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INSEGUENDO LE LUCI DEL NORD STEFANO CHIORRI

INSEGUENDO LE LUCI DEL NORD

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Inseguendo le luci del nord è il resoconto di un viaggio, di un’esperienza scozzese, vissuta come un work in progress, alla scoperta dei paesaggi, spesso solitari, delle Highlands e delle isole Ebridi visitando abbazie, spiagge deserte, castelli in rovina, scogliere vertigionose ed isole rigogliose di vita. Tutto procedendo lentamentente, attraverso le strette e tortuose strade a corsia singola, accompagnati dai lunghi tramonti nordici che, durante la breve breve stagione estiva, sembrano non voler nire mai. Ad animare il nostro proposito è stata la voglia di scoprire l’altra Scozia, una terra lontana dagli stereotipi moderni , di mostri immaginari e “highlander a gettone” ma, ugualmente, ricca di fascino e di storia. A fare da lo conduttore la ricerca delle brillanti luci intermittenti dei potenti fari che, squarciando il buio della notte, continuano, ancora oggi, a guidare i moderni marinai attraverso le acque scure e tempestose che circondano la Scozia. Lismore, Nest Point, Rua

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I N S E G U E N D O L E L U C I D E L N O R D

S T E F A N O C H I O R R I

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INSEGUENDOLE

LUCI DEL

NORD

S T E F A N O C H I O R R I

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La Scozia è sempre stato un amore non corrisposto, un incontro che per mille motivi è sempre stato rimandato. Non c’è mai stato

un motivo chiaro, semplicemente ci siamo sempre guardati a distanza come due amanti segreti che non hanno mai avuto il coraggio di in-contrarsi. E’ come se ci fossimo sfiorati più volte, per poi proseguire ognuno per la propria strada. Ci è voluto l’intervento di una donna affinchè, quell’amante tenuta sempre lontana, non restasse una splen-dida incompiuta. Venne così anche il tempo della Scozia. Un viaggio mai organizzato o forse semplicemente giunto al momento giusto, quando la ormai sopravvenuta maturità consente di apprezzare sfu-mature che la spensierata superficialità dei ventanni ti fa scivolare via senza colpo ferire, anche se questa è, forse, solo una giustificazione ad una mancanza rimasta per troppo tempo senza una vera spiegazione. Il duemilaquattordici sarà quindi l’anno della Scozia, l’antica terra degli Scoti e dei Pitti, fieri ed indomiti popoli che non si sottomisero mai agli invasori, neanchè a quei Romani che giunti fin alle porte della loro terra furono costretti ad costruire un muro per tenerne a freno le sfrontate scorribande. Una terra dura ed aspra, dal carattere ribelle che ha forgiato genti orgogliose che, anche oggi, a duemila anni di distanza, ancora mostrano una malcelata insofferenza verso quella corona inglese da sempre considerata, nel migliore dei casi, come un ospite indesiderato oppure, un nemico da scacciare oltre i borders, quando spirano venti di tempesta. Partiamo da Bologna con destinazione Edimburgo e memori delle bagnate giornate Irlandesi, culliamo la speranza che il meteo non ci sia troppo avverso. Purtroppo atterriamo sotto un cielo grigio piombo che ci regala un benvenuto decisamente poco rassicurante. Dopo aver atteso il ritiro delle valigie, usciamo dall’aereoporto e cerchiamo di rag-giungere l’ufficio del noleggio auto con le prime gocce di pioggia che già iniziano ad inseguirci. Sembra di vivere il copione di un film già visto, un deja vu. Preso possesso della macchina puntiamo verso nord, attraversando il ponte sul Firth of Fourth con le sue caratteristiche campate in metallo. La guida a destra dopo qualche chilometro non più un problema ma per evitare la congestionata superstrada preferi-amo immetterci sulla strada che costeggia il Fourth fino a giungere a Culross, uno dei villaggi più caratteristici di Scozia, come suggerito

FIRST CONTACTPRIMO CONTATTO

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dalla guida. Le prime impressioni, però, sono de-cisamente poco esaltanti e confermano come, a volte, i suggerimenti delle guide siano da pren-dere con le dovute cautele. Con la pioggia che cade e un panorama industriale che lascia perp-lessi, ci rimettiamo in marcia per raggiungere la prossima tappa: Stirling, naturalmente sempre sotto la pioggia che, nel pomeriggio, diventa tor-renziale. Stirlng non è distante, solamente qual-che chilometro più in là. La città è dominata dal castello che, aggrappato su uno possente sper-one di roccia, da secoli sorveglia quello che fu il campo di battaglia dell’epico scontro tra le truppe scozzesi di William Wallace e quelle inglesi di Re Edoardo. Purtroppo arriviamo al castello mentre i custodi hanno appena iniziato a serrare i bat-tenti e solo allora ci rendiamo conto che il fuso orario ci ha tradito. Puniti dalla puntualità, umil-iati nell’orgoglio e bagnati fino al midollo faccia-mo mestamente ritorno alla macchina. Intuiamo che non è il giorno giusto per insistere oltre ed è, probabilmente, più saggio raggiungere l’hotel sperando che l’indomani possa essere un giorno migliore. Con il castello che svanisce alle nostre spalle tra la pioggia, ci dirgiamo verso Drymen, nel regione del Trossach e del loch Lomond. Fi-nora il benvenuto in Scozia non è stato dei più calorosi e non ci resta che confidare nei prossimi giorni. Con questa speranza arriviamo al nostro primo albergo ancora inseguiti dalla pioggia che sferza le campagne e potenti lampi che illumi-nano il cielo rischiarando tutta la valle. Trascor-riamo così la prima notte, con i tuoni e il rumore della pioggia battente che accompagnano il nos-tro sonno fino al mattino. Visto la nottata, non ci svegliamo con molte speranze per la giornata e questa, più che una premonizone, si conferma essere una sentenza. Dopo una colazione abbon-dante, allietata dal confortante tepore del fuoco che scoppieta nel camino, decidiamo di metterci in viaggio nel tentativo di trovare qualche squar-cio di sereno. Purtroppo, con i km, scopriremo di cullare una speranza, purtroppo, vana.

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Attraversiamo la regione del Trossach, seguendo la statale che percorre tutta la linea costiera del lago, sotto una pioggia che, in nessun momento, dà l’impressione di voler cessare. Il cielo plumbeo contribuisce a rendere vane le nostre aspettative e quando entriamo nelle Highlands la situazione sembra anche peggiorare; così decidiamo di per-correre il maggior numero di chilometri verso l’oceano Atlantico, alla ricerca del bel tempo. Con il passare dei chilometri il profilo delle mon-tagne si fà più accidentato e le linee ondulate delle highlands diventano più nervose ed irregolari. E’ la regione del Glencoe e dell’omonima valle, teatro del massacro dei membri del clan Mac-donald nel 1692. La pioggia va di male in peggio e quando si apre qualche squarcio nelle nuvole basse riusciamo ad intravvedere la neve che an-

cora ammanta le montagne circostanti. Fermarsi non è possibile. Pioggia e vento sono contrari e così proseguiamo per la ripida discesa che ci porta fino al loch Leven prima, e al loch Lin-nhe poi. Si chiama loch ma le acque sono quelle dell’Atlantico, di quel mare che si insinua nella terre alte come la lama di un coltello. Seguiamo la strada che piega verso sud e ci appare alla vista il profilo solitario di Stalker Castle. La fortezza sembra galleggiare aggrappata tenacemente ad uno scoglio solitario nel mezzo del loch. Con la pioggia che ci concede una breve tregua rius-ciamo finalmente a scattare anche qualche foto ma è solo una breve pausa, pochi minuti dopo, la pioggia riprende a cadere con rinnovato vig-ore. Sempre più decisi raggiungiamo Oban e il suo porto, dove abbiamo deciso di passare la

notte, in attesa del nostro primo imbarco verso le Ebridi, verso l’isola di Mull. Spendiamo giusto il tempo di sistemare i bagagli in hotel eppoi via ad esplorare il circondario. Così raggiungiamo l’isola di Seil, a sud di Oban, la prima isola col-legata alla scozia da un ponte, il Clachan bridge. Il ponte sopra l’Atlantico che dal 1792 collega l’isola al resto della regione dell’Argyll facendo, di fatto, decadere Leis dallo status di isola. Per-corriamo la b844 fin dove termina, contro un molo e da dove parte la piccola imbarcazione che porta sull’isola di Easdale. L’isola è minuscola ma densamente abitata da una comunità di una sessantina di persone, fiere ed orgogliose delle proprie tradizioni. Per raggiungerla si deve chia-mare la barca ormeggiata sull’altra sponde dello stretto canale, di giorno con la sirena mentre di

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notte con una luce lampeggiante. Al seg-nale qualcuno sale a bordo, accende il mo-tore e attraversa lo stretto braccio di mare, un modo efficiente ed autarchico di gestire i trasporti pubblici. Quando il pomeriggio volge al termine è ora di tornare verso Oban per cercare qualcosa da mangiare. Non-ostante i chilometri percorsi siano stati fatti in macchina, infatti, l’appetito si fa sentire. Una volta tornati in città ci fiondiamo di-retti al tavolo di un locale proprio di fronte al porto dove assaggiamo il nostro primo fish and chips. La fame deve essere stata veramente tanta dal momento che ci av-ventiamo sul cibo, nonostante fosse appena uscito dall’olio bollente, e lo mangiamo in pochissimi minuti. Evidentemente la Sco-

zia ci mette un discreto appetito e proba-bilmente Oban ci porta fortuna e dopo il nostro fugace pasto usciamo dal locale con le nuvole che, evidemente, mosse da pietà decidono di concederci alcuni istanti di tre-gua e ci regalano un tramonto dalle tonalità sgargianti. L’ultimo sole, facendo capolino da uno squarcio nelle nubi sopra l’orizzonte, tinge le nubi di rosa e ci permette di fare qualche passo alla scoperta della città. Dopo le piogge insistenti finalmente questo tra-monto ci mette di buonumore e ci rincuora sul meteo dei prossimi giorni. Decidiamo di raggiungere la torre di McCaig, che domina la baia di Oban, da dove forse riusciremo a scattare qualche foto interessante, approf-ittando di questo breve attimo di tregua.

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THE SURPRISING LUNGALA SORPRENDENTE LUNGA

Ricordando il beneaugurante tramonto della sera precedente, ci svegliamo con la speranza di con-

dizioni meteo favorevoli ma ad attenderci troviamo, però, un cielo grigio come il cemento anche se non piove, almeno non ancora. Basse nubi incombono su Oban, mentre le attività nel porto già si susseguono in maniera febbrile e alcuni traghetti sono pronti a prendere il largo verso le isole Ebridi. Indugiare non serve e così, anche noi, ci prepariamo per l’imbarco alla volta di Mull, la più grande delle isole interne. Una volta a bordo, in pochi minuti usciamo il porto e ci allontaniamo dalla terraferma per scivolare nelle acque del sound of Mull. In lontananza si staglia la sagoma elegante del faro dell’isola di Lismore che, da oltre un secolo, sorveglia questo tratto di mare. Ar-riviamo in vista del Duart Castle la cui tozza sagoma preannuncia la fine del nostro breve viaggio. Sbar-chiamo a Craignure e velocemente ci apprestiamo ad attraversare l’isola alla volta dell’imbarcadero per Ulva da dove partiremo per raggiungere l’arcipelago delle isole Treshnish. Nonostante la strada sia libera e la marcia proceda velocemente quando giungiamo a Salen svoltiamo e il nastro di asfalto si fà più stretto ed incerto. Siamo così siamo costretti a rallentare mentre le lancette dell’orologio continuano inesorabilmente ad avanzare. Percorriamo la nostra prima strada sin-gle track. Le numerose piazzole che si susseguono permettono il transito a chi procede in direzione op-posta e fortunatamente il traffico dell’isola, quasi in-esistente, ci consente di non perdere troppo tempo. L’indicazione Ulva Ferrie ci avvisa che siamo arrivati in perfetto orario, anzi, qualche minuto di anticipo e questo ci permette di rilassarci prima dell’imbarco. Una piccola imbarcazione in legno avanza nello stret-to braccio di mare che separa Mull da Ulva ed at-tracca al molo. Sono nato in montagna e per questo non mi sono mai ritenuto un lupo di mare e la vista

di una imbarcazione così piccola mi trasmette qual-che piccola preoccupazione. Ad accoglierci a bordo un equipaggio di due uomini, due soli, capitano e mozzo, una gerarchia chiara ed essenziale. Abbiamo giusto il tempo di sistemarci a bordo e salpiamo, sfi-lando gli scogli che affiorano dalle acque tranquille del Loch Tuath. Riusciamo a vedere alcune foche che cercano scaldarsi sul basalto appena affiorante dal mare ma in breve siamo in mare aperto. L’acqua ini-zia ad incresparsi appena usciamo dallo scudo protet-tivo dell’isola di Ulva, lunghe onde si susseguono e fanno sollevare la nostra imbarcazione. Essere in pi-eno oceano su una simile imbarcazione non mi rende tranquillo ma tengo per me questi dubbi anche per-chè i ragazzi dell’equipaggio sembrano sapere il fatto loro. Alle nostre spalle, le scure scogliere di Mull, si allontano mentre dal mare emerge e si fà sempre più nitida la sagoma, sottile e piatta, dell’isola di Lun-ga. Da montanaro non posso negare il fascino che il mare riesce ad esercitare sull’animo umano e presto mi perdo ad osservare quell’immensa distesa d’acqua alla ricerca di qualche sbuffo di balena. Chiediamo al capitano se potrà essere possibile avvistare qualche megattera ma ci dice che, quest’anno, ancora non nè ha avvistate. La risposta ci delude un pò anche se era quella che ci aspettavamo ma, segretamente, cullavamo la speranza di poter fare un incontro, tanto inaspettato, quanto emozionante. Incassata la piccola delusione non facciamo fatica a riprenderci man mano che ci avviciniamo all’isola. In lontananza un’aquila di Mull volteggia, poi si lancia fino a sfio-rare i flutti per poi tornare ad essere un punto nel cielo, mentre sugli scogli appena di fronte all’isola numerose foche sembrano volerci dare il benvenuto. Qualcuna si tuffa e curiosamente si fà incontro alla nostra imbarcazione prima di sparire tra le acque scure e fredde. Non c’è da lamentarsi, l’inizio sembra

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promettente. La rocce affioranti non permet-tono all’imbarcazione di avvicinarsi alla costa, così sbarchiamo grazie all’uso di un instabile pontile galleggiante. Mettere i piedi sulla solida roccia è molto rassicurante. Senza indugiare ci incamminiamo per raggiungere la scogliera seg-

uendo l’unico sentiero. Il terreno bagnato rende la salita difficoltosa ma giunti in cima ci tro-viamo di fronte ad uno spettacolo emozionante. Numerosi Puffins, i pulcinella di mare, si aggira-no, apparentemente goffi, sull’erba morbida che ricopre la somminatà della scogliera. Molti sono

indaffarati nella costruzione dei nidi che servi-ranno ad accogliere le femmine e i pulcini, dopo la schiusa delle uova, che avviene solitamente in luglio. I puffins sono uccelli molto amichevoli e si lasciano avvicinare ma sono comunque anima-li selvatici e non appena osiamo troppo, volano

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via. Siamo entusiasti, ci sono centinaia di pul-cinella intenti a scavare i loro nidi nel terreno soffice, rifinendoli con erba e rametti che si pro-curano nelle vicinanze del nido. Superato il pri-mo impatto proseguiamo per il sentiero che tor-tuosamente segue il profilo irregolare dell’isola.

Migliaia di uccelli nidificano ovunque; Maran-goni dal ciuffo, Procellarie, Gazze marine ed Urie occupano ogni piccolo anfratto tra le rocce. Raggiungiamo la sommita dove il sentiero svol-ta e all’improvviso lo schiamazzo di migliaia di gazze riempie l’aria sovrastando anche il fragore

delle onde del mare. Un baratro precipita ol-tre la scogliera separando un scoglio dall’isola e fornendo, agli uccelli che vi nidificano, un riparo sicuro. Sfruttando le correnti centinaia di uccelli si lanciano dalle rocce e si perdono al largo tra le onde. Un’emozione continua che ci affascina.

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STAFFA, A STONE SYNPHONYSTAFFA, UNA SINFONIA DI PIETRA

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Purtroppo il tempo sull’isola di Lunga scorre via veloce-mente. Due ore in questo angolo di paradiso sono vera-

mente troppo poche per non avere rimpianti ancora prima di ripartire. Ci rimane giusto il tempo di fare una breve arrampicata per raggiungere la cima di una delle colline che sovrasta l’intera isola e presto giunge il momento di tornare alla barca per proseguire con l’escursione. La prossima tap-pa è l’isola di Staffa. Riprendiamo il mare che ha già iniziato a spirare un freddo vento occidentale che increspa le onde e solleva la piccola imbarcazione. Sotto il cielo grigio il mare assume un colore grigioblu che incute ancora più timore. Ad oriente, appena sopra l’orizzonte si intravede la bassa e scura sagoma di Staffa. Avere l’impressione di essere in balia delle onde in mare aperto non è molto incoraggiante e ci rassicura solamente il fatto che l’isola non è molto dis-tante. Arrivando da occidente, circunavighiamo l’isola per raggiungere il punto d’approdo. Il passaggio davanti alla costa ci permette di avere un’idea migliore della geologia di questo luogo sospeso tra i flutti del mare e che sembra formato da mille canne d’organo. Staffa, come Ulva e, più a sud la costa di Antrim in Irlanda del Nord, è il risultato di antiche e potenti eruzi-oni vulcaniche che frantumarono la crosta ter-reste e spaccarono il supercontinete Pangea. Le lave basaltiche raffreddandosi assunsero la caratteristica forma esagonale che fece fiorire mille leg-gende e tanto impressionò anche personaggi del calibro di Mendelsonn quando fecero tappa in queste fredde acque scozzesi. L’isola è un antico baluardo che resiste solitario alla furia delle onde che lo assaltano da tutte le direzioni. Roccia sotto assedio, questa è Staffa, una sinfonia di pietra immersa nella cacofonia del mare. Grandi onde e spuzzi di spuma salata si infrangono sugli scogli, aggredendo alla base le possenti colonne di basalto. Venticinque metri sopra il mare, aggrappato alla sommita dell’antica lava, un sottile strato d’erba resiste alla forza dei venti che in ogni stagione sferza queste coste. L’andamento regolare dei pinnacoli di basalto viene interrotto dalla Fingal’s Cave, la grotta che ha reso famosa l’isola ed attrae visitatori da tutto il mondo. Il molo non è molto distante e la barca avvicinandosi sembra essere in balia dei flutti. In questi frangenti possiamo ap-

prezzare l’abilità del nostro equipaggio che, combattendo contro un mare decisamente avverso, riesce a far approdare la piccola imbarcazione senza nessun danno. Dopo la pi-acevole accoglienza di Lunga, l’approdo su Staffa sembra proiettare il visitatore in una realtà aliena. Se da lontano le colonne di basalto possono impressionare per la loro rego-lare maestosità, camminarci sopra restituisce la sensazione di approdo su un mondo selvaggio. I segni dell’eterna lotta tra il mare e la pietra sono ovunque. La presenza delle alghe rende difficoltoso camminare al di fuori dalla stretta traccia delimitata da alcune colonne che, come in un gigantesco mosaico di tessere, si stende alla base della scogliera. Per raggiungere la grotta bisogna seguire il cavo d’acciaio che conduce fino all’ingresso e permette di tenersi ed avanzare con un minimo di sicurezza. Bisogna comunque fare at-tenzione perchè quella che, in condizioni di tempo favor-

evole, è poco più di una passeggiata, rischia invece di trasformarsi in un percorso molto più impegnativo. Il mare infatti fà la voce grossa e alte onde si frangono sugli scogli ar-rivando fin sullo stretto sentiero che stiamo percorrendo. Schizzi e spruzzi d’acqua salata arrivano da tutte le parti rendendo le rocce ancor più scivolose. Più avanti il mare si è aperto una breccia fin nel cuore dell’isola, come un’ariete che cerca di espugnare l’isola

infilandosi nelle sue viscere, è la Fingal’s Cave. Una delle meraviglie naturali di Scozia. Qui l’antico basalto ha alzato bandiera bianca, ha ceduto all’irruenza di una mare che non fa sconti. A differenza di quanto si è visto dalla barca la grotta è molto più angusta ed è difficoltoso accedere quan-do c’è molta gente. Gli spazi sono ridotti e tutto è imm-erso in una fine nebbia salmastra provocata dalla continua risacca che ossessivamente erode il basalto in profondità. La grotta venne intitolata a Fingal, antico eroe delle saghe scozzesi che difese le isole Ebridi, nel terzo secolo dalle scor-rerie dei Vichinghi anche se in realtà non si sà se abbia mai visitato l’isola di Staffa. L’unicità della Fingal’s Cave con-siste nell’essere la sola al mondo composta interamente da basalto colonnare. Al cospetto della grotta possiamo am-mirare la particolare conformazione geologica dell’isola dovuta al lento raffreddamento delle antiche colate laviche

Roccia sotto asse-dio, questa è Staffa,

una sinfonia di pietra immersa nella cacofonia del mare.

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che fratturandosi secondo regolari schemi cristallini ha dato origine alle curi-ose formazioni esagonali e, in qualche caso, anche pentagonali. Come in una gigantesca cattedrale gotica, le possenti colonne sfidano la gravità e nel punto massimo le scogliere, che circondano interamente l’isola, raggiungono un’altezza di circa trenta metri. L’attesa per entrare si protrae oltremodo, tutti vogliono portare a casa una foto come ricordo di questo posto unico ma il tempo è ti-ranno e per noi è prevista una sosta di un’ora soltanto, non tantissimo per poter visitare anche il resto dell’isola. Qualche altro attimo e finalmente siamo dentro. All’interno il fragore del mare è assordante e sovrasta ogni cosa, lasciandoci intuire quali siano le forze in gioco. La roccia combatte e resiste in quella che è una lotta impari da cui non potrà mai uscire vincitrice. In un computo di ere geologiche l’isola ha i giorni contati. Staffa è una meraviglia a scadenza, purtroppo. Scat-tiamo le foto che riempiranno il nostro album dei ricordi e visto che del tempo ne rimane decidiamo di raggiungere il piccolo pianoro che sovrasta tutta l’isola. Una stretta e ripida scala in cemento ci conduce rapidamente sui prati che si af-facciano sulla sommità delle scogliere. Il freddo vento spazza l’erba che ondeggia seguendo il ritmo del mare come un unico grande respiro, morbide colline si inseguono fino a precipitare in mare. Dall’alto la vista spazia fino all’orizzonte. Lunga ad occidente ed oltre, Coll e Tiree, a difendere questo tratto di mare dalla fredda irruenza dell’Atlantico settentrionale. Ad oriente, i possenti bastioni di Mull separano il mare delle Ebridi dalla terraferma scozzese, mentre il Ben More vigila nascosto sotto un manto di nuvole grigie. Più a sud c’è Iona, l’isola santa, nascosta a tratti dall’umidità che risale dal mare. Il cielo è coperto da una noiosa coltre di nubi che lascia cadere piccole e fredde gocce di pioggia che ci accom-pagnano fin dalla mattina. Tutto nella normalità, un clima che non ci ha fatto desistere dal compiere questa splendida escursione, in confronto alle avverse condizioni meteoreologiche dei giorni precedenti, la giornata è stata ottima. Purtroppo dobbiamo fare in fretta, il tempo è tiranno e non ci consente troppe deviazioni. Attraversiamo il piccolo altopiano fino a raggiungere la scogliere proprio sopra il punto in cui si apre l’antro della Fingal’s Cave. La sensazione di essere nella parte superiore della grotta riesce a rendermi inquieto, specialmente quando lo sguardo precipita direttamente sulle rocce sottostanti flagellate da un mare che sembra essere perennemente irritato. La vista dal pianoro dell’isola cela le spettacolare immagini delle colonne basaltiche e fa perdere quel senso di maestosità che si può avere osservando le scogliere dal mare, cionostante la breve passeggiata ci riempie di entusiamo e ci fa anche perdere, per un attimo, la cog-nizione del tempo. Pochi minuti ed è già ora di tornare alla barca. A passi svelti ci muoviamo sul morbido strato d’erba e quando siamo quasi sui gradini che ci riporteranno al molo vediamo uno dei ragazzi della barca che, sbracciandosi, ci fa cenno che il tempo a nostra disposizione è giunto al termine. Scendiamo velocemente i gradini e ci accorgiamo di essere gli ultimi, anche se in verità, non siamo giunti allo scadere dell’ora prevista. Dall’alto osserviamo la barca

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“ La roccia combatte e resiste in quella che è una lotta impari da cui non potrà mai uscire vincitrice. In un computo di ere geologiche l’isola ha i giorni contati. Staffa è una meraviglia a scadenza...”

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ondeggiare paurosamente e probabilmente con l’avvicinarsi della sera le condizioni del mare stanno volgendo al peggio. Pochi minuti e siamo a bordo. I motori della barca, velocemente, si mettono in moto facendoci guadagnare il largo. Scattiamo le ultime foto e salutiamo Staffa con le sue curiose formazioni laviche. La prua della nave volge ad est e punta rapida verso il Loch na Keal, lo stretto braccio di mare che divide l’isola di Ulva dalle pendici settrionali del Ben More. Sfioriamo Little Colonsay e circunavighiamo l’isola di Ulva riavvicinandoci al molo di partenza. Scendiamo dall’imbarcazione che è quasi giunta la sera. In-evitabilmente è anche l’ora di fare il bilancio di quella che possiamo definire una giornata memo-rabile, ricca di immagini ed emozioni che rima-rranno impresse nei nostri ricordi. Dopo tanta pioggia e tanti chilometri fatti inseguendo sprazzi di sereno che ci permettessero di iniziare a sco-prire questa terra, finalmente possiamo dire di es-sere arrivati in Scozia. L’isola di Lunga è stata una sorpresa oltre ogni immaginazione, camminare circondati dai puffins ed essere accolti dal canto assordante delle colonie di gazze marine è stata un’esperienza che difficilmente potremo dimen-ticare. Un vero paradiso per tutti gli amanti della natura e per quelli che hanno intenzione di sco-prire un angolo selvaggio di questo paese. Due ore sono state un assaggio veloce di un’isola capace di restituire scorci visti solamente nei documentari ed incontrare animali selvatici, per nulla infastid-iti da una presenza umana ancora poco invasiva, trasmette quel’idea di wilderness che altrove si è ormai smarrita da molto tempo. Quello che resta dopo lo sbarco è solo la sensazione di aver visitato un mondo perduto e ci assale quasi la voglia di tornare il giorno successivo. Nonostante il cielo si ammantato da una grigia coltre di nubi, il giorno sembra essere ancora lun-go, così ci rimettiamo in macchina per continu-are la nostra esplorazione dell’isola di Mull e de-cidiamo di raggiungere la cittadina di Tobermory.

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Decidiamo di percorrere la strada costiera sul ver-sante occidentale dell’isola. La strada, una single track come la maggior parte di quelle sull’isola, si arrampica sui fianchi accidentati delle scogliere formate dagli antichi drappi vulcanici. Mandrie di mucche al pascolo interrompono la nostra marcia e noi, non avendo una particolare fret-ta, pazientamente, aspettiamo il loro placido transito. Numerose cascate precipitano giù dai fianchi della montagna direttamente in mare. Proseguendo attraversiamo piccoli gruppi di ab-itazioni rurali che sulla carta geografica sono in-dicati come piccoli paesi ma in raltà sono ancora più minuti di quanto si possa immaginare. Ad Achleck svoltiamo e ci dirigiamo nell’entroterra. Dopo poche curve il mare sparisce e ci inoltria-mo in una fitta foresta di querce e pini. Il pano-rama muta radicalmente e la salita ci porta in alto quasi a raggiungere le basse nubi ma ben presto, immersi in un fitto bosco di conifere, iniziamo la discesa verso Dervaig. La strada raggiunge la baia dove le barche in secca nel loch Chumhainn sembrano adagiate un pò ovunque in maniera disordinata. Passando un piccolo ponte in pi-etra posto sotto un campanile dalla strana for-ma cilindrica facciamo altre poche centinaia di metri ed il paese è già un ricordo. Torniamo a percorrere degli stretti tornanti che si arrampi-cano sulle colline spingendoci verso oriente. La strada è solo una sottile striscia di asfalto che si inoltra nella brughiera dell’isola e la velocità non può essere troppo elevata. Il traffico seppur scarso, non è completamente assente e di tanto in tanto ci dobbiamo fermare in una delle nu-merose piazzole per permettere il transito degli altri veicoli nella direzione opposta. Viaggiamo con tranquillità e non che sia sempre detto che questo sia un male. Raggiungiamo Tobermory sul fare della sera. Il porto è deserto e in un certo senso persino malinconico, con tutte le barche adagiate sul fondo del porticciolo. Nonostante una continua pioggerella sottile continui a cadere

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incessantemente, decidiamo di fare un giro. Il fronte del porto è costituito da decine di costruzi-oni colorate in maniera vivace che danno un’aria veramente pittoresca al paese. Capiamo perchè sia considerato uno dei porti più belli dell’intera Sco-zia. Purtroppo, visto il tempo incerto e l’ora tarda, siamo le uniche presenze umane, solo qualche luce fiocca rischiara l’interno di un pub, qualche mac-china sfila veloce e silenziosa mentre qualche gab-biano sfiora la superficie del mare per poi sparire in lontananza. La giornata è stata lunga e ricca di soddisfazioni e solo ora, dopo tanto peregrinare, ci rendiamo conto di essere praticamente digiuni dalla mattina. Diamo una rapida occhiata in giro ma non è che sia molto per soddisfare il nostro ap-petito. Colori vivaci a parte, tutto il porto, sembra essere un grande diorama del tempo che fu, una

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realtà marinara di inizio novecento ormai a solo uso e consumo dei, probabilmente molti, turisti che, durante la stagione estiva affollano il molo. Numerose nasse per la pesca delle aragoste giac-ciono ammassate vicino a matasse consunte di grosse cime che danno l’impressione di essere inutilizzate da tempo. Quando la luce del giorno inizia a farsi ancora più debole scorgiamo deboli riflessi sulle placide acque del porticciolo che ci indicano tracce di attività umana. Avvicinando-ci scopriamo un chiosco di fish&chips, una vi-sione insperata, in questo luogo deserto. Non ci resta che leggere il menù e scegliere. Gente cor-diale, posto semplice, servizio spartano e prezzo onesto, cosa chiedere di più? Finalmente anche il nostro appetito trova la giusta gratificazione con un gustoso e croccante filetto di pesce e patate,

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naturalmente tutto fritto. Una goduria per il pala-to, un pò meno per la linea ma, dopo una giornata così esaltante, non è il caso di andare troppo per il sottile. La fine della cena porta via anche quello che restava della debole luce del giorno scozzese, la stanchezza comincia a farsi sentire ma non abbiamo ancora intenzione di deporre le armi e siamo ben decisi a continuare l’esplorazione. Riprendiamo la strada che conduce a Dervaig per raggiungere il capo a nord dell’isola. Viaggiamo di notte, ormai anche la poca luce della sera è scomparsa. Imbocchiamo una stretta strada laterale immersa tra i boschi e finiamo per incontrare moltissimi cervi che con il calare delle tenebre approfittano del buio per bru-care l’erba verde che cresce lungo la strada. Natural-mente il nostro inaspettato arrivo provoca il panico tra gli animali che, in maniera disordinata, cercano di riguadagnare il fitto del bosco. Qualcuno ci riesce immediatamente, qualche altro solo dopo aver as-saggiato le punte acuminate del filo spinato che de-limita, per intero, tutta la carreggiata. Dispiaciuti, per aver provocato tanto panico in questi splendidi animali, procediamo lentamente cercando di far percepire, con anticipo, la nostra presenza. Purtrop-po la nostra marcia non procede ancora per molto, Calach point è in una tenuta privata ed un cancello ci sbarra il cammino. Delusi facciamo inversione e decidiamo che per questa giornata abbiamo visto abbastanza e soddisfatti decidiamo di raggiungere il piccolo alloggio che abbiamo prenotato tra Salen e Tobermory. Complice la stanchezza e qualche linea di febbre non trascorriamo una notte tranquilla ma al mattino almeno ci svegliamo accarezzati da sottili lame di luce che illuminano il sound of Mull, segno che, finalmente, il tempo sembra voler volgere al bello. Un fatto poco noto a molti dei viaggiatori che si spingono fino a queste lande è che l’isola di Mull è la più piovosa delle isole Ebridi, più di Skye a nord, che però sembra godere di una fama più funesta in fatto di condizioni meteo. Facciamo una ricca colazione, non abbiamo tempo da perdere, dobbiamo spingerci fino a Fionnhport, il lembo più occidentale dell’isola, attraversando il Ross of Mull.

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IONA, L’ISOLA SANTAIONA, THE HOLY ISLAND

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Da Salen, quando si raggiunge il Loch of Keal, ci sono solo due possibilità, o si svolta verso nord andando verso Der-

vaig, oppure verso sud per raggiungere Fionnphort, percorrendo la stretta strada che sfida le impressionanti pendici del Ben More. La montagna incombe dall’alto dei suoi mille metri e precipita diret-tamente in mare. Viaggiando su questa strada, ci dicono, che se si è particolarmente fortunati, si potrebbe avere la possibilità di avvis-tare una delle aquile di mare che anni fà raggiunse Mull dall’isola di Rhum e qui, trovando un ambiente favorevole, si stabilì per nidificare. Guardiamo per un pò verso il cielo ma non abbiamo molta fortuna, mentre altri, appostati lungo la strada, restano in fiduciosa attesa di un insperato avvistamento. Più avanti, appena ci liberiamo della presenza opprimente del Ben More e delle nubi che lo incappucciano, il cielo azzurro prende il sopravvento, rega-landoci una splendida giornata di sole. Seguiamo il Ross of Mull che si protende verso occidente in un susseguirsi di prati e pascoli mentre vecchi relitti arenati sorvegliano, silenziosi, il nostro pas-saggio, fino a quando la strada non raggiunge Fionnphort. Ol-tre con le quattroruore non si può andare. Oltre il granito rosa si tuffa direttamente nel mare turchese del Sound of Iona. Purtrop-po, al nostro arrivo vediamo, in lontananza, il traghetto mollare gli ormeggi e allontanarsi al largo. Presto, però, scopriamo come questo non sia un problema; come un gigantesco metronomo in-fatti, la nave segna il tempo, facendo incessantemente la spola tra le due isole. Sotto un caldo sole primaverile che esalta i colori in un tripudio cromatico che ci fa dimenticare la cinerea opacità che ci ha accompagnati fin qui, esploriamo i dintorni del porticciolo fin quando il traghetto non fà il suo ritorno. Ci imbarchiamo e in pochi minuti siamo sull’isola. Approdare su Iona è come entrare in una dimesione parallela. Il Baile Mor, il grande villaggio, è anche l’unico dell’isola ed è poco più di una stretta fila di colorati cottag-es adagiati sulla spiaggia che guarda verso Mull. Qui non ci sono auto, c’è solo un taxi e tutti vanno a piedi o in bici. C’è silenzio e in lontananza si ode solo qualche voce che viene portata via dal fresco zefiro occidentale. Iona è l’isola dove sbarcò San Columba dopo aver lasciato l’Irlanda, e sempre qui, su Iona fondò il monastero da cui, in seguito, parti per l’evangelizzazione dei selvaggi Pitti. Nei secoli successivi, ritenendo il suolo dell’isola sacro, numero-si re celti e vichinghi decisero di farsi seppellire qui accrescendo la fama dell’abbazia e l’isola divenne un luogo di pellegrinaggio noto in tutto il mondo nordico, prima di sprofondare nell’oblio e nell’incuria. Forunatamente, all’inizio del novecento, ci fù una nuova rinascita e dopo un restauro, l’abbazia tornò a nuovi fasti.

La visita al complesso monastico è un passaggio obbligato, com-piuto il quale ci dirigiamo verso il nord dell’isola, alla scoperta delle sue spiagge. Seguendo il sentiero attraversiamo verdi prati dove le pecore pascolano placide riscaldandosi al sole. Proprio come spera-vamo le spiagge settentrionali sono selvaggiamente belle e deserte, con un mare che le accarezza con una risacca gentile. Non amo il mare ma queste acque hanno qualcosa di diverso, di stranamente amichevole, quasi avessero un’onirica forza attrattiva. Seguendo il sentiero raggiungiamo le pendici del Dun I e con una breve salita raggiungiamo la cima da dove è possibile avere una visione pano-ramica che spazia sull’intera isola. E’ una splendida giornata e sulla cima ci fermiamo a riposare riuscendo anche ad abbronzarci un pò. Ormai la pioggia è dimenticata, come ricordo immemore di un’altra Scozia, di un alto paese. La vista dalla tozza cima del Dun I è a trecentosessanta gradi e proprio osservando così dall’alto che lo sguardo cade sul traghetto che, imperterrito, continua ad oscillare tra le due sponde come un pendolo, quasi a volerci ricordare che il nostro tempo sull’isola è quasi scaduto. E’ ora di tornare su Mull. Ad attenderci tro-viamo un B&B per trascorrere un’altra notte in Scozia ma non prima di cor-rere a cercare un bel tramonto. Arrivi-amo a Fidden, con il sole morente che prima di scivolare oltre l’orizzonte va a nascondersi oltre le nubi occidentali, regalandoci colori che sembrano us-cire direttamente dalla tavolozza di un pittore impres-sionista. E’ un bel-lissimo commiato riservatoci da Mull, l’indomani, infatti, ci aspetta il ritorno sulla “terraferma” scozzese.

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LA PENISOLA DIMENTICATATHE FORGOTTEN PENINSULA

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Dopo una breve attesa ci imbarchiamo per raggiun-gere Lochaline, in Morven. La nostra metà è la pe-

nisola dell’Ardnamurchan con il suo faro solitario e le spiagge deserte. Costeggiamo loch solitari immersi tra boschi di quercie in cui si perdono strette stradine. Ol-trepassiamo Strontian e poi giungiamo a Kilchoan, dove troviamo alloggio in un B&B gestito da due simpatici ragazzi Italiani, probabilmente gli unici di tutta la peni-sola. Non si arriva in Ardnamurchan per caso, bisogna avere la precisa volonta di spingersi fin qui, dove la stra-da termina, nel lembo più occidentale di tutta la Scozia, isole escluse. Il tramonto è ancora lontano e dopo aver lasciato le valigie nella bella camera, salutiamo, prima di lanciarci alla scoperta della zona. Ci lasciamo alle spalle lo stretto tratto di mare che ci separa da Mull e, attra-verso strette stradine, raggiungiamo Portuairk e Sanna Bay. Alte dune di sabbia proteggono gli sparuti cottages dalla prepotenza del mare alimentata da un vento teso che non smette mai di spirare. Seguendo un piccolo rus-cello riusciamo a raggiungere la bella spiaggia di Sanna Bay. Sfruttando la bassa marea ci perdiamo tra scogli e

calette che nulla hanno da invidiare a spiagge più blasonate. Effimere impronte ricord-eranno il nostro fugace passaggio sulla sabbia ancora umida per il ritiro della marea, restando fragili testimoni del nostro passaggio per le prossime ore, almeno fino a che il mare non tornerà a riprendersi la spiaggia nel suo incessante moto di marea. Il sole basso sull’orizzonte, ci annuncia l’avvicinarsi del tramonto ed è ormai tempo di raggiungere il faro. E’ facile, esplorando le mille insenature e baie di questa parte di Scozia, rischiare di perdere la cognizione del tempo, così seguendo una stretta strada che si incunea tra le rocce e protetta dal mare da un alto muro a secco, si arriva all’ultima curva con la vista che, improvvisamente, si apre sul maestoso faro che segna il “finis terrae” della Gran Bretagna. Difficile essere soli, nonostante la distanza infatti, il faro attira anche altri turisti in cerca di qualche scatto da inserire nel loro album dei ricordi. Una scelta giustificata dal fatto che, qui, il tramonto riesce a regalare dei magnifici colori su tutto un tratto di costa ancora poco antropizzato. Purtroppo non avevamo considerato che, a fine maggio, le giornate, a queste latitudini, sembrano non finire mai e così il tramonto si fà attendere, il sole, infatti, raggiunge l’orizzonte verso le ventidue. C’è così il rischio che, la paziente ricerca di uno scatto da ricordare, si possa trasformare in una snervante lotta contro il freddo che attacca da ogni lato. In questi casi bisogna saper tenere duro cercando di non sfidare troppo la sorte, dal momento che, anche la pazienza ha un lim-ite. Ad un certo punto guardando Martinica capisco che è giunta l’ora di chiudere il cav-alletto e godersi gli ultimi raggi di luce prima di tornare al B&B per il meritato riposo.

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“Non si arriva in Ardnamurchan per caso, bisogna avere la precisa volontà di spingersi fin qui,

dove la strada termina, nel lembo più occidentale di tutta la Scozia”

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DISCOVERING SKYE

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Skye se ne sta adagiata, come una farfalla, nel mare delle Ebridi, legata alla Scozia dal profilo

sottile di un ponte che come un moderno arpione in ferro e cemento le ha fatto perdere lo status di isola. Eppure Skye un’isola lo è sempre stata, con i suoi numerosi traghetti che percorrevano le rotte da e per la terraferma. Oggi, però, si può arrivare con un grande balzo da Kyle of Lochlash fino a Ky-leakin senza dover scendere dall’auto, percorrendo lo Skye bridge. Oltre il ponte, il fascino dell’isola rimane immutato, con le sue brughiere e le sue nebbie, con il granito e i ricordi lontani di antichi vulcani. Questa è Skye, l’isole delle nebbie, come la conoscevano i vichinghi che qui giunsero nell’alto medioevo. Skye è un mondo a parte, romantico e selvaggio. Una terra di confine protesa verso setten-trione, una landa assediata da acque burrascose e dai mille colori, dal nero del basalto al verde delle infinite brughiere in continua lotta con lo sferzante

vento che non smette mai di soffiare dal mare. Una landa di tramonti mozzafiato, di baratri, di cas-cate e di fari sperduti su remoti scogli aggrediti dal mare. Il fascino e la suggestione primordiale di Skye ci ammalia e ci rapisce ed è un piacere perder-si percorrendo le ampie strade solitarie che, come un sistema nervoso, da Broadford si diramano per tutta l’isola. Arriviamo che è pomeriggio inoltrato e lasciati i bagagli in albergo ci lanciamo per la co-moda strada che ci porta alla scoperta della penisola di Sleat, la più meridionale dell’isola. Passiamo Ar-madale, dove attraccano i traghetti provienienti da Mallaig e poi, scavalcando le colline, ci dirigiamo verso ovest, verso il sole che sta iniziando a scendere verso l’orizzonte. I tramonti dovrebbero essere tutti uguali ma questa regola, qui, non vale. Qui la luce sembra avere sempre qualcosa di diverso, qualcosa di stranamente magico ed ogni volta ci perdiamo ad osservare uno spettacolo sempre nuovo.

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Sarà la suggestione di aver raggiunto una metà tanto desiderata oppure la magica trama disegnata dalle nuvole trasportate dai venti o forse è solo il colore della luce, calda ed avvolgente, che ci fà perdere in un lunghissimo tramonto che sembra non voler mai terminare. In lontananza, fosservia-mo per la prima volta i Black Cuil-lin, le frastagliate cime di granito che circondano il loch Corusik. Al largo, in lontananza, le Small Isles emer-gono dal mare cullate nella luce do-rata di questo splendido tramonto. Non c’è dubbio, Skye rapisce i cuori e gli sguardi dei viaggiatori, con la sua cruda bellezza arcana. Scendiamo fino al mare per poi riguadagnare quota e tornare verso Broadford, poi puntiamo verso Elgol per continu-are ad ammirare il tramonto. Con il sopraggiungere della sera l’aria si fà frizzante, per via della latitudine che qui comincia ad avere la sua impor-tanza. La strada circunaviga il loch Slaohir sfiorando le pendici di altre montagne, i più morbidi Red Cuil-lin, poi salendo sulle antiche bancate basaltiche attraversiamo la penisola e con una vertiginosa discesa arrivi-amo fino al molo di Elgol. Il paese è poco più di un gruppo di case che dal mare si arrampicano sulla collina e volgono lo sguardo verso l’austero profilo di montagne perennemente ammantate da una coltre di nuvole. Il mare è tranquillo al riparo del loch e riflette i mille colori di un cielo che si va travestendo delle mille tonalità del tramonto. Siamo soli, nessuno per le poche strade e nessuno nemmeno al porto dove numerose imbarca-zioni si lasciano dondolare dal pigro

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ondeggiare del mare. Il sole intanto, pian piano, è sceso e si è nascosto alla nostra vista, riparandosi dietro le montagne che saranno la nostra metà nell’indomani. Ormai la notte è vicina e decidi-amo di tornare a Broadford. Abbiamo avuto una giornata lunga, con la pioggia che ci ha inseguito dall’Ardnamurchan fino a Skye, concedendoci una leggera tregua solamente per il breve passaggio a Fort William e durante la fugace visita al Loch Ness. Sul famoso loch non abbiamo avvistato nes-sun mostro ma solo tanti turisti, anzi troppi per gli standard scozzesi. Quando scende la notte per-corriamo gli ultimi chilometri sotto un cielo stel-lato e arrivati in albergo il freddo è pungente. A Broadford non trascorriamo una notte riposante, d’altronde non si puiò essere sempre fortunati nel-la scelta di un albergo. Pazienza, una notte quasi insonne può capitare, anche in Scozia. Il mattino seguente, con il sole che splende, sembra poter es-sere la giornata ideale per una gita in barca. In pro-gramma abbiamo l’escursione che, partendo dal molo di Elgol, ci porterà fino allo sperduto loch

Corusik, il più remoto dell’intera isola. Arriviamo con largo anticipo e quando salpiamo con la Bella Jane, con noi ci sono solo un’altra quindicina di escursionisti. Sembra che, anche oggi, non incon-treremo troppa confusione. L’imbarcazione attra-versa lo stretto braccio di mare che ci separa dalla sponda opposta e raggiunge alcuni scogli affioranti qualche metro dalle acque. Quello che ci attende è una sorpresa; ci avevano promesso l’avvistamento delle foche ma quello che vediamo va oltre le nos-tre aspettative. Le foche sono ovunque, distese su un morbido letto di alghe mentre, pigramente, cercano di scaldarsi sotto il primo caldo sole di maggio. Placidamente, ci osservano distratte e non sembrano essere troppo infastidite dal nos-tro passaggio. Probabilmente saranno abituate alle imbarcazioni che giornalmente si avvicinano fino ad una manciata di metri. Dopo poco, sbarchia-mo proprio in fondo al loch ed immediatamente ci arrampiachiamo per raggiungere il Corusik. Il lago interamente circondato dalle vette austere dei Cuillin, quel che resta di antichi vulcani estinti. 52

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NEXT STOP TALISKER BAYPROSSIMA TAPPA TALISKER BAY

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Decidiamo di esplorare il perimetro del lago e, attraversato il fiume su un guado improvvi-

sato, ci arrampichiamo sul granito metamorfizzato fino a raggiungere la cima di una collina che sovras-ta tutta la valle. Purtroppo il sole ora è un ricordo, nascosto dietro le nuvole che incappucciano le montagne. Dall’alto possiamo vedere preoccupanti scrosci d’acqua avanzare attraverso il lago e così, prima di essere colti dal temporale, scendiamo per raggiungiungere la barca. L’ambiente è maestoso e siamo consci che le foto scattate, difficilmente, ri-usciranno a rendere la bellezza primitiva di questo sperduto angolo di Scozia. Decidiamo di tornare e quando raggiungiamo la barca, il cielo è di un cupo grigio che non lascia presagire nulla di buono per il pomeriggio, anche se, in lontananza, l’azzurro ci dà speranze. Ci riposiamo sul prato verde che sovrasta gli scogli, in attesa del ritorno della Bella Jane e una volta a bordo, sfiliamo via veloci tra le foche noncuranti di qualsiasi cosa stia accadendo loro intorno. Il motore spinge ed il rientro è veloce. Appena tocchiamo terra corriamo a prendere la macchina per raggiungere la prossima meta. Continuamo a puntare verso nord ben decisi a raggiungere la costa nord occidentale dell’isola. Ci lasciamo alle spalle i pesanti nuvoloni che in-combono sulle montagne e raggiunta Carbost scarichiamo le valigie presso un B&B per ripartire dopo alcuni minuti. Dal paese una stretta strada ci conduce verso occidente, arrampicandosi attra-verso colline ancora ingiallite da un inverno che fatica a cedere il passo alla primavera. E’ una salita che dura poco, non ci sono montagne a separarci dalla costa e ben presto la strada inizia nuovamente a scendere, dapprima leggermente, poi sempre con maggior decisione fino a quando le morbide col-line cedono il passo ad un stretta valle, entriamo così nel Glen Oraid e dopo poco al giallo si sos-tiuisce il verde. Proseguendo, la valle diventa sem-pre più ampia e quando la discesa finisce, la strada

termina in un piccolo parcheggio. Da qui in avanti si può andare solo a piedi, così ci incamminiamo su una bella strada di campagna protetti dalla piacev-ole ombra di un fitto bosco di querce. Un cartello ci indica la direzione; oltrepassiamo un cancello e andiamo ancora oltre una splendida casa in legno, proprietà del clan McLeods di Talisker, oltrepassata la quale, la vista si apre sul tratto finale della valle e più giù, verso ovest, fino al mare. Camminiamo attraverso verdi pascoli che si arrampicano fin sui pendii circostanti. Giungiamo così a Talisker Bay, una gemma incastonata nel basalto. Grandi massi arrontondati dall’incessante rifrangesi delle onde fanno da cornice ad una lunga spiaggia scura impri-gionata tra le verticali pareti del Glen. Verso setten-

trione le acque del loch an Sguirr Mhoir precipitano con una cascata dall’alto della scogliera direttamente in mare confondendosi con la spuma e il rumore delle onde. Tra le grosse pietre troviamo i resti di reti, galleg-gianti e vecchi tronchi che la marea ha trascinato fin qui da chissà dove. Stiamo scoprendo una Scozia dalle infinite bellezze, una terra dal fascino

antico e dai mille tesori nascosti. Ogni luogo sem-bra poter riservare nuove sorprese. Con la mente a divagare tra questi mille pensieri che si rincorrono disordinatamente, non ci accorgiamo delle nuv-ole che, silenziosamente, come in un agguato, si sono avvicinate per spazzare via la pace da questo angolo di paradiso. Con passi veloci cerchiamo di raggiungere la macchina ripercorrendo a ritroso il sentiero. Guardiamo al cielo dove l’azzurro è ormai scomparso, sostiuito dal preoccupante nero portato dalle grosse nuvole pronte a rovesciare il loro carico di pioggia. Purtroppo il temporale si scatena poco prima di essere riusciti a raggiungere il parcheggio. Fortunatamente, riparati dagli alberi, riusciamo a limitare i danni. Un piccolo inconveniente che non può cancellare gli splendidi momenti vissuti durante tutta la giornata.

Giungiamo così a Talisker Bay, una gemma in-castonata nel

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SUNSET AT NEST POINTTRAMONTO A NEST POINT

Bagnati ma contenti, risaliamo in macchina per raggiungere la prossima meta. L’ultima destina-

zione di una giornata che ci ha riempito gli occhi di bellezza. Percorriamo strade solitarie che si perdono verso orizzonti sconfinati, vediamo nubi scaricare temporali all’orizzonte mentre la luce si fa sempre più avvolgente con l’approssimarsi del tramonto. L’estremo ovest di Skye è scarsamente abitato anche per i canoni scozzesi, superiamo di tanto in tanto qual-che rara casa ma quando ci allontaniamo dal mare si ha l’impressione di essere gli ultimi esseri umani sulla terra. Pensieri fugaci mentre la macchina corre sulla strada. Non incontriamo nessuno a cui chiedere in-formazioni così ci fermiamo un paio di volte per con-sultare la carta geografica fino a quando un cartello ci indica che la direzione è quella giusta. Ormai non dovremmo essere troppo distanti dal nostro obiettivo. Poco più avanti il mare ricompare davanti ai nostri oc-chi, segno inequivolcabile che siamo ormai prossimi al faro. Arrivare a Nest Point dà la sensazione di essere giunti alla fine di un viaggio. Oltre non si può andare. Oltre la scogliera precipita per oltre cento metri nelle scure e gelide acque dell’oceano Atlantico. Più in là gli uomini devono lasciare il dominio alla moltitu-dine di uccelli che si lanciano dai loro nidi aggrap-pati alla roccia e si librano leggeri nell’aria compiendo mille evoluzioni. Spira un freddo vento occidentale che sovrasta il rumore delle onde che, in basso, si infrangono contro il basalto. Il faro, silente, sorveg-lia il panorama come un comandante che passa in rassegna le proprie truppe, vigilando sul naviglio che dopo lunghi viaggi, combattendo tra i flutti, sceglie la rotta del mare delle Ebridi. Ben presto scopriamo di non essere soli, complice le bella giornata di sole anche altri hanno avuto l’idea di spingersi fin qui.

Probabilmente in maggioranza sono fotografi e poco dopo, alcuni, cominciano ad aprire i loro cavalletti per immortalare uno dei fari più famosi del mondo. Verso occidente la linea continua del mare è inter-rotta dal profilo morbido dalle isole di South e North Uist. Ci sediamo in attesa proprio sul margine dove l’erba verde cede il passo alle rocce della scogliera prima di gettarsi verso il mare. In basso tra i massi precipitati dall’alto alcune pecore più temerarie pas-colano quasi sfidando la gravità per quanto sono vicine al margine del precipizio. Con il giorno che volge al termine giunge anche il momento di man-giare. Prepariamo la piccola griglia che abbiamo por-tato e ben presto il fumo si alza annunciando il mer-itato ristoro. Come potevamo ben immaginare non tutti apprezzano il nostro bivacco improvvisato. La piccola colonna di fumo infatti può pregiudicare la riuscita degli scatti fotografici ed alcuni dei presenti radunano le loro cose per spostarsi alcuni metri più in là. Fortunamente la scogliera è ampia e si sviluppa per parecchie centinaia di metri. Nessun problema e pochi minuti dopo gustiamo un’ottima cena al cos-petto di un magnifico tramonto che riesce anche, in parte, a far dimenticare il freddo che comincia a farsi sempre più pungente. Una sottile striscia di nuvole incorona il sole che, stancamente, si adagia verso oc-cidente regalandoci un cielo che, man mano il sole si approssima all’orizzonte, sembra volersi incendiare di mille sfumature rosso fuoco. E’ ora di riporre la macchina fotografica, ci sono momenti, che a pre-scindere dell’attimo da immortalare, vanno vissuti in compagnia, sentendo l’abbraccio e il calore della persona amata. Attimi irripetibili al cospetto di un vero spettacolo della natura. Questo è Nest point, più di un faro, più di un tramonto. E’ l’idea stessa del

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viaggio verso settentrione, di un punto di arrivo, la fine della corsa. Essere arrivati fin qui ci regala la sensazione di aver raggiunto il traguardo dopo una lunga caccia in cui non serve essere primi ma conta solo arrivare. Divagare oltre non serve, siamo già abbastanza entusiasti e felici; volevamo arrivare e siamo arrivati e non resta che assaporare questa piacevole sensazione. Verso le ventidue il sole è or-mai scomparso sotto l’orizzonte e dopo che, quasi tutti i fotografi hanno già richiuso i cavalletti e riposto le macchine fotografiche, decidiamo che, anche per noi, è giunta l’ora di radunare le nostre cose per tornare verso Carbost. Alcuni audaci, sfi-dando il vento, continuano imperterriti a scattare foto al cielo stellato che inizia a brillare sfidando la penombra del crepuscolo. Facciamo attenzione a non bagnarci troppo i piedi nel ter-reno fin troppo inzuppato dall’acqua che, nonostante la bella giornata di sole, continua a scorrere fino a tuffa-rsi dalla scogliera per ricongiungersi al mare. Stanchi ma felici raggiungiamo la macchina con la tentazione di ritardare ancora la partenza, ancora sopraffatti dalle emozioni che ci ha regalato questo tramonto vissuto insieme. In alto una splendente mezzaluna crescente è ap-parsa in cielo illuminando con la sua luce cinerea le scogliere e riflettendosi sulle acque ferme del lago posto poco distante dal parcheg-gio del faro. E’ ora di reiniziare il viaggio che ci ri-porterà a Carbost dove trascorreremo la notte e con lo sguardo ancora al faro cominciamo a macinare i chilometri a ritroso. E’ stata una giornata lunga e ricca di esperienze affascinanti ma ci siamo co-munque riproposti di passare al castello di Duneve-gan durante il viaggio di ritorno. Inutile nascond-ere che, la stanchezza, dopo tante ore comincia a farsi sentire ma l’idea di fare qualche altro scatto al castello adagiato sugli scogli dell’omonimo loch è piuttosto allettante e potrebbe andare ad arric-chire ulteriormente l’album dei ricordi di questo

viaggio. Purtroppo, complice il silenzio rotto solo dal motore della macchina e della strada percorsa in perfetta solitudine, della luna ormai quasi piena ma soprattutto di morfeo che, più forte di tutto e tutti, inizia ad avvolgerci nelle strette spire del suo abbraccio annebbiandoci la vista, confondendoci e guidandoci quasi inconsapevolmente fino al B&B senza quasi farci rendere conto di aver oltrepassato la svolta per Dunevegan. Ormai è tardi, tornare indietro è fuori discussione, troppa tarda l’ora e troppo invitante il pensiero di infilarsi sotto le co-perte calde di un morbido letto. Così l’idea di un ritorno, per un rapido passaggio ad ammirare il cas-tello in notturna, svanisce immediatamente, come il fugace passaggio di una stella cadente. Cinque minuti dopo già dormiamo felici per l’ennesima,

meravigliosa giornata in queste lande nordiche. Signori, questa è la Scozia. Il mattino seguente ci svegliamo con gli occhi ancora pieni dei colori del tramonto della sera precedente. Come immaginavamo l’isola si è rivelata uno scrigno pieno di tesori tutti da scoprire, Skye meriterebbe molto più tempo per essere scoperta ed esplorata in maniera più approfondita ma il tempo a dispo-sizione è troppo limitato e non possia-mo permetterci troppe pause. Appena

sistemati i bagagli in macchina siamo pronti per rimetterci in marcia verso settentrione. E’ tempo di salutare Skye, con i suoi antichi graniti forgiati nel cuore della terra, i suoi silenzi, i suoi panorami che rapiscono il cuore e fanno sognare di essere gli eroi di un epico mondo fantastico. Prima di partire osserviamo la cartina, come sospettavamo siamo costretti ad eliminare il passaggio nella penisola del Trotternish. Una disdetta perchè così facendo non avremo la possibilità di vedere i caratteristici tor-rioni solitari dei Quaraig. Comunque siamo ben lontani dal darci per vinti, prima di salutare Skye, decidiamo di fare una breve escursione poco dis-tante da Carbost, alla scoperta dell’acqua.

Arrivare a Nest Point è come

arrivare alla fine di un viaggio.Oltre non si può andare...

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“E’ ora di riporre la macchina fotografica, ci sono momenti che a prescindere

dell’attimo da immortalare, vanno vissuti in compagnia, sentendo l’abbraccio e il ca-lore della persona amata”.

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THE FAIRY POOLS COLOURSI COLORI DELLE FAIRY POOLS

Le Fairy Pools, o pozze fatate, sono formate da un torrente che sgorga direttamente dalle spoglie rocce dei Cuillin e si getta nella Glenbritte

bay. Lasciamo la macchina in un piccolo parcheggio e seguiamo le in-dicazioni che ci conducono al torrente. Risalendone il corso giungiamo fino all’ombra delle montagne tra salti, pozze e piccole cascate. Le acque, di uno splendido colore turchese si insinuano nelle fenditure delle rocce creando uno scenario che vale per intero il suo nome: le piscine incantate. Skye continua a stupirci con la sue bellezze grandi e piccole. Il sentiero è solo un primo tratto della fitta rete che conduce ovunque qui su Skye e quando siamo giunti ai piedi dei Cuillin il torrente è poco più di un rigag-nolo d’acqua gelida, così decidiamo che è ora di tornare verso la mac-china. Ormai il sole è alto sull’orizzonte e non possiamo più indugiare oltre. E’ giunta l’ora di volgere nuovamente lo sguardo a settentrione, al Torridon e al Wester Ross nostra prossima tappa. Arrivederci Skye.

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GOING NORTHWARDSANDANDO PIU’ A NORD

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Come eravamo arrivati, lasciamo Skye due giorni dopo. Attraversiamo il

ponte e meno di un’ora dopo siamo in marcia verso Plockton. Facciamo tappa nel piccolo e pittoresco paesino adagiato in un loch protetto e incorniciato da mon-tagne coperte di fitte foreste di pini. Es-eguiamo tutto il periplo del Loch Caron, cullati dal sole che ci accompagna nella nostra corsa verso nord eppoi ci perdiamo verso l’interno. Le foreste lasciano il posto ad una brughiera ancora ingiallita e seg-uendo la strada, che si insinua in antiche valli glaciali, giungiamo in vista dell’Upper Loch Torridon, uno dei più profondi loch di Scozia e nelle cui acque hanno trovato l’habitat molte specie oceaniche. Il Tor-ridon è una regione molto famosa per le sue montagne e i suoi scorci panoramici. Dalla sommità delle sue vette è possibile volgere lo sguardo dalle Ebridi esterne a Skye e fino a nord nell’Assynt e più a est, fino alla regione di Inverness. Panorami

severi e selvaggi, scavati e scolpiti durante le ere glaciali che qui, seppellirono tutto il paesaggio sotto una coltre di ghiaccio spessa molte centinaia di metri. La strada torna a scendere e raggiunge il livello del mare, qualche curva poi ripieghiamo verso l’interno seguendo il Glen Torridon salu-tati dalla visione tetra di una foresta di al-beri morenti piantati nel terreno spoglio. La strada sale infilandosi tra massi erratici e macchie più scure di boschi ancora inti-miditi dal lungo inverno. Irrequiete onde gialle ci segnalano che un teso vento spazza le brughiere rinsecchite. A nord, tra queste montagne, l’inverno fatica a cedere il pas-so alla primavera. In alto, grandi chiazze di neve, ci ricordano che, nonostante il sole, la natura qui è ancora austera e matrigna. Più ci spingiamo verso nord e meno fà sconti ed è sempre restia a cedere spazio all’avanzare della bella stagione. Poi grad-ualmente la strada inizia a scendere finchè raggiungiamo le sponde di un grande lago.

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E’ il loch Maree con le sue numerose isole. Siamo nel cuore del Wester Ross e in breve torniamo a costeggiare le rive del mare. Gairloch è adagiata al riparo dell’omonimo loch protetta da verdi boschi che arrivano fin quasi alle spiagge. Troviamo un B&B, l’ennesimo, molto elegante ed accogliente e dopo esserci sistemati, su consiglio del propri-etario, ci dirigiamo verso big Sand: la spiaggia ol-tre la grande duna. Attraversato il campeggio, ci arrampichiamo sopra la sabbia ricoperta d’erba e scendiamo fino al mare. Qui finalmente decido di cimentarmi in un temerario bagno in mare, il tut-to sotto lo sguardo severo ed ammonitorio della mia ragazza che sembra avvisarmi che, in caso di malore, sarò lasciato da solo in balia delle onde. Dopo i primi istanti raggelanti sento nuovamente il sangue tornare a scorrere nelle vene ma dalle occhiatacce capisco che è meglio non sfidare oltre il destino ed esco dall’acqua. Dopo alcuni minuti riprendiamo la strada che prosegue verso nord, lasciandoci alle spalle le ultime case e ci facciamo faticosamente strada tra le numerossime pecore che beatamente bivaccano sullo stretto nastro d’asfalto. Appena arrivati ci apprestiamo a cenare

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LA LUNGA STRADA VERSO CASATHE LONG WAY HOME

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nei pressi del faro di Rua Reidh. Dopo i pano-rami di granito di Skye, il paesaggio è muta-to nuovamente, qui la roccia ha assunto una colorazione rosso acceso che, al tramonto, sembra voler incendiare ogni cosa. Purtroppo il faro è privato e quindi non è accessibile a meno di non aver prenotato in anticipo. Nes-sun problema, ci sediamo sugli scogli, in com-pagnia di una foca curiosa che, passa oltre mezz’ora ad osservarci, sparendo nell’acqua di tanto in tanto. Trascorrere i tramonti al cospet-to dei fari, veri capolavori d’ingegneria, sembra stia diventando uno dei temi del viaggio e la spiegazione è anche piuttosto semplice, queste costruzioni, infatti, sono situate spesso in luoghi spettacolari e altamente scenografici da essere divenute mete da visitare. A Rua Reidh trascorriamo un altro bellissimo tramonto che ci regala l’ennesimo cielo mozzafiato e proprio qualche attimo prima che scompaiano gli ul-timi raggi di sole, un branco di delfini ci omag-

gia, saltando fuori dall’acqua proprio di fronte al faro per sparire dietro il promontorio. Non c’è che dire, siamo stati proprio fortunati. Pur-troppo al cospetto di questo ultimo tramonto ci rendiamo conto che i nostri scozzesi volgono inesorabilmente al termine e l’indomani sare-mo costretti a volgere il nostro sguardo verso sud per tornare verso Edimburgo. Passiamo la notte a Gairloch. Al mattino, però, decidiamo di puntare ancora un pò più a nord, verso Ul-lapool che sarà quindi il punto più settentri-onale del nostro viaggio. Una puntata veloce, giusto il tempo di assaggiare uno dei fish and chips più grandi e gustosi di tutta la Scozia. Come in tutti i viaggi, gli ultimi giorni sono i più convulsi e le tappe si allungano per re-cuperare il tempo e i chilometri persi in prec-edenza. Ignoriamo Inverness, troppa gente e troppo cemento da sopportare dopo i giorni finora trascorsi in quasi totale isolamento.

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Giungiamo così ad Elgin per visitare i resti della fa-mosa cattedrale che, come uno scheletro di pietra, si erge quasi fosse la carcassa di una grande balena spiaggiata. Le pietre mute ancora si ergono, bruciate ma non abbattute dall’incendio che ne decretò l’oblio nel 1390. E’ difficile non restare affascinati e perdersi tra le colonne e le volte crollate, dimenticandosi del tempo che scorre inesorabile, cercando di ascoltare le voci dei fedeli intonare salmi e preghiere. Ormai la

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Scozia occidentale è alle nostre spalle, Elgin è adagiata in una bella pianura tra il mare del nord e le colline dello Speyside, la mitica Whisky trail. Risaliamo verso l’interno scoprendo morbide colline ricoperte di boschi cercando di allontan-arci dal traffico caotico che regna lungo la costa. Numerose distillerie costeggiano la valle finchè non decidiamo di raggiungere Dufftown per trascorrere la notte e non senza fatica per trovare

un alloggio. Visitiamo le rovine solitarie di Al-chindum castle appena prima che il sole si perda tra i verdi pascoli delle colline. La notte scorre tranquilla tra le colline della Scozia orientale e il mattino decidiamo di percorrere la strada che at-traversa le Caimgorms Mountains e il parco na-zionale. La strada tortuosamente raggiunge alti passi dove, a parte il vento e qualche albero in costante lotta con gli elementi, difficilmente si

incontra anima viva. Giusto il tempo per qualche scatto ed infreddoliti ci rimettiamo in macchina. Tutte i cartelli ci indicano Balmoral, sede delle vacanze estive della monarchia inglese. Un fiero baluardo inglese nell’irredente terra di Scozia. Ci concediamo una breve sosta a Ballanter per soddisfare le lamentele delle nostre pance, stuzzi-cate dalla vista di vetrine generosamente riempite di dolci. Poi decidiamo di puntare decisamente

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verso il mare, verso Dunnottar. Visitiamo veloce-mente Stoneheaven e il suo porticciolo, ma è solo una brevissima sosta per tonificare il corpo dopo i tanti chilometri percorsi in macchina. Ormai il freddo vento dell’ovest è solo un ricordo, qui ve-niamo accolti da un caldo sole che di scozzese ha ben poco. Dalla piccola marina un sentiero segue il profilo della costa fino al castello ma noi decidi-amo di raggiungerlo in macchina. Pochi minuti e parcheggiamo nuovamente. L’imprendibile fortezza se ne stà arroccata su uno sperone di roc-cia, ghermita e protetta su tre lati dal mare del nord che ne ha fatto la fortezza più inespugna-bile di Scozia e Inghilterra. Li furono conservati i gioielli della corona di Scozia al tempo di Crom-well e sempre lì William Wallace arse vivi i soldati Inglesi che, barricandosi all’interno della cappella, rifiutavano la resa. Una stretta scaletta scende fino al mare per poi risalire alla fortezza. Fortificazioni, alloggiamenti, prigioni e magazzini sono ancora qui ad osservare il mare in quella che era un for-midabile baluardo a difesa della corona. Ormai sui bastioni di roccia che dalle mura precipitano direttamente nel mare nidificano numerossissimi gabbiani, i veri signori di questo luogo, dal mo-mento che di turisti, oltre a noi, ce ne sono vera-mente pochi. Una vera stranezza perchè questa fortezza, questo pezzo di storia, suscita fascino ed ogni sua singola pietra emana profumo di sto-ria. E’ ormai ora di ripartire. Seguiamo la dritta strada costiera che da Dunnottar ci porta a Mon-trose ed oltre fino ad Arbroath. Qui ci fermiamo a gustare gli smookies, pesce affumicato da man-giare con le patate. Ci infiliamo tra le strette stra-dine che ci portano fino al porto dove troviamo alcuni laboratori dove viene affumicato l’eglifino del mare del nord, un tipo di merluzzo pescato e preparato fin dal medio evo in questi villaggi della contea di Angus. Assaggiamo ed al primo impatto non possiamo non sentire il gusto forte e particolare, irrobustito dal trattamento, prima di salatura e poi di affumicamento con legna

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di quercia e faggio, che comunque rende la carne morbida ed appetitosa. Annotiamo sul nostro taccuino di viaggio questa ennesima scoperta, un sapore particolare, nuovo ma non per questo da non apprezzare. Ripartire da Arbroath significa abbandonare quella Scozia rurale che ci ha ac-compagnato durante tutto il viaggio. In lontan-anza le acque del firth of Tay si aprono e con loro fanno la comparsa le prime ciminiere e gli sta-bilimenti industriali di Dundee. Non è che ne sentissimo la mancanza ma l’avvicinamento ad Edimburgo ed al sud industrializzato porta via quei panorami che tanto abbiamo imparato ad amare. Ci rimangono ormai solo poche ore che decidiamo di impiegare girovagando nel Five, nell’estremo tentativo di rimandare, quanto più possibile, il ritorno alla civiltà industriale. At-traversiamo St. Andrews, con il suo bel centro storico medioevale circondato da mura di pietra. Purtroppo cercare un alloggio qui non è possi-bile, come una nobile decaduta la cittadina con-vive con la fama di avere la più antica università di Scozia e, soprattutto, è la capitale mondiale del golf, con campi mitici e un turismo di elite che ne ha fatto, inevitabilmente, lievitare i prezzi. Fac-ciamo un tentativo ma, come sospettavamo, non è la destinazione che fà per noi. Prezzi da sceicchi ci spingono a cercare sistemazione altrove, verso sud dove le acque del Firth of Fourth si confon-dono con quelle del mare. I piccoli paesi del Five si susseguono lungo la costa. Piccoli porticcioli dove potenti maree lasciano adagiate sulla sabbia tutte le imbarcazioni bloccando di fatto ogni at-tività portuale. Siamo visitatori solitari di piccole città fantasma, anche l’acqua sembra essere fug-gita da questi paesi, immersi in un sonnacchioso tardo pomeriggio di maggio. Anstruther è tutta qui, è tutta sul porto, dove i pochi presenti rasset-tano e riparano le reti mentre altri distrattamente ridipingono una delle imbarcazioni in secca. Un piccolo faro sorveglia l’entrata del porto, mentre molti gabbiani rovistano nel fondale alla ricerca

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di qualcosa da mangiare. Ormai ai giorni si sono sostituite le ore e il nostro viaggio si av-vicina alla fine. Un velata malinconia ci assale ma non gli permettiamo di guastarci il nostro ultimo tramonto scozzese. Alte e sottili nubi imperlano il cielo nascondendo il sole. Lo strano silenzio surreale che pervade il porto è rotto solo dai versi, a volte minacciosi, dei gabbiani che spadroneggiano sul molo. Una coppia di innamorati sfila al nostro fianco e si siede ad osservare il mare. Ci fermiamo per qualche minuto ad osservare l’orizzonte che si perde verso oriente, verso la scandinavia. Il mare, ora placido e tranquillo, è così diverso dalle feroci acque che flagellano la costa oc-cidentale. Così è la Scozia, tanti paesi in uno. Un lato duro, aspro, romantico e selvaggio come il carattere indomito dei suoi abitanti, l’altro morbido, agreste ed operoso come i moderni scozzesi. Entrambi uniti indissolu-bilmente dal mare, questo grande padre e padrone che con il suo avvolgente abbraccio assedia e culla questa terra. Un mare che rug-gisce potente ma che è in grado di regalare impareggiabili panorami e tempeste terribili.L’indomani, di buon’ora, siamo di nuovo in macchina. Non abbiamo molto tempo prima di riconsegnare la macchina all’aereoporto di Edimburgo, là dove tutto è iniziato solo undici giorni prima. Undici giorni che sem-brano settimane. Giorni lunghissimi trascorsi a scoprire ed esplorare un paese così diverso, appena fuori l’uscio di casa. I cartelli ci in-dicano la direzione, conducendoci verso il ponte che ci porterà sull’altra sponda del fi-ume. E’ tempo di tornare, gli ultimi scorci di campagna scorrono fuori dal finestrino men-tre Martinica dorme esausta sul sedile al mio fianco, spossata dopo una cavalcata di oltre duemilacento chilometri in undici giorni e cinque passaggi in nave. Un magnifico viag-gio attraverso uno dei paesi più affascinanti

che abbiamo avuto occasione di visitare. Una terra in cui storia, cultura e natura si fondo-no in un spettacolare intreccio che la rende unica. I nostri giorni in Scozia sono giunti alla fine e non ci resta che visitare Edimburgo con il suo castello aggrappato su uno sperone di roccia testimone di quel che resta di un antico vulcano e dei mutamenti geologici che avvennero e plasmarono queste terre circa 300 milioni di anni fa. Dopo esserci riem-piti gli occhi dei bellissimi panorami, la città non ci coinvolge molto. Sicuramente è solo una questione di gusti personali ma entrambi preferiamo l’altra Scozia, quella delle coste rocciose, delle spiagge bianche, dei puffins e dei delfini, dei B&B e della cordialità della gente, delle solitarie strade single track e dei tramonti mozzafiato. Beviamo qualche birra tra i pub del Grass Market e ci perdiamo tra le ripide strade che si arrampicano verso il castello, sfilando tra una folla di turisti che si gode la loro Scozia, quella del Royal Mile e dei moderni Highlanders in posa a richiesta. Giunti alla fine del viaggio possiamo dire, con certezza, che ci mancherà questa terra. Portremo a casa i mille ricordi e le immag-ini di luoghi che rimarranno impressi nella nostra memoria. Conserveremo gelosamente e con un pò nostalgia questa lunga cavalcata fatta inseguendo le luci dei fari come fos-simo moderni navigatori a quattro ruote. Siamo così giunti alla fine, seguendo le istruz-ioni delle hostess non ci resta che indossare le cinture di sicurezza. Quando inizia il rullag-gio, il muso si solleva ed infine l’aereo si stac-ca dalla pista di decollo, infilandosi tra la gri-gia coltre di nuvole che sovrasta Edimburgo. Così, lentamente, svaniscono anche quelle ultime luci del nord.

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I N S E G U E N D O L E L U C I D E L N O R D

Alla magica terra di Scozia che, con le sue spiagge, i suoi castelli, i suoi fari e

le montagne, ammalia erapisce gli sguardi e i cuori

dei viaggiatori.

Alle sue genti fiere e cordiali.

Al turista distratto che, limitandosi a scalfire la superficie di queste splendide

lande, lascia, fortunamente, ai più curiosi ed ardimentosi godere delle

mille bellezze nascoste di Scozia

Ma soprattutto grazie a te, senza la quale, tutto questo non sarebbe mai

stato possibile.Ogni viaggio, quando siamo insieme,

diventa una nuova avventura. Martinica

grazie di esserci

S T E F A N O C H I O R R I

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FIRST CONTACT - Primo contattopagina 1: La bassa marea sul Firth of Fourth vicino di Culross. pagina 2: Immagini dello Stirling Castle. pagina 3: Vedute sullo Stalker Castle.

pagina 4: Il benvenuto sull’isola di Seil. Il Clachan bridge pagina 5: Oban sunset. pagina 6: Scorcio del porto di Oban. Lismore Lighthouse. Lo stemma della Caledonian McBryne. Duart Castle.

THE SURPRISING LUNGA - La sorprendente Lungapagina 8: Colonia di sule sull’isola di Lunga.

pagina 9, 10,11,12,13,14: Fauna sull’isola di Lunga. pagina 15, 16, 17, 18: Martinica mentre scatta foto su Lunga.

STAFFA, A STONE SYNPHONY- Staffa, una sinfonia di pietra pagina 19: L’avvicinamento all’isola di Staffa. pagina 21: Particolare del basalto colonnare all’ingresso della Fingal’s cave. pagina 22: Particolari del basalto colonnare sull’isola di Staffa. pagina 23,

24: Isola di Staffa. pagina 25: L’ingresso della Fingal’s Cave. pagina 26: L’interno “brumoso” della Fingal’s Cave. pagina 27, 28: Panorami dalla sommità dell’isola di Staffa. pagina 29, 30: Staffa e la Fingal’s Cave. pagina 31: Relitti “spiaggiati” nei pressi di Salen, isola di Mull. pagina 32: Particolari dei relitti nei pressi di Salen. Nasse sul molo di Tobermory.

pagina 33, 34: Scorci dell’isola di Mull.

THE HOLY ISLAND - L’isola Santa pagina 35: L’isola di Iona prima dell’approdo. pagina 36: “Pietra miliare” sulla strada per Fionnphort. pagina 37: Immagini dell’abbazia dell’isola di Iona. pagina 38: Vedute dell’isola di Iona.

THE FORGOTTEN PENINSULA - La penisola dimenticata pagina 39: Il faro ad Ardnamurchan point. pagina 40: La strada verso Kilchoan, in Ardnamurchan. Ristoro al Kilchoan Hotel. pagina 41: Il mare all’Ardnamurchan point con Coll sullo sfondo. La

strada verso il faro. pagina 42: Sanna Bay. La bassa marea a Portuairk. Scogli ad Ardnamurchan point. pagina 43, 44: Tramonto all’Ardnamurchan lighthouse.

DISCOVERING SKYE - Scoprendo Skye pagina 45: Tramonto ad Elgol. pagina 46: La luna sorge vicino Nest Point. pagina 47: I red Cuillin. pagina 48: Le ultime luci del giorno al Tarskavaig point, penisola di Sleat, Skye.

pagina 49, 50: tramonto dal molo di Elgol. pagina 51: Immagini da Elgol. La Bella Jane. Il loch Corusik. pagina 52: Le foche al loch Corusik. Il guado sul fiume.

NEXT STOP TALISKER BAY - Prossima tappa Talisker Bay pagina 53: Talisker bay. pagina 55: La spiaggia sassosa di Talisker Bay. pagina 56: La cascata dal loch Sguirr Mohr. Martinica sulla strada per Talisker bay.

SUNSET AT NEST POINT - Tramonto a Nest Point

pagina 57, 58: Tramonto verso le Ebridi esterne. pagina 59, 60: Promontorio di Nest Point al tramonto. pagina 61: Il faro di Nest point al tramonto. pagina 62: Martinica sulla scogliera di fronte al faro. pagina 63, 64: Aspettando la fine del giorno.

THE FAIRY POOLS COLOURS - I colori delle Fairy Pools pagina 65, 66: Immagini delle Fairy Pools.

GOING NORTHWARDS - Andando più a nord pagina 67: La strada che costeggia il loch Carron. pagina 68: Panorama del loch Carron. Uno spettatore curioso nei pressi di Plockton. pagina 69: La strada verso il Rua Reidh lighthouse. Il faro. Un’attenta vedetta nei pressi di Gairloch. pagina 70: Martinica al cospetto di Rua Reidh Lighthouse. pagina 71: Il faro di Rua Reidh al tramonto. pagina 72: Imbarcazioni al porto di Ullapool.

THE LONG WAY HOME - La lunga strada verso casa pagina 73: Il portale d’ingresso della cattedrale di Elgin. pagina 74: I resti della cattedrale di Elgin. pagina 75: Martinica nelle campagne dello Speyside. L’ingreso di Dunnotar castle. L’ingresso della

cappella di Dunnottar. pagina 76: La fortezza di Dunnottar castle. pagina 77, 78: Vista panoramica sul Dunnottar Castle. pagina 79: Il porto di Anshrutter. pagina 80: Scorcio di Anshrutter. Ad Arbroath per gli smokies. pagina 81, 82: Panoramica del porticciolo di Anshrutter durante la bassa marea. pagina 83: Cabina telefonica su Mull

INSEGUENDO LE LUCI DEL NORD

INSEGUENDO LE LUCI DEL NORD (C) di Stefano Chiorri, scritto e stampato nel 2014. Il testo e tutte le immagini presenti nell’opera sono proprietà dell’autore. La riproduzione, anche parziale, dell’opera è vietata ed è soggetta alla legge sul diritto d’autore.

Tutte le foto sono state scattate con CANON 6D, CANON 24-105L, SIGMA 70-200 HSM OS, SIGMA 12-24 EX DG HSM, CANON 35 f2.CANON e SIGMA sono marchi di proprietà dei rispettivi proprietari.

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