrottò la fronte. «Fate la prima colazione senza aver prima ascoltato la messa?» «Sì, madamigella» rispose Bronwyn arrossendo anco-ra di più. Roanna non fece commenti. Evidentemente Emryss DeLanyea non aveva spazio per la religione nella propria vita, ma non era una buona ragione per obbligare i suoi servi a farne a meno. Si alzò e uscì dalla stanza, decisa ad ascoltare comunque la messa. Mentre si avvicinava al salone udì un clangore di spa-de e affrettò il passo. Un gruppetto di spettatori, con dei bicchieri di birra in mano, stavano incitando e applaudendo due uomini im-pegnati in un combattimento. Roanna si sollevò sulla punta dei piedi e allungò il collo per cercare di vedere chi fossero i due combattenti. Emryss e Gwilym, entrambi nudi fino alla cintola, stavano duellando. Emryss si era tolto la benda nera che gli copriva l'orbita vuota, e il suo torace era segnato da una miriade di piccole cicatrici. Un lungo segno rossa-stro partiva dal capezzolo sinistro e spariva dentro la calzamaglia. Le urla d'incoraggiamento crebbero e si mischiarono al ticchettio della pioggia che cadeva sul tetto. I due combattenti, ansimanti e coperti di sudore, si stavano fronteggiando con le ginocchia piegate e il busto chino in avanti. I pesanti spadoni sembravano pendere inerti dalle loro mani. Tutto a un tratto, nello stesso istante, le due lame si sollevarono e s'incrociarono. I due uomini cominciarono a girare in tondo, senza smettere di fissar-si. Mentre guardava Emryss, Roanna si avvicinò un po-co. Lui si appoggiava prevalentemente sulla gamba de-

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stra e teneva la testa voltata verso destra per compensare la mancanza di un occhio. Le sue spalle erano larghe e massicce, le sue braccia muscolose. Poi lui la vide. Si raddrizzò e ignorando le proteste di Gwilym si di-resse verso di lei. Roanna lo guardò senza sapere cosa dire. Si sentiva imbarazzata per quello che era avvenuto la sera prima in cima ai bastioni. «Ditemi.» Emryss attese. Roanna si fece coraggio e raddrizzò le spalle. «Dove posso andare ad ascoltare la messa?» Lui sollevò leggermente le sopracciglia. Con la coda dell'occhio, Roanna vide che gli altri uomini si stavano lanciando delle occhiate. Continuando a guardare in faccia Roanna, Emryss porse la propria spada a Gwilym. «In una chiesa, imma-gino.» Gli altri ridacchiarono. «Dove posso trovarla?» Lui s'infilò lentamente la camicia. «C'è una chiesetta in paese, lungo la strada che fiancheggia il bosco. Un converso vi celebra la messa nei giorni feriali.» «Grazie.» Roanna si allontanò, determinata ad appari-re calma e distaccata quanto lui. Tuttavia si sentiva più felice di quanto non fosse mai stata in vita sua. Emryss teneva a lei. A modo suo, certo, ma teneva a lei. Se n'era accorta dall'intensità del suo sguardo. «Annegherete, con tutta questa pioggia!» Le parole di Emryss strapparono una risata agli altri uomini. Roanna scrollò le spalle e prese uno dei mantelli ap-pesi a un attaccapanni nell'ingresso, poi aprì la porta. La pioggia e il vento la investirono con violenza, ma lei uscì ugualmente nel cortile pieno di fango. «Per le piaghe del Salvatore, che ragazza ostinata!»

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esclamò Gwilym quando la porta si fu richiusa alle sue spalle. «È matta?» Emryss prese il bicchiere di birra che gli era stato of-ferto e s'incamminò verso il tavolo sulla piattaforma. Gli altri uomini, rendendosi conto che l'esercitazione era fi-nita, sedettero sulle panche allineate lungo la parete e cominciarono a parlottare fra di loro. Emryss si lasciò cadere sulla propria sedia. Gwilym prese posto accanto a lui. «E ha anche intenzione di farsi suora, visto che è disposta a inzupparsi sotto questo di-luvio?» gli chiese sperando di farlo sorridere. «Come faccio a saperlo?» «Vedrai che Mamaeth dovrà curarli tutti e due. Forse deciderà di tornare indietro.» Emryss non disse nulla e ruppe il pezzo di pane che aveva davanti in pezzetti sempre più piccoli. Dopo una notte insonne e tutto quell'esercizio fisico era esausto, ma non era riuscito a togliersi dalla mente la fanciulla dai capelli neri che la sera prima aveva detto di amarlo. E che lui amava, anche se non avrebbe mai potuto dir-glielo. Rendendosi conto che era meglio lasciare stare Em-ryss, Gwilym cominciò a mangiare il proprio pane in si-lenzio. Tutto a un tratto la porta del salone si spalancò e una figuretta in disordine entrò barcollando. «Messere!» Il piccolo Hu stava ansimando. La sua voce era poco più di un bisbiglio. Emryss si alzò e gli corse incontro. «Che cosa c'è? Cosa è successo, Hu?» gli chiese abbracciandolo. «Le pecore. Il gregge di Ianto. Uccise...» Mamaeth apparve sulla soglia e quando vide il ragaz-zino aggrottò la fronte. «Mamaeth, occupati di lui. Dagli qualcosa da mangia-re e degli abiti asciutti. Gwilym, metti insieme una pat-

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tuglia.» Emryss accarezzò i capelli fradici di Hu e gli sorrise in maniera rassicurante. «Sei stato molto bravo, Hu.» Mamaeth avvolse il ragazzino in un mantello e lo condusse in cucina. Emryss s'infilò il giustacuore di pel-le e fece per prendere il mantello, ma non lo trovò. L'a-veva preso lei. Con un'imprecazione afferrò la spada e uscì nella corte. Gwilym e gli altri erano già a cavallo. Uno degli staf-fieri stava finendo di sistemare la sella di Emryss. Lui montò in fretta e sollevò una mano. Il piccolo drappello uscì dalla corte al galoppo. Non fu facile cavalcare sotto la pioggia battente fino alla prateria dove pascolavano le pecore di Ianto. Duran-te il percorso gli uomini cercarono le eventuali tracce la-sciate dai ladri o da un branco di lupi, tenendo d'occhio allo stesso tempo il sentiero cosparso di sassi. Finalmente raggiunsero il pascolo. Ianto era al margi-ne opposto della prateria, immobile. Emryss e i suoi uo-mini cavalcarono verso di lui. Mentre si avvicinavano, videro per terra le carcasse decapitate di diverse giovani pecore. Sarebbe potuta es-sere l'opera di una volpe. A volte le volpi facevano cose del genere, anche se nessuno sapeva perché. L'unico al-tro animale capace di uccidere in maniera gratuita era l'uomo. Emryss provò una fortissima rabbia. Che spreco inau-dito! Se le avessero uccise degli uomini affamati e biso-gnosi se le sarebbero portate via, e una cosa del genere sarebbe riuscito a capirla. Ma lasciare dei cadaveri muti-lati... Ianto, accompagnato come sempre dal suo cane Mott, andò loro incontro. «Hu è stato veloce, eh?» «Già. Quando è successo?» chiese Emryss. «È difficile dirlo, messere. Sotto le pecore il terreno è

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asciutto, perciò dev'essere stato prima della pioggia. Do-po avervi mandato Hu ad avvisarvi ho continuato a cer-care, ma non ho trovato nulla.» «Una volpe?» «Forse.» «Manca qualche pecora?» «Può darsi. Ce ne sono almeno altre dieci che vagano qui attorno. Se hanno sentito l'odore della volpe potreb-bero essersi allontanate.» «Già.» Emryss si guardò intorno. Le pecore avrebbero potuto allontanarsi, perché non erano radunate in un gregge. Ogni pecora imparava dove pascolare dalla ma-dre, generazione dopo generazione, e raramente si allon-tanava a meno che non fosse costretta a farlo. Un lampo bruno rossastro attraversò la prateria. Mott, il cane, si gettò immediatamente all'inseguimento, ab-baiando. «Prendiamola» urlarono gli uomini smontando da ca-vallo e mettendosi a correre dietro la volpe. Ma la loro preda era troppo veloce e troppo furba. Attraversò a tutta velocità un piccolo corso d'acqua a un'estremità della prateria e scomparve. Mott si buttò nell'acqua senza esi-tazione, ma giunto sulla riva opposta non riuscì più a ri-trovare la traccia odorosa e dovette tornare indietro. Quando fu di nuovo accanto al padrone, sollevò gli occhi su di lui come se volesse chiedergli scusa. Gli uomini di Emryss attraversarono il piccolo corso d'acqua, ma della volpe non c'era più traccia. «Credi che sia stata lei?» chiese Emryss al pastore. «È impossibile dirlo, messere. Potrebbe essere stata lei. O magari no.» Emryss annuì. «Manderò alcuni uomini a fare la guar-dia per qualche giorno, giusto per essere certi.» «Sì, messere.» «Riporterò indietro Hu io stesso.»

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«Grazie, messere. Ne sarà felice.» Emryss sorrise. Hu era stato il primo ad avvistarlo quando era tornato a casa, e aveva nei suoi confronti un atteggiamento possessivo. Emryss non poteva negare che l'adorazione del bambino lusingasse la sua vanità. «Credo che sia meglio riunire gli agnelli subito dopo il raccolto» disse Ianto. Durante l'inverno gli agnelli di un anno venivano tenuti nella valle, perché non erano ancora abbastanza robusti da poter pascolare sulle colli-ne. «Giusto» rispose Emryss. Poi diede una pacca sulla spalla del vecchio amico. I due uomini si guardarono, uniti dalla comune perdi-ta. Emryss sapeva bene che per il pastore le pecore erano un po' come dei figli. Ianto fischiò per richiamare il cane e si allontanò con l'andatura decisa e le ginocchia leggermente piegate di un uomo nato e sempre vissuto fra quelle colline. Emryss ordinò ai suoi uomini di raccogliere le carcas-se delle pecore perché fossero tosate e poi macellate. Mentre si incamminava verso il proprio cavallo, Gwi-lym lo raggiunse. «È meglio chiedere al vecchio Daffyd di dare un'occhiata, vero?» «Già.» Il vecchio pastore sarebbe stato in grado di dire loro a chi dare la caccia, animali o uomini. La pattuglia rimontò in sella e si diresse verso Craig Fawr. Quando raggiunsero la valle, la pioggia era cessa-ta. Emryss sollevò una mano per asciugarsi la faccia. Mentre sfiorava la cicatrice fu costretto a soffocare una imprecazione. Santo Dio, non voleva ricordare il tocco leggero di lei sul proprio viso devastato. Aveva già perso abbastanza sonno. Un brivido lo attraversò da capo a piedi. Stringendo i

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denti, si disse che era stato lontano dal Galles per troppo tempo, se non riusciva neppure a riabituarsi a un acquaz-zone estivo. Sperando che nessuno dei suoi uomini aves-se notato quella debolezza, si guardò intorno e poi spro-nò il cavallo. Prima fosse arrivato a Craig Fawr meglio sarebbe stato. Roanna aveva sentito freddo fin da quando aveva rag-giunto la chiesetta di legno del villaggio, ma finalmente la messa era finita. Si alzò in piedi e con le ginocchia che le facevano male si avviò verso la porta. La pioggia era cessata. Il sentiero che conduceva alla fortezza era pieno di fango, ma non c'era modo di evitar-lo. Alcuni abitanti del villaggio, ben imbacuccati nei loro pesanti mantelli, le passarono accanto senza dire nulla. Roanna non se la sentì di biasimarli. Sapeva di costituire uno spettacolo curioso, con i capelli fradici che le pen-devano giù per la schiena e l'abito bagnato. Si coprì la testa con un lembo del mantello e sentì o-dore di cuoio e di metallo. Il proprietario di quell'indu-mento doveva essere uno dei soldati. Probabilmente si era arrabbiato, quando si era accorto che era sparito. Roanna era contenta di avere assistito alla messa. Per un po' di tempo era riuscita a togliersi dalla mente Emryss e i suoi baci. Tutta presa dai suoi pensieri, s'incamminò su per il sentiero scivoloso stringendosi addosso il mantello. Finalmente passò sotto la saracinesca e attraversò la corte, dirigendosi verso la caserma. «Gattina! Che delizia per i miei occhi! Come sono contento di vedervi!» La voce di Jacques echeggiò nel-l'edificio vuoto. Roanna si tolse il mantello e lo scosse, facendo volare tutto intorno minuscole goccioline d'acqua. Poi lo appese

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a un attaccapanni e si avvicinò al letto di Jacques. «Come stai, Jacques?» gli chiese con voce sommessa. «Meglio, nonostante quella donna detestabile e i suoi veleni.» Il cuoco si chinò un poco in avanti, facendo scricchiolare il letto. «Credo che sia stato il cibo. Ah, che pasto! Che bontà!» Batté le mani grassocce e con un so-spiro si appoggiò di nuovo ai cuscini. «Pensate che cosa potrebbe fare un genio come me in quella cucina!» Roanna prese uno sgabello e si sedette accanto a lui. «Mi fa piacere che ti senta meglio.» Jacques abbassò la testa e la guardò con attenzione. «E voi, gattina? Come state voi?» «Molto bene» rispose lei dopo una lieve esitazione. «Lord DeLanyea è assai generoso.» «Un uomo generoso, nobile e onorevole, non siete d'accordo, piccola mia?» Roanna si alzò e si avvicinò alle finestre. «Sì, lo penso anch'io» rispose guardando verso la corte. «E anche molto intrigante, non è vero?» «Già.» «È un peccato che ce ne dobbiamo andare di qui.» Jacques sospirò rumorosamente. «A questa gente procureremmo solo dei guai.» «Lord DeLanyea non è preoccupato, penso.» Roanna si voltò di scatto. «Farebbe meglio a esserlo.» Jacques spalancò gli occhi per la sorpresa vedendo che la sua pupilla era arrossita, ma riprese subito la solita espressione gioviale. «Be', per oggi non ci preoccupere-mo di questo. È già abbastanza essere stati salvati da quei briganti.» Poi lanciò un'occhiata al vestito di Roan-na. «Credo che siate stata qui abbastanza, madamigella. Prenderete di certo un raffreddore, con quell'abito bagna-to.» In quel momento Mamaeth si affacciò sulla soglia, un calice fumante in mano. «Mon Dieu, ancora le vostre pozioni infernali!»

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«Dite pure la mia medicina, sciocco che non siete al-tro. Ma avete ragione.» La vecchia si fermò di fronte a Roanna. «Andate a togliervi quel vestito, altrimenti do-vrò curare tutti e due.» «Un destino peggiore della morte, ve lo assicuro» mormorò Jacques. «Non ho un altro vestito» cominciò a protestare Ro-anna, ma la vecchia la interruppe. «Quello con cui siete arrivata è stato lavato e ram-mendato. Bronwyn l'ha portato in camera da letto. Non è un granché come vestito, ma è meglio che niente.» Roanna annuì. «Grazie.» Poi si chinò e baciò Jacques sulla fronte. «Abbi cura di te. Tornerò più tardi.» «Se sopravvivo alla medicina di questa donna» rispo-se lui in tono aspro. Roanna sorrise e se ne andò, portando via con sé il mantello. Mamaeth si voltò verso il proprio paziente. «Davvero una brava ragazza. Discreta... sa sempre quando ascolta-re e quando parlare.» «In tutta la terra non esiste una fanciulla migliore di lei, ve lo assicuro.» «Mi piace. E piace anche al mio ragazzo.» «Dovrei compiacermi per quello che pensa qualche villano?» Mamaeth guardò Jacques con un'espressione indispet-tita. «Sto parlando di Lord DeLanyea, imbecille.» Jacques annuì con un'espressione meditabonda. «Na-turalmente tutti quelli che conoscono Lady Roanna ri-mangono colpiti da lei.» Poi guardò di sottecchi Mama-eth. «Che cosa intendete esattamente, quando dite che gli piace?» «Diamine! Come fate a essere così ottuso? Gli piace come a un uomo piace una donna! Che sciocco che sie-te.»

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Jacques aggrottò la fronte. «Se parlate di un uomo a-dulto come di un bambino, credo di non essere io lo sciocco. Comunque, era proprio quello che pensavo che voleste dire.» «Che cosa pensa lei di lui?» «Come faccio a saperlo? Una gentildonna non parla di queste cose.» Jacques in realtà si era accorto benissimo che la sua pupilla era rimasta molto colpita da Emryss DeLanyea. Mamaeth lo fissò, poi gli mise sotto il naso il calice fumante. Un odore sgradevole e ormai familiare gli salì alle narici. «State cercando di uccidermi con le vostre disgustose pozioni?» Prima che la vecchia avesse il tempo di rispondergli, la porta si spalancò. «Ah, Mamaeth» disse Emryss scuotendosi come un cane bagnato. «Ho bisogno dell'altra camicia. L'hai por-tata?» La vecchia si voltò. «No. È nella tua camera da letto.» «Me la vai a prendere?» Mamaeth assunse un'espressione indignata. «Devo an-cora preparare il pasto di mezzogiorno. Non sono la tua schiava, ricordatelo.» Poi si diresse verso la porta. «Gli uomini!» Si voltò verso Emryss e incrociò le braccia sul petto. «Siete tutti degli ingrati. Va' a prendertela da so-lo!» Poi uscì e sbatté la porta. Emryss si lasciò sfuggire un gemito e guardò Jacques. «Per le piaghe del Salvatore, ho chiesto solo una cami-cia.» Si voltò e uscì. Jacques bevve un sorso della pozione, fece una smor-fia e posò il calice sul pavimento, accanto al letto. Con un po' di fortuna qualcuno gli avrebbe dato inavvertita-mente un calcio e l'avrebbe rovesciato. Si massaggiò una guancia e aggrottò la fronte. Roanna

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ed Emryss DeLanyea. Sarebbero stati davvero una bella coppia. Naturalmente lei sarebbe stata un'ottima moglie per qualsiasi uomo, ma aveva bisogno di qualcuno come lui, generoso e di buon carattere, qualcuno che l'aiutasse ad abbattere i muri che aveva costruito attorno al proprio cuore. Tutto a un tratto Jacques si mise a sedere sul letto. Roanna era andata a cambiarsi, e lui anche... tutti e due nella stessa stanza! La sua bocca carnosa si curvò in un sorriso soddisfatto.

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Quando Emryss raggiunse i gradini che portavano nella sua camera da letto, l'irritazione per lo sfogo di Mamaeth era diminuita. Ricordando l'espressione attonita di Jac-ques, si mise addirittura a ridere. L'amico di Roanna do-veva essere rimasto scandalizzato per come il signore del castello si lasciava trattare dai servitori. In effetti solo Mamaeth poteva permettersi atteggia-menti del genere. La vecchia non aveva alcun rispetto per gli uomini in generale, e non faceva eccezione nep-pure per quello che aveva allevato fin dall'infanzia. Ma naturalmente Emryss sapeva che lei lo amava più della sua stessa vita. Aprì la porta della stanza e sussultò. Roanna, vestita con la sola sottoveste, era china sul piccolo catino e ave-va in mano un mucchietto di stoffa bagnata e sporca di fango. Quando lo vide si raddrizzò in fretta e si premette al seno l'abito che si era appena tolto. Emryss uscì immediatamente dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. Per un attimo trattenne il fiato, aspet-tandosi che Roanna si mettesse a strillare chiamando Mamaeth o Bronwyn. Quando vide che non accadeva nulla, si affacciò in cima alle scale. «Mamaeth!» urlò a pieni polmoni.

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Udendo la sua voce, Roanna fu scossa da un tremito. Chissà come doveva essergli apparsa, coperta solo dalla sottoveste. A quel pensiero arrossì violentemente. Andò alla porta e l'aprì di una fessura, poi sbirciò fuo-ri. Emryss era fermo in cima alle scale. Aveva le braccia incrociate sul petto e stava battendo un piede sul pavi-mento. Roanna richiuse la porta e per non pensare al proprio imbarazzo andò ad affacciarsi alla finestra. L'acciottolato della corte era lucido di pioggia. Sotto lo sguardo attento dei muratori, grossi blocchi di pietra calcarea venivano ammucchiati l'uno sull'altro. Le voci degli uomini erano musicali e formavano una specie di coro. Superato il primo momento di confusione, Roanna ri-cordò l'espressione stupefatta di Emryss quando era en-trato nella stanza e cominciò a ridacchiare. Senza dubbio lei doveva avere avuto la stessa espressione. Dal corridoio giunsero delle voci concitate, seguite da alcuni colpi alla porta. Roanna smise di ridere. «Avanti.» Mamaeth entrò di corsa, come se fosse inseguita da un cane rabbioso. «Perdonatemi. Sono venuta a prendere una camicia.» Si avvicinò al baule e lo aprì. Borbottando in gallese, si chinò e tirò fuori una camicia. Quando si rialzò lanciò un'occhiata a Roanna. «Emryss mi ha chiesto di dirvi che gli dispiace per es-sere entrato qui dentro, poco fa. Aveva bisogno di que-sta, e nessuno gli ha detto che voi vi stavate cambiando.» «È proprio quello che avevo immaginato» rispose Roanna con un'espressione grave. «E a me dispiace che lui sia troppo maleducato per bussare!» aggiunse Mamaeth prima di uscire. Povero Emryss, pensò Roanna con un lieve sorriso. Adesso Mamaeth non l'avrebbe più lasciato in pace.

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Cynric DeLanyea allungò un braccio al di sopra della ragazza addormentata e si versò un altro bicchiere di vi-no, svuotando la brocca. Poi si appoggiò ai cuscini e sor-rise fra sé. Le cose stavano andando proprio come aveva sperato, dopo che la sua promessa sposa era riuscita a sfuggire alle grinfie dello zio. La sera precedente il barone aveva fatto un'altra sce-nata, chiamando Lord Westercott un farabutto per aver lasciato scappare la nipote e minacciando di annullare il contratto matrimoniale. Quando Lord DeLanyea si era finalmente calmato, Cynric gli aveva fatto notare che era possibile che la ra-gazza fosse nelle mani dei loro nemici. In fin dei conti, nessuna gentildonna sarebbe scappata con un cuoco che non aveva un soldo. Sicuramente c'era di mezzo Emryss. E così avevano deciso di mandare un messaggero a Craig Fawr. Cynric lanciò un'occhiata fuori della finestra. L'alba era spuntata da un pezzo. Ormai quell'imbecille di padre Robelard doveva essere quasi arrivato a destinazione. Quando si fosse trovato di fronte a Emryss, il prete sa-rebbe stato difficilmente in grado di parlare, soprattutto se ciò che si diceva era vero. Girava voce infatti che Emryss, dopo la morte di sua madre, avesse proibito a qualsiasi rappresentante della Chiesa di mettere piede nella corte interna del castello. Cynric contava sul fatto che il cugino cacciasse via padre Robelard. La ragazza che dormiva accanto a lui si mosse sotto le coperte. «Lynette!» Cynric la scrollò con un piede. «Voglio dell'altro vino.» «Mmh...» Lynette si accoccolò meglio fra le lenzuola. Cynric allora la spinse fuori del letto. «Ho detto che voglio dell'altro vino!» Lynette balzò in piedi, coprendosi con il lenzuolo.

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«Sì, messere.» Sembrava impaurita, e lui se ne compiac-que. «Se ti sbrighi, forse ti permetterò di tornare nel mio letto.» Afferrò un lembo del lenzuolo e tirò, ridendo sguaia-tamente quando lei si lasciò sfuggire un gridolino oltrag-giato. Lynette indossò in fretta il proprio vestito e uscì. Cynric sogghignò pensando a come si sarebbe diverti-to a far soffrire Roanna. La ragazza avrebbe rappresentato il pretesto ideale per attaccare la fortezza di Emryss. A ben guardare, avreb-bero anche potuto evitare un attacco diretto, perché la legge era dalla loro parte. Se poi Roanna non fosse stata a Craig Fair, be', chi avrebbe potuto biasimarlo per avere sospettato del suo nemico? Una volta che si fosse impos-sessato della fortezza di Emryss, sarebbe stato ben diffi-cile farlo sloggiare. Se la ragazza fosse stata laggiù l'avrebbe sposata, ot-tenendo la dote e l'influenza di Lord Westercott. Cynric si appoggiò ai cuscini e fissò il soffitto. Lady Roanna avrebbe pagato caro l'insulto che con la sua fuga aveva inflitto al suo orgoglio. Più tardi, non sa-rebbe stato difficile rendere credibile la sua morte pre-matura. E mentre qualche misteriosa malattia la indebo-liva, lui avrebbe avuto altre fonti di piacere. Poi si sareb-be trovato una seconda moglie più bella e più ricca. Cynric finì di bere il vino che aveva nel bicchiere. «Lynette!» urlò. Un istante dopo udì un colpetto alla porta. «Avanti!» rispose in tono irato. Ma invece di Lynette entrò Urien Fitzroy. «Messere, dovete venire subito. Vostro padre... ha a-vuto un colpo.» Cynric lo fissò. «Un colpo? Che cosa intendete?»

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«Stava urlando con l'amministratore, e improvvisa-mente un lato del suo corpo ha perso vigore e si è afflo-sciato. Poi è caduto. Nessuno è riuscito a farlo riprende-re.» Cynric si alzò dal letto e indossò la tunica e la calza-maglia. Mentre si chinava per infilarsi gli stivali sorrise. Padre Robelard guardò i massicci terrapieni di Craig Fawr. Oh, mio Dio, perché proprio io?, si chiese mentre pungolava l'asino. Il Barone DeLanyea gli aveva ordina-to di scoprire se la ragazza si trovasse a Craig Fawr e, se sì, di comunicarle che sarebbe stata diseredata se non fosse tornata dallo zio e dal promesso sposo. Non aveva la stoffa del diplomatico, lui, e solo il giorno prima Lynette gli aveva detto che Emryss DeLanyea odiava i preti. Quando aveva cercato di protestare, il barone si era limitato a guardarlo torvo e a dire: «Vogliamo qualcuno che sia neutrale, e quello siete voi!». Poi ci si era messo anche lo zio della ragazza. Appol-laiato sulla sedia come una specie di cornacchia nera a-veva aggiunto: «Ditele di tornare indietro, altrimenti non vorrò avere più nulla a che fare con lei... mai più!». Davvero generoso, per essere l'unico parente di quella poveretta. Padre Robelard attraversò il villaggio. Al suo passag-gio, gli abitanti si fermavano e lo guardavano con fred-dezza. Sempre più a disagio, il prete deglutì e si agitò un po-co sulla sella. Si sentivano dire molte cose su quelle gen-ti barbare, ma spesso non ci si voleva credere. Quando arrivò al primo cancello, una delle guardie diede di gomito all'altra e sogghignando le disse qualco-sa in gallese.

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«Sono latore di un messaggio da parte del Barone DeLanyea» disse padre Robelard, cercando di sembrare sicuro di sé. Le guardie si limitarono a ridacchiare. «Ho detto che sono latore di un messaggio da parte del Barone DeLanyea» ripeté. Questa volta le guardie annuirono e lo lasciarono pas-sare. Dopo altre soste altrettanto umilianti, finalmente padre Robelard raggiunse l'ultimo cancello. Dalla corte interna giungeva il rumore dei lavori in corso. Non era un segreto che Emryss DeLanyea stesse forti-ficando le sue difese, e a giudicare da tutto quel baccano aveva fretta. Quando padre Robelard entrò nella corte, tutti smisero di lavorare e si voltarono a guardarlo. Un uomo in par-ticolare, sulla soglia della scuderia, s'infilò una camicia e poi lo fissò con insistenza. Padre Robelard sostenne per un attimo il suo sguardo, poi si accorse che l'uomo era privo di un occhio. Probabilmente il poveretto era co-stretto a scrutare tutti in quel modo per riuscire a vedere qualcosa. Mentre l'uomo privo di un occhio si avvicinava a lui, smontò dall'asino e si schiarì la voce. «Che cosa volete?» gli chiese bruscamente l'uomo, probabilmente uno staffiere. «Porto un messaggio del Barone DeLanyea» rispose padre Robelard. «E sarebbe?» Il prete si erse in tutta la propria modesta altezza. «È un messaggio per Lord Emryss DeLanyea» disse con una espressione indignata. L'uomo sbuffò e si voltò verso un edificio lungo e basso, attiguo a una massiccia torre. «Da questa parte.» Padre Robelard trotterellò dietro quell'individuo alto e arrogante.

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Improvvisamente il prete si fermò con un piede a mezz'aria. Cieco da un occhio! Era proprio quello che gli aveva detto Lynette a proposito di Emryss DeLanyea, reduce dalla Crociata! Ma com'era possibile che quel-l'uomo vestito così umilmente fosse un nobile? Forse in un feudo grande come Craig Fawr c'erano due uomini che erano privi di un occhio. Come se gli avesse letto nella mente, l'uomo si voltò. La sua espressione infastidita era identica a quella di Cynric DeLanyea, con un occhio in meno e una cicatrice in più, naturalmente. Padre Robelard emise un gemito soffocato mentre se-guiva Emryss DeLanyea all'interno dell'edificio. Parecchi servitori stavano andando avanti e indietro per il salone. I tavoli sui cavalletti erano allineati lungo le pareti. L'uomo, o piuttosto Lord DeLanyea, si diresse verso un paravento che chiudeva un'estremità della grande stanza, poi si fermò e aspettò con impazienza che il prete lo raggiungesse. «Del vino» ordinò Lord DeLanyea a nessuno in parti-colare. «E tutti fuori di qui!» Fece cenno a padre Robelard di sedersi a un tavolo consunto e prese posto di fronte a lui. «Vi... vi chiedo perdono» cominciò il prete mentre si accomodava. «Cioè... immagino di avere l'onore di ri-volgermi a Lord DeLanyea...» «Proprio così. Adesso ditemi che cosa vuole mio zio.» Padre Robelard si schiarì nervosamente la voce. «Parlate, dunque. Cosa c'è?» «Il Barone DeLanyea chiede che restituiate immedia-tamente Lady Roanna Westercott.» «Davvero? È convinto che sia qui?» Il piccolo prete cominciò a torcere la cintura della sua tonaca. A Beaufort tutti erano assolutamente sicuri che la

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ragazza si trovasse a Craig Fawr, e lui non aveva neppu-re preso in considerazione la possibilità che non ci fosse. «Sì, messere, ne è convinto. Anche lo zio e il fidanza-to di Lady Roanna sono di quest'avviso. Allora non è qui?» Proprio in quel momento arrivò una vecchia rinsec-chita con una brocca di vino e due bicchieri su un vas-soio d'argento, che posò sul tavolo con un piccolo tonfo. «Porta qui Lady Roanna» ordinò Lord DeLanyea. Sollevato, padre Robelard sospirò impercettibilmente. Lord DeLanyea continuò a fissarlo senza battere ciglio. La vecchia borbottò qualcosa fra i denti e si allontanò. «Messere, naturalmente sono molto felice che Lady Roanna si trovi sotto la vostra protezione. È stata una co-sa piuttosto impulsiva da parte sua andarsene in quel modo...» «È scappata» lo interruppe Lord DeLanyea con tono brusco. Padre Robelard si agitò sulla sedia. «Comunque si voglia definire la sua partenza poco ortodossa, siamo tut-ti sollevati che non le sia accaduto nulla di male.» DeLanyea fece una risata aspra. «Lo siete davvero?» In quel momento padre Robelard non ebbe nessuna difficoltà a credere che quell'uomo fosse un parente del barone. «Be', naturalmente suo zio è contento che sia sana e salva. Cioè...» Il prete cominciò a sudare profusamente. «È sana e salva, spero?» Un leggero movimento attirò la sua attenzione. Lady Roanna era in piedi accanto al paravento, identica a co-me l'aveva vista l'ultima volta. Padre Robelard si alzò subito in piedi. «Ah, madami-gella. State bene, non è vero?» Lord DeLanyea si alzò più lentamente. «Sì, padre, sto benissimo.»

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DeLanyea le fece cenno di accomodarsi sulla propria sedia. Dopo una leggera esitazione, lei si sedette. «Il prete ha qualcosa da dire, e dal momento che ri-guarda voi, penso che dobbiate ascoltarlo.» Lady Roanna annuì, poi posò lo sguardo sull'ometto. Padre Robelard tossicchiò. «Ah, madamigella, è mol-to difficile.» Poi guardò Lord DeLanyea. «Direi, adesso che mi sono accertato personalmente che Lady Roanna è illesa, che voi e io faremmo meglio a discutere in privato del messaggio del barone.» DeLanyea annuì. Roanna si posò le mani in grembo e guardò a turno i due uomini. E così anche lì a Craig Fawr le cose stavano allo stesso modo. Veniva mandata via sul più bello, co-me se il suo destino non la riguardasse. Strinse le labbra e non accennò ad andarsene. Dopo un lungo momento, padre Robelard sollevò le mani in un gesto supplice. «Madamigella, le parole del barone potrebbero turbarvi.» «Ho il diritto di ascoltare, visto che riguardano me.» «Ma, madamigella...» «Lady Roanna può restare.» Roanna non guardò Emryss. Fissò le proprie mani in modo da potersi concentrare su ciò che padre Robelard aveva da dire. «Messere, il barone chiede che Lady Roanna sia ri-mandata immediatamente a Beaufort, in modo che possa rispettare i termini del contratto di matrimonio.» «No» disse Lord DeLanyea. Roanna s'irrigidì un poco. «Allora, messere, mi vedo costretto a comunicarvi che suo zio, Lord Westercott, ha minacciato di diseredarla. Non avrà più nulla a che fare con la nipote.» «Finora ha avuto ben poco a che fare con lei.» «Ma, messere, madamigella resterà senza un soldo.»

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«Non sposerà quel cane.» «Forse madamigella potrebbe convincere suo zio ad annullare il contratto dietro il pagamento di una piccola penale o grazie a qualche espediente del genere.» «L'ha già imprigionata una volta per avere rifiutato. Credete che questa volta le darà ascolto?» Roanna si alzò bruscamente in piedi. «Messeri, non voglio essere disputata come un osso. Padre Robelard, io non sposerò Cynric DeLanyea. Me ne andrò di qui non appena il mio compagno sarà in grado di mettersi in viaggio. Non chiedo nulla a mio zio, e non mi aspetto nulla. Per quanto mi riguarda, la faccenda si chiude qui. Vi auguro buona giornata.» A testa alta, fece per allonta-narsi. «Un momento, madamigella» disse padre Robelard. Poi si rivolse a Emryss. «Vostro cugino mi ha detto che se madamigella si fosse rifiutata di ritornare a Beaufort, avrei dovuto riferirvi che sarà molto dispiaciuto di per-dere la pupilla dei suoi occhi.» Roanna lanciò un'occhiata a Emryss, e ciò che vide le fece gelare il sangue nelle vene. La sua espressione era così piena d'odio da renderlo irriconoscibile. «Aspettate accanto alla porta, prete. Voglio parlare a quattr'occhi con Lady Roanna.» Padre Robelard si allontanò frettolosamente. Il rumore dei suoi passi risuonò sul pavimento di pietra del salone. «Che cosa intendeva dire?» chiese Roanna. Emryss la guardò con una strana espressione. «Non credete di essere voi la pupilla dei suoi occhi?» «Non è il momento di giocare agli indovinelli. So di non essere bella. Che cosa intende veramente?» «Per le piaghe del Salvatore, voi mantenete il sangue freddo anche nelle peggiori circostanze» mormorò lui. Le voltò le spalle e si diresse verso la finestra. «Una vol-ta, quando ero bambino, mi intrufolai nel frutteto di Be-

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aufort per rubare alcune mele. Era solo una birichinata infantile, ma Cynric mi vide e cominciammo a picchiar-ci. Io ebbi la meglio... gli diedi un pugno sul naso e gli feci perdere un po' di sangue, nulla di più. Pensavo che la cosa non avrebbe avuto conseguenze. E infatti non ac-cadde nulla per circa un anno. Avevo un cane, Cil. Me lo aveva dato Ianto, e mi aveva aiutato ad addestrarlo. Io e lui trascorrevamo ore insieme, sulle colline. Cil dormiva addirittura nel mio letto. Poi, un giorno, lo trovai morto. Accanto a lui c'era una mela avvelenata.» «Non capisco...» «Cynric lo aveva ucciso per vendetta, perché io lo a-vevo battuto in quella famosa rissa. Quello che intende dire con il suo messaggio è che se non tornerete da lui oggi stesso potrebbe non prendere alcuna misura diret-tamente contro di me, ma cercherà di uccidere voi.» «Allora Jacques e io dobbiamo andarcene subito di qui. Oggi stesso.» Emryss l'afferrò per un braccio. «Roanna, voi non ca-pite. Non conoscete quel demonio come lo conosco io. Non si dimenticherà di voi, né della figura che gli avete fatto fare. Potrebbe non venirvi a cercare domani o il mese prossimo, magari neppure il prossimo anno, ma un giorno o l'altro vi farà rintracciare. E se sarete fortunata, morirete in fretta.» Roanna cercò di ignorare la pressione della sua mano sul proprio braccio e l'espressione intensa del suo volto. «Me ne vado subito» disse con fermezza. Lui aggrottò la fronte. «Non potete andare da sola.» «Jacques verrà con me.» «Non può proteggervi da Cynric.» Roanna si divincolò. «Bene, allora che cosa mi sugge-rite di fare, messere, visto che sembrate avere tutte le ri-sposte?» «Sposatemi.»

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Roanna lo guardò, incredula. Le sembrava di essere stata colpita da un fulmine. Presa da un leggero capogi-ro, si appoggiò alla spalliera della sedia. Emryss le stava offrendo proprio ciò che lei desidera-va di più. Essere sua moglie, vivere per sempre al suo fianco. Era un sogno. Un sogno che adesso poteva diven-tare realtà. «Mi rendo conto che una proposta di matrimonio da parte di un gentiluomo sfigurato e molto povero, per di più minacciato di distruzione dalla sua stessa famiglia, non è molto lusinghiera, ma io posso garantire la vostra sicurezza.» «E perché mai voi dovreste desiderare di sposare me?» chiese lei con voce sommessa. Emryss fece un sorrisetto storto. «Be', se non altro fa-rò prendere a Cynric un'arrabbiatura che durerà per il re-sto della sua vita.» Roanna fece un passo verso di lui. «Vi prego, messe-re, non potete essere franco? Vi assicuro che per me è una cosa molto seria.» «Come volete voi, madamigella» rispose lui arrossen-do leggermente. «Sarò franco.» Emryss incrociò le brac-cia sul petto e allargò le gambe. «Tutte le altre nobildon-ne che ho conosciuto si sono dimostrate una sgradevole combinazione di smisurata avidità e di affettata debolez-za. Voi non piagnucolate, non sorridete in maniera stu-pida e non versate false lacrime. Perfino adesso, state parlando di queste cose con la stessa calma che mostre-reste nel discutere di una nuova moda.» Roanna rimase in silenzio e aspettò che lui continuas-se. «Vi dico chiaramente che ho ben poco da offrire, a parte la mia protezione, perché intendo utilizzare ogni mia risorsa per rafforzare le difese di Craig Fawr. Se sie-te disposta ad accettare questo, io guadagnerò una mo-

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glie silenziosa e disinteressata, capace di non perdere il sangue freddo e che ha il mio stesso interesse a mantene-re il possesso di queste terre. Siete soddisfatta?» Roanna fissò il pavimento. Aveva chiesto di conosce-re i motivi della sua proposta di matrimonio, ed Emryss glieli aveva spiegati. Non aveva fatto nessun accenno ai sentimenti che provava per lei. E neppure ai baci che si erano scambia-ti... per lui dovevano essere poco importanti. Se era così, allora anche lei doveva considerarli poco importanti, al pari dei sentimenti che essi avevano susci-tato. D'altra parte, che cos'altro poteva fare una donna, se non scegliere il marito più accettabile, meno insopporta-bile? «Vi sposerò» disse in tono piatto. Emryss non fece neppure l'atto di avvicinarsi a lei. «Roanna, le circostanze faranno di me un marito me-no che adeguato, ma per quanto possibile avrete la vostra indipendenza. Io non contesterò quello che farete voi, e voi non contesterete me. Siamo d'accordo?» «Sì.» «Bene. Le nozze verranno celebrate domani. Informe-rò Mamaeth, e sono sicuro che padre Robelard può esse-re costretto a benedire la nostra unione.» Emryss scomparve dietro il paravento e Roanna si la-sciò cadere sulla sedia.

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«Tu sei proprio matto, Emryss!» La voce stridula di Mamaeth risuonò nel salone deserto. Emryss si aspettava cha la vecchia balia obiettasse che non poteva sposare una normanna, specialmente una che fino a pochi giorni prima era stata fidanzata con Cynric DeLanyea. «Domani! Non è possibile!» Mamaeth guardò Emryss con aria di sfida, tremando da capo a piedi per l'indigna-zione. «Non c'è abbastanza tempo neppure per preparare il cibo, e la ragazza dovrà cucirsi degli abiti nuovi! È ti-pico degli uomini, non pensare a quanto tempo ci vuole per fare le cose come si conviene. Per di più sei il signo-re del castello, e tutti ti criticheranno se verrà dimentica-to qualcosa!» «Due giorni allora, e niente di più.» Emryss trattenne il fiato e attese uno scoppio di improperi in gallese, ma non ne udì alcuno. «D'accordo, figlio mio. Come tutti gli uomini, sei im-paziente e lasci fare tutto a noi donne. Comunque in due giorni possiamo farcela, se quello sciocco di un cuoco si alzerà dal letto e darà una mano a cucinare.» Tutto a un tratto sul volto rugoso di Mamaeth comparve un sorriso. «Sono contenta che tu abbia deciso di sposarti, Emryss. Hai bisogno di figli, e avresti potuto trovare di peggio.»

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Il suo sorriso si fece ancora più ampio. «A Cynric verrà un accidente, eh?» Poi raddrizzò le spalle. «Ma per tutti i santi, non c'è tempo da perdere!» Ciò detto, Mamaeth si allontanò in fretta. «Mandami Rhys!» ordinò lui un attimo prima che la porta si chiudesse. Poi si sedette e respirò profondamen-te. Guardando le scale, ripensò a come Roanna era salita in camera da letto mentre lui persuadeva padre Robelard a rimanere a Craig Fawr per benedire la loro unione. Non ci era voluto molto, perché il povero prete era terro-rizzato dalla prospettiva di portare a Beaufort la notizia dell'imminente matrimonio. Roanna si muoveva sempre con grazia ed elasticità, come un ramo di salice. Sì, assomigliava proprio a un salice. Era facile piegarla, ma quasi impossibile spezzar-la. Buon Dio, aveva bisogno di un po' di vino. Si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro. Che cosa gli era saltato in mente di chiederle di sposarlo? Non sarebbe mai potuto essere un vero marito. Né per lei né per un'altra donna. Gwilym avrebbe avuto parecchio da dire quando a-vesse saputo ciò che il fratello d'arme aveva fatto. A-vrebbe commentato che la sua impulsività gli aveva ot-tenebrato la mente. In effetti Emryss non era del tutto convinto di aver preso una decisione saggia. Sebbene la proposta di matrimonio gli fosse salita alle labbra spontaneamente, quell'idea era stata come un tarlo nella sua mente da quando aveva visto Roanna per la prima volta. Rhys entrò nel salone, sorridente come sempre. «Ho delle buone notizie, messere. L'ultimo carico di pietre è arrivato nella corte. Sono proprio belle. Un bloc-co era un po' rovinato, così ho convinto il venditore ad

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abbassare il prezzo. Quel tipo è un osso duro, ma ce l'ho fatta.» Poi si fece serio. «Problemi, messere?» «No» rispose Emryss con un sorriso di circostanza. «Ci sarà un matrimonio.» «Ah, sì? E di chi?» «Mio.» «E chi è la fortunata, se posso chiederlo?» «Lady Roanna Westercott.» Rhys impallidì, poi si schiarì la voce. «E quando avrà luogo la cerimonia?» «Fra due giorni. E in questi due giorni voglio che mi procuriate duecento monete d'argento e venti monete d'oro.» «Duecento monete...» Il povero amministratore rima-se senza parole. «Ma, messere!» «C'è qualche problema, Rhys?» «Be', messere, ho appena speso... lasciatemi pensare. Cinquanta monete d'argento per la pietra. E fino al rac-colto non penso che...» «Vendete questo.» Emryss sollevò il sacchetto di pelle che portava appe-so al collo e ne posò il contenuto sul tavolo. Rhys guardò il crocefisso incrostato di pietre preziose. «Non posso, messere. Apparteneva a vostra madre.» «Vendetelo.» Rhys prese la croce con un gesto reverente. «Come desiderate, messere.» «Grazie, Rhys.» L'amministratore si avviò lentamente verso l'uscita. Emryss prese il sacchetto vuoto e se lo rigirò fra le dita. Fece un sospiro profondo e poi lo infilò nella cintura. Il mattino successivo, dopo la messa, Roanna attra-versò frettolosamente la corte. I muratori interruppero il lavoro, sorridendo e dandosi

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di gomito, ma lei fece del proprio meglio per ignorarli. Che cosa si poteva aspettare, in fin dei conti, dopo che Emryss aveva annunciato il loro matrimonio in quel mo-do? La sera prima, dopo cena, il signore di Craig Fawr si era alzato in piedi e aveva cominciato a parlare ad alta voce. Tutti i presenti avevano ascoltato con attenzione il discorso pronunciato in gallese. Poi, mentre urlavano e applaudivano, Emryss si era chinato e l'aveva baciata ra-pidamente sulle labbra. Prima che lei avesse il tempo di raccapezzarsi, uomini e donne si erano affollati attorno a loro. Gli uomini avevano dato delle gran pacche sulla schiena di Emryss. Le donne, più timide, avevano offerto a Roanna le proprie congratulazioni. Ma non tutti erano contenti. Gwilym aveva fatto la faccia scura e non si era avvicinato a loro. Roanna si era aspettata che più gente reagisse come lui. Sapeva che quel matrimonio avrebbe fatto infuriare Cynric e il barone, ed era sicura che tutti gli abitanti di Craig Fawr fossero egualmente preoccupati. Invece per-fino Mamaeth era parsa deliziata. Credevano di essere invulnerabili? Ritta al fianco del futuro marito, poteva capire le ragioni della loro tranquillità. Emryss sembrava circondato da un'aura d'invincibilità. Anche lei si sentiva sicura quando era ac-canto a lui. Tuttavia si chiedeva quale fosse la vera ragione di quella proposta di matrimonio. Emryss sembrava consi-derarlo più come un'alleanza che come l'unione di due persone. Non aveva pronunciato neppure una parola d'amore o d'affetto. Ma lei sarebbe stata al sicuro. E forse, con il tempo, Emryss avrebbe imparato ad amarla. Era il massimo a cui una donna potesse aspirare, e lei lo sapeva bene. Roanna mangiò pochi bocconi di pane, bevve qualche

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sorso di birra e poi decise di tornare in camera. Ma quan-do varcò la soglia le parve di trovarsi nella bottega di un mercante. Pezze di stoffa, rocchetti di filo, aghi e forbici erano posati su ogni superficie disponibile, compreso il letto al quale erano state tolte le lenzuola. Il baule di Emryss era aperto e vuoto. Prima che Roanna avesse il tempo di chiudere la por-ta, diverse donne entrarono e senza neppure chiedere permesso cominciarono a farla girare in tondo e a pren-derle le misure. Roanna guardò i loro volti, ma sebbene le avesse già viste tutte durante i pasti nel salone, non conosceva i loro nomi. Poi vide Bronwyn che stava entrando con una pezza di lino bianco. La chiamò, e la ragazza le si avvicinò con un ampio sorriso. «Madamigella, toglietevi il vestito, per favore.» «Ma, Bronwyn...» Mamaeth si fece largo in mezzo alla piccola folla. «Basta con le chiacchiere, sciocche che non siete altro. Mettetevi al lavoro!» Poi osservò Roanna. «Bronwyn, perché non hai ancora spogliato Lady Roanna? Non può provare i vestiti nuovi sopra quelli vecchi.» Roanna sapeva che sarebbe stato inutile mettersi a di-scutere con la vecchia. Con un po' di riluttanza, si sfilò il vestito dalla testa. Alcune delle fantesche cominciarono a ridacchiare e a sussurrare. Mamaeth allora si posò le mani sui fianchi e si voltò a guardarle. Nella stanza si fece silenzio. «Perdonatele, madamigella» disse in tono sarcastico. «Non conoscono le buone maniere.» Poi continuò a par-lare in gallese. Roanna abbassò gli occhi, dispiaciuta di essere la cau-sa di quei rimproveri. «E adesso piantatela di parlare di lei» concluse Ma-maeth in gallese. «Vedete benissimo che ha dei fianchi

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adatti a mettere al mondo dei bambini. I suoi seni sono piccoli, è vero, ma aspettate che ingrassi un po' e vedre-te. Comunque basta che piaccia a lui. Adesso mettetevi al lavoro.» Dopo una lieve esitazione aggiunse: «In ogni caso, fate in modo che i vestiti mettano in risalto i suoi aspetti migliori. L'onore del signore di Craig Fawr è im-portante». Roanna si accorse che Bronwyn stava guardando con desiderio una pezza di lana azzurra. Tutto a un tratto le venne un'idea. Facendosi largo in mezzo alle donne le si avvicinò. «Bronwyn, vorrei che tu avessi quella pezza» disse indicando la stoffa. «Oh, madamigella, non è possibile! È vostra. Che co-sa dirà Sua Signoria, se la date a me?» «Ho rovinato uno dei tuoi vestiti. È giusto che ti ri-compensi in qualche modo. Forse troverai il tempo di cucirti un vestito da indossare per il mio matrimonio. Sa-rei molto contenta se accettassi questo piccolo dono.» Bronwyn la guardò per un attimo con un'espressione dubbiosa e poi lanciò un'occhiata a Mamaeth. «È un bel tessuto» commentò la vecchia. «Qualche povera donna avrà trascorso molte ore davanti al telaio.» «Voglio che tu lo prenda, Bronwyn» insistette Roanna con un'espressione innocente. «Quel colore ti starà be-nissimo. Sono certa che tutti noteranno la tua bellezza.» Bronwyn arrossì un poco e annuì, poi prese la stoffa e la sfiorò con la punta delle dita. «Adesso tornate tutte al lavoro» ordinò Mamaeth. Le donne si fecero da parte in modo che Roanna po-tesse mettersi al centro della stanza, poi cominciarono a tagliare, imbastire, infilarle e sfilarle i vari pezzi degli abiti. Roanna faceva in tempo a sedersi che subito qual-cun'altra le chiedeva di rialzarsi. Quando domandò come mai al letto fossero state tolte

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le lenzuola, Mamaeth fece un sorrisetto malizioso. «Avrete delle lenzuola nuove. È un lavoraccio, fare l'orlo a delle lenzuola così grandi, soprattutto sapendo che finiranno sul pavimento.» Bronwyn ridacchiò, poi sussurrò qualcosa alle altre donne, che cominciarono a ridere anche loro. «Che creature terribili siete!» esclamò Mamaeth fin-gendosi scandalizzata. «Di certo le concederà qualche minuto di riposo, la prima notte!» Roanna abbassò gli occhi per nascondere il proprio al-larme. Tutte quelle donne sembravano dare per scontato che lei sapesse cosa sarebbe accaduto la prima notte di nozze. E invece non ne aveva la minima idea. Le fantesche continuarono a chiacchierare in gallese e a cucire rapidamente. Roanna prese ago e filo e cercò di darsi da fare anche lei, ma scoprì di essere impacciata. Forse era colpa del caldo che faceva nella stanza. A un certo punto ci fu un altro coro di risate. Roanna sollevò la testa e guardò Mamaeth per ottenere una spie-gazione. «Dovrebbero vergognarsi, madamigella» disse la vec-chia. «Pensate, stanno cercando di indovinare che cosa farà come prima cosa!» Mamaeth evidentemente era tutt'altro che scandalizza-ta e si stava divertendo un mondo. «E che cosa pensano che farà, per prima cosa, Mama-eth?» chiese Roanna con voce controllata. Le donne si chinarono silenziosamente sui loro aghi. Mamaeth sollevò un sopracciglio e la fissò per un istan-te. «Lasciate che vi avverta, Lady Roanna. Emryss è sempre stato un ragazzo impetuoso e impaziente.» «Allora immagino che sia meglio farlo lentamente.» A una a una, le donne scoppiarono di nuovo a ridere. Roanna sorrise quando si rese conto che tutte capiva-

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no il francese. Era una cosa meravigliosa poter ridere in-sieme, sentire di avere finalmente trovato un luogo d'ap-partenenza. Per il resto della giornata Roanna si divertì immensa-mente. Con il passare delle ore le donne cominciarono a parlare sempre più liberamente con lei. Fu solo a cena, quando sedette al fianco di Emryss, che si sentì di nuovo esclusa. Si trovavano l'uno accanto all'altro, al tavolo alto, in silenzio. A un certo punto Roanna gli chiese come aveva fatto la sua gente a imparare così bene la lingua dei nor-manni. «Per conoscere i loro nemici» rispose lui bruscamen-te. Dopo di ciò lei non disse più nulla e dopo che fu ser-vita l'ultima portata si alzò da tavola per andare a trovare Jacques. Il suo amico stava molto meglio. Appena la vide si sollevò dai cuscini. «Ah, gattina!» esclamò. «Pensare che state per spo-sarvi, e con un gentiluomo che vi merita!» Roanna si sforzò di sorridere. Avrebbe voluto sentirsi completamente felice, invece era piena di dubbi. «Cosa c'è, piccola mia? Come mai non state cantando e ballando per la gioia? Questo DeLanyea è un uomo come si deve!» Roanna si guardò le mani intrecciate in grembo e ar-rossì violentemente. Si schiarì la voce e mormorò: «Io... io non sono certa che sia la cosa giusta, Jacques». Poi fece un respiro profondo e guardò in faccia il suo amico. «Credi che sia giusto mettere in pericolo questa gente, provocare la collera del Barone DeLanyea? Lord DeLa-nyea mi ha assicurato che il barone non potrà fare nulla, ma vorrei poterne essere assolutamente certa.» Jacques si chinò e le prese gentilmente una mano.

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«Lady Roanna, finora la vostra vita non è stata felice. Adesso la felicità vi aspetta. Prendetela! Afferratela al volo!» la esortò stringendole le dita. Roanna avrebbe voluto credergli. Avrebbe desiderato che la propria scelta coinvolgesse solo lei e l'uomo che stava per sposare, non un feudo che dava da vivere a tan-ta gente. Jacques si appoggiò di nuovo ai cuscini. «Dobbiamo essere felici!» Vedendo la contentezza del suo amico, Roanna decise di tenere per sé le proprie preoccupazioni. Jacques le parlò a lungo dei manicaretti che avrebbe preparato per il banchetto di nozze. Dopo un po' Roanna cominciò a sentirsi stanca e lo salutò. Jacques le diede una piccola pacca sulla mano e le sorrise gentilmente. «Non abbiate paura, gattina. Fidate-vi di lui.» Lei annuì. Dopo aver lasciato Jacques, Roanna tornò nel salone. Gli uomini erano ancora tutti lì e continuavano a brinda-re al futuro sposo. Senza farsi notare, si avviò su per le scale. Ma anche in camera da letto si sentiva il vociare degli uomini. Dopo un po' cominciarono i canti. Roanna ricordò la battuta scherzosa di Bronwyn e si disse che non sarebbe riuscita a dormire neppure quella notte. Il letto era stato rifatto con le lenzuola vecchie. Dopo essersi sfilata il vestito, si sdraiò e si tirò le coperte fin sulle orecchie. Tuttavia continuava a sforzarsi di cogliere la voce di Emryss in mezzo alle altre, e ogni volta che chiudeva gli occhi lo rivedeva a torso nudo mentre si esercitava a combattere con lo spadone. Quando a oriente le prime luci dell'alba schiarirono il cielo, nel salone scese finalmente il silenzio. Roanna si

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alzò dal letto, si mise sulle spalle una coperta di pelliccia e andò a guardare il sorgere del sole. Quante volte, da quando erano morti i suoi genitori, aveva atteso che il grande globo infuocato salisse nel cielo? Si sentiva così sola e non amata, e le dava confor-to pensare che sorgesse apposta per regalarle luce e calo-re. Emryss era come il sole. La scaldava, illuminava la sua esistenza, le dava speranza e coraggio. Che cosa avrebbe pensato di lui suo padre? Senza dubbio avrebbe ammirato il suo coraggio come guerrie-ro. E sarebbe rimasto colpito dalla sua volontà di so-pravvivere. «State attenti agli uomini che hanno cicatri-ci» diceva sempre ai suoi soldati, «perché sono il con-trassegno di coloro che rifiutano la sconfitta.» Ma a parte questo? Suo padre non avrebbe certo am-mirato la capacità di Emryss di suonare l'arpa e di canta-re, perché avrebbe considerato quelle attività indegne di un signore feudale e di un guerriero. Inoltre avrebbe guardato con sospetto il rapporto cameratesco di Emryss con i suoi uomini, pensando che avrebbe diminuito la sua autorità. In passato Roanna sarebbe stata d'accordo con lui, ma dopo avere vissuto a Craig Fawr per quasi una settimana, si rendeva conto che le cose stavano diversamente. Emryss era amato e rispettato da tutta la sua gente. Mentre ammirava la valle sottostante, punteggiata di pascoli e di campi di grano, Roanna sentì alcuni colpi alla porta e si voltò di scatto. Mamaeth entrò nella stanza, seguita da Bronwyn che trasportava la tinozza di legno e da altre donne con vari fagotti. «Avremo una bella giornata. Il vecchio Daffyd dice che oggi non pioverà, e in vent'anni non si è mai sbaglia-to» annunciò la vecchia.

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Roanna venne fatta immergere in un bagno profuma-to, poi le furono lavati i capelli con un infuso di erbe a-romatiche. Mamaeth le strofinò la pelle di tutto il corpo con un olio agli estratti di fiori e Bronwyn le spazzolò i capelli finché non splendettero come seta. Roanna indos-sò una sottoveste di lino tanto sottile da essere quasi tra-sparente, poi una semplice tunica di un tessuto che non aveva mai visto prima. «È seta» le spiegò Mamaeth. «Viene dall'oriente. Em-ryss voleva farne dono a sua madre, ora ci ha ordinato di darla a voi.» Sopra la tunica di seta, le fecero indossare un abito rosso scuro di lana sottile. Attorno alla scollatura e agli ampi polsi le donne avevano cucito del nastro intessuto di fili d'oro. Il corpetto le accarezzava i seni e i fianchi, e la scollatura non era né troppo audace né troppo casta. Bronwyn le intrecciò i capelli con altri nastri dorati, e infine Mamaeth le allacciò intorno alla vita una cintura di cuoio decorata con anelli d'oro. Poi la vecchia fece un passo indietro e l'osservò. «Siete proprio una bellezza.» Roanna si sentì lusingata da quel complimento. Bronwyn non disse nulla e sorridendo sollevò una del-le brocche di metallo che erano state utilizzate per versa-re l'acqua calda nella tinozza. «Non è un granché, ma guardatevi.» Roanna guardò l'immagine distorta riflessa dalla broc-ca. I suoi capelli erano lustri come seta, le guance erano leggermente rosate e gli occhi splendevano. Mamaeth lanciò un'occhiata fuori della finestra. «A-desso vi lasciamo e andiamo a vestirci anche noi, mada-migella. Fra poco sarà mezzogiorno.» Le due donne uscirono. Mezzogiorno. Era l'ora stabilita per la cerimonia nu-ziale.

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Non osando sedersi per timore di stropicciare l'abito, Roanna si avvicinò alla finestra. Quello era un giorno di festa, e tutti gli abitanti di Craig Fawr si sarebbero goduti una meritata vacanza. Sulla strada che conduceva alla fortezza, Roanna scor-se due uomini a cavallo. Sotto le semplici tuniche nere indossavano l'armatura. «Vi chiedo scusa, madamigella.» Roanna si voltò e vide Bronwyn. La ragazza era in piedi sulla soglia e indossava l'abito azzurro. Doveva es-sere stata sveglia quasi tutta la notte per finire di cucirlo, ma ne era valsa la pena. «Sì?» Bronwyn sorrise timidamente e cominciò a torcersi le mani. «Mamaeth mi ha detto di venire a vedere se eravate pronta per la cerimonia.» «Lo sono. Il vostro abito è molto bello.» Invece di rilassarsi, Bronwyn s'irrigidì ancora di più. «Che cosa c'è?» le chiese Roanna. «Nulla, madamigella» rispose in fretta la ragazza. Troppo in fretta. Prima che Bronwyn avesse il tempo di reagire, Roan-na l'oltrepassò e scese le scale. Cynric DeLanyea e Urien Fitzroy si trovavano al cen-tro della corte, in groppa ai loro cavalli. Quando la vide, Cynric sorrise. «Siete molto bella, madamigella.» Poi smontò. «A quanto pare l'aria del Galles vi fa bene.» L'arrivo di Cynric e di Urien non era passato inosser-vato, e a poco a poco la corte cominciò a riempirsi di gente. Improvvisamente la porta della caserma si aprì con violenza. Emryss si diresse con passi decisi verso i nuovi arrivati. Quel giorno indossava una lunga tunica di lana nera

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orlata d'oro e una camicia candida. Si fermò a pochi pas-si da Cynric e incrociò le braccia, appoggiando il proprio peso sulla gamba destra. «Che cosa vuoi?» La sua voce echeggiò nel silenzio della corte. Cynric sorrise di nuovo a Roanna prima di voltarsi verso Emryss. «Penso di doverti informare, cugino, che tuo zio sta male e probabilmente sta per morire.» Roanna sapeva che a Cynric importava ben poco del barone, ma il suo tono spassionato la raggelò. «Grazie, cugino» rispose Emryss con un'enfasi piena di sarcasmo. «Adesso vattene dalle mie terre.» «Che modi! Ti pare la maniera di trattare un parente che viene a portarti delle notizie?» Poi si rivolse nuova-mente a Roanna. «Vedete, madamigella, che razza di barbari sono diventati questi uomini cresciuti come gal-lesi?» Roanna non disse nulla e mantenne un'espressione indifferente. Cynric si avvicinò a lei. «Se solo vostro zio vi avesse fatto avere degli abiti migliori, non vi avrei mai detto le cose che vi ho detto quando ci siamo incontrati. Potete perdonarmi per aver guardato i vestiti e non la splendida fanciulla che li indossava?» Emryss fece una risata sprezzante. «Stai perdendo tempo, cugino. È inutile che reciti la parte dell'innamora-to con mia moglie.» «Moglie?» Cynric si voltò di scatto verso Emryss con un'espressione furibonda, ma quando guardò di nuovo Roanna, sul suo volto c'era solo rincrescimento. «Allora sono arrivato troppo tardi?» Lei rimase un po' sorpresa. «Non siamo ancora sposa-ti.» Gli occhi di lui ebbero un bagliore. «Roanna.» La sua

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voce era sommessa, il suo tono contrito. «Io... mi sono comportato male con voi. Mi dispiace, e vi chiedo umil-mente di tornare a Beaufort.» Allungò un braccio e le prese la mano. «Tutto verrà perdonato, e il matrimonio potrà avere luogo com'era stabilito. Come adesso deside-ro con tutto il cuore.» Emryss si fece avanti e afferrò la mano di Roanna, strappandola da quella di Cynric. Lei si liberò dalla mor-sa delle sue dita e fece un passo indietro. I due uomini si guardarono con odio e poi si voltarono verso di lei. «Siete libera di fare come volete, Roanna. Andatevene oppure restate. La scelta è vostra» disse Emryss con vo-ce aspra. Aveva le gambe larghe e le braccia incrociate sul pet-to. Sul suo volto c'era un'espressione di sfida, come se gli importasse poco di quello che lei avrebbe deciso. Cynric sollevò le mani in un gesto supplice. «Per fa-vore, Roanna, datemi un'altra possibilità. Ve ne prego.»

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Roanna non credette neppure per un istante alle parole di Cynric. Senza dire nulla si avvicinò a Emryss, gli prese una mano e gli sorrise. Nello sguardo di lui passò un'espressione fugace, una emozione che le fece capire che, nonostante l'apparente freddezza, Emryss teneva a lei. Roanna si voltò verso Cynric. «Andatevene dalle no-stre terre» disse a bassa voce. «Spero, mia cara, che non dobbiate pentirvene.» Cyn-ric rimontò in sella e si diresse al galoppo verso il can-cello, seguito da Fitzroy. Roanna lanciò un'occhiata a Emryss, sperando di ve-dere sul suo volto la stessa emozione che aveva scorto poco prima. Ma inaspettatamente lui la prese fra le brac-cia e la strinse forte a sé. «Io vi amo, Roanna» sussurrò. «Per Maria, Giuseppe e tutti i santi del paradiso, non è il momento di starsene lì a guardarsi come degli alloc-chi!» urlò Mamaeth tutto a un tratto. «C'è un matrimonio da celebrare!» Tutti coloro che si erano radunati nella corte si avvia-rono verso la chiesetta del villaggio. Emryss afferrò la mano di Roanna e cominciò a camminare a grandi passi. Lei fu quasi costretta a correre per tenergli dietro. A un certo punto si fermò. «Non voglio essere trascinata al

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mio matrimonio come se fossi un asino» disse ansiman-do un poco. Emryss la guardò e sollevò le sopracciglia con una espressione sorpresa, come se non si fosse reso conto di camminare troppo in fretta. «Twt ei gywilydd! Vergogna!» commentò divertita Mamaeth. «Non riesce nemmeno a camminare, deve correre in chiesa. Ah, tutte le donne dovrebbero avere uno sposo così ansioso.» Roanna arrossì. Lanciò un'occhiata a Emryss e vide che lui stava sforzandosi di mantenere un atteggiamento dignitoso, anche se con risultati poco incoraggianti. Quando le prese di nuovo il braccio e si rimise in marcia verso la chiesetta, tuttavia, il suo passo era più misurato. Padre Robelard li stava aspettando sui gradini del pic-colo edificio in legno. Quando i due sposi arrivarono li salutò con un lieve cenno del capo. Il cuore di Roanna si strinse per lui. Sapeva benissimo che il povero prete a-vrebbe dato qualsiasi cosa per non essere lì. «Lady Roanna Westercott» cominciò padre Robelard torcendosi la cintura, «prima di procedere devo chiedervi se state facendo questo di vostra spontanea volontà e nel-la piena consapevolezza che sarete unita a quest'uomo per il resto della vostra vita.» «Sì.» Padre Robelard annuì. «Lord Emryss DeLanyea, volete prendere questa don-na come vostra legittima sposa, provvedere a lei con i vostri beni materiali e rimanerle fedele fino alla morte?» «Lo voglio.» Emryss tirò fuori un piccolo anello d'oro e lo fece scivolare all'anulare della mano sinistra di Ro-anna. «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, io vi dichiaro marito e moglie» disse padre Robelard con un filo di voce.

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Emryss si voltò verso Roanna. «Dovreste baciarmi, milady» disse in tono pacato, ma la luce che gli brillava nello sguardo le fece battere più forte il cuore. Il suo bacio, questa volta, fu piuttosto casto, e Roanna dovette ricordarsi che si trovavano sotto gli occhi di una piccola folla. Un mormorio di disapprovazione le giunse all'orecchio. Con un sorrisetto di scuse, Emryss cinse la vita della sua sposa con entrambe le mani e la baciò sulle labbra con più entusiasmo. «E quello lo chiamate un bacio?!» esclamò uno degli uomini di Emryss quando i due novelli sposi si separaro-no. Fuori di sé per la felicità, Roanna decise di accettare la sfida. Posò le mani sulle spalle di Emryss e lo baciò con tutta la passione che ebbe il coraggio di mostrare. «La prossima primavera ci sarà un bimbo!» esclamò la voce gracchiante di Mamaeth. Mentre la folla urlava e applaudiva entusiasticamente, i due sposi entrarono in chiesa per ascoltare la messa nu-ziale. Roanna s'inginocchiò accanto a Emryss e si sforzò di tenere gli occhi fissi sull'altare, ma senza volerlo conti-nuava a guardare l'uomo che aveva appena sposato. Suo marito. Vestito con quegli abiti eleganti sembrava diver-so. Più duro. Più altero. Più distaccato. Padre Robelard si avvicinò con l'ostia, ma prima che gliela porgesse Emryss scosse la testa. Il prete si fermò, confuso e imbarazzato, poi si rivolse a Roanna. Dopo la cerimonia gli abitanti di Craig Fawr si in-camminarono di nuovo verso la fortezza, rivolgendo congratulazioni e auguri ai due sposi. Roanna si accorse che venivano fatti continui riferimenti alla sua amobr e cominciò a chiedersi che cosa fosse. Sentendosi del tutto a proprio agio in mezzo a quella gente festosa, non esitò a manifestare la propria curiosità.

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«Emryss, che cos'è l'amobr?» Inaspettatamente lui arrossì. «È una sorta di prezzo che si paga per la sposa.» «Per la vostra verginità» precisò Mamaeth con la con-sueta franchezza. «Ed è una somma generosa.» Roanna arrossì violentemente, ma si sforzò di assume-re un atteggiamento disinvolto. Quando entrarono nel salone tutto era pronto. Le stuoie che coprivano il pavimento erano state sostitute con altre appena intrecciate e i lunghi tavoli erano coper-ti con tovaglie di lino bianco e decorate di fiori. Emryss prese la mano di Roanna e la condusse al ta-volo alto. Al contatto con le sue dita, lei fu colta da un tremito e sentì che il cuore cominciava a batterle più for-te nel petto. Appena giunsero ai loro posti, Emryss sollevò una mano per chiedere silenzio. Poi cominciò a parlare in gallese. Dal momento che non riusciva a comprendere le sue parole, Roanna fece vagare lo sguardo sulla sala. Terminato il suo lavoro in cucina, Jacques era stato fatto sedere proprio sotto la piattaforma, un onore con-cesso a ben pochi cuochi. Padre Robelard era accanto a lui, e tanto per cambiare sembrava a disagio. Il suo cor-diglio era pieno di nodi. Mamaeth si trovava sulla soglia della cucina. I suoi occhietti neri, simili a quelli di un uccello, non perdeva-no di vista un attimo la situazione. Alle spalle di Mamaeth c'era Bronwyn. L'abito nuovo metteva in risalto le sue curve generose e il suo colorito roseo. Roanna provò un piccolo moto di soddisfazione. Adesso Gwilym avrebbe per forza dovuto notarla. Tutti gli altri stavano ascoltando con attenzione il di-scorso di Emryss. Roanna trattenne un sospiro. In fin dei conti era logico che lui si rivolgesse alla sua gente nella loro lingua, anche se lei non capiva nulla.

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Alla fine del discorso Emryss sollevò il bicchiere. «Cymru am byth!» esclamò prima di bere. Tutti si sedettero ed Emryss si chinò un poco verso di lei. «Galles per sempre! Adesso anche voi siete legata a questa terra.» Rhys si alzò in piedi e sollevò il bicchiere. «Auguro salute, lunga vita e un erede a Lord DeLanyea di Craig Fawr!» La risposta di Emryss fece ridere tutti. Roanna si sentì un po' mortificata. Non aveva voglia che si scherzasse su ciò che sarebbe accaduto più tardi, e cominciava a teme-re che Emryss potesse deriderla per la sua ignoranza. Finalmente arrivarono le prime portate. Il cibo era ab-bondantissimo e squisito. Roanna riconobbe alcune delle ricette speciali di Jacques, ma non riusciva a mangiare. Aveva la gola chiusa ed era scossa da un tremito conti-nuo. Sapeva bene di stare reagendo in maniera infantile, ma era così agitata che non riusciva neppure a guardare in faccia l'uomo che aveva sposato. Emryss, da parte sua, sembrava non essersi accorto di nulla. Rideva e scherzava con Gwilym, che era seduto alla sua sinistra ed era piuttosto silenzioso. Solo Gwilym, di tutti i presenti, sembrava rendersi conto dei pericoli di quel matrimonio. Roanna sperava che non invidiasse la loro felicità, e decise che avrebbe fatto di tutto per dimostrargli la pro-pria lealtà. Il banchetto proseguì per tutto il pomeriggio. Al cala-re del sole arrivò la torta. A un certo punto Roanna sentì che Gwilym stava par-lando con Bronwyn e sollevò gli occhi dal tavolo. La ra-gazza era arrossita, e Gwilym la stava guardando come se non l'avesse mai vista prima d'allora. «Cominciavo a credere che foste malata» disse Em-ryss con voce sommessa. Roanna sussultò. «Oppure la

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tovaglia è così affascinante che non riuscite a non guardarla?» Lei scosse la testa e non disse nulla. Temeva che le potesse tremare la voce. «Bello, il vestito di Bronwyn. Mamaeth mi ha detto che voi le avete regalato la stoffa.» Roanna annuì di nuovo. «Santo cielo, donna, sapevo che eravate taciturna, ma ho sposato una muta?» «No, messere.» «Bene.» Emryss fece una risata sommessa. «Adesso dovremo tenerli d'occhio, quei due, perché da come si guardano finiranno sicuramente caru yn y qwely.» Roanna lo guardò con aria interrogativa. «Vuol dire che finiranno a letto.» Emryss si mise a ridere. «Non scandalizzatevi. I gallesi sono più... disin-volti in queste cose. Perché due persone che si amano non dovrebbero dimostrarlo?» Lei arrossì leggermente. «Non è... giusto. E se la ra-gazza rimanesse incinta?» «Oh, nessuno se ne preoccuperebbe troppo. Che lui la sposi o meno, lei otterrà comunque l'amobr, e il bambino verrà considerato legittimo. Ed è giusto così, se ci pensa-te. In fin dei conti i bambini non chiedono di venire al mondo.» Roanna era sulle spine. Doveva riconoscere che ciò che aveva detto Emryss era logico, ma avrebbe preferito non parlare di bambini. Purtroppo le pareva di avere la testa completamente vuota. «Prendete Gwilym, per esempio» continuò Emryss. «I normanni lo definirebbero un bastardo, perché è il figlio illegittimo del migliore amico di mio padre. Fu mandato da noi per apprendere l'uso delle armi. Secondo la legge normanna non avrebbe potuto ereditare i possedimenti di suo padre, anche se è il suo primogenito.»

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«E ha ereditato qualcosa?» «Neppure un centesimo. Ma avrà Craig Fawr.» «A meno che voi non abbiate un figlio vostro» disse Roanna senza neppure pensarci. Emryss incontrò il suo sguardo e le sorrise con estrema lentezza. Poi Gwilym lo chiamò. Lui si voltò e Roanna fece un sospiro di sollievo. Il sorriso che le aveva rivolto un attimo prima aveva qualcosa di strano. Qualcosa di diverso dal solito. Roanna mangiò un boccone della deliziosa torta nu-ziale. Era normale che un uomo si aspettasse di avere dei figli, una volta sposato, eppure il sorriso di Emryss le era sembrato malinconico, come se fosse il sorriso di un uomo che spera l'impossibile. Credeva forse che lei gli avrebbe rifiutato i diritti co-niugali? Il solo pensiero di ciò che sarebbe accaduto nel grande letto la fece arrossire. No, non gli avrebbe negato nulla. Assolutamente nulla. O forse Emryss pensava che lei fosse sterile. Possibile che Mamaeth gli avesse detto qualcosa in proposito? Quel pensiero la riempì di paura. Per la prima volta in tutta la sua vita, Roanna si rese conto di desiderare ar-dentemente un bambino. Il figlio di Emryss. Poi ricordò l'entusiasmo di Mamaeth mentre l'aiutava a prepararsi per le nozze. No, la vecchia non si sarebbe certo comportata in quel modo, se fosse stata convinta che il suo pupillo fosse in procinto di sposare una donna incapace di dargli dei figli. In quel momento Emryss si alzò in piedi, distoglien-dola dai suoi pensieri. «Sgombrate» gridò. Subito tutti i presenti saltarono in piedi e cominciarono a spingere i tavoli contro le pareti, in modo da fare spazio. Alcuni uomini nerboruti comin-ciarono a discutere animatamente, finché sei di loro si misero al centro del salone. Formarono due file di tre

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uomini ciascuna, l'una di fronte all'altra, e congiungendo le mani ottennero una specie di ponte. Poi guardarono Emryss. Lui annuì e indicò Gwilym. Gwilym urlò di gioia e corse verso Bronwyn, trasci-nandola verso i sei uomini. La sollevò e la gettò fra le loro braccia, poi urlò di nuovo e ci si buttò anche lui. Gli uomini cominciarono a lanciare in aria la coppia, come se non pesasse più di un cuscino di piume. Gwilym finì per venire completamente avviluppato dall'abito nuovo di Bronwyn. «È solo un gioco, Roanna» disse Emryss notando la sua perplessità. «Non li lasceranno cadere per terra. So-no abituati a trasportare blocchi di pietra che pesano molto di più.» Gli uomini lanciarono in aria Gwilym e Bronwyn an-cora una volta. La ragazza cadde addosso a Gwilym e tutti, tranne Roanna, scoppiarono in una fragorosa risata. Finalmente i sei uomini posarono per terra la coppia. Mentre prendeva del vino, Gwilym gridò qualcosa a Emryss. Il signore di Craig Fawr si alzò e si guardò lentamente intorno. I presenti urlarono diversi nomi, ma lui indicò Jacques. I sei uomini nerboruti espressero a gran voce il pro-prio disappunto, ma Jacques si alzò maestosamente e cominciò a fare il giro del salone. Si fermò di fronte ad alcune donne e strizzò l'occhio a un paio, poi, con un'e-nergia insospettabile, attraversò di corsa il salone e affer-rò Mamaeth per la vita. «Levatemi le mani di dosso, bruto!» urlò la vecchia mentre lui la trascinava al centro della sala. «Volete schiacciarmi sotto quel vostro corpaccione?» Poi lanciò un'occhiataccia a Emryss. «Emryss DeLanyea, non vo-glio finire schiacciata da questo grassone!» Emryss scosse gravemente la testa. «E va bene, Ma-

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maeth, come vuoi tu. Mi dispiace, Jacques. La prossima volta troverete qualcuna più disponibile.» Poi si alzò. «Adesso mi tocca scegliere qualcun altro.» Roanna attese di vedere chi avrebbe indicato questa volta. «No» disse Emryss dopo qualche istante. «Credo che sarà il mio turno.» Con un balzo scese dalla piattaforma e andò al centro della sala. «Chi vuole venire con me?» chiese con un largo sorriso. Roanna si guardò le mani. Era l'usanza più infantile che avesse mai visto. Quale donna avrebbe accettato di buon grado di rendersi ridicola in quel modo? Mentre veniva lanciata in aria tutti potevano guardarle sotto la gonna... Poi, con suo sgomento, Emryss le si avvicinò e l'affer-rò per un braccio. «Oh, no! No, non posso!» strillò lei mentre veniva trascinata verso i sei uomini. «Per favore, Emryss, non costringetemi!» invocò. «È una cosa poco dignitosa. Non sta bene!» Lui si fermò e la guardò con un sorriso malizioso. «Può darsi, ma è divertente.» La sollevò e sembrò sul punto di gettarla fra le braccia dei sei uomini, ma all'ul-timo momento se la caricò in spalla, lasciandola senza fiato. «Amici miei, mia moglie ha altri programmi per la serata, perciò se volete scusarci noi ci ritiriamo.» Quando Roanna fece per protestare per quella nuova offesa alla propria dignità, lui le diede una pacca sul se-dere e la trasportò su per le scale. Cercare di divincolarsi sarebbe stato inutile, perché Emryss era molto forte. Roanna perciò rimase ferma e cercò di riprendere fiato. Gli altri abitanti del castello, intanto, li seguivano ridendo e chiacchierando. Roanna sollevò un poco la testa. «Se non state ferma mi farete cadere» disse Emryss ad

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alta voce, poi le diede un'altra pacca sul sedere. Quando giunse davanti alla camera da letto aprì la porta con un calcio, attraversò la stanza e la lasciò cadere sul letto. Un attimo dopo diverse donne si affacciarono sulla soglia. Roanna lanciò un'occhiata a Emryss, ma lui si limitò a scrollare le spalle e fece loro cenno di entrare. Mamaeth si avvicinò al letto, afferrò Roanna per i polsi e la costrinse ad alzarsi, poi la spinse verso le altre donne. Roanna cercò Emryss con lo sguardo, ma lui sembrava sparito. Mentre una delle donne le porgeva una coppa di vino caldo aromatizzato, le altre iniziarono a spogliarla. Ro-anna cercò di allontanarle, ma Mamaeth la rassicurò. «Non dovete avere assolutamente paura, mia signora. Vi stiamo solo preparando per il letto!» Nella stanza echeggiò una risata. Bronwyn, ancora tutta eccitata per il gioco al quale aveva partecipato con Gwilym, si sforzava di trattenere la propria ilarità mentre slegava i nastri dell'abito della sposa. Nonostante la loro apparente ubriachezza, le donne fecero molta attenzione alla tunica di seta. Poi Roanna udì un rumore di passi che si avvicinava-no, accompagnati da profonde voci maschili e da fram-menti di una canzone. All'improvviso la porta si spalan-cò. Le donne si fecero da parte e sulla soglia apparve Emryss. Lui non indossava più la lunga tunica nera orla-ta d'oro, ma solo la camicia bianca, la calzamaglia e gli stivali di cuoio. Gwilym lo spinse avanti e lui entrò barcollando nella stanza, il volto arrossato. Aveva un bicchiere in mano, e il vino traboccava dall'orlo. Fece un inchino impacciato e le donne risero di nuovo. Mamaeth disse qualcosa e Roanna, che indossava solo

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la sottoveste, venne trascinata verso il letto. Gli uomini lanciarono un urlo ed entrarono in camera. Che intendessero stare a guardare? Sarebbe stato davvero troppo! Roanna cercò di allontanarsi dal letto, ma le donne la circondarono. «Non guardate, milady.» Gli uomini cominciarono a gridare e a protestare. «Hanno la sua camicia» sussurrò Bronwyn con una risatina. Mamaeth scostò le lenzuola e Bronwyn diede alla sposa una leggera spinta. Roanna perse l'equilibrio e cadde sul letto. Quando cercò di rialzarsi, Mamaeth la tenne ferma. Dal gruppo degli uomini si levò un altro urlo. Questa volta però anche Emryss si mise a gridare, e non sem-brava troppo contento. Bronwyn si chinò su Roanna. «Non vuole che gli le-vino la calzamaglia.» Roanna si abbandonò sui cuscini, esausta e rassegna-ta. Le donne espressero la propria approvazione con un mormorio. A un certo punto, proprio mentre stava preparandosi al peggio, gli intrusi cominciarono a lasciare la stanza. Roanna fece un sospiro di sollievo. Poi vide Emryss, a torso nudo, ritto ai piedi del letto. Un'ondata di desiderio s'impadronì di lei. «Bene, brawdmaeth, ti auguriamo la buonanotte» dis-se Gwilym dalla soglia. «Buonanotte, buonanotte, buo-nanotte.» «Ricorda, prima i figli maschi e poi le femmine» ag-giunse Mamaeth. Poi, con una risata stridula, uscì anche lei.

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Il mattino dopo Roanna si risvegliò da sola. La sera precedente Emryss era rimasto ai piedi del let-to per alcuni lunghi minuti. «Ho bisogno di una boccata d'aria» aveva detto tutto a un tratto, poi era uscito. E non era più tornato. Né durante la notte, quando lei si era finalmente addormentata, né all'alba, quando si era svegliata dopo un sonno agitato. Perché?, aveva continuato a chiedersi. Perché? C'era in lei qualcosa che non andava? Oppure si trattava di un'altra strana usanza gallese che nessuno si era preso la briga di spiegarle? Sentendo dei passi, Roanna si abbandonò sui cuscini e chiuse gli occhi. Non voleva parlare con Mamaeth o con Bronwyn, che senza dubbio le avrebbero posto domande imbarazzanti o avrebbero fatto commenti maliziosi. Qualcuno entrò furtivamente nella stanza, come se stesse cercando qualcosa. Roanna, tesa e sospettosa, non riuscì a fingere di dormire. Emryss, in camicia e calzamaglia, stava versando del-l'acqua nel catino. Roanna si mise a sedere sul letto. «Spero che questa notte abbiate preso abbastanza aria, messere.» «Sì» rispose lui senza guardarla. Si lavò la faccia con l'acqua fredda e poi prese un telo di lino. Mentre stava

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asciugandosi vigorosamente barcollò e si lasciò sfuggire un'imprecazione. «State... state bene?» chiese Roanna vedendo che lui si appoggiava al tavolino. Forse aveva solo bevuto trop-po durante il banchetto. «Sono stato meglio.» Emryss si raddrizzò. «E sono stato peggio.» Poi si voltò verso il letto. «Roanna, io...» Prima che avesse il tempo di continuare, dal salone sottostante giunsero urla e canti. Poi un rumore di passi malfermi echeggiò su per le scale. «Emryss, brawdmaeth!» chiamò Gwilym. «Buongior-no. È ora di alzarsi, anche se sarai sicuramente stanco quanto me!» Le sue parole furono seguite da risate fragorose. Ro-anna si rese conto che la maggior parte degli uomini di Craig Fawr dovevano trovarsi fuori della stanza. Emryss si diresse verso la porta chiusa e attese con le mani sui fianchi. Non sapendo cosa aspettarsi, Roanna si tirò le lenzuo-la fino al collo e attese anche lei. A un tratto si udì una voce nuova che pronunciò alcu-ne parole ritmate, simili a una canzone senza musica. «Non vale portarsi un bardo per il pwnco!» urlò Emryss agli uomini che stavano fuori della porta. «Non vale neppure farcelo fare adesso, al mattino. Ma fa' in fretta, sposo. Stiamo ascoltando» lo stuzzicò Gwi-lym. «Che cosa succede?» chiese Roanna. «È il pwnco» rispose Emryss in tono distratto, fissan-do la porta. «Ho sentito la parola. Ma cosa significa?» «È una specie di gara. Adesso tacete. Devo pensare.» Roanna scese dal letto e andò a lavarsi. Un attimo dopo Emryss cominciò a parlare in gallese. La cadenza delle sue parole era uguale a quella usata dal

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bardo. Quando ebbe finito si voltò verso di lei con un sorriso da ragazzino. «Gli ci vorrà un bel po' di tempo, per rispondere.» Roanna rimase in silenzio. Emryss le lanciò un'occhiata e aggrottò la fronte. «Mi spiace essere stato un po' brusco, ma dovevo pensare. È una gara di poesia, sapete. In genere si tiene davanti alla porta della sposa prima della cerimonia.» Il bardo cominciò a parlare ed Emryss lo ascoltò at-tentamente. Quando infine il bardo tacque, Emryss ag-grottò la fronte e mormorò un'altra imprecazione in gal-lese. Roanna sollevò il coperchio del baule per cercare un vestito adatto. I suoi abiti erano ripiegati accanto a quelli di lui. Prese il vestito che era appartenuto a Bronwyn e fece per infilarselo, ma tutto a un tratto Emryss glielo strappò di mano e la trascinò verso la porta, poi l'aprì. Gwilym e diversi altri uomini spalancarono gli occhi vedendo Roanna che cercava di nascondersi dietro lo sposo. «Andatevene e lasciateci in pace» disse il signore di Craig Fawr. «Non vedete che vogliamo restare da soli?» «Giusto» rispose Gwilym con un'espressione sorpre-sa. «Vi chiediamo scusa, milady. Volevamo solo assicu-rarci che Emryss avesse fatto il suo dovere di marito.» Gli uomini si voltarono e vociando si avviarono giù per le scale. Mentre Emryss chiudeva la porta, Roanna sfuggì alla sua presa. «Come osate?» chiese con voce minacciosamente bas-sa. «Come osate mostrarmi quasi nuda ai vostri uomini? Non avete un po' di decenza o di dignità?» Lui andò ad aprire il baule e tirò fuori una tunica. «Volevo che se ne andassero. Era il modo più veloce per mandarli via.»

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Roanna gli si avvicinò e lo afferrò per un braccio, co-stringendolo a guardarla in faccia. «E io? Volete che me ne vada anch'io? È per questo che siete stato via per tutta la notte?» Lui contrasse le labbra. «Vi ho sposata, no? Non l'a-vrei fatto se avessi desiderato che andaste via.» Roanna gli voltò le spalle e s'infilò il vestito. «Mi aiu-tate, per favore?» chiese con voce sommessa. «Chiamerò Mamaeth» rispose Emryss. «Bisogna solo allacciarlo.» Lui tirò i nastri e li annodò in modo sbrigativo, come se non avesse nessuna voglia di aiutarla. Roanna si intrecciò i capelli e si mise in testa il velo, poi indossò il soggolo. «A che cosa diavolo serve quell'affare?» chiese Em-ryss con malagrazia. «Adesso sono una donna sposata, perciò devo coprir-mi i capelli.» «Vi fa somigliare a una vecchia suora rinsecchita.» «Non che farebbe molta differenza» mormorò lei, tri-ste. «Che cosa?» Roanna s'infilò le scarpe e non rispose. «Che cosa avete detto?» ripeté Emryss. «Ho detto semplicemente che non farebbe molta dif-ferenza.» Emryss le lanciò un'occhiataccia. «Chiariamo subito una cosa. Qui dentro sono io il padrone. Voi siete mia moglie, e non potete darmi ordini. Se ho voglia di restare fuori per tutta la notte lo faccio, avete capito?» Roanna annuì. «Naturalmente, messere. Sono stata u-na sciocca ad aspettarmi qualcosa di diverso» rispose voltandosi dall'altra parte. Emryss le si avvicinò e l'afferrò per un braccio, co-stringendola a girarsi. La sua espressione era furibonda.

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«Non osate mai più fare la smorfiosa con me, e non trat-tatemi come un imbecille, avete sentito?» Poi la lasciò andare. Lei corse alla finestra e guardò fuori, ma aveva la vi-sta offuscata dalle lacrime. «Roanna, per favore, non piangete.» Roanna si voltò e vide che lui non era più arrabbiato. Solo molto dispiaciuto. «Nessun uomo può farmi piangere» disse con fermez-za. «E adesso, se volete scusarmi, messere, vorrei ascol-tare la messa, visto che abbiamo qui un prete.» «Se n'è andato. È partito alle prime luci dell'alba.» «Allora ascolterò la messa nella chiesetta del villag-gio, messere» disse Roanna. «E poi parlerò con Mama-eth della gestione della casa.» Emryss si sedette sul letto e prese il giustacuore di pelle. «Perché? Mamaeth pensa a tutto.» «E poi parlerò con Jacques dei pasti.» «Sono Mamaeth e Rhys a decidere che cosa si man-gia.» «Ma adesso tocca a me.» «Pensavo che vi avrebbe fatto piacere essere libera. Il vostro unico compito è fare quello che io desidero.» Quelle parole gentili le fecero tremare le ginocchia. «Emryss, l'unica cosa che voglio è compiacervi.» Una strana espressione passò sul viso di lui. «Bene» disse con freddezza. «Adesso lasciatemi solo.» Roanna obbedì. Uscì dalla stanza e salì la scala che conduceva in cima alla torre. Fuori l'aria era fredda e umida. I nuvoloni grigi che si stavano ammassando nel cielo annunciavano un'altra giornata piovosa. Roanna appoggiò i gomiti al parapetto di pietra e guardò in lontananza. Come mai Emryss le aveva chiesto di sposarlo, se non aveva nessuna intenzione di essere un vero marito? Co-

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me mai rifiutava perfino la sua vicinanza, arrivando a mandarla via dalla loro camera all'indomani delle nozze? Con un'improvvisa risoluzione, Roanna si raddrizzò. Se non poteva essere una vera moglie per Emryss, sa-rebbe stata per lo meno un'ottima padrona di casa per Craig Fawr. E nessuno gliel'avrebbe impedito. Qualche sera dopo, padre Robelard lasciò frettolosa-mente la camera del barone. Cynric DeLanyea rimase a guardare l'uomo che giaceva nel letto. Il suo volto un tempo arrogante era pallido come cera, il suo corpo pie-no di forza e di energia era diventato magro e inerte. E così il momento era arrivato, pensò Cynric. Presto suo padre non sarebbe stato altro che un mucchietto sen-za vita di ossa e di pelle raggrinzita, e il suo segreto sa-rebbe stato sepolto con lui. Era un peccato che il prete e Urien, che si trovava an-cora nella stanza, avessero udito la sconvolgente verità che suo padre aveva rivelato poco prima. Ma in fin dei conti la cosa non era importante. Il prete si sarebbe la-sciato convincere senza troppe difficoltà a mantenere il silenzio, e Urien avrebbe taciuto, purché fosse stato pa-gato a sufficienza. Cynric si guardò intorno, ammirando i begli arazzi che decoravano le pareti. Molto più belli di quelli che erano appesi nella sua stanza. Quello che preferiva da sempre rappresentava la tentazione di Eva ed era appeso proprio di fronte al letto del barone. La luce tremolante delle candele faceva oscillare le figure ricamate, come se fossero animate di vita propria. Presto quell'arazzo e tut-to ciò che era in quella stanza sarebbe appartenuto a lui. I candelieri d'argento, i tappeti, il grande specchio... In piedi accanto alla porta, Urien Fitzroy fece un lieve movimento. Cynric gli lanciò un'occhiata, poi guardò suo padre.

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Improvvisamente il barone aprì un occhio e cercò di mettersi a sedere. Urien si avvicinò al letto e lo aiutò circondandogli le spalle con un braccio. «Emryss» sussurrò il vecchio. «Voglio... Emryss... mio figlio.» Urien guardò Cynric con un'espressione interrogativa. «Lasciateci» ordinò Cynric. Dopo un attimo d'esitazione, Urien adagiò il barone sui cuscini e uscì dalla stanza. Il barone cercò di nuovo di sedersi. «Emryss... mio figlio.» La sua voce, un tempo stentorea, adesso era solo un bisbiglio, ma Cynric decise che era giunto il momento. «Buonanotte, padre. E addio.» Prese un cuscino e lo premette sulla faccia del padre finché il suo petto non smise di sollevarsi e abbassarsi. Era stato così semplice, pensò. Tanto semplice che avrebbe dovuto farlo ore prima. Ma chi avrebbe imma-ginato che il vecchio ci mettesse tanto a morire? Cynric prese le mani di suo padre e gliele incrociò sul petto. Era meglio far credere che gliene importasse al-meno un po'. Poi attraversò la stanza e aprì la porta. Urien, che era appoggiato al muro, si raddrizzò. «Dite all'abate che il barone è morto. Voglio che il fu-nerale sia celebrato con una messa solenne» disse cer-cando di non mostrare la propria soddisfazione. Urien socchiuse gli occhi e sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi si voltò e si allontanò. Cynric chiamò un servitore e ordinò che il corpo di suo padre fosse lavato e vestito con l'armatura. Poi si di-resse lentamente verso la propria stanza. Finalmente libero. Finalmente libero. Quelle parole gli echeggiavano nel cervello come il battito di un tam-buro.

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Finalmente libero di fare tutto ciò che voleva. Finalmente libero dal timore che il padre riconoscesse il figlio illegittimo, Emryss, che i gallesi avrebbero con-siderato semplicemente come il primogenito del barone senza tenere conto del fatto che era stato generato da una violenza. Finalmente libero di vendicarsi di Emryss, e anche di lei. Finalmente libero dalla sofferenza di non essere mai considerato all'altezza. Aprì la porta della sua stanza e udì un fruscio prove-niente dal letto. Vedendo un pezzo di gamba nuda sorri-se. «Ah, Lynette, vedo che sei piena d'entusiasmo.» La ragazza sollevò la testa dalle lenzuola e sorrise in maniera seducente. «Sì, messere.» Cynric si sedette sul bordo del letto e le accarezzò un seno. «Ho bisogno di distrarmi, mia cara. Il barone è morto.» Lynette si scostò un poco e si tirò il lenzuolo fino al mento. «Oh, mi dispiace tanto, messere.» Cynric afferrò un lembo del lenzuolo e avvicinò a sé la ragazza. «Allora sei l'unica.» «Oh, no di certo, messere. Sono sicura che anche pa-dre Robelard sarà dispiaciuto.» Cynric si alzò lentamente in piedi. «Padre Robelard» mormorò. Poi guardò Lynette. «Padre Robelard... Ti pia-ce non è vero, Lynette? Confessalo.» «Sì, messere» rispose lei, aggrottando le sopracciglia con un'espressione perplessa. Cynric cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza. «E tu piaci a lui, immagino.» «Be'...» Lynette sorrise maliziosamente. «Io piaccio a quasi tutti gli uomini, messere.»

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«Giustamente.» Cynric si fermò e la guardò. «Voglio che tu mi faccia un favore, mia cara.» «Tutto quello che volete» rispose Lynette adagiandosi sui cuscini. «No, non quello. Non ancora, almeno.» Cynric si se-dette accanto a lei e cominciò a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli biondi. «Voglio che tu faccia ve-dere a padre Robelard quanto ti piace.» Lynette spalancò gli occhi. «Che cosa intendete, mes-sere?» Cynric si chinò e continuando a giocherellare con i suoi capelli le mordicchiò il lobo di un orecchio. «Che cosa credi che intenda?» sussurrò. Lynette sussultò. «Volete che io... Ma è un prete! Non posso!» «Oh, sì che puoi. In effetti voglio solo vedere se ci riesci. Gira voce che padre Robelard stia... allontanando-si dall'ovile. Se le cose stanno davvero così, è mio dove-re come nuovo signore di Beaufort accertarmene. Perciò, mia cara Lynette, tutto potrebbe risolversi in nulla. Le voci potrebbero essere solo voci. E naturalmente, mia cara, ti ricompenserò.» Lynette guardò il bel volto di Cynric. Lui la ricom-pensava sempre quando lo compiaceva, e la sua famiglia aveva bisogno di denaro. La vecchia nonna soffriva di reumatismi, una casetta nuova l'avrebbe aiutata a stare meglio. E poi c'era Gwenyth, la sorella minore, che si era infatuata del figlio del mercante di lana ma non ave-va una dote sufficiente. In fin dei conti non doveva far altro che cercare di sedurre un uomo che era suo amico, oltre che un prete. «Se non vuoi aiutarmi puoi andartene subito.» Lynette allungò una mano e sfiorò il viso di Cynric. «Farò quello che mi avete chiesto, messere.» In quel momento si aprì la porta e Cynric si voltò di

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scatto per vedere chi avesse osato entrare senza bussare. Urien lanciò un'occhiata alla ragazza, poi guardò il nuo-vo il signore di Beaufort. «Sono arrivati degli uomini, messere. Pretendono di vedervi.» «Pretendono?» Cynric si posò le mani sui fianchi. «Chi osa pretendere di vedermi?» «Uno di loro ha detto di chiamarsi Dolf, messere.» Evidentemente Urien non era rimasto ben impressionato dagli intrusi. Cynric ridacchiò. «D'accordo, li vedrò. Tu aspetta qui» disse rivolto a Lynette. «Da sola» aggiunse vedendo come la ragazza stava guardando il mercenario. Poi uscì dalla stanza, seguito da Urien. Un gruppetto di uomini sporchi e male in arnese lo stava aspettando in anticamera. Vedendo Cynric e Urien, il loro capo si fece avanti e sorrise, mettendo in mostra i denti guasti. «Vi avevo detto di non venire qui per nessuna ragio-ne» disse Cynric con freddezza. «È vero, Vostra Signoria, è vero. Ma io e i miei uomi-ni crediamo che convenga fare una chiacchierata.» Mentre Urien chiudeva la porta, Cynric guardò i nuo-vi arrivati senza nascondere il proprio disgusto. «A proposito di cosa?» «Abbiamo pensato.» Cynric sollevò un sopracciglio. «Crediamo di avere diritto a una ricompensa maggio-re.» «Ah, sì?» Cynric socchiuse leggermente gli occhi, ma il suo interlocutore parve non accorgersene. «Sì, messere. Visto che ci assumiamo tutti i rischi... E lasciare là quelle pecore, be', non è stata una cosa molto pratica per degli uomini che si devono guadagnare da vivere, no?»

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Gli altri annuirono e mormorarono il proprio assenso. «Capisco.» Cynric si avvicinò lentamente al loro ca-po. Con un gesto fulmineo lo afferrò per il bavero e gli puntò alla gola il pugnale. I suoi compagni fecero un passo avanti. «Un altro passo e gli taglio la gola. E poi chiamo le guardie.» Gli uomini esitarono. «Stupidi sassoni, siete pagati molto più di quanto non meritiate.» Cynric lasciò il capo, che barcollò e urtò quello dei suoi uomini che gli stava più vicino. «Comunque sono disposto a perdonare la vostra intrusione, dal momento che mi evita di venire da voi. C'è qualcosa che voglio che facciate.» Quando Cynric spiegò il proprio piano e la cifra che era disposto a pagare, gli uomini si guardarono l'un l'al-tro con un certo imbarazzo. «Non saprei, Vostra Signoria. Sembra piuttosto ri-schioso, avvicinarsi così tanto alla fortezza» disse Dolf con cautela. «Naturalmente lo è, imbecille. Altrimenti perché vi pagherei così tanto?» ribatté Cynric. «Volete rifiutare?» Alcuni degli uomini annuirono, ma Dolf aspettò. «Perché se lo fate» continuò Cynric, «vi farò catturare immediatamente e vi consegnerò a mio cugino. Sua mo-glie vi riconoscerà certamente, e gli dirò anche che siete i responsabili della morte delle sue pecore.» Dolf fece un passo avanti, ma vedendo che Urien sguainava la spada si fermò. «E io gli dirò che voi ci avete pagato... anche per cercare di rapire la donna.» Cynric si sedette su una sedia e allungò le gambe da-vanti a sé. Aveva ancora in mano il pugnale. «Non credo che sarebbe una cosa saggia.» Il suo tono crudele convinse Dolf che ormai era trop-po tardi per tirarsi indietro. «Come volete voi, messere» disse. «Ma vi costerà il doppio.» «Lasciate ai due piccioncini un po' di tempo, in modo

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che si illudano che io abbia deciso di lasciarli in pace. Adesso andatevene. Puzzate, tutti quanti. E se osate av-vicinarvi un'altra volta a Beaufort vi taglierò la gola, avete capito?» Cynric attese di vedere un cenno d'assenso. «Bene.» Senza dire nulla, gli uomini lasciarono la stanza e il loro capo si chiuse la porta alle spalle. «Fra poco non avrò più bisogno di quegli imbecilli» disse Cynric rinfoderando il pugnale. «Una morte rapida sarà anche più di quello che si meritano.» Poi lanciò una occhiata al mercenario. «Non approvate, Urien? Gli uo-mini o la tattica?» «Entrambe le cose.» Urien sostenne lo sguardo di Lord DeLanyea. «Bene» disse Cynric guardandosi intorno. «Un incen-dio nel loro mulino farà sì che non si accorgano subito del fuoco nel deposito delle armi. E poi la fortezza del mio caro cugino potrà essere presa senza difficoltà.»

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Seduta al tavolo alto, Roanna fece un piccolo gesto d'impazienza. Sapeva che Emryss era tornato, perché l'a-veva visto dalla finestra della camera da letto. Per la prima volta dopo diversi giorni era tornato in tempo per il pasto serale. Il suo sguardo si posò sulla pergamena posata sul tavolo. Il fatto di non saper leggere le pesava sempre di più. Quel pomeriggio un messaggero aveva recapitato un rotolo sigillato. «Per il signore e la signora di Craig Fawr» erano state le sue uniche parole. Il fatto di dover aspettare Emryss per poterne conoscere il contenuto la irritava oltremodo. Gli abitanti del castello entrarono nel salone e sedette-ro a tavola, chiacchierando nella loro lingua incompren-sibile. Bronwyn non c'era. In quell'ultimo periodo era spesso assente. Roanna cominciava a pentirsi di averla aiutata ad attirare l'attenzione di Gwilym. Quando Emryss entrò nel salone, non poté fare a me-no di guardarlo. Era stanco e teso e, nonostante si sfor-zasse di nascondere il dolore alla gamba, zoppicava in maniera evidente. Roanna cercò di tenere a bada la pro-pria preoccupazione. Che cos'altro poteva aspettarsi, vi-sto che trascorreva tutto il giorno a cavallo e tornava a casa solo a tarda sera, completamente esausto?

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Emryss si sedette pesantemente al proprio posto e la servitù cominciò subito a servire il pasto. Roanna gli porse il rotolo di pergamena. «È arrivato un messaggero e ha consegnato questo.» Senza dire nulla, Emryss ruppe il sigillo e cominciò a leggere. Roanna si finse indifferente. Fece il segno della croce e cominciò a mangiucchiare un pezzo di pane. Emryss gettò sul tavolo la pergamena con un una spe-cie di grugnito. «Ebbene, messere?» chiese Roanna, non riuscendo più a nascondere la sua curiosità. «Leggete pure.» Emryss le porse la missiva. «Io...» Roanna arrossì violentemente. «Io non so leg-gere.» «Ah, già» disse Emryss con un'espressione distratta. «Il barone è morto.» Roanna lo guardò aggrottando la fronte. «Il mio caro cugino» continuò lui con sarcasmo, «ci invita al funerale, che sarà celebrato domani.» Prese il bicchiere e bevve un lungo sorso. «Naturalmente ci andremo» disse Roanna. «Naturalmente no» ribatté lui con freddezza. «Ma dobbiamo andare, per rispetto.» «Rispetto?» ripeté Emryss con veemenza. Tutti i pre-senti si voltarono verso di loro. «Non avevo nessun ri-spetto per quel farabutto mentre era vivo, e non ne ho neppure adesso che è morto!» «Era vostro zio» insistette Roanna in tono pacato. «E la cosa non mi fa certo onore!» Roanna lo guardò dritto in faccia. «Voi e Cynric con-tinuerete per sempre ad azzuffarvi come bambini?» Emryss contrasse le labbra. «Ascoltatemi bene, mo-glie» disse scandendo le parole. «Odierò quella famiglia fino alla fine dei miei giorni per quello che ha fatto a mia

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madre, e niente potrà cambiare questa realtà. Avete capi-to?» «Sì, messere.» «Perciò non andremo.» «Come volete, messere» disse Roanna a voce bassa. Noi non andremo, concluse fra sé e sé. «Donna!» tuonò Jacques, «levate quelle erbe puzzo-lenti dal mio tavolo e portatele via dalla mia cucina!» «Il vostro tavolo? La vostra cucina?» strillò Mamaeth. «Che faccia tosta avete, a darmi ordini qui dentro! Per-ché non ve ne andate, con quel vostro pancione?» Jacques gettò indietro le spalle e il suo ventre spor-gente si appiattì un poco. «Io sono il miglior cuoco di tutta l'Inghilterra, perciò trattatemi con il rispetto che mi è dovuto.» Mamaeth gli si avvicinò e gli puntò un dito contro lo stomaco. «Statemi bene a sentire, palla di lardo, non m'importa chi siate. Questa è la mia cucina, lo è da quando eravate ancora un moccioso, perciò fuori di qui!» «Neanche per sogno. Parlerò a Lady Roanna della vo-stra mancanza di rispetto, e così la faremo finita una vol-ta per tutte.» «Fatelo pure. Io parlerò con Emryss, e lui è il padrone qui dentro.» Jacques e Mamaeth uscirono contemporaneamente dalla cucina e si affacciarono nella corte. Emryss era a cavallo e aveva un'espressione furibon-da. Roanna, vestita con l'abito rosso scuro che aveva in-dossato per le nozze, stava dirigendosi verso la scuderia. «Che cosa succede?» chiese Jacques fermandosi ac-canto a Mamaeth. «Ssh! Ascoltate, idiota che non siete altro.» «Dove state andando?» chiese Emryss con indifferen-za.

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«Al monastero» rispose Roanna con un tono altrettan-to distaccato. «Neanche per sogno.» Emryss smontò da cavallo e le si mise di fronte con le gambe larghe e le mani sui fian-chi. «Non posso trascorrere il resto della mia vita fra que-ste mura. Cynric ha fatto un gesto di buona volontà. Va-do al monastero.» «A piedi?» «Se vi sarò costretta.» Mamaeth posò una mano sul braccio di Jacques. «Non ha intenzione di cambiare idea, eh?» chiese con incredu-lità. «No. Ho già visto quell'espressione.» Apparentemente anche Emryss aveva notato la deter-minazione di Roanna. «Gwil!» chiamò. «Accompagnala al monastero. E falle sellare un cavallo.» Poi fece un sor-riso sarcastico. «Non dobbiamo dare al caro Cynric nes-sun motivo di odiarci, vero?» Roanna rimase del tutto indifferente mentre Emryss montava di nuovo in sella e si dirigeva verso il cancello. Mamaeth lanciò un'occhiata a Jacques. «Che cosa c'è che non va?» chiese a bassa voce. «Che cos'ha fatto, per-ché lui la tratti in quel modo?» Jacques aggrottò la fronte. «Lady Roanna non ha nes-suna colpa, questo è certo.» Mamaeth gli lanciò un'occhiata disgustata. «Non può essere colpa di Emryss. Mi ricordo che una volta le ra-gazze avrebbero fatto qualsiasi cosa perché lui le de-gnasse di una sola occhiata, ma lei è ancora vergine.» «Come fate a saperlo?» chiese Jacques con evidente scetticismo. «Lady Roanna non andrebbe certo a dirlo a voi.» «Lo so e basta. E non è una cosa giusta. Quel ragazzo è innamorato cotto, ma trascorre tutta la giornata a caval-

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lo come se fosse posseduto dal demonio. Perciò dev'es-sere lei che gli si nega.» Jacques scosse la testa. «No, non credo. Lei gli vuole molto bene. Si vede che lui si affatica troppo, checché voi ne pensiate.» «Be', di certo c'è qualcosa che non va, e io scoprirò di cosa si tratta» disse Mamaeth con fermezza. «Mi ricordo come si guardavano prima di sposarsi. Non è possibile che adesso si comportino così.» Jacques annuì. «Sono d'accordo con voi. Forse se col-laboriamo potremo aiutarli.» Mamaeth sorrise. «Per essere quella palla di lardo che siete, ogni tanto siete anche capace di pensare.» Le ultime note della musica che accompagnava la messa echeggiarono nella grande chiesa del monastero. Roanna lanciò un'occhiata verso l'uscita dove Gwilym la stava aspettando. Si vedeva benissimo che era ancora ar-rabbiato per essere stato costretto ad accompagnarla. Cynric era seduto in prima fila e teneva la testa china, come se stesse pregando. Il suo compagno dai capelli scuri era accanto a lui, ma non aveva prestato alcuna at-tenzione alla funzione religiosa, salvo inginocchiarsi quando lo facevano tutti gli altri. La messa era stata celebrata dall'abate in persona, as-sistito da padre Robelard. Quando le aveva dato l'ostia il piccolo prete le aveva sorriso, e lei si era sentita rinfran-cata. Subito dopo, però, si era accorta che Cynric aveva continuato a fissarla per tutto il tempo che era stata ingi-nocchiata davanti all'altare, e questo l'aveva messa a di-sagio. Roanna si alzò per andarsene. Adesso che aveva fatto il suo dovere non vedeva l'ora di lasciare quell'edificio freddo e troppo grande, costruito più per la gloria dei DeLanyea di Beaufort che per quella del Signore.

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Gwilym uscì, forse per andare a preparare i cavalli. Mentre si dirigeva verso il fondo della chiesa, lei udì alle proprie spalle dei passi veloci. «Lady Roanna!» sussurrò Cynric. Lei si voltò e lo vide farsi largo in mezzo alla folla dei suoi fittavoli. Quando la raggiunse, la spinse in una nic-chia solitaria e semibuia. «Grazie per essere venuta alla funzione» le disse con un sorriso malinconico. «Sono contento che l'abbiate fat-to.» «Era mio dovere» rispose lei in tono asciutto, infasti-dita dalla sua vicinanza. «Avevo sperato, forse stupidamente, che capiste che ero sincero quando vi ho fatto le mie scuse, prima. Se mi sono sbagliato non ditemelo. Lasciate che continui a il-ludermi.» L'imbarazzo di Roanna aumentò. In effetti prima ave-va dubitato della sua sincerità, ma adesso non sapeva più cosa pensare. Sorrise e si ritrasse un poco. «Spero che adesso tutto l'odio e il rancore fra le nostre due famiglie non abbiano più ragione di essere.» Lui le prese una mano. «Lo spero anch'io, Roanna.» Roanna udì dei passi e cercò di vedere chi si stesse avvicinando, ma Cynric le bloccava la visuale. Tutto a un tratto lui si portò alle labbra la sua mano. «Lo spero tanto, perché non ho nessuna possibilità di ot-tenere l'altra cosa che desidero.» «E quale sarebbe?» chiese lei ritraendosi ancora. «Voi» sussurrò lui. A quel punto Roanna lo spinse da parte e uscì dalla nicchia. Notando con sollievo che lì fuori non c'era nes-suno, si diresse rapidamente verso l'uscita. Che sciocca era stata!, si disse strofinando contro la gonna le dita che Cynric le aveva baciato.

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Cynric emerse lentamente dalla nicchia e uscì dalla chiesa. Quando vide Roanna allontanarsi a cavallo co-minciò a fischiettare. Gwilym non disse nulla durante il viaggio di ritorno. Quando arrivarono a Craig Fawr era già tardi. Il pasto serale era terminato, e Mamaeth disse a Roanna che le aveva fatto portare uno spuntino in camera. Roanna si avviò frettolosamente su per le scale. L'incontro con Cynric l'aveva lasciata scossa e leg-germente disgustata. Avrebbe fatto meglio a dare retta a Emryss, invece di preoccuparsi delle apparenze. Sperava solo di non rivedere Cynric mai più. Aprì la porta e si fermò sulla soglia. Emryss era im-merso nella tinozza, apparentemente addormentato. I bracieri accesi scaldavano la stanza e il profumo delle erbe aromatiche aleggiava nell'aria. I suoi vestiti erano per terra, insieme alla benda per l'occhio. Era la prima volta che lo vedeva così immobile. Roanna chiuse silenziosamente la porta e ci si appog-giò contro, poi si mise a osservare l'uomo che aveva spo-sato. La cicatrice che gli deturpava un lato della faccia era tutta arrossata e raggrinzita per il calore. La palpebra destra affondava nell'orbita vuota. Roanna cercò di im-maginarselo come doveva essere stato prima di quella ferita, ma non ci riuscì. Per lei quella cicatrice faceva parte del suo volto tanto quanto le labbra, il naso e il mento. Si avvicinò un poco e notò le goccioline d'acqua che gli brillavano sulle spalle ampie e sul torace robusto. Come ipnotizzata da quello spettacolo, si avvicinò anco-ra. Dall'acqua calda si alzava un leggero vapore. Chiuse gli occhi e respirò l'aroma delicato delle erbe. «Che cosa state facendo?» Roanna sussultò leggermente e indietreggiò.

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«Sono... sono venuta per lavarmi» mormorò. «Datemi quel telo laggiù.» Roanna si chinò su una pila di teli di lino e prese quel-lo più in alto. «No, quello grande.» Lei lo trovò e glielo porse. Emryss la fissò per un at-timo, poi fece un sorrisetto ironico. Lentamente, si solle-vò dalla tinozza. Roanna gli voltò subito la schiena. Lui le strappò di mano il telo con una risata sommessa. Roanna sentì una vampata di calore salirle al viso e fissò il muro. «Adesso potete girarvi. Sono presentabile.» Lei gli gettò una rapida occhiata. Emryss si era avvol-to il telo attorno ai fianchi. Per il resto era nudo. Tutto a un tratto lui barcollò, come se la gamba sini-stra gli avesse ceduto. «Avete bisogno d'aiuto?» gli chiese Roanna con voce sommessa. «No» rispose lui bruscamente, passandosi una mano fra i capelli arruffati. Poi si massaggiò la gamba. «Dov'è la mia dannata benda?» borbottò mentre zoppicava verso il baule. Roanna si avvicinò alla pila di vestiti abbandonati sul pavimento e la sollevò. «Eccola qui.» Emryss la prese con un sorrisetto amaro. «Non è un bello spettacolo, la mia faccia, vero?» «Non mi disturba» mormorò Roanna. Zoppicando, lui andò a versarsi un bicchiere di vino. «Che cosa è successo alla vostra gamba?» gli chiese Roanna. «Una vecchia ferita... una storia lunga, perciò non sta-rò a raccontarvela. Sono troppo stanco.» Emryss si voltò a guardarla e Roanna trattenne il fiato. «Toglietevi quel dannato velo.»

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«Sì, messere.» Roanna si tolse il velo e i capelli le caddero sulle spalle. Lui la fissò. «Mio Dio, quanto siete bella» sussurrò. Roanna gli si avvicinò lentamente. «Emryss» disse con voce sommessa. Lui la prese fra le braccia e se l'attirò al petto. Gentil-mente, anche se con insistenza, s'impossessò delle sue labbra. Roanna fu pervasa da un'ondata di desiderio e si strinse ancora di più a lui. Emryss slacciò i nastri del suo vestito e le sfiorò la schiena. Roanna gemette piano e sentendo che le tremavano le ginocchia si aggrappò a lui. Continuando a baciarla, Emryss la sollevò e la depose sul letto. Poi prese ad ac-carezzarle i capelli, le spalle e il collo. Infilò le dita nella scollatura dell'abito e le sfiorò i seni. Roanna sussultò e si offrì completamente a quella sensuale esplorazione. Quando alle carezze seguirono i baci, Roanna perse ogni timidezza e cominciò a sfiorare il torace nudo di Emryss, stuzzicandogli i capezzoli con la punta delle di-ta. Lui gemette e le sfiorò un seno con la punta della lin-gua. Guidate da una volontà propria, le mani di Roanna scesero più in basso, indugiando sul suo ventre piatto e muscoloso... «Oh, mio Dio.» Tutto a un tratto Emryss rotolò sulla schiena e giacque accanto a lei, lo sguardo fisso sul sof-fitto. «Che... che cosa c'è?» «Io... io non posso.» Roanna si mise a sedere, senza badare al fatto che il corpetto dell'abito le era sceso fino alla vita. «Per favore, Roanna, non guardatemi così.» Emryss si voltò dall'altra parte. «Non avrei dovuto sposarvi.» «Avete detto che sono bella» disse lei con un filo di voce. Lui si voltò a guardarla e allungò una mano per sfio-

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rarle il viso, ma all'ultimo istante si ritrasse. «Lo siete. Troppo bella.» Poi si alzò stringendosi il telo attorno ai fianchi. «E allora perché non volete amarmi, Emryss?» Lui girò intorno al letto finché non si trovò accanto a lei. «Perché sono solo un mezzo uomo.» Lasciò cadere il telo e lei sussultò vedendo la cicatrice violacea che gli arrivava fino all'inguine. «Per poco un saraceno non ha fatto di me un eunuco.» Emryss si coprì di nuovo. «E l'infezione ha terminato l'opera.» Roanna lo guardò con un'espressione addolorata. «Oh, le mie parti intime ci sono quasi tutte, e sembra-no funzionare, ma solo per poco.» Emryss inghiottì un altro sorso di vino e barcollò leggermente. «Ne siete certo?» chiese lei a voce bassa. Lui sorrise amaramente. «Ci ho provato, Roanna. Un completo fallimento. Perciò non avrei dovuto proporvi questo matrimonio, moglie mia. Non è giusto.» Roanna si tirò su il corpetto dell'abito e scese dal letto. «Perché l'avete fatto?» Lui fissò il bicchiere. «Perché voi mi avete guardato come una donna guarda un uomo. Non come un essere deforme, da deridere o compatire. Mi avete guardato con rispetto e... e desiderio.» Poi sospirò e sollevò lo sguar-do. «È per questo che cavalco dall'alba al tramonto, fin-ché non sono esausto. Voi siete una tentazione troppo forte.» Senza dire altro, Emryss si vestì e uscì dalla stanza. Roanna fissò la porta, poi si sedette tristemente sul letto. Ben lontana dal sentirsi sollevata, era rimasta pro-fondamente sconvolta dal racconto di Emryss. Due gros-se lacrime cominciarono a scenderle lungo le guance. Tutto a un tratto udì un urlo. Corse alla porta e la spa-

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lancò. Sentendo un gran baccano proveniente dal salone scese le scale di corsa. Emryss giaceva per terra, privo di sensi. Roanna sentì un tuffo al cuore e si precipitò accanto a lui. «Cos'è successo?» chiese a Mamaeth, che era ingi-nocchiata al suo fianco. «Gli stavo parlando... e tutto a un tratto è caduto» ri-spose Gwilym guardandola con un'espressione di rim-provero. Roanna non ci fece caso, perché in quel mo-mento Emryss gemette forte. «Cos'ha?» chiese a Mamaeth. «Febbre, e non so cos'altro» rispose laconicamente la vecchia. «Passa tutto il giorno a cavallo... Forza, Gwi-lym, aiutami a portarlo a letto.» Gwilym aiutò Mamaeth a sollevare Emryss e Roanna fece per dare una mano. «Ce la caviamo da soli» le disse Gwilym con freddez-za. Lei non ribatté e li seguì. Raggiunta la camera da letto, Gwilym aiutò Mamaeth a sdraiare Emryss sul letto. «Tu va' a prendere la mia borsa» ordinò l'anziana don-na vedendo che Gwilym indugiava inoperoso sulla so-glia. Roanna aspettò che lui se ne fosse andato e poi en-trò nella stanza. «Voi aiutatemi a levargli i vestiti» le disse la vecchia. Quando gli ebbero sfilato la camicia, gli sfiorò la gola e la fronte. «Santo cielo, scotta!» esclamò. «Forza, sfilate-gli la calzamaglia mentre io accendo i bracieri.» Roanna esitò ed Emryss gemette di nuovo. «Ho detto di levargli la calzamaglia, ragazza» ripeté Mamaeth. Questa volta Roanna obbedì e la vecchia spa-lancò gli occhi. «Cristo santissimo... È per questo che siete ancora vergine?» Roanna arrossì e non disse nulla.

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«Ah, gli uomini!» mormorò Mamaeth fra i denti. «Si è ammalato pur di non dire nulla. Ma quando starà me-glio mi sentirà!» Poi coprì Emryss con un lenzuolo. Roanna afferrò il braccio della vecchia. «Guarirà, non è vero?» «Ma certo, ragazza mia. Ha la febbre, ma ho guarito uomini conciati peggio di lui. Con il tempo tutto si si-stemerà. Solo gli sciocchi non lo vogliono capire.» Roanna sarebbe voluta esserne altrettanto sicura. Un attimo dopo si udì bussare alla porta e Bronwyn entrò con la borsa contenente le erbe di Mamaeth. «Era ora» brontolò la vecchia. «Scalda dell'acqua, presto, e non fare gli occhi dolci a Gwilym finché non me l'avrai portata.» Bronwyn si allontanò in fretta. «Adesso sedetevi e riposatevi, mia cara» ordinò Ma-maeth a Roanna, non senza una certa gentilezza. Emryss rimase a letto per qualche giorno, febbricitan-te e in preda al delirio. Roanna restava accanto a lui giorno e notte, e si ripo-sava solo quando Mamaeth la costringeva. Spesso Em-ryss parlava, cantava o addirittura urlava. A volte si di-batteva, e allora Mamaeth gli faceva inghiottire la medi-cina con la forza. Roanna soffriva per lui e nonostante le rassicurazioni della vecchia, temeva per la sua vita. Non sapendo che altro fare gli teneva la mano, sperando di dargli un po' di conforto. Una volta lo baciò sulle labbra riarse dalla feb-bre. Non voleva perderlo. Non riusciva più a immaginare la vita senza di lui. Una notte, finalmente, quando cominciava a temere che non si sarebbe più ripreso, Mamaeth entrò, l'osservò per qualche istante e gli posò una mano sulla fronte. «Grazie al cielo la febbre è passata!»

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Roanna provò un grande sollievo e poi un'enorme stanchezza. «Adesso dormirà sodo per un bel po'. Approfittatene per riposarvi, mia cara» aggiunse Mamaeth con voce sommessa. Roanna annuì e si alzò in piedi. «Mamaeth, come po-trò mai ringraziarvi?» «Fate un bambino» rispose seccamente la vecchia, poi uscì dalla stanza. Roanna guardò Emryss. Chiaramente lui non aveva detto a Mamaeth di aver già provato, e di avere fallito. Sospirò piano e gli sfiorò le labbra con la punta delle di-ta. Poi si avvicinò alla finestra e guardò fuori. La ruota del mulino girava lentamente. Nel cielo blu scuro splendeva la luna piena. Roanna respirò a pieni polmoni l'aria fresca della notte e sentì qualcosa di stra-no. Un odore che non ci sarebbe dovuto essere. Annusò l'aria e si guardò intorno. Poi vide un filo di fumo alzarsi dal mulino. «Al fuoco! Al fuoco!» urlò correndo verso la porta. «Il mulino sta bruciando!» Mentre scendeva precipitosamente le scale il panico s'impadronì di lei. Se il mulino fosse stato distrutto ci sarebbero voluti dei mesi per ricostruirlo. Mesi senza fa-rina e senza pane. Uscì nella corte continuando a urlare per dare l'allar-me. Gli abitanti del castello cominciarono a correre di-sordinatamente verso il mulino. Roanna li seguì con il cuore in gola. Adesso le fiamme stavano lambendo il tet-to dell'edificio e uscivano dalle finestre del piano supe-riore. La grande ruota era ferma e la parte inferiore stava bruciando. Mentre si guardava intorno pensando a cosa fare, Ro-anna si accorse che anche da un angolo della fortezza si stava alzando del fumo.

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Il deposito delle armi! Bisognava intervenire al più presto. «Mamaeth! Mamaeth!» La vecchia arrivò quasi subito. «Tenete qui le donne e chiedete se qualcuna ha visto qualcosa» ordinò. «Io e gli uomini torniamo a Craig Fawr. Il deposito delle armi sta bruciando.» Nel frattem-po una piccola folla si era radunata intorno a loro. «Voi donne restate qui e cercate di spegnere quest'incendio. Noi torniamo indietro. La fortezza ha preso fuoco.» La folla ebbe un sussulto e gli uomini cominciarono a correre su per la collina. Roanna li seguì più in fretta che poteva, cercando di non incespicare nella gonna lunga. Quando raggiunse la corte trovò il caos. Gli uomini stavano correndo disordinatamente avanti e indietro con dei secchi d'acqua, scontrandosi l'uno con l'altro nella fretta di raggiungere il deposito delle armi. Un uomo stava correndo nella direzione opposta, carico di archi e di frecce, ma nella fretta li lasciò cadere per terra. Quando una folata di vento disperse un poco il fumo, Roanna si rese conto con una stretta allo stomaco che c'era il rischio che anche la scuderia prendesse fuoco. In preda al panico, si mise a urlare per avvertire gli uomini, ma nessuno le diede retta. Allora raggiunse l'im-palcatura più vicina e cominciò ad arrampicarsi. Quando fu al di sopra delle teste degli uomini urlò più forte che poteva. Tutti si fermarono e la guardarono. «Rhys! Dov'è Rhys?» «Qui.» Un uomo sporco di fuliggine si fece avanti. «Fate mettere in fila gli uomini dal pozzo alla torre, in modo che si passino i secchi. Dite ai ragazzini di spegne-re subito i fuochi più piccoli. I ragazzi più grandi bagni-no il tetto della scuderia, prima che prenda fuoco anche quello. Che tutti gli altri si allontanino da qui. Anche i

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cavalli. E che nessuno vada più nel magazzino a prende-re altre armi. Per prima cosa bisogna spegnere l'incen-dio!» Gli uomini la guardarono con un'espressione perples-sa. Tutto a un tratto Roanna vide un uomo affacciarsi sul-la soglia del salone. «Fate come dice» ordinò Emryss. «Che cosa state a-spettando? Obbedite a mia moglie.» Roanna scese dall'impalcatura e gli andò incontro. «Grazie.» La sua espressione si ammorbidì. «Vi avrebbero ob-bedito comunque. Sembrate un angelo vendicatore.» Roanna sorrise. «Forza» disse lui. «Dobbiamo spegnere l'incendio.» «Ma la vostra gamba...» «Salirò sul tetto della stalla per aiutare i ragazzi.» Senza darle nemmeno il tempo di protestare, Emryss scomparve nel fumo acre.

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All'alba venne la pioggia, che spense gli ultimi focolai dell'incendio. Emryss guardò fuori della finestra del fienile. La corte era piena di pozzanghere, disseminata di pezzi di legno carbonizzati e di pietre annerite dal fumo. La maggior parte dei fittavoli erano tornati alle proprie case, ma al-cuni uomini erano rimasti e stavano parlando a bassa vo-ce accanto al deposito delle armi. Sebbene l'edificio fos-se sporco di fuliggine, non si erano aperte crepe nei mu-ri. Sarebbe potuta andare molto peggio, se Roanna non avesse dato l'allarme in tempo. Emryss scese faticosamente la scaletta di legno che portava al piano terra, dov'era la scuderia. Gwilym lo salutò con un grido e gli corse incontro. «Non ci sono stati troppi danni, grazie a Dio.» «E il mulino?» «La ruota è un po' bruciacchiata, ma può ancora fun-zionare. Mamaeth e le donne si sono date da fare.» Emryss annuì, esausto. «Dov'è Roanna?» Sul volto di Gwilym passò una strana espressione. «Nel salone.» Emryss cominciò ad attraversare lentamente la corte, ma a un certo punto scorse un indumento bruciacchiato

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abbandonato per terra. Un vestito. Il suo vestito. Con un tuffo al cuore, si mise a correre verso il salone. «Roanna! Roanna!» Rhys gli andò incontro. «È nella vostra stanza messe-re.» «Che cosa è successo?» «Il suo vestito ha preso fuoco...» Emryss si lanciò su per le scale. La gamba gli faceva molto male, ma il timore che fosse accaduto qualcosa a Roanna era più forte del dolore. Quando raggiunse il corridoio, incontrò Mamaeth che stava uscendo dalla ca-mera da letto. La vecchia si mise un dito davanti alle labbra. «Ssh. Adesso sta dormendo.» «Si è fatta molto male?» «No, è solo esausta, poverina, e non c'è da stupirsene. Perché, Emryss? Cosa c'è?» «Niente, Mamaeth» rispose lui appoggiandosi contro il muro e stringendo i denti per il dolore. «Eccetto la gamba, eh? Vieni con me nella caserma. Ti preparerò un impiastro.» «No, non importa...» «Ho detto di venire nella caserma.» Sentendo quel tono, Emryss capì che sarebbe stato i-nutile opporsi. Quando furono all'interno dell'edificio, Mamaeth co-minciò a preparare l'impiastro guardando Emryss di sot-tecchi. «Ringraziamo il cielo per la pioggia» disse aggrottan-do la fronte. «E tua moglie per la sua vista acuta. Levati la calzamaglia.» Voltandole le spalle, Emryss si sfilò la calzamaglia e si coprì i lombi con un lenzuolo. «Sembri un cane bastonato.» Mamaeth gli si avvicinò ed Emryss arricciò il naso sentendo l'odore pungente del-

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l'impiastro. «Niente smorfie, ragazzo. Questo ti aiuterà a guarire. L'avrei fatto prima, se tu non avessi voluto cu-stodire il tuo segreto.» Così dicendo afferrò un lembo del lenzuolo e tirò. «Per Dio!» esclamò Emryss cercando di coprirsi. «Non bestemmiare, altrimenti non ti curerò.» Emryss si rassegnò all'inevitabile, ma non osò guarda-re in faccia la vecchia balia mentre gli spalmava l'impia-stro sulle vecchie ferite. «E così tua moglie è ancora vergine.» Lui si alzò in piedi e s'infilò la calzamaglia. «Saresti dovuto venire da me, Emryss.» «E rivelare il mio vergognoso segreto?» «Che cosa c'è di vergognoso?» «Il fatto di non poter...» Emryss scrollò le spalle. «Di non poterle dare dei figli.» «Certo che non puoi, se non fai l'amore con lei, scioc-co.» «Mamaeth, io non posso fare l'amore con lei» disse Emryss cercando di stare calmo. «E perché no, per l'amor del cielo? Perché hai perso un testicolo?» Esasperata, Mamaeth si sedette sul letto. «E dire che credevo che avessi il cervello. Ah, gli uomi-ni!» Poi vide l'angoscia di Emryss e la sua voce si addol-cì. «Hai perso anche un occhio, tuttavia non sei cieco.» «Ma non sono neppure tutto intero.» «Quello che hai perso non fa nessuna differenza.» «Che cosa?» «Quando Dio ha creato Adamo, sapeva quel che stava facendo. Te ne ha dati due, e il fatto che tu ne abbia per-so uno non cambia le cose.» Emryss si sedette accanto a lei. «È quello che mi ha detto Abram, l'uomo che mi ha salvato la vita. Ma...» Poi sospirò. «Durante il viaggio di ritorno ci ho provato. Credevo di essere guarito, e invece...»

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Mamaeth scosse la testa. «Eri preoccupato e timoroso, e ci hai provato con una donna che non conoscevi e della quale non t'importava nulla. È logico che le cose siano andate male, in una situazione simile. Ma adesso sarà tutto diverso.» «Come fai a esserne così sicura?» «Perché Lady Roanna ti desidera e ti vuole bene. Ba-sta guardarla negli occhi! E tu sei sposato con lei. Devi solo fare le cose con calma, all'inizio... è sempre meglio, d'altra parte. Ma non stanotte. Prima devi avere il tempo di guarire.» Emryss si sentì tutto a un tratto più leggero. «Quanto ci vorrà?» «Impaziente come sempre, eh, ragazzo? Diciamo una settimana.» Mamaeth lo abbracciò e gli fece posare la testa sulla propria spalla. «Grazie, Mamaeth, mammina mia» sussurrò lui. Lei gli diede un buffetto affettuoso. «Adesso mi a-spetto dei bambini. Tua moglie sembra fatta apposta, e ne desidera.» Emryss sorrise. «Dimmi, Mamaeth, come hai fatto a capire che Roanna è ancora vergine?» «Dal suo modo di camminare, ragazzo. Non è ab-bastanza sciolta nei movimenti.» Lui la guardò con un'espressione dubbiosa. «Adesso va' da lei, sciocco, ma per ora accontentati di guardarla!» Mamaeth si alzò e gli strizzò l'occhio, poi se ne andò sbattendo la porta. Canticchiando sottovoce, Emryss uscì dalla caserma. Grazie al cielo l'incendio non aveva provocato troppi danni. Avevano tempo fino a dicembre per terminare la costruzione delle mura, dopo di che Craig Fawr sarebbe stata inespugnabile. Quando entrò nel salone, vide Gwilym seduto in un angolo insieme a Bronwyn e si avvicinò. «Bronwyn, di'

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a Jacques di preparare qualcosa di speciale per stasera. Ci meritiamo un buon pasto.» Bronwyn fece una riverenza e sorrise. «Sì, messere.» Poi si allontanò. «Brawdmaeth» disse Gwilym, «devo parlarti.» «Più tardi, Gwil. Adesso ho qualcosa d'importante da fare.» Gwilym fece per aggiungere qualcosa, ma si limitò ad annuire. Quando raggiunse la porta della camera da letto, Em-ryss bussò piano. Non avendo ottenuto alcuna risposta spinse gentilmente la porta e si affacciò sulla soglia. Roanna stava dormendo sul letto, coperta fino al men-to da una coperta di pelliccia. I suoi lunghi capelli scuri erano sparsi sul cuscino e agli angoli degli occhi e delle labbra aveva tracce di fuliggine. Cercando di resistere al desiderio di accarezzarla, Emryss andò prima a lavarsi le mani annerite dal fumo. «Emryss?» Lui si voltò e vide che lo stava guardando. «Sì, moglie mia» rispose sorridendo come uno sciocco. Andò a se-dersi sul bordo del letto e le sfiorò le guance. «Grazie per avere salvato il mulino e il deposito delle armi.» «Ho solo dato l'allarme» rispose lei aggrottando un poco la fronte. «State meglio?» «Non sono mai stato meglio, Roanna.» Emryss si chi-nò su di lei e le sfiorò le labbra con le proprie. «Mama-eth e io abbiamo fatto una chiacchierata» aggiunse. «A quanto pare sono stato uno sciocco.» Lei lo fissò con un'espressione perplessa. «Mamaeth dice che se non... precipito le cose, potre-mo avere dei bambini.» Roanna fece un sorriso radioso, poi gli buttò le brac-cia al collo e lo baciò appassionatamente. Dopo un lungo attimo lui si ritrasse, senza fiato.

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«Santo cielo! E poi sarei io quello impaziente!» Em-ryss fece una smorfia. «Mamaeth dice di aspettare una settimana. Credo che nel frattempo mi convenga dormire nella caserma.» Poi si alzò in piedi. «La settimana pros-sima avremo da festeggiare qualcosa di più di un buon raccolto.» In quel momento si udì bussare. «Che cosa succede là dentro?» chiese Mamaeth. «È meglio che tu segua il mio consiglio, Emryss!» Lui aprì la porta e vide Mamaeth seminascosta dietro la tinozza di legno. «Aiutami a portare quest'affare, prima che la lasci ca-dere e tu perda qualcos'altro!» Emryss si mise a ridere e trasportò la tinozza all'inter-no della stanza. La vecchia guardò i due sposi. «Appena Lardgut avrà acceso il fuoco farò portare l'acqua calda.» «Ci basta riempire la tinozza una sola volta» disse Emryss in tono solenne. «Ma certo, messere» rispose Mamaeth ridacchiando. «Però state attento, ho detto una settimana... altrimenti potreste avere dei guai seri.» «Non me lo dimenticherò.» «Quanto tempo sprecato» borbottò la vecchia mentre usciva dalla stanza. Emryss scoppiò a ridere, poi guardò sua moglie. «Ro-anna» disse con voce sommessa, «che cos'avete addosso, sotto quella coperta?» Lei arrossì leggermente e non disse nulla. «Vi ho fatto una domanda, moglie» insistette lui avvi-cinandosi al letto. «Nulla» rispose Roanna con un filo di voce. «Nulla?» Emryss si sedette sul bordo del letto e acca-rezzò la coperta di pelliccia, proprio sopra i suoi seni. «Sapete, moglie mia, mi è venuto in mente che ci sono

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altri modi per divertirsi, in questa settimana» disse cominciando a sfiorarle la pelle nuda. Roanna sospirò e chiuse gli occhi mentre lui le mordicchiava il lobo di un orecchio, poi sollevò il viso per baciarlo. «Mmh, così va meglio» mormorò Emryss. Qualche attimo dopo Mamaeth entrò nella stanza. Ro-anna sussultò e si coprì i seni. Emryss arrossì leggermen-te e si alzò in piedi. «L'acqua per il bagno è pronta» annunciò la vecchia. Una piccola legione di fantesche entrò, ciascuna con una brocca colma d'acqua calda. «Posatele per terra e andatevene» ordinò Emryss. Le fantesche obbedirono e uscirono dalla stanza schiamazzando come galline. Emryss cominciò a versare l'acqua dentro la tinozza. «Volete lavarvi per primo?» chiese Roanna. Lui si raddrizzò e si voltò a guardarla. «Per primo? No. Ci laveremo insieme.» Senza lasciarle il tempo di obiettare, la sollevò e la depose nella tinozza. Poi si spogliò in fretta e la raggiun-se. «Mmh» disse accarezzandola con lo sguardo, «temo di non avere avuto una buona idea. Conviene che me ne vada subito in caserma, altrimenti dimenticherò quello che mi ha detto Mamaeth.» Roanna avvampò e abbassò lo sguardo. «Adesso vorreste dirmi come mai il vostro vestito era per terra, nella corte?» Roanna si schiarì la voce. «La gonna ha preso fuoco e io... me la sono levata.» Emryss aggrottò la fronte. «Ve la siete levata? Do-ve?» «Nella corte.» Emryss cominciò a ridere. «Intendete dire che mia moglie si è spogliata nel bel mezzo della corte? Oh, che

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cosa indegna! Come potrò sopravvivere alla vergogna?» Roanna arrossì ancora di più. «Non c'era il tempo di fare nient'altro.» Emryss le prese una mano. «Roanna, guardatemi. Ec-co, così va meglio. Non me ne importa un accidente, an-che se foste rimasta nuda davanti ai miei fittavoli.» Fece una pausa e ridacchiò di nuovo. «Be', non è esattamente vero.» Poi divenne serio. «In ogni caso, voi vi preoccu-pate troppo di quello che pensa la gente. La cosa impor-tante è che avete salvato le armi e il mulino. Senza di voi saremmo rimasti indifesi e moriremmo di fame.» Il cuore di Roanna si riempì di gioia. Emryss le lasciò la mano e si strofinò il mento con una espressione meditabonda. «Però penso che vi ci vor-rebbe la guida di un prete...» Roanna si chinò in avanti e lo afferrò per le spalle. «Oh, Emryss, davvero?» «Se avessi saputo che la presenza di un prete vi a-vrebbe fatto reagire così, ne avrei fatto venire subito u-no.» Emryss sorrise. «Sì, potete avere un prete, visto che ci tenete così tanto. Però non dovete pretendere che io abbia qualcosa a che fare con lui. Detesto gli ipocriti.» «Non lo farò, Emryss.» «Vorrei proprio sapere come mai ci tenete tanto.» Roanna si appoggiò al bordo della tinozza. «Quando vivevo con mio zio mi sentivo al sicuro solo quando ero in chiesa. Per me era quasi come essere a casa.» «Bene, questa è la vostra nuova casa, adesso» disse lui sorridendo con calore. Poi si versò dell'acqua sulla testa. «Santo cielo, puzzo di fumo.» Roanna gli si fece più vicina «Anch'io.» «Statemi lontana, donna. Non sono tanto paziente.» Lei si ritrasse. Emryss emise una specie di grugnito. «Bene, tornia-mo al vostro prete. Immagino che dovrebbe avere qual-

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cosa di meglio della chiesetta del villaggio. In primave-ra, se la tosatura delle pecore ci farà guadagnare a suffi-cienza, ne costruiremo una in pietra.» Roanna sorrise. «Grazie, Emryss.» «E non guardatemi in quel modo. Sono solo un uomo in carne e ossa, sapete.» Poi si alzò in piedi e si guardò. «Santo cielo, come faccio a resistere una settimana?» «Neppure io ho voglia di aspettare.» Emryss lanciò un'occhiata a Roanna, poi s'infilò i ve-stiti. «Vado a controllare i danni» borbottò dirigendosi verso la porta. Rimasta sola, Roanna si alzò e cominciò ad asciugar-si. Quella settimana sarebbe stata la più lunga della sua vita. Emryss scavalcò una grossa pozzanghera. Rhys e Gwilym erano davanti al deposito delle armi e stavano parlando a bassa voce. In mano avevano un pezzo di le-gno carbonizzato. Quando Emryss si diresse verso di loro, Rhys fece un cenno nella sua direzione. I volti dei due uomini erano cupi. «Emryss, devo parlarti» disse Gwilym. «Giusto. Quante armi abbiamo perduto?» «Poche. Stiamo contando quelle che restano» rispose Rhys. «Fammi sapere il numero finale» disse Emryss. Rhys annuì ed entrò nell'edificio. «Che cosa c'è di così impor-tante, Gwil?» «Gli incendi sono stati provocati di proposito. Abbia-mo trovato pece e torce sia qui che nel mulino.» Emryss provò un moto di rabbia. «Capisco il mulino, ma com'è possibile che qualcuno sia entrato qui dentro?» «Prima è stato dato fuoco al mulino, e noi come degli sciocchi siamo andati tutti là. Nel frattempo qualcuno

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dev'essere entrato nella fortezza e ha incendiato il depo-sito.» Emryss si massaggiò una guancia. «Qualcuno ha visto qualcosa?» «Non qui.» L'espressione di Gwilym s'indurì. «Ma qualcosa ho visto, e devo dirtelo. Nel monastero.» Em-ryss fissò il terreno e il suo fratello d'arme continuò a parlare. «Cynric stava baciando la mano di tua moglie. L'ha condotta in un angolo buio, e lei ha acconsentito.» «Come lo sai?» «Ho gli occhi, Emryss.» «E credi che questo abbia qualcosa a che fare con gli incendi?» «Be', è stata lei che ha dato l'allarme e ha mandato tut-ti al mulino.» «Chi si è accorto che stava bruciando il deposito delle armi?» Gwilym scrollò le spalle. «Lei.» «Perciò vi ha mandati tutti giù al mulino e poi vi ha condotti di nuovo quassù per spegnere un incendio che aveva aiutato ad appiccare? Non ha senso, Gwilym.» «Per il tuo e nostro bene spero di sbagliarmi, bra-wdmaeth.» «Immagini complotti che non esistono, Gwil. Lei non farebbe mai una cosa simile, ne sono certo. Comunque metteremo alcune sentinelle di guardia. Per ora vieni con me. Lo chiederemo direttamente a lei.» Roanna smise di spazzolarsi i capelli e sorrise a Em-ryss, che era appena entrato in camera. «Gwilym mi ha detto che Cynric vi ha parlato, in chiesa» esordì lui senza preamboli. Gwilym entrò e la guardò con odio. «Sì, è vero.» «Che cosa voleva?»

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«Vuole mettere fine alla faida fra di voi.» Gwilym fece una fragorosa risata. «Che bugiardo!» Roanna aggrottò la fronte. «Se non altro ha fatto un tentativo di riconciliazione.» «Può fare tutti i tentativi che vuole, ma non crederò mai a quella vipera» ribatté Emryss. «C'è altro?» «Mi ha preso la mano e me l'ha baciata. Ha detto an-che qualcos'altro, ma ho avuto la sensazione che fossimo spiati e non ho sentito.» Emryss fece un sospiro di sollievo. «Hai visto, Gwil? Cynric sta semplicemente ricorrendo ai vecchi trucchi.» «Bene, allora non c'è più nulla da dire, no?» rispose Gwilym. Poi si voltò e uscì dalla stanza. Roanna fece per seguirlo. «Non mi piace essere spia-ta, neppure dal vostro amico.» Emryss le si avvicinò e le prese una mano. «È solo preoccupato. A volte si comporta con me come una vec-chia balia, ma lo fa a fin di bene. Però non mi piace l'i-dea che Cynric tocchi mia moglie.» Roanna sorrise in maniera accattivante. «C'è un solo uomo dal quale voglio essere toccata.» Lui le prese il volto fra le mani e la baciò delicata-mente. «Per le piaghe del Salvatore, donna, voi mi farete perdere la testa.» Gwilym nel frattempo scese in cucina e fece cenno a Bronwyn di seguirlo nella dispensa. «Voglio che tu non perda di vista Lady Roanna» le disse a bassa voce. «C'è qualcosa che non va?» Poi la ragazza baciò leg-germente la guancia di Gwilym. «Forse nulla... o forse tutto.» Tre giorni dopo, al termine dell'ennesima messa in memoria del barone, padre Robelard si trovava nello stu-

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dio dell'abate, appollaiato sul bordo della sedia, e con dita tremanti stava giocherellando con la tonaca. Ogni minimo rumore lo faceva sobbalzare. L'attesa stava di-ventando insopportabile e il suo terrore cresceva di atti-mo in attimo. Da quando aveva appreso il terribile segreto del baro-ne, poco prima della sua morte, non aveva più avuto pa-ce. La porta dello studio si aprì e padre Robelard si alzò. Cynric DeLanyea, nuovo barone e signore di Beaufort, entrò nella stanza. Fece cenno al prete di sedersi e si ac-comodò sulla sedia dell'abate. «Questo è un momento molto difficile per me» esordì. «Tuttavia devo mettere da parte i miei sentimenti perso-nali e occuparmi del feudo.» Fece una pausa e nei suoi occhi balenò un'espressione furtiva. «Naturalmente mio padre non ha più bisogno dei vostri servigi...» Padre Robelard annuì. «Sì, messere, ed è una vera be-nedizione...» Poi s'interruppe, in preda alla più completa confusione. «Cioè... volevo dire...» Cynric congiunse le mani. «Non voglio fingere davan-ti a un uomo così accorto e perspicace quale voi siete che fra me e mio padre ci fosse un grande affetto.» Non sapendo che cosa dire, padre Robelard rimase in silenzio. «Ho bisogno di assistenza in una questione molto de-licata, e ho pensato che voi potreste aiutarmi. Dopotutto, mio padre si fidava di voi a tal punto da permettervi di ascoltare i dettagli piuttosto spiacevoli circa la vera rela-zione fra Emryss DeLanyea e la nostra famiglia.» Padre Robelard si mosse un poco sulla sedia. Nono-stante il tono confidenziale di Cynric, si sentiva a disa-gio. «Credo che non sia necessario divulgare quei dettagli. Non siete d'accordo, padre?»

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«Naturalmente, messere.» «Bene. Dopotutto, quello che è accaduto in passato non può essere cambiato.» «Verissimo, messere.» «Tuttavia...» Cynric sorrise con un'aria meditabonda, «vorrei fare ammenda e migliorare i rapporti fra Emryss e me.» «Un pio desiderio, messere, se posso dirlo.» «Però sono certo che Emryss non accoglierà alcun tentativo da parte mia. Ha perfino ignorato l'invito ad as-sistere al funerale di mio padre.» Padre Robelard scosse tristemente il capo. «Ma se un uomo discreto, inviato a occuparsi della chiesetta vicina a Craig Fawr, parlasse con sua mo-glie...» «Naturalmente, messere, ma Emryss è assai ostile alla Chiesa.» «A quanto pare, padre, sua moglie è riuscita a persua-derlo a fare alloggiare un prete nel villaggio, se non nella fortezza.» «Che Dio la benedica!» «Ho parlato con l'abate, padre, e lui concorda con me che voi siete il candidato più adatto.» Padre Robelard tossicchiò nervosamente. L'abate lo pensava davvero, oppure aveva in qualche modo saputo della sua caduta in disgrazia e voleva liberarsi di lui? «L'abate si rende conto che c'è bisogno di un prete sensibile e intelligente, e perciò abbiamo pensato a voi.» «Ne sono lusingato, messere...» Cynric si alzò in piedi e lisciò la propria tunica di lana scura. «Non è nulla, padre.» Poi si diresse verso la porta, ma improvvisamente si voltò. «Ah, padre Robelard, sono certo di poter contare sul vostro silenzio riguardo a ciò che mio padre ha detto prima di morire. Non è il caso di causare imbarazzo a Emryss e alla sua adorabile sposa.

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Queste cose possono venire distorte dalle chiacchiere della gente ignorante.» «Una cosa davvero triste, messere. I pettegolezzi so-no...» «Sì. Proprio così.» Tutto a un tratto Cynric fece una smorfia piena di sarcasmo. «Ah, e vi saluterò Lynette, padre. Sono certo che sarà molto rattristata dalla vostra partenza.» Padre Robelard impallidì. Dunque Cynric sapeva che aveva rotto il voto di castità! «Ma sono altrettanto sicuro che di tanto in tanto trove-rete il modo di tornare al monastero. Aspetterò con ansia notizie di mio cugino e di sua moglie.» Cynric rivolse un sorriso crudele al piccolo prete e uscì.

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Nei giorni che seguirono l'incendio, Roanna scoprì quan-to era bello essere corteggiata. Emryss era affascinante e faceva di tutto per compiacerla. Siccome Mamaeth gli aveva proibito di andare a cavallo, trascorrevano parec-chio tempo insieme a parlare e a scherzare. Emryss approfittava della forzata inattività per seguire da vicino i lavori di costruzione delle mura. Una volta Roanna lo sentì parlare delle fortificazioni di Acri e di altre fortezze orientali. Più tardi, a cena, approfittò del suo buonumore per chiedergli della Crociata. Emryss s'incupì immediatamente, tuttavia le raccontò qualcosa delle difficoltà incontrate dai crociati. Le disse della pioggia incessante che faceva marcire il cibo e ar-rugginire le armature, della terribile siccità, delle epide-mie e della fame. «E tutto questo per che cosa?» conclu-se con amarezza. «Solo per conquistare un lembo di terra del quale nessuno sa che farsene.» «Ma lasciare Gerusalemme nelle mani degli infede-li...» obiettò lei. Vedendo la sua espressione sofferente, Roanna sentì una stretta al cuore. «Emryss, non potrò mai capire quanto avete sofferto, ma lasciate che vi aiuti a dimenticare» gli disse con infi-nita tenerezza.

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«Voi siete l'unica persona alla quale abbia mai raccon-tato queste cose, Roanna. Credo di aver capito fin dal primo istante in cui vi ho vista che avreste guarito le feri-te della mia anima.» Poco dopo Rhys chiese una canzone, ed Emryss lo ac-contentò volentieri. Il prezioso momento d'intimità fra i due sposi era passato, ma Roanna si era resa conto che qualcosa era cambiato fra di loro, che il loro rapporto era diventato più profondo, e quella consapevolezza la ren-deva felice. Durante il giorno Roanna visitava i possedimenti di Emryss accompagnata da Bronwyn e faceva la cono-scenza delle famiglie dei fittavoli. Gwilym, che scortava le due donne, non sembrava affatto convinto che i fuori-legge avessero lasciato il territorio. Poi nel villaggio arrivò padre Robelard, e Roanna si sentì finalmente davvero a casa. Il giorno finale della mietitura, coincidente con l'ulti-mo giorno di quella interminabile settimana, Roanna si svegliò sentendo un gran trambusto nella corte. Si alzò e andò ad affacciarsi alla finestra. Era una splendida giornata e in cielo non c'era nem-meno una nuvola. La corte era piena di gente che andava avanti e indietro e parlava animatamente. Roanna tirò fuori dal baule l'abito blu scuro che aveva terminato di cucire la sera prima e lo indossò sopra una sottoveste ricamata. Poi cominciò a spazzolarsi i capelli canticchiando a mezza voce una delle canzoni preferite di Emryss. Prima di uscire dalla stanza si coprì il capo con il velo. Potendo ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma adesso era una donna sposata. La corte era affollata di gente e di carri. Sembrava che tutti i fittavoli di Emryss e le loro famiglie si fossero ra-dunati lì. Rhys, sorridente e rubicondo come sempre, era

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in piedi su uno dei carri e urlava ordini a destra e a sini-stra. Roanna si sentì toccare una spalla e si voltò. Emryss le sorrise. «Che bel vestito! Ma non sopporto che vi copriate i capelli con quell'affare disgustoso.» Lei arrossì e non disse nulla. La voce di Gwilym risuonò nella corte. «Emryss, hai intenzione di tagliare il grano, oggi?» Gli occhi di tutti si posarono sul signore di Craig Fawr. Mamaeth sbucò dalla cucina e lanciò un'occhia-taccia a Gwilym. «Certo che no, sciocco! Vuoi che quel ragazzo rimanga storpio?» Emryss scrollò le spalle e scosse la testa. «Allora, che cosa state aspettando, pigroni?» urlò Ma-maeth. «Rhys!» «Siamo pronti!» gridò l'amministratore. «Forza, andiamo nei campi. C'è un carro per voi» dis-se Emryss sorridendo a Roanna. «Ci vediamo più tardi.» La folla cominciò a dirigersi verso il cancello. Roanna salì con Bronwyn su un carretto trainato da un asino e le due ragazze si unirono all'allegra brigata. «Vedrete come ci divertiremo» disse Bronwyn riden-do e facendo cadere le redini sul dorso dell'animale. Quando giunsero nei campi gli uomini stavano già ta-gliando il grano con movimenti veloci e misurati. Bronwyn saltò giù dal carretto e sparì tra la folla. Emryss andò incontro a Roanna e le prese la mano. «Questa settimana mi è sembrata interminabile» le sus-surrò all'orecchio. «Anche a me» rispose lei appoggiandosi contro il suo petto. Lui ne approfittò per accarezzarle le spalle e sfiorarle i seni. «Emryss!»

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«Avete ragione. Non è ancora il momento. Forza, ve-nite con me.» Le porse la mano e la condusse con sé per assistere alla mietitura. Alla fine della mattinata gli uomini si riposarono un po'. Le donne tirarono fuori pane, formaggio e birra e si prepararono a fare uno spuntino all'aperto. Bronwyn ricomparve con una grossa cesta, seguita da Gwilym. Emryss guardò la cesta e finse di stupirsi. «Tutto quel cibo per la mia mogliettina e per me?» «Anche per noi e per Mamaeth, brawdmaeth» disse Gwilym. «Però credo che avanzerà parecchia roba. Jac-ques ha voluto esagerare.» Roanna aiutò Bronwyn a stendere una coperta su uno spiazzo erboso, poi il quartetto si sedette e aprì la cesta. Jacques aveva davvero esagerato. C'erano dell'ottimo pane bianco e vari tipi di formaggio, una grossa caraffa di birra, dei dolci e anche un piccolo otre di vino. Le due coppie cominciarono a mangiare di gusto. Mamaeth doveva essere impegnata altrove e non si fece vedere. Finalmente sazia, Roanna si guardò intorno. Le fami-glie dei fittavoli stavano godendosi il pasto e un meritato riposo. I bambini si rincorrevano e giocavano sotto lo sguardo attento dei genitori. Le donne ridevano e chiac-chieravano. Alcuni degli uomini dormivano sdraiati sul-l'erba. Quando si voltò, si accorse che Bronwyn e Gwilym se n'erano andati. Disteso su un fianco, Emryss le sorrise con indolenza. «Che cosa stavate guardando, Roanna?» «I fittavoli più felici che abbia mai visto» rispose lei. Tutto a un tratto si sentì invasa da uno strano languore. «Dov'è Bronwyn?» «Con Gwilym.»

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Roanna si schiarì la voce. «Quello è l'ultimo?» chiese facendo un gesto verso un campo poco lontano. Emryss ignorò la sua domanda e indicò il velo che lei portava in testa. «Avete intenzione di indossare quell'af-fare per tutto il santo giorno?» «Sono una donna sposata. Devo portarlo.» «I vostri capelli sono troppo belli per tenerli nasco-sti.» La sua voce aveva un tono intimo e suadente. Roanna si alzò subito in piedi. «Forse conviene che vada a cercare Bronwyn.» «Già.» Emryss annuì con un'espressione seria. «È ora di cominciare l'ultimo campo, e sono sicuro che Gwilym è con lei.» «Da che parte è andata?» «Di là, credo» rispose lui indicando un boschetto di salici nei pressi del fiume. Roanna si allontanò cercando di mantenere una par-venza di dignità, perché dentro si sentiva tutta calda e quasi sul punto di sciogliersi. Chiamò Bronwyn alcune volte, ma la ragazza non ri-spose. Quando giunse sulla riva del fiume si guardò in-torno con attenzione, ma non vide nessuno. Era inutile cercare Bronwyn. Le conveniva tornare indietro e mette-re via i resti del pasto. Mentre si voltava, una mano le strappò il velo dalla testa e i capelli le caddero sulle spalle. «Così va molto meglio» disse Emryss, che si era na-scosto dietro un albero. «Emryss! Ridatemi il mio velo, per favore. Oh, guar-date... avete strappato il soggolo.» Lui le si avvicinò. «Mi dispiace» disse con un'espres-sione niente affatto rincresciuta. «Immagino che adesso dovrete farne a meno.» «Emryss, siete impossibile.» «Mamaeth me l'ha sempre detto.» Emryss si guardò

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intorno. «Bene, moglie mia, a quanto pare siamo final-mente soli. Forse non c'è bisogno di aspettare fino a sta-notte...» In quel momento sentirono che Mamaeth stava chia-mando Emryss. Lui fece una smorfia e Roanna sorrise. Gli posò le mani sulle spalle e gli diede un rapido bacio sulle labbra. «Stanotte» sussurrò. «Per le piaghe del Salvatore!» esclamò lui. «Una volta tanto vorrei non essere il signore del castello.» Dopodi-ché si allontanò. Roanna si chinò e immerse il velo nell'acqua, poi si inumidì il collo e la fronte. A un tratto le parve di vedere un movimento fra i cespugli. «Bronwyn?» «Sì, sono io» rispose la ragazza uscendo allo scoperto. «Oh, credevo che fossi laggiù» disse Roanna indican-do un altro punto lungo il fiume. «Probabilmente laggiù c'era Gwilym» rispose Bron-wyn arrossendo violentemente. Roanna sorrise. Sapeva esattamente come doveva sen-tirsi la ragazza. In groppa al suo cavallo nero, Emryss arrivò ai margi-ni dell'ultimo campo. I mietitori erano già tutti in fila, pronti a tagliare il grano. Questa volta fra di loro c'era anche Gwilym. «Come mai anche Gwilym taglia il grano?» chiese Roanna a Bronwyn. «Perché è l'ultimo campo» rispose la ragazza. «In pas-sato anche Emryss dava una mano a mietere, ed era mol-to bravo, ma oggi Gwilym prenderà il suo posto.» Emryss sollevò una mano e scese il silenzio. Quando abbassò la mano i mietitori cominciarono a tagliare più in fretta che potevano, guardandosi intorno per tenere d'occhio i rivali.

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Roanna capì che era una specie di gara. Mamaeth ur-lava imprecazioni e incoraggiamenti a destra e a manca, mentre Bronwyn saltava su e giù per l'eccitazione. A un certo punto Gwilym inciampò, e quando cercò di rialzarsi in piedi fece una smorfia di dolore. Emryss smontò immediatamente e lo raggiunse. Gli altri mietito-ri si fermarono. Emryss parlò con Gwilym a bassa voce, poi lo aiutò ad alzarsi e a salire in groppa al suo cavallo. «Bel momento per slogarsi una caviglia» commentò Gwilym ad alta voce. Roanna notò le espressioni deluse di tutti i presenti. Un attimo dopo Emryss si tolse la camicia con foga giovanile. Roanna ebbe un tuffo al cuore. Santo cielo, suo marito intendeva prendere il posto del fratello d'arme! Quando Emryss raccolse la falce di Gwilym, dalla fol-la si levò un'ovazione. Lui si voltò verso gli spettatori e fece un profondo inchino, poi verificò con un gesto tea-trale che la falce fosse abbastanza affilata. «Emryss» lo ammonì Mamaeth, ma lui sollevò una mano per farla tacere. «Il mio onore è in gioco» disse. Roanna trattenne il fiato mentre Gwilym sollevava una mano e al contempo chiudeva un occhio per imitare il signore di Craig Fawr. Tutti i presenti scoppiarono a ridere. Emryss invece aggrottò la fronte e borbottò qual-cosa a denti stretti. Poi si chinò, pronto a partire. Gwilym abbassò la mano e la gara ricominciò. Sotto lo sguardo preoccupato di Roanna, Emryss co-minciò a tagliare il grano con straordinaria rapidità. Solo un vecchio fattore dai capelli grigi sembrava in grado di fare meglio di lui. A poco a poco però, Emryss cominciò a restare indie-tro. I suoi movimenti si fecero sempre più lenti finché non si fermò. Poi guardò Roanna e le rivolse un sorriset-

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to appena accennato. Allora lei capì. Si era risparmiato volutamente. Roanna gli andò incontro. «Va tutto bene?» gli chiese con sollecitudine. «C'è un limite anche all'orgoglio» rispose lui. Intanto Gwilym stava andando avanti e indietro lungo l'estremità opposta del campo. Il vecchio fattore fece l'ultimo covone e lasciò cadere la falce. Poi intrecciò ra-pidamente una manciata di steli di paglia. Emryss gli si avvicinò per fargli le congratulazioni. L'uomo sorrise con orgoglio mentre la folla esultava. E-sausti, gli altri mietitori si lasciarono cadere ai margini del campo. Dopo un breve riposo, Emryss chiamò di nuovo gli uomini. I mietitori si alzarono e si avvicinarono alla treccia di paglia. Roanna lanciò a Bronwyn un'occhiata interrogativa. «È il caseg fedi» spiegò la ragazza. «Significa la ca-valla della mietitura. State a guardare.» Tutto intorno, le donne e i bambini erano seduti nel-l'erba, intenti a chiacchierare e a indicare questo o quel-l'uomo. Armati di falce, gli uomini si misero in fila al centro del campo, di fronte alla treccia di paglia. Quando il primo della fila si chinò, tutti fecero silenzio. L'uomo lanciò la propria falce verso la treccia di paglia e la man-cò. Uno dopo l'altro gli altri uomini fecero un tentativo, ma tutti fallirono. Infine restarono solo Emryss e Gwi-lym. Emryss si chinò, diede un'occhiata a Roanna e lan-ciò la falce. La treccia di paglia cadde, recisa di netto alla base. Gli uomini si lanciarono in avanti e nello stesso istante le donne saltarono in piedi. «Venite!» urlò Bronwyn mettendosi a correre verso il carretto e saltando sul sedile. «Sbrigatevi!»

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Roanna ubbidì, anche se non riusciva a capire cosa stesse accadendo. «Bronwyn, che cosa c'è? Cosa sta succedendo?» chiese mentre saliva sul carro. «Oh, santi del paradiso!» urlò Bronwyn guardandosi alle spalle. «Ci batteranno!» «Una corsa! È una corsa?» gridò Roanna cercando di sovrastare il rumore dei carri e il vociare delle donne. Bronwyn non rispose e continuò a spronare l'asinello. Roanna si aggrappò alle fiancate del carretto e si voltò indietro. Gwilym guidava il gruppo degli uomini ed Em-ryss cavalcava come un pastore che cercasse di tenere insieme il gregge. Appena giunsero in vista della fortezza, le donne si misero a gridare e la saracinesca cominciò a sollevarsi lentamente. Roanna vide Mamaeth in piedi sul primo carro, come una specie di condottiero. Le donne attraver-sarono precipitosamente il primo cancello, poi il secondo e infine il terzo. Quando Roanna e Bronwyn raggiunsero la corte la trovarono piena di carri vuoti. Le donne stavano corren-do avanti e indietro fra il pozzo e la cucina con secchi, brocche e ogni sorta di altri recipienti. Per un attimo Ro-anna temette che ci fosse un altro incendio, ma poi si ac-corse che le donne stavano ridendo come delle matte. A un certo punto udì le imprecazioni furiose di Jacques. «Roanna!» urlò il cuoco non appena la vide entrare in cucina. «Che cosa stanno facendo questi barbari?» Roanna si guardò rapidamente intorno. Tutti i reci-pienti erano pieni d'acqua a eccezione del pentolone del-lo stufato e dei tegami che contenevano il pane. Le don-ne si erano affollate nella stanza, ridendo e scherzando, mentre Mamaeth spiava attraverso la porta. «E adesso che cosa succede?» chiese guardando Bronwyn. La ragazza sorrise. «Stanno portando la cavalla della

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mietitura. Bisogna bagnarla prima che venga appesa là sopra» rispose facendo un cenno verso il camino, dove pendeva un gancio. Mamaeth lanciò una specie di urlo di guerra e tutte le donne fissarono la porta, che la vecchia balia aveva chiuso. «Pen medi bach mi ces!» gridò Gwilym, dall'altra par-te della porta. Bronwyn notò l'espressione confusa di Roanna. «Ecco che arriva la cavalla della mietitura!» tradusse in francese. Un attimo dopo Mamaeth spalancò la porta. Una figu-ra si profilò per un attimo sulla soglia, poi Gwilym si precipitò in cucina. Le donne gli rovesciarono addosso una gran quantità d'acqua, poi lo circondarono e comin-ciarono a spogliarlo. «No, non è lui!» strillò Mamaeth. In quel momento un gruppo di uomini entrò in cucina. Le donne inzupparono anche loro e si affrettarono a spo-gliarli, come se stessero cercando qualcosa. Poi Roanna vide Emryss entrare di soppiatto in cucina con un'espressione maliziosa e dirigersi lentamente verso il camino. Dalla camicia gli spuntavano dei fili di paglia. Allora prese un mestolo, lo riempì d'acqua e seguì Em-ryss senza farsi notare. Appena lui si distrasse un attimo gli gettò in faccia l'acqua e gli sfilò dalla camicia la pa-glia intrecciata. Emryss l'afferrò immediatamente per un braccio, im-pedendole di gettare via la cavalla del raccolto. Roanna guardò la sua faccia gocciolante e la trovò talmente co-mica che scoppiò a ridere. Colto di sorpresa da quella risata, Emryss la lasciò andare e poi la strinse a sé. «Valeva la pena di farsi inzuppare, per vedervi final-mente ridere» le sussurrò all'orecchio.

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Inorgoglita dal proprio trionfo, Roanna sollevò il braccio e mostrò la cavallina di paglia intrecciata. Le donne esultarono e gli uomini la guardarono in si-lenzio. Tutto a un tratto, però, Emryss le strappò di mano la cavallina e fra le urla d'incoraggiamento degli uomini corse ad appenderla al gancio. Poi si piantò davanti al camino con le braccia conserte e un'espressione molto soddisfatta di sé. Troppo soddisfatta di sé, pensò Roanna. Prese un sec-chio d'acqua e glielo rovesciò in testa. Emryss si lasciò sfuggire una specie di guaito e Roan-na scappò via dalla cucina, seguita dalle altre donne. Ma dopo pochi passi fu investita da una cascata d'acqua fredda. Si voltò e vide Emryss con un secchio vuoto in mano. «Emryss, il mio vestito...» gemette. «Emryss!» tuonò Mamaeth. «Le hai bagnato il vestito nuovo!» Le altre donne annuirono e offrirono a Roanna i pro-pri grembiuli perché si asciugasse. «Venite qui, moglie mia» disse Emryss con un tono che le fece venire la pelle d'oca. «Fuori di qui, tu» gli ingiunse Mamaeth. «Va' a cam-biarti. Il banchetto è quasi pronto.» «Sì, è ora di festeggiare» disse Emryss, «ma stasera andrò a letto presto.»

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Roanna salì in fretta le scale che portavano alla camera da letto. Rabbrividendo si tolse il vestito nuovo e lo posò sulla spalliera di una sedia. Era bagnato, ma per fortuna non si era rovinato. Canticchiando a bassa voce, aprì il baule e vide la tu-nica di seta. Tutto a un tratto le venne un'idea audace. Si sfilò la sottoveste e indossò quel morbido indumento di-rettamente sulla pelle nuda. Poi cominciò a spazzolarsi i capelli e a pensare alla notte che l'attendeva. Immagi-nando suo marito, disteso nudo accanto a lei nel grande letto, fu scossa da un fremito di desiderio. «È ora di andare al banchetto!» la chiamò Emryss dal corridoio. Roanna saltò in piedi e si affrettò a indossare l'abito rosso scuro. Per quella sera avrebbe fatto a meno del ve-lo, decise chiudendo il baule con un colpo secco. Poi si avviò verso la porta. Anche Emryss si era cambiato. Quella sera indossava la tunica nera, chiusa sul collo da un fermaglio d'argento, una camicia bianca e una calzamaglia bianca. Il salone era già pieno di gente. I tavoli erano appa-recchiati e decine di torce facevano luce. Roanna si ac-corse che era presente anche padre Robelard e rivolse a Emryss un sorriso pieno di riconoscenza.

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Dopo che il prete ebbe pronunciato la preghiera di rin-graziamento, tutti si sedettero a tavola. Jacques aveva superato se stesso, creando dei veri e propri capolavori. Furono serviti dapprima i piatti più semplici e via via quelli più elaborati, una vera delizia per il palato. Ma nonostante la squisitezza del cibo, Roanna non a-veva appetito. L'unica cosa che riusciva a inghiottire era il vino, che in qualche modo era in grado di placare la febbre che sembrava essersi impadronita di lei. Oltretut-to la tunica di seta accarezzava il suo corpo come una illecita carezza, infiammandola ancora di più. Quando finì il terzo bicchiere di vino, Emryss le posò una mano sul braccio. «Adesso basta» le sussurrò all'o-recchio. «Non vi voglio priva di sensi.» Il tono della sua voce la fece avvampare. Dopo che fu servita l'ultima portata Emryss si alzò in piedi, sollevò il bicchiere e cominciò a parlare rapida-mente in gallese. Roanna riconobbe alcune delle parole e capì che stava ringraziando tutti i presenti per aver fatto un buon raccolto. A un certo punto vide Mamaeth sorri-dere beatamente e s'incuriosì. «Che cosa avete detto, alla fine, per far sorridere Ma-maeth in quel modo?» gli chiese non appena lui si fu se-duto. «Ho detto che spero che l'anno prossimo sarà fruttife-ro. Perché?» I loro sguardi s'incrociarono ed entrambi arrossirono leggermente. Emryss allungò una mano sotto il tavolo e prese quel-la di lei. «Ho aspettato abbastanza» sussurrò. In quel momento Rhys si alzò faticosamente in piedi. Era completamente ubriaco. «Cantateci una canzone, messere» disse con la voce impastata, dondolando avanti e indietro.

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Emryss aggrottò la fronte. Roanna gli lasciò andare la mano. «Solo una, Emryss. Sarebbe scortese andarsene adesso.» «E va bene» mormorò lui. «Una sola.» Si alzò in piedi e domandò: «Quale volete?». Alcuni dei presenti risposero. Emryss si avvicinò al-l'arpa e lanciò un'occhiata a Roanna, poi cominciò a can-tare una canzone triste. Alla fine di ogni strofa sospirava e lanciava alla moglie un'occhiata piena di desiderio. La gente cominciò a ridere. A poco a poco la canzone di-venne più veloce e allegra, il sospiro più simile a un sin-gulto, mentre i commensali pestavano i piedi per terra e si battevano le mani sulle cosce fra grandi scoppi di risa. Quando ebbe finito di cantare, Emryss depose lo stru-mento. «Sono molto stanco» annunciò a voce alta mentre si alzava in piedi. «Venite, moglie mia. Andiamo a let-to.» Roanna arrossì violentemente e chinò la testa. Emryss le prese la mano e l'aiutò ad alzarsi. «Buonanotte!» esclamò mentre usciva dal salone. Quando furono da soli sulle scale buie, Roanna si sen-tì tutto a un tratto a disagio, come se si trovasse in com-pagnia di un estraneo. Le ginocchia cominciarono a tre-marle e il cuore a martellarle nel petto. Emryss rimase in silenzio. Lei lo guardò in faccia e si accorse che aveva un'espressione molto seria. Lui aprì la porta della loro stanza e la fece entrare per prima, poi si voltò e richiuse silenziosamente la porta. I rumori che giungevano dal salone vennero attutiti, come se tutto a un tratto a Craig Fawr non fossero rimasti che loro due. Roanna intrecciò le dita e aspettò. Emryss si avvicinò al tavolino e versò un bicchiere di vino. Roanna si accorse che gli stavano tremando le ma-ni.

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«Buon Dio, sono agitato come un ragazzino» borbottò lui prima di bere un sorso. Anche lei si sentiva nervosa e spaventata, ma il mo-mento era giunto. Aveva aspettato quella notte per trop-po tempo. La sua timidezza svanì come nebbia al sole. «Emryss» disse avvicinandosi a lui. «Marito mio.» Gli posò le mani sul petto e lo guardò in faccia. Lui posò il bicchiere. Muovendosi con estrema len-tezza, Roanna fece scivolare le mani sul suo torace mu-scoloso e gli sfiorò le guance. Emryss chinò la testa e la baciò teneramente sulle labbra. Un desiderio bruciante s'impadronì di lei. Roanna fece un passo indietro e tirò i nastri che tenevano chiuso il ve-stito, poi lo lasciò scivolare per terra, rimanendo con la sola tunica di seta. Il suo corpo era scosso da un tremito, ma non era di paura. Con una specie di rantolo, Emryss la prese fra le brac-cia e premette le labbra sulle sue. Ma un bacio non era abbastanza. Roanna trovò a ten-toni la scollatura della tunica e senza staccare le labbra da quelle di lui aprì il fermaglio d'argento e gli accarezzò la pelle nuda. Emryss gemette. La sollevò fra le braccia e la posò sul letto, poi si sfilò la tunica, rimanendo solo con la camicia e la calzamaglia. Un attimo dopo si sdraiò accanto a lei e s'impadronì delle sue labbra, cominciando a esplorare con passione i dolci recessi della sua bocca. Roanna era in preda a una specie di frenesia. Voleva toccarlo ovunque, baciarlo ovunque, appartenere com-pletamente a quell'uomo che le aveva rubato il cuore. I sospiri si mischiarono ai sospiri, i gemiti ai gemiti, le ca-rezze si fecero sempre più febbrili, finché nessuno dei due poté più attendere oltre. Il piccolo grido di dolore di Roanna fu soffocato dalle labbra di lui, poi ci furono solo altri sospiri, altri gemiti e infine un grido trionfante.

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Quando il tremito convulso che si era impadronito dei loro corpi cessò e il battito dei loro cuori si calmò un po-co, Emryss avvicinò le labbra all'orecchio di Roanna. «Amore mio» sussurrò. «Roanna, torna a letto.» Roanna smise di guardare la striscia rosa che tingeva il cielo a oriente e si voltò verso il letto. Emryss era seminascosto sotto un groviglio di lenzuo-la e di coperte. «Roanna?» ripeté lui con la voce impastata dal sonno. Lei sorrise e lanciò un'ultima occhiata al sole che sta-va sorgendo, poi tornò a sdraiarsi accanto a lui. Tenendola stretta, Emryss le stuzzicò il collo con le labbra. «Non dovresti riposare, Emryss?» gli chiese lei dopo qualche istante. «Sono a letto, no?» mormorò lui baciandole un seno. «Ma non stai riposando» insistette lei con una risatina sommessa. Emryss rotolò sulla schiena e la guardò. «Voglio solo farti ridere ancora, tutto qui» disse con un'espressione seria. «Grazie, messere» rispose lei, altrettanto seria. «Ma adesso alcuni di noi hanno da fare.» «Come signore di Craig Fawr, credo che il tuo princi-pale dovere sia quello di baciarmi.» Roanna gli obbedì di buon grado. Più di una volta. Poi si ritrasse. «Mamaeth arriverà da un momento al-l'altro.» Emryss fece un sorriso malizioso. «Sarà contenta di vedere che siamo a letto insieme. Ha cominciato a insi-stere perché mi trovassi una moglie fin da quando sono tornato dalla Crociata.» Poi le si fece più vicino. «Sono contento di avere aspettato.»

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Alcuni minuti dopo Roanna scese dal letto e raccolse la tunica di seta. Mentre alzava il coperchio del baule lanciò un'occhiata al letto. Emryss giaceva con le mani dietro la testa, e la stava fissando. «Cosa c'è?» gli chiese mentre indossava una sottove-ste. «Niente. Tutto. Sto... meravigliosamente bene!» Em-ryss scalciò via le lenzuola. «Mi sento completamente riposato.» La sua espressione lasciava pochi dubbi circa le sue intenzioni. Roanna scosse la testa e si sforzò di non sor-ridere. «Emryss, ormai è tardi.» «Non è mai troppo tardi, mogliettina mia.» «Emryss, starai di nuovo male.» «Sono convinto che ne valga la pena.» Roanna indietreggiò mentre lui cercava di avvicinarsi. «Sul serio, messere, ci sono cose migliori da fare che non restare tutto il giorno a letto.» «Come per esempio?» «Ho... ho promesso a Jacques che l'avrei aiutato a im-pastare il pane. Poi dovrei andare con padre Robelard a far visita ad alcuni fittavoli... E tu dovresti andare a con-trollare il mulino...» «Io avevo in mente un altro tipo di lavoro.» «No, Emryss, smettila.» Lui le saltò addosso e la prese fra le braccia. Roanna sorrise e chiuse gli occhi, aspettandosi un bacio. Emryss invece cominciò a sfiorarle il costato. Roanna si mise a ridere e cercò di allontanare la sua mano, ma lui le impedì di muoversi. «Smettila, Emryss, per favore.» Emryss obbedì e lei incrociò le braccia sul petto. «Hai intenzione di occuparti dei tuoi compiti nudo come un verme?» gli chiese mali-ziosamente.

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Lui fece una risatina. «Può darsi, se tu resti accanto a me» rispose accarezzandole un braccio. «Be', forse non è necessario che me ne vada immedia-tamente...» In quel momento udirono dei colpi alla porta. Emryss si avvicinò al baule e riuscì a indossare una camicia pri-ma che Bronwyn entrasse con l'acqua calda. Quando la ragazza si accorse che nonostante il sole fosse già alto Roanna indossava solo la sottoveste arrossì leggermente. Posò per terra la brocca e uscì in fretta dal-la stanza. Roanna non riuscì a trattenere una risata. Emryss in-dossò la calzamaglia come se nulla fosse accaduto, ma si vedeva benissimo che era anche lui divertito. All'improvviso, mentre stava infilandosi gli stivali, un grido giunse dai bastioni. Emryss rimase per un attimo immobile, poi corse alla finestra e guardò giù, nella cor-te. Senza dire neppure una parola afferrò il giustacuore, si cinse la spada e uscì precipitosamente dalla stanza. Roanna andò subito ad affacciarsi alla finestra, ma riuscì a vedere solo una piccola folla eccitata. Indossò l'abito blu e si avviò giù per le scale. «Chi è stato?» «Sei ferito, Ianto?» «Li hai visti?» «Stavano uccidendo le pecore, vero?» Al centro della corte i muratori si erano radunati at-torno al pastore, che teneva fra le braccia il corpo senza vita di un cane. Ianto guardò dritto avanti a sé e non ri-spose. Mott era sporco di sangue raggrumato e dal fianco gli spuntava un lungo pugnale. Vedendo che il signore di Craig Fawr stava arrivando, la piccola folla si aprì per lasciarlo passare. Emryss fissò il volto di Ianto finché il pastore non

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sbatté le palpebre e lo guardò. «Ianto, chi è stato?» Il pastore scosse la testa. «Non so chi è stato» rispose con voce stanca, priva di emozioni. «Quando è successo?» «Sono arrivati stanotte» sussurrò il povero Ianto. «Ho sentito Mott abbaiare, e così mi sono messo a correre. Qualcuno mi ha colpito sulla testa. Non ho sentito né vi-sto nulla finché non mi sono risvegliato e ho trovato il mio povero Mott.» «Dov'è Hu?» Sul volto del pastore passò un'espressione angosciata. «Non sono riuscito a trovarlo. L'ho cercato dappertutto, e alla fine sono venuto da voi.» Emryss lanciò un'occhiata al sole. Ianto doveva averci messo delle ore per arrivare a piedi fino a Craig Fawr. I responsabili di quell'ennesimo crimine dovevano essere ormai lontani. «Li troveremo, Ianto» disse in tono determinato, «e quando li avremo trovati li puniremo come si meritano.» «Sì, messere.» La voce del pastore era piena di soffe-renza. Emryss fece un passo avanti e tese le braccia per farsi dare il corpo del cane, ma Ianto se lo strinse al pet-to. «Perdonate, messere, ma io sono l'unico che può toc-care Mott.» Emryss annuì. In quel momento arrivò anche Gwilym e osservò la scena con la fronte aggrottata. «Ho bisogno di vedere il pugnale» disse Emryss. Ianto assentì e Gwilym estrasse delicatamente la lama dal corpo del cane. La osservò per un attimo e poi la por-se a Emryss. Scrollando le spalle, Emryss la restituì a Gwilym. «Normanno, o forse sassone. Difficile dirlo. Metti in-sieme una pattuglia.» Poi fece per allontanarsi. Roanna corse da lui e l'afferrò per un braccio. «Emryss, mi raccomando.»

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Lui fece una smorfia amara. «Sarei dovuto stare più attento. È tutta colpa mia.» Poi si diresse verso la scude-ria. Roanna lo guardò allontanarsi. Senza rendersene con-to aveva stretto i pugni. Gli uomini restarono in silenzio ancora per qualche istante, poi Gwilym cominciò a urla-re dei nomi. Coloro che erano stati chiamati corsero a prendere le proprie armi. «Dov'è Mamaeth?» chiese Roanna. Aveva un dispera-to bisogno di fare qualcosa. Qualsiasi cosa. «Al mulino» rispose Bronwyn. «Vado a chiamarla.» Quindi si mise a correre verso il cancello. Ianto cominciò a barcollare. Senza lasciare Mott, il pastore crollò al suolo. «Sbrigati!» urlò Roanna, poi s'inginocchiò nel fango. Con estrema gentilezza prese il cane e se lo strinse al petto. Emryss arrivò di corsa dalla scuderia e sfilò la tunica del pastore. Ianto aveva la punta di una freccia conficca-ta nel fianco. Finalmente arrivò Mamaeth, senza fiato per la corsa. S'inginocchiò accanto al pastore e posò la guancia rag-grinzita sul suo petto. «È morto» mormorò. Roanna sentì una stretta al cuore. Emryss rimase per un attimo perfettamente immobile, lo sguardo fisso sul corpo senza vita di Ianto. Sembrava quasi una statua. Poi saltò in piedi e si mise a correre verso Wolf. «Li troverò, per le piaghe del Salvatore, e li farò soffrire!» urlò. Montò in sella e spronò il cavallo per raggiungere il drappello di uomini che lo attendeva al cancello. «È morto dissanguato» disse Mamaeth. «Se fosse ri-masto fermo si sarebbe potuto salvare.» Si scostò i ca-pelli dalla fronte e cominciò a piangere silenziosamente.

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«Che sciocco» sussurrò con tenerezza, come una specie di benedizione. Roanna si alzò lentamente in piedi, poi si chinò e de-pose il piccolo cane sul petto di Ianto. «Trovato nulla?» «No. Sono stati molto astuti» rispose Gwilym dalla ri-va del fiume. La sua voce era piena di disappunto. «Nessuna traccia di Hu?» «Non ancora.» Emryss contrasse le labbra e si aggrappò alla speranza che Hu fosse riuscito a sfuggire ai banditi. Lì attorno po-che pecore stavano brucando tranquillamente, come se fossero ignare della presenza degli uomini. Emryss scrutò le nuvole che stavano ammassandosi nel cielo. Di lì a poco sarebbe cominciato a piovere. Con un crescente senso di frustrazione, smontò da cavallo e si diresse verso il fiume. «E ora che facciamo?» gli chiese Gwilym, altrettanto frustrato. Emryss si mise a camminare lentamente lungo la riva, cercando qualche segno del passaggio dei banditi. Poi si raddrizzò e si batté un pugno sulla coscia. «Per le piaghe del Salvatore, non possono essere spariti senza lasciare nessuna traccia!» Afferrò le redini del cavallo e si diresse verso il punto dove l'erba era macchiata di sangue, continuando a os-servare il terreno. A un tratto scorse una piccola striscia di erba appiatti-ta, a malapena visibile. Ma sotto un cespuglio spuntava-no le dita di un piccolo piede. «Hu? Sei tu, Hu?» chiese con voce sommessa, sfor-zandosi di sembrare calmo. «Sì.» Il bambino mise la testa fuori del cespuglio. A-veva le guance rigate di lacrime.

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Un attimo dopo Emryss lo prese fra le braccia e lo strinse a sé. «Stai bene, Hu? Non ti hanno visto?» «No, ma io ho visto loro. Erano in tanti, Emryss. Sono andati da quella parte.» Hu indicò un sentiero angusto che si allontanava da Craig Fawr. Dopo essersi assicurato che il bambino fosse davvero illeso, Emryss ordinò ai suoi uomini di seguire il sentie-ro. Mentre si facevano largo in mezzo al sottobosco, Gwilym vide un minuscolo frammento di stoffa rimasto impigliato a un rovo e altro sangue. «Sono diretti a Beaufort» annunciò in tono trionfante. «Anche noi» rispose Emryss con un'espressione cupa.

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«Stanno arrivando!» Il bandito si voltò verso il capo con un'espressione ter-rorizzata. Il rumore di zoccoli si stava avvicinando sem-pre più al loro nascondiglio. Dolf si sporse e sbirciò fuori dell'imboccatura della caverna. Un gruppetto di uomini armati stava venendo in quella direzione. «Maledizione» borbottò sguainando la spada. Gli altri banditi nascosti nella grotta tirarono fuori le armi, compreso quello che era stato morso a una gam-ba dal cane del pastore. «Come hanno fatto a trovarci così in fretta?» mormo-rò uno di loro a un compagno. «Zitti!» ordinò Dolf. «Conta solo il fatto che adesso sono qui!» Mentre aspettavano, l'odore acre della paura impregnò l'aria umida della caverna. Dolf guardò di nuovo fuori. «Sono vicini. Questa è la nostra occasione. Forza, at-tacchiamoli!» Al suo segnale i banditi uscirono dalla caverna, preci-pitandosi contro gli uomini di Emryss. Dolf si voltò verso il ferito, che strinse il pugnale. «Tu aspetta qui» gli ordinò. Non appena l'uomo si fu rilassato, Dolf gli saltò ad-dosso e gli affondò un coltello nel petto. «Non posso la-

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sciare testimoni. Fa parte dei patti» mormorò. Poi uscì silenziosamente dalla grotta e si allontanò. I suoi uomini non sarebbero riusciti a battere i soldati di Craig Fawr. Meglio abbandonarli al loro destino. A poco a poco i rumori della battaglia si fecero sem-pre più lontani. Dolf era quasi arrivato in cima alla colli-na. «Ben trovato.» Udendo la voce di Cynric DeLanyea, il capo dei ban-diti si fermò e sollevò la testa. Cynric era appoggiato a un albero e aveva il solito sorriso crudele. Il mercenario, Urien Fitzroy, se ne stava un poco discosto, la mano posata sull'elsa della spada. «Ben trovato, messere» rispose Dolf. «State godendovi la bella giornata estiva?» chiese Cynric con sarcasmo. «Io e gli altri abbiamo avuto qualche problema, lag-giù. Sono arrivati i soldati di Craig Fawr.» Cynric si raddrizzò, e stavolta fu Dolf a sorridere. «Come hanno fatto a trovarvi?» «Non lo so, ma ci hanno trovati.» «I vostri uomini sono riusciti a scappare?» Dolf scrollò le spalle. «Non credo che ce la faranno. Non sono rimasto a guardare.» Cynric si avvicinò lentamente a lui. «È meglio che non dicano nulla.» Dolf avvicinò la mano al pugnale. «Ormai saranno quasi tutti morti.» Cynric si fermò. «Ah, sì?» Poi balzò sul capo dei ban-diti e lo colpì con il proprio pugnale. «Bastardo!» urlò Dolf portandosi le mani allo stoma-co. «Dopo tutti i rischi che abbiamo corso per voi! E le donne che vi abbiamo portato!» Cynric ripulì il pugnale nell'erba. «Uno in meno a par-lare, eh, Dolf?»

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Il capo dei banditi si accasciò al suolo. Cynric si ri-volse a Urien. «Finite questo cane e poi ce ne andiamo. Voglio sapere quanti sono riusciti a fuggire.» Urien non si mosse. «Che cosa intendeva, quando ha parlato delle donne?» Cynric fece un sorrisetto sarcastico. «Non avete mai preso una donna contro la sua volontà, Urien?» Negli occhi del mercenario balenò un'espressione col-pevole. «Lo immaginavo. Adesso finitelo. Fatelo, altrimenti potete evitare di tornare a Beaufort» ordinò Cynric prima di montare a cavallo. Urien obbedì. Mentre si lanciava su Emryss, il volto dell'uomo si contrasse in una smorfia d'odio, di paura e di disperazio-ne. Emryss lo schivò con un salto, appoggiando così tut-to il peso sulla gamba più debole. Sguainò il pugnale e avanzò verso il nemico. Tutto intorno a lui infuriava la battaglia, ma in quel momento gli pareva di essere solo al centro della radura. L'uomo si leccò le labbra. Emryss se ne accorse e si sentì rincuorato. Dunque il suo avversario aveva paura! Con un grido selvaggio si strappò la benda che gli copri-va l'orbita vuota. L'uomo spalancò gli occhi e rimase per un attimo im-mobile, dando a Emryss il tempo di raccogliere da terra la spada. «Ti sei fermato troppo a lungo sulla mia terra, brutto cane» sibilò il signore di Craig Fawr avanzando lenta-mente. «Vuoi sapere come ho perso l'occhio? Me lo sono strappato e l'ho gettato a un saraceno.» L'uomo impallidì mentre Emryss cominciava a girar-gli intorno, aspettando il momento giusto per colpire. «Sto per ucciderti per quello che hai fatto» continuò

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Emryss. «Ma non ti concederò una morte rapida.» All'improvviso scattò in avanti, mirando alla mano che teneva il pugnale. Il colpo andò a vuoto, ma al se-condo tentativo il suo avversario lasciò cadere l'arma. Il fuorilegge sollevò un piede e colpì con un calcio la gamba debole di Emryss. Lui sussultò per il dolore, ma tenne la spada saldamente in mano e continuò ad avanza-re finché il suo avversario non si trovò con la schiena contro un masso. «Per Ianto» disse Emryss affondandogli la spada nel petto. L'uomo cadde a terra. «Pensavo che tu avessi bisogno d'aiuto, brawdmaeth» disse Gwilym mentre il fratello d'arme cercava di ripren-dere fiato. «Vedo che mi ero sbagliato.» Solo in quel momento Emryss si accorse del silenzio che era calato sulla radura. Si guardò intorno e vide che la battaglia era finita. Sette cadaveri giacevano per terra. Fra i morti non c'era nessuno dei suoi soldati. Emryss fece un sorriso cupo. «Non sono pronto per andare a letto.» Nel suo sangue pulsava ancora la febbre del combattimento. Gwilym rimase serio. «Peccato che siano tutti morti.» «Meritavano una morte peggiore, te lo assicuro» ri-spose Emryss mentre puliva nell'erba la spada insangui-nata. «Non capisci, fratello? Avrebbero potuto dirci qualco-sa, ma ora sono tutti morti.» Un ramo frusciò fra gli alberi soprastanti. Emryss sol-levò lo sguardo ma non vide nulla. «Che cosa avrebbero potuto dirci? Hanno ucciso Ianto e le mie pecore, e ora sono morti. Questo è tutto.» «Io vorrei sapere come mai l'hanno fatto, Emryss. Forse sono stati pagati. E l'incendio?» Emryss sospirò e piegò la gamba più debole. «A chi verrebbe in mente di pagare per ammazzare delle pecore

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e lasciare in giro le carcasse? Cynric è troppo tirchio, e da queste parti non c'è nessun altro che sia così perfido. Quanto all'incendio, quegli zoticoni non sembravano ab-bastanza intelligenti da penetrare all'interno delle mie difese.» «Forse sono stati aiutati.» Emryss fissò Gwilym. «Stai dicendo che qualcuno de-gli abitanti di Craig Fawr ci ha traditi?» «Sto dicendo che tutta la faccenda mi sembra molto sospetta, tutto qui. Forse questi uomini avrebbero potuto dirci qualcosa.» Emryss esaminò la propria spada. «Be', ormai quello che è fatto è fatto. Io salgo lassù» disse indicando gli al-beri che crescevano sul pendio della collina. «Mi pare di aver sentito qualcosa. Tu prepara i cadaveri per traspor-tarli a Craig Fawr. Magari qualcuno li riconoscerà.» Emryss si avviò su per il sentiero. Non si vedeva nes-suno, e l'aria era immobile. Si fermò e si guardò intorno. Quel luogo aveva qual-cosa di familiare. Si trovava nei pressi del fiume che di-videva i suoi possedimenti da quelli di Beaufort. A un tratto ricordò di esserci già stato con Ianto. Da qualche parte c'era una grotta. Non gli ci volle molto per trovarla. Con la spada sguainata, entrò lentamente nell'antro buio. Dentro c'era un uomo. Emryss si preparò a combatte-re, ma poi si rese conto che si trattava di un cadavere, i denti scoperti in un ghigno diabolico. Non avendo trova-to nient'altro d'importante, tornò indietro mordendosi il labbro per non mettersi a urlare per il dolore alla gamba. Quando giunse in fondo al sentiero vide che i soldati avevano pulito le spade e stavano guardando con disgu-sto i corpi dei briganti. Emryss si avvicinò a Gwilym. «C'è un altro cadavere in una grotta, lassù. Non ho visto nient'altro.»

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Due soldati andarono a prendere il cadavere mentre gli altri caricavano il resto dei banditi in groppa ai caval-li che avevano trovato impastoiati poco lontano di lì. La pattuglia arrivò a Craig Fawr dopo il tramonto. Stanco e sofferente, Emryss smontò con fatica, poi diede ordine che i cadaveri fossero allineati nella corte e che gli abitanti del castello e quelli del villaggio andassero a vederli. «Non ha senso, brawdmaeth» obiettò Gwilym mentre seguiva Emryss nel salone. «Dei ladri che invece di ru-bare uccidono.» «I fuorilegge di solito non sono molto intelligenti, no?» rispose Emryss. «E quegli imbecilli non avevano tenuto conto di Ianto.» Ianto. Per un po' era riuscito a non pensare a lui. «Spero che tu abbia ragione» disse Gwilym. «Perché se non è così, Emryss...» «Lascia perdere, Gwil.» Emryss era intontito dal dolo-re. «Pensa tu al resto. La gamba sta cominciando a farmi male.» Poi si allontanò zoppicando. Quando spinse la porta della camera da letto, Roanna gli andò incontro con un sorriso. Emryss si lasciò cadere su una sedia con un gemito. Roanna sussultò. «Mio Dio, del sangue! Sei ferito?» «Non è mio.» «E Hu?» «Sano e salvo.» Roanna fece un sospiro di sollievo e andò a versargli un bicchiere di vino. Emryss lo bevve in pochi sorsi, contento di non dover rispondere ad altre domande. Voleva solo riposare e dimenticare la battaglia. Aveva combattuto e ucciso troppe volte per provare qualcos'al-tro che non fosse il sollievo per essere vivo. Aveva conosciuto uomini che amavano combattere,

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come era accaduto anche a lui in gioventù, ma in genere si trattava di cavalieri che facevano ricorso alla propria abilità solo nei tornei, non su campi di battaglia cosparsi di morti e di uomini agonizzanti. Alla fine del combatti-mento gli spettatori li acclamavano, non aspettavano di spogliare i cadaveri. E poi quei cavalieri erano gentiluo-mini. Anche quando partecipavano a una battaglia non rischiavano quasi mai la vita, perché erano più preziosi come ostaggi. Eppure per un breve attimo, quando il suo avversario era morto, Emryss aveva gioito della vittoria. Adesso se ne vergognava. Sollevando la testa vide che Roanna era lì vicino e lo stava guardando con un'espressione piena d'amore. Il ricordo della notte precedente gli fece dimenticare la propria sofferenza. «Vieni qui, moglie mia» disse con voce sommessa. Lei obbedì. «Grazie al cielo ho sposato una donna che sa quando tacere» mormorò prendendole le mani. Roanna si chinò e lo baciò. «È stato così terribile?» «Se non altro nessuno dei miei uomini è rimasto feri-to, e quegli avvoltoi sono morti tutti.» Lei si ritrasse. «Li hai uccisi tutti?» «Sì, tutti. Non ci hanno lasciato altra scelta.» «Ma, Emryss» disse lei congiungendo le mani, «ades-so non potremo più scoprire perché l'hanno fatto, e nep-pure se Cynric c'entra qualcosa.» Lui si alzò bruscamente in piedi e cominciò a zoppi-care per la stanza. «A quanto pare tutti sono convinti che io abbia fatto un grosso sbaglio. Forse avrei dovuto per-mettere che quella canaglia mi uccidesse, così voi avre-ste avuto le vostre risposte!» «Emryss...» mormorò Roanna. Lui si fermò e si voltò a guardarla. «Emryss.»

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Emryss la prese fra le braccia e la tenne stretta a sé. «Perdonami, Roanna. So che hai ragione, ma quando qualcuno sta per ucciderti non c'è tempo per pensare.» «Mi dispiace, Emryss» sussurrò lei, sfiorandogli una guancia con le labbra. «Se ti fosse accaduto qualcosa, io...» Lui la interruppe con un lungo bacio appassionato. «Emryss! Siediti immediatamente. Hai un aspetto or-ribile.» «Non ho più avuto un bell'aspetto da quando quel-l'infedele mi ha sfigurato.» «Smettila di scherzare. Adesso vado a chiamare Ma-maeth. Siediti, per favore.» Roanna incontrò Mamaeth in cima alle scale. «Come sta?» chiese la vecchia. «È stanco, e la gamba gli fa più male di quanto non voglia ammettere.» «Siamo alle solite. È convinto che possa leggergli nel-la mente per capire quando c'è qualcosa che non va. Ma non preoccupatevi. Farò in modo che non faccia altre sciocchezze.» Poi si rabbuiò. «Hanno deposto i cadaveri nella corte. Emryss vuole che tutti vadano a vederli e di-cano se ne riconoscono qualcuno.» «Naturalmente.» Roanna scese nella corte. Alcuni soldati reggevano delle torce per illuminare le tenebre. Gli abitanti del ca-stello stavano sfilando lentamente accanto ai cadaveri. Roanna si mise in coda e osservò ognuna di quelle facce. Le aveva già viste tutte il giorno in cui lei e Jacques era-no stati assaliti. Quando giunse in fondo alla fila sentì un brivido di paura. Ne mancava uno, quello con la barba nera e i den-ti guasti. Il capo. Ma Emryss era convinto che non ne fosse sfuggito nessuno. Dalla porta della cucina Jacques la vide e le andò in-

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contro. «Venite, gattina. Brutto affare, dover guardare i cadaveri di quei banditi. Sedetevi accanto al fuoco e scaldatevi un po'.» «No, Jacques. Devo andare a dirlo a Emryss.» «Dirgli che cosa?» Ma lei si era già messa a correre verso il salone. Quando raggiunse la porta della camera da letto, per poco non si scontrò con Mamaeth. «Piano, ragazza» disse la vecchia trattenendola per un braccio. «Sta bene. Gli ho dato qualcosa per farlo dormi-re.» «Ma...» «Altrimenti avrebbe consumato il pavimento, a forza di camminare avanti e indietro. Per non parlare di quella gamba. Non c'è nulla di serio, ma non la deve sforzare per un po'.» Roanna esitò. Se l'avesse svegliato, Emryss sarebbe voluto partire subito per dare la caccia al capo dei bandi-ti. No, era meglio aspettare. In fin dei conti quell'uomo non avrebbe più potuto fare nulla, senza i compagni. «Così va meglio, ragazza. Calmatevi. Venite a pren-dere qualcosa da mangiare, per quando si sveglierà.» «Dov'è Hu?» chiese Roanna mentre scendeva le scale insieme alla vecchia. «In cucina. Bronwyn si sta prendendo cura di lui.» Roanna annuì. Mamaeth scosse la testa. «Povero bambino. Dovrà ve-gliare il cadavere nella chiesetta. Emryss ci andrà più tardi, e anche tutti gli altri.» Roanna si fermò. «Vegliare il cadavere di Ianto? Per-ché?» «Non sarebbe giusto lasciare Ianto da solo. Per Em-ryss era quasi come un padre. Gli ha insegnato tutto sulle pecore, sui cani e anche sugli uomini. Quindi tocca a lui vegliarlo.»

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«Capisco.» «Davvero?» «Sì» rispose Roanna con fermezza. «È suo dovere, e io non lo ostacolerò. Ma non gli permetterò neppure di ammalarsi di nuovo.» Emryss dormì fino a tarda sera. Roanna rimase seduta accanto al letto, guardandolo, finché lui non emise una specie di grugnito. «Oh, mio Dio» gemette, «che cosa c'era in quella po-zione?» «Mamaeth voleva che dormissi» rispose lei con voce sommessa. «È notte?» «Sì.» Emryss cercò di mettersi a sedere e Roanna lo aiutò. «Dov'è Ianto?» «Nella chiesetta.» Lui si strofinò gli occhi. «Devo andare.» Roanna annuì e andò a prendere i suoi vestiti. Quando tornò indietro lo trovò seduto sul letto, con le gambe lar-ghe e la testa fra le mani. «Emryss, stai bene?» Lui sollevò la testa. «Abbastanza bene.» Roanna lo guardò mentre si vestiva. «Mamaeth mi ha detto di... questa cosa. So che devi andare e restare là, ma ti prego, Emryss, promettimi che tornerai indietro se ti sentirai male.» Il volto di lui era pieno di tristezza. «Sentirmi male? È colpa mia se lui è morto. Come posso non sentirmi ma-le?» Roanna si avvicinò e gli sfiorò una guancia. «So come ci si sente quando si perde una persona cara. Ma non è colpa tua.» Emryss le afferrò la mano. «Non è colpa mia? Io me

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ne sono stato qui, pensando solo a me stesso, e ora Ianto è morto. Che razza di signore sono?» Poi andò alla fine-stra. Roanna lo seguì. «Uno della miglior specie» disse con convinzione. «Generoso e onorevole. Come potevi sape-re che sarebbe accaduta una cosa del genere?» Mentre lui continuava a guardare fuori della finestra, gli circon-dò la vita con le braccia e appoggiò la guancia sul suo petto. «Sarebbe servito a qualcosa uscire a cavallo tutti i giorni e lasciarci la pelle?» Emryss sospirò. «Oh, Roanna, vorrei tanto credere al-le tue parole.» Lei si scostò un poco e gli prese il volto fra le mani. «Se devi incolpare qualcuno, incolpa me, oppure Mama-eth. Siamo state noi a indurti a restare qui, per farti gua-rire.» «Credi che permetterei a una donna di assumersi le mie responsabilità? No. È mio dovere fare in modo che la mia gente sia al sicuro.» Poi sospirò di nuovo. «Alme-no abbiamo preso quei maledetti.» Roanna sentì una stretta allo stomaco. «Quello è per me?» chiese Emryss guardando il vas-soio che conteneva pane e carne. «Sì» rispose lei cercando di nascondere la propria preoccupazione. Come poteva dirgli che uno dei banditi era fuggito? Emryss ingoiò un paio di bocconi. «Mio Dio, non rie-sco a mangiare. Adesso vado nella chiesetta.» Roanna annuì. «Ti aspetterò.» «È inutile. Resterò lì per tutta la notte. Va' a dormire.» «Aspetterò.» Emryss fece un sorrisetto malinconico. «Come mai sei sempre così testarda? Non litighi mai. Quando dici una cosa continui a ripeterla finché io non cedo.» «Già.»

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«Ianto era uguale a te» mormorò lui mentre apriva la porta. Roanna andò alla finestra e pochi minuti dopo vide Emryss dirigersi zoppicando verso il cancello. Aveva le spalle curve e il capo chino. Quando passò accanto alle guardie le salutò con un cenno. Roanna lanciò un'occhiata verso il villaggio e notò che dalle finestre della chiesetta filtrava un po' di luce. Nel silenzio della notte le parve di sentire le deboli note di un canto. Voltò le spalle alla finestra e si torse le mani. Emryss non doveva restare laggiù per tutta la notte. Era ancora troppo presto. Se si fosse ammalato di nuovo avrebbe potuto non farcela. Mamaeth si era sforzata di apparire tranquilla, ma ormai Roanna la conosceva troppo bene per lasciarsi ingannare. Con il passare dei minuti la sua ansia cresceva. A un certo punto non resistette più e decise di portare in cuci-na il vassoio. Quando giunse davanti alla porta della cucina trovò Mamaeth e Jacques impegnati nell'ennesima discussione. Vedendola, il cuoco le andò incontro e le tolse il vassoio di mano. «Sedevi, gattina. Sembrate malata.» «Sto bene, Jacques» rispose lei sedendosi su uno sga-bello. «Sono solo un po' preoccupata.» «Ah! Non c'è da stupirsi, visto che dobbiamo vivere insieme a gente come questa donna! Figuratevi che mi sta spiegando come riconoscere la farina migliore!» Roanna fece un sorrisetto. I problemi di Jacques erano sempre di una sconcertante semplicità. Il cuoco si affrettò a metterle in mano un panino dolce e un bicchiere di birra. «Su, mangiate» ordinò. Poi si mi-se a impastare con foga acqua e farina, guardando di tan-to in tanto la sua pupilla con la coda dell'occhio.

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Roanna mangiucchiò svogliatamente il panino. «Lady Roanna, che avete?» le chiese Jacques pulen-dosi le mani nel grembiule. «Vostro marito sta bene. Fra voi due è tutto a posto... non è vero? Capisco che quella faccenda dei banditi sia triste, ma mi sembrate così di-sperata...» «Sono solo stanca, Jacques» rispose lei sforzandosi di sorridere. «Così va meglio» disse il cuoco. «Adesso sembrate di nuovo voi. Perché non restate un po' qui con me? Potre-ste darmi una mano mentre lavoro. Ormai vi vedo così di rado...» Roanna si fermò a lungo con il vecchio amico. Jac-ques le raccontò tutti i pettegolezzi che circolavano a Craig Fawr, e le consigliò di insistere perché Bronwyn e Gwilym si sposassero. Infine giunse il momento di andarsene. Era molto tar-di, e Jacques doveva alzarsi prima dell'alba per mettere il pane in forno. La fortezza era avvolta dal silenzio. Nel cielo scuro, le nuvole sembravano galleggiare sopra la luna. Roanna incrociò le braccia sul petto e osservò le stel-le, poi si avviò verso il cancello. Una sentinella la fermò. «Sto andando in chiesa.» L'uomo parve sorpreso, ma la lasciò passare. Quando raggiunse il villaggio sostò per qualche istan-te all'esterno dell'edificio di legno. Dall'interno proveni-vano alcune voci sommesse. Senza fare rumore, Roanna spinse la porta. Ianto giaceva in una bara di fronte all'altare. Indossa-va una tunica nuova e aveva le mani incrociate sul petto. Mott era accucciato al suo fianco, come se stesse dor-mendo. A entrambe le estremità della bara ardevano al-cune candele. Emryss era seduto su una panca accanto a Gwilym.

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Sulle panche vicine c'erano dei soldati e alcuni pastori. Una brocca di vino passava di mano in mano. Roanna entrò e chiuse la porta, rimanendo nell'ombra. Sapeva che non sarebbe dovuta essere lì, ma non voleva restare sola. Voleva stare accanto a Emryss. Oscillando leggermente, Gwilym si alzò e cominciò a parlare con la voce impastata. Le sue parole erano un misto di gallese e di francese. Roanna ascoltò con atten-zione e si accorse di capire quasi tutto. «Ricordate quando Emryss stava imparando a tosare le pecore? Per poco non perse le dita, ma Ianto non disse neppure una parola. L'ha sempre trattato come un signo-re.» «Aspettava che mi tagliassi, altroché!» rispose Em-ryss. «Lui non si faceva tanti riguardi. Altro che trattarmi come un signore. Non ricordi la volta che mi ha schiaf-feggiato?» L'espressione confusa di Gwilym fece ridere gli altri uomini. «È vero, e ha fatto bene. Stavi giocando con uno dei suoi cani.» «Sapeva come addestrare un cane» disse uno dei pa-stori. «Già, e anche gli uomini, se è per quello» aggiunse un altro. «Non sarà facile trovarne un altro come lui.» Gli uomini radunati nella chiesetta annuirono e ripre-sero a bere. «Spero di poter fare per Hu tutto quello che lui ha fat-to per me» mormorò Emryss. Gli uomini annuirono di nuovo. Nella piccola chiesa tornò il silenzio. Finalmente Roanna trovò il coraggio di uscire dall'an-golo buio dove si era nascosta. Emryss adesso era ingi-nocchiato accanto alla bara. Gli si avvicinò lentamente e sentì che stava cantando a voce bassissima. A un tratto le sue spalle possenti co-

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minciarono a tremare e dalla gola gli uscì un singhiozzo soffocato. Roanna s'inginocchiò accanto a lui. «Emryss.» Lui sollevò il viso bagnato di lacrime. «Mio Dio, Ro-anna, è morto per colpa mia!» «No, Emryss.» Emryss chinò di nuovo il capo e strinse a sé la moglie. Lei cominciò a cullarlo come un bambino, accarezzan-dogli i capelli mentre piangeva. Con il passare dei giorni, Roanna si convinse che i propri timori erano infondati. Emryss mandava quotidia-namente delle pattuglie in ricognizione, ma tutto sem-brava tranquillo. La notte i due sposi facevano l'amore finché non erano sfiniti. Roanna cominciò a sperare che Cynric si fosse dimenticato di loro. Ma a Beaufort, Cynric DeLanyea aveva deciso che e-ra giunto il momento di agire.

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Padre Robelard s'inginocchiò nella chiesa del monastero, senza far caso al dolore alle ginocchia. I raggi del sole pomeridiano non riuscivano a penetrare la densa nebbia che gravava sulla valle, perciò la chiesa era in penombra. «Mio Signore, salvami» pregò con grande fervore. «Aiutami nell'ora del bisogno. Mostrami la via per allon-tanarmi da Satana.» Il povero prete strinse nella mano sudaticcia il biglietto che aveva ricevuto quel mattino. «Perché il tuo servo ha peccato, Signore, e invoca il tuo perdono e la tua grazia.» «Un'invocazione davvero toccante.» Al suono di quella voce, padre Robelard sentì una stretta allo stomaco. Si alzò e si voltò. La luce delle candele che ardevano sull'altare creava strani giochi di luce e di ombra. Mentre procedeva lungo la navata, Cynric assomigliava a un essere demoniaco. «Vi sentite un po' in colpa, padre?» chiese con una smorfia piena di sarcasmo. «Mi avete mandato a chiamare, messere. Che cosa vo-lete?» «Che cosa voglio? Non mi pare il modo di salutare, padre. Forse sono venuto a confessarmi.» Padre Robelard cominciò a torcere la cintura della to-naca.

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Cynric continuò ad avanzare, costringendo il prete a farsi da parte per lasciarlo passare. «Ma forse no» ag-giunse fermandosi proprio di fronte all'altare. Troppo sconvolto per riuscire a dire qualcosa, padre Robelard chiese di nuovo aiuto al Signore. «Ditemi, padre, come sta il mio nobile cugino?» «Molto bene, messere» rispose il prete dopo aver tos-sicchiato. «Mi fa piacere sentirlo. Spero che Emryss sia convin-to che i suoi guai siano finiti, adesso che ha ucciso i ban-diti.» «Credo che sia quello che spera.» «Santo cielo, è un vero peccato che non sia così.» Padre Robelard sussultò visibilmente. «Sono venuto a sapere che alcuni... malcontenti vor-rebbero causare a Emryss altri guai» continuò Cynric. «In fin dei conti è un normanno, anche se cerca di farsi passare per un gallese. Immagino che sia convinto che i locali lo lasceranno in pace. Ma nonostante quello che gli piacerebbe credere, non è immune dall'odio che i gal-lesi nutrono nei confronti dei normanni.» Cynric sospirò. «Vorrei avvertire Emryss, ma lui non vuole avere nulla a che fare con me.» La tonaca di padre Robelard era ormai tutta spiegaz-zata. «Pensate che a voi darebbe ascolto?» Il prete scosse la testa e Cynric si allontanò dall'altare. «No, è proprio quello che immaginavo, visto che tutti sanno che odia i preti.» Cynric aspettò che padre Robelard annuisse pri-ma di continuare. «Ma allora a chi darà retta?» Poi si av-vicinò lentamente al prete. «Forse all'affascinante Lady Roanna? Se le fornissi delle prove di ciò che sto dicendo, sono convinto che lui le crederebbe.» «Sì, messere. Emryss DeLanyea le dà ascolto.» Cynric sorrise. «Proprio così. Ma come posso fare a

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presentare le prove a Lady Roanna? Non posso rischiare che cadano nelle mani sbagliate, e non oso rimettere pie-de nei possedimenti di Emryss. Tuttavia voglio conse-gnarle personalmente a Lady Roanna. Voglio dimostrar-le che parlavo sul serio, quando le ho detto che desidera-vo appianare le divergenze fra suo marito e me.» «Emryss DeLanyea non le permetterà di entrare nei vostri possedimenti, messere.» «Lo so» ribatté bruscamente Cynric, poi sorrise di nuovo. «Avevo in mente un luogo neutrale, come per e-sempio la riva del fiume che divide le nostre due pro-prietà. I cespugli garantiranno la segretezza del nostro incontro, e se qualcosa dovesse andare storto io potrò fa-cilmente tornare nelle mie terre, dove Emryss non osa mettere piede.» Il prete continuò a giocherellare con la cintura. Non avrebbe voluto fidarsi di quell'uomo, ma Cynric poteva avere davvero informazioni che sarebbero state preziose per Emryss DeLanyea. «Naturalmente, padre, voi potete accompagnare Lady Roanna, almeno fino alla riva del fiume.» Padre Robelard si schiarì la voce e cercò di tenere sot-to controllo il tremito alle ginocchia. «E se non volesse venire con me? Come posso essere certo che la lascerete andare in pace?» Cynric fece una smorfia sprezzante. «Ah, e così stia-mo diventando degli eroi, eh? Ebbene, padre, potete tranquillizzarvi. Giuro davanti a Dio che non le farò del male. E neppure a voi, se la condurrete da me.» Il prete si asciugò sulla tonaca i palmi delle mani. «Molto bene, messere.» «Mi fa piacere che ci capiamo. Allora sarà per domani mattina.» Cynric fece per andarsene, poi si fermò. «Ah. Devo avvertirvi, padre, che se Lady Roanna non verrà al fiume sarò costretto a rivelare la vergogna di Lynette.»

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Padre Robelard ebbe un tuffo al cuore. «Vergogna?» «Aspetta un bambino. E voi sapete che cosa acca-drebbe se la notizia dovesse circolare.» Padre Robelard sapeva bene che cosa avrebbe fatto Cynric DeLanyea. Avrebbe cacciato via la povera ragaz-za dopo averle tolto tutto ciò che aveva. Preso dal panico, si aggrappò all'unica possibilità di salvezza per Lynette. «Il bambino potrebbe essere vo-stro, messere.» Cynric afferrò l'ometto per lo scollo della tonaca. «A-scoltatemi bene, prete. Se io dico che è incinta di vostro figlio, la gente ci crederà. Perciò fate in modo che Roan-na venga al fiume.» Poi lo lasciò andare. Padre Robelard cadde per terra e Cynric uscì dalla chiesa. Il mattino dopo Roanna arrivò nella chiesetta del vil-laggio prima del solito. Emryss stava ancora dormendo, e lei voleva essere di ritorno prima che si svegliasse. «Lady Roanna!» esclamò padre Robelard guardandola come se fosse stata un essere soprannaturale. Poi sembrò venir meno per il sollievo. «Dev'essere stato il Signore a farvi venire qui a quest'ora quanto mai mattiniera.» Il piccolo prete sollevò gli occhi al cielo. «Sicuramente questo è un segno per il suo umile servo. Devo parlarvi di una questione della massima importanza.» Roanna rimase un po' sorpresa per quell'insolito com-portamento. «Sono stato informato che qualcuno intende procurare altri guai ai signori normanni.» «Nessun gallese farà nulla contro Craig Fawr, padre.» «È quello che tutti vorremmo credere, Lady Roanna. Ma sono convinto che valga la pena di ascoltare questa persona. Ho organizzato un incontro con qualcuno che conosce i dettagli. Se voi mi accompagnaste...»

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«Sicuramente sarebbe meglio se vi accompagnasse mio marito.» «Mi dispiace, milady. Ha detto che avrebbe parlato solo con voi. Mi ha dato la sua parola che sarete al sicu-ro.» Roanna congiunse le mani. Le parole di padre Robe-lard sembravano sincere. Emryss era pur sempre uno de-gli odiati normanni, anche se preferiva considerarsi un gallese. Era possibile che i banditi fossero stati gallesi scontenti, e se le cose stavano così... «Dove dobbiamo andare?» «Resteremo nei possedimenti di vostro marito, Lady Roanna, ma dovrete prendere un cavallo.» «Molto bene.» «Dopo la messa?» «Come volete.» Poco dopo, Roanna era seduta sulla groppa di una placida cavalla, seguita dall'asino di padre Robelard. Nella scuderia nessuno le aveva fatto domande. Di soli-to, quando andava da qualche parte in compagnia di pa-dre Robelard, Emryss insisteva perché Gwilym o uno dei soldati la scortassero, ma questa volta il prete aveva insi-stito perché fossero loro due soli. Mentre scendevano giù dalla collina, il sole faceva a stento capolino fra le nuvole. Dopo la pioggia del giorno precedente il terreno era ancora saturo d'acqua. I due animali procedevano fatico-samente in mezzo al fango. Roanna teneva gli occhi fissi per terra, in modo che il cavallo evitasse le pozzanghere più profonde. Dopo un po' padre Robelard si fermò e lei sollevò lo sguardo. Erano quasi arrivati al fiume e si trovavano sul sentie-ro che portava a Beaufort. «Padre, è questo il posto?» chiese lei.

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Il prete smontò dall'asino e sbirciò nervosamente fra gli alberi. «Sì, è questo.» Roanna scorse un bagliore metallico in mezzo al fo-gliame. A un tratto Cynric DeLanyea e Urien Fitzroy sbucarono dai cespugli. Cynric guardò la fanciulla che gli stava di fronte e stentò a riconoscerla. Nella penombra della foresta la sua pelle era straordinariamente luminosa. Il suo corpo, fino a poco tempo prima troppo magro, si era ammorbidito e i suoi seni si erano arrotondati. Guardandola, Cynric sentì un piacevole rimescolio percorrergli le membra. Roanna sussultò e mentre lui le si avvicinava strinse le redini del cavallo. Il suo sguardo si posò brevemente sul prete. «Non abbiate paura, Lady Roanna» disse frettolosa-mente padre Robelard. «Ha giurato davanti a Dio che non vi farà del male.» «Sì, è vero.» Cynric le rivolse un sorriso accattivante. «Voglio solo mettervi in guardia.» Roanna lo guardò con sospetto. «Davvero?» Lui si avvicinò ancora e le tese una mano. «Vi prego, Lady Roanna, ascoltatemi. Vi do la mia parola che sono venuto in pace e di buon animo.» Vedendo la sua espres-sione dubbiosa aggiunse: «Dovete scusarmi per questo piccolo inganno, milady. Emryss non mi avrebbe dato ascolto se avessi cercato di avvertirlo, perciò dovevo parlare con voi». Roanna non accennò a smontare da cavallo. «Padre, restate qui con Fitzroy. Lady Roanna e io dobbiamo discutere di questa faccenda a quattr'occhi.» Cynric le porse di nuovo la mano. Roanna esitò un istante, poi gli permise di aiutarla a smontare. «Venite, milady» disse Cynric spingendola gentilmen-te verso gli alberi. «È meglio parlare a faccia a faccia. Vi prego, Roanna» insistette con voce sommessa.

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Poi la condusse al riparo di una macchia di noccioli che crescevano lungo la riva del fiume. «Chi sta progettando di attaccarci? E quando?» chiese Roanna non appena si fermarono in una piccola radura. «Roanna» esordì Cynric con voce suadente, «sapevo che non avreste voluto ascoltarmi a meno che non fosse stata in gioco la sicurezza di vostro marito. È per questo che ho dovuto convincere padre Robelard a portarvi qui.» «Allora non ci sarà nessun...» «Fastidio da parte dei gallesi? No. Non che io sappia, almeno. Perdonatemi per questo piccolo inganno.» Con-tinuando a tenerle la mano, le sorrise. «Mi rendo conto di essermi comportato molto male con voi, Roanna. Ho cercato di dimenticarvi. Voi siete sposata con mio cugi-no, punto e basta. Tuttavia sono torturato dal senso di colpa per come vi ho trattata. Sono venuto qui per invo-care il vostro perdono.» Quando le si accostò, Roanna fece un passo indietro. Lui allora si fermò e la guardò con un'espressione molto triste. «Vedo che continuate a non fidarvi di me. Be', forse sono stato sciocco a illu-dermi.» A un tratto sollevò la mano di Roanna e se la portò alle labbra. La sua pelle era morbida, tiepida, leggermen-te profumata. Desiderabile. Lei arretrò. «Che cosa state facendo?» chiese, guar-dandolo con gli occhi spalancati. «Roanna, io vi amo. Ho bisogno di voi.» «Voi siete pazzo!» Lui s'inginocchiò e sollevò le braccia in un gesto sup-plice. «Sì, lo sono. Pazzo d'amore per voi.» Quelle parole avevano un accento di sincerità. Cynric se ne accorse e cercò di attribuirlo alla propria astuzia. «Oh, so che non mi crederete» aggiunse, determinato a portare a termine il suo piano. Solo il suo piano. «Io

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stesso faccio fatica a crederci. Ho anche cercato di ne-garlo. In fin dei conti vi ho persa. Per sempre. Ma non posso più restare in silenzio. Oh, Roanna!» Poi si nasco-se il volto fra le mani. «Mi dispiace, Cynric» mormorò lei. Cynric sollevò lo sguardo sul volto pallido e sulle lab-bra rosse di lei. Al diavolo il suo piano! Saltò in piedi e la prese fra le braccia, cominciando a baciarla sulle lab-bra e sul collo. Roanna rimase inerte. «Cynric» disse con voce som-messa. «Smettetela, vi prego!» Per la prima volta nella sua vita, lui ascoltò le proteste di una donna. Roanna non cercò di ritrarsi. «Perché state facendo questo, Cynric? Ci sono moltissime donne più belle di me.» Cynric fece un passo indietro, come se lei l'avesse schiaffeggiato. Era talmente confuso che non riusciva neppure a guardarla. Che ne era stato del suo piano di violentare la moglie di Emryss e di rimandarla indietro coperta di vergogna? Che cosa gli stava accadendo? Poi raddrizzò le spalle. Si sarebbe vendicato di Em-ryss, l'uomo che era stato per lui una spina nel fianco fin dal giorno in cui era nato. «Vedete, Roanna, voi e io siamo stati amanti in segre-to.» Lei sussultò. «Sorpresa? Chi potrebbe stupirsi se una donna doves-se preferire la mia faccia a un volto sfigurato? Ma lascia-te che vi racconti com'è successo.» Cynric cominciò a camminare avanti e indietro, senza guardarla. «Voi vi siete innamorata di me fin dalla prima volta che ci siamo incontrati, ed eravate felice di sposarmi.

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Purtroppo io ho fatto un piccolo errore, e voi per ripicca avete sposato un altro. Vostro marito però non era molto amorevole, e ben presto avete ricominciato a pensare a me. Anche quando Emryss faceva l'amore con voi, ave-vate in testa solo me.» Cynric aveva ripassato quella sto-ria centinaia di volte, ma in quel momento il pensiero di Emryss che faceva l'amore con lei lo riempì di rabbia. La sua voce si fece più dura. «Avete invocato padre Robe-lard di organizzare un incontro con me. Lui era riluttan-te, ma alla fine ha acconsentito. Così ci siamo incontrati e voi mi avete confessato i vostri sentimenti.» Cynric si fermò e si voltò a guardarla. Molto lenta-mente cominciò ad avvicinarsi a lei. «Anch'io mi sono innamorato di voi, Roanna» mor-morò senza staccare gli occhi dal suo volto. «Voi siete lacerata dai vostri sentimenti. Io cerco di convincervi a lasciare vostro marito. A voi ripugna fare una cosa così disonorevole.» Le prese una ciocca di capelli e se la fece scorrere fra le dita, fissandola negli occhi. «Avete capito com'è la storia, Roanna?» Poi le voltò le spalle. «Contro ogni buonsenso decidiamo di rivederci, e diventiamo a-manti. Purtroppo vostro marito verrà a sapere del vostro tradimento. Emryss mi sfiderà a duello, e io lo uccide-rò.» «Pensate che lui vi crederà?» Cynric la guardò. «Ha qualche importanza? Mi sfiderà ugualmente a duello. Potete immaginare come ci si sente quando il proprio onore viene insultato. Anch'io non po-trò far altro che difendere il mio onore. E lo ucciderò.» Il suo tono era trionfante. «Conosco da sempre quel male-detto bastardo. L'ho visto combattere centinaia di volte. Conosco ogni mossa, ogni finta, ogni trucco. Conosco le sue debolezze, e adesso lui è molto debole. Perciò mori-rà, e le sue terre saranno mie.» S'interruppe e la guardò di nuovo. «Sfortunatamente, voi sarete costretta a chiu-

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dervi in qualche remoto convento per chiedere perdono per i vostri peccati.» «Cynric» mormorò Roanna, «come avete fatto a indo-vinarlo?» Poi gli si avvicinò. «Come avete fatto a capire che io amavo voi? Che nella mia stupidità ho voluto ven-dicarmi sposando Emryss, e ho finito per fare del male a me stessa?» Cynric socchiuse gli occhi. «Che cosa state dicendo?» Roanna continuò ad avvicinarsi lentamente. «Che a-vete ragione voi. Vi amo. Amo soltanto voi. Desidero ar-dentemente essere con voi, sentire le vostre braccia at-torno a me. Ma avevo paura. Temevo che voi mi deride-ste. Temevo quello che Emryss avrebbe potuto fare.» Poi gli accarezzò un braccio. «Ma adesso so quello che devo fare. Lo lascerò, e sarò ben contenta di farlo. Lui sarà disonorato, come voi desiderate. Dirò alla gente quello che volete voi. Che è perfido e crudele. Che mi picchia. Perfino che preferisce gli uomini.» Roanna gli sorrise, invitante. «Oppure nessuno lo saprà, se preferite. Pos-siamo essere amanti segreti. Sarebbe eccitante, no?» Cynric l'afferrò per le braccia e la baciò appassiona-tamente. «Ed Emryss?» mormorò mentre le sfiorava con le labbra la sommità dei seni. Roanna stava ansimando e gli aveva affondato le dita fra i capelli. «Ci lascerà in pace. Non vedete come si nasconde nel-la sua torre? Quanto alle sue capacità amatorie... non mi soddisfa.» «Io saprò farlo» sussurrò Cynric attirandola a sé e strofinandosi contro di lei. Poi cercò di farla adagiare sull'erba. «Vi prego, Cynric, non qui, e non ora» protestò lei. «Non come dei servi della gleba.» Lui fissò il suo volto accaldato. Era troppo eccitato per potersi fermare. «No, ora.»

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Tutto a un tratto Roanna parve spaventata. «Cos'è sta-to?» Si voltò e guardò verso gli alberi. «Ho sentito qual-cuno.» Cynric lanciò un'occhiata in quella direzione. «Urien?» Nessuno rispose. «Cynric, vi prego. Non qui. È troppo pericoloso, e scomodo. Alcune cose si fanno meglio a letto.» «D'accordo. Quando?» «Presto. Vi manderò un messaggio e troverò un posto tranquillo.» Poi gli baciò una guancia. «Molto presto. Ma adesso devo andare.» Lui la prese per un braccio e la guardò negli occhi. «Prima datemi la vostra parola che verrete da me.» Roanna annuì lentamente. «Vi do la mia parola.» Cynric si sistemò la tunica. «Per adesso addio, amore mio. Ma ricordate, se non verrete farò come ho detto.» Poi si allontanò lungo il sentiero. Roanna si appoggiò contro un albero, troppo debole per riuscire a muoversi. Ma non poteva neppure restare lì. Facendo appello a tutta la propria energia, si mise a correre verso il punto dov'era rimasto padre Robelard. Vedendola arrivare tutta scarmigliata, il prete la fissò con gli occhi spalancati. Che cosa era successo? Che co-sa le aveva fatto Cynric? Prima che avesse il tempo di chiederglielo, Roanna montò in sella e spronò il cavallo. L'animale partì al galoppo. Padre Robelard la guardò allontanarsi. Qualsiasi cosa fosse accaduta, la povera fanciulla era terrorizzata. Il prete conosceva Cynric DeLanyea abbastanza bene da sospettare il peggio. Non era un segreto che il nuovo barone si divertisse a violentare fanciulle inermi. Mentre se ne stava lì, in piedi nel fango, sentì a un tratto il peso della propria responsabilità. Era stata la sua mancanza di rettitudine che aveva consentito a Cynric

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DeLanyea di approfittare di Roanna. Era lui il responsa-bile delle sofferenze della fanciulla. Padre Robelard si raddrizzò. Ormai era troppo tardi per scusarsi con Lady Roanna, ma avrebbe seguito Cyn-ric DeLanyea e gli avrebbe detto che non sarebbe più stato suo complice. Poi sarebbe andato dall'abate e gli avrebbe confessato i propri peccati. Tutti.

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Doveva tornare da Emryss. Rifugiarsi fra le sue braccia. Il fango le schizzava sulle gambe nude e sulla gonna, ma lei non se ne curava. Aveva bisogno di un bagno cal-do per ripulirsi dalle disgustose carezze di Cynric. Il ricordo di quelle carezze le provocò un conato di vomito. Roanna si aggrappò alla criniera del cavallo e cercò di farsi passare la nausea. Mio Dio, pregò mentre il cavallo galoppava come il vento, fammi arrivare a casa sana e salva. Finalmente arrivò in vista del villaggio. Senza mai rallentare sfrecciò accanto alle casette silenziose e attra-verso i cancelli di Craig Fawr. Poi fermò il cavallo e smontò. I capelli arruffati le pendevano sulla faccia e la gonna inzaccherata si era appiccicata alle gambe. Nella corte era sceso il silenzio. Tutti quelli che si trovavano lì la stavano guardando come se fosse un'e-stranea. Roanna si guardò lentamente intorno, cercando Emryss. Lui era in piedi davanti all'entrata del salone, immobi-le, le gambe larghe. Gwilym si trovava alla sua destra, e davanti a loro, per terra, c'era un corpo. Il cadavere in-sanguinato di un uomo. Roanna si mise a correre verso di lui, ma Emryss sol-levò una mano.

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«Lo conosci?» chiese brusco indicando il cadavere. Lei abbassò lo sguardo e vide un volto barbuto. Le labbra erano contratte in una smorfia e lasciavano vedere i denti guasti. «Sì.» Roanna fece un passo avanti. Certo che cono-sceva quell'uomo. Il volto di Emryss era duro. Nel suo sguardo non c'era neppure un barlume d'amore. «Quando mi sono accorta che il suo cadavere non era insieme agli altri ho pensato che fosse scappato» spiegò in tono con-citato. «E dal momento che non è accaduto più nulla ne sono stata certa. Pensavo che non fosse il caso di metterti in allarme.» «Sei stata con Cynric?» La voce di Emryss era gelida. Roanna boccheggiò. Come faceva a saperlo? Poi an-nuì. «Perché?» «Mi ha attirata con l'inganno. E quello che aveva da dire è solo per le tue orecchie, Emryss.» «Sentiamo.» «Emryss» lo supplicò lei, «ti prego, lascia che ti parli a quattr'occhi.» «Ho detto sentiamo.» Roanna si strinse le mani e cercò di mettere ordine nei propri pensieri, poi cominciò a parlare. «Questa mattina Padre Robelard mi ha detto che qual-cuno aveva delle informazioni circa altri attacchi contro la nostra gente, ma che questa persona avrebbe parlato solo con me. Così sono andata con lui. Ma quando siamo arrivati nel luogo dell'incontro, abbiamo trovato Cynric e Fitzroy.» Nella corte il silenzio era totale. Nessuno si muoveva o parlava, neppure i bambini. «Cynric mi ha tratta in disparte e mi ha detto che vo-leva vedermi perché desidera che restiamo amici.» Gwilym incrociò le braccia sul petto.

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«Ma mentiva. Poco dopo ho scoperto come mai vole-va parlarmi.» Roanna fece un respiro profondo. «Vuole usarmi come pretesto per battersi contro di te.» Gwilym lanciò un'occhiata a Emryss, che continuava a fissarla. «Come?» Roanna si torse le mani. «Vuole andare a raccontare che noi due siamo amanti» sussurrò. La piccola folla radunata nella corte si lasciò sfuggire un'esclamazione soffocata. Gwilym aveva un'espressione trionfante. Emryss sollevò un sopracciglio. «E lo siete?» Roanna lo guardò con un'espressione fiera. «Dal mo-mento che sono stata spiata, saprai già quello che è acca-duto. Ma ho finto di provare qualcosa per lui solo per poter scappare e venire da te.» «Ed è per questo che gli avete permesso di baciarvi e di toccarvi, come se foste una sgualdrina da pochi sol-di?» chiese Gwilym. «No!» urlò lei. Poi fece un passo verso Emryss. «Co-s'altro potevo fare? Lui avrebbe potuto benissimo abusa-re di me. Credevo di essere sola, fatta eccezione per pa-dre Robelard, perciò sarebbe stato inutile mettersi a gri-dare. Gli ho fatto credere di essere consenziente e di te-nere a lui, ma solo per poter fuggire. Devi credermi. Giu-ro che è la verità.» Emryss non disse nulla. All'improvviso risuonò una voce. «Lady Roanna non mente!» Un mormorio si diffuse fra i presenti mentre Jacques usciva dalla cucina e si avvicinava a Roanna. Lei gli pre-se il braccio. «Allora quando ha detto a Cynric che avrebbe fatto qualsiasi cosa lui avesse voluto non mentiva» intervenne Gwilym. «E quando gli ha promesso che sarebbe tornata

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da lui non mentiva.» Poi si rivolse a Emryss. «Brawd-maeth, l'ho sentita dire queste cose con le mie orecchie. Li ho visti insieme. Lei non sembrava spaventata.» «Allora come mai non avete manifestato la vostra pre-senza? Perché non mi avete aiutata?» gli chiese Roanna. «Perché dovrei aiutare una traditrice?» ribatté Gwilym con veemenza. Emryss rimase immobile e continuò a guardarla. «Io le credo.» La voce acuta di Mamaeth giunse dal fondo della folla. La vecchia si fece largo in mezzo a un gruppo di soldati e si fermò accanto a Jacques. «Voi uo-mini non potete capire come si senta una donna in un simile frangente. Che cosa avrebbe dovuto fare? Farsi ammazzare? Oppure usare il cervello che Dio le ha dato per mettere nel sacco quel demonio? E non è quello che ha fatto?» «Giusto!» Bronwyn si fece avanti e si mise accanto a Roanna. Gli occhi di Gwilym lampeggiarono di rabbia, ma la ragazza raddrizzò le spalle con un'espressione di sfida. «Dovremmo essere grati che se la sia cavata. Per-ché mai avrebbe cavalcato come il vento per tornare qui, se ciò che dice non fosse vero?» «Forse si è accorta che io la stavo spiando!» urlò Gwilym. «E chi è stato a dare l'allarme la notte dell'in-cendio, e ci ha condotti al mulino in modo che qualcuno potesse intrufolarsi qui dentro e dare fuoco al deposito delle armi? Forse è stata proprio lei ad appiccare l'incen-dio.» Emryss si voltò e si diresse verso la scuderia senza dire nemmeno una parola. Roanna rimase ferma dov'era. Gwilym lanciò un'occhiata alle donne raggruppate al centro della corte e poi lo seguì. Emryss stava sellando un cavallo. «Vado sulle colline» disse quando Gwilym entrò. «Ho bisogno di pensare.»

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«Vengo con te.» «No, Gwil, resta qui a sorvegliare Craig Fawr e lei. Tornerò domattina, e saprò cosa fare.» Roanna era seduta accanto al piccolo braciere, in ca-mera da letto, e stava cercando di non farsi prendere dal-la disperazione. Accanto a lei, Bronwyn fissava le fiamme. «È andato sulle colline per pensare, mia signora» disse a bassa vo-ce. «È un buon segno. Suo padre diceva sempre che Emryss sarebbe stato un buon capo, se avesse imparato a pensare di più. A me sembra che abbia imparato. In fin dei conti Gwilym ha colto tutti di sorpresa, quando è ar-rivato al villaggio con quel cadavere. Non c'è stato tem-po per pensare e fare domande. Vedrete che capirà che non l'avete tradito.» «Io ero con Cynric.» Roanna sospirò. «Ma le cose so-no andate come ho detto. Ho fatto l'unica cosa che mi è venuta in mente per riuscire ad andarmene.» «Noi donne vi capiamo perfettamente. Vedrete che se ne renderà conto anche lui.» Bronwyn le prese la mano e la strinse. «Vi ama. Vi crederà.» «Se solo padre Robelard fosse qui! Lui potrebbe con-fermare il mio racconto.» Roanna si torse le mani. «For-se gli è successo qualcosa. Come mai non è ancora tor-nato?» Da quando si era allontanato in compagnia di Roanna, quel mattino, nessuno aveva più visto il prete. «Siete sicura che non c'entri nulla in questa faccen-da?» chiese Bronwyn. «Dev'essere per forza così» rispose Roanna. «È un prete.» «Abbiamo sentito delle voci, sapete. Su di lui e una ragazza di Beaufort.» Roanna aggrottò la fronte. «Una ragazza?»

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«Una donna. Si chiama Lynette. È sempre stata una creatura vanesia.» Vedendo la sorpresa di Roanna ag-giunse: «Oh, sì, è nata nel villaggio. Ma è andata a lavo-rare a Beaufort, anche se a quanto pare la sua idea di la-voro è diversa dalla vostra e dalla mia». Bronwyn sospi-rò. «Spero che non sia accaduto nulla al prete. Forse è tornato al monastero, e presto scopriremo come stanno le cose. Può darsi che Cynric abbia ingannato anche lui, perché non ha mai dato l'impressione di essere un uomo astuto, nonostante fosse istruito.» «Devo convincere Emryss che ho detto la verità. De-vo» mormorò Roanna fissando le fiamme che oscillava-no nel braciere. «Altrimenti come farò a sanare la spac-catura fra noi due?» «Vedrete che andrà tutto bene, mia signora» rispose Bronwyn. «Lui vi ama.» Ma Roanna non ne era più tanto sicura. Nello sguardo di Emryss aveva visto solo sospetti e freddezza. Se solo padre Robelard fosse tornato! Se solo lei fosse potuta andare al monastero e gli avesse parlato! Di certo l'avrebbe convinto a dire la verità. Roanna aspettò che Bronwyn si fosse assopita e poi si diresse in punta di piedi verso la porta. L'aprì con cautela e sbirciò fuori. In cima alle scale c'era una guardia. Senza dubbio era stata piazzata lì per ordine di Gwilym, in modo che lei non scappasse. Allora si avvicinò silenziosamente alla scala che portava sulla cima della torre. Dopo aver sollevato l'orlo della gonna e averlo assicu-rato alla cintura, cominciò a scendere lentamente lungo le impalcature appoggiate al muro interno. Poi, al riparo delle tenebre, si diresse verso il cancello e appena la sen-tinella le voltò la schiena scivolò fuori. Aveva pensato e ripensato a quello che era accaduto

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quel mattino, e ormai era convinta che il prete fosse al corrente del piano di Cynric. Ricordava perfettamente la sua espressione spaventata. Senza dubbio era corso a rifugiarsi nel monastero, al-meno per il momento. Sarebbe andata laggiù e l'avrebbe convinto a tornare a Craig Fawr per raccontare a Emryss in che modo l'aves-sero raggirata, anche a costo di svegliare tutto il mona-stero. Avrebbe dimostrato la propria innocenza. Urien Fitzroy guardò Lynette con un'espressione cu-pa. «Ragazza, prendi questo denaro e vattene, prima che ti caccino via da Beaufort senza nemmeno uno straccio addosso.» Lynette soppesò il sacchetto di cuoio e i suoi occhi chiari luccicarono. «Tutto qui? Mi date questo e non vo-lete nulla in cambio?» Poi lanciò un'occhiata al letto, di-sposto in un angolo della piccola stanza di Urien. Lui contrasse le labbra. «Sì, tutto qui. Se siete furba vi conviene prenderlo e andarvene.» Lynette gli si avvicinò facendo oscillare le anche. «Siete un bel tipo, sapete. È un peccato che vogliate libe-rarvi di me.» Lui la prese per un polso e l'attirò a sé. «Così va meglio, ma cosa dirà il vostro padrone?» Lynette fece una risata sommessa. Urien la fissò negli occhi. «Cynric DeLanyea non è più il mio padrone. Sai che cos'ha in mente, piccola sciocca che non sei altro? Vuole prendersi come amante la moglie di suo cugino.» Lynette sussultò, ma lui conti-nuò, imperterrito. «E che ne sarà di te? Credi che ti vorrà ancora?» «Ma aspetto un figlio da lui!» Urien la lasciò andare. «Buon Dio, come sei stupida!

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A lui non fa né caldo né freddo. L'unica cosa che gli im-porta è mettere le corna a suo cugino. Un tempo credevo che sarebbe diventato un grand'uomo, il nobile signore di un grande feudo. Invece è ossessionato dal desiderio di vendetta... e da quella donna. Mi dà il voltastomaco!» Lynette si strofinò il polso e sollevò il mento con aria di sfida. «Allora andrò da padre Robelard. Lui mi aiuterà.» «Come? E con che cosa?» Urien socchiuse gli occhi. «Come mai proprio lui?» «Perché... Perché lui...» In quel momento Urien capì ogni cosa. «Perché è sta-to usato, non è vero? Perché l'hai sedotto. Per ordine di Cynric. E adesso ti aspetti che ti aiuti?» Fece una risata aspra. «Mio Dio, come sei ingenua! Prendi il denaro e vattene. Il prete è morto. Cynric lo ha ucciso.» Lynette spalancò gli occhi e scosse la testa. «Puoi credermi. Quell'imbecille ci ha seguiti, dopo l'incontro organizzato da Cynric, e ha rifiutato di conti-nuare a essere suo complice. Ha detto che sarebbe anda-to a raccontare tutto all'abate. Non si è nemmeno accorto di quello che stava per succedergli, povero sciocco. Cyn-ric l'ha ucciso immediatamente, come se avesse già pia-nificato tutto. E magari l'aveva fatto.» Urien guardò la ragazza con un'espressione meditabonda. «Io so troppe cose, ormai. Un giorno o l'altro cercherà di uccidere an-che me. E la stessa cosa toccherà a te. È meglio che ce ne andiamo tutti e due, finché siamo in tempo.» «Perché mi date questo denaro?» chiese Lynette con un filo di voce. «Voi non ne avete bisogno?» Urien sorrise stancamente. «Tu ne avrai bisogno più di me.» Lynette strinse il sacchetto contro il seno generoso. «Siete un uomo strano, Urien Fitzroy.» Lui scrollò le spalle robuste.

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Lynette gli posò un dito sulle labbra. «Come posso ringraziarvi?» «Andandotene di qui. Questa notte.» Lei gli sfiorò un braccio con il petto. «Domani.» Urien l'allontanò gentilmente ma con fermezza. «Se qualcuno è disposto a pagare perché te ne vada, prendi il denaro e vattene.» Lynette annuì con un'espressione malinconica e si av-viò lentamente verso la porta. «Addio, Urien.» Lui la guardò andarsene. L'indomani sarebbe andato a Craig Fawr e avrebbe detto a Emryss quello che sapeva, poi avrebbe lasciato per sempre quel paese orribile. Era un mercenario che combatteva in cambio di una paga, ma non era così disperato da dover combattere per un farabutto privo d'onore come Cynric DeLanyea. Le braci del piccolo falò brillavano nelle tenebre. Em-ryss si accoccolò meglio nel piccolo riparo fra le rocce e cercò di stare caldo mentre aspettava l'alba. Alle prime luci sarebbe tornato a Craig Fawr, certo che Roanna avesse detto la verità. Appoggiando il capo sulle ginocchia si ricordò di un'altra donna con la pelle e i capelli scuri. Giovane e così spaventata da non riuscire neppure a urlare. Ma che espressione nei suoi occhi! Lui non aveva voluto toccarla, nauseato dal fatto che gli altri crociati potessero ignorare i volti delle donne dei cui corpi abusavano così crudelmente. Non faceva fatica a credere che Roanna fosse ricorsa a qualsiasi mezzo pur di fuggire. Emryss si mise in una posizione più comoda. L'arrivo di Gwilym con il cadavere lo aveva colto di sorpresa. Il fratello d'arme gli aveva raccontato di averlo trovato nascosto sotto un mucchio di rami e di foglie, e di averlo raccolto per portarlo a Craig Fawr.

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Lungo il fiume aveva sorpreso Roanna e Cynric che si stavano incontrando di nascosto. Sulle prime non gli aveva creduto. La presenza del cadavere era innegabile, naturalmente, ma circa il resto era stato certo che Gwilym si fosse sbagliato. Prima an-cora di avere il tempo di riflettere sulle parole dell'ami-co, Roanna era arrivata nella corte. E aveva affrontato a testa alta il suo accusatore. Emryss l'aveva osservata con estrema attenzione men-tre si difendeva ma, non volendo apparire debole e incer-to di fronte alla propria gente, non aveva detto nulla. Nella quiete delle colline aveva avuto modo di pensare e di ricordare l'espressione degli occhi di Roanna. Un'e-spressione di totale onestà e sincerità. Non solo le credeva, ma l'amava con tutto se stesso. Gwilym avrebbe dovuto accettare quella realtà. Emryss si mosse. Era ora di tornare indietro e di pro-teggere Roanna. Ora di dirle che si fidava di lei e che l'a-mava. Tutto sarebbe tornato come prima. «Dobbiamo fare qualcosa» disse Jacques mentre lavo-rava con vigore la pasta del pane. Le sue grosse dita si stavano scaldando a poco a poco. Non era ancora l'alba, e la cucina era fredda. Mamaeth sollevò gli occhi dalla pozione che stava preparando. Il piccolo tavolo era ingombro di vasi e di fiale che rischiavano di rovesciarsi a ogni suo brusco movimento. «Già. Sono sicura che stia dicendo la veri-tà.» Poi cominciò ad agitare una piccola bottiglia. «Gwilym non lo capisce perché è uno che combatte, non uno che pensa. Ma tutte le donne ne sono certe. Per loro è facile immaginare come dev'essersi sentita, intrappola-ta nel bosco insieme a quella belva.» Jacques annuì mentre ricavava dalla pasta tante pa-

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gnotte rotonde. «Se almeno il prete fosse tornato...» Mamaeth sbuffò. «Sono sicura che non lo rivedremo più. Era un ometto viscido, sempre sorridente e cerimo-nioso. Non mi sono mai fidata di un uomo che sorride tanto.» Jacques si fermò e la guardò. «Voi non vi siete mai fidata di nessun uomo, se è per questo.» «E non mi sono mai sbagliata, no?» ribatté lei mentre Jacques ricominciava a impastare un'altra infornata di pane nero. «Pensate un po'. Emryss è così innamorato di sua moglie che fa fatica a non guardarla, lei è così inna-morata di lui che non distingue più il giorno dalla notte, e adesso capita questo pasticcio. Per tutti i santi, mi pia-cerebbe che vi trovaste voialtri in una situazione simile, e stare a vedere cosa fareste. Probabilmente comincere-ste a piangere come bambini piccoli, tutti, o fareste qual-cosa di stupido, e finireste per farvi ammazzare.» «Forse suo marito è convinto che sia meglio se una donna muore mentre combatte per salvare il proprio ono-re» disse Jacques lentamente. Mamaeth si lasciò cadere su una panca. Tutto a un tratto sembrava molto stanca. «Se fosse così, Emryss non sarebbe neppure nato.» «Che cosa state dicendo?» Jacques si pulì le mani nel grembiule e si avvicinò a lei. «Per alcuni di noi non è un segreto, ma lui non lo sa, povero ragazzo.» Mamaeth sospirò. Jacques si sedette accanto a lei e le prese una mano. Mamaeth lo lasciò fare. «Ho sempre avuto l'intenzione di dirglielo, ma non ho mai trovato il momento giusto.» Poi guardò Jacques di sottecchi. «Emryss è il fratello maggiore di Cynric.» Jacques spalancò gli occhi e le strinse la mano. «Già. Quel farabutto di Ulfrid DeLanyea violentò la moglie di suo fratello Ralf.»

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«Così Emryss non sa che Cynric è il suo fratellastro?» Mamaeth scosse la testa. «No. Sa solo che il barone assalì sua madre e la picchiò mentre suo padre era lonta-no per un incarico affidatogli dal re. Sua madre volle dirgli solo questo e suo marito accettò di mantenere il segreto. Il barone era un ottimo guerriero, da giovane, e la madre di Emryss temeva che avrebbe ucciso il fratel-lo.» La vecchia sospirò. «Ralf amava Emryss come un figlio e lo trattava bene, ma non riuscì mai a dimenticare le circostanze del suo concepimento.» Mamaeth si alzò in piedi. «Avrei dovuto dirglielo molto tempo fa.» «Non è sempre facile capire quando un bambino è pronto per diventare un uomo» disse Jacques con genti-lezza. Mamaeth si sfregò gli occhi e gli voltò la schiena. «Ma se Emryss DeLanyea è un bastardo» continuò Jacques, «per la legge normanna non ha alcun diritto su Beaufort. Come mai Cynric si sente minacciato?» «Per i gallesi non conta se un bambino è legittimo o meno. Noi abbiamo sempre calcolato la discendenza in linea femminile. È la cosa più logica, dopotutto. E Cyn-ric sa che la gente di queste parti prenderebbe le armi per avere Emryss come signore, al posto suo.» «E così Cynric sa di questa... faccenda?» «Non ne sono certa. Emryss somiglia a Ulfrid più di lui, e forse quel vecchio diavolo gliel'ha detto. Cynric vorrebbe eliminare Emryss in modo che nessuno possa contestare i suoi diritti su Beaufort. Ma soprattutto lo o-dia con ogni fibra del suo essere. È sempre stato così e sarà sempre così.» Jacques si alzò lentamente in piedi. «Perché, a meno che non sappia la verità?» «Bisogna conoscere Cynric, per capire. Era un ragaz-zo infido e astioso. Anche un bravo guerriero, ma non abbastanza bravo da battere Emryss. Sì, Cynric ha sem-

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pre covato rancore contro Emryss. E poi c'era suo padre. Ulfrid DeLanyea non sarebbe stato capace di allevare neppure un maiale.» «Neppure un maiale!» esclamò Jacques, facendo in-volontariamente il verso alla vecchia. «E se avesse sco-perto che l'unica persona che non avrebbe mai potuto battere era il figlio illegittimo di suo padre?» Mamaeth fece un sorriso cupo. «Già, è per questo che sono convinta che abbia cercato un modo per disonorare Emryss. Sarebbe nel suo carattere. Non sfidarlo aperta-mente a duello, ma servirsi di una donna.» In quel momento la porta si spalancò ed entrò Bron-wyn, fradicia e pallidissima. «Lady Roanna se n'è anda-ta!» esclamò. Mamaeth e Jacques si guardarono senza capire. «Mi sono assopita per un attimo, e quando ho riaperto gli occhi lei non c'era più.» Mamaeth e Jacques saltarono subito in piedi. «Andate a chiamare Gwilym. Dovrà andare a cercarla» disse Jac-ques. «Dove credete che sia andata?» chiese Mamaeth con voce tremante. «Non da...» «Lady Roanna non accetterebbe mai di essere disono-rata. Forse è andata a cercare suo marito, per farlo ra-gionare.» Poi si rivolse a Bronwyn. «Dov'è Gwilym?» «In caserma.» La ragazza si voltò e corse fuori. Mamaeth guardò Jacques con un'espressione molto preoccupata. «Dobbiamo trovarla al più presto. Non do-vrebbe restare fuori con questo tempo, adesso che aspet-ta un bambino.»

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«Gwilym!» La voce di Bronwyn risuonò come uno squillo di tromba in mezzo allo scrosciare della pioggia. La porta della caserma si aprì e Gwilym mise fuori la testa. «Cosa? Che cosa c'è?» «Lady Roanna se n'è andata.» Gwilym rimase immobile per un momento, poi aprì un poco di più la porta ma restò sulla soglia, all'asciutto. «E allora?» Bronwyn si fermò, incurante della pioggia. «Devi an-dare a cercarla!» urlò. «No. È andata dal suo amante. Che se la tenga.» Bronwyn rimase a bocca aperta. «Ma sei matto, Gwi-lym? Non è il suo amante. Le accadrà qualcosa di terribi-le, tutta sola là fuori.» «Che accada pure.» «Allora andrò io a cercarla» ribatté Bronwyn con de-terminazione, poi si mise a correre verso la cucina. «Non vuole aiutarci» annunciò, guardando prima Mamaeth e poi Jacques. «Dovremo trovarla da soli.» «Dove sarà Emryss?» si chiese Mamaeth. «E Roanna, da che parte potrebbe essere andata?» Tutto a un tratto Bronwyn ricordò le ultime parole che aveva scambiato con Roanna. «È andata al monastero a cercare il prete!» esclamò.

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«Stavamo parlando. Lei era molto preoccupata per quel-lo che avrebbe pensato Emryss, perché non c'era nessuno che potesse confermare quello che aveva detto. Io le ho riferito delle voci che avevamo sentito sul prete e su quella ragazza, Lynette. Abbiamo parlato ancora un po', e poi mi sono assopita.» Grosse lacrime cominciarono a scorrere sulle guance di Bronwyn. «Sarei dovuta restare sveglia. Adesso che ne sarà di lei?» «Non è il momento di perdere la testa» intervenne Mamaeth. «Bronwyn, raduna le donne che stanno dalla sua parte. Se non mi sbaglio sono la maggioranza. An-dremo noi a cercarla. E chiedi al vecchio Daffyd i suoi cani, anche se con la pioggia potrebbero non essere di grande aiuto.» Jacques prese il proprio mantello, che era appeso ac-canto alla porta. «Vengo anch'io a cercarla.» Mamaeth si accigliò. «Così perderemo anche voi, scioccone. Restate qui e badate ai bambini. Dirò alle donne di portarli in cucina.» Notando l'espressione atter-rita di Jacques aggiunse: «Manderò Cathwg e Kyna ad aiutarvi. Intanto preparate dello stufato. Ne avremo biso-gno, e voi lo sapete fare proprio bene». Jacques annuì e prese la pentola più grossa che ci fos-se in cucina. Un poco più tardi Gwilym si diresse a grandi passi verso la cucina. I suoi uomini erano seduti nel salone e stavano aspettando, ma delle donne non c'era traccia. «Per Dio!» borbottò quando si affacciò sulla soglia. «Che cosa sta succedendo?» urlò per farsi sentire in mezzo a quel baccano. Cathwg e Kyna, le due vecchie, erano sedute su una panca accanto al fuoco e guardavano i bambini che sta-vano facendo i primi passi. Hu e alcuni dei bambini più grandi erano in un angolo e stavano giocando con l'ulti-

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ma cucciolata del vecchio Daffyd. Jacques era avvolto in una nuvola di vapore, e dalle sue imprecazioni soffocate Gwilym capì che stava cucinando. Bronwyn non c'era. E neppure Mamaeth. Non c'erano neanche le altre donne che di solito lavoravano in cucina. In effetti, a eccezione di Cathwg, Kyna e Jacques, c'erano solo bambini. «Ho chiesto che cosa sta succedendo!» urlò di nuovo con quanta voce aveva in gola. «Non c'è bisogno di gridare» urlò Cathwg. Jacques uscì dalla nuvola di vapore. «Le donne sono andate a cercare Lady Roanna.» Gwilym s'incupì. «Perché?» «Perché non ci siete voluto andare voi.» Nell'improvviso silenzio che seguì, Gwilym udì lo scalpitio di un cavallo sull'acciottolato della corte. Do-veva essere Emryss. Fece dietrofront e uscì dalla cucina. Emryss smontò di sella. Quando vide Gwilym andar-gli incontro capì subito che c'era qualcosa che non anda-va. «Che cosa c'è?» chiese stringendo le redini in una mano. «Tua moglie non si trova, e le altre donne sono andate a cercarla.» Emryss s'irrigidì. «Cosa?» «Sarà andata dal suo amante, probabilmente.» Emryss strinse i pugni. «Gwilym, non dire mai più una cosa del genere di fronte a me. Io sono l'unico aman-te di mia moglie.» Gwilym fece un sorrisetto e un attimo dopo si trovò riverso in una pozzanghera, con la bocca piena di san-gue. Sputò e si rialzò in piedi. «Se n'è andata! È scappata per stare con lui, Emryss! Dove potrebbe essere andata, altrimenti?» Poi barcollò. «Come un ladro nella notte» aggiunse. «Da quanto tempo?» Emryss lo fissò come se fosse un estraneo.

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«Abbastanza.» Emryss gli si avvicinò e lo afferrò per la camicia. «Da quanto tempo se n'è andata?» «Dev'essersene andata durante la notte» rispose Gwi-lym, imbronciato. «Gwilym» disse Emryss con voce sommessa, guar-dando in faccia il suo amico, «ascoltami. Io le credo. Mi fido di lei. Io l'amo.» Gwilym annuì, ma Emryss capì che non lo aveva con-vinto. Forse non ci sarebbe mai riuscito. E adesso Roan-na si trovava nella foresta, sola e indifesa, perché neppu-re lui si era fidato del tutto di lei. «Quanti uomini hai mandato a cercarla?» «Nessuno.» Emryss diede uno strattone alla camicia dell'amico. «Nessuno?» Gwilym gli allontanò la mano. «Già, nessuno» urlò, furibondo. «Non intendo sprecare i miei uomini per cer-care una traditrice!» Emryss sembrava sul punto di col-pirlo di nuovo, ma Gwilym non ci badò. «Le donne sono fuori, per quello che può servire. Se vuoi sapere qualcosa di più, chiedi al suo amico. Questa volta l'ha lasciato in-dietro.» Gwilym si sentì afferrare dalla disperazione. Emryss era accecato dall'amore per quella donna. Lei sarebbe stata la causa della sua morte. Roanna osservò attentamente il sentiero, cercando di vedere qualcosa attraverso la fitta nebbia che ammantava la valle. Il percorso era aspro e dissestato. Una caduta sarebbe stata pericolosa. Seguendo il corso del fiume prima o poi avrebbe rag-giunto Beaufort e il monastero, dove si nascondeva pa-dre Robelard. Rabbrividendo, lanciò un'occhiata alla riva sassosa e

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ai banchi di nebbia che coprivano l'acqua gorgogliante. Il freddo le rendeva difficoltosi i movimenti e il fango le si attaccava alle scarpe e all'orlo della gonna. Aveva i piedi gelati, quasi insensibili. La pioggia ticchettava incessantemente sulle foglie degli alberi, con lo stesso ritmo del battito dei suoi denti. Un fruscio in mezzo ai cespugli la fece voltare di scat-to, ma si trattava solo di uno scoiattolo. Dal suo rifugio il piccolo animale la fissò per qualche istante e poi sparì. La nebbia si fece ancora più fitta. Roanna teneva gli occhi fissi sul sentiero. Ormai doveva essere vicina al ponte e, una volta che si fosse trovata nei possedimenti di Cynric, sarebbe dovuta essere ancora più cauta. Intirizzita ed esausta, ormai procedeva meccanica-mente. A un certo punto si accorse che il sentiero era o-struito da una sagoma scura. Forse un albero caduto o uno smottamento provocato dalla pioggia. Poi vide una mano bluastra e gonfia. Sussultò e si avvicinò in fretta. Un corpo avvolto in un mantello marrone giaceva a faccia in giù nel fango. Roanna si inginocchiò e lo fece rotolare sulla schiena. Un grido angosciato le sfuggì dalle labbra. Aveva trovato padre Robelard. Con le dita intorpidite gli sollevò le spalle. La testa ricadde all'indietro in maniera innaturale, lasciando ve-dere i lividi scuri che aveva sul collo. Roanna lo adagiò di nuovo per terra, si fece il segno della croce e mormorò una benedizione. Gli occhi senza vita del prete la fissavano, timidi e sorpresi come li ave-va visti spesso. Dopo un attimo d'esitazione, allungò una mano e gli abbassò le palpebre. Poi si coprì la faccia con le mani e cercò di calmarsi. Era addolorata e sconvolta. Nell'immobilità del bosco si udì un altro rumore. Uno scalpitio e un debole tintinnare di finimenti. Poi una vo-ce. «Milady?»

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Roanna sollevò gli occhi. Cynric DeLanyea, avvolto in un lungo mantello scuro e seguito da un drappello di soldati, fece fermare il proprio cavallo. «Un incontro inaspettato» disse con un sorriso indo-lente. «È morto» mormorò lei con un filo di voce. «Che peccato.» Mentre si avvicinava a lei, Cynric lan-ciò un'occhiata indifferente al corpo ormai freddo del prete. «Ci occuperemo noi del cadavere.» Poi diede al-cuni bruschi ordini ai soldati. Roanna intanto cercava di indietreggiare per nascon-dersi fra gli alberi. «Come mai siete qui?» Cynric guardò i suoi abiti fra-dici e infangati. «E dov'è Fitzroy?» Lei lo fissò senza capire. Doveva scappare. Non riu-sciva a pensare ad altro. «Siete venuta per incontrarlo?» Cynric l'afferrò per un braccio e l'allontanò bruscamente dai soldati, che stava-no caricando il corpo del prete sulla groppa di un caval-lo. «A che gioco state giocando? Vi comportate alla stes-sa maniera con tutti gli uomini?» «Non vi capisco» mormorò lei, cercando di non mo-strare la propria repulsione. «Ah, no? Ieri mi avete preso in giro, e oggi scopro che Fitzroy se n'è andato. Avete detto anche a lui quello che avete detto a me? Gli avete raccontato che amate solo lui?» «No. Non so nulla di lui.» C'era una sola cosa da fare, riprendere a recitare la commedia del giorno precedente. Roanna indietreggiò, attirando Cynric fra gli alberi, poi abbassò gli occhi. Sperava che lui interpretasse quell'at-teggiamento come una civetteria, mentre in realtà stava cercando una pietra o un bastone, qualsiasi cosa per po-terlo colpire. «Stavo venendo da voi, Cynric. Emryss sa di noi due. Sono stata scacciata.»

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Lui le prese il volto fra le mani e la costrinse a guar-darlo negli occhi. «È la verità?» «Sì.» Cynric l'attirò a sé e le mise un braccio attorno alla vita. «Non m'importa se mi state dicendo la verità oppu-re no» le mormorò all'orecchio. «In ogni caso vi avrò. Adesso. Conosco un posto adatto qui nelle vicinanze, dove non saremo disturbati.» Prese in braccio Roanna e la mise in groppa al caval-lo, imprigionandola nel proprio mantello. «Voi tornate a Beaufort» ordinò ai soldati, poi prese le briglie. Roanna si sforzò di rimanere immobile. Finché gli uomini di Cynric erano vicini non aveva nessuna possi-bilità di fuga. Più tardi, forse, quando fossero stati soli, avrebbe trovato un modo per scappare. Dopo un breve tratto, Cynric si fermò davanti a quella che sembrava una capanna abbandonata. Smontò e con-dusse il cavallo al riparo di un albero. Roanna si guardò intorno con circospezione. L'aria e-ra satura dell'odore di foglie marce e di terra bagnata. Era terrorizzata. Il cuore le martellava nel petto e il san-gue le pulsava nelle orecchie con un rombo assordante. Sarebbe dovuta restare a Craig Fawr. Avrebbe dovuto costringere Emryss a crederle. Cynric la guardò con un'espressione lasciva. Lei non protestò quando l'aiutò a scendere dal cavallo. Sapeva perfettamente che se non avesse continuato a fingersi consenziente lui l'avrebbe violentata. E sapeva anche che sarebbe stato capace di ucciderla. Non le restava che fingere di provare qualcosa per lui in modo da guadagnare tempo. Appena posò i piedi per terra si sforzò di sorridergli. Cynric chinò la testa e si impadronì brutalmente delle sue labbra. Roanna si sottomise a quel bacio per qualche istante,

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poi voltò la testa e cominciò a tossire violentemente. «Perdonatemi, Cynric» sussurrò con voce roca. «Cre-do di essere malata.» Le mani di lui indugiarono sulla sua vita, poi salirono lentamente. Quando le sfiorarono i seni, Roanna tratten-ne il fiato. «Venite dentro, allora.» Cynric le prese la mano gelida e la condusse verso il rozzo edificio. Per passare sotto l'architrave della porta dovettero abbassare la testa. All'interno c'erano della le-gna e della paglia pulita. Cynric notò la sua espressione. «A volte uso questo posto.» Roanna capì immediatamente a che cosa gli servisse quella capanna. Cynric le lasciò andare la mano e si chi-nò per accendere il fuoco. «Siamo sulle vostre terre?» domandò lei. Se si trova-vano nei possedimenti di Beaufort c'erano pochissime speranze che qualcuno di Craig Fawr la trovasse. Quel pensiero spaventoso la lasciò priva di forze. «Abbastanza vicino. Ma voi siete completamente fra-dicia, mia cara. Perché non vi togliete il vestito?» Roanna sentì una stretta allo stomaco. Dapprima esitò, finché non vide che lui socchiudeva gli occhi. «Ma certo.» Si avvolse meglio nel mantello di Cynric e si girò dal-l'altra parte, poi cominciò a sfilarsi il vestito bagnato, rimanendo in sottoveste. Quando si voltò di nuovo, Cynric aveva negli occhi il bagliore del fuoco. «Così va meglio.» Poi si passò la lingua sulle labbra. «Che fortuna, trovarsi da queste parti.» La legna cominciò ad ardere lentamente, riempiendo di fumo la capanna. Approfittando di quella foschia, Ro-anna si avvicinò il più possibile alla porta, poi stese il vestito sulla paglia senza distogliere lo sguardo da Cyn-ric. Lui le lanciò un'occhiata e le fece cenno di avvici-

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narsi. Roanna tossì di nuovo. Fingendo di non aver capi-to il suo invito si sedette lontano dal fuoco, accanto alla porta. Quando vide la bramosia che ardeva nello sguardo di Cynric, rabbrividì e si strinse nel mantello. «E così, chi è stato a dire a Emryss di noi due?» chie-se lui a voce bassa. Roanna tossì e si sforzò di riflettere. «Sono stata io. Non... non riuscivo più a sopportare che mi toccasse, do-po essere stata con voi. Cynric, non mi sento bene.» Così dicendo si posò una mano sulla fronte. «Forse dovreste sdraiarvi un po'» suggerì lui. Lottando contro il panico, Roanna si rese conto di non avere scelta. «Sì, credo che sarebbe meglio.» Si avvicinò alla paglia e si sdraiò. Cynric la guardò come un lupo affamato che sta per gettarsi su un agnello. «Maledetto paese.» Imprecando a bassa voce, Urien Fitzroy estrasse il sassolino che si era insinuato sotto uno dei ferri del suo cavallo. Non vedeva l'ora di andarsene. Era diventato un soldato quando era ancora un ragaz-zo, ma c'erano alcune cose che non poteva proprio sop-portare. Una cosa era attaccare un uomo direttamente, un'altra farlo servendosi di sua moglie. In un modo o nell'altro Cynric doveva avere un qual-che ascendente su Lady Roanna, e prima o poi l'avrebbe indotta all'adulterio, a giudicare dall'espressione trion-fante che gli aveva visto il giorno precedente, dopo l'ap-puntamento al fiume. Da quello che aveva visto della donna, Urien sapeva che non meritava di diventare una pedina nelle mani di Cynric. Erano entrambi degli sciocchi, quei DeLanyea. Riusciva a capire chi combatteva per la terra. O per il denaro. O per il potere. Ma per una donna? Di donne ce n'erano ovunque in abbondanza.

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Certo, Lady Roanna aveva un bel volto e un bel cor-po, e un'intelligenza che lui ammirava, ma le donne ser-vivano solo per soddisfare i bisogni degli uomini, e per mettere al mondo i bambini. Urien lasciò lo zoccolo del cavallo e fece camminare in tondo l'animale per assicurarsi che non zoppicasse più. Soddisfatto, rimontò in sella. Non voleva indugiare più del necessario. Per recarsi a Craig Fawr aveva deciso di seguire un percorso tortuoso, in caso Cynric si fosse accorto della sua assenza troppo presto. L'ex padrone non avrebbe preso troppo bene quell'improvvisa parten-za, soprattutto perché Urien sapeva ormai troppe cose. Quando raggiunse una biforcazione del sentiero ral-lentò. La piccola radura, priva di alberi, si era trasforma-ta in un pantano pieno di sassi. Urien si chinò sul collo del cavallo, cercando di decidere da quale parte andare. Improvvisamente scorse un bagliore in mezzo agli al-beri. Fermò il cavallo e sguainò la spada. Dalla parte opposta della radura, vide un bel cavallo. E un cavaliere, un uomo con un occhio solo. Emryss guardò attraverso la radura e riconobbe il mercenario al soldo di Cynric, Urien Fitzroy. In un'altra circostanza sarebbe stato contento di un simile incontro e avrebbe mostrato al mercenario come combatte un vero guerriero. Ma non in quel momento... In quel momento l'unica cosa che desiderava era tro-vare Roanna. Gwilym aveva detto la verità sul conto di Urien Fitz-roy. L'uomo era un guerriero consumato e ben addestra-to. Senza paura. Calmo. Implacabile. Spada sguainata, ma impugnata in maniera sciolta. Ben montato su un bel cavallo. In quel momento Fitzroy sollevò il braccio. Con un grido, Emryss sguainò la spada e premette i

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talloni contro i fianchi di Wolf. Il cavallo balzò in avanti. Fitzroy spronò il proprio cavallo. Ora non c'era più tempo per dire a Emryss DeLanyea che stava dalla sua parte. Non c'era tempo per avvertirlo che sua moglie era in pericolo. Fitzroy aveva già visto guerrieri del genere, e sapeva che doveva vincere oppure morire. Dimenticò Cynric e sollevò il braccio per colpire. Le spade cozzarono. I cavalli, addestrati alla battaglia, girarono uno intorno all'altro, come se anche loro stesse-ro cercando un punto debole. Emryss avanzò, costringendo Fitzroy a difendersi. Ma ogni volta che sferrava un colpo, il mercenario lo parava. Fitzroy era pieno d'eccitazione. Quello sì che era un vero guerriero! Era passato troppo tempo dall'ultima vol-ta in cui aveva combattuto contro un avversario così de-gno. Ancora una volta i cavalli si affiancarono l'uno all'al-tro, cercando di mordersi. Emryss cominciava a sentire la fatica e ansimava. Si stava stancando, mentre Fitzroy era fresco e riposato. Stringendo fra le ginocchia i fianchi di Wolf, Emryss cercò di ignorare il bruciore ai polmoni, il dolore alla gamba e l'intorpidimento del braccio che reggeva la spa-da. Fitzroy colpì di nuovo, e la violenza del fendente fece cadere Emryss nel fango. Mentre cercava di rialzarsi, il mercenario saltò giù dalla sella. Emryss sollevò la spada con entrambe le mani, stringendo i denti per il dolore lancinante al braccio destro. Fitzroy cominciò a girargli lentamente intorno, pie-namente consapevole che l'uomo che gli stava di fronte era senza fiato e stava perdendo le forze. Ma sapeva an-che che sarebbe stato un errore sottovalutare l'avversario in un momento come quello. Un colpo sferrato da quelle braccia robuste avrebbe potuto ucciderlo.

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Se si fosse tenuto dal lato cieco di DeLanyea, l'avreb-be battuto. Improvvisamente l'urlo di una donna lacerò l'aria. Emryss dimenticò il dolore al braccio e alla gamba. Doveva liberarsi di Fitzroy al più presto. Sollevò la spa-da e colpì con tutta la forza che aveva. Il mercenario cadde al suolo, la spada ancora stretta in mano, e sbatté la testa contro una pietra. Emryss non aspettò di vedere se l'avversario si sareb-be rialzato. Cercando di riprendere fiato, si avvicinò a Wolf zoppicando. Salì faticosamente in sella e fece vol-tare il cavallo verso il sentiero, poi lo spinse al galoppo. Un altro grido echeggiò nella foresta. Roanna stava urlando il suo nome. «Oh, mio Dio, aiutami» sussurrò Emryss, in preda al panico. Poi avvertì un leggero odore di fumo. Pochi attimi dopo vide la vecchia capanna di pietra e fermò Wolf. Con un movimento fluido tolse il piede dalla staffa e sal-tò a terra. «Cynric!» urlò con quanto fiato aveva in gola. Cynric balzò in piedi e afferrò la spada. Roanna si strinse addosso i brandelli della sottoveste. «Emryss!» gridò. Nella sua voce vibravano speranza e disperazione. Sarebbe bastato anche solo un attimo di ritardo e Cynric l'avrebbe violentata, anche se aveva lot-tato con lui fino allo stremo delle forze. Ansimando, Roanna sollevò un piede e cercò di disar-marlo con un calcio. «Sgualdrina!» imprecò lui mentre teneva d'occhio la porta, accovacciato come un gatto pronto a saltare. La sua espressione era impaurita. «Non siete meglio di tutte le altre» aggiunse con voce stridula. «Credevate di aver-mi messo nel sacco? Ho sempre saputo che mi detestava-

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te. Ma avete fatto quello che volevo. Lui è venuto, e a-desso lo ucciderò come un cane.» Emryss urlò di nuovo il nome di Cynric. Lui strinse convulsamente la spada, lo sguardo fisso sulla porta. Roanna si alzò in piedi, tenendo chiusa la sottoveste lacera. «Correte pure da lui, se volete» disse Cynric in tono lamentoso. «Intanto non potete fare nulla per quel ba-stardo.» Roanna aprì la porta e uscì. Emryss, appoggiato alla gamba destra e tutto sporco di fango, stava aspettando. Lei gli corse incontro e si gettò fra le sue braccia. Emryss la strinse a sé per un breve istante. Il suo re-spiro era affannoso. Ormai aveva completamente esauri-to le forze. Poi Cynric uscì dalla capanna. «Ti ucciderò!» sibilò Emryss con freddezza, fissando-lo. «Ah, sì?» urlò Cynric. Il suo sguardo febbrile e tor-mentato spaventò Roanna. Quello era un uomo dispera-to, e non era possibile sapere che cosa avrebbe fatto pur di vincere il duello. «Per favore, non combattere con Cynric, Emryss. Por-tami a casa» supplicò aggrappandosi a lui. Aveva paura che potesse rimanere ucciso. Emryss la guardò con un'espressione colma d'amore. «No. Avrei dovuto farla finita molti anni fa.» «Forza, fatti avanti, sciancato!» Il volto di Emryss divenne una maschera di gelida fu-ria. Roanna rimase atterrita da quella reazione. «No, Emryss...» Ma lui la scostò dolcemente da sé e si preparò a com-battere. «È arrivato il momento di finirla, Roanna» disse con voce sommessa, abbassandosi sulle ginocchia e comin-

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ciando a oscillare, lo sguardo fisso su Cynric. «È ora di conquistare la nostra libertà.» «Emryss!» strillò Roanna mentre Cynric si lanciava contro di lui con la spada sollevata. Emryss sorrise per un istante e alzò la propria spada. Il fendente di Cynric fu deviato con un clangore assor-dante. I due uomini cominciarono a muoversi lentamen-te, badando bene a dove posavano i piedi. Il terreno in-fatti era molle e scivoloso. «So che sei capace di terrorizzare le donne, ragazzo» disse Emryss. «Vediamo come te la cavi contro un uo-mo.» Cynric afferrò la spada con entrambe le mani. «Non mi pare che ci sia un altro uomo, qui. Solo parte di un uomo.» «Una parte è sufficiente a ucciderti.» La spada di Cynric roteò nell'aria, ma Emryss era pronto e parò il colpo. «Vattene, Roanna» disse tenendo lo sguardo fisso sul-l'avversario. «Vattene, mentre distruggo questa caro-gna.» Roanna rimase immobile come una statua. Non vole-va scappare. Questa volta no. «Suvvia, Emryss, non è il modo di rivolgersi a un fra-tello, anche se tu sei un bastardo.» Cynric scoppiò a ridere vedendo l'espressione scon-volta di Emryss. Roanna ebbe un attimo di sconcerto, poi tutto a un tratto capì. Dunque era per quello che Cynric era così determinato a disonorare e a uccidere Emryss. Il suo rancore aveva le stesse origini della rivalità fra Gia-cobbe ed Esaù. Ed era per quello che i due uomini erano così simili eppure così diversi. Figli dello stesso padre. Nemici giurati. «Tu menti!» urlò Emryss. Cynric fece un sorriso crudele. «Sai benissimo che

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non è vero. L'hai sempre sospettato, no?» I due uomini cominciarono a girare in tondo. «Altrimenti come mai mio padre ti avrebbe guardato in quel modo? E perché avrebbe sempre mostrato più interesse per te che per me?» Le mani di Cynric cominciarono a tremare. «Sem-pre tu, maledetto bastardo!» La sua spada si abbatté di nuovo sull'avversario. Sull'avambraccio di Emryss comparve del sangue. Lui lo guardò per un istante. «Adesso comincio a capire» sussurrò. «Allora capisci anche perché devi morire!» Cynric si scagliò contro Emryss come un toro scatenato, e comin-ciarono un furibondo corpo a corpo. A un tratto la gamba sinistra di Emryss cedette, facen-dolo cadere pesantemente al suolo. Mentre cercava di rialzarsi, Roanna si mise a correre verso di lui. Ma prima che avesse il tempo di raggiungerlo, Cynric l'afferrò per un braccio e se la mise davanti come uno scudo. Roanna cercò di divincolarsi, ma lui la tenne stretta. «Emryss, crociato, fatti avanti, forza» sussurrò. Emryss si raddrizzò e lo guardò con un'espressione piena di disprezzo. «Ti saresti trovato bene in Terrasan-ta, Cynric, visto che usi le donne in quel modo. Vedo che dovrò ucciderti un'altra volta, quando non ci saranno donne a proteggerti.» Si voltò e si allontanò, incurante del fatto che stava offrendo la schiena all'avversario. «La ucciderò!» urlò Cynric. Emryss si fermò e si voltò lentamente. La sua espres-sione era così strana che perfino Roanna ne fu terrorizza-ta. «Lo faresti davvero, brutto vigliacco?» chiese con vo-ce sommessa. Cynric diede uno spintone a Roanna, facendola cadere per terra. «No!» urlò. «Ho aspettato per anni questo mo-

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mento. Combatterò contro di te, bastardo, e ti ucciderò.» Imprecò con violenza e si lanciò contro Emryss. «Scappa, Roanna!» urlò Emryss mentre la spada di Cynric cozzava contro la sua. Cynric si mise a combattere come un ossesso, menan-do terribili fendenti a destra e a manca, i denti scoperti in una smorfia furiosa. Roanna si alzò in piedi. «Mio Dio, ti prego, aiutami a fare qualcosa!» mormorò con le mani giunte e il cuore stretto per l'angoscia. Cynric colpì con forza l'elsa della spada di Emryss, che volò per aria e atterrò nel fango, ai piedi di Roanna. Emryss cadde di nuovo. Questa volta la gamba sinistra si piegò sotto di lui e si udì il rumore secco dell'osso che si spezzava. Cynric rise come un pazzo mentre puntava la propria spada contro il petto di Emryss. «Addio, fratello bastar-do. Morirai sapendo che ho vinto.» Senza quasi rendersi conto di quello che stava facen-do, Roanna sollevò da terra la spada di Emryss e con un urlo belluino si lanciò contro Cynric.

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Cynric fece appena in tempo a voltarsi. Un attimo dopo Roanna gli conficcò nel petto la spada, finendo per terra insieme a lui. «Roanna?» Era la voce di Emryss. Lei scavalcò Cynric e lanciò un'occhiata all'uomo che amava. Emryss aveva un'espressione sofferente, ma sulle sue labbra c'era l'ombra di un sorriso. «Non sapevo che fossi capace di usare una spada. Avrei dovuto addestrarti, in tutto questo tempo!» Lei gli si avvicinò a carponi e premette le labbra sulle sue. «Amore mio! Oh, amore mio!» mormorò stringen-dolo a sé. Con un gemito sommesso, Emryss cercò di mettersi seduto. «Mio Dio, che male» disse poi ricadendo al suolo. Roanna cominciò a tastargli la gamba, sperando che non ci fosse nulla di serio. Quando gli posò una mano subito sopra il ginocchio, lui ebbe un sussulto. «Santo cielo, moglie! Non puoi aspettare? Oppure stai cercando di uccidermi?» Emryss allungò un braccio e la trasse a sé. «Lascia stare, Roanna. Prima devo dirti una cosa.» Le prese il volto fra le mani e sussurrò: «Ti amo». «Ti amo anch'io, Emryss» mormorò lei. Poi lo baciò gentilmente sulle labbra. In quel momento Cynric emise

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una specie di rantolo. Roanna si sciolse dall'abbraccio di Emryss e si avvicinò a lui. Cynric aprì gli occhi e si accorse che Roanna lo stava guardando con timore. «Avete ancora paura di me, Ro-anna?» sussurrò con voce roca. Roanna s'inginocchiò accanto a lui. Cynric non riu-sciva quasi più a respirare. Il sangue gli sgorgava dalla bocca e i suoi occhi avevano uno sguardo vitreo. «Avete un cuore di guerriero, Roanna. Che coppia sa-remmo stati, io e voi» sussurrò. Emryss cominciò a trascinarsi verso il fratello. Cynric lo guardò e sorrise con amarezza. «Hai vinto anche questa volta. Be', non importa.» Roanna sollevò Cynric con delicatezza e lo tenne fra le braccia. Per la prima volta riusciva a vedere in lui l'uomo che sarebbe potuto essere. Le sue mani lunghe e sottili, così simili a quelle del fratello, si sollevarono e le sfiorarono una ciocca di capelli. «Io vi amo, Roanna. A modo mio.» «Mi dispiace» mormorò lei. Adesso riusciva a capire come doveva essersi sentito Emryss il giorno in cui ave-va ucciso quel bandito, e come mai le Crociate non erano state un'impresa gloriosa. Grosse lacrime cominciarono a scenderle lungo le guance. «Beaufort sarà tuo» sussurrò Cynric fissando Emryss. Quando cercò di fare un respiro profondo il suo volto si contrasse in una smorfia di dolore. «Ma c'è una ragazza, una sguattera che lavora in casa mia» disse con un filo di voce. «Porta in grembo mio figlio.» Emryss annuì. «Mi prenderò cura io di loro, fratello.» Cynric sorrise di nuovo, un sorriso malinconico e pie-no di nostalgia. «Grazie, fratello.» Esalò l'ultimo respiro e poi giacque immobile. Roanna lo adagiò teneramente per terra, poi guardò Emryss. Lui aprì le braccia e lei vi si rifugiò.

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Vedendo i corpi che giacevano per terra, Gwilym fermò il cavallo. «Emryss!» gridò quando riconobbe il fratello d'arme, abbracciato alla moglie. Roanna si alzò. Gwilym scorse il corpo di Cynric e sguainò la spada. «Salvato da una donna» disse Emryss con una giovia-lità forzata. «Non sarà contenta, Mamaeth?» Gwilym si fermò e guardò Roanna, riconoscendola a stento. Aveva la sottoveste lacera, sporca di fango e di sangue, e i capelli fradici sciolti sulle spalle. «Salvato?» Emryss si sollevò su un gomito. «Sì. Roanna ha ucci-so Cynric.» Gwilym osservò il corpo di Cynric con un'espressione dubbiosa. La spada gli era penetrata nel torace fino a me-tà lama. «Nessuna donna potrebbe infiggere un colpo del ge-nere» disse lanciando un'occhiata a Roanna. Lei non si mosse, ma i suoi occhi blu lampeggiarono. «A meno che l'uomo che ama non stia per morire.» Gwilym guardò il fratello d'arme e poi di nuovo Ro-anna. Emryss annuì lentamente. «Sei ancora convinto che voglia tradirmi, Gwil?» Gwilym scosse la testa, poi fece un ampio sorriso. «Sono felice di essermi sbagliato, Emryss.» Un'altra voce risuonò in mezzo alla nebbia. «Emryss! Roanna! Bella cosa, sotto questa pioggia!» «Mamaeth!» esclamò Roanna, sentendosi subito sol-levata. La vecchia avrebbe saputo cosa fare per aiutare Emryss. Mamaeth sbucò dalla nebbia, avvolta in un lungo mantello. «Eccovi qui, dunque» disse fermandosi e po-sandosi le mani sui fianchi. Quando vide Emryss e il ca-davere di Cynric sussultò.

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Senza perdere neppure un istante, s'inginocchiò accanto al suo protetto. «Credo che la gamba sia rotta» disse Roanna inginoc-chiandosi al suo fianco. «Possiamo muoverlo?» «Sì, un pochino.» Roanna si sollevò e guardò Gwilym, poi indicò la ca-panna. «Aiutatemi a trasportarlo là dentro. Poi avremo bisogno di legna secca. E di altri uomini per portarlo a casa.» Gwilym sembrò sul punto di protestare per quel tono autoritario, ma Emryss non gliene lasciò il tempo. «Fa' come dice lei, Gwil.» Poi si sforzò di fare una risatina. «Per le piaghe del Salvatore, moglie mia, un solo duello e credi già di essere il capo, eh?» Roanna gli sorrise, poi si voltò verso Gwilym. «Fate venire un carro. E portate altri uomini.» Gwilym annuì. «Cercherò Bronwyn e le chiederò de-gli abiti asciutti. Voglio che sappia anche lei che mi ero sbagliato.» Roanna si chinò su Emryss, che le mise un braccio attorno alle spalle. Mentre Gwilym prendeva l'altro brac-cio, Mamaeth intervenne. «No, Lady Roanna, lasciate fare a me. Voi avete biso-gno di riposo.» Piuttosto stupita per l'insistenza della vecchia, Roanna seguì la lenta avanzata del terzetto verso la capanna. A ogni passo, Emryss gemeva penosamente. Quando furono finalmente sulla soglia, Emryss guar-dò Roanna e sorrise. «Ti ricordi la prima capanna nella quale siamo stati insieme?» Lei annuì e sorrise. «Sta' zitto e stenditi accanto al fuoco» gli ingiunse Mamaeth. Emryss contrasse le labbra quando la gamba rotta sfiorò la paglia. «Vado a vedere se fuori c'è della legna asciutta» disse

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la vecchia dirigendosi verso la porta. «Non muoverti, ra-gazzo, altrimenti ti rompo anche l'altra.» Roanna vide il proprio vestito in un angolo e andò a prenderlo con l'intenzione di indossarlo. «No, aspetta.» La voce di Emryss la fece trasalire. Roanna si voltò. «Non mettertelo ancora. Vieni qui.» La sua voce era bassa e invitante. Roanna gli si avvicinò e lo guardò. Emryss era pallido e tirato. «Voglio ringraziarti a modo mio.» Lei capì che cos'aveva in mente e sorrise mentre scuo-teva la testa. «No, non ora. Aspettiamo quando... ti senti-rai meglio. Hai una gamba rotta, dopo tutto.» «Vuol dire che la terrò ferma. Il resto di me si sente perfettamente, Roanna.» «Quando starai bene!» Emryss si sdraiò e chiuse l'occhio. «Per le piaghe del Salvatore, perché devo avere sempre a che fare con delle donne prepotenti?» mormorò. Sorridendo, Roanna indossò il vestito e mise nel fuo-co la legna che restava. Poco dopo tornò Mamaeth con alcuni legnetti e un grosso ramo. Roanna saltò in piedi e corse ad aiutarla. Prese la legna e mentre la vecchia esaminava le ferite di Emryss alimentò ancora il fuoco. «Adesso sta' fermo, ragazzo» disse Mamaeth a bassa voce. «Ti farò un po' male.» Poi cominciò a fare scorrere le mani lentamente e gentilmente sulla gamba di Emryss. Quando raggiunse un punto vicino all'anca, lui trattenne a stento un'impre-cazione. «Niente bestemmie!» esclamò Mamaeth, ma un atti-mo dopo la sua espressione si addolcì. «Non troppe, al-meno.» Poi, con un gesto rapido e sicuro, ridusse la frattura.

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L'osso scricchiolò paurosamente ed Emryss lanciò un urlo. Il suo volto si fece pallido come quello di un cada-vere e si contrasse per il dolore. «Non era troppo brutta. Ho visto di peggio.» Mamaeth si sedette e prese due bastoncini lunghi e diritti. Poi scru-tò Roanna. «E voi?» «Io... io sto bene» rispose lei, presa alla sprovvista. «Meno male. Bella cosa, per una donna incinta, uscire sotto un temporale e sollevare spade pesantissime...» «Che cosa hai detto?» Emryss si mise bruscamente a sedere e gemette per il dolore. «Tua moglie aspetta un bambino.» Mamaeth fece un sorriso radioso mentre aiutava Emryss a sdraiarsi di nuovo. «Era ora. Non avrei mai pensato che ti ci volesse così tanto.» Roanna guardò Mamaeth con la fronte aggrottata. «Ma... ma come...?» La vecchia le lanciò un'occhiata maliziosa. «Non lo sapete?» Roanna arrossì e scosse la testa. «Intendo dire... come fate a esserne certa? Non ne ero sicura nemmeno io...» «Me ne sono accorta dai vostri occhi. Hanno una lu-minosità inconfondibile. Adesso sedetevi e riposatevi.» Roanna obbedì, troppo sorpresa per protestare. Tutto a un tratto Emryss si mise a ridere forte. «Un bambino!» Mamaeth sbuffò, disgustata. «Ah! Tutti uguali, gli uomini. Credi di essere il primo ad avere un figlio?» Roanna lanciò un'occhiata alla vecchia e si accorse che, nonostante si sforzasse di nascondere le proprie e-mozioni, era contentissima anche lei. Improvvisamente la sua felicità e il suo sollievo trovarono sfogo in un fra-goroso scoppio di risa. Mamaeth le fece eco con la pro-pria risata stridula ed Emryss si unì alla loro ilarità, co-sicché la capanna si riempì di risate.

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In quel momento entrò Gwilym e li guardò come se fossero diventati tutti matti. «Bronwyn è sul carro poco lontano di qui, ma temo non sia possibile farlo avvicinare di più» annunciò. Mamaeth si fece subito seria. «Brutto affare. Ma ce la caveremo lo stesso.» Roanna annuì e si avvicinò a Emryss. «Non preoccu-parti. Ti porteremo a casa.» «Lo spero bene» mormorò lui. «Hai bisogno di ripo-sare.» «Una volta tanto ha ragione lui, milady» disse Mama-eth con severità. Poi si rivolse a Gwilym. «Chi è venuto con te?» «Bronwyn, e alcuni degli uomini.» «Bene! Mandameli qui.» Gwilym annuì e si voltò per andarsene. «Chiedi a Bronwyn di sposarti, già che ci sei» aggiunse la vecchia. Gwilym sorrise. «L'ho già fatto.» Ci vollero alcuni minuti per trasportare Emryss fino al carro, e il viaggio verso Craig Fawr sembrò interminabi-le. Ogni minimo sobbalzo gli strappava gemiti di dolore. Ma l'idea di diventare padre lo aveva eccitato fuor di mi-sura, e nonostante gli ordini della vecchia non c'era verso di farlo stare fermo. «Emryss! Santo cielo, c'è qui Mamaeth!» sussurrò Roanna quando lui cominciò a sfiorarle il ventre. «Sto cercando di sentire mio figlio» si giustificò Em-ryss cercando di restare serio. «Potrebbe essere una bambina» lo corresse Roanna chinandosi per baciarlo. «Chiederemo a Mamaeth.» In quel momento il carro ebbe un sobbalzo, poi si fermò. «Che succede?» chiese Emryss. Roanna sbirciò fuori. «È il mercenario di Cynric. Fitz-roy.»

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Fitzroy stava barcollando in mezzo alla strada. Dalla ferita che aveva sulla testa colava del sangue. «Devo parlare con Emryss DeLanyea» disse in modo confuso. Gwilym smontò da cavallo e sguainò la spada. «Per quale motivo?» «Devo dirgli...» Fitzroy balbettò qualcosa d'incom-prensibile e poi si accasciò al suolo. Mamaeth saltò giù dal carro. «Ha preso un colpo in testa. Mettetelo sul carro. Dovrò curarlo, altrimenti mori-rà.» Urien aprì lentamente gli occhi. Dove si trovava? Mentre a fatica si metteva a sedere, la testa gli doleva orribilmente. Si guardò intorno e vide una stanza che non gli era affatto familiare. Un'ombra si mosse accanto al letto. La donna, Lady Roanna, era seduta su uno sgabello. Abbassò lo sguardo su di lui e gli sorrise. «Come vi sentite?» gli chiese con voce sommessa. «Bene» mormorò lui. «Che ci faccio qui?» «Eravate ferito. Vi abbiamo portato a Craig Fawr.» «Vostro marito ha cercato di uccidermi.» Lei sorrise di nuovo e i suoi occhi blu brillarono alla debole luce della candela. «Ma voi stavate cercando di aiutarmi, non è vero?» Urien non disse nulla e si abbandonò di nuovo sui cu-scini. «È per questa ragione che ve ne stavate andando da Beaufort. Avevate lasciato Cynric e stavate venendo qui.» Urien la guardò e tutto a un tratto pensò che forse c'e-rano alcune donne per le quali valeva la pena di combat-tere. «Grazie» disse lei.

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«Volevo metterlo in guardia. Dirgli che Cynric inten-deva usarvi come una specie di esca, per farlo cadere in trappola.» «Cynric è morto» mormorò lei con un'espressione tri-ste. «Morto?» ripeté lui. «L'ha ucciso vostro marito?» «No.» Lei scosse la testa. «L'ho ucciso io.» «Bene» disse Urien. «Non meritava di vivere.» Lady Roanna lo guardò con un'espressione incuriosi-ta. «Come mai volevate mettere in guardia Emryss?» Urien scrollò le spalle. «Un bastardo che ne aiuta un altro, forse? Chi lo sa. In ogni caso me ne sarei andato comunque.» «Lynette è tornata a casa. Ci ha raccontato quello che avete fatto per lei.» Urien arrossì leggermente. «Aveva bisogno di quel denaro. Io posso guadagnarne altro.» «Che cosa farete, adesso?» Lui guardò fuori della piccola finestra e poi si voltò di nuovo verso di lei. «Lascerò questo dannato paese» disse con voce aspra. «Uomini come voi sarebbero utili a Craig Fawr» disse Roanna. Urien sorrise brevemente. «Vi ringrazio, milady, ma il Galles non fa per me.» Lei si alzò e annuì. «Questa è una terra dura, se non c'è l'amore ad ammorbidirla.» Poi gli sorrise. «Spero che prima o poi troviate l'amore, Fitzroy.» Roanna uscì dalla caserma e attraversò in fretta la cor-te. Era l'ora del pasto serale. La pioggia era cessata e al di sopra del muro quasi terminato il cielo si era tinto di rosa. Guardandosi intorno, si rese conto che Craig Fawr era diventato davvero la sua casa. Lì avrebbe trovato final-mente pace e felicità.

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Mentre si avvicinava al salone udì uno scoppio di risa. Quando aprì la porta comprese la causa di tutta quell'ila-rità. Seduto su una pesante sedia, Emryss stava inveendo contro Gwilym e Jacques, che lo stavano trasportando verso la piattaforma. Roanna abbracciò il salone con un'occhiata. Mamaeth e Jacques erano l'uno accanto all'altro sulla soglia della cucina. Bronwyn e Gwilym, gli occhi negli occhi, sem-bravano non accorgersi neppure della presenza di altri. Sorridendo, salì sulla piattaforma e baciò Emryss sulle labbra, poi si sedette al proprio posto. Lui la guardò. «Farò in modo che tu sia sempre incin-ta, se la cosa ti rende così felice» disse ad alta voce. Quando gli abitanti di Craig Fawr si resero conto del significato di quelle parole, cominciarono a urlare e ad applaudire. Roanna prese la mano di Emryss e se la por-tò alle labbra. Lui sorrise e lanciò un'occhiata verso la cucina. «Ma-maeth! Finalmente avrai un altro bambino da tormenta-re!» La vecchia si mise le mani sui fianchi. «Ti chiedo scu-sa, Emryss, ma dovrai cercarti un'altra bambinaia. Io mi sposo.» Jacques arrossì violentemente e allargò le braccia. «È più facile sposarla che continuare a litigare con lei» disse con un ampio sorriso. Mamaeth aveva un'aria così soddisfatta che Roanna non poté fare a meno di scoppiare in un'allegra risata. Più tardi, in camera da letto, Roanna si stava pettinan-do i capelli. Sdraiato sul letto, Emryss la guardava. Il pa-sto serale era stato una specie di banchetto, e tutti aveva-no cantato, riso e bevuto a sazietà. Roanna si era diverti-ta tantissimo, e stava ancora canticchiando fra sé. Sul ta-volo, accanto a lei, ardevano alcune candele.

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«Roanna...» Lei si voltò. Emryss era appoggiato a una pila di cu-scini. Le lenzuola candide lasciavano scoperto il suo to-race abbronzato. Posò la spazzola e si avvicinò al letto. «Emryss...» mormorò. Lui sollevò una mano e le accarezzò una guancia. «Ti amo, moglie mia.» «E io amo te, marito mio.» Roanna lasciò scivolare per terra la sottoveste e salì sul letto. Emryss trattenne il fiato. «Per le piaghe del Salvatore, perché dovevo rompermi la gamba?» mormorò sfioran-dole la schiena nuda. «Tu non puoi muoverti, ma io sì» sussurrò lei mordic-chiandogli il lobo di un orecchio. «Ti farò invocare mi-sericordia, messere» aggiunse cominciando a sfiorargli il torace con gesti sensuali. E così fu.

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Più forte dell'onorePiù forte dell'onorePiù forte dell'onorePiù forte dell'onore di Margaret Moore

Galles, 1201 - Mentre è in viaggio verso il castel-lo di Cynric DeLanyea, suo promesso sposo, LadyRoanna viene rapita da un guerriero gallese. Ro-anna non sa che lui è Emryss DeLanyea, cugino diCynric e suo acerrimo nemico, ma è certa chenessun uomo potrà mai donarle i sentimenti e leemozioni che Emryss ha suscitato in lei. L'onore,tuttavia, le impone di tener fede alla parola data,e una volta libera torna dal fidanzato. Ma giuntaa destinazione l'attende un duro confronto...

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DAL 14 DAL 14 DAL 14 DAL 14 APRILEAPRILEAPRILEAPRILE

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