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INVENTARE L'ABITARE

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INVENTARE L’ABITARE

Indagine sull’impatto dell’emergenza abitativa nel Co-mune di Roma. Valorizzazione delle buone prassi realiz-

zate a livello locale ai ni dell’elaborazione di proposteper un nuovo welfare regionale.

Consiglio Regionale del Lazio Ass. Culturale Idealab_06 Coop. Inventare l’Abitare

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Indice:

Introduzione

Capitolo 1 – Proli dell’abitare metropolitano: dal mercato ai diritti

1.1 Il mercato immobiliare: rendita vs inclusività

1.2 La lenta agonia dell’edilizia residenziale pubblica

1.3 Verso il Piano casa della Regione Lazio

1.4 Buone pratiche per il recupero urbano e il diritto all’abitare

Capitolo 2 – Una ricerca quali-quantitativa nel contesto dell’emergenza abitativa romana

2.1 Obiettivi della ricerca e contesto generale

2.2 Analisi dei risultati

2.3 Descrizione delle domande aperte

Caso di studio 1 - La condizione abitativa di immigrati e riugiati politici a RomaFocus “La buca degli aghani a via Ostiense”Focus “L’ex ambasciata somala”Focus “Ponte Mammolo”

Caso di studio 2 - Case senza gente e gente senza case: l’Italia e il panorama europeoFocus “Empty Homes e l’esperienza inglese”Focus “L’esperienza spagnola di Provivenda”

 Appendice:Testimoni privilegiati: intervista ad Antonello Sotgia e a David Romani

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INTRODUZIONE

Intorno al tema della casa e dell’abitare si intreccia uno dei nodi ondamentali del ragionamento per un nuovo wel-are, che sia in grado di bilanciare le esigenze di sostenibilità sociale con le sde ambientali che i tempi ci impongono.

La casa è un bene primario in assenza del quale si cade in un meccanismo di proonda e perversa precarietà esistenzi-ale che investe tutti gli ambiti della propria vita. In questo senso la casa è importante non solo per il “tetto sulla testa”,che pure rappresenta il bisogno in senso stretto, ma anche per tutta una serie di aspetti relazionali e sociali che annodella propria abitazione un punto da cui partire per autodeterminare la propria esistenza a 360 gradi. Il enomeno diuna sempre più marcata dicoltà nell’accesso a questo bene primario da parte di numerosi e diversi soggetti socialirappresenta dunque oggi la sda centrale per un welare inclusivo che permetta a tutti, al di là del mercato e dei suoimeccanismi, di avere la possibilità di un uturo che altrimenti verrebbe negato. Giovani precari, anziani pensionati,immigrati sono alcune tra le categorie maggiormente escluse dal mercato degli atti e della compravendita. Prividelle garanzie bancarie necessarie per l’acquisto di un’abitazione, con redditi mensili insucienti a pagare gli attisempre più alti che caratterizzano le principale città italiane, i “precari della casa” vivono in un limbo atto di moltitraslochi, di lunghi spostamenti dalle perierie remote delle metropoli, di contratti al nero, di morosità, no alla vera epropria disperazione degli sratti orzosi.Il dramma sociale rappresentato dall’impossibilità di avere una casa va dunque oggi ben al di là dello stereotipo del

“senza casa” come soggetto svantaggiato, con handicap, anziano, disoccupato di lungo periodo o donna sola con glia carico. Oggi sono privati della possibilità di accedere ad un’abitazione anche i cosiddetti working poors soggetti chepur inclusi nel mercato del lavoro non hanno redditi continuativi e sucienti per sostenere il costo dell’atto o i tantimigranti che seppur regolari subiscono discriminazioni da parte di un mercato dell’atto disposto a speculare anchesu didenza e razzismo. Sono quasi 8 milioni le persone che in Italia vivono al di sotto della soglia di povertà relativa(980 euro per le coppie), il 13% della popolazione totale per la quale ad oggi non si sta approntando nessun sostegnosul piano dell’abitazione. Questa la panoramica di progressiva precarizzazione e nanche marginalizzazione di unsempre maggiore numero di persone aitte dal problema casa che andremo ad analizzare nel presente contributo dianalisi e di riessione nel tentativo di restituire un quadro delle principali problematiche nonché delle pratiche e dellepolitiche potenzialmente in grado di invertire la tendenza in atto.L’attuale assetto delle politiche abitative risulta inatti del tutto inadeguato nel ar ronte alle dimensioni e alle carat-teristiche di quella che ormai è da più voci denita come ‘emergenza abitativa’.

In realtà il enomeno che andremo ad indagare lungi dall’avere le caratteristiche dell’emergenza si congura piuttostocome strutturale nella maggior parte delle grandi e medie città italiane che vedono il prezzo degli atti crescere adismisura nonostante lo stallo dei redditi e il gran numero di appartamenti invenduti e/o stti.In questo senso il problema dell’accesso all’alloggio e di una garanzia del diritto all’abitare nelle nostre città risultastrettamente legato al ragionamento sul contenimento di un mercato immobiliare onnivoro ed incapace di ofriresoluzioni ai soggetti caratterizzati da reddito basso o discontinuo. Mercato che invece ha assunto un ruolo di primopiano grazie all’afermarsi alla ne degli anni ’90 di una cultura politica ultraliberista che ha prodotto un’ondata diliberalizzazioni e privatizzazioni in tutti i settori produttivi del paese, tra i quali non poteva ovviamente mancare ilricco ambito dell’edilizia pubblica e parapubblica. Si sono inatti promulgati in quegli anni provvedimenti come lalegge 431 del 1998 per la liberalizzazione del mercato degli atti o la chiusura del ondo ex Gescal quale principalecanale di nanziamento dell’edilizia residenziale pubblica mentre nel rattempo si è dato l’avvio ai processi di dismis-

sione del patrimonio pubblico che hanno progressivamente smantellato il preesistente sistema di protezione socialecreato dal patrimonio di case popolari ed enti pubblici previdenziali lasciando scoperte tra l’altro proprio le categoriedel ceto medio in via di impoverimento e precarizzazione.

Il nostro vuole essere un modesto contributo che prova a ornire un quadro di quella che viene denita emergenza ab-itativa, in particolare nel Comune di Roma, attraverso un’inchiesta quali-quantitativa condotta all’interno dei luoghicaratterizzanti l’attuale emergenza abitativa romana come occupazioni di stabili in disuso ad opera di movimenti peril diritto all’abitare, residence privati destinanti dal Comune di Roma all’assistenza alloggiativa ed inne gli autorecu-peri, sperimentazione ormai decennale che si è data nella Regione Lazio e che metteremo al centro di una proposta diabitare inclusivo e sostenibile.

Siamo convinti inatti che la programmazione di politiche non possa prescindere da un’approondita conoscenzaenomenologica della ‘emergenza abitativa’ e allo stesso tempo che oggi, in particolare dopo la riorma del titolo V

della Costituzione, alle Regioni spetti un grande sorzo di ripensamento complessivo e di lungo periodo delle politicheabitative che scongiuri il rischio di un navigare a vista atto troppo spesso di nanziamenti parziali e insucienti per

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valutare invece l’ipotesi di una nuova modalità di intervento pubblico volta a garantire il diritto all’abitare per tutti at-traverso la conservazione, il recupero e la valorizzazione del patrimonio pubblico con nalità sociali legate all’ediliziapubblica e ai servizi.

La riorma del titolo V della Costituzione inoltre non solo assegna in maniera esclusiva alle regioni la questione abita-tiva complessivamente intesa ed in quanto risultante dalle decisioni in tema di edilizia ed urbanistica, ma a rientraretra le competenze regionali, anche se in orma concorrente con la legislazione nazionale, la materia di pianicazione egoverno del territorio.

In questo mutato contesto normativo le Regioni divengono dunque lo snodo decisionale centrale di ogni interventoche possa rientrare nell’ambito delle cosiddette politiche abitative. Le responsabilità di governo delle politiche abita-tive oggi in capo alle Regioni sono rese più ardue da un contesto sociale ricco di problematicità e che risulta aggravatodalle amare conseguenze di scelte politiche nazionali risalenti ad ormai più di dieci anni a che hanno progressiva-mente smantellato e destrutturato l’apparato welaristico precedentemente approntato a garanzia del diritto allacasa.

La Regione Lazio, in particolare, governa un territorio già altamente urbanizzato nel quale però mancano i requisiti

basilari di un’abitare sostenibile in primis nei termini di mobilità su rotaie e riduzione del consumo di suolo.Per questo crediamo che il governo regionale debba potersi avvantaggiare di un’attenta e capillare analisi sulle carat-teristiche dei enomeni di soferenza legati alla questione abitativa così come si articolano nel proprio territorio peressere in grado di delineare le strategie di breve, medio e lungo periodo in grado di dare risposte pertinenti, sostenibi-li ed adeguate alle esigenze dei propri cittadini e dei residenti in termini di accesso e garanzia di un alloggio a partireproprio dalle esperienze che in questi anni sono maturate ‘dal basso’ nei termini di recupero del patrimonio immobil-iare dismesso.

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CAPITOLO 1 - Profili dell’abitare metropolitano: dal mercato ai diritti

1.1 – Il mercato immobiliare: rendita vs inclusività

E’ un dato ormai noto che la maggior parte delle amiglie in Italia ha scelto la strada dell’acquisto dell’alloggio: risulta-no inatti vivere in un alloggio di proprietà circa l’80% degli italiani convinti della convenienza di investire sul bene ri-ugio per eccellenza sottraendosi allo stesso tempo ad un mercato degli atti con costi che molto spesso sono equipa-rabili alle rate di un mutuo. Il problema che comincia a arsi consistente risulta oggi, anche alla luce dello scoppio dellabolla dei mutui subprime americani, quello dell’accesso al credito e della solvibilità. L’accesso al credito è ortementelimitato dalla stretta creditizia che l’attuale ase economica impone e chi si rivolge oggi alle banche per richiedereun mutuo per l’acquisto di prima casa troppo spesso incontra l’indisponibilità delle stesse a nanziare la totalità delprestito richiesto escludendo di atto tutti coloro che non dispongono di una già consistente liquidità di partenza. Sec-ondo i dati della recente commissione parlamentare sul mercato immobiliare 1 la concessione dei mutui alla amiglieè inatti calata, nel primo semestre del 2009, del 23%. I cambiamenti nel mercato del lavoro e la difusione semprepiù di massa di contratti di lavoro a tempo determinato o comunque a vario titolo precari ha inoltre contribuito adaggravare la soferenza delle amiglie: l’ABI stima in circa 360.000 nuclei amiliari quelli a rischio insolvenza tanto da

mettere in atto una proroga no al luglio 2011 della possibilità di concordare una sospensione delle rate del mutuo giàprevista sin dal ebbraio 2010. Tra il 13% di amiglie italiane che hanno un mutuo acceso, una su cinque non riesce arimborsare le rate nei tempi previsti: tra le prime cause emerse da una ricerca di Banca d’Italia ci sono la disoccupazi-one (19%), i redditi bassi (14,5%), single con gli (10%), i precari (8,5%) e i lavoratori part-time (7,9%). Tra le conseguenzepiù lampanti di questa soferenza c’è l’aumento vertiginoso delle procedure di pignoramento salite secondo l’Adusbe del 70% nell’ultimo triennio coinvolgendo oggi circa 150.000 amiglie ovvero il 2,4% di quelle con un mutuo acceso.Nella città di Roma il numero dei pignoramenti è cresciuto nel trienno del 728%, seconda solo a Milano (+1.592) eTorino (+930).La tabella 1 riporta dati Eurostat rispetto al costo dell’abitazione evidenziando come la maggior parte delle amiglieitaliane percepiscono come un debito pesante quello contratto per l’accensione del mutuo in misura molto maggioreda quello che risulta per gli altri paesi europei.

1 Commissione VIII: “Indagine conoscitiva sul mercato immobiliare, 29 luglio 2010

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Tabella 1 - Percentuale di famiglie indebitate a causa del costo della casa (%)

2005 2008

Famiglie

conpesanti

debiti

fnanziari

Famiglie

con debitifnanziari

Famiglie

senza debiti 

Famiglie con

pesanti debitifnanziari

Famiglie

con debitifnanziari

Famiglie

senzadebiti

 

Austria 14.1 61.4 24.5 15.6 59.0 25.5Belgio 31.2 34.8 34.0 31.0 35.3 33.6Bulgaria na na na 42.6 49.8 7.6Cipro 63.2 30.9 5.9 66.4 30.4 3.3Repubblica

Ceca

24.4 64.3 11.3 22.3 68.7 9.0

Danimarca 6.3 20.5 73.2 7.4 23.0 69.6Estonia 26.9 53.7 19.4 14.3 61.0 24.7Finlandia 19.7 56.3 24.1 20.1 56.8 23.1Francia 20.9 30.8 48.4 29.5 25.2 45.3Germania 24.1 59.3 16.6 23.8 59.8 16.4

Grecia 23.7 69.4 7.0 30.7 64.7 4.5Ungheria 24.8 62.4 12.8 34.8 56.9 8.3Irlanda 23.1 52.1 24.8 24.0 54.9 21.1Italia 53.7 45.0 1.3 58.6 40.4 1.1Lettonia 33.0 49.7 17.3 25.0 54.9 20.0Lituania 36.7 48.3 14.9 27.9 55.6 16.5Lussemburgo 28.6 46.4 25.0 35.6 45.3 19.1Malta 37.9 43.8 18.3 30.2 51.9 17.8Olanda 17.7 47.1 35.1 11.7 47.1 41.2Polonia 46.4 42.4 11.2 37.7 51.4 10.9Portogallo 23.5 58.2 18.3 37.8 48.6 13.6Romania na na na 38.1 58.4 3.5Repubblica

Slovacca

40.3 53.3 6.5 32.5 58.1 9.4

Slovenia 32.5 58.2 9.3 33.6 54.0 12.4Spagna 46.4 50.1 3.5 51.5 45.3 3.3Svezia 13.3 36.4 50.4 10.4 36.9 52.7

Regno Unito na na na 28.5 45.2 26.3Fonte: Eurostat2

La decisione di acquistare una casa attraverso un mutuo risulta molto spesso una scelta obbligata dall’assenza diun’oferta di abitazioni in atto ad un canone conveniente. Molto spesso inatti il costo mensile di un mutuo cor-risponde o supera di poco quello del canone d’atto spingendo la maggior parte di coloro che hanno possibilità digaranzie bancarie e di accesso al credito bancario ad optare per la prima soluzione.Il Cnel3 in un recente studio sulle problematiche legate all’abitare calcola per chi percepisce intorno ai 14.000 euro an-nui un’incidenza delle spese abitativa che oscilla tra il 63 e il 94% del proprio reddito: un ammontare spropositato se siconsidera che una giusta incidenza è stimata intorno al 30%.Per rientrare in questa soglia di costi le amiglie di questa ascia retributiva dovrebbero dunque poter accedere ad al-loggi con un prezzo che oscilla tra i 250 e i 300 euro mensili ad oggi inesistenti nell’oferta del mercato privato quantoda quella dell’edilizia pubblica. Gli attuali costi medi per un atto vengono stimati dal Cnel tra i 740 euro mensili per

un contratto in essere e i 1.100 euro dei nuovi contratti, appunto molto lontani dalla sostenibilità per la media delleamiglie italiane. Lo strumento del canone concordato non ha preso piede nel mercato della locazione arrivando almassimo a coprire il 15% dell’oferta complessiva e comunque raggiungendo una diminuzione tra il 10 e il 20% delcanone rispetto a quello di libero mercato.Questa situazione ha determinato l’esplosione di un enomeno di morosità da più parti denito ‘incolpevole’ propriolegato ad un’insostenibilità del sistema complessivo della locazione più che ad una mancanza del singolo.. Le conseg-uenze più drammatiche in termini sociali sono l’enorme numero dei procedimenti di rilascio orzoso degli immobili:secondo dati del Ministero dell’Interno nel 2009 gli sratti sono cresciuti del 17,6% rispetto all’anno precedente, per untotale di 61.484 provvedimenti emessi di cui 51.576 per morosità (questi ultimi aumentati rispetto all’anno precedentedel 25,8%). Complessivamente le richieste arrivate all’autorità giudiziaria nel 2009 sono state 116.573 e 27.584 gli srattiefettivamente eseguiti nello stesso periodo.

2 K.Dol, M.Haffner, Housing statistics in the European Union, OTB Research Institute for the Built Environment, Delft

University of Technology, Settembre 2010

3 CNEL, La crisi degli aftti e il piano di edilizia abitativa. Osservazioni e proposte, Roma, 21 luglio 2010

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Il maggior numero si concentra proprio nel Lazio con 9.622 provvedimenti (pari al 15,6% del totale nazionale), seguitodalla Lombardia con 9.364 (pari al 15,2%), dall’Emilia Romagna con 7.016 (11,4%) e dalla Toscana con 6.411 (10,4%).In quanto a sratti efettivamente eseguiti con l’intervento dell’Uciale Giudiziario, il Lazio (con 2.910 pari al 10,5%del totale nazionale) è invece terzo dopo la Lombardia (con 4.919 sratti pari al 17,8%) e l’Emilia Romagna (3.370, parial 12,2%). A Roma e provincia si concentra il 91% del totale dei provvedimenti emessi nel Lazio pari a 8.729 di cui 6.455per morosità (ovvero il 73%). La situazione degli sratti è assurta a questione di vera e propria emergenza nella capitaledove le amiglie interessate dal enomeno sono 1 ogni 191 rispetto ad una media nazionale pari ad su 401. Così come alivello nazionale il 52% dei provvedimenti emessi riguarda i comuni capoluogo di provincia anche su Roma si vericache la maggior parte dei provvedimenti si concentra nel territorio metropolitano (87,2%) piuttosto che nella provincia(12,8%).Questa difusa ‘morosità incolpevole’ non benecia di nessun sostegno stante l’esclusione dai vari decreti di sospen-sione degli sratti che si sono succeduti negli ultimi anni per le categorie protette e che hanno sempre e solo riguar-dato gli sratti per nita locazione. Anche il sistema del buono atto erogato dai comuni non sembra poter essere dialcuna utilità in questo contesto se si considera ad esempio che il Comune di Roma si accinge nella prima metà del2011 ad erogare i soldi spettanti ai vincitori del bando 2008. Alla morosità incolpevole si aggiungono numerose altreattispecie di ‘precarietà abitativa’: si calcola inatti che siano oltre 230.000 le amiglie che in Italia sono costrette allacoabitazione e 70.000 quelle in alloggi precari4 

La tabella 2 sotto riportata indica la percentuale totale delle amiglie che in Europa vivono al di sotto della soglia dipovertà (calcolata in base al 60% del reddito medio nazionale) e quante di queste sono proprietarie della loro abitazi-one o invece in atto. Al di là del dato allarmante della crescente povertà relativa presente nel nostro paese, quelloche risulta particolarmente signicativo è l’elevata presenza di amiglie sotto la soglia di povertà anche tra chi decidedi acquistare casa. Inne la tabella riporta il dato percentuale delle amiglie che ricevono un sussidio per l’abitazione eil suo valore medio annuo.

4 Camera dei Deputati, Commissione VIII: “Indagine conoscitiva sul mercato immobiliare”, Roma, 29 luglio 2010

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Tabella 2 - Famiglie a basso reddito tra proprietari e coloro che ricevono un sussidio per l’abitazione

% di persone che vivono in famiglie a basso

reddito (2008)

% di

famiglie che

ricevono unsussidio per 

l’abitazione

Media annua

del sussidio

 percepito (per famiglia)

Totale delle

famiglie a

 basso reddito

Proprietari

(% sul

totale delle

famiglie)

In aftto

(% sul

totale delle

famiglie)Austria 12 9 18 5,4 1.622

Belgio 15 10 28 n.p. n.p.

Bulgaria 22 21 28 n.p. n.p.

Cipro 16 15 30 n.p. n.p.Repubblica Ceca 10 7 17 3,0 467

Danimarca 12 8 20 20,8 2.764

Estonia 19 19 24 n.p. 9

Finlandia 13 9 27 19,8 1.951

Francia 13 9 22 19,8 2.470

Germania 15 8 24 11,0 n.p.

Grecia 20 19 25 n.p. n.p.

Ungheria 12 12 25 n.p. n.p.

Irlanda 18 13 26 n.p. n.p.Italia 20 16 29 5,5 1.188

Lettonia 21 24 36 4,0 125Lituania 19 19 40 n.p. n.p.Lussemburgo 14 9 29 n.p. n.p.Malta 14 13 21 20,0 130Olanda 10 6 20 15,4 1.708Polonia 17 17 22 3,2 452Portogallo 18 17 24 n.p. n.p.Romania 25 24 16 n.p. n.p.Repubblica

Slovacca11 10 18 1,7 n.p.

Slovenia 12 11 25 n.p. n.p.Spagna 20 18 31 n.p. n.p.Svezia 11 7 23 3,8 1.979Regno Unito 19 14 32 n.p. n.p.

Fonte: Eurostat5

Le prospettive di allargamento del mercato delle locazioni e della sua accessibilità auspicate tra le premesse dellalegge 431 del 1998 non sembrano ad oggi aver dato riscontri positivi. Al contrario come si è già detto il mercato degliatti continua ad essere ortemente subalterno a quello della compravendita e largamente inaccessibile proprio amolte di quelle categorie che trarrebbero maggior benecio nella scelta dell’atto piuttosto che dell’acquisto. Il nu-mero di abitazioni sul mercato degli atti è 4.400.000 pari al 18,8% del totale a ronte di un 57,3% della Germania, del47,3% dell’Olanda o del 40,7% della Francia.I dati nora presentati sull’entità e la portata del enomeno di soferenza legato all’accesso ad un alloggio sono ancorapiù signicativi del mancato unzionamento del mercato immobiliare in termini di inclusività se collocati all’internodi un contesto come quello capitolino dove permangono numerosissimi appartamenti stti (circa 270.000) mentre daun lato rimangono inalterati i prezzi di vendita e locazione e dall’altro si continua a costruire milioni di metri cubi di

nuovo cemento pur essendo arrivato a quota 40.000 il numero di appartamenti di nuova costruzione rimasti inv-5 K.Dol, M.Haffner,cit.

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enduti. Le politiche di nuova edicazione insistono inatti su un segmento di mercato, quello della compravendita diabitazioni residenziali per un ceto medio ancora abbiente, che sembra ormai aver da tempo saturato la sua domandaabitativa.A sostenere non già le amiglie in dicoltà bensì i costruttori in ase di crisi economica arrivano allora provvedimenticome quelli dell’attuale piano casa nazionale in corso di implementazione nelle varie regioni che, ispirandosi almodello del social housing, prevedono incentivi alla costruzione (in termini di aree e nanziamenti attraverso il ondoimmobiliare pubblico-privato ad hoc gestito dalla cassa depositi e prestiti) per coloro che si impegnano a destinaretemporaneamente il costruito alla locazione a canone calmierato rispetto a quello vigente sul mercato. Secondo lostudio del CNEL, il canone medio di locazione per gli alloggi in social housing non potrà essere ineriore ai 500-600euro con un’incidenza dunque sul reddito mensile pari a non meno del 50%, ben oltre la soglia di sostenibilità socialeindicata come accettabile nella misura del 30%.Eppure il paradigma dell’housing sociale si va afermando come l’ultimo tassello di un processo di privatizzazioneinteso come delega al privato e ai privati dei compiti e delle responsabilità che precedentemente erano pubblichein tema di politiche abitative e persino urbanistiche. L’edilizia residenziale pubblica sembra cedere denitivamenteil passo ai privati cui si delega il compito di individuare le aree dei nuovi insediamenti residenziali, il numero e latipologia degli alloggi da realizzare e persino gli interventi di urbanizzazione da realizzare contestualmente. Si cercainsomma di creare nel mercato risposte ad esigenze che hanno a che are proprio con l’indisponibilità del mercato a

venire incontro ad un determinato segmento di domanda. Possiamo ar risalire proprio alla legge 431/98, che deter-minò un signicativo aumento dei canoni d’atto, l’emergere di un meccanismo di messa a protto degli alloggi al dilà del loro valore sociale e d’uso. Proprio la possibilità di gestire il bene casa come un investimento tra i più remunera-tivi in assoluto ha inatti spinto un gran numero di proprietari di appartamenti all’interno delle grandi città, stante lalegislazione vigente, a ritenere conveniente lasciare libero l’immobile in un momento di bassa richiesta piuttosto chevincolarsi per diversi anni ad un contratto d’atto meno redditizio di quello che si potrebbe ottenere in una ase piùavorevole. Anche per questo motivo sono difusissimi gli atti al nero non registrati che, oltre a ar risparmiare i soldidovuti al sco, soprattutto evitano al proprietario un vincolo che gli impedisce di alzare il tiro sui uturi guadagni: lacommissione parlamentare stima che il loro numero si aggiri intorno alle 500.000 unità.A livello dei grandi proprietari immobiliari questo ragionamento si è tradotto in un meccanismo chiamato securiza-tion volto a scorporare il patrimonio immobiliare dei grandi gruppi dalle loro attività prettamente produttive attra-verso la costituzione di apposite società immobiliari con l’obiettivo esclusivo di massimizzare la redditività del patri-

monio, ovviamente al di là delle esigenze abitative che si maniestino sui territori. Si è dunque innescato un processodi nanziarizzazione del mercato immobiliare che negli ultimi anni ha assicurato i protti a 3 cire tipici delle bollespeculative che sono già cresciute e scoppiate in altri paesi.Le conseguenze di questo “sruttamento intensivo” della rendita immobiliare ha avuto anche un impatto moltopesante in termini di espansione urbanistica delle città, basti pensare ai 66 milioni di metri cubi di nuovo residenzialeautorizzati dal Piano Regolatore Generale di Roma approvato nel 2008, a cui già la nuova amministrazione ha già ag-giunto ulteriori 17.600.000 metri cubi secondo una recente denuncia di Legambiente Lazio. L’espansione urbanistica,a dispetto di una sostanziale stabilità demograca e dell’esodo di cittadini che la capitale verso i comuni limitro, haconseguenze devastanti in termini di congestionamento della mobilità, mai adeguatamente sostenuta in terminiinrastrutturali nei processi di espansione, oltre che di deterioramento del territorio, delle relazioni umane che in essosi instaurano e della qualità della vita complessivamente intesa.

1.2 - La lenta agonia dell’edilizia residenziale pubblica

Se si chiude il rubinetto prima o poi la vasca si svuota.Con la legge n°112 del 1998 si decide di chiudere la sezione del ondo autonomo per l’edilizia residenziale presso laCassa Depositi e Prestiti che aveva sino ad allora gestito ed erogato i ondi ex Gescal per l’edilizia sovvenzionata e icontributi statali per quella agevolata.A 13 anni di distanza, è possibile trarre un bilancio degli efetti prodotti da questo drastico provvedimento che ha diatto chiuso il rubinetto per il pezzo orte delle politiche abitative nel nostro paese senza indicare un nuovo corso,nuove orme di nanziamento o nuove orme di housing pubblico.Lo acciamo seguendo i dati Federcasa6, secondo la quale i Fondi ex-Gescal, no al 1998, avevano garantito un nanzia-mento di 1,5 miliardi di euro annui al settore dell’edilizia sovvenzionata. La chiusura del ondo e lo spostamento dellerimanenti risorse sotto la gestione della Cassa Depositi e Prestiti (circa 11,5 miliardi di euro) ha permesso, ancora per

6 Federcasa, Anna Maria Pozzo, Finanziamenti per la casa e opportunità per l’edilizia pubblica.

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qualche anno a seguire e no ad esaurimento delle risorse, il nanziamento di programmi nazionali e regionali per lacostruzione e la manutenzione straordinaria di edilizia sovvenzionata. Al 2001 le Regioni virtuose avevano già per lopiù esaurito la quota parte loro destinata mentre rimanevano in cassa depositi e prestiti 878 milioni di euro. Quelloche ne risulta è ovviamente un brusco calo di edicazione di alloggi pubblici: se nel 1984 i nuovi alloggi di edilizia sov-venzionata, cioè con l’esclusivo nanziamento pubblico, sono stati 34.000 nel 2004 il loro numero è sceso a 1.900 sututto il territorio nazionale, mentre per l’edilizia agevolata o convenzionata si è passati da 56.000 alloggi costruiti conil contributo pubblico nel 1984 agli 11.000 edicati nel 2004 (come spiega il graco che segue).

Graco 1 - Andamento dell’edicazione di edilizia residenziale pubblica

 

N. Abitazioni (‘000)

         1         9         8         4

         1         9         8         5

         1         9         8         6

         1         9         8         7

         1         9         8         8

         1         9         8         9

         1         9         9         0

         1         9         9         1

         1         9         9         2

         1         9         9         3

         1         9         9         4

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         1         9         9         7

         1         9         9         8

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         2         0         0         0

         2         0         0         1

         2         0         0         2

         2         0         0         3

         2         0         0         4

interamente pubblico

1

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contributo pubblico

N. Abitazioni (‘000)

         1         9         8         4

         1         9         8         5

         1         9         8         6

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         1         9         8         9

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interamente pubblico

1

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21

31

41

51

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contributo pubblico

Fonte: Federcasa

L’Italia si colloca tra le ultime posizioni in Europa per numero di case popolari (stock) e per percentuale di questeultime sul totale degli immobili residenziali. Nel 1980 le abitazioni sociali risultavano essere il 5% del totale dello

stock immobiliare mentre nel 2008 la percentuale scende al 4%. Escludendo il conronto con i paesi di nuovo ingressonell’UE e con quelli scandinavi che hanno percentuali intorno al 30%, possiamo prendere a rierimento il dato ranceseche nel 2008 vede un 17% di abitazioni sociali sul totale di quelle esistenti7.A determinare questo arretramento delle politiche abitative italiane si è aggiunta l’altra gamba della politica diliberalizzazione, quella della grande operazione di dismissione del patrimonio pubblico partita con scip 1 e scip 2 allane degli anni ’90. E’ ormai unanime il giudizio negativo sul mancato raggiungimento degli obiettivi nanziari delleoperazioni di dismissione del patrimonio pubblico: solo per rimanere al dato degli alloggi di proprietà ex Iacp vendutidal 1993 al 2006, Federcasa ci segnala 155.000 alloggi venduti per un introito complessivo di 3.665 milioni di euro pariad una media ineriore ai 23.700 euro ad alloggio. Accanto alla perdita patrimoniale e nanziaria in conto capitale chequesta vera e propria svendita del patrimonio pubblico provoca, deve oggi aancarsi una valutazione sul suo impattosociale e sulle conseguenze che ha provocato nelle unzioni in capo agli ex Iacp trasormati, senza una visione organ-ica e complessiva, in agenzie per l’atto e gestori di un patrimonio ormai misto pubblico/privato (20.000 condomini

hanno oggi queste caratteristiche) con tutte le dicoltà che questo ha comportato e comporta in termini di aggraviodei costi per la gestione ordinaria e ancor più per la manutenzione straordinaria e la ristrutturazione urbana. Gli Iacp,nati nel 1971 come reerenti per l’attuazione dei piani di edilizia residenziale pubblica, passarono alla ne degli annisettanta sotto il controllo delle Regioni che via via acquisirono la competenza esclusiva in tema edilizia e casa. Succes-sivamente nel 1990 la legge 142, istituendo e delegando la unzione di gestione del servizio case popolari, incoraggiòun processo di trasormazione non omogeneo degli ex Iacp che in molte regioni urono trasormati in enti pubblicieconomici ed assunsero la unzione Aziende Territoriali per l’edilizia residenziale, mentre in altre regioni rimaseroenti pubblici non economici e qualcuna ha scelto inne la costituzione di vere e proprie srl. Ad un cambiamento delruolo degli ex Iacp non sembra essere seguito un conseguente investimento economico nanziario in grado di sup-portare questi enti nelle nuove unzioni loro assegnate. Dai primi anni del 2001 si sono inatti susseguiti provvedi-menti che evidenziano una certa preoccupazione del legislatore per il enomeno di crescente disagio abitativo comei numerosi decreti di sospensione degli sratti che si sono prorogati no al 2004. Questi provvedimenti però nonaccompagnati da alcuna copertura nanziaria né da progettualità in grado di risolvere la problematica sono stati og-

7 Cfr.K.Dol,M.Haffner, cit.67,nel quale risultano invece non pervenuti i dati della Germania post-riunicazione.

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getto di critiche sotto il prolo della costituzionalità proprio per la loro reiterazione a tempo indeterminato. Dal 2004inatti i nuovi provvedimenti di sospensione degli sratti hanno visto diminuire drasticamente la platea dei soggettisottoposti a tutela prevista ormai solo per le categorie protette e solo per gli sratti emessi per nita locazione, las-ciando così uori tutti coloro che non riescono a pagare gli alti atti richiesti per le abitazioni nelle principali città delnostro paese.

1.3 – Verso il Piano casa della Regione Lazio

Il primo nuovo stanziamento economico su un ‘piano casa’ dopo la chiusura dei ondi ex Gescal u quello previstodalla legge 9 del 2007 che stanziò per l’edilizia residenziale pubblica la cira di 543 milioni di euro su scala nazionale,molto lontana dagli stanziamenti dei piani casa conosciuti in passato e assolutamente insuciente rispetto al cres-cente enomeno di disagio abitativo sotto gli occhi di tutti. Queste risorse inoltre dopo una prima ripartizione tra leregioni di soli 10 milioni di euro sono state distratte verso il ondo per l’edilizia a canone agevolato istituito dal PianoCasa Berlusconi come da articolo 11 del decreto legge 112 del 2008.Il cosiddetto Piano Casa 1 ha sancito la scelta del modello del social housing come prospettiva strategica per ornire lerisposte necessarie alla problematica abitativa.Nel citato articolo 11 si a rierimento ad un piano nazionale di edilizia abitativa volto a superare il disagio sociale ed ildegrado urbano derivante dai enomeni di alta tensione abitativa attraverso l’incremento di alloggi di edilizia res-idenziale. Le categorie di soggetti svantaggiati rispetto all’accesso al mercato vengono individuate come segue: nucleiamiliari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito; giovani coppie a basso reddito; anziani in condizionisociali o economiche svantaggiate; studenti uori sede; soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio; altri sog-getti in possesso dei requisiti di cui all’articolo 1 della legge n. 9 del 2007; gli immigrati regolari.Il vero elemento di novità che il piano introduce nella legislazione italiana è quello della natura privata, anche sesostenuta economicamente dal pubblico, di queste nuove edicazioni. Le risorse economiche pubbliche previste per ilpiano vengono inatti allocate in un ondo immobiliare aperto alla partecipazione dei privati. Ma quello che probabil-mente rappresenta l’incentivo più interessante per i costruttori che si candidano ad eseguire i lavori per le abitazionida destinare alla locazione a canone convenzionato è la possibilità di ottenere, attraverso accordi di programma oaltro, nuovi diritti edicatori o l’aumento di quelli già riconosciuti. E’ proprio in questa nuova rontiera di cemento

autorizzato che si colloca il vantaggio per il costruttore che dunque può costruire oggi anche laddove non aveva dirittoa arlo e considerare la quota di case da destinare al canone convenzionato un investimento di lungo periodo dalmomento che trascorsi i 25 anni potrà disporne a piacimento sul libero mercato. Paradossalmente però questa partedel piano, immaginata più come volano dell’economia a partire dal settore delle costruzioni che come misura di con-trasto alla precarietà abitativa, non sembra essere andata a buon ne. Il dossier sullo stato di attuazione elaborato dalMinistero delle inrastrutture spiega inatti che i 200 milioni di euro destinati ad interventi di immediata attibilitàda parte degli ex Iacp sono stati largamente e utilmente impiegati in progetti di nuova edicazione o di acquisizionedi nuovo patrimonio immobiliare, nonostante le consuete disparità tra regione e regione che vedono la Lombardia intesta per numero di interventi intrapresi e più arretrato il Lazio dove pure Roma ha ricevuto 42 milioni di euro (ovveroil 23% del nanziamento complessivo). Al contrario i 377,8 milioni di euro stanziati per i progetti privati derivanti daaccordi di programma con le regioni giacciono ancora in attesa dell’approvazione da parte del Cipe. Nel rattempo in-oltre solo 14 regioni hanno approvato il proprio piano casa in grado di recepire le indicazioni nazionali. Anche il Lazio è

tra quelle ancora in attesa di varare la nuova normativa che al momento in cui scriviamo è in discussione al ConsiglioRegionale.Nel rattempo è arrivato anche il cosiddetto Piano Casa 2 che non si pone, nemmeno ormalmente, l’obiettivo di elim-inare o ridurre il disagio sul versante abitativo ma piuttosto ha a che vedere con il rilancio del settore delle costruzi-oni nell’attuale ase di crisi e recessione. Al termine della Conerenza Stato-Regioni (31 marzo 2009), le regioni si sonoimpegnate a regolamentare, con proprie leggi, interventi che incentivino il miglioramento della qualità architettonica(per esempio con rispetto alla normativa antisismica) e/o energetica degli edici attraverso l’attribuzione di premi dicubatura (dal 20 al 30 per cento). Un ampliamento no al 50% è inoltre previsto per chi demolisce e ricostruisce edici,dismessi e non, anche di natura produttiva o turistico-ricettiva. Inne il piano per il rilancio del settore edile, come ap-pare più corretto denire, prevede un processo da parte delle regioni di semplicazione delle procedure necessarie perla dichiarazione di edicabilità.Su queste premesse poggia il piano casa della Regione Lazio dal titolo “Misure straordinarie per il settore edilizioed interventi per l’edilizia residenziale sociale” che in nome della semplicazione burocratica apre la strada ad un

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depotenziamento degli strumenti pubblici per il governo del territorio. Le osservazioni presentate dall’INU 8 lancianol’allarme per una serie di deroghe ritenute eccessivamente lesive delle esigenze di tutela relativamente alle zoneagricole e ai casali storici, alle asce costiere, uviali e lagunari, alle aree con vincoli paesaggistici. La percentuale diampliamento di tutti gli edici compresi quelli non residenziali viene aumentata dal 10 al 20%, anche in deroga al PRGvigente.L’articolo 3 è ritenuto particolarmente problematico dagli urbanisti dell’INU i quali denunciano la pericolosità dellapossibilità di mettere mano con lavori di ristrutturazione (anche demolizione e ricostruzione ex novo) di tutti gli edi-ci non residenziali no a 20.000 mq. Il ricorso a ‘piani integrati per il riordino urbano e delle perierie’ da efettuarsianche in variante ai PRG permetterà:di evitare un piano attuativo in variante e quindi il passaggio in consiglio comunale del procedimento urbanistico;di monetizzare le urbanizzazioni primarie (strade, ogne...) e secondarie (verde, scuole, parcheggi, servizi pubblici...).L’INU dimostra come questa deroga agli strumenti urbanistici vigenti potrebbe consentire di costruire alloggi per 600nuovi abitanti senza alcuna verica degli standard urbanistici e di sostenibilità con gravi danni per la città e i citta-dini che la abitano. Inoltre la monetizzazione degli oneri urbanistici (utile agli enti locali per are cassa) sarà possibileper il 100% del dovuto per i comuni al di sopra dei 100.000 abitanti con l’evidente rischio di sovraccaricare i serviziesistenti senza aggiungerne di nuovi.Relativamente alla città di Roma l’applicazione del piano con rierimento ai centri storici così come individuati dal

PTPR permette di ricomprendere i quartieri ormai centrali deniti dal PRG non coperti dal PTPR quali ad esempio Gar-batella, Monteverde Vecchio, Borgo Pio, Prati, Flaminio, Salario, Nomentano, Montesacro vecchio, Piazza Bologna, Appio,EUR, Ostia storica.

Ma il atto davvero paradossale per quello che dovrebbe essere il piano casa regionale balza agli occhi leggendol’articolo 12 che apre il capo III ‘Edilizia Residenziale Pubblica e Sociale’ dove al comma 1 si aferma di essere “in attesadella disciplina organica in materia di edilizia residenziale e sociale” mentre al comma 5 si stabilisce in 90 giorni iltempo utile per la denizione di un regolamento approvato dalla Giunta “per la disciplina dei criteri di attuazionee gestione degli interventi di edilizia residenziale sociale, dei requisiti per l’accesso e la permanenza nella stessa, deicriteri per la determinazione del canone sostenibile e dei criteri e delle modalità per l’iscrizione all’elenco dei gestori diedilizia residenziale sociale e per la tenuta dello stesso”. Dunque da un lato non è dato conoscere nell’ambito del pianocasa da mesi in discussione quale sia la denizione di edilizia residenziale sociale dall’altro si demanda alla Giunta un

sì gravoso compito da adempiere in soli 90 giorni.

Nello specico delle misure messe in campo dalla Regione per garantire i livelli minimi essenziali di abbisogno abita-tivo e “in attesa della riorma generale dell’edilizia residenziale pubblica” all’articolo 15 troviamo:a) interventi di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata a totale carico del soggetto pubblico;b) interventi di edilizia agevolata e convenzionata;c) interventi di edilizia residenziale sociale destinata al conone sostenibile o al riscatto;d) interventi volti a sostenere le asce sociali in dicoltà nell’accesso alla prima casa sul libero mercato dell’acquisto edella locazione.La vera novità di questo paniere di misure consiste in un nanziamento decennale previsto per l’edilizia sovvenzion-ata che come abbiamo avuto modo di descrivere in precedenza è stata per lungo tempo depotenziata proprio a causadella mancanza di risorse stanziate. E’ stato inatti previsto un nanziamento che deriva direttamente dalle entratedella tassa automobilistica regionale assicurando una costanza di risorse che potrebbe essere la condizione per unvero rilancio di questa misura ondamentale di sostegno per tutti coloro che rimarrebbero esclusi, anche in caso disostegno economico, dal mercato dell’atto e della compravendita.La realizzazione di questi interventi troverà luogo attraverso vari meccanismi tra cui l’aumento della previsione edi-catoria delle aree già destinate ad edilizia residenziale pubblica e interventi di ristrutturazione urbanistica da efet-tuarsi con varianti ai piani di zona, programmi di zona e varianti urbanistiche. Per quanto riguarda invece l’ediliziaresidenziale sociale complessivamente intesa si prevede anche il ricorso alla cessione a titolo gratuito di aree oimmobili da parte di proprietari all’amministrazione comunale (ex art.1 legge n°244/2007). Degli interventi su questearee cedute il comma 5 dell’articolo 18 prevede che almeno la metà siano destinati ad edilizia sovvenzionata. La stessapercentuale minima di sovvenzionata all’interno della più ampia denizione di edilizia sociale non è però prevista pertutti le altre modalità di reperimento di aree o immobili da cui risulterà invece il maggior numero di abitazioni socialidi quelle tra l’altro reperite in zone diverse da quelle dei piani di zona. L’inserimento della sovvenzionata in questiinterventi oltre a avorire la capacità di spesa da parte delle amministrazioni comunali dei nanziamenti previsti

8 Istituto Nazionale di Urbanistica-Sezione regionale del Lazio, testo consegnato in occasione dell’audizione presso la

commissione urbanistica e casa del Consiglio Regionale del Lazio, 11 novembre 2010, Roma

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dalla Regione potrebbe avere un sicuro efetto positivo nel contrasto al enomeno di ghettizzazione dei ceti sociali piùdeboli che ha in passato caratterizzato molti degli insediamenti di edilizia popolare.

1.4- Buone pratiche per il recupero urbano e il diritto all’abitare

Come avremo modo di approondire in seguito, uno dei più evidenti paradossi delle grandi metropoli italiane è laorte incidenza dei vani vuoti nel complesso del patrimonio immobiliare, tanto pubblico quanto privato. A ronte dellecire dell’emergenza abitativa e della carenza di sedi appropriate per distribuire i servizi su tutta la supercie urbana,appare incredibile che città come Roma presentino una cira considerevole di vani, o intere strutture, anche in buonostato, abbandonate. Circa 245.000 (secondo una stima riportata dal Corriere della sera del 17 settembre 2009).Cosa determina lo svuotamento, e successivamente, il mantenimento in stato di abbandono di queste strutture? Perquanto riguarda l’edilizia privata a scopo abitativo, in asi storiche come questa, è l’impossibilità a collocare sul mer-cato un bene così oneroso come le case: interi quartieri di nuova edicazione stentano a popolarsi, con il conseguenteespandersi di vere e proprie città antasma ai limiti dell’espansione cittadina. Con le case spesso rimangono vuotianche gli spazi per i servizi: scuole, vani commerciali. A Roma uno dei casi più evidenti è il quartiere di Porte di Roma,abitabile dal 20079. Qui, come ci ha anche dimostrato la recente cronaca nera cittadina, alla chiusura del centro com-merciale che sovrasta il quartiere, l’area diviene buia e pressoché inanimata.In alcuni momenti di stagnazione del mercato, tenere vuoti i vani abitativi ha anche lo scopo di determinare un ap-prezzamento degli immobili, da un lato attraverso un processo meramente speculativo che riduce “articialmente”la disponibilità di case, così da incrementarne il valore, dall’altro per il riuto dei proprietari di ofrire sul mercato glialloggi disponibili ad un prezzo ineriore.Oltre alle case vere e proprie, nelle nostre città rimangono vuoti anche molti altri edici: uci, scuole, recentementeanche caserme dell’esercito.A rendere non più utilizzabile questo immenso patrimonio sono spesso trasormazioni produttive e sociali delle nos-tre città e più complessivamente del paese, rispetto alle quali, evidentemente, l’amministrazione pubblica non riesce astare al passo con proposte e soluzioni per la riunzionalizzazione e il cambio di destinazione di queste strutture.Per un certo periodo uno dei enomeni più evidenti è stata la grande disponibilità, nella città di Roma, di un patrimo-nio scolastico inutilizzato. L’Italia notoriamente ha vissuto una ase trentennale di calo demograco: nel Lazio, la ciramedia di componenti per amiglia è scesa tra i censimenti del 1961 e del 1981, da 3,7 a 3,0 persone 10, nel 2003, la media

di componenti per nucleo è di 2,5 persone.11

Per i movimenti attivi sul ronte dell’emergenza abitativa, questa grande disponibilità di immobili scolastici in disusoe in stato di abbandono in molti quartieri della città, ha segnato un’importante stagione: le scuole abbandonate,anche di recente costruzione, sono divenute lo sbocco naturale di chi ha avuto necessità di occuparle per arne alloggiin attesa che le battaglie portassero ad assegnazioni di vere e proprie case popolari.Oggi, con la sospensione della leva obbligatoria, a partire dal 2006, anche le strutture militari vanno via via svuotando-si. Sono molte, oltre 200, quelle che, in tutta Italia, sono passate al demanio in virtù della legge nanziaria del 2007.Nella sola città di Roma si contano 15 siti militari tra quelli in disuso, anche da più di dieci anni, e quelli in via di immi-nente chiusura. Si tratta di immobili ed aree di grandi estensione, inserite nel cuore della cosiddetta ‘città consolidata’e molto spesso rappresentano un patrimonio di grande valore architettonico e culturale negli contesti cittadini in cuisono inseriti. E’ il caso ad esempio di Forte Boccea, amoso a Roma per essere il luogo dove avvenivano le ucilazionidei partigiani nei mesi di occupazione nazista della città. Da tempo un attivo gruppo di cittadini e associazioni del

territorio ne chiede la riapertura come museo della memoria. Molte delle caserme rappresentano anche una grandericchezza e per questo sono rientrate nella contabilità del ederalismo scale che le assegna ai comuni per cercare diarginare i danni dei pesanti vincoli nanziari imposti dal patto di stabilità interna. Il caso di Roma ha però seguito uncanale preerenziale e l’accordo tra Comune e Governo ha previsto la costituzione di una Srl composta dal Comunestesso (nella quota del 20%) e dal Ministero della Diesa (per il restante 80%). La società dovrà massimizzare la venditadel patrimonio militare in dismissione e il Comune, in una sorta di conitto di interessi pubblico, potrà ar salire lequotazioni di mercato degli immobili assecondando i desideri dei potenziali acquirenti circa il cambio di destinazioned’uso. E’ evidente ad esempio che comprare un immobile che sono obbligato a destinare interamente ad uci potràrendere molto meno di uno che posso trasormare in case di pregio. Tutto il processo si attiverà in base alle oferte de-gli acquirenti consegnando loro il coltello dalla parte del manico nella scelta delle trasormazioni urbane di immenseed importanti aree nel cuore dei quartieri romani. Ma il piatto è molto ricco: l’intera operazione potrebbe portare oltre

9 C.De Leo, Apre Porte di Roma, il centro commerciale dei record, Corriere della sera, 26 luglio 2007

10 P.Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Torino, Einaudi, 2006

11 http://demo.istat.it/bil2003/index.html

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3 miliardi di euro da dividere tra ministero della diesa e comune nelle percentuali su ricordate.Ricca però è anche l’occasione irripetibile per la città di Roma di riunzionalizzare le caserme in base ai numerosi edimportanti bisogni di servizi e alloggi popolari sempre più pressanti nei quartieri metropolitani. Con un modestoinvestimento molte delle caserme potrebbero essere utilizzate per rispondere subito alle esigenze di servizi pubbliciquali asili nido, centri anziani, biblioteche comunali e quant’altro. Con rierimento all’emergenza abitativa, le casermepotrebbero rappresentare un’importante soluzione tanto nei termini di un loro impiego immediato per l’assistenzaalloggiativa (sotto orma di alberghi sociali, seconda assistenza per riugiati politici, case amiglia...) quanto per unaloro permanente destinazione a patrimonio residenziale pubblico. Una di queste strutture militare, l’ex depositomilitare di via del Porto Fluviale è occupata dal 2003 da oltre un centinaio di nuclei in emergenza abitativa che hannoavviato un processo di recupero in senso abitativo dello stabile e oggi chiedono all’amministrazione comunale di nonvanicare i loro sorzi e impegnarsi per portare a compimento l’autorecupero.Parallelamente al paradosso del patrimonio inutilizzato, un altro enomeno che incide in maniera pesantesull’emergenza abitativa romana è dato dal enomeno di progressiva espulsione di sempre più ampi settori socialidalla città consolidata dovuto a due principali attori. Da un lato le pressioni del mercato immobiliare che rendonoormai zone di pregio anche le perierie storiche romane: in quartieri un tempo popolari come S. Lorenzo, Pigneto,Garbatella, oggi gli immobili arrivano a costare circa 4000 euro al mq. 12 Dall’altro gli stessi piani di edilizia residenzialepubblica che prevedono assegnazioni in zone marginali e perieriche della città in espansione per lo più oltre il GRA,

come nelle aree di Ponte di Nona e Casalmonastero. Tra la ne degli anni ‘90 e i primi 2000, era anche requente ladestinazione di buona parte delle amiglie assegnatarie verso i comuni della provincia. Proprio da queste premessetrae origine l’idea, divenuta poi una sperimentazione reale, dell’autorecupero nel contesto romano.

L’autorecupero

Nei primi anni ‘90 al quartiere Collatino, perieria est della città, veniva costituita la cooperativa “Trasormare eco-logicamente casa, lavoro e territorio”: l’incontro tra 49 amiglie occupanti di uno stabile e l’associazione ambientalistaDiametro. Nelle intenzioni della cooperativa, stava il recupero, attraverso orme ecocompatibili di edicazione, dellostabile occupato, in via Rinaldo Rigola. L’esempio di via Rigola, autorecupero realizzato tra il 1999 e il 2003, ha segnatoil passo, nel corso degli anni ‘90 per altri 12 progetti di autorecupero. 8 di questi anno rierimento alla cooperativa“Inventare l’Abitare”, espressione di uno dei più longevi movimenti per il diritto all’abitare, il Coordinamento Cittadino

di lotta per la casa, mentre altri due, a Trastevere, in via Gustavo Modena e al Trionale, in via San Tommaso d’Aquino,sono stati portati avanti da cooperative legate al singolo edicio: rispettivamente “Abitare2000” e “Corallo”. 13

Nel dettaglio la cooperativa “Inventare l’abitare”, che conta oltre cento soci, tra single e amiglie, ha promosso ottointerventi su edici precedentemente occupati perché in disuso. Di questi otto, due sono conclusi e consegnati agliautorecuperanti: Via Isidoro Del Lungo a Monte Sacro è stato consegnato nel gennaio del 2008, Via Colomberti, inzona Serpentara, nell’agosto del 2009. Tre autorecuperi sono invece in ase di consegna: via Marica a Pietralata, Via DeGrenet a Spinaceto e Via Saredo a Cinecittà.Altri cantieri di autorecupero devono ancora essere presi in consegna dalla cooperativa, in attesa che la ditta del Co-mune nisca i lavori esterni: Via di Grotta Peretta in zona Ardeatina, in carico al Comune dal 2005, Via delle Alzavole aTorre Maura, sospeso prima di iniziare dal 2007, Via dei Lauri a Centocelle, iniziato nel 2004.La ripartizione dei lavori e dei relativi costi inatti è divisa tra Comune (o altro ente proprietario) che si sobbarca ilavori di ristrutturazione esterna e delle parti comuni e la cooperativa che tramite un mutuo nanzia i lavori di ristrut-turazione interna degli appartamenti da realizzare (dividendone poi il costo tra le amiglie assegnatarie in base aimetri quadri che andranno ad abitare).La proposta dell’autorecupero nasceva in un momento particolarmente critico per l’edilizia pubblica, con le primegrandi operazioni di dismissione del patrimonio pubblico, e lo spostamento di parti consistenti dell’emergenza abita-tiva romana nei comuni della provincia.Da parte dei movimenti nasceva quindi l’esigenza di costruire una proposta che non solo soddisacesse il bisogno dicasa, ma garantisse anche una qualità della vita, evitando l’allontanamento dal tessuto urbano, dai servizi e dai ussiquotidiani.Inoltre gli autorecuperi inseriscono porzioni di edilizia residenziale pubblica proprio nel cuore di quelle aree che abbi-amo visto essere particolarmente soggette alla crescita vertiginosa dei prezzi di mercato contrapponendosi al suddet-to meccanismo di espulsione dei ceti meno abbienti dalla città consolidata (enomeno di cosiddetta gentricazione).Nella prospettiva dei movimenti gli autorecuperi rappresentano anche uno strumento per intercettare l’emergenza

12 Borsino edilizia 2010 http://www.confedilizia.it/

13 A.Baduel, La mia casa è di recupero, D di Repubblica, 14 luglio 2007

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abitativa meno stringente, che, nonostante una certa stabilità economica o continuità di reddito, non riesce co-munque a venire a capo del problema dell’atto o del mutuo. Hanno inatti diritto ad accedere a questa orma diabitare i cittadini che hanno un massimo 66mila euro l’anno di reddito, a ronte dei 18mila richiesti dall’ERP.Questo aumento delle asce reddituali è dovuto all’impegno economico che gli autorecuperanti devono sostenere pervivere negli alloggi loro assegnati che comunque rimangono nella disponibilità dell’ente pubblico proprietario (neiprogetti della cooperativa Inventare l’abitare gli edici sono tutti di proprietà comunale e gli appartamenti realizzatirientrano nel patrimonio disponibile del Comune di Roma) .La cooperativa “Inventare l’abitare”, ad esempio, ha calcolato un spesa media, per i soci, tra i 18 e i 25 mila euro perogni appartamento. Per gli autorecuperanti, che accendono un mutuo ventennale, la rata mensile si aggira dai 2,60 ai3,14 euro al metro quadro, ciò signica un canone di 150 euro al mese per 70 metri quadri.

Gli strumenti dell’autorecupero

Nel 1998 la Regione Lazio ha istituito la legge n.55, su “Autorecupero del patrimonio immobiliare” in cui si dà modoa Regione, province, ai comuni, agli istituti autonomi per le case popolari (ex-Iacp), alle istituzioni pubbliche di as-sistenza e benecenza (IPAB), e agli altri enti pubblici territoriali di individuare immobili destinati a nalità diferentirispetto a quella alloggiativa, al ne di recuperarli. La legge autorizza questi enti ad agire non solo sugli immobili

dismessi di loro proprietà, ma anche su stabili, abbandonati o in evidente stato di degrado, di proprietà pubblica oprivata, prevedendone l’acquisizione (art.1).E’ stata una conquista importante per i movimenti e le organizzazioni che promuovono l’autorecupero: non solo siriconosce la legittimità di progetti che prevedono il riutilizzo di stabili e si costruisce un’alternativa reale alla cemen-ticazione e al nuovo consumo di suolo, ma anche perchè si dà modo alle associazioni cooperative di inquilini di poterpartecipare alla spesa complessiva diminuendo l’onere a carico della proprietà, a cui competono solo le spese per leparti comuni e strutturali, secondo modalità descritte in dettaglio dalla stipula di una convenzione tra le parti (art.3).Le cooperative risultano assegnatarie di un progetto di autorecupero attraverso una regolare gara pubblica, e diven-gono il reerente per l’assegnazione degli alloggi da parte della proprietà (art.6).Un dato importante, in una ase storica di crisi economica, di cui uno dei più evidenti enomeni è l’insostenibilitàdi prestiti e mutui per i privati cittadini, è rappresentato dal meccanismo di garanzia che viene propostodall’autorecupero e che permette di superare per i singoli autorecuperanti lo scoglio della non solvibilità e

dell’impossibilità di accesso al credito.Alla legge regionale, nel 2001, i movimenti sono riusciti ad aggiungere un protocollo d’intesa tra comune, regione,ministero dei lavori pubblici, con il quale sono stati stanziati dei nanziamenti sia per l’ assegnazioni di case sia per lacostruzione di altri 6 progetti di autorecupero, questa volta legati direttamente alla legge regionale.

L’autorecupero come soluzione per l’emergenza abitativa

Perchè promuovere i progetti di autorecupero? Quali sono gli aspetti positivi per la proprietà e la cittadinanza?Dobbiamo tenere presente prima di tutto che in Italia sono soggetti a cementicazione, quotidianamente, circa 100ettari di terreno: 100 campi di calcio che giornalmente vengono sottratti al patrimonio ambientale, all’uso pubblico,che vanno a gravare ulteriormente sulle risorse a disposizione delle amministrazioni locali. Al di là dell’impatto ambi-entale già grave in sé, la cementicazione signica carico antropico crescente su porzioni sempre più ampie di territo-rio: traco e congestione di servizi, prima di tutto.Se, come abbiamo visto, centinaia di migliaia di vani (pari a circa 50.000 edici14) sono tutt’ora lasciati all’abbandono,signica che non solo è possibile attutire l’impatto ambientale e sociale di ulteriori espansioni urbane, ma che è anchepossibile ridare nuova vita a spazi altrimenti destinati al degrado, con un riscontro positivo immediato in termini diriqualicazione urbana per i quartieri nei quali sono collocati.Inoltre, gli autorecuperi permettono di progettare soluzioni integrate di edilizia pubblica, in cui ospitare, nella stessastruttura, sia abitazioni che servizi: la proprietà pubblica dell’edicio garantirebbe una programmazione delle neces-sità legate al territorio, anche in unzione dell’aumento di popolazione che le assegnazioni produrrebbero.L’autorecupero propone alternative ecosostenibili all’edilizia tradizionale: la stessa legge n.55/1998 della Regione Lazio,prevede, alla denizione della graduatoria tra le cooperative partecipanti al bando per la realizzazione dei progetti, lapreerenza per quelle cooperative che prevedano l’uso di materiali e tecnologie biocompatibile (art.5).Ad oggi, la bioedilizia è ancora considerata un “lusso”, nel panorama delle tecnologie edili: n’ora solo nel progetto di

14 A.Baduel,cit.

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Torre Maura è stato possibile progettare orme di alimentazione attraverso pannelli otovoltaici. Questo è stato pos-sibile grazie alla determinazione della cooperativa e dei suoi soci nei conronti dell’amministrazione comunale, ed inogni caso il costo aggiuntivo del otovoltaico è stato caricato interamente sulle amiglie assegnatarie.Il dato più evidente è però di carattere economico. Sappiamo che le amministrazioni pubbliche, specie nelle grandicittà, lamentano una strutturale carenza di ondi per intervenire sulle emergenze sociali. Nella città di Roma, si è dasempre atto ricorso a molteplici provvedimenti legislativi nazionali di carattere eccezionale. Sono le molte leggi, piùo meno speciali per Roma Capitale, interventi legislativi che stanziano ondi straordinari per opere di pubblica utilitàlegate al ruolo di capitale nazionale della città: per quella del 1990, legge n.396, i cui obiettivi sono stati solo in parteattuati (art.1), erano previste circa 80 miliardi di vecchie lire. Per la più recente istituzione dell’ente Roma Capitale (de-creto legislativo n.156 del 2010), il governo ha previsto il nanziamento di un ondo strutturale pari a circa 200 milionidi euro.Il già ricordato allimento delle operazioni di alienazione del patrimonio pubblico portate avanti con le operazioniSCIP 1 e 2 (2001-2009) ha portato ad una perdita di 1,7 miliardi di euro 15, oltre a costi sociali estremamente pesanti: ladismissione di patrimonio pubblico ha intaccato ulteriormente le già disastrose cire dell’edilizia pubblica. L’Italia èanalino di coda nelle statistiche europee riguardo a case popolari, con sole 4 abitazioni ogni 100 a prezzo di mercato 16.Le città, come già ricordato, sono soggette ad un’espansione rapida e decisamente squilibrata, rispetto alla capacitàdei comuni di rispondere alla domanda di servizi.

In questo contesto si può meglio apprezzare l’importanza dell’autorecupero che, abbattendo i costi in capo ad ammin-istrazioni ed enti pubblici, permette loro di disporre nuovamente di strutture altrimenti destinate all’abbandono, con-vertendole all’uso abitativo e con un evidente vantaggio nella valorizzazione del patrimonio stesso. Dalle prime stimesui progetti avviati, si evince che le amministrazioni proprietarie degli immobili da autorecuperare sostengono menodella metà della cira complessiva dei lavori, in quanto il 52%, corrispondente all’incirca ai lavori dei singoli vani e degliinterni, è a carico delle cooperative e dei loro soci-inquilini. Con l’ulteriore vantaggio di stimolare processi partecipa-tivi nella cittadinanza interessata da condizioni di emergenza abitativa, alla denizione delle soluzioni e delle ormedell’abitare.

Nuovi orizzonti dell’abitare pubblico: l’autocostruzione

Nonostante osse già prevista dalla sopra menzionata legge regionale 55 del 1998, solo recentemente a Roma sistanno nalmente aprendo spazi interessanti anche per la pratica dell’autocostruzione. L’assessorato ai Lavori Pub-blici del Comune di Roma ha inatti dato il via all’elaborazione di una delibera quadro che denisca le modalitàdell’autocostruzione come strumento nalizzato al recupero delle strutture inutilizzate. Modellata sulla base dellenormative regionali e comunali vigenti per l’autorecupero, il meccanismo dell’autocostruzione dovrebbe distinguersiper il atto che le quote di impegno (nanziario e di conduzione dei lavori) da ripartire tra ente proprietario e coopera-tiva non saranno più prestabilite dal dispositivo ma da concordare progetto per progetto.Se implementato questo strumento permetterebbe di riutilizzare le molte aree pubbliche lasciate inutilizzateall’interno del tessuto urbano così come i numerosissimi edici atiscenti o costruiti con materiali tossici comel’amianto non riutilizzabili attraverso un normale progetto di autorecupero e per i quali si renda invece necessaria lademolizione e la ricostruzione ex novo.L’autocostruzione, così come n’ora sperimentata, viene ripresa dai modelli della cooperazione internazionale neipaesi in via di sviluppo e si caratterizza per la presenza sica sui cantieri dei soci delle cooperative promotrici. I uturiinquilini si sperimentano direttamente sul campo supportati dalle competenze tecniche di aziende edili proessionali.In Italia sono ad ora attivi 2 cantieri in Campania, 1 in Toscana e Veneto, 4 in Umbria, per un totale di 97 unità abitative(di cui oltre 27 sono già state consegnate), 4 in Emilia Romagna (70 alloggi) e altrettanti in Lombardia (56 alloggi).17 Di particolare interesse, per il contesto in cui è stato attivata, è l’esperienza di Pescomaggiore, comune dell’aquilanocolpito dal terremoto del 6 aprile 2009. L’organizzazione della cittadinanza intorno al progetto di ecovillaggio, cos-truito con innovativi sistemi di bioedilizia, alimentato con otovoltaico, ha permesso di abbattere tempi e costi dellaricostruzione post-sisma: il prezzo di edicazione è inatti di circa 650 euro al metro quadrato, un quinto del costo

15 www.sbilanciamoci.info

16 Intervista a W. De Cesaris, CubVideo, 29 Luglio 2009

17 Alisei Coop, Autocostruzione associata e assistita. Istruzioni per l’uso, Regione Campania, 2009

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previsto dal progetto C.A.S.E.18

L’esperienza che si tenta di implementare a Roma parte da premesse diferenti e come nel caso dell’autorecupero nonporterà necessariamente ad un impiego diretto degli inquilini-assegnatari nel cantiere prevedendo piuttosto il lorocoinvolgimento attraverso le cooperative e le modalità n’ora impiegate per l’autorecupero.

18 www.pescomaggiore.org

CAPITOLO 2. Una ricerca quali-quantitativa nel contesto dell’emergenza abitativa romana

2.1 - Obiettivi della Ricerca e contesto generale

La ricerca mira a valutare le condizioni dei soggetti che vivono in situazione di emergenza abitativa. All’interno dellemolteplici situazioni di emergenza abitativa nella città di Roma, la ricerca è stata delimitata ad alcuni ambiti specifciquali gli stabili occupati a scopo abitativo dai movimenti per il diritto all’abitare, i residence utilizzati dal Comune diRoma per l’assistenza alloggiativa e gli stabili dove riedono nuclei in attesa di auto recupero secondo le disposizionidella legge regionale 55/98. Questa scelta parte dal presupposto che la presente indagine non vuole analizzare tutti i

singoli ambiti dell’emergenza romana ma intende tracciare alcune problematiche generali di cui i soggetti in emer-genza sono portatori. Nella prima parte di questo capitolo vengono introdotti gli obiettivi della ricerca, gli strumentiadottati e la metodologia utilizzata per la ricerca quantitativa e qualitativa. La parte centrale e quella conclusiva delcapitolo approondiranno l’analisi dei dati emersi combinate con le indicazioni emerse dalle risposte alle domandeaperte.Il Questionario. Per la ricerca empirica abbiamo deciso di costruire un questionario semistrutturato composto dadomande a risposta multipla e da domande aperte in cui l’intervistato è stimolato ad esprimere la propria opinione inmerito ai temi proposti. Abbiamo suddiviso il questionario in tre aree: una prima area che raccoglie principalmente idati anagrafci, la composizione del nucleo amiliare, i percettori di reddito all’interno del nucleo, la proessione svoltadal soggetto (considerando anche il tipo di contratto e il tempo di lavoro) e dove il soggetto vive. La seconda area

riguarda le condizioni dell’emergenza abitativa dove vengono chieste inormazioni relative alla precedente situazionealloggiativa dell’intervistato: si indaga la precedente residenza, in particolare si approondiscono i termini di locazionedell’alloggio, le eventuali condizioni di aftto e in caso di mancanza di contratto gli accordi inormali tra il proprietariodi casa e il locatario. Inoltre vengono esplicitati i motivi relativi al cambio di abitazione risalendo indietro fno allaterzultima residenza: l’obiettivo di quest’area è quello di defnire la storia di emergenza abitativa di ogni soggettointervistato. La terza ed ultima parte del questionario analizza i attori dell’emergenza abitativa a partire dalla con-dizione e dalla valutazione soggettiva di ogni persona intervistata, arrivando infne alle risposte individuate dai sog-getti per cercare di risolvere il proprio problema di casa e alla percezione degli stessi rispetto alla propria condizioneattuale e alle politiche abitative in generale. In particolare le domande sulla percezione soggettiva dell’emergenzaabitativa e sui limiti delle politiche pubbliche locali e nazionali sono articolate sotto orma di domanda aperta: questoperché l’obiettivo della ricerca è anche quello di ar emergere elementi qualitativi rispetto alle problematiche relative

al diritto all’abitare.Il campione e la somministrazione. Sono state intervistati 218 soggetti residenti nelle occupazioni abitative di via delPorto Fluviale 12, di via dei Radiotelegrafsti 44, di via Casale de Merode 8, di Corso d’Italia 6, di via Scolari18 e di viadella Vasca Navale 6, via del Policlinico 137, via Bruno Pellizzi 55; le strutture di assistenza alloggiativa interessate sonostate quelle di via Tineo e di via di Campo Farnia. Infne, i nuclei in auto recupero intervistati sono quelli residenti nelcontenitore di via Pollio e quelli residenti nell’occupazione di via Ostuni 9.I questionari sono stati somministrati presso le attuali abitazioni degli intervistati nelle diverse strutture sopraelencate. Questo ha permesso al soggetto una maggiore libertà nelle risposte, trovandosi all’interno di un ambienteconosciuto, e la possibilità di esprimere incertezze o dubbi all’intervistatore in caso di difcoltà di comprensione delladomanda. Molte delle amiglie intervistate sono straniere spesso con una limitata comprensione della lingua italiana:

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ogni domanda del questionario è stata pertanto ormulata con un linguaggio semplice e comprensibile cercando dievitare parole che potessero creare conusione tra una domanda e l’altra. Per lo stesso motivo, laddove si è ritenutonecessario, il questionario è stato compilato dall’intervistatore insieme al soggetto intervistato. Prima di compilare ilquestionario, è stata presentata la ricerca e i suoi obiettivi a ciascun soggetto ed è stata garantito l’anonimato come

orma di tutela della privacy.

2.2- Analisi dei risultati

È un dato ormai riconosciuto che la crisi produttiva degli ultimi anni e la conseguente essione del tasso di occupazi-one ha avuto ortissime ripercussioni, oltre che sulla popolazione straniera (per la quale la riduzione dell’occupazioneè stata del 2,5%, quasi il doppio rispetto a quella media italiana), sui giovani ovvero sulle classi di età comprese tra i 20e i 34 anni, dove si registra una caduta del 6,3% (CIES Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale,anno 2010).In generale questa situazione ha prodotto come eetto immediato un aggravarsi delle condizioni di vita della pop-olazione, di cui l’emergenza abitativa è parte sostanziale e per questo oggetto di interesse di questa indagine. Unodegli obiettivi generali che la presente ricerca si propone è pertanto quello di otograare le condizioni economichee reddituali all’interno di una popolazione di soggetti in emergenza abitativa per verifcare quali aspetti della crisiabbiano inuito o possano determinare l’inaccessibilità a un alloggio e più in generale possano ostacolare il dirittoall’abitare.A ronte di ciò vengono indagate nel campione in esame alcune dimensioni del mondo del lavoro quali la proessioneattuale (successivamente codifcata nell’inserimento dei dati come lavoro specializzato e lavoro non specializzato),la orma contrattuale nella quale il soggetto è inquadrato (contratto dipendente a tempo indeterminato, contrattodipendente a tempo determinato, lavoro autonomo, contratti a progetto o altre orme di contratti precari, orme dilavoro al nero o senza contratto, altre tipologie di impiego), il tempo di lavoro (part time o ull time). Viene inoltreindagato il numero di percettori di reddito all’interno del nucleo amiliare e, nel caso di più di un percettore oltre al

soggetto intervistato, viene chiesto di indicarne la orma contrattuale .

Tabella 1. Italiani e lavoroLavoro specializzato 20,83%Lavoro non specializzato 58,33%Disoccupati 18,75%Pensionati 2,08%Totale 100,00%

La Tabella 1 e la Tabella 2 evidenziano le caratteristiche dell’occupazione nei nuclei in emergenza abitativa intervistati.Di essi il 58% dei lavoratori italiani svolge proessioni a bassa qualifcazione a ronte del 67% dei lavoratori stranieri. In

particolare i lavori più requenti sono nel settore del commercio e dei servizi, specie nella ristorazione (cuoco, cameri-era, banchista o commessa) e i “ lavori manuali” quali acchinaggio, manovali in cantieri edili o di ristrutturazione ,pulizie ecc.. Signifcativo anche il dato della disoccupazione che sfora il 19% per gli italiani ed è oltre l’11% per i citta-dini stranieri.

Tabella 2. Stranieri e lavoroLavoro specializzato 16,39%Lavoro non specializzato 67,21%Disoccupati 11,48%Pensionati 4,92%Totale 100,00%

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Questo dato potrebbe essere attribuito agli eetti della crisi occupazionale che si ripercuotono con maggiore orzaproprio su quelle asce deboli , come la popolazione straniera e il segmento giovanile italiano in condizione lavorativaprecaria. (CIES Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale, anno 2010). La percentuale di occupatiitaliani con un lavoro qualifcato è di quasi il 21%degli intervistati, a ronte del 16%circa dei lavoratori stranieri. Le

proessioni più requenti rimangono comunque nell’ambito dell’edilizia (operai specializzati) e del terzo settore, inparticolar modo quello turistico e di assistenza e cura a categorie svantaggiate.

Tabella 3. Italiani e stranieri e contratto Italiani StranieriDipendente a tempo indeterminato 24,32% 45,10%Dipendente a tempo determinato 5,41% 13,73%Lavoro autonomo 5,41% 13,73%Co.co.pro. o altri contratti precari 21,62% 0,00%senza contratto/al nero 43,24% 27,45%Totale 100,00% 100,00%

Andando ad analizzare le dierenti posizioni contrattuali degli intervistati possono essere messi in evidenza i seg-uenti dati: mentre il 43% circa degli italiani ha un lavoro senza nessuna orma contrattuale, il 45% degli occupati

stranieri ha un contratto dipendente a tempo indeterminato. Inoltre, sempre per quanto riguarda gli stranieri, più del13% dichiara di avere una posizione di lavoro dipendente a tempo determinato mentre più del 27% dichiara di esserein una condizione di lavoro al nero. Questo dato, molto signifcativo, evidenzia come la condizione migrante oscilli tradue polarità: da una parte è ortemente condizionata dalla presenza del contratto di lavoro senza il quale le personesi ritroverebbero in una condizione di clandestinità. Inatti, con l’introduzione della legge Bossi-Fini del 2002 e del piùrecente Pacchetto Sicurezza del 2009, il rilascio del permesso di soggiorno è previsto esclusivamente alle persone chedimostrino di avere un lavoro per il proprio mantenimento economico. Considerando anche che il campione interv-istato risulta per lo più residente in Italia da diversi anni, si può ipotizzare che la condizione lavorativa si sia almenoin parte stabilizzata nel tempo giustifcando così l’alta percentuale di persone con un lavoro stabile. Dall’altra parteancora una grossa etta di popolazione migrante risulta non contrattualizzata, dato che riette sia gli eetti gener-ali della crisi occupazionale, sia la difcoltà dello straniero a trovare un lavoro garantito attraverso i rari strumentidi regolarizzazione previsti dalle leggi italiane, quali sanatorie e decreti ussi, strumenti per lo più inadeguati a arronte alla domanda della popolazione migrante presente nel nostro paese. Infne possiamo notare come la percen-tuale di lavoratori autonomi stranieri sia di quasi il 14% del totale degli occupati, più del doppio dei cittadini italianiintervistati che risultano poco più del 5%: questo dato evidenzia un’altra caratteristica del lavoro migrante, spessonon sufcientemente tenuta in considerazione, ovvero la tendenza, soprattutto per chi è in Italia da molto tempo, adintraprendere esperienze commerciali private, siano esse piccole aziende o società o, come in questo caso, attività divendita nei mercati della città. Per quanto riguarda la componente italiana del campione, come detto in precedenza,il dato più signifcativo risulta quello del lavoro non contrattualizzato che si attesta al 43% circa degli intervistati.Questo dato riette in generale la essione del mercato dell’occupazione per cui a Gennaio 2011,secondo i dati ISTAT,gli occupati risultano in diminuzione dello 0,5% nel conronto con l’anno precedente (-110 mila unità), diminuzione

che riguarda sia la componente maschile che quella emminile portando il tasso di disoccupazione all’8,6% con unacrescita di 0,2 punti percentuali su base annua mentre, sempre in rierimento al mese di Gennaio 2011 gli inattivi tra i15 e i 64 anni aumentano di 80 mila unità rispetto al mese precedente portando complessivamente il tasso di inattiv-ità i al 37,8%, dopo tre mesi in cui risultava stabile al 37,6% (ISTAT – occupati e disoccupati: stime provvisorie).

Tabella 4. Fasce d’età e contratti Meno di

30 anni

Tra i 31 e

i 45 anni

Oltre i

45 anniDipendente a tempo indeterminato 18,83% 32,73% 36,00%Dipendente a tempo determinato 4,17% 14,55% 0%Lavoro autonomo 4,17% 3,64% 24,00%Co.co.pro. o altri contratti precari 10,33% 9,09% 4,00%Senza contratto/al nero 37,50% 30,91% 16,00%

Disoccupati 25,00% 9,09% 20,00%Totale 100,00% 100,00% 100,00%

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Nella Tabella 4 sono espresse le percentuali relative alla distribuzione delle diverse tipologie contrattuali nelle asced’età in cui è stato suddiviso il campione in esame. I dati emersi conermano quanto precedentemente esposto: nellaascia d’età che comprende i giovani al di sotto dei 30 anni le percentuali più signifcative emergono tra coloro chesono senza contratto (37,5%) e tra i disoccupati (25%) mentre circa il 10% circa degli intervistati dichiara di lavorare

con contratti precari. Questa distribuzione riette inatti i dati ISTAT secondo i quali prosegue la crescita del tasso didisoccupazione giovanile che raggiunge il 29,4% (ISTAT- dati provvisori su occupazione e disoccupazione, Gennaio2011). Alta la percentuale di chi è senza contratto anche nella seconda ascia d’età compresa tra i 31 e i 45 anni (30,91%)a ronte di una presenza signifcativa anche di soggetti occupati a tempo indeterminato (32,73%). In questa asciad’età si concentra anche la presenza più signifcativa dei lavoratori dipendenti a tempo determinato che risulta del14,55% mentre il 20% circa del campione di questa età si distribuisce tra lavoratori con contratti precari e disoccupati.Appartengono invece alla terza ascia i soggetti che in assoluto hanno una più alta requenza di contratti di lavorodipendente a tempo indeterminato (36%) e la maggioranza di coloro che dichiarano una posizione di lavoro autono-mo (24%). Tuttavia si rileva anche in questa ascia d’età una percentuale molto signifcativa dei disoccupati che appar-tiene al 20% dei soggetti intervistati. Degli occupati inoltre, il 60% circa ha un tempo pieno di lavoro rispetto a chi èimpiegato solo part time. In generale si può pertanto aermare che la ragilità del mercato del lavoro e il conseguenteaumento della disoccupazione nel nostro paese negli ultimi anni ha portato moltissime persone a cercare possibilitàdiverse per sostenere la propria emergenza abitativa in situazioni quali le occupazioni o altre orme di assistenza al-loggiativa con una ortissima motivazione economica come verrà analizzato in seguito.

Tabella 5. Italiani e

stranieri e residenza

Italiani Stranieri

Occupazione 54,17% 77,05%

Residence 29,17% 19,67%

Auto recupero 16,67% 3,28%

Totale 100,00% 100,00%

A conerma di quanto emerso con i dati occupazionali, si può evidenziare come il attore economico risulti stret-tamente connesso alla attuale sistemazione alloggiativa. La Tabella 5 evidenzia come sia gli stranieri che i cittadiniitaliani intervistati risultano presenti in maggior parte negli stabili occupati e nei residence, sistemazioni temporaneema che permettono nel contempo di are ronte ad una sempre più impellente necessità economica. A conerma diciò, si veda più avanti l’analisi delle domande aperte sui attori positivi dell’attuale sistemazione (Tabella n….). Pos-siamo evidenziare inoltre da questi dati una dierenza signifcativa tra gli italiani e le amiglie migranti che vivonoin contenitori in attesa di progetti di auto recupero: i primi inatti risultano maggiormente coinvolti in questa rela-tivamente nuova esperienza di riutilizzo del patrimonio immobiliare rispetto alle amiglie straniere che vengono

coinvolte solo nel 3%circa dei casi analizzati. Questa discrepanza è probabilmente dovuta sia a attori temporali cheeconomici. L’autorecupero inatti, previsto dalla legge regionale n.55/98, risulta un’esperienza relativamente recente eche ha inizialmente coinvolto un numero esiguo di nuclei amiliari, per lo più di cittadinanza italiana. In questi anni, aseguito dei protocolli tra Regione Lazio e Comune di Roma, altri progetti sono stati approvati e fnanziati per cui anchele amiglie straniere che sono da anni in attesa di una soluzione abitativa hanno potuto accedere a questa possibilità.Il attore economico inoltre non è secondario: l’accesso all’autorecupero è basato su criteri di reddito più alti rispettoall’ERP (66 mila euro invece di 14 mila) e in generale è necessario un impegno maggiore rispetto a quello dell’aftto incase popolari in quanto gli inquilini sono coinvolti nelle spese dei lavori di recupero attraverso la sottoscrizione di unmutuo ventennale con canoni a metro quadro più alti di quelli previsti dall’edilizia pubblica.Per concludere una prima analisi rispetto alla situazione alloggiativa delle amiglie intervistate vengono esposti nellaTabella 6 i dati relativi al tempo di permanenza in occupazione, nei residence e in attesa di auto recupero.

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Tabella 6. Da quanto

tempo vivi nell’attuale

sistemazione

Da 0 a

2 anni

Da 3 a 5

anni

Da 6 a 10

anni

Oltre i 10

anni

Totale

Residence 34,62% 42,31% 19,23 3,85% 100,00%

Occupazione 33,48% 62,16% 4.05% 0,00% 100,00%

Auto recupero 15,22% 18,22% 11,00% 55.56% 100,00%

Dalla tabella 6 emerge che i soggetti del campione che vivono nelle occupazioni sono lì per la maggior parte da piùdi 3 anni (62% circa) mentre il 33% circa degli intervistati, soprattutto appartenenti a esperienze giovanili più recenti,risiede in occupazione da meno di due anni e nessun intervistato supera i dieci anni. Nelle prime due asce si col-locano principalmente anche coloro che vivono nei residence: più del 34% vive lì da meno di due anni, mentre il 42%circa da un tempo che non supera i 5 anni, tranne in pochissimi casi che dichiarano di avere avuto già precedenti

esperienze di assistenza alloggiativa in altri alberghi o residence, sintomo di una lunga e persistente situazione diemergenza. In ogni caso questo può essere spiegato dal atto che i questionari sono stati somministrati a persone chevivono in strutture attive da circa 5 anni, di cui una era in precedenza uno stabile occupato poi afttato dal Comune diRoma per ar ronte all’emergenza abitativa (residence di via di Campo Farnia). Infne salta agli occhi l’alta percentualedi soggetti che risiedono in contenitori in attesa di auto recupero da più di 10 anni, ovvero più del 55% degli interv-istati. L’esperienza dell’autorecupero sul territorio romano inatti ha comportato, per i progetti fnora realizzati, tempidi attesa relativamente più lunghi rispetto all’assegnazione di alloggi popolari in quanto sperimentazione nuova enecessariamente collegata ai tempi e in generale a procedure non rodate da parte delle amministrazioni pubblicheche vi partecipano. In generale possiamo aermare che i tempi di attesa per una soluzione defnitiva verso alloggipopolari sono molto lunghi, tempi che diventano lunghissimi per i progetti di auto recupero che sorono di continueasi di avanzamento e blocco dei fnanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni. Tenendo conto che l’ultimo

censimento da parte del Comune di Roma degli stabili occupati che comprendono le amiglie in emergenza abitativarisale al 2007 e non sono ancora state atte se non pochissime assegnazioni di case per lo più di risulta da parte delComune stesso, è evidente come la presenza di stabili occupati con centinaia di amiglie al loro interno rappresenti perla città un tamponamento a costo zero per le casse pubbliche del dilagante enomeno dell’emergenza abitativa. Cosache non può dirsi per i residence che risultano essere costosissimi per la pubblica amministrazione: nei 22 residencepresenti sul territorio romano abitano inatti circa 1400 amiglie, pari a 3000 persone, mediamente in mini apparta-menti di circa 25/30 metri quadri. Per ogni persona nei residence il Comune paga mediamente 842 euro al mese. Perogni amiglia mediamente 2140 euro al mese ma in qualche caso arriva fno a 4200 euro al mese (Inchiesta UnioneInquilini Roma, Dossier Residence , www.unioneinquilini.it ).

Nella seconda area del questionario vengono indagate le precedenti sistemazioni alloggiative e i motivi per i quali isoggetti si sono trovati ad avere un problema di emergenza abitativa.Nella Tabella 7 sono esposti i dati sulle precedenti sistemazioni divisi per i cittadini italiani e stranieri. Il 20,41% degliitaliani ha precedentemente vissuto in una casa di proprietà, cosa che ha riguardato solo il 3% circa degli intervistatistranieri. Questo dato è portato principalmente dalla ascia giovanile del campione che precedentemente viveva con ilproprio nucleo amiliare in una casa di proprietà. A loro si sommano casi di persone che sono state negli anni impossi-bilitate a mantenere costante il pagamento di un mutuo ritrovandosi senza alcun tipo di sostegno né di garanzia, casidi scissione del nucleo amiliare dovuti a separazioni ma anche a violenze domestiche.Le percentuali più elevate sia per i cittadini italiani che per gli stranieri sono quelle di chi risiedeva in aftto: questodato riguarda nello specifco il 51% degli italiani e quasi il 64% dei nuclei stranieri.

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Tabella 7. Italiani e stranieri e

precedente sistemazione

Italiani Stranieri

Casa di proprietà 20,41% 3,28%

Casa in aftto 51,02% 63,93%

Ospite 10,20% 8,20%

Presso il datore di lavoro 0,00% 4,92%

Altro 18,37% 19,67%

Totale 100,00% 100,00%

Da una recente indagine Istat risulta che nel 2009 la maggioranza delle amiglie con stranieri vive in aftto o subaft-

to (58,7 % dei casi, contro il 16 % delle amiglie composte solamente da italiani), e il 23,1 % vive in abitazioni di proprietà(contro il 71,6 % delle amiglie italiane) (Istat, Le amiglie con stranieri: indicatori di disagio economico, Febbraio 2011).Per quanto riguarda la categoria “ospite”, essa sembra distribuita in maniera pressoché omogenea tra italiani estranieri,segno del atto che, non essendo all’oggi garantito dalle attuali politiche abitative comunali il passaggio dacasa a casa, di atto chiunque si sia trovato in una situazione di difcoltà si è necessariamente organizzato con amicie parenti dove ha ricevuto un temporaneo periodo di ospitalità. Dato relativo solo al campione migrante è invecequello delle persone che dichiarano di aver vissuto in precedenza presso il proprio datore di lavoro, per lo più comebadanti o collaboratrici domestiche. Alta la percentuale anche di chi dichiara di venire da dierenti sistemazioni, noncategorizzabili con quelle sopraesposte: scomponendo il dato troviamo tra le persone straniere un alto numero vivevain situazioni di ortissimo disagio quali la strada,in roulotte, in case dove pagavano il posto letto, nei campi nomadio in altre occupazioni abusive non appartenenti a movimenti di lotta organizzati. Soprattutto tra gli italiani sonoinvece requenti provenienza da case amiglia e da altre tipologie quali case dello studente o subaftti in case popo-lari. Possiamo intendere questi valori, entrambi non trascurabili, come lo specchio di una realtà composta da una taledierenziazione di soluzioni alloggiative inormali che risulta molto complicato riuscire a categorizzarle tutte: certo èche,per moltissimi dei casi inchiestati, entrare in un meccanismo di organizzazione e trovare una sistemazione in sta-bili occupati in condizioni di vita ancora molto precarie, signifca uscire da situazioni ancora più dure, troppo spesso ditotale esclusione sociale.Andando ad analizzare ulteriormente i soggetti che vivevano precedentemente in aftto, è stato indagata la regolaritàdella posizione contrattuale dell’alloggio.

Tabella 8. Italiani e stranieri

senza contratto di aftto

Italiani Stranieri Totale

Senza contratto d’aftto 39,39% 60,01% 100,00%

Come evidenzia la Tabella 8 la maggioranza delle persone senza contratto d’aftto sono migranti: questo dato riettela difcoltà per queste persone, ancora di più che per i cittadini italiani di regolarizzare la propria posizione alloggia-tiva, spesso a causa di complicazioni con i documenti di soggiorno che rendono il migrante ancora più ricattabile e“sotto scacco” da parte del proprietario di casa. Rientrano tra questi soggetti coloro che accettano di vivere in condizio-ni di sovraollamento e di estremo disagio, a volte pagando prezzi di aftto anche molto alti e rimanendo schiacciatiin circuiti di sruttamento e clandestinità senza riuscire invece ad accedere a nessun tipo di strumento per la regolar-

izzazione.Per moltissimi italiani d’altra parte non avere il contratto d’aftto registrato è quasi la norma: gli aftti in nero, da

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sempre la piaga degli studenti uorisede, sono spesso la regola anche per tante amiglie che accettano accordi inor-mali con il proprietario di casa che dietro fnte promesse di avere un prezzo più agevolato o maggiore essibilità negliaccordi spesso nasconde il mero tentativo di evasione fscale o peggio situazioni in cui la casa non potrebbe essereafttata perché alloggio pubblico in subaftto.

Si procede con l’analisi delle precedenti soluzioni abitative per valutare la condizione di sovraollamento dei nucleiintervistati. Nel questionario la domanda che indicava la predente situazione alloggiativa veniva seguita da unarichiesta di specifcare il numero delle persone conviventi e in quanti metri quadri o in quante stanze. Le risposte sonostate categorizzate in quattro asce: da zero a due persone, da 3 a 5 persone, tra le 5 e le 10 persone e oltre le 10 persone.La distribuzione del campione su queste asce è rappresentata dal Grafco 1.

Grafco 1. Coabitazione

Come il grafco evidenzia la percentuale più signifcativa del campione intervistato viveva con un numero compresotra le tre e le cinque persone, ovvero il 48,62%. Quasi il 35% invece viveva da solo o con al massimo altre due personementre il restante 15% si divide tra coloro che vivevano con numeri superiori alle cinque persone e oltre le dieci. Moltidi questi soggetti coabitavano con altri nuclei amiliari, spesso in aftto, come precedentemente esplicitato, o in altresituazioni. Si è pertanto valutato di analizzare il dato complesso di coloro che vivevano insieme ad altri nuclei amiliariincrociando questa percentuale con i metri quadrati dello spazio abitativo.

Tabella 9. Coabitazionecon altri nuclei familiari

/ metri quadri

Meno di30 mq

Tra i 30 e i 60mq

Oltre i 60mq

Altro Totale

Fascia 1 (0-2 persone) 18,18% 45,45% 27,27% 9,09% 100,00%

Fascia 2 (3-5 persone) 5,56% 72,22% 22,22% 0,00% 100,00%

Fascia 3 (5-10 persone) 4,29% 57,14% 38,57% 0,00% 100,00%

Fascia 4 (oltre 10 persone) 0,00% 24,00% 76,00% 0,00% 100,00%

Coabitazione

Fascia 1 (0-2

persone)

Fascia 2 (3-5

persone)

Fascia 3 (5-10

persone)

Fascia 4 (10+

persone)

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Per valutare il dato di sovraollamento nella precedente sistemazione alloggiativa del campione sotto esame si pos-sono scegliere diversi criteri: lo standard previsto per l’abitabilità di un alloggio è relativo a criteri regionali variabilisul territorio nazionale. Se si tiene in considerazione lo standard per alloggi ERP dell’Ater del Lazio, i criteri si abitabilitàprevedono per un nucleo composto da una o due persone uno spazio non superiore a quarantacinque metri quadri,

tra i quarantacinque e i sessanta metri quadri per nuclei da due o tre persone, tra i sessanta e i settantacinque pernuclei di quattro persone e non ineriore ai settantacinque per nuclei amiliari oltre i 4 componenti (Regolamentoregionale 20 Settembre 2000, n.2., “Regolamento per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenzialepubblica destinata all’assistenza abitativa ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della Legge regionale 6 agosto 1999, n. 12”).In base a i criteri Eurostat invece il dato di sovraollamento può essere considerato come la percezione che la personaintervistata ha rispetto alla disponibilità dello spazio dove vive 1. Ancora diversi sono i criteri ASL che per un nucleo dauna o due persone prevede uno spazio minimo di trentotto metri quadri. Questa difcoltà nella defnizione unitariadi quali siano i criteri di abitabilità di un alloggio permette di dare solo una parziale e indicativa descrizione dei datiemersi: si è scelto quindi di tenere in considerazione, oltre al dato numerico dei metri quadrati riportati dagli interv-istati, anche la percezione soggettiva delle persone che rierivano di aver vissuto una condizione di sovraollamentoabitativo.Facendo rierimento alla Tabella 7, per quanto riguarda la prima ascia, ovvero coloro che coabitavano da sole o con unapersona, non risulta un vero e proprio sovraollamento: inatti il 18% circa degli intervistati dichiara di aver vissuto inspazi fno a trenta metri quadri cioè di poco al di sotto dello standard che prevede per 2 persone un alloggio di almeno38 metri quadri. La maggioranza della prima ascia si colloca nella seconda colonna, ovvero dichiara di aver avuto adisposizione uno spazio compreso tra i trenta e i sessanta metri quadri, mentre una percentuale del 27% coabitavain spazi superiori ai sessanta metri quadri. Per quanto riguarda la seconda e la terza ascia si ha una concentrazionequasi esclusiva tra coloro che vivevano tra i trenta e i sessanta metri quadrati e chi viveva in uno spazio più grandedi sessanta metri quadrati. Una percentuale minima dichiara comunque di aver vissuto in spazi estremamente pic-coli, ovvero al di sotto dei trenta mq in condizione di estremo sovraollamento. Si tratta di coloro che hanno vissutoafttando un posto letto o in strutture abbandonate e successivamente occupate da numerose amiglie. Le persone

che appartengono alla ascia due e dichiarano di aver vissuto in spazi non più grandi di sessanta metri quadri potreb-bero già rappresentare potenzialmente un dato di sovraollamento in quanto l’alloggio previsto per cinque personenon dovrebbe essere al di sotto di 70 mq per come previsto dalla regolamentazione regionale. D’altra parte è possibileacquisire come dato certo di sovraollamento tutti coloro che appartengono alla terza e quarta ascia del campionee che dichiarano di aver sruttato spazi che non superano i 60 mq: in questi casi all’emergenza abitativa si associaspesso una condizione di assoluta invivibilità che riette quelle situazioni più drammatiche di coabitazione orzata edegrado.

Tabella 10. Italiani

e sovraffollamento

In meno di

30 mq

Tra i 30 e i

60 mq

Oltre i 60

mq

Altro Totale

Fascia 1 21,74% 43,48% 17,39% 17,39% 100,00%

Fascia 2 2,27% 59,09% 36,36% 2,27% 100,00%

Fascia 3 14,29% 57,14% 14,29% 14,29% 100,00%

Fascia 4 0,00% 0,00% 100,00% 0,00% 100,00%

1 In accordo con la metodologia correntemente ulizzata da Eurostat, un’abitazione viene considerata sovraollata quando non

ha a disposizione un numero adeguato di stanze, denite come:

- una stanza per la famiglia;

- una stanza per ogni coppia;

- una stanza per ogni componente di 18 anni e oltre;- una stanza ogni due componen dello stesso sesso di età compresa tra i 12 e i 17 anni di età;

- una stanza ogni due componen no a 11 anni di età, indipendentemente dal sesso.

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Andando più nello specifco possiamo ulteriormente discriminare tra cittadini italiani e stranieri nell’analisi di uneventuale dato relativo al sovraollamento: gli italiani, come mostrato nella Tabella 10, si distribuiscono per la primaascia maggiormente in spazi oltre i 30 mq ovvero in più del 60% dei casi; quasi il 22% del campione è rappresen-tato da coloro che invece vivevano in uno spazio molto piccolo sotto i trenta metri quadri da soli o in coabitazione

che rappresentano l’unico dato di sovraollamento per questa prima ascia. Emerge infne una percentuale signif-cativa di situazioni (17,39%) che non possono essere categorizzate perché aerenti ad altra sistemazione (strada,studentati,case amiglia). A ronte di questo, nella Tabella 11 dove sono esposti gli stessi dati relativi al sovraollamen-to per i cittadini migranti, appare evidente come la percentuale di chi coabitava in poche persone sia meno della metàrispetto agli italiani, ovvero l’8% circa.

Tabella 11. Stranieri

e sovraffollamento

In meno di

30 mq

Tra i 30 e i

60 mq

Oltre i 60

mq

Altro Totale

Fascia 1 8,33% 75,00% 8,33% 8,33 100,00%

Fascia 2 16,67% 53,33% 26,67% 3,33% 100,00%

Fascia 3 16,00% 56,00% 24,00% 4,00% 100,00%

Fascia 4 0,00% 11,11% 78,67% 10,22% 100,00%

La soerenza più orte è espressa da coloro che vivevano tra i 30 e i 60 mq condividendo lo spazio alloggiativo con piùdi 5 persone: questo avviene nel 57% dei casi per gli italiani e nel 56% dei casi per i cittadini migranti. Un’ipotesi disituazioni alloggiative potenzialmente sovraollate sono quelle evidenziate in giallo in entrambe le tabelle: ovverocoloro che in uno spazio compreso tra i 30 e i 60 mq vivevano con più di 3 persone fno a un massimo di 5.Migranti e accesso all’alloggio: alcune considerazioni qualitative. Presentiamo a questo punto la prima parte di analisisulle risposte alle domande aperte presenti nel questionario che indagano la percezione del cittadino migrante di es-sere discriminato nella ricerca di un alloggio. Dalle risposte emerse osserviamo che tale percezione risulta positiva nei

due terzi degli stranieri intervistati. Prima di capire meglio quali motivazioni vengono date dagli intervistati per de-scrivere il modo in cui si sono sentiti discriminati risulta necessario are un paio di considerazioni rispetto alle personeche hanno risposto negativamente a questa domanda.Innanzitutto si nota una chiara polarizzazione rispetto all’età delle persone che hanno risposto negativamente: inattinotiamo come, all’interno di questo gruppo che ha risposto negativamente un numero di persone di quasi due terzihanno un’ età ineriore ai 35 anni, molti dei quali provenienti da paesi latinoamericani; un altro discreto numero dirisposte negative alla stessa domanda sono state invece date da persone di più di 60 anni.Ne possiamo trarre alcune ipotesi causali: le persone che si trovano in Italia da molti anni, quelle che ci sono nate oche comunque ci vivono sin dalla giovane età hanno una percezione diversa rispetto alla discriminazione nei loroconronti. Da un lato la lunga permanenza sul suolo italiano ha origine in periodi dove i ussi migratori erano di gran

lunga ineriori a quelli degli ultimi anni, con una stigmatizzazione minore rispetto alla percezione della fgura dellostraniero, che oggi viene visto sempre più spesso come l’”invasore”o comunque una fgura sociale legata a criminalitàe violenza. I ragazzi e le ragazze che invece si trovano qua dalla loro nascita o sin dalla giovane età hanno oggi moltipiù strumenti e possibilità’ per costruirsi delle reti sociali solide che non li acciano sentire parte di un gruppo distintoe sottomesso dalla popolazione nativa.Anche l’elemento della lingua sembra giocare un ruolo ondamentale rispetto alla percezione della discriminazione:come evidenziato in precedenza, molte delle persone che hanno detto di non essersi sentite discriminate provengonoda paesi latinoamericani. Anche la quasi totalità delle persone di età compresa tra i 35 e i 60 anni che hanno dato lastessa risposta negativa provengono da paesi latinoamericani. E’ evidente che tra i diversi attori che determinanouna condizione di esclusione, la acilità con la quale le persone che parlano spagnolo come prima lingua hanno diapprendere l’italiano e quindi di entrare in relazione con il mercato del lavoro, degli aftti e anche di avere accesso

all’inormazione e agli ufci pubblici, e’ di gran lunga superiore a quella di persone che parlano lingue molto diverse

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quali l’arabo per esempio, che obbliga ad un impegno di gran lunga maggiore per riuscire ad ottenere inormazionianche solo scritte.Restano comunque un grande numero di persone che hanno descritto diversi problemi legati al atto di essere mi-granti. Analizziamo ora quali sono i principali. Vi sono molte motivazioni per le quali gli intervistati stranieri dicono

di aver avuto problemi nella ricerca di un alloggio, motivi che possono essere divisi e organizzati in categorie quali at-teggiamenti discriminatori e pregiudiziali, l’inaccessibilità’ al mercato degli alloggi e la discriminazione delle politicheamministrative locali e nazionali, da intendere queste ultime come tutte le deliberazioni normative e le disposizioni dilegge nazionali che riguardano l’immigrazione.I risultati emersi sono rappresentati nel Grafco 2.

Rispetto alla discriminazione nel rapporto diretto con i proprietari di casa nella ricerca di un alloggio, essa è descrittaesplicitamente nei questionari come razzismo: i pregiudizi e gli atteggiamenti di intolleranza sono quelli che ricor-

rono più requentemente nella percezione dei migranti, con alcuni esempi specifci rispetto al colore della pelle e allamancanza di fducia diusa verso persone di origine diversa da quella Italiana.Uno degli aspetti citati in molti questionari e’ il atto che molti privati non afttano a stranieri, ponendo questa dis-

criminante prima ancora di capire se le persone in cerca di alloggio abbiano o meno le risorse sufcienti ad arontarela spesa di un aftto: questa per molti intervistati, è ritenuta uno dei motivi che alcuni intervistati citano come causadi situazioni di sovraollamento e ricatto permanente in cui i migranti sono costretti a vivere. Diverse persone interv-istate riportano anche la scelta di molte agenzie di non afttare a stranieri. Il dato che emerge in maniera signifca-tiva dalle risposte date e’ quello di prezzi maggiorati per gli stranieri, questione citata da circa un quarto delle personeche hanno risposto positivamente alla domanda sui problemi riscontrati nella ricerca di un alloggio. Anche la richiestadi molte più’ garanzie rispetto agli italiani e la difcoltà di ottenere un contratto regolare sono descritti come elementicaratterizzanti che compromettono una eguale accessibilità a parità’ di risorse economiche rispetto ai nativi bianchi.

Questo orte elemento di discriminazione raorza un processo di esclusione di tipo etnico dal mercato degli alloggi,che aggrava la condizione dei migranti in un mercato degli alloggi che e’ già di per se escludente per larghe asce dellacittadinanza. Atteggiamenti discriminatori e razzisti emergono anche nella difcoltà della ricerca di un lavoro e perquanto riguarda le retribuzioni più basse per migranti a parità di impiego, elementi che incidono in maniera sostan-ziale nella ricerca di un alloggio.L’ inaccessibilità’ agli alloggi sopra descritta non dipende esclusivamente dai pregiudizi dei privati, ma come già men-zionato questo meccanismo viene implementato dalle politiche discriminatorie messe in atto dalle amministrazionilocali e dal governi che si sono succeduti negli anni. Rispetto alle politiche discriminatorie, l’elemento che emerge inmaniera più decisiva dai questionari e’ legato ai molti requisiti specifci per gli stranieri richiesti per legge, non soloper poter afttare regolarmente un alloggio ma anche per poter accedere alle case popolari. Come conseguenza di

queste politiche escludenti, diversi intervistati riportano un senso di sfducia rispetto alle amministrazioni che utiliz-zano i migranti come onte di sruttamento e criminalizzazione, escludendoli dalle possibili soluzioni che le già inade-

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guate politiche abitative orono.Una più bassa percentuale è rappresentata anche da coloro che ritengono il atto di avere dei fgli a carico o co-munque di essere parte di un nucleo numeroso elemento distintivo della percepita discriminazione di accessoall’alloggio: questo dato è rappresentato nel grafco 2 come “altro” e conerma la realtà vissuta da molte amiglie,

anche non migranti, di maggiore difcoltà nel trovare un aftto con un nucleo di più persone principalmente perchéquesto rappresenterebbe una problema in più al momento di un eventuale rottura dei termini di aftto ormali e non.Ritornando all’analisi quantitativa, il Grafco 3 mostra le principali motivazioni portate dagli intervistati sul motivo percui hanno abbandonato la precedente sistemazione alloggiativa.Grafco 3. Perché hai lasciato la precedente sistemazione alloggiativa.

Il 30 % del campione aerma di aver lasciato la propria abitazione per motivi economici: questo dato rappresenta laconerma di un sostanziale impoverimento delle amiglie in particolare quelle più numerose che, secondo i parametriIstat e Eurostat, tra gli anni 2008 e 2009, risultano sempre più impossibilitate a ar ronte a spese impreviste, mentre

sono in aumento quelle che sono state in arretrato con debiti diversi dal mutuo (dal 10,5 del 2007 al 14,0 per cento diquelle che hanno debiti) e quelle che si sono indebitate che sono arrivate al 16,5 per cento dal 14,8 di tre anni a (FonteIstat: distribuzione del reddito e condizioni di vita in Italia, Dicembre 2010). Il 16% è rappresentato dalla parte giovaniledel campione che aerma di aver lasciato la precedente sistemazione per attori legati all’emancipazione dal proprionucleo amiliare: anche in questo caso, la scelta di un alloggio in stabili occupati risiede nell’impossibilità a sostenereuna spesa di aftto eccessivamente alta a ronte di nessun tipo di stabilità lavorativa e di reddito.L’8% degli intervistati aerma di aver abbandonato al propria abitazione precedente perché troppo piccola, atto do-vuto principalmente all’ allargamento del nucleo amiliare e ai ricongiungimenti amiliari: moltissime delle amigliemigranti intervistate inatti, dopo un breve periodo di instabilità e dopo lunghi percorsi per la regolarizzazione delproprio titolo di soggiorno, scelgono di portare in Italia anche i fgli minori o i coniugi o i parenti più prossimi conla speranza di garantire loro una prospettiva utura nel nostro paese. In merito agli sratti per morosità o per fnita

locazione, i dati emersi rilevano una minima percentuale di entrambi: il totale del 9% può essere interpretato consid-erando che probabilmente i movimenti organizzati per il diritto all’abitare non hanno intercettato queste asce dellapopolazione che fnora ha goduto di una situazione economica più o meno stabile e che solo negli ultimi anni sta so-rendo di un orte enomeno di impoverimento.Infne, una grossa etta degli intervistati dichiara di aver lasciato la propria sistemazione alloggiativa per motivi cheper semplicità sono stati accorpati nella categoria “altro” del Grafco 3 e che vengono esposti in particolare nel Grafco3.1.Possiamo notare che il 14% dichiara che il proprio alloggio precedente non era vivibile: anno parte di questa percen-tuale tutti coloro che dichiarano di aver dormito in stanze sovraollate o perchè afttavano in nero un posto letto.Un altro 14% è rappresentato da coloro che in seguito alla preassegnazione della casa popolare si sono spostati da

situazioni instabili in soluzioni di assistenza alloggiativa come i residence o gli alberghi pagati dal comune. Il 16%invece imputa alla perdita di lavoro e ai conseguenti problemi economici connessi a questo la perdita della precedente

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sistemazione: tra questi ritroviamo coloro che non sono riusciti a sostenere un mutuo già aperto e coloro che hannorinunciato allo spazio dove vivevano in aftto perché non più capaci di sostenerne le spese. Infne un ulteriore 16% èrappresentato da chi aerma di aver volontariamente lasciato il proprio alloggio perché voleva migliorare le proprie

condizioni di vita in vista di una prospettiva di maggiore stabilità e sicurezza: di ronte all’estrema difcoltà di accessoal mercato degli aftti e dei mutui, queste persone hanno iniziato una battaglia per la rivendicazione di una più altaqualità della vita per loro e per un uturo per i propri fgli a partire dalla lotta per l’assegnazione di una casa popolare.Volendo andare più a ritroso nell’analisi della storia, a volte lunga, di ricerca di un alloggio e del percorso che questepersone hanno atto per arrivare alla loro attuale situazione, si è scelto di chiedere anche le precedenti sistemazioni.Riportiamo di seguito, nel Grafco 4 e nel Grafco 4.1, i dati emersi rispetto alle motivazioni legate al cambiamento diresidenza ancora precedenti a quelle sopra riportate.

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Scegliendo di evidenziare solo i dati più signifcativi, vediamo anche il 22% riporta ancora un attore economico comemotivo principale di spostamento alloggiativo, mentre il 13% ha avuto necessità di spazi più grandi per la propriaamiglia. L’11% infne è relativo a coloro che hanno scelto di emanciparsi dal proprio nucleo amiliare mentre il 33% ,defnito come altro, si divide come rappresentato nel Grafco 4.1: anche in questo caso il 27%, che rappresenta la per-

centuale più alta, è di coloro che dormivano per strada o in baracche in condizioni molto difcili o impossibili di vita. Il20%, rappresentato integralmente da donne straniere, dichiara di aver precedentemente abitato presso il proprio da-tore di lavoro, in quanto assunte come assistenti per anziani o disabili, col o collaboratrici domestiche: secondo i datiIstat, nel 2009 in Italia questo ha riguardato una amiglia su cinque di stranieri che vivevano nel 60% dei casi a titologratuito presso queste amiglie (Istat, Le amiglie con stranieri: indicatori di disagio economico relativo all’anno 2009,Febbraio 2011). Il 13% dei casi riportano di essere stati ospitati presso amici o parenti e la stessa percentuale riporta diaver vissuto in un centro di accoglienza per migranti o per richiedenti asilo. Purtroppo rimane un dato del 20% chenon è analizzabile in quanto non esplicitato nelle risposte.La terza area del questionario ha provato a defnire quali percorsi nelle reti ormali e inormali le persone in emergen-za abitativa hanno compiuto e quali risposte hanno ottenuto sia da parte degli enti pubblici preposti, quali il Comunee i servizi territoriali, sia dalle organizzazioni sindacali e di base.

Tabella 12. Quando ti sei trovato/a in

emergenza abitativa a chi ti sei rivolto/a per

primo?

Italiani Stranieri

Comune 10,42% 14,75%

Servizi sociali del municipio 2,08% 6,56%

Sindacato o associazioni degli inquilini 2,08% 0,00%

Amici/ parenti 25,00% 27,87%

Movimenti per il diritto all’abitare 56,25% 50,82%

Altro 4,17% 0,00%

Totale 100,00% 100,00%

La Tabella 12 descrive i risultati alla domanda “Quando ti sei trovato/a in emergenza abitativa a chi ti sei rivolto/a per

primo?” distribuendo le percentuali tra i cittadini italiani e stranieri intervistati. La maggioranza sia dei primi che deisecondi indica i movimenti di lotta per la casa come reerenti preerenziali per il proprio problema di emergenza abita-tiva: questo avviene nel 56,25% dei casi per gli italiani e in più del 50% dei casi per i migranti. Questo dato così defnitopuò essere interpretato in parte con una generale sfducia verso gli attori istituzionali che per primi dovrebbero esserein grado di raccogliere un dato di disagio sociale: il Comune è menzionato solo nel 10,42% dei casi per gli italiani e nel14,75% dei casi per i cittadini stranieri. A questi possiamo aggiungere i servizi sociali del territorio che però rappresen-tano un’opzione possibile solo in una misura molto limitata. A ronte di ciò, emerge una netta preerenza per le retiinormali più o meno vicine. Al secondo posto inatti si collocano gli amici e i parenti come prima possibilità di aiutoe sostegno: questo è vero nel 25% degli intervistati italiani e per oltre il 27% di quelli stranieri. È proprio attraversoqueste reti più prossime che le persone entrano in contatto con i movimenti di lotta per la casa: spesso inatti hannogià intrapreso questo percorso altri membri della amiglia ed è quindi più semplice avere accesso alle inormazioni e

alle possibilità di organizzazione, in maniera particolare per i migranti che sruttano i luoghi di ritrovo della propriacomunità per mettere in moto meccanismi di mutuo aiuto e scambio di inormazioni.

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Come ultimo dato quantitativo viene presentata in Tabella 13 e nei grafci seguenti le orme di accesso che sia i citta-dini migranti che quelli italiani hanno avuto a orme welaristiche di sostegno al reddito in orma diretta o indiretta.

Tabella 13. Hai mai ricevuto forme pubbliche di

sostegno al reddito?

Italiani Stranieri

SI 19,15% 14,75%

 NO 80,85% 85,25%

Totale 100,00% 100,00%

Dalla tabella è evidente che la stragrande maggioranza del campione sia italiano che straniero non ha mai avutoaccesso a orme di aiuto da parte del settore pubblico: questo è vero per l’85% degli stranieri, spesso esclusi da ormedi sostegno pubbliche per motivi inerenti i tempi di soggiorno ma anche per più dell’80% degli italiani. Se andiamoa chiedere il motivo di tale esclusione dalle minime seppur esistenti orme di aiuto e sostegno al reddito diretto e

indiretto, possiamo rilevare come il 43% del campione non ha mai presentato domanda, mentre il 40% pur avendolapresentata non ha avuto risposta o ha ricevuto un diniego (Grafco 5).Grafco 5. Se non hai avuto sostegni pubblici, perché?

Non presentare domanda, non tentare nemmeno un accesso a piccoli sostegni economici, in particolar modo in unperiodo di crisi occupazionale e da parte di nuclei già in emergenza abitativa, ci dà modo di percepire la sfducia dellepersone verso sussidi che non arrivano mai o che sono basati su criteri che riguardano una bassissima percentuale dipersone. La stessa percezione di coloro che hanno eettivamente tentato di accedere a qualche tipologia di sussidioma ne sono comunque rimasti esclusi.Per quei pochi che hanno invece potuto usuruire di minime orme di sostegno economico, essi sono rappresentati nel

24% dei casi da buono casa e orme di aiuto all’aftto, nel 18% dei casi all’assistenza alloggiativa come rappresentatonel Grafco 6.Grafco 6. Se hai avuto accesso a orme di sostegno pubblico, quali?

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Un altro 18% è rappresentato da coloro che hanno atto recentemente richiesta per il reddito minimo, secondo laLegge regionale del 20 marzo del 2009, che risultano benefciari ma che ancora non hanno ricevuto l’erogazione. Il 41%categorizzato come “ altro” invece è rierito a diverse tipologie di assistenza, quali case amiglie, centri di riugio per

migranti, centri per richiedenti asilo.

2.3 – Descrizione delle domande aperteNella costruzione del questionario da somministrare al campione preso in considerazione, sono state poste una seriedi domande aperte per ar emergere, oltre alle inormazioni di tipo anagrafco e attuale della condizione lavorativa,della composizione del nucleo e altre inormazioni pratiche, anche degli elementi qualitativi che permettessero dianalizzare che percezione hanno le persone sottoposte al questionario rispetto ad alcuni elementi difcilmente de-scrivibili in tabelle o attraverso delle risposte multiple.Verranno descritti in una prima parte gli aspetti signifcativi della percezione che i soggetti intervistati hanno ris-petto alla propria attuale sistemazione, mentre in seguito cercheremo di capire che tipo di indicazioni emergono daiquestionari rispetto alla percezione personale dell’emergenza abitativa e ai limiti dell’intervento delle istituzioni e allepossibili proposte.Aspetti positivi e negativi dell’attuale sistemazione alloggiativa. La richiesta di menzionare due aspetti di carattere“positivo” e due aspetti di carattere “negativo” rispetto all’alloggio che attualmente si abita, apre a valutazioni preva-lentemente di tipo qualitativo: le risposte, di tipo aperto, orono inatti un quadro che possiamo in parte suddividerein generiche categorie. La scelta di impostare le risposte in orma “aperta”, ha inatti necessariamente portato a defni-re delle aree di rierimento dei attori espressi nei questionari: un’area che raccoglie i attori economici, una rispettoalla relazionalità e ai meccanismi mutuali, una sulla progettualità e la prospettiva di attivazione politica che incentivala partecipazione a movimenti di lotta per la casa.I dati rispetto alla percezione in “negativo” delle soluzioni alloggiative osservate, possono essere genericamente sud-divise in attori relazionali (in particolare rispetto alle dierenze culturali di cui sono portatrici le tante nazionalità

coinvolte nell’indagine), in attori rieribili al livello di impegno che la lotta per la casa richiede, e alle relazioni, nonsempre scontate, con i territori in cui si vive. Anche la precarietà degli alloggi rappresenta un elemento di disagioriscontrato requentemente. Questo rispecchia in particolare due aspetti: lo stato strutturale di alcuni palazzi, siaoccupati che assegnati, e il rischio, specie per le occupazioni più giovani, di venir sgomberati dalla orza pubblica, conquanto consegue in termini di incolumità personale e dei propri cari, oltre che per la paura di ritrovarsi nuovamentein emergenza stringente.Per concludere, dobbiamo tenere in considerazione che ogni questionario aveva spazio per due risposte “positive” edue “negative”, per cui i dati vanno rapportati con questa scelta di metodo.Rispetto ai attori economici, la percezione positiva delle soluzioni, per quanto precarie, è abbastanza scontata: lascelta dell’occupazione o la richiesta di un’assistenza presso le istituzioni pubbliche, sono strettamente connesse aduna necessità economica.

Se già il nostro paese presentava una evidente ragilità dal punto di vista dell’esclusione sociale ben prima della at-tuale crisi economica e fnanziaria, l’andamento degli ultimi 3 anni rispetto al mercato del lavoro ha ulteriormenteaggravato la situazione, con un calo dell’occupazione del 2,4% tra il primo trimestre 2008 e lo stesso periodo del 2010(CIES Rapporto sull’esclusione sociale 2010). I attori economici risultano inatti determinanti nel 33% dei casi circa delcampione che li ritiene la motivazione più importante della propria scelta abitativa.Gli spazi che ospitano l’emergenza abitativa, siano occupazioni, residence, o strutture intermedie nel passaggio da oc-cupazione ad assegnazione, sono spazi urbani, soggetti alle dinamiche di “fducia e paura” che rappresentano, sintet-icamente, lo spettro delle relazioni tra cittadini nelle metropoli globali (Baumann, 2005).All’interno degli spazi dell’emergenza abitativa, orse ancora più acilmente che altrove, si mescolano stili di vita indi-viduali, e identità collettive, che propongono modalità di relazione spesso inedite agli stessi soggetti che li abitano. I

attori relazionali legati alle condizioni di coabitazione e condivisione di spazi comuni sono tra i più citati all’internodell’indagine.

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Dobbiamo prima di tutto riettere su alcune questioni: la prima è, appunto, la multiculturalità dei soggetti in emer-genza abitativa, la seconda, importante dal punto di vista della relazione con “l’esterno”, delle soluzioni alloggiative, è ilattore “comunitario” sul quale va ricomponendosi la società italiana negli ultimi 2 decenni.Rispetto alle problematiche di interesse collettivo, va inatti sempre più diondendosi la percezione locale, se

non addirittura individuale, dell’interesse. L’attenzione dei cittadini è sempre meno rivolta al unzionamento eall’accessibilità dei servizi in generale, e sempre più alla qualità delle singole prestazioni che li riguardano da vicino:“non chiedono la riorma del sistema della sanità, ma il unzionamento del “loro” ospedale; non chiedono la riormadel lavoro, ma il “loro” lavoro” (Tremonti, 2009).Le occupazioni di casa al centro dell’analisi in questo non rappresentano propriamente un elemento di discontinuità,ma in se racchiudono esperienze e percezioni utili per una defnizione alternativa dell’abitare. Le condizioni materialidegli edifci, solitamente non destinati all’abitazione all’origine, impongono, soprattutto nelle prime asi della storiadi occupazione, una condivisione dei servizi (bagni e cucine). A questo aspetto, che viene comunemente defnito in“negativo”, a però da contrappeso la possibilità, attraverso appunto la coabitazione, di intessere reti mutuali, chepermettono la circolazione di inormazioni, l’allargamento di relazioni oltre il proprio nucleo amiliare o comunitario,utili per l’accesso al mondo del lavoro, la soluzione di problematiche quotidiane, là dove né i servizi pubblici, né le retiparentali, possono ovviare: evidente è l’utilità della “comunità occupante” per le madri single. Anche in questo caso lapercentuale di coloro che ritengono le reti di mutualità un elemento positivo determinante nella propria scelta è dipiù del 36% dei casi.In una città come Roma la dinamica del mercato degli aftti ha ristrutturato la composizione sociale dei territori el’orientamento produttivo. Se osserviamo il centro storico, si è svuotato di oltre 250.000 persone in circa 50 anni, inparte a causa dell’andamento demografco generale del paese, ma in misura ben superiore, per il processo di espul-sione che ha accompagnato la richiesta di maggiori spazi per l’economia di servizi (Berdini 2008). Anche la perieriastorica consolidata, quella sorta tra gli anni ‘20 e il secondo dopoguerra, sta vivendo, nell’arco sud-orientale della città,un meccanismo di apprezzamento degli immobili, che privilegia soluzioni in sovraollamento (requenti per esempionel contesto giovanile e studentesco) o condanna a ulteriore allontanamento i cittadini. La stessa edilizia residenzi-

ale pubblica prevede l’allontanamento, anche oltre il limite del GRA delle nuove edifcazioni come la zona di Ponte diNona. Roma si va ad equiparare con le altre metropoli europee, i cui ussi produttivi sono ormai allargati ben oltre glistessi confni municipali.La soluzione dell’occupazione, nella percezione del soggetto intervistato, rappresenta anche una maniera di miglio-rare la propria qualità della vita dal punto di vista degli spostamenti, della prossimità alle relazioni consolidate dellapropria esistenza, dell’inserimento in territori dotati di servizi: “L’abitare e l’appartenenza ad un territorio sono ruttodelle relazioni con il territorio circostante, con gli altri cittadini, con il tessuto commerciale, i servizi, i collegamenti, leistituzioni e si riette nei sogni e nei bisogni delle persone” (Cortellesi, Venezia, Carelli 2007). Nel caso degli autorecu-peri, ad esempio, la preservazione di queste relazioni rientra nel novero delle rivendicazioni che sottostanno alla sceltadi questa soluzione abitativa.Altro aspetto relativo alla qualità della vita emerso tra i soggetti più giovani, è la possibilità di costruire in uno spazio

abitativo sufcientemente grande, un progetto di esistenza autonomo dal nucleo amiliare o in convivenza con il/la partner. Prendendo in considerazione il Rapporto CIES sull’esclusione, osserviamo che tra i dati più evidenti dellacrisi in Italia abbiamo la essione dell’occupazione giovanile (20-34 anni), calata del 6,3% nel biennio 2008-2010 (CIES,Rapporto 2010), con una ricaduta evidente sulle possibilità di emancipazione per single e giovani coppie. Nel nostrocampione, è del 25%la percentuale che indica come un miglioramento della propria qualità di vita la possibilità diandare a vivere in occupazione poiché essa è considerata un passo verso la costruzione di un uturo di assegnazionedell’alloggio.Il campione a cui è stato sottoposto il questionario proviene da condizioni abitative che, per quanto precarie, sonoinserite in un quadro generale di attivismo intorno al diritto all’abitare.A Roma sono centinaia gli occupanti abusivi che agiscono individualmente.

Quelle monitorate sono invece occupazioni che hanno a rierimento movimenti più organizzati, che tengono insieme,in rete, numerosi spazi nella città. Anche gli autorecuperi sono rutto di organizzazioni socio-politiche strutturate.

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Queste organizzazioni, animate principalmente dagli stessi soggetti che vivono nelle occupazioni o che hanno otte-nuto una stabilità abitativa attraverso la mobilitazioni, sono percepite, oltre che come soluzione “assistenziale”, anchecome spazio di attivazione e costruzione di consapevolezza delle problematiche abitative.Questa consapevolezza non riguarda unicamente l’accesso agli alloggi popolari e alle orme di assistenza, ma anche in

generale i processi che governano il mercato immobiliare e le politiche pubbliche. Nell’ultimo decennio i movimentisi sono aperti a reti più ampie, aumentando lo spettro delle rivendicazioni e le alleanze, avvicinando anche soggetti ecollettività impegnate su altri versanti della partecipazione alle politiche urbanistiche locali e nazionali.Picchetti, tendopoli simboliche, maniestazioni sono divenute uno degli aspetti più requenti dello scenario politicocapitolino, coinvolgendo tutti gli enti locali. Ne sono stati esempi in questi ultimi anni diverse iniziative svolte sottol’assessorato alla casa del Comune di Roma, come quello del Dicembre 2009 che ha visto centinaia di amiglie accam-pate sotto i portici di Lungotevere de Cenci in attesa di risposte da parte dell’amministrazione capitolina sul pianocasa della città; oppure l’occupazione di monumenti o siti particolarmente signifcativi quali il Colosseo nel mesedi ebbraio del 2010 o i tetti dei musei capitolini nel settembre del 2009 a seguito dello sgombero dell’occupazionedell’ex ospedale Regina Elena. Queste mobilitazioni, proseguite per settimane, hanno coinvolto centinaia di personeresidenti nelle occupazioni mettendo in piedi meccanismi di organizzazione e mutuo aiuto particolarmente onerosi.Tra gli intervistati, l’attivazione è percepita in maniera duplice: da una parte, positivamente, si constata la crescitaindividuale che viene prodotta dal dibattito interno alle occupazioni e ai movimenti, dall’altra però, emerge in manieradiusa la atica che la mobilitazione continua produce: i lavori precari, saltuari e part-time, requenti tra chi si trovain emergenza abitativa, sono difcilmente compatibili con i tempi della lotta per la casa. Nel nostro campione inatti,quasi il 30% degli intervistati ha indicato l’attivazione politica come risorsa e attore positivo a ronte di un 16% circache la indica come una scelta troppo onerosa e poco compatibile con la precarietà di vita, in particolare con le di-fcoltà legate alla ricattabilità sul posto di lavoro. Tuttavia in moltissimi casi la mobilitazione continua dei movimentiaut organizzati per il diritto alla casa diventa una scelta non opzionabile in quanto la necessità di avere “un tetto sullatesta” rappresenta la priorità anche di ronte alla precarietà lavorativa.Per quanto riguarda lo stato delle strutture, esso è indicato come attore negativo da diversi intervistati: spesso inatti

gli stabili occupati, dismessi da anni, presentano notevoli carenze dal punto di vista strutturale e impiantistico. Sonoper lo più le amiglie che li vanno ad occupare che si occupano di ristrutturare gli spazi e adeguarli alle necessità abi-tative dei nuclei in emergenza, anche se spesso alcune carenze permangono acendo si che la percezione della struttu-ra sia comunque molto precaria. Per chi vive nei residence, questa problematica non è centrale: gli spazi dell’assistenzaalloggiativa sono inatti nuovi e totalmente ristrutturati, anche se spesso si tratta di unità abitative piccole di 25/30mq (Unione Inquilini, dossier residence). La problematica più requente è quella della guardiania e del controllo ris-petto alle persone che vi accedono: inatti in queste strutture è presente una gestione esterna che limita la presenzadi persone ospiti che ogni volta che si recano a trovare amici o parenti che risiedono nel residence, sono obbligate aconsegnare il documento all’ingresso e a dichiarare il tempo di permanenza nella struttura. L’impossibilità per moltidi ospitare la propria amiglia nell’unica soluzione alloggiativa disponibile risulta pertanto una problematica orte,cosa che nelle occupazioni abitative non esiste in quanto le amiglie riescono ad organizzarsi autonomamente anche

nella gestione dell’ospitalità a nuclei esterni.Come già detto, la condizione di disagio che gli occupanti esprimono rispetto alla precarietà della loro casa, va artico-

lata anche rispetto al timore costante di essere sgomberati. Questa condizione non riguarda solo occupazioni “giova-ni”, ma anche quelle “consolidate”, dove, naturalmente, il rischio di perdere una stabilità acquisita e una qualità di vitamigliore è più alto. L’esempio dell’ex ospedale Regina Elena occupato per oltre due anni e sgomberato il 1 settembre2009, dimostra quanto concreto sia questo rischio: oltre 200 nuclei amiliari divisi e spostati in strutture di accoglien-za, solo in parte adeguate ad accogliere questo tipo di emergenze, in aree assai distanti dall’edifcio sgomberato (Mon-teverde, Vermicino, Grotte Celoni), con evidenti disagi per quanto riguarda il lavoro e la scolarizzazione.

Percezione dell’emergenza abitativa, i problemi delle politiche e le proposte dal basso. In questo paragrao cercheremo

di capire che tipo di indicazioni emergono dai questionari rispetto alla percezione personale dell’emergenza abitativa (Cos’è per te l’emergenza abitativa?), ai limiti dell’intervento delle istituzioni e alle possibili proposte ( Secondo te quali

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sono i limiti dell’intervento dello Stato e degli enti locali rispetto al diritto alla casa e quali le possibili proposte?).Le due domande aperte volte a ar emergere gli aspetti più soggettivi della condizione di emergenza abitativa hannoportato alla luce elementi comuni. La scelta di ormulare domande le cui risposte potevano andare a sovrapporsi èstata basata sulla necessità di ornire diversi spunti ai soggetti con l’obiettivo di raccogliere dei dati qualitativi las-

ciando più’ spazio agli intervistati per esprimere più liberamente possibile le proprie conoscenze ed opinioni rispettoalle questioni più generali relative alle politiche abitative locali e nazionali.Alcuni dei limiti delle politiche pubbliche in tema di diritto all’abitare e delle proposte vengono menzionati attraversouna percezione che parte da un punto di vista della propria esperienza personale, così come quest’ultima rimane cen-trale per immaginare da quali interventi le amministrazioni potrebbero dovrebbero ripartire per arontare il dirittoalla casa per tutte e tutti. Gli elementi qualitativi rispetto alle risposte date emergono dall’analisi combinata deidati delle due domande, che ci ore un quadro complessivo rispetto alle molte questioni toccate. L’aver posto questedomande in maniera aperta ha atto sì che ossero molte le questioni arontate dai diversi intervistati. Alcune ten-denze generali sono comunque osservabili.

Limiti dell’intervento pubblico e possibili proposte. Sono molteplici i problemi menzionati dagli intervistati rispettoall’intervento delle amministrazioni locali o nazionale, risaltano pero’ almeno tre aspetti che emergono in manieradistinta dalle risposte dei questionari. L’aspetto più citato e’ sicuramente quello della speculazione e la cementifcazi-one con alcune specifche menzioni rispetto ad una percepita corruzione da parte degli organi competenti.Un altro aspetto, che lascia trapelare tra le altre cose una buona consapevolezza rispetto alle responsabilità della ges-tione pubblica dell’emergenza abitativa, e’ una diusa percezione della mancanza di un piano di edilizia popolare edun quadro di politiche abitative adeguate ad arontare l’emergenza abitativa. Diverse persone hanno inoltre esplicita-mente atto rierimento all’insufcienza dei ondi stanziati per arontare tale emergenza e la svendita del patrimoniopubblico. Il terzo aspetto che trova una diusa percezione da parte degli intervistati e’ la mancanza di concretizzazi-one degli impegni che le amministrazioni prendono e la distanza dai cittadini. E’ questo un ambito che sembra esserelegato alla specifca condizione di soggetti in emergenza abitativa legati ai movimenti per il diritto all’abitare che

molto spesso hanno a che are con le amministrazioni; che sembrano voler ascoltare le istanze dei movimenti ma chespesso fniscono per temporeggiare nell’attuazione concreta delle innumerevoli promesse atte durante le manies-tazioni; promesse che una volta disattese creano un diuso senso di sfducia nei conronti degli interlocutori istituzi-onali come molti intervistati rieriscono.Rispetto alle possibili proposte d’intervento, gli ambiti che sono stati menzionati più spesso dagli intervistati sono unpaio: da un lato un gran numero di persone ha parlato della necessita’ di costruire case pubbliche/popolari, con moltearticolazioni più specifche rispetto al atto che questi alloggi dovrebbero essere costruiti per i soggetti che vivono unacondizione di precarietà generalizzata (nuclei monoreddito, giovani single, disoccupati etc.). L’altro ambito di propostauscito in maniera signifcativa dalle risposte è quello del recupero e della riqualifcazione di spazi in disuso da attu-arsi nelle orme di autorecupero e autocostruzione, due proposte concrete che molti intervistati sembrano conosceredirettamente, per conoscenza di progetti già esistenti o come proposte di alcuni movimenti per il diritto all’abitare.

Il grande numero di edifci vuoti e abbandonati viene menzionato molte volte come uno dei problemi legato ai limitidell’intervento pubblico.

Più Case, meno Proftto. Dall’analisi dei questionari, nell’ambito delle possibili proposte per le amministrazioni, sonodescritte una serie di proposte che partono da un senso pragmatico molto diuso, inatti nella ormulazione di unapossibile proposta molti intervistati non descrivono quello che vorrebbero e basta, ma, probabilmente coscienti delatto che le casse pubbliche non hanno mai ondi sufcienti per soddisare tutte le richieste che vengono atte alleamministrazioni, pongono delle possibili proposte nella ormula di “più case al posto di...”, proponendo diverse pos-sibilità di inversione di investimenti economici per soddisare la richiesta di case pubbliche. In diverse occasioni sitrovano proposte più generali nella ormula “più case, servizi e beni comuni al posto di...”, ma la maggior parte delle

risposte degli intervistati punta a chiedere maggiori investimenti nelle case popolari. Tra le proposte atte da moltiintervistati c’è quella di costruire più case invece di sprecare ondi pubblici nei residence, spesso descritti come uno

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spreco enorme di soldi che potrebbe servire appunto per costruire nuove case. Questo tipo di proposta emerge inmaniera molto diusa nei questionari somministrati nei residence stessi, proposta descritta spesso in relazione adun senso di rustrazione nel sapere dei costi elevatissimi di una sistemazione temporanea che non sembra orire néprospettive né tranquillità temporanea da parte di chi ci abita. Molti intervistati invece propongono come soluzioni

possibili per le amministrazioni di costruire più case al posto di costruire nuovi centri commerciali e grandi opere,esempi che anno emergere la percezione di sproporzione tra le pochissime risorse investite nell’emergenza casa e ledimensioni araoniche di questi tipi di costruzione e invasione della città con tutti i costi esorbitanti annessi alla lororealizzazione.Alcuni intervistati hanno esplicitato la proposta di veder costruire più case invece degli investimenti militari, propostache ha trovato probabilmente diversi sostenitori in un momento in cui il comune di Roma si appresta a svendere moltistabili e caserme per fnanziare il ministero della diesa. Il atto che alcune delle persone intervistate vivessero in unadi queste caserme (quella di via del Porto Fluviale) ha oerto la possibilità recente per queste amiglie di immaginareuna proposta di recupero dello spazio alternativa alla valorizzazione del Comune di Roma che tenga dentro un’idea difnalità sociale e abitativa per queste amiglie e per la città tutta.L’altra possibile soluzione proposta da molte persone è legata non solo ad un attore economico, indirettamentelegato alla proposta, ma ad un elemento geografco. Inatti c’è un numero considerevole di persone che propone dicostruire o ricavare più case nelle zone centrali della città. La questione della distanza dai centri produttivi della cittàè posta in molti casi da persone che hanno abitato per anni in zone con elevata accessibilità ai servizi e si trovanoadesso a vivere in strutture più distanti e isolate, o viceversa, dopo anni di lunghi spostamenti per raggiungere i postidi lavoro sono riusciti ad avvicinarsi alle altrimenti inaccessibili zone più interne grazie alla scelta di aver occupato enon vorrebbero doversi allontanare nuovamente dai territori dove si stanno costruendo una vita con tutte le relazionisociali che questo comporta. La questione della gentrifcazione sembra assumere un ruolo sempre più importante inanni dove si pensa ad allargare le città a dismisura con la pianifcazione di nuovi quartieri satellite sempre più distantie scollegati dalla città e dai servizi. Esempi come quello di Ponte di Nona dove sono state consegnate le ultime casepopolari costruite dal Comune di Roma lasciano sempre più persone col dubbio quanto davvero sia meglio avere una

casa popolare a 50 km dal proprio lavoro piuttosto che nelle occupazioni spesso collocate in zone centrali dove è sem-plice avere accesso a servizi, lavoro e scuole.

Percezione dell’emergenza abitativa. Da una prima osservazione delle risposte su cosa sia per gli intervistatil’emergenza abitativa, la mancanza di un posto dove vivere, l’impossibilità di arrivare a fne mese e il non poter pagarel’aftto o un mutuo sono gli elementi caratterizzanti che il maggior numero di intervistati ha nominato, lasciandoad intendere che la maggior parte delle persone che si trovano in emergenza abitativa percepiscono tale emergenzacome un problema del singolo soggetto o nucleo. Da una più attenta ed approondita osservazione delle risposte,emerge invece un quadro diverso. Anche se durante la somministrazione del questionario si è chiesto di partire dallapropria esperienza per descrivere l’emergenza abitativa, molti intervistati hanno voluto evidenziare elementi di carat-tere più generale, parlando di aspetti non immediatamente riconducibili all’emergenza abitativa quali un più gener-

ale senso di precarietà di vita di cui l’emergenza abitativa è una parte sostanziale. Diverse sono invece le risposte chelegano l’emergenza abitativa direttamente alla crisi economica e fnanziaria come per esempio il calo dell’occupazionee il problema della continuità del reddito.

Precarietà e Lavoro. Molti intervistati hanno nominato la questione della precarietà e del lavoro per descriverel’emergenza abitativa, in particolare la precarietà diusa sembra essere un elemento caratterizzante dell’emergenzaabitativa per molti intervistati, così come la mancanza di lavoro. Elementi che vengono nominati da molte personeanche in relazione ai problemi relativi all’intervento pubblico e alle possibili soluzioni.Rispetto alla precarietà come elemento descrittivo di una condizione generale di vita, alcuni esempi specifci emersisono quello della precarietà per le amiglie monoreddito, già menzionato rispetto alla proposta di costruzione di case

popolari per soggetti con queste caratteristiche. Altro elemento descritto spesso esplicitamente come caratterizzantedell’emergenza abitativa in relazione alla precarietà è la mancanza di un reddito minimo garantito, elemento che

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ritroviamo sia nelle possibili proposte come necessità di welare per giovani, lavoratori precari, sia nella parte legataai problemi dell’intervento pubblico delle istituzioni, dove diverse risposte parlano appunto della mancanza di unwelare per i single, studenti e disoccupati tra le categorie maggiormente nominate. Diversi intervistati parlano più ingenerale della redistribuzione delle ricchezze come proposta per risolvere l’emergenza abitativa.

Per tornare invece alla questione del lavoro, la perdita del lavoro, l’impossibilità di combinare lo studio con il lavoroe in maniera predominante il ricatto costante del lavoro da dover accettare a tutte le condizioni per poter pagare unaftto, sono aspetti emersi nella descrizione dell’emergenza abitativa, ma anche nell’ambito delle proposte la richiestadi un lavoro è un tipo di proposta concreta che esce da molti questionari.

Aftti e Sratti. Il problema degli aftti come già detto risulta essere uno degli elementi predominanti nel descriverela percezione di che cosa sia l’emergenza abitativa, molte volte menzionato come il maggior ardello economico perriuscire ad arrivare a fne mese. Sono requenti i rierimenti ad un mercato degli aftti troppo alto o alla sproporzi-one tra stipendi e aftti. Sproporzione che diventa insormontabile nei molti esempi dati da intervistati con amigliecon monoreddito, persone che hanno perso il lavoro, si sono separate dal coniuge, emancipate dal nucleo amiliare oanche semplicemente in pensione. Come conseguenza dell’impossibilità di pagare l’aftto viene menzionata la ques-tione degli sratti sia come limite dell’intervento pubblico dove viene menzionato spesso il grande numero degli srattisenza possibili alternative per chi si trova in mezzo ad una strada sia come elemento caratterizzante dell’emergenzaabitativa. E’ nell’ambito delle proposte che invece i questionari rivelano un dato signifcativo nel un numero signifca-tivo di persone intervistate propone tra le possibili soluzioni per risolvere l’emergenza abitativa il ribasso degli aftti elo stanziamento di ondi per regolare il mercato degli aftti.

Migranti e diritti. Nonostante l’elevato numero di persone migranti intervistate, la maggior parte delle risposte alledomande aperte sulla condizione di emergenza abitativa non hanno in prima battuta esplicitato problemi relativialla condizione di migrante, anche se alcuni aspetti hanno trovato comunque spazio nelle risposte date. In particolare,l’aspetto nominato più spesso è quello della mancanza di diritti su un piano generale, dentro il quale è ricompreso il

diritto all’abitare per tutti, italiani e migranti, Anche la ricattabilità sul posto di lavoro, già descritta prima, viene elen-cata molte volte come elemento distintivo, anche se non esclusivo, della percezione dell’emergenza abitativa da partedei migranti. Altre menzioni vengono atte alla precarietà legata ai documenti così come per alcuni all’inaccessibilitàagli aftti regolari per chi non ha i documenti: la ricattabilità dettata da una condizione di irregolarità di soggiornocostringe spesso le amiglie straniere a accettare di vivere in situazioni di grave deprivazione abitativa. Secondo i datiIstat, particolarmente signifcativo per la condizione abitativa è l’indice di sovraollamento per le amiglie migrantiche su un dato nazionale arriva fno al 37,2% contro il 14,6% delle amiglie italiane (Istat, Le amiglie con stranieri: indi-catori di disagio economico per l’anno 2009).Solo in pochi intervistati, nell’ambito delle proposte concrete parlano di un aiuto per gli stranieri.Queste considerazioni si aggiungono a quelle atte precedentemente sulla percezione da parte dei migranti di unavera e propria discriminante etnica sull’accessibilità agli alloggi siano essi in aftto o in altre orme di locazione.

Futuro e Dignità. Un altro aspetto che viene menzionato molte volte con ormulazioni diverse è quello dell’incertezzaper il uturo; l’elemento che nella descrizione dell’emergenza abitativa viene esplicitato come mancanza di prospet-tive o l’impossibilità di sviluppare progetti di vita, per i migranti diventa anche l’impossibilità di radicare il proprioprogetto migratorio nel nostro paese. Lo stesso aspetto emerge anche alle risposte sui limiti dell’intervento pubblico,dove l’incertezza per il uturo viene nominata esplicitamente come conseguenza delle carenze delle amministrazioniche non prospettano soluzioni che guardino al uturo per risolvere l’emergenza abitativa. La diusa sensazione di pre-carietà ricorre spesso nei termini di mancanza di una stabilità, cosi come l’impossibilità di costruirsi una prospettivadignitosa. L’espulsione orzata dalla città, anche se è già stata ricompresa tra gli aspetti legati ai limiti dell’interventopubblico, rappresenta un elemento ricorrente anche tra le risposte circa la percezione di incertezza per il uturo inquanto costringe ad interrogarsi circa la qualità della vita e delle relazioni umane e sociali che si andranno ad incon-

trare nei quartieri di edilizia popolare cui si è destinati.Per concludere l’analisi dei dati relativi alla domanda sui limiti dell’intervento pubblico, occorre sottolineare come

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emerga costantemente da un lato un senso di sfducia generalizzato verso le istituzioni e dall’altro la voglia di pren-dere parola e partecipare alla costruzione e ridefnizione del proprio uturo. Possibilità che molti intervistati percepis-cono di poter attuare all’interno di un processo collettivo di costruzione di alterità come quello dei movimenti per il di-ritto all’abitare in unzione di una proposta di soluzione per il loro problema abitativo. In questo senso le occupazioni

di stabili abbandonati rappresentano una soluzione che, seppur temporanea, risulta efcace per tamponare la propriaemergenza abitativa mentre si costruiscono insieme ad altri degli strumenti per proporre soluzioni concrete, senzaattendere che queste arrivino dall’alto.

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CASO DI STUDIO 1 : La condizione abitativa di immigrati e rifugiati politici a Roma

Per la prima volta nella storia dell’umanità la metà della popolazione mondiale vive in aree urbane (UN- Habitat,2006). Inoltre, secondo le ultime stime delle Nazioni Unite nei prossimi 25 anni la crescita della popolazione mondiale

si concentrerà soprattutto nelle aree urbane. Da una parte questo potrebbe essere considerato come un trend posi-tivo dal momento che le città sono state per lungo tempo celebrate come i “motori della crescita” e l’urbanizzazioneè stata vista come processo indispensabile per lo sviluppo di una nazione. Tuttavia con il 31,6% della popolazioneurbana che vive in aree urbane inormali (urban slums) (Un-Habitat 2003), più che motori della crescita sembra che lecittà siano diventate “discariche umane” (Davis, 2006).In questo complesso scenario, le migrazioni internazionali pongono nuove sde per quanto riguarda la gestione dellecittà. La multi-etnicità oggi costituisce una delle principali caratteristiche della città contemporanea. Tuttavia, le cittàsembrano tendere non all’integrazione dei migranti ma al contrario alla loro esclusione e segregazione all’internodi aree inormali. I crescenti ussi di migrazioni internazionali e l’intensicazione dei problemi di povertà urbana cost-ringono la maggior parte dei migranti a dover trovare soluzioni alloggiative inormali e non adeguate, che tendono araforzare il circolo vizioso della povertà e delle divisioni della società.

Al momento ci sono circa 214 milioni di migranti internazionali (Caritas e Migrantes, 2010), la maggior parte dei quali

si dirige verso le aree urbane dove le possibilità di trovare un lavoro sono maggiori (Balbo 2005). Come sottolinea leGales (2002) la traduzione urbana dell’immigrazione è ben nota: gli immigrati si installano massicciamente nellegrandi città1 dove posso accedere più acilmente all’economia inormale, ed a network di conoscenze. Molti dei mi-granti giunti in città in cerca di lavoro s’insediano stabilmente modicando la morologia sociale, la struttura eco-nomica e anche la congurazione sica della città (Alessandria, 2006).Grazie alle migrazioni internazionali le città sono ormai diventate il luogo d’incontro delle diversità, d’individui origi-nari di molti paesi e di coesistenza di molte culture (Sassen, 2006). Tuttavia molto spesso le tradizioni culturali, socialie religiose dei migranti diferiscono da quelle del paese ospitante, cosa che rende la loro integrazione all’interno delcontesto urbano più dicoltosa. Molti dei migranti una volta arrivati in un nuovo contesto urbano preeriscono stabi-lizzarsi all’interno di comunità di persone provenienti dalla stessa area geograca, che possono ornire il sostegno edi network inormali che generalmente le istituzioni locali sono incapaci di ornire (Balbo, 2005). Spesso tra le comu-nità immigrate si organizzano veri e propri spazi sociali con propri codici, gerarchie e pratiche (Le Gales, 2002). Questi

network inormali sono di vitale importanza per i migranti perché appena arrivati in un nuovo contesto urbano liaiutano a trovare una abitazione a basso ed un lavoro. Tuttavia se da una parte i network inormali sono importantiper l’inserimento abitativo e lavorativo dei migranti dall’altra tendono a creare comunità chiuse e a raforzare lasegregazione urbana. Inoltre la maggior parte dei migranti solitamente si va ad aggiungere ai livelli più poveri dellapopolazione urbana ed, in particolare, sembra che invece di essere inclusi all’interno delle città i migranti venganosegregati sia economicamente che socialmente ai margini delle stesse.Per tutte queste ragioni ci sembra quindi ondamentale che i decisori delle città garantiscano condizioni materiali edorganizzative adeguate ad accogliere ed integrare i nuovi cittadini.

I dati riguardanti la presenza di immigrati presenti in Italia mostra un aumento esponenziale a riprova di un enom-eno ormai di primaria importanza ed in rapida crescita.Negli ultimi venti anni la popolazione immigrata in Italia è cresciuta di quasi venti volte: nel 1990 erano presenti circa

mezzo milione di immigrati, mentre all’inizio del 2010 erano 4 milioni e 919 mila persone (1 immigrato ogni 12 resi-denti) (dati Caritas e Migrantes 2010).La presenza di immigrati nella città di Roma è la più elevata d’Italia, con una popolazione straniera nel 2010 di 320.409persone, il 9% in più rispetto a gennaio del 2009 (dati Caritas 2010). Roma appare essere quindi essere ormai una cittàmulti-etnica, tuttavia questo non si traduce con la presenza di pari opportunità per cittadini italiani e stranieri. Inattigli immigrati costituiscono oggi in Italia la parte più consistente dell’esclusione abitativa.L’ultimo ventennio italiano è stato caratterizzato da una parte dalla crisi dell’edilizia residenziale pubblica e dall’altrada una crescente dicoltà di accedere ad una casa sul mercato sia della vendita che dell’atto. Dal 1984 al 2004 c’èstato un drammatico calo nella produzione di edilizia pubblica, no ad arrivare nel 2004 alla costruzione di solamente1.900 alloggi in tutto il paese. La mancanza di edilizia pubblica è particolarmente grave in un contesto come quelloromano in cui 32.000 persone sono in lista per una casa popolare (sito del Comune di Roma). A questo scenario siuniscono le dicoltà economiche dei costi dell’acquisto dell’abitazione primaria oppure dal pagamento dell’atto,tanto più che a rivolgersi al mercato dell’atto sono proprio le asce più deboli della popolazione. Ormai a Roma le di-

coltà ad accedere una casa non riguardano una ascia ristretta dei cittadini, ma l’emergenza abitativa coinvolge circa40 mila amiglie, circa 100 mila persone (dati Caudo e Sebastianelli 2007) tra immigrati, amiglie sotto sratto, amiglie

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a basso reddito, giovani precari ed anziani.Il enomeno dell’immigrazione in Italia è stato considerato per molto tempo come un enomeno temporaneo, al qualedestinare di conseguenza un numero limitato di risorse. Tuttavia la stabilizzazione negli ultimi anni del enomenomigratorio e la sua intensicazione ha portato ad un aumento della domanda di abitazioni a basso costo da partedegli immigrati che si è andata ad aggiungere alla domanda, ancora non soddisatta, di molti cittadini italiani. Questoha portato ad una sorta di “concorrenza” tra nuclei amiliari a basso reddito italiani ed immigrati nella dicile ricercadi abitazioni a basso costo (Asal 2001) e vista la mancanza di case popolari, attualmente la ricerca di una casa passainevitabilmente attraverso il libero mercato. Quindi i nuclei amiliari più vulnerabili sia italiani che stranieri devonoconcorrere tra loro nel libero mercato per la ricerca di un’abitazione. Tuttavia, nel libero mercato gli immigrati ven-gono discriminati sia per quanto riguarda l’atto che l’acquisto di una abitazione. Baldini e Federici (2010) con la lororicerca2 hanno testato la disponibilità dei proprietari ad attare a stranieri, arrivando alla conclusione che esiste unachiara discriminazione nei conronti degli immigrati e che una parte dei proprietari non è disposta a concedere unacasa in atto agli stranieri. Gli immigrati risultano quindi svantaggiati nella ricerca della casa rispetto ai nuclei amil-iari italiani.Il buon unzionamento del mercato degli atti è ondamentale per avorire l’integrazione degli immigrati e di con-seguenza queste prassi discriminatorie non hanno “permesso, in questi anni di continui e consistenti ussi migratori,una soddisacente integrazione nel tessuto sociale urbano, originando tensioni specialmente in alcune zone general-

mente povere della città. Ciò ha inuito negativamente anche sull’unità amiliare dato che una delle condizioni pre-vista dalla normativa per richiedere il ricongiungimento amiliare è la disponibilità ad un alloggio autonomo” (Caritase Migrantes, 2010: 196).Anche per quanto riguarda l’accesso alle case popolari, in base alla legge n.189 del 2002 (legge Bossi-Fini), si richiedeche lo straniero sia in possesso di carta di soggiorno, di permesso di soggiorno di almeno due anni e che eserciti rego-lare attività lavorativa autonoma o subordinata o sia titolare dello status di riugiato o di protezione sussidiaria (Cari-tas 2010). Di conseguenza tutti i migranti regolari che lavorano nel mercato nero o coloro che non hanno un regolarepermesso di soggiorno sono esclusi dall’edilizia residenziale pubblica.Viste le dicoltà ad accedere ad una abitazione sul mercato e la mancanza di assistenza da parte dello Stato, i mi-granti illegali sono solitamente costretti a vivere in urban slums3 (abitazioni inormali) senza servizi sanitari o educa-tivi, negli argini dei umi, lungo le rotaie, in abbriche o edici occupati. La dicoltà o l’impossibilità di accedere ad unalloggio, non solo per la mancanza di risorse nanziare, anche se la povertà è sicuramente un attore che intensica

i disagi abitativi dei migranti, è un importante attore di non integrazione, di esclusione e di mancanza di coesionesociale (Coin, 2004).Inne, se si esamina la condizione abitativa degli immigrati si nota la tendenza ad una polarizzazione delle situ-azioni abitative: da un lato, gli immigrati di vecchio insediamento che negli anni sono riusciti a stabilizzare la propriacondizione abitativa, dall’altro si assiste ad una persistente precarietà o ad un peggioramento per le componenti piùdeboli ed all’inizio del proprio percorso migratorio (Asal 2001), come ad esempio i riugiati politici.

Le condizioni abitative dei rifugiati politici presenti a Roma

Secondo la Convenzione sullo status di riugiato rmata a Ginevra il 28 luglio 1951, un riugiato è « colui che, (...)temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinatogruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova uori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa

di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese: oppure che, non avendo la cittadinanza e trovandosi uoridel Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore dicui sopra». I riugiati politici sono quindi costretti a lasciare il proprio paese di origine e quello “che contraddistingueil riugiato dal migrante tout court è la mancanza di un progetto migratorio in termini di prospettive di lavoro e di retidi lavoro e ciò rende il percorso individuale più complicato” (Caritas 2009: 274).In Italia sono presenti circa 38 mila riugiati richiedenti asilo politico a livello nazionale, circa 10 mila sarebbero ospi-tati nel Lazio, di cui 6 mila nella sola capitale. La situazione abitativa dei riugiati presenti a Roma è particolarmentecritica, da una parte per la mancanza di un sistema di accoglienza adeguato e dall’altra per la dicoltà a trovare al-loggi a basso costo sul mercato e la dicoltà di trovare un lavoro.Per legge i riugiati hanno diritto ad un periodo di accoglienza di circa un anno all’interno del Sistema di Protezioneper Richiedenti Asilo e Riugiati (SPRAR). A Roma esistono 22 strutture per l’accoglienza dei richiedenti asilo e riugiatiin convenzione con il Dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Roma per un totale di 1.366 posti. Nel 2008sono stati accolti 1.435 persone: 381 aghani, 178 eritrei, 107 dalla Guinea, 65 ivoriani, 569 iracheni e 43 ra etiopi e nige-

riani. Tuttavia i posti all’interno dei centri di accoglienza sono insucienti ed a Novembre 2009 risultano essere 3.426le persone in attesa di essere accolte in una delle 22 strutture di romane (Corriere della Sera, 11 Maggio 2010).

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L’intero sistema italiano di accoglienza dei riugiati si basa su soluzioni temporanee ed emergenziali, ndall’approvazione della prima legge in materia di riugiati la legge 39/90 (chiamata anche legge Martelli), in cui nonsolo non si parlava di case per i riugiati o di soluzioni di lungo periodo, ma al contrario si preoccupava che l’interventoper i riugiati non si congurasse come abitativo. Con i nanziamenti della legge Martelli sono stati costruiti i primicentri di accoglienza, che “hanno una utilità nel breve periodo. Nel lungo periodo al contrario, essi contribuiscono acronicizzare il ricorso a soluzioni di emergenza e rischiano di sostituire quelle denitive” (Coin 2004: 145). I centri diaccoglienza danno solo una risposta di breve periodo ai problemi abitativi dei riugiati politici, ma mancano com-pletamente percorsi di autonomia individuale per i riugiati, di ormazione proessionale e linguistica, che permet-tano di integrarli veramente all’interno della città e di renderli indipendenti dal punto di vista abitativo e lavorativo.Di conseguenza, una volta nito il periodo di permanenza nei centri, i riugiati si trovano senza un alloggio e senza lapossibilità economica di trovarne uno sul mercato e sono costretti a trovare soluzioni abitative alternative ed inor-mali: dalla costruzione di piccole baraccopoli all’occupazione di edici in disuso. Il direttore del Consiglio italiano peri riugiati, Christopher Hein ha denunciato come ossero “almeno duemila i richiedenti asilo a Roma che vivono in con-dizioni di alloggio e sanitarie drammatiche; si tratta di sudanesi, etiopi, somali, eritrei e agani che avrebbero diritto adessere assistiti ma che non hanno alcun aiuto dallo Stato e dall’amministrazione”4.Inoltre l’associazione Medici per i Diritti Umani (Medu) ha segnalato come quasi tutti i riugiati politici della Capitale(il 93%) sono senza ssa dimora e come il 21% sofre di malattie all’apparato respiratorio dovute a condizione abitative

precarie. A gravare sulla situazione dei riugiati, inoltre, inuiscono anche i tempi per ottenere l’accoglienza che si ag-girano all’incirca intorno ai 6 mesi.Nonostante la Convenzione sullo status dei riugiati sancisca l’equiparazione ra i cittadini dello Stato ospitante e i ri-ugiati in materia civile, di esercizio della proessione e di assistenza, tutto questo nella realtà non avviene ed i riugia-ti, categoria vulnerabile per eccellenza, nella maggior parte dei casi sono costretti a vivere in insediamenti inormaliper anni. Di seguito sono riportati tre approondimenti sulle condizioni abitative di alcuni riugiati aghani, eritrei esomali presenti a Roma.

Focus “La Buca degli Afghani ad Ostiense”

Tipologia di insediamento: Vera e propria baraccopoli

Numero di abitanti: circa 150 personeNazionalità: Aghanistan

Breve storia:Questa comunità è ormata da circa 150 persone, sono per lo più giovani di etnia pashtun, hazara, tagika, tutti uomini.Sono arrivati quasi tutti attraverso la Grecia. Sono richiedenti asilo o titolari di permessi di soggiorno per motiviumanitari e come tali hanno diritto a un’assistenza sociale e sanitaria paricata a quella dei cittadini italiani. E’ daanni, n dal 2006, che i proughi aghani che arrivano a Roma si accampano nei pressi dell’Air Terminal, nei pressidella Stazione Ostiense. Per anni hanno vissuto in quella che poi è stata sopranominata “buca”, lo scavo di un cantiereper la costruzione di un edicio, in cui hanno costruito baracche o hanno vissuto in tende, senza acqua, elettricità eservizi igienici. Quando il 23 Ottobre 2009 la proprietà del cantiere dove sorgeva “la buca” ha deciso di sgomberarliper poter procedere con i lavori è iniziato il loro iter tra centri di accoglienza, ricostruzione del campo ad Ostiense e

nuovi sgomberi. Per trovare una soluzione almeno temporanea il Comune di Roma il 12 Novembre 2009 ha portato iriugiati aghani che vivevano nella “buca” presso il CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Castelnuovodi Porto, in provincia di Roma. Il primo Dicembre 2009 sono stati spostati al campo allestito all’Ex-Fiera di Roma perl’Emergenza Freddo. Tuttavia con la ne dell’inverno gli aghani sono tornati nella zona dell’Air Terminal ed hannocostruito un nuovo accampamento sempre all’interno del cantiere ma non più nella “buca”. All’inizio hanno vissutoin tende, ma con il passare dei mesi hanno ricostruito le baracche. La proprietà dei cantieri a Luglio 2010 ha chiusol’unico rubinetto di acqua potabile nel campo e ha nuovamente dato un ultimatum di poche settimane dopo di cheavrebbero provveduto allo sgombero del campo per poter continuare i lavori. Il 14 Luglio 2010 le associazioni umani-tarie ed i proughi aghani hanno occupato l’assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Roma per chiedere unasoluzione al problema ed un incontro con l’assessore Sveva Belviso. Nell’incontro è stato deciso che il 19 Luglio 2010 ilcampo degli aghani ad Ostiense sarebbe stato sgomberato dal Comune di Roma ed i proughi aghani portati in duecentri di accoglienza: il Forlanini e la Casa della Pace in cui sarebbero potuti rimanere no al 30 Settembre per daretempo alle Istituzioni (Comune, Provincia e Regione) di trovare una soluzione di lungo periodo.

Da allora, i riugiati condotti nei centri di accoglienza continuano a vivere in una situazione di orte precarietà, mentrealla Stazione Ostiense gli arrivi non si arrestano: abbattuto l’insediamento inormale degli aghani la situazione non è

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inatti cambiata, continuando ad arrivare giovani aghani in uga dal loro paese in guerra, con le istituzioni incapaci ditrovare soluzioni di lungo periodo alla questione.Secondo Eva Gilmore di Yo, Migro! “il usso non si erma perché la stazione Ostiense è ormai un punto di arrivo e ditransito noto da parte dei richiedenti asilo che vengono dalla rotta dell’est quindi in particolare aghani ma anchecurdi, irakeni, iraniani, pakistani. La stazione Ostiense è un punto di rierimento dove chi arriva può trovare quantomeno una rete primaria di aiuto da parte di chi vive la nella loro stessa situazione, lo è da tanti anni e continuerà adesserlo. E’ un punto nella mappa di chi ugge dalle guerre, e c’è bisogno di costruire degli interventi specici sul campoad Ostiense che vanno dall’accoglienza primaria all’orientamento sui diritti dei riugiati politici”. Quindi “gli arrivi con-tinuano ed è da anni che unziona così perché è da anni che puntualmente si ricrea un insediamento, si crea il caso,l’emergenza, si interviene con soluzioni più o meno parziali, il campo viene sgomberato e tempo sei mesi il problemasi ricrea”.Al momento la stazione Ostiense continua ad essere una tappa ssa per gli aghani che arrivano in Italia, con la di-erenza che, rispetto al recente passato, non essendoci più l’insediamento inormale i nuovi arrivati sono costretti adormire sui binari della stazione.

Focus “Ex-Ambasciata Somala”

Tipologia di insediamento: edicio occupatoNumero di abitanti: circa 140 personeNazionalità: Somalia

Breve storiaL’ambasciata somala è stata chiusa nel 1990 in seguito alla caduta del governo di Mogadiscio. Già dal 2003 l’edicioormai abbandonato è stato occupato da riugiati politici somali, che non avendo nessun altro posto hanno deciso didormire nella loro ex-ambasciata. L’ex-ambasciata somala si trova in una delle zone più belle di Roma piena di verde ebei palazzi. Se dal di uori sembra di trovarsi davanti ad un elegante palazzo, dentro dopo 7 anni di abbandono, senzamanutenzione ed elettricità, le condizioni di degrado sono indescrivibili:“senza corrente elettrica, con solo due bagnia disposizione, in un’atmosera irrespirabile per la puzza, tra i topi che circolano in mezzo ai materassi umidi adagiatisui pavimenti” (La Repubblica 30 Dicembre 2011).

In seguito ad un recente atto di cronaca (lo stupro il 26 ebbraio di una ragazza all’interno dell’ediciodell’ambasciata) l’ex-ambasciata è stata sgomberata e come racconta un giornalista di Repubblica: “i riugiati sonostati abbandonati a se stessi in mezzo alla strada, braccati dalle orze di polizia che non permettevano loro di stazion-are in nessuna area, senza che venisse predisposto dal Comune e dalla altre istituzioni, un minimo piano di accoglien-za in qualche struttura” (La Repubblica, 27 Febbraio 2011).

Focus “Ponte Mammolo”

Tipologia di insediamento: vera e propria baraccopoliNumero di abitanti: circa 100 personeNazionalità: Eritrea

Breve storiaIn un terreno vicino alla ermata della Metro di Ponte Mammolo da sette anni si è insediato un gruppo di riugiatieritrei, che negli anni ha costruito delle abitazioni con legno, lamiera e in qualche caso mattoni. La comunità di PonteMammolo è una comunità ormai stabile che si è data anche un nome portatore di un messaggio di sperata integrazi-one: “Comunità La Pace”. La comunità negli anni è cresciuta e si è auto-organizzata per l’approvvigionamento di acquaed elettricità: è stato acquistato un generatore comunitario e periodicamente viene comprata la benzina per arlounzionare. L’elettricità arriva tutti i giorni dalle 8 di sera a mezzanotte. Nel 2006 a causa di un incendio la maggiorparte delle baracche sono bruciate, e gli abitanti con grandi sacrici hanno dovuto ricostruirle. Inne recentemente lacomunità ha anche costruito due bagni in muratura.Nonostante rispetto ad altri insediamenti inormali quello di Ponte Mammolo sia ben organizzato, è comunque unasoluzione emergenziale e Simon, uno degli abitanti racconta: “io sono arrivato in Italia 7 anni a, dopo essere stato3 giorni a Crotone, sono arrivato a Roma. Non avevo nessun posto dove dormire così insieme ad altri 500 ragazziprovenienti dal Corno d’Arica siamo andati a dormire alla stazione Tiburtina. Fino a quando un amico non mi hadetto che altri riugiati eritrei si erano insediati in un terreno a Ponte Mammolo. Sono andato la anche io e piano

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piano mi sono costruito questa casa in legno. Fino a quando non troverò un’altra soluzione migliore rimarrò qua, maquesta non il mio posto, è una soluzione di emergenza”.

Riflessioni conclusiveLa casa è un presupposto ondamentale per l’inclusione degli immigrati all’interno della società, secondo Somma(2004) la casa ha “la unzione di avorire l’educazione e l’emancipazione dei lavoratori…[è] quindi un’indispensabilepremessa alla loro integrazione”. L’attuale situazione abitativa di molti immigrati e della maggior parte dei riugiatipolitici presenti a Roma è quindi un chiaro segnale di mancanza di integrazione all’interno della città. Le società sonocostruite anche spazialmente, e le modalità in cui le città vengono costruite e abitate inuenza anche la società e puòamplicare certe tendenze e ridurne altre. Le città sono quindi il risultato sico delle diverse politiche urbane (Piles,1999) ed è importante considerare che il modo in cui le città vengono pianicate inuenza le dinamiche sociali dalmomento che “le relazioni sociali sono inevitabilmente correlate alle relazioni spaziali” (Peach, 1975). La concentrazi-one di popolazione disagiata e vulnerabile produce efetti di chiusura e contribuisce a raforzare la ghettizzazione e lasegregazione urbana degli abitanti. È quindi di ondamentale importanza analizzare e risolvere il problema abitativodi immigrati e riugiati politici.“E’ indiscutibile che le politiche per risolvere la condizione abitativa degli immigrati non siano adeguatamente afron-tate, tant’è che oggi è l’immigrato ad adattarsi al mercato e non viceversa” (Caritas e Migrantes, 2010: 196).La domanda abitativa degli immigrati e dei riugiati politici si distingue per la complessità dei attori che concorronoa determinarla, dati dalla capacità di reddito, dalla composizione del nucleo amigliare, dalla rete di relazioni, dallanazionalità, dalle specicità e dalla durata del progetto migratorio e dal grado di integrazione sociale.Ad esempio le tre situazioni sopra riportate dei riugiati aghani, somali e eritrei sono tre insediamenti inormali chepresentano caratteristiche estremamente diverse, a testimonianza del atto che la domanda di abitazioni a bassocosto da parte di immigrati sia una domanda variegata, che rispecchia esigenze diverse.L’insediamento di Ponte Mammolo è una comunità stabile e auto-organizzata, mentre l’insediamento degli aghaninon ha avuto la possibilità di stabilizzarsi e quindi i suoi abitanti si trovano dopo anni in una situazione ancora estre-mamente precaria ed emergenziale.L’accampamento dei proughi aghani ad Ostiense (la cui storia e caratteristiche sono riportate nel primo approondi-

mento), svolgeva sia unzione di prima accoglienza per i nuovi arrivati, che anche quella di riugio di lungo periodoper i proughi aghani che non hanno un lavoro e quindi la possibilità di pagare un atto. L’insediamento sorgevaall’interno di un cantiere, di conseguenza non si può pensare ad una soluzione di recupero dell’insediamento in situ,ma si dovrebbe prevedere una strategia di breve periodo per l’accoglienza dei nuovi arrivi giornalieri, ed una strategiadi lungo periodo per i riugiati politici che intendono restare nella città di Roma. Mentre per l’insediamento di PonteMammolo di riugiati eritrei, dove da sette anni sono state costruite delle piccole baracche e si è ormata una comu-nità stabile, in un terreno inutilizzato, se ci osse la volontà politica si potrebbe pensare ad un progetto di auto-costru-zione di case in situ adata direttamente ai riugiati eritrei.E’ importante sottolineare che non esistono soluzioni standard ai problemi abitativi di immigrati e riugiati politici,ma ogni tipo di intervento deve essere multi-settoriale, e deve essere pensato in base al contesto di rierimento. Tut-tavia, la condizione sine qua non per trovare una soluzione al problema ci sembra essere la volontà politica di trovaresoluzioni di lungo periodo, piuttosto di mettere in atto politiche repressive di sratti e sgomberi orzati.

Caso di studio 2 - Case senza gente e gente senza case: l’Italia e il panorama europeo

2.1) Case senza gente e gente senza case

L’attuale crisi abitativa non è dovuta, come nel dopo guerra, alla mancanza di case, ma ha radici più proonde datrovare nell’attuale sistema neoliberista, che ha messo in crisi la pianicazione delle città ed ha trasormato le città dabene comune a bene di consumo. A partire dalla seconda metà degli anni ’90 una parte del sistema imprenditoriale enanziario, complici le banche e la liberalizzazione degli atti, ha puntato sull’aumento spropositato dei valori immo-biliari. Il crescente numero di persone che non riescono ad accedere al bene casa non è quindi dovuto alla mancanzadi abitazioni. Inatti negli ultimi 50 anni lo stock abitativo in Italia è più che raddoppiato, passando da una situazione

di decit di abitazioni nel 1951, in cui erano presenti 11.814.402 amiglie per 11.410.685 abitazioni, ad una situazione dinetto surplus nel 2001, in cui troviamo 21.810.767 amiglie per uno stock abitativo di 27.291.993 abitazioni.

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Tabella 1:

Questi dati, quindi, dimostrano in maniera inconutabile come in Italia ci siano molte più abitazioni che amiglie:27 milioni di abitazioni contro 22 milioni di amiglie. Considerando poi che in economia al crescere dell’oferta di undeterminato bene ci dovrebbe essere una conseguente diminuzione del prezzo di quello stesso bene risulta che, non-ostante l’aumento delle abitazioni costruite, non ci sia stata una riduzione dei valori immobiliari, ma al contrario “si èassistito a un traserimento di ricchezza verso la rendita immobiliare” (Berdini 2008: 125).Secondo dati Ance e Nomisma (riportati da Berdini 2008) in meno di 10 anni, dal 1996 al 2006 il valore medio degli im-mobili su scala nazionale è aumentato del 69%.Le città sono quindi diventate un bene economico. A riprova di questa afermazione l’Economist ha stimato che neipaesi occidentali, tra il 1997 ed il 2007, il valore degli immobili è cresciuto esponenzialmente passando da 30 trilioni didollari a 70 trilioni di dollari. Un incremento tale non ha precedenti nella ricchezza prodotta da nessun’altra attivitàproduttiva. “Il mutato rapporto tra economia e città ha trasormato quest’ultima in una sorta di banca dalla quale at-

tingere risorse economiche” (Caudo 2010, 9). Secondo Berdini (2008) il rilancio dell’edilizia invece di dare una casa a chine ha bisogno è solo servito ad aumentare le speculazioni immobiliari nella città di Roma. “La lobby della rendita haevidentemente un peso troppo grande in Italia” (ibid. 142). L’urbanistica quindi invece di renare la nanziarizzazionedelle città è servita ad assecondarla.In questa situazione di surplus di abitazioni e di nanziarizzazione della città si continua a costruire invece di utiliz-zare lo stock abitativo esistente. Di conseguenza in Italia, come in molti Paesi d’Europa, è crescente la preoccupazioneper il enomeno del consumo di suolo. “Non consumare territorio non vuol dire non costruire. Vuol dire solo passaredal nuovo al recupero… Non consumare territorio potrà servire inoltre a contrastare la deriva di un eventuale protago-nismo degli operatori immobiliari” (Consumo di suolo zero, 2010). Non consumare territorio vuol dire riutilizzare spazivuoti già urbanizzati, recuperare edici e abbriche in disuso, rimettere sul mercato le migliaia di abitazioni sttepresenti in Italia, arrivare ad una piena utilizzazione del patrimonio edilizio privato e pubblico.In Europa, la Germania si è data l’obiettivo quantitativo di ridurre del 75% gli attuali consumi di suolo entro il 2020.Il Regno Unito ha messo in campo una serie di azioni che vanno dalla costituzione di green belt, all’adozione di limitiminimi di densità per le aree di nuova crescita urbana (Vitilio 2010).

E a Roma qual è la situazione?

A Roma, su 1.715.000 abitazioni, 245.000 abitazioni, una su sette, sono oggi vuote (La Stampa, 22 Luglio 2009) a rontedi una emergenza abitativa che sora le 100.000 unità tra immigrati, amiglie sotto sratto, amiglie a basso reddito,giovani precari ed anziani (Caudo e Sebastianelli 2007). Ci troviamo quindi in una situazione paradossale di “casesenza gente e gente senza case”.Tuttavia rimettendo sul mercato questo enorme patrimonio stto (e quindi inutilizzato) si potrebbe: da una partedare una casa a prezzi calmierati a coloro che al momento sono esclusi dal mercato dell’atto e dall’altra aumenter-ebbe il reddito delle migliaia di amiglie che mantengono le loro abitazioni vuote per paura di un mercato dell’attosregolato.

In conclusione, per arrivare ad una piena utilizzazione del patrimonio (sia pubblico che privato) si dovrebbe:Prevedere sanzioni per i proprietari di immobili vuoti, incentivando in questo modo il mercato dell’atto;

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Legalizzare l’occupazione di immobili inutilizzati, come in Inghilterra dove lo “squatting” non è un crimine, ma unacontroversia del diritto civile (Sezione 6 dell’Atto di Legge Criminale 1977), che deve quindi essere risolta tra gli occu-panti e i proprietari. Inoltre, gli occupanti dopo 10 anni diventano proprietari dell’immobile;Attivare un meccanismo simile a quello degli Empty Home Ocers in Inghilterra;Creare Organizzazioni di intermediazione immobiliare sociale come Provivenda in Spagna.

2.2) Buone pratiche in Europa

Focus “Empty Homes e l’esperienza inglese”

La Empty Homes, creata nel 1992, è una Organizzazione Non Prot che ha come obiettivo principale quello di renderedi nuovo disponibili le case vuote per coloro che vivono in condizione di emergenza abitativa. Fin dalla sua nascitaEmpty Homes si è impegnata in campagne di sensibilizzazione e di lobbying riguardo alla necessità di utilizzare lecase vuote e nella realizzazione di studi e ricerche a riguardo.Empty Homes è diventata il punto di rierimento delle amministrazioni locali durante le operazioni condotte dagliEmpty Houses Ocers, uci locali che hanno il compito di monitorare le case lasciate stte da più di sei mesi, le ab-itazioni pericolanti e quelle in disuso. Inatti secondo la Regulatory Reorm – Housing Assistance del 2002, “ogni entelocale deve garantire il riutilizzo delle case disabitate promuovendo investigazioni patrimoniali e visite presso i propri-etari degli stabili, e proporre sussidi per la messa a norma e la ristrutturazione delle case lasciate in disuso da moltotempo”. Nel Regno Unito se qualcuno viene a conoscenza di una casa vuota può rivolgersi all’Empty Houses Ocer, ilquale cercherà il proprietario per convincerlo dei vantaggi di rimettere sul mercato l’abitazione. Se questa contrattazi-one non andasse a buon ne, il governo locale ha il potere di decidere: la vendita coatta dell’abitazione o di comprarel’abitazione senza il permesso del proprietario. Se invece l’abitazione vuota è del governo si può procedere con unaPublic Request to Order Disposal che obbliga le autorità pubbliche a vendere gli edici non utilizzati.Inoltre, il 21 Ottobre 2010, Eric Prickles, il Ministro delle Comunità Locali, ha dichiarato che il governo ha stanziato 100milioni di sterline per riportare in uso le case vuote. Questa iniziativa a parte del National Afordable Housing Pro-gramme, programma governativo lanciato nel 2008, che ha come obiettivo quello di mettere a disposizione 155.000nuove abitazioni ogni anno.

Focus “L’esperienza spagnola di Provivenda”

Mentre in Italia il mercato abitativo è caratterizzato dalla mancanza di una componente non-prot privata, in moltipaesi europei è invece presente ed è di ondamentale importanza nella tutela delle asce più deboli. La mancanzadello scopo di lucro delle Organizzazione Non Prot assicura che venga perseguito l’interesse delle asce più debolidella popolazione, mentre la mancanza della burocrazia statale rende più semplice il processo decisionale e più brevi itempi di gestione e realizzazione.Germania, Olanda, Regno Unito, Austria e Svezia hanno quote consistenti di abitazioni in atto sociale, non solo per-ché hanno costruito molte abitazioni di edilizia pubblica, ma anche perché “sono riusciti a creare un sistema di regoleche ha portato una quota di operatori privati ad investire nell’edilizia sociale” (Somma, 2004: 139).L’esempio di Provivenda in Spagna è un esempio positivo di una organizzazione che si occupa di instaurare unoscambio duciario tra proprietari e inquilini. Grazie alla “intermediazione immobiliare sociale” in Spagna Provivenda

ha rimesso sul mercato più di 30.000 abitazioni ad atti calmierati.Provivenda è una organizzazione Non Prot spagnola nata nel 1999 che promuove programmi di alloggio di caratteresociale per gruppi con problemi di accesso alla casa come giovani, immigrati ed altri gruppi di persone. Provivenda ada mediatore tra gli attuari ed i proprietari degli appartamenti, a cui ornisce una assicurazione sulla casa, e garan-tisce il pagamento dell’atto.La ricerca delle case e la contrattazione per il loro atto viene efettuata da Provivienda, che poi le cede agli inquilini.In alcuni casi, il proprietario contratta direttamente con l’inquilino e Provivienda garantisce per il primo anno, il paga-mento della rendita. Tutte le procedure necessarie per la contrattazione vengono efettuate da Provivienda senza costiné per il proprietario né per l’ inquilino.Inoltre, Provivenda ofre gratuitamente ai proprietari delle case:Un’assicurazione contro ogni genere di rischio;Assistenza tecnica: ogni mese, puntualmente, la rendita viene riscossa dagli inquilini e accreditata ai proprietari. Inol-

tre, gli inquilini vengono istruiti sull’uso e la manutenzione della casa, delle sue attrezzature e degli elettrodomesticie sono previsti interventi immediati in caso di guasti, attraverso il ricorso all’assicurazione, che a questo scopo viene

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stipulata. In caso di mancato pagamento, si inizia il procedimento giudiziale.Assistenza sociale agli inquilini.Provivenda solo a Barcellona ha recuperato circa 30.000 appartamenti stti e invenduti trovando alloggio a più di67.000 persone (Vita, 24 Dicembre 2010).

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TESTIMONI PRIVILEGIATI: DAVID ROMANI

Chi sei? Di cosa ti oc cupi o si oc cupa la struttura di cui fai parte? Cosa ti lega alla problematicadell’abitare a Roma?

Sono David Romani operatore sociale che lavora in un centro di accoglienza del Comune di Roma per immigrati, inparticolar modo per riugiati. Chiaramente il atto dell’accoglienza e il atto che le persone, le amiglie si ermino a vi-vere un tot di tempo in questi posti è già un primo tentativo di risolvere la problematica dell’abitare. Poi chiaramenteci si scontra con i limiti di questa città e quindi con quella che è la uori uscita da questi posti e quindi l’abitare vero,quello ognuno nella sua casa.

Quali sono i soggetti sociali di cui ti oc cupi e che incontri nella tua attività di ricerca o di inizia-tiva politica e sociale? Di quali problematiche specifiche sono portatori?

Nel centro dove lavoro vengono accolte amiglie principalmente di riugiati e quindi c’è tutta la problematicadell’assenza in questo paese di una legge sull’asilo politico e tutte le problematiche legate al primo ingresso in questa

città – la lingua, i problemi sanitari, le questioni relative alla scuola – tutta una serie di questioni burocratiche checome centro aiutiamo a svolgere all’interno di un principio di integrazione. Ovviamente la problematica specica sullaquestione dell’abitare inizia nel momento della uoriuscita dal centro. Qui hanno una serie di aiuti, minimi, miserabilima che in un modo o nell’altro riescono a arli sopravvivere almeno no a quando sono nel centro. In teoria questicentri dovrebbero garantire l’aiuto nella ricerca di una casa e di un lavoro ma qui ci veniamo scontrare con i limiti diuna città come questa dove trovare una casa è una cosa particolarmente complessa sia per un italiano che comunqueha garanzie, relazioni e rapporti, guriamoci per una amiglia di migranti che deve garantire comunque un redditoche dicilmente riesce a garantire. Quindi raramente il passaggio dal centro di accoglienza è verso una casa in attoo cose del genere, purtroppo spesso e volentieri, soprattutto in questa ase economica dove la crisi sta tagliando legambe a tutti i settori più deboli, si rientra nel circuito dell’assistenza ed è dicile uscirne. Si rientra in altri centri, poisi passa il tempo, poi si torna in altri centri nchè alla ne vengono messi in un modo o nell’altro per strada.La dicoltà legata alla ricerca di una abitazione e quindi alla chiusura di una ase di assistenza è legata comunque

alle contraddizioni di una città come questa. Intanto spesso noi supportiamo queste persone nella ricerca e sono tan-tissimi gli annunci di atti che non vogliono stranieri. Anche lì dove non è esplicitato nulla sull’annuncio, la maggiorparte delle volte quando si tratta di amiglie migranti senza busta paga giù pronta è dicile che comunque possanodecidere di attare.Le possibili soluzioni che abbiamo individuato, almeno per la mia esperienza sono raramente la possibilità di attareuna casa a meno che non si cerchi nell’estrema perieria uori dal raccordo dove si possono abbassare un po’ i prezzi,perché possano essere accessibili. Altrimenti altre soluzioni sono quelle di prendere casa insieme ad altre amiglie equindi comunque coabitazioni orzate che spesso arrivano a creare diversi problemi, diverse dicoltà. Qualcuno siva a ar sruttare per cui magari manda la amiglia nel meccanismo assistenziale che magari per madre e bambinoè più accessibile e si va a inlare in un appartamento in 6 o 7 persone pagando prezzi incredibili. Altra soluzione cheriscontriamo praticata da queste persone è l’occupazione delle case. Esistono diverse realtà che si muovono in questacittà a da questo punto di vista e raccolgono tanta di quella che è la domanda di emergenza abitativa dei migranti,ovvero delle persone che attraversano questi centri. Un’altra problematica specica è che queste persone che arrivanoin Italia da paesi diversi spesso arrivano qui con proessionalità e studi che qui non vengono riconosciuti e quindi condelle competenze speciche con le quali non possono are niente, come per esempio ingegneri che lavorano ai mercatigenerali o cose del genere. Quindi per quanto potrebbero avere un lavoro da proessionista o le competenze per arlonon gli sono riconosciuti gli studi e quindi anche questo è un problema. Stessa cosa per la patente, alcuni paesi hannoaccordi con l’Italia per utilizzare qui la patente di guida, per altri questa possibilità non esiste. Questo dipende dagliaccordi tra i vari paesi: se non c’è l’accordo su quella questione non sono riconosciuti né gli studi né la patente. Ovvia-mente questo signica che ci sono delle relazioni politiche che inuenzano questa possibilità e che vanno ben al di làdelle esigenze delle singole persone.

Quali sono le principali caratteristiche della metropoli Roma e quali i processi di trasformazioneurbana in atto? In che modo incidono sull’ac cessibilità degli alloggi?

I processi urbanistici di questa città sono molto simili a quelli di altre capitali europee. Si va verso la denizione di una

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metropoli con un centro-vetrina e l’espulsione degli abitanti verso la perieria. Roma ha una ulteriore particolaritàche è quella di essere atta a scacchiera per cui esistono quartieri che vengono rivalutati in virtù della svalutazione deiquartieri che ci sono accanto. Chiaramente la popolazione migrante non può accedere che a questi settori più svaluta-ti. Per assurdo, per quelli che sono i meccanismi commerciali, anche questa presenza diventa un attore svalutante perla vendita del patrimonio che esiste in questi quartieri. Quindi abbiamo delle grosse concentrazioni in alcuni quartieriparticolari che spesso ofrono dei meccanismi di sruttamento come le coabitazioni di cui parlavamo prima ma chein qualche modo tollerano la presenza di una concentrazione di diversi. Altri quartieri della Roma bene non potrannomai tollerare la presenza di realtà disagiate o comunque semplicemente di popolazioni diverse. L’esempio dei nomadiè lampante ma vale anche per le diverse etnie che attraversano questo paese. I migranti in generale quando arrivanoin Italia, e di solito arrivano nelle isole nel sud Italia o comunque arrivano attraverso delle vie di ingresso ben precise,tendono ad andare nelle metropoli, nei grossi centri urbanizzati o altrimenti spesso e volentieri provano a passare perl’Italia, ad usare l’Italia come via di transito e quindi provano poco a radicarsi, a ermarsi e quindi anche l’abitare. Pur-troppo per quanto riguarda i riugiati questo è un problema perché se si chiede l’asilo in Italia poi bisogna rimanere enon ci si può muovere, per altri tipi di migranti magari le mete sono il nord Europa quindi Svezia, Germania, Danima-rca dove esistono garanzie maggiori a livello di tutele dove esistono delle leggi per l’asilo politico che qui non ci sono, esistono solo delle possibilità a livello locale. Poi c’è una gran massa di migranti che non riesce a trovare soluzioni dinessun genere, né nell’accoglienza, né nelle occupazioni e in un modo o nell’altro si va a stanziare nelle zone libere

della città, in maniera assolutamente casuale là dove pensano che ci sia un minimo di tranquillità. Il livello di urbaniz-zazione della città e l’esigenza di avere una città vetrina a si che questi insediamenti vengano spostati regolarmentedalle zone dove comunque non sono graditi. Oggi in particolare c’è la questione di rom e questo peregrinare da postoabbandonato a posto abbandonato che non ha ne. Chiaramente si continuano a cacciare da ogni parte e continuer-emo a vederli spuntare da ogni quartiere se non vengono atte delle proposte reali in merito.

Quali sono le politiche abitative poste in essere dal governo centrale e dalle amministrazioni locali? Quali sono a tuo avviso i principali limiti di questi interventi?

Rispetto alle politiche abitative in generale mi sembra che in questa ase non ci sia nulla di propositivo o comunquemi sembra che per il momento ci siano solo delle ipotesi che non mi sembra possano essere risolutive di nulla. Possodire invece che quello che è stato atto no ad adesso sul problema della casa sono stati una serie di provvedimenti

che hanno reso ancora più dicile l’accesso alle categorie più svantaggiate e questo è stato atto attraverso la sven-dita del patrimonio che ha permesso alla speculazione privata di determinare i prezzi degli atti che sono oggi il verolimite rispetto alle categorie più deboli. A livello centrale, rispetto alla questione dei riugiati in particolare, dei piccoliprovvedimenti a livello locale per il sostegno e l’aiuto all’atto ma talmente tanto piccoli che probabilmente non a-rontano nemmeno una piccola parte di quello che è il enomeno dei migranti in questa città.

Quali pensi possano essere gli interventi pubblici prioritari al fine di garantire un dirittoall’abitare per tutti?

Interventi specici sull’abitare dei migranti non sono mai stati atti. C’è da registrare la capacità di organizzazione dialcuni settori e alcune piccole vittorie non certo dati da interventi del governo centrale ma bensì rivendicati e vintitramite delle battaglie. Mi viene in mente quella che u la situazione di via Capo d’Armi, una occupazione di Ostia dovec’erano 250 amiglie di almeno 23 etnie diverse che, dentro una battaglia più larga, sono riusciti ad ottenere le casepopolari per tutti i 250 nuclei. Ci sono altre realtà di movimento che in un modo o nell’altro si organizzano insiemealla popolazione migrante e sono le uniche realtà che riescono a dare un minimo di prospettive, di soluzione. Per cuio ci si integra ad un certo livello, per cui trovi un lavoro che ti permette di pagare una caparra e mantenere un atto,cosa complicatissima per un italiano, per una persona che ha tutta una serie di relazioni e sostegni, guriamoci perun migrante per cui l’accesso all’atto rimane un problema insormontabile. In linea generale gli unici interventi checi sono sulla popolazione di migranti sono interventi che tendono più che altro a complicare la vita a queste personepiuttosto che a semplicarla e quindi un eccesso di burocratizzazione porta ad allontanare da quelli che poi sonoi diritti che ogni cittadino ha. Quindi al contrario, piuttosto che delle politiche che possano agevolare per esempiol’accesso ad una abitazione piuttosto che la ricerca di questo, ci sono dei meccanismi che rendono tutto più compli-cato, parlo della legge Bossi-Fini, del pacchetto sicurezza, delle garanzie che bisogna dare per un ricongiungimentoamiliare anche soltanto rispetto ai metri quadri dell’abitazione rispetto ai redditi, una serie di dicoltà in più che

allontanano dai diritti, compreso quello dell’abitare.Per quanto riguarda gli interventi che potrebbero cambiare lo stato delle cose, per quanto riguarda l’abitare sicura-

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mente la costruzione, l’acquisizione di patrimonio e quindi anche lo stop alla svendita delle case popolari che per-mette comunque di gestire da parte delle amministrazioni tutte la questione degli atti. Poi sicuramente sarebbenecessaria una legge sull’asilo che permetta di denire gli interventi a avore della popolazione riugiata o richiedentiasilo e comunque, per quanto riguarda i migranti la semplicazione delle procedure burocratiche che in questo mo-mento rendo impossibile l’accesso ai diritti.

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Intervista ad Antonello Sotgia, architetto

Chi sei? Di cosa ti occupi o si occupa la struttura di cui fai parte?

Sono un architetto di 62 anni. Con Rossella Marchini, ci siamo n dai tempi della nostra “ormazione” interessati alcostruire sociale. Da sempre nei movimenti, abbiamo partecipato come studenti della Facoltà di Architettura, nel 1970,alle battaglie per la casa a Roma e in Italia dove no a quell’anno 50 mila persone vivevano ancora in baracche e bor-ghetti. Con noi studenti era impegnato in questa lotta il CAB (movimento a sinistra del PCI) che più tardi conuì nelManiesto e in parte in Lotta continua. Da allora, come tecnici, abbiamo lavorato intorno ai temi dell’abitare impeg-nandoci i prima persona in alcuni progetti ed elaborazioni. Nel 1988, con la Lega delle Cooperative e comunità nomadi,abbiamo studiato un prototipo per abitazioni nomadi come attuazione di una legge statale mai realmente decollata.Abbiamo lavorato quasi esclusivamente per edici pubblici (scuole, piazze, strumenti urbanistici in molti parti d’Italia)e a Roma in due signicative esperienze legate al recupero abitativo di “edici occupati da parte dei movimenti per lacasa. Signicativa è stata l’esperienza di “auto recupero” della scuola di via Colomberti (Municipio IV) dove da un anno10 amiglie vivono in uno spazio mai diventato il servizio promesso ( scuola materna) con un progetto realizzato conelementi bioedili e l’esperienza del recupero a ni abitativi di 104 alloggi comunali a via Masurio Sabino (X Municipio)oggi in ase di consegna degli ultimi 34 alloggi . La progettazione di quest’intervento è stata accompagnata da unprocesso di partecipazione che ci ha visti impegnati con tavole e disegni in entusiasmanti giornate con gli occupantiassegnatari che, oltre denire i programmi generali è servito per decidere i particolari abitativi. Questo ha permesso diassicurare a tutti le medesime condizioni (afacci, disposizione della cucina, rapporto con l’esterno...). In realtà non ap-parteniamo a nessuna struttura anche se spesso molte delle strutture romane ci chiedono di partecipare a riessionicollettive sull’abitare sulle trasormazioni nei nostri territori.

Cosa ti lega alla problematica dell’abitare a Roma?

Un sogno. Un sogno in cui voglio viverci caparbiamente dentro. Che l’abitare nella nostra città e nel territorio riescaa precedere il costruire . Finalmente invertendo ciò che è avvenuto n oggi dove è sempre avvenuto il contrario.Faccio un esempio per capirci meglio e capire il periodo in cui stiamo vivendo. C’è anche una città dietro il modelloMarchionne. La sua teoria della abbrica insegue gli operai anche uori del luogo del lavoro. Insieme ai diritti tende adistruggere le orme dell’abitare. Il “nuovo” orario di lavoro, oltre dell’impossibile atica, parla del vivere. In un ter-ritorio che si vuole ridisegnare con il sistematico impossessamento del patrimonio comune. La città di Marchionne èquella della sopravvivenza e della contrapposizione, dove sopravvivere illusoriamente, afrontandosi l’un l’altro. Chilavorerà con quei ritmi, solo in una condizione per qualche tempo migliore di chi non lavorerà afatto, è destinato a es-sere trascinato verso le volute condizioni di precarietà. Uguali per tutti. La ondazione di questa città nuova vede nellacontrapposizione il suo cemento; pensa al territorio, ancora una volta, come terreno dato. Per riuscire nell’impresadeve continuare, in un pianeta che consuma se stesso, a considerare il territorio come luogo indiferente ad accoglierenuovi scenari. Un ‘indiferenza che, se può valere per chi vuole rinchiuderci e schiacciarci nei luoghi della precarietà, dovrà, dai movimenti prima di tutto, essere messa in discussione a partire dalla costruzione dell’ambiente sociale enaturale in cui vogliamo vivere. E’ necessario un nuovo punto di vista che trovi nella denizione del bene comune lacapacità di intessere un diversa narrazione del mondo che vorremmo abitare. Dobbiamo riuscire a trovare le parole.Dobbiamo afrancarci dalla lettura simmetrica con cui deniamo il comune. Quando tendiamo a ar coincidere il

comune con il proprio ecosistema di rierimento. Quando privilegiamo le orme della produzione umana anche di tipoimmateriale quali la creatività, i saperi, afetti e relazioni sociali. Possiamo arlo pensando al territorio come somma-toria tra natura e cultura, legato a enomeni globali e locali, luogo della memoria e pregurazione del uturo. A Romaquesto è, io credo, un compito che i movimenti possono assumersi in prima persona,Quali sono i soggetti sociali di cui ti occupi e che incontri nella tua attività di ricerca o di iniziativa politica e sociale? Diquali problematiche speciche sono portatori?Sino principalmente i componenti di comunità insorgenti colpiti sia dal enomeno della precarizzazione chedell’esclusione e delle nuove povertà. Questi soggetti hanno il merito di non richiedere e lottare per la soddisazionedi un diritto, ma di costruire le condizioni di un altro abitare. Per questo la nostra non è un’attività di supplenza, mapiù in generale di costruzione di un’alternativa che certo non acciamo da soli. Non siamo i tecnici dei movimenti(anche se la partecipazione a Presa Diretta di Riccardo Iacona lo scorso anno, non volendo ci ha accreditato come tali)ma parte di chi lotta per la costruzione di uno scenario territoriale dove rendere evidente l’idea di altra società dove

lavoratori, precari, senza casa, migranti possano trovare un primo momento nell’opporsi a orme di sruttamentoprivato delle risorse. Per ridenire il proprio abitare e, con questo, il lavoro quale orma di liberazione e connessione

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con gli altri. Per questo partecipiamo a una rete nazionale che si batte contro il consumo di suolo e il recupero diquanto costruito e tenuto criminalmente inutilizzato. Nella nostra attività incontriamo e abbiamo incontrato moltidei movimenti che si sono opposti alla deriva liberista voluta dalle varie giunte per la trasormazione della nostracittà. Tra questi ricordo la stagione esaltante contro il PRG di Veltroni dove con; cittadini, movimenti, tecnici (pochi)animammo la Rete per un Piano Regolatore Partecipato che riuscì a stoppare il piano in ase di adozione, ma che nullaha potuto contro lo strapotere dei partiti (tutti) in ase di approvazione. Una scontta che brucia e che permette adAlemanno oggi di attualizzare gli strumenti “eversivi” di quel piano a partire dalle orme compensative destinate aperpetuare orme di rendita senza soluzione di continuità ai soliti noti. La questione della rendita è il tema specicodi cui personalmente mi occupo studiando, attraverso il recupero edilizio, orme di contenimento e ridistribuzionesociale. E’ questo un tema che i movimenti dovrebbero ar proprio anche se, lo debbo dire onestamente, a volte presidall’emergenza, si vedono costretti a subire “ limitazioni del danno” come è successo con la proposta di piano casadella giunta Marrazzo che con la promessa di dare il via a un processo di edilizia ”sociale” (poi disatteso), ha strappatouna sostanziale benevolenza. Oggi la Polverini trasorma questi danni “ridotti” in un saccheggio perpetuo e l’ Hous-ing sociale di Alemanno è una trufa a partire da quanto vorrebbe are a Tor bella Monaca. Insomma io penso che imovimenti dovrebbero riuscire a imporre come senso comune ai più che i processi di valorizzazione edilizia (pensoalle trasormazioni delle caserme) debbano essere prima di tutto processi di valorizzazione sociale.Quali sono le principali caratteristiche della metropoli Roma e quali i processi di trasormazione urbana in atto? In che

modo incidono sull’accessibilità degli alloggi?

E’ dicile, con appena due milioni e seicentomila abitanti pensare a Roma come metropoli rapportandola al numerodegli abitanti delle altre città. Roma, inatti è un centro che, nel panorama mondiale, occupa solamente il 76° postonella hit delle città maggiormente abitate. Non ha i numeri, ma ha come proprio paesaggio di rierimento alcuni trai principali enomeni che caratterizzano lo scenario metropolitano a partire da ortissimi enomeni di polarizzazi-one sociale che determinano e continuano a determinare una costante espulsione dei propri abitanti verso l’esternoanche oltre l’area metropolitana. Negli ultimi anni Roma ha perso oltre 300mila residenti. Questo non ha impedito ildispiegarsi costante della “ rendita” che ha prodotto case che non potranno essere abitate dai più. Roma rappresentaoggi un caso esemplare dove le trasormazioni urbane, il bruciare disinvoltamente parti del territorio, l’espandersisenza limite, costituisce ancora, il modello per i prossimi quarant’anni. A partire dal consumo di suolo record che Ale-manno sta

”stirando” incrementando, progetti( intenzioni di progetto ) di un più 27% rispetto i già sconvolgenti 70 milioni dellacubatura targata Veltroni. La vicenda di Tor bella Monaca sta a signicare che per Alemanno c’è sempre tanto spazio.Lui non se ne accorge, ma oggi parlare di città vuol dire innanzitutto riconoscere che sono “saltate” due delle con-dizioni che nel tempo le hanno denite. La prima è rappresentata dalla “rottura” dell’equilibrio alimentare che portail mondo a consumare, e sprecare, in maniera maggiore di quanto riusciamo a trarre dalla terra e, poiché i grandiagglomerati urbani saranno “abitati”, tra solo trenta anni, dall’80% dell’intera popolazione mondiale, servirà unaquantità di cibo che non saremo in grado di ornire. La seconda condizione è rappresentata dalla crisi del progetto delmoderno e della sua volontà di poter indirizzare con coerenza lo sviluppo urbano. Per Alemanno irresponsabilmentec’è solo cemento che per “ valere” deve proprio rendere inaccessibili gli alloggi e l’abitare. Per questo, socialmente, Ale-manno deve accompagnare la vetrina degli eventi con prove di orza muscolari (quali l’allontanamento orzato dallacittà delle comunità rom, la repressione verso le occupazioni e le orme del protagonismo sociale. Ora poi con “RomaCapitale” e i poteri assoluti che gli saranno coneriti ecco la novità. Io la chiamo Consigli per gli acquisti. Veltroni eracostretto a rivolgersi a migliore oferente pregurando un piano regolatore delle oferte in cui leggere la normativatecnica come consigli per gli acquisti. Alemanno quando parla di abbattere case, spostare palazzi per ricostruirlisecondo modelli estensivi devastanti non parla da sindaco ma da ingegnere istituzionale. Non dimenticandosi di“sedurre” le perierie giocando sulle efettive dicoltà del loro vivere. Lo a attraverso la trufa dell’housing sociale cheè la cambiale con cui deve ripagare i piccoli costruttori che lo hanno portato al Campidoglio.

Quali sono le politiche abitative poste in essere dal governo centrale e dalle amministrazioni locali? Quali sono a tuo avviso i principali limiti di questi interventi?

Il devastante Piano casa che voluto dal governo Berlusconi è stato pressoché recepito da tutte le Amministrazioniregionali che di loro hanno stravolto al rialzo le indicazioni iniziali. Insomma una marmellata edilizia pensata per ren-dere possibile costruire tutto con punte di “delirio cementizio” come si legge nel testo in discussione alla regione Lazio.Con il Piano casa, scompare la città pubblica sia come esito edilizio ( la sovvenzionata è inesistente) che come capacitàdi programmare città in cui i cittadini siano anche abitanti. Per arlo io penso che dobbiamo ripensarci attraverso una

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proposta radicale: il consumo di suolo zero. Questo non signica non costruire, ma ar rivivere le aree urbane abban-donate e prendersi cura degli spazi comuni e della bellezza dei luoghi. C’è poi un punto, a mio avviso, ondamentale:non esiste nel nostro paese una legge sul regime dei suoli (è vigente ancora la legge del 1942! ) e i Comuni per soprav-vivere sono costretti (sic) ad alienare il proprio patrimonio immobiliare e “vendere“ cubature. L’assenza di una leggesui suoli permette il prosperare della rendita e la nascita di palliativi tipo l’housing sociale che, così come è statopensato e proposto, anche nella proposta di legge della Polverini, si basa su un dispositivo che vede le Amministrazionicedere gratuitamente i terreni ai costruttori, ar loro costruire case che potranno attare a canoni deniti sociali,ma elevati per chi precario non può permettersi di pagare atti che incidono oltre il 70% del proprio salario , per poiriprendere dopo 20 anni quanto costruito per immetterlo nel mercato libero! Più che limiti direi che queste politichenon anno altro che raforzare quella orma di dominio che, strada dopo strada, città dopo città si è stretta intorno ainostri corpi, alla nostra vita attraverso l’organizzazione del tempo e del lavoro. Sono proposte esemplari per la cittàche vuole Marchionne che vorrebbe veder consegnare alle imprese da ognuno di noi il proprio tempo di vita per poitrovarcelo spiattellato, secondo univoche decisioni, sui luoghi del lavoro.

Quali pensi possano essere gli interventi pubblici al fine di garantire un diritto all’abitare pertutti?

Innanzitutto promuovere una legge (anche d’iniziativa popolare)che afronti il problema della riorma del regime deisuoli. Per punti schematici indico alcuni punti per me assolutamente prioritari che la legge dovrebbe afrontare:· Interrompere la dismissione del patrimonio residenziale pubblico;· Stimare attraverso periodiche ricognizioni regionali il numero esatto del abbisogno abitativo e individuare nel cos-truito non utilizzato, da recuperare,il luogo della realizzazione degli alloggi di edilizia pubblica;· Solo in casi in cui non sussistesse la condizione precedente, il costruito potrà essere realizzato solo in aree già urban-izzate;· Ogni intervento dovrà essere autorizzato dalla reale analisi del abbisogno abitativo e non dall’oferta guidata dallaprevisione di rendita;· Prevedere l’obbligo per tutti i Comuni, al ne del calmieramento del mercato immobiliare, di destinare tra tutte le re-alizzazioni del mercato immobiliare una quota pari al 30% di quanto previsto da destinare esclusivamente all’ediliziasovvenzionata pubblica;

Il diritto alla casa non è una rivendicazione astratta, ma da legare in modo indissolubile all’abitare,al reddito, allamobilità sostenibile, alla tutela ambientale e storica del territorio,al suo indirizzo pubblico,alla salvaguardia eall’inserimento nel tessuto delle città e dei territori di spazi di socialità e cultura. E questo non è solo una questione dilegge e su questo i movimenti possono dire molto.

Roma, 22 ebbraio 2011

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Ringraziamo tutte le persone intervistate, che ci hanno ospitato nelle loro abitazioni agli orari più diversi, dimostrandoche la generosa ospitalità non dipende dalla casa che hai; Gianluca Faberi e Roberto Pusceddu per l’elaborazione gra-ca e l’editing; Paolo Berardi per l’aiuto nell’elaborazione dei dati; la Cooperativa Inventare l’Abitare per le inormazionilegate all’autorecupero e all’autocostruzione; i testimoni privilegiati esponenti dei movimenti per il diritto all’abitareed in particolare il coordinamento cittadino di lotta per la casa; i consiglieri regionali Ivano Peduzzi e Fabio Nobile perle inormazioni relative al Piano Casa del Lazio attualmente in discussione; la rete di Abitare nella crisi per gli interes-santi spunti e la condivisione.

Un ringraziamento inne ai movimenti per il diritto all’abitare di tutta Italia, per la determinazione nel costruire quo-tidianamente nuovi modelli di città come beni comuni.

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