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Inflazione e Moneta endogenawww.keynesblog.com
1. La Teoria Quantitativa della Moneta
“Almeno ho scoperto qual è la causa del Natale!”
Nicholas Kaldor, ironizzando sulla Teoria Quantitativa della Moneta
dopo aver notato che l'offerta di moneta sale a dicembre per poi scendere a gennaio
In ambito mainstream è convinzione comune che le masse monetarie siano controllate dalla banca centrale (per inciso anche Key nes, nella sua Teoria
Generale, assunse questa ipotesi, sia pure in un quadro più complesso di quello dei neoclassici).
Secondo la T eoria Quantitativa della Moneta (T QM) la sequenza è la seguente: le banche centrali possono stampare denaro e con esso comprare titoli,
privati o pubblici, dando così alle banche commerciali, o allo Stato, nuova moneta. Inoltre, agendo sulle riserve obbligatorie delle banche,
possono variare la capacità degli istituti di credito di concedere prestiti, controllando così l'emissione della “moneta bancaria”, attraverso quello
che v iene chiamato “moltiplicatore monetario”. Meno riserve sono richieste, più le banche possono prestare. Se la riserva obbligatoria è il 2% di tutti i
depositi posseduti da una banca, allora il moltiplicatore monetario è 50 (1/0,02).
IL MOLT IPLICAT ORE MONET ARIO
Il meccanismo della riserva frazionaria, contro il quale si scagliano a torto gli economisti “austriaci” (e i “signoraggisti” di varia natura), è
spiegato in questi termini: supponiam o che il sistem a bancario sia tenuto a trattenere il 2% com e riserva obbligatoria. Quando
qualcuno deposita 100 euro, la banca potrà concedere in prestito la parte eccedente la riserva obbligatoria, cioè 98 euro (100-2%).
Questi soldi verranno spesi, ma alla fine torneranno nel sistema bancario come depositi da parte di chi li avrà ricevuti. Quindi avremo 100+98.
Con i 98 euro le banche potranno concedere 98-2% euro di prestiti, ovvero 96,04 euro, che a loro volta finiranno nel sistema bancario e
potranno alimentare nuovi prestiti per 96,04-2%=94,12 euro. E così v ia. Come si vede ad ogni passaggio l'am m ontare dei nuovi prestiti
dim inuisce. Alla fine del ciclo avrem o che la m oneta di banca com plessivam ente creata sarà 49 volte il deposito iniziale e,
aggiungendosi ad esso, la m oneta com plessiva arriverà a 50 volte il deposito iniziale (nel nostro caso quindi 5000 euro).
Come vedremo questo meccanismo non è in realtà rilevante, per cui le tesi “austriache” e “signoraggiste” non hanno fondamento. Ma anche se
il moltiplicatore monetario fosse rilevante esso non sarebbe affatto una truffa come spesso si legge.
Si noti inoltre che questa descrizione sostiene che i depositi precedono i prestiti.
Secondo la TQM quindi, se la banca centrale stampa troppa moneta (che v iene moltiplicata dalle banche commerciali secondo parametri sotto il controllo
della banca centrale) questa offerta può superare quanto necessario a rappresentare i beni reali. In tal caso i prezzi saliranno, cioè avremo inflazione.
La base teorica di questa affermazione è una particolare interpretazione della seguente identità, detta equazione degli scam bi di Fisher:
M×V = P×T
Dove M è la quantità di moneta, V è la velocità di circolazione (misura cioè quanto velocemente la moneta v iene scambiata), P è il livello generale dei prezzi
(la cui variazione si chiama inflazione) e infine T è il numero di transazioni (scambi). Assumendo per semplicità che l'economia produca un solo tipo di bene,
possiamo sostituire T con Q (numero dei singoli beni scambiati), ottenendo:
M×V = P×Q
ESEMPIO
Se in un'economia v i sono 100 beni e 200 euro di moneta, che in un dato periodo (diciamo un anno) vengono scambiati 5 volte e il prezzo
medio è 10 euro, avremo:
200 × 5 = 10 × 100
Il che ovv iamente è vero v isto che a sinistra e destra dell'uguale abbiamo 1000.
Il problema è che questa equazione è un'identità contabile, vera per definizione. Difatti essa afferma semplicemente che la spesa totale in termini
monetari (M×V) è uguale al valore monetario dei beni scambiati (P×Q). Nulla ci dice circa la relazione causale (“cosa causa un'altra cosa”) tra M e
P.
La T eoria Quantitativa della Moneta, formalizzata da Irv ing Fisher e ripresa da Milton Friedman e dalle correnti monetariste, sostiene che l'aum ento
di M causi quello di P e suggerisce che le masse monetarie, sotto il controllo delle banche centrali, debbano crescere modestamente, altrimenti l'inflazione
esploderà, i lavoratori percepiranno salari reali minori e i mercati perderanno fiducia nella valuta. Fisher giungeva a tale risultato ipotizzando l'equilibrio di
pieno impiego (Q costante) e che V fosse stabile in quanto determinata da fattori istituzionali, ipotesi queste tutt'altro che realistiche.
Per verificare le conclusioni della TQM dovremmo quindi prendere in considerazione la correlazione tra M e P, cioè vedere se l'aum ento o la
dim inuzione di una variabile si accom pagna allo stesso m ovim ento dell'altra variabile. Conoscere P è semplice poiché gli istituti di statistica
monitorano i prezzi mese per mese. Riguardo M, le banche centrali usano gli aggregati monetari “larghi” che comprendono, oltre alle banconote e monete
metalliche vere e proprie, una serie di altre attiv ità finanziarie considerate abbastanza “liquide”, cioè immediatamente scambiabili o facilmente convertibili
in attiv ità a loro volta immediatamente scambiabili come il denaro, senza costi significativ i. La definizione di cosa sia considerabile come moneta varia da
banca centrale a banca centrale, tenendo conto delle leggi e dei comportamenti degli operatori economici. Ma in generale si tratta di aggiungere al denaro
circolante i depositi bancari e postali, i titoli a breve scadenza e altre attiv ità “liquide”.
Quindi, come dicevamo, all'aumentare di M dovremmo trovare un aumento di P e in particolare dovrem m o vedere che la variazione di M è sim ile a
quella di P, cioè all'inflazione. Ma questa correlazione è tutt'altro che evidente guardando alle variazioni annuali di M e P.
M2 [blu ] - in fla zion e [r osso] - Sta t i Un it i
M3 [blu ] - in fla zion e [r osso] Eu r ozon a (fon te BCE, g r a fico Bill Mitch ell)
La supposta correlazione tra M e P non sembra trovare conferma. Ciò può sorprendere perché abbiamo affermato che M×V=P×Q è vera per definizione.
Vedremo che tale correlazione esiste nel lungo periodo, ma in modo meno banale e soprattutto con una catena causale opposta a quella
presunta dalla T eoria Quantitativa della Moneta.
2. Inflazione e costi: il punto di vista della singola impresa
Prendiamo in considerazione una fabbrica di spilli, per seguire un noto esempio di Adam Smith (ma relativo a tutt'altro). La fabbrica produce spilli partendo
da materie prime (l'acciaio). Si serv irà di energia elettrica per far funzionare i macchinari. Inoltre dovrà pagare i suoi dipendenti. Queste spese sono i costi di
produzione dell'impresa. Se la produzione di ogni spillo costa un centesimo, allora l'impresa dovrà vendere ogni spillo a un centesimo più qualcosa (il
cosiddetto ricarico o mark up) e realizzerà il massimo dei profitti quando avrà venduto tutta la produzione.
Supponiamo che una delle voci di costo aumenti. Se vuole mantenere il suo profitto, l'impresa tenderà ad aumentare il prezzo.
L'OBIEZIONE DEI NEOCLASSICI
A questo punto l'econom ia neoclassica obietta che i prezzi dipendono da dom anda e offerta, nell'ipotesi (peraltro irrealistica) in un
regime di concorrenza perfetta; l'impresa quindi è sempre "price taker", cioè non è libera di aumentare i prezzi a suo piacimento, pena l'uscita
dal mercato. Tuttav ia i costi che abbiamo elencato cambiano non solo per quell'impresa, ma per l'intero settore produttivo di cui fa parte e in alcuni
casi per l'intero sistema produttivo: il prezzo dell'energia aumenta per tutti e i salari, considerando che esistono i contratti collettiv i, aumentano sia
per l'impresa in esame che per le sue concorrenti. In sintesi, una parte rilevante dei costi è com une (o almeno le variazioni di tali costi sono
simili per tutte le imprese in un settore o in una economia) e nel breve periodo non c'è modo di risolvere il problema riducendo i costi in altro
modo, ad esempio acquisendo macchinari più moderni, mentre nel lungo periodo accade che anche molti concorrenti facciano investimenti simili
per abbattere il prezzo unitario.
Se questa descrizione fosse realistica, dovremmo attenderci che l'inflazione presenti un andam ento sim ile (sebbene non identico) a quello dei salari
nom inali, anche nel breve periodo, poiché i salari sono una delle più importanti voci nei costi di produzione.
V a r ia zion e dei sa la r i or a r i n om in a li [r osso], In fla zion e [blu ] - Sta t i Un it i
Si nota che negli anni '7 0 l'inflazione aumenta notevolmente di più di quanto aumentino i salari. Difatti nel 197 3 e poi nel 197 9 v i sono state due note crisi
petrolifere che hanno portato l'inflazione a due cifre quasi ovunque nel mondo, innescando il ben noto meccanismo della spirale prezzi-salari. I salari sono
infatti solo una delle voci di costo per le imprese. Vanno considerate anche le materie prime, l'energia, le tasse, ecc.
Nel paragrafo seguente seguiremo un approccio alla relazione costi-prezzi a livello di sistema economico nel suo complesso.
3. Inflazione e costi: l'approccio a livello di sistema economico
Partiamo dal Prodotto Interno Lordo. Uno dei modi di calcolarlo è basato sulla spesa: consumi + investimenti + spesa pubblica + esportazioni -
importazioni. Un modo equivalente è som m are tutti i redditi (“la spesa di qualcuno è il reddito di qualcun altro” spiegava Key nes). In simboli:
PIL=W+U
dove W è la somma di tutti i salari dei lavoratori e U quella di tutti i profitti.
Ma il PIL, abbiamo detto, è anche la somma di tutte le spese, quindi, nel nostro modello ad un solo bene, è uguale al prezzo (P) moltiplicato per la quantità
(Q). Avremo quindi:
P×Q=W+U
Portiamo Q a div idere dall'altra parte e otterremo P:
P = W/Q + U/Q
Cosa sono W/Q e U/Q? W/Q è il costo del lavoro per unità di prodotto. E' una delle misure più importanti in economia ed è centrale nell'analisi degli
squilibri nell'eurozona. U/Q invece è, parallelamente, il profitto per unità di prodotto.
Quindi considerando che, secondo l'ipotesi che abbiamo formulato, le imprese cercheranno di mantenere il più possibile stabile il profitto unitario di
fronte all'aum ento dei costi, dovremmo vedere che le variazioni del costo del lavoro per unità di prodotto e le variazioni dei prezzi seguono
un andam ento sim ile anche nel breve periodo.
Costo del la v or o per u n ità di pr odotto [blu ] - In fla zion e [r osso], Ita lia . Da t i Ista t , g r a fico di
Seba st ia n o Ma r in o
Un it La bor Cost [blu ], In fla zion e [r osso], Sta t i Un it i
LA MICROECONOMIA POST -KEYNESIANA
Il mondo appena descritto e le conclusioni a cui siamo giunti a livello globale sono “m icrofondate”, cioè basate sui comportamenti degli agenti a
livello microeconomico: le imprese (che cercano di mantenere i profitti) e i lavoratori (che contrattano con le imprese i salari, in termini nominali).
Tuttav ia esse non sono microfondate sulla m icroeconom ia neoclassica, che descrive un m ondo ideale in cui un banditore del v illaggio
declama i prezzi d'asta, i consumatori conoscono perfettamente le caratteristiche delle merci, la concorrenza è perfetta, gli indiv idui massimizzano
l'utilità, i mercati sono “competi”, le aspettative sono razionali (cioè gli indiv idui si comportano come se conoscessero il modello), la moneta è solo
un velo che nasconde un mondo di baratti, il consumatore è “sovrano” e l'equilibrio è sempre quello di piena occupazione.
Al contrario, la descrizione fornita è basata sulla m icroeconom ia eterodossa Post Key nesiana (in particolare sulle ipotesi di Kalecki) che
cerca di descrivere i com portam enti concreti delle im prese e degli altri agenti. Molto altro si potrebbe aggiungere su questo argomento: ad
esempio, è realistico supporre che le imprese lavorino sempre a pieno regime con tutti i lavoratori impiegati (piena occupazione)? Vi è motivo di
dubitarne. Al contrario, esse conservano un “buffer” di capacità produttiva inutilizzata che v iene attivato quando la domanda cresce (si
pensi, ad esempio, all'uso degli straordinari).
Per quel che concerne tali questioni rimandiamo all'ottimo testo Introduction to Post-Keynesian econom ics di Marc Lavoie (Palgrave
Macmillan, 2006). Per una sintesi si vedano le dispense elaborate da Marco Passarella [http://www.marcopassarella.it/wp-
content/uploads/economia-post-key nesiana.pdf].
Chiaramente quanto qui illustrato non basta a provare in modo rigoroso la relazione causale tra costi e inflazione. Tuttav ia un modello di inflazione "cost-
push" (guidata dai costi) appare sicuramente più realistico, sia nelle sue ipotesi che a confronto con i dati, rispetto all'idea che siano le masse monetarie a
guidare l'inflazione, come sostenuto dalla Teoria Quantitativa della Moneta.
4. Domanda e offerta di moneta
Se, come abbiamo v isto, l'aumento dei costi guida a breve termine dell'aumento dei prezzi, possiamo ora ipotizzare l'effetto che questo processo avrà sulle
masse monetarie: un increm ento dei prezzi P richiederà un aum ento della m oneta M per rappresentare i m edesim i beni prodotti (Q)
dall'econom ia. Servirà più m oneta anche nel caso in cui l'econom ia sia in una fase di crescita (cioè quando Q aum enta), a prescindere
dall'inflazione, perché v i saranno investimenti crescenti, più persone lavoreranno, aumenteranno i consumi e i beni e serv izi acquistati: vale a dire l'aumento
della domanda aggregata, la quale guida la crescita economica tanto nel breve quanto nel lungo periodo, secondo il principio key nesiano della domanda
effettiva.
Ci si chiede a questo punto dove il settore reale (im prese, fam iglie) prenda la m oneta aggiuntiva rispetto al periodo precedente. La
risposta più im m ediata è che essa proviene dalle banche, attraverso i prestiti. Una conferma dovrebbe venire dal confronto tra la crescita delle
m asse m onetarie (offerta) con la crescita dei prestiti (dom anda):
Cr edito tota le Ba n ch e com m er cia li [blu ] - Mon eta (M2 ) [r osso], Sta t i Un it i
Si noti che il "ciclo" del credito anticipa quello della massa monetaria M2.
Il grafico seguente mostra l'andamento dell'aggregato monetario M3 e dei prestiti nell'area euro
Gli andamenti sono molti simili e ravv icinati. Si tenga presente che l'anomalia tra il 2001 e il 2003 è spiegata dalla BCE come un'elevata preferenza per le
attiv ità liquide da parte degli operatori (che comunque è anch'essa un fenomeno riguardante la domanda e non l'offerta della moneta).
Possiamo ora quindi avanzare l'ipotesi opposta a quella della T QM: la m assa m onetaria non dipende dall'offerta di m oneta “esogena”, sotto il
controllo della banca centrale, m a dalla dom anda di m oneta da parte dell'econom ia e dalla “propensione al prestito” (o meglio propensione
al rischio) delle banche.
Se così è, allora un'eventuale crescita dell'offerta di moneta da parte delle banche centrali (base monetaria) che vada oltre la domanda da parte dell'economia,
ad esempio attraverso i cosiddetti “quantitative easing” (l'acquisto di grandi quantità di titoli da parte delle BC in cambio di nuovo denaro), non dovrebbe
causare né un sensibile aum ento della quantità com plessiva di m oneta né un corrispettivo aum ento dell'inflazione. Il grafico seguente
mostra la crescita della base m onetaria (la moneta “stampata” dalla banca centrale) in confronto con l'aggregato monetario M2 e l'indice dei prezzi, negli
USA.
Ba se m on eta r ia [blu ], M2 [v er de], in fla zion e [r osso], Sta t i Un it i, 1 9 8 0=1 00
Queste sono invece le variazioni delle stesse tre variabili:
Si tenga conto che l'aumento della base monetaria nel 2008 (a cui sono seguiti ulteriori Quantitative Easing) è stato di proporzioni enormi. Anche volendo
ipotizzare che tale liquidità aggiuntiva abbia influenza sull'inflazione solo nel lungo periodo, siamo ormai a 5 anni dal primo grande QE e nel frattempo altri ne
sono seguiti. Eppure l'inflazione si è sempre mantenuta estremamente modesta, anche quando l'economia è tornata a crescere (negli USA) dopo il 2009.
Non solo, anche la m oneta M2 non ha seguito l'andam ento della base m onetaria, diversamente dagli anni precedenti, in cui, almeno per alcuni
periodi, questa relazione sembrava stabile.
Ba se m on eta r ia [blu ], M2 [r osso], Sta t i Un it i
Cade quindi l'idea che il m oltiplicatore m onetario abbia rilevanza nel processo di creazione della m oneta. La relazione base
m onetaria/quantità di m oneta, insom m a, sem bra "rom persi" se la banca centrale decide di "stam pare in eccesso" rispetto alle esigenze
dell'econom ia.
Vi sono diversi modi per spiegare la mancata esplosione dell'inflazione e delle masse monetarie. Key nes sosteneva ad esempio che la velocità della moneta
(numero di transazioni in un dato tempo) precipita durante una crisi perché la gente tende a non spendere, ma a detenere scorte liquide di moneta in risposta
all'incertezza. Inoltre sappiamo che grande parte della liquidità aggiuntiva è rimasta nei depositi delle banche commerciali presso le banche centrali, cioè le
banche stesse hanno usato la moneta come riserva di valore (si veda il nostro articolo sulla preferenza della liquidità delle banche:
[http://key nesblog.com/2012/09/06/la-preferenza-per-la-liquidita-delle-banche-e-la-politica-monetaria-disciplinare-di-mario-draghi/]).
In ogni caso l'ipotesi di una relazione causale del tipo:
Base Monetaria → M → P
non sembra in grado di dar conto in modo soddisfacente di una serie di fenomeni che accadono tanto in periodo di crisi quanto in periodo di espansione.
Serve probabilmente qualcosa di più solidamente poggiato sui reali meccanismi della creazione monetaria: una teoria della m oneta "endogena", cioè
un m odello in cui le m asse m onetarie dipendono dalla dom anda e dalla creazione di m oneta da parte delle banche, piuttosto che
dall'offerta "esogena" sotto il controllo della banca centrale.
5. La moneta “endogena”
Per illustrare come la moneta v iene creata dal sistema creditizio, partiremo da un esempio semplice, ma estremamente istruttivo, che ci permetterà di capire
che la moneta è un "segno" rappresentativo di una "promessa di pagamento" da parte dell'emittente e di un "potere d'acquisto" in mano a chi la detiene.
Supponiamo che il signor A , proprietario di un mulino che produce farina, chieda al signor B un prestito di 100 euro. Il signor B tuttav ia non possiede
al momento contante e firma un foglio di carta con su scritto “pagherò 100 euro a chi si presenterà con questo foglio”. Poiché il signor B è persona
notoriamente affidabile, il signor A considererà quel foglio un valido sostituto temporaneo dei 100 euro. A lo girerà ad un altro soggetto (ad esempio
un macellaio, che conosce anch'egli l'affidabilità di B), che lo girerà ad un altro ancora (ad esempio un fruttivendolo), che lo girerà ad un terzo, ad
esempio un panettiere. Il panettiere ha bisogno di farina e la compra dal signor A , pagando in parte con il “pagherò” em esso dal signor B. Quindi il
signor A tornerà dal signor B e gli restituirà il “pagherò”, estinguendo così il debito. A questo punto il signor B semplicemente lo straccerà,
distruggendo la m oneta precedentem ente creata.
Si noti che il signor B non ha m ai avuto davvero bisogno di possedere 100 euro. Né, al momento in cui ha emesso il “pagherò”, era obbligato a
sapere quanto possedeva precedentemente. Doveva solo fidarsi del signor A .
La m oneta è un cioè un “IOU” (I Owe You, “io ti devo”), viene creata con i prestiti e distrutta con la loro restituzione.
Che la moneta sia una "promessa di pagamento" è sempre stato chiaro ai banchieri centrali. Sulle sterline inglesi v iene esplicitamente dichiarato
"Prometto di pagare al portatore su domanda la somma di ... sterline":
Per comprendere quindi come funziona realmente il sistema monetario dobbiamo partire dall'idea che siano i prestiti a creare la m oneta.
Nella realtà economica la questione quindi diventa: da dove le banche com m erciali ottengono la m oneta per i prestiti? La risposta è che, a livello
aggregato, la creano "dal nulla". Esse aprono cioè delle linee di credito dalle quale le imprese attingono per iniziare la produzione. Le banche nel loro
insieme non sono quindi v incolate nel concedere prestiti dall'am m ontare del denaro precedentem ente depositato.
La sequenza logica funziona esattamente al contrario rispetto alla TQM: le banche concedono prestiti, con i quali gli im prenditori investono,
pagano le fam iglie e queste depositano i soldi nella banche. Infine le imprese, grazie agli incassi realizzati con l'attiv ità economica, restituiscono i
prestiti e quindi la m oneta inizialm ente creata si “distrugge”. Gli incassi dell'attiv ità economica altro non sono che il frutto delle vendite realizzate
dalle imprese alle famiglie, le quali, come si è detto, hanno un reddito perché le imprese hanno pagato loro i salari (i div idendi in caso degli azionisti). E i
salari (o dividendi) possono essere pagati solo perché le im prese hanno inizialm ente chiesto e ottenuto un prestito alle banche.
Se le famiglie risparmiano una certa parte del reddito, le banche avranno dei depositi residui. Essi ammonteranno a una frazione del reddito
percepito dalle fam iglie, che a sua volta è il risultato del prestito iniziale. Ecco quindi perché i depositi sono una frazione dei prestiti. Invece
che di m oltiplicatore m onetario, quindi, si può parlare di "divisore".
Pertanto, a differenza di quanto comunemente si crede, i prestiti creano i depositi e non viceversa. Le banche non sono perciò un interm ediario
tra i risparm iatori che depositano denaro e coloro che chiedono i prestiti.
E' questo in sintesi il cosiddetto “circuito m onetario”, ossia la sequenza logica di fasi concatenate che scandiscono la produzione e lo scam bio
in un’econom ia capitalistica. Un'economia in cui le imprese usano la moneta “creata dal nulla” dalle banche per investire (comprare beni capitali) e
pagare i lavoratori al fine di produrre le merci. Successivamente le imprese venderanno le merci sul mercato e con la moneta così ottenuta restituiranno i
prestiti alle banche.
Questo semplice modello può essere poi arricchito per rappresentare il reale funzionamento dell'economia. Per motiv i pratici il pubblico potrebbe desiderare
dei m ezzi di pagam ento cartacei per le spese, invece che ordinare alla banca di effettuare un trasferimento a favore delle imprese. E' questa l'origine
dei “biglietti di banca”, cioè le banconote, prima che nascessero le banche centrali controllate dallo Stato.
Inoltre le banche, temendo l'insolvenza di alcune aziende e per assicurarsi un proprio profitto, chiederanno un prezzo per i prestiti concessi: il tasso
d'interesse. Poiché sotto form a di liquidità la m oneta può venire conservata (non necessariamente in forma cartacea, ma anche in conti correnti e
depositi “liquidi”) le im prese si troveranno costantem ente in debito con le banche. Per eliminare questo problema, le aziende em ettono titoli
(le obbligazioni) che vendono alle famiglie, ottenendo in cambio moneta: in questo modo sono in grado di ripagare le banche e si indebitano direttamente
con le famiglie.
Infine, nasce l'esigenza di strum enti di pagam ento definitiv i che estinguano tutti i debiti, com presi quelli tra le banche, generati, ad esempio,
dai trasferimenti dei clienti (si pensi ad un bonifico effettuato da una banca ad un'altra). Difatti una banca non può estinguere i propri debiti con
un'altra banca em ettendo la propria m oneta bancaria, altrimenti godrebbe del priv ilegio di signoraggio. E' quindi necessaria la m oneta legale
em essa da un'autorità terza: la banca centrale.
In effetti che questo sia lo scopo della moneta legale è chiaro leggendo quanto scritto su ogni dollaro americano: “This note is legal tender for all debts public
and private” (questa banconota è a corso legale per [estinguere] tutti i debiti, pubblici e privati).
Nella realtà i pagamenti interbancari non vengono effettuati con denaro contante, ma attraverso le riserve delle banche com m erciali presso le
banche centrali, che fanno comunque parte della moneta legale come le banconote e le monete metalliche. Nella maggior parte dei paesi le banche centrali
richiedono una riserva obbligatoria m inim a (una frazione dei depositi), di cui abbiamo già parlato quando abbiamo descritto il moltiplicatore
monetario. In alcuni (Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Svezia) al contrario non è richiesta alcuna riserva obbligatoria, senza che ciò
faccia crescere l'offerta di m oneta all'infinito, come suggerisce il modello del moltiplicatore monetario.
L'esigenza per il sistema economico di ottenere una moneta legale dà quindi alla banca centrale il potere di fissare il suo prezzo: il tasso di interesse
della Banca Centrale è perciò il riferimento per le banche quando concedono prestiti alle aziende. In questo quadro allora la banca centrale svolge un
ruolo completamente differente rispetto a quanto sostenuto dalla TQM. Essa fissa un prezzo per la m oneta legale che influenza il tasso d'interesse
bancario.
La dom anda di m oneta, sensibile al tasso d'interesse, dim inuirà o aum enterà in funzione di questo, dando quindi una certa efficacia alle
politiche m onetarie. A questo punto la banca centrale stam perà quanto effettivam ente necessario a rispondere alla dom anda di m oneta
legale, che sarà una frazione della m oneta totale.
I due grafici seguenti illustrano la differenza tra la Teoria Quantitativa della Moneta e la Teoria della Moneta Endogena (qui ci riferiamo alla sua versione più
semplice, l' "orizzontalism o" sv iluppato da Basil Moore sulla base delle osservazioni di Kaldor):
Nel caso della TQM, la Banca Centrale è in grado di controllare la quantità di moneta che non dipende in alcun modo dalla domanda, ma esclusivamente
dall'offerta. Al contrario, nella T eoria della Moneta Endogena, la Banca Centrale non è in grado di controllare direttam ente la quantità di
m oneta. Essa fissa il tasso d'interesse al quale rifinanzia le banche con la moneta legale e tale tasso d'interesse influisce su quello effettivamente applicato
dalle banche ai clienti. A tale tasso d'interesse bancario la domanda di moneta "tirerà" una certa offerta. Se la Banca Centrale riduce il tasso d'interesse, e di
conseguenza lo riducono anche le banche, la domanda aumenterà e quindi aumenterà anche l'offerta. La Banca Centrale deve essere sem pre pronta a
fornire la liquidità in m oneta legale necessaria, pena l'insolvenza del sistem a finanziario.
Si noti tuttav ia che, durante una crisi, il fatto che la BC sia in grado di diminuire il tasso d'interesse sulla moneta legale non implica che le banche riducano
nella stessa misura il tasso d'interesse bancario, né che esse siano più propense al rischio (esse possono cioè sempre razionare il credito se temono
l'insolvenza dei propri clienti), né che la domanda di prestiti aumenti di conseguenza nel caso in cui gli imprenditori abbiano aspettative negative sul
rendimento degli investimenti. In ogni momento, insomma, è il rapporto tra le banche e chi richiede i prestiti a determ inare la quantità di
m oneta nel sistem a econom ico. Gli economisti spesso usano le metafore "non si può spingere una corda" e "il cavallo non vuole bere" per
descrivere quelle situazioni in cui la politica monetaria "rilassata" della banca centrale non si dimostra abbastanza efficace per far riprendere il ciclo del
credito.
L'affermazione che le Banche Centrali non siano in grado di determinare la quantità di moneta può sembrare molto azzardata, ma l'esperienza lo conferma. Nel
grafico seguente, che abbiamo già esaminato nel paragrafo 4., la retta orizzontale azzurra rappresenta l'obiettivo di crescita di M3 fissato dalla Banca Centrale
Europea (4,5% annuo). Come si può notare, M3 è quasi sem pre cresciuta a ritm i notevolm ente superiori all'obiettivo stabilito dalla BCE.
Riassum endo quindi sono i prestiti che creano i depositi e i depositi creano le riserve (in m oneta legale). L'influenza della banca
centrale sull'econom ia si realizza dunque fissando il tasso d'interesse, al quale essa deve poi accom odare la richiesta di m oneta legale da
parte del sistem a.
Infatti, come sottolineato da Kaldor, l'autorità monetaria (la banca centrale) ha sempre il dovere di assecondare la domanda di moneta legale, pena
l'insolvenza del settore finanziario.
Il tasso d'interesse non è quindi più, come per l'economia mainstream, il prezzo d'equilibrio tra investimenti e risparmio. La moneta può venire
tesoreggiata, come sosteneva Key nes, non trasformandosi in investimento; i risparmiatori possono non comprare i titoli delle aziende ma mantenere
liquidità; la stessa offerta di moneta è di per sé incapace di influire sull'ammontare delle masse monetarie. Nulla perciò assicura a priori che il ritmo
dell'investimento sia sufficiente a mantenere la piena occupazione. Un’ "econom ia m onetaria di produzione" è quindi un sistem a scoordinato e
"non-ergodico", cioè un sistem a in cui nulla ci riporta autom aticam ente all'equilibrio iniziale, una volta che ce ne siam o allontanati.
Questa descrizione del funzionamento del sistema monetario affonda le proprie radici in teorici come Wicksel, Shum peter, Kaldor e in parte nel Trattato
sulla m oneta di Key nes. In Italia in particolare è stata elaborata da Augusto Graziani nella versione della T eoria del Circuito Monetario (insieme
alla Scuola francese di Poulon, Parguez e Schmitt), in Inghilterra da Basil Moore nella sua versione detta “orizzontalista” e negli Stati Uniti da Hy m an
Minsky . Il neo-cartalismo (Modern Monetary Theory , MMT), secondo Marc Lavoie [link-inglese; link-italiano], afferisce anch'esso alla tradizione Post
Key nesiana della moneta endogena, sebbene la MMT ponga un'enfasi sulla moneta legale decisamente più marcata rispetto agli altri "rami" della Teoria della
Moneta Endogena.
6. L'inflazione e la crescita aumentano le masse monetarie
Tornando all'identità M×V=P×Q abbiamo quindi affermato che il livello dei prezzi P (insieme alla crescita del "PIL reale" Q) guida la quantità di
m oneta M. T roverem o quindi ancora una relazione tra le due grandezze, m a solo nel m edio-lungo periodo, vale a dire quando gli effetti
cumulati delle variazioni dei prezzi, insieme alle variazioni di Q e alle oscillazioni di V (velocità degli scambi), si ripercuoteranno sulla domanda di moneta e di
conseguenza sulle masse monetarie. Difatti, se costruiamo il nostro grafico sulle variazioni delle due variabili misurate sul lungo periodo (10 anni),
ritroveremo (approssimativamente) la correlazione perduta ma, come abbiamo v isto, con nessi causali invertiti rispetto alla TQM:
Mon eta M2 (r osso) e defla ttor e del PNL (blu ), v a r ia zion i della m edia decen n a le, Sta t i Un it i
(in questo grafico tratto da Wikipedia si usa il deflattore del prodotto nazionale lordo come indice, che differisce generalmente poco rispetto all'indice dei
prezzi al consumo).
Torna utile un confronto con gli andamenti di breve periodo (1 anno):
Mon eta M2 (v er de), pr ezzi a l con su m o (r osso), defla t tor e del PNL (blu ), v a r ia zion i a n n o/a n n o,
Sta t i Un it i
Riassumendo la nostra sequenza:
1 . l'inflazione è guidata fondamentalmente dai costi (materie prime, energia, salari, ecc.);
2. l'aumento dei prezzi P (e la crescita economica, che dipende dalla domanda aggregata) inducono l'economia reale a domandare più moneta alle banche;
3. l'aumento dei prestiti aumenta la quantità di moneta M e crea i depositi secondo la regola del "div isore";
4. l'aumento di M rende necessario l'aumento della moneta legale emessa dalle banche centrali (riserve e moneta cartacea) che sarà a sua volta una
frazione dell'intera moneta nel sistema.
Un'ultima nota: come accennato, Key nes nella Teoria Generale ha mantenuto la Teoria Quantitativa della Moneta, pur ampiamente riv isitata in modo tale che
fosse valida solo nel lungo periodo. Tuttav ia la Teoria della Moneta Endogena, sv iluppata da Kaldor proprio come critica a Key nes, si adatta molto meglio al
modello della Teoria Generale. Difatti, se per Key nes sono gli investim enti a creare i risparm i, è perfettam ente logico attendersi che siano i
prestiti a creare i depositi e non v iceversa.
7. Le Banche centrali e la Teoria della Moneta Endogena
Dopo la crisi del 2008 e di fronte alla mancanza di effetti degni di nota dell'azione delle banche centrali sia sulle grandezze reali (Pil, occupazione) che su
quelle monetarie (inflazione), la teoria della moneta endogena è tornata prepotentemente in campo. Molti economisti, anche ortodossi, e soprattutto alcuni
banchieri centrali, riconoscono il ruolo del credito quale creatore della moneta ed esplicitamente sostengono il punto centrale della Teoria della Moneta
Endogena: l'inversione di causalità tra prestiti, depositi e riserve in moneta legale.
Di seguito riportiamo alcuni passaggi di articoli e interventi in tal senso.
Vítor Constâncio, v ice presidente della Banca Centrale Europea, 26th International Conference on Interest Rates, Frankfurt am Main, 8 December 2011
[link]
“Non esiste una teoria accettabile che colleghi in modo necessario la base monetaria creata dalle banche centrali con l'inflazione. Tuttav ia, si sostiene da
parte di alcuni che le istituzioni finanziarie sarebbero libere di trasformare istantaneamente i prestiti loro accordati dalla banca centrale in credito al
settore non-finanziario. Questo si inserisce la vecchia v isione teorica sul moltiplicatore del credito, in base alla quale la sequenza di creazione di moneta
va dalla liquidità primaria creata dalle banche centrali all'offerta di moneta totale creata dalle banche attraverso le loro decisioni di credito. In realtà la
sequenza funziona più che altro nella direzione opposta, con le banche che prima prendono le loro decisioni di credito e poi cercando i finanziamenti
necessari e le riserve di moneta della banca centrale. Come Claudio Borio e Disy atat dalla Banca dei Regolamenti Internazionali hanno scritto: 'In effetti,
il livello di riserve difficilmente figura nelle decisioni di prestito delle banche. L'ammontare del credito in essere è determinato dalla disponibilità delle
banche a fornire prestiti, sulla base del trade-off percezione del rischio/rendimento e della domanda per i prestiti'. Nei settori bancari moderni, le
decisioni di credito precedono la disponibilità di riserve nella centrale banca. Come Charles Goodhart ha acutamente sostenuto, sarebbe più opportuno
parlare di un "div isore del credito" invece che di un "moltiplicatore del credito”.
Alan R. Holm es, Federal Reserve Bank di New Y ork (1969) [link]
“Nel mondo reale, le banche estendono il credito, creando i depositi nel processo, e cercano le riserve successivamente.”
Finn Ky dland e Ed Prescott (Premi Nobel per l'Economia), Federal Reserve Bank di Minneapolis (1990) [link]
“Non ci sono prove che siano la base monetaria o M1 [liquidità primaria] a guidarlo [il ciclo del credito], anche se alcuni economisti credono ancora a
questo mito monetario. Le serie della base monetaria e di M1 sono generalmente procicliche e, semmai, la base monetaria segue con un po' di ritardo [il
ciclo del credito]”
Charles Goodhart, membro del Comitato per la politica monetaria della Banca d'Inghilterra (2007 ) [link]
“La massa monetaria è una variabile dipendente endogena. Questo è esattamente ciò che gli eterodossi post-key nesiani, da Kaldor, attraverso Vicky
Chick, e attraverso Basil Moore e Randy Wray , hanno correttamente sostenuto per decenni, e sono stato dalla loro parte su questo.”
Piti Distay at e Claudio Borio, Banca dei Regolamenti Internazionali (2009) [link]
“Questo documento sostiene che l'accento sulle variazioni nei depositi indotti dalle politiche [monetarie] è inappropriato. Semmai il processo
effettivamente funziona in senso inverso, con i prestiti che guidano i depositi. In particolare, si sostiene che il concetto di moltiplicatore monetario è
inesatto e non informativo in termini di analisi delle dinamiche del credito bancario. Sotto uno standard di moneta a corso forzoso e sistema finanziario
liberalizzato, non v i è alcun v incolo esogeno sulla fornitura di credito, se non attraverso i requisiti patrimoniali. Un sistema bancario adeguatamente
capitalizzato può sempre soddisfare la domanda di prestiti se lo desidera.”
Seth B. Carpenter e Selva Dem iralp, Federal Reserve Bank (2010) [link]
“Nonostante i fatti istituzionali da soli forniscano un supporto interessante alle nostre idee, dimostriamo in maniera empirica che le relazioni implicate
dal moltiplicatore monetario non esistono nei dati per la maggior parte delle banche liquide e ben capitalizzate. Le variazioni delle riserve non sono
correlate a quelle nel credito, e le operazioni di mercato aperto non hanno un impatto diretto sui prestiti. Concludiamo che il modo in cui nei libri di
testo v iene affrontato il meccanismo di trasmissione può essere respinto. In particolare, i nostri risultati indicano che l'offerta di prestito bancario non
risponde ai cambiamenti nella politica monetaria attraverso un canale del credito bancario.”
Jaim e Caruana, General Manager della Bank for International Settlements [link]
"Nei fatti, l’espansione del credito bancario è determinata dalla disponibilità delle banche di garantire i prestiti, basandosi sul trade off percepito tra
rischio e rendimento e sulla domanda di credito. Un’espansione di riserve bancarie oltre il livello richiesto per precauzione, e/o per soddisfare l’obbligo
di riserva, non fornisce alle banche maggiori risorse per l’espansione del credito. Finanziare la variazione degli asset nello stato patrimoniale della Banca
Centrale tramite riserve piuttosto che altri strumenti a breve termine come banconote o titoli di Stato, altera solo la composizione della liquidità nel
sistema bancario. Come detto, i due sono veri e propri sostituti. […] Questo può essere v isto in un’altra maniera. Ricordo che per finanziare politiche di
bilancio tramite un’espansione di riserve, la Banca Centrale deve eliminare il costo opportunità di detenerle. In altre parole, deve pagare un’interesse
sulle riserve pari al tasso overnight che vorrebbe raggiungere, o il tasso overnight deve scendere sino al tasso [pagato sulla, ndt] deposit facility (o zero).
Infatti, la Banca Centrale deve rendere le riserve bancarie sufficientemente attrattive rispetto ad altri asset liquidi. Questo li rende perfetti sostituti, in
particolare di altri titoli del tesoro a breve termine. Le riserve diventano così solo un altro tipo di asset liquido fra tanti."
Jam es T obin, Premio Nobel per l'Economia, (1963) [link]
"La singola banca non è v incolata da nessun ammontare fisso di riserve. Può ottenere ulteriori riserve per soddisfare gli obblighi di riserva prendendo a
prestito dalla Federal Reserve, acquistando “fondi Federali” da altre banche, vendendo o “richiedendo anticipatamente il rimborso” di titoli a breve
termine. In breve, le riserve sono disponibili [accedendo, ndt] alla discount window e nel mercato monetario ad un prezzo."
William Dudley , presidente e CEO della Federal Reserve Bank di New Y ork (2009) [link]
"Un altro problema collegato è la questione se la Federal Reserve sarà in grado di agire abbastanza rapidamente una volta che decide che è il momento di
alzare i tassi. Questa preoccupazione riflette l'opinione che le riserve in eccesso su cui sono sedute le banche sono essenzialmente 'esca per il fuoco' che
potrebbe rapidamente alimentare l'eccessiva creazione di credito e spiazzare la stretta monetaria della Fed.
In termini di immagini, questa preoccupazione sembra convincente, le banche sedute su mucchi di soldi che potrebbero essere utilizzati per estendere il
credito con poco preavv iso. Tuttav ia, questo ragionamento non tiene conto di un punto molto importante. Sulla base di come la politica monetaria è
stata condotta da diversi decenni, le banche hanno sempre avuto la possibilità di espandere il credito ogni volta che vogliono. Non hanno bisogno per
farlo di un mucchio di 'esca per il fuoco', sotto forma di riserve in eccesso. Questo perché la Federal Reserve si è impegnata a fornire riserve sufficienti a
mantenere il tasso sui fed funds al suo obiettivo. Se le banche vogliono espandere il credito e questo fa salire la domanda di riserve, la Fed
automaticamente asseconda quella domanda nella conduzione della politica monetaria. In termini di capacità di espandere il credito rapidamente, non
fa alcuna differenza se le banche hanno un sacco di riserve in eccesso o meno."
[Parzialmente tratto da: http://rwer.wordpress.com/2012/01/26/central-bankers-were-all-post-key nesians-now/ e da alcuni post di "Istwine" su diversi
forum in rete]
8. Ringraziamenti e Bibliografia
Ringraziamo per i consigli e suggerimenti sul tema Marco Passarella, Hervé Baron e Andrea Terzi
Per una esposizione didattica dell'approccio della moneta endogena abbiamo in particolar modo attinto a:
Lavoie M., A primer on endogenous credit-money [link]
Passarella M., Dispense sul circuito monetario [link]
Terzi A., Appunti di Economia Monetaria, EDUCatt, 2012 [link]
Consigliamo inoltre:
Risorse in rete
Cavalieri, Duccio, Il circuito della moneta e il finanziamento dell'economia. Un'analisi teorica [link]
Brancaccio Emiliano, Fontana Giuseppe, “Solvency rule” versus “Tay lor rule”. An alternative interpretation of the relation between monetary policy
and the economic crisis, 2012, Cambridge Journal of Economics. doi: 10.1093/cje/bes028.
Brancaccio E., Un modello di teoria monetaria di produzione capitalistica, Il pensiero economico italiano XIII/2005 [link]
Ferrara Ferdinando , Moneta endogena, disponibilità di credito e preferenza per la liquidità, in Studi e note di economia MPS, 1/98 [link]
Leijonhufvud, Axel The Wicksell Connection: Variation on a Theme. UCLA, 197 9. [link]
Riportiamo infine una bibliografia estesa tratta dal blog Social Democracy for 21st Centory [link]
Libri
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Fontana, G. 2009. Money, Uncertainty and Time, Routledge, London and New Y ork.
Graziani, Augusto. 2003. The Monetary Theory of Production, Cambridge University Press, Cambridge. [Anteprima su Google books]
Kaldor, N. 1982. The Scourge of Monetarism, Oxford University Press, Oxford and New Y ork.
Lavoie, Marc. 1992. Foundations of Post-Keynesian Economic Analysis. Elgar, Aldershot.
Moore, B. J. 1988. Horizontalists and Verticalists: The Macroeconomics of Credit Money, Cambridge University Press, Cambridge and New Y ork.
Rochon, Louis-Philippe and Sergio Rossi (eds.). 2006.Endogenous Money: The Evolutionary Versus Revolutionary Views, Centro di studi bancari, RME Lab,
Vezia.
Rochon, Louis-Philippe. 1999. Credit, Money, and Production: An Alternative Post-Keynesian Approach, Edward Elgar, Cheltenham, UK and Northampton,
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Setterfield, M. (ed.). 2006. Complexity, Endogenous Money and Macroeconomic Theory: Essays in Honour of Basil J. Moore, Edward Elgar, Cheltenham, UK
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Articoli
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