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E-Book 2014 A cura della Commissione di Studio UNGDCEC “Le consulenze tecniche d’ufficio civili e penali” Guida alla Consulenza Tecnica d’Ufcio in sede civile e penale

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E-Book2014

A cura della Commissione di Studio UNGDCEC “Le consulenze tecniche d’ufficio civili e penali”

Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

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Editore: MAP Servizi s.r.l.

Sede legale in Torino, Via Cervino 50

Iscrizione al Registro delle Imprese di Torino n. 08670500019

Iscrizione n. 2032 al Registro degli editori e stampatori presso la Prefettura di Torino

ISBN 978-88-7614-132-4

© Copyright MAP Servizi s.r.l. - 2014

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A cura della Commissione di Studio UNGDCEC “Le consulenze tecniche d’ufficio civili e penali”

Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

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Componenti Area Civile

Responsabile: Dott. Massimo Festa

Dott. Pierpaolo AbbateDott.ssa Annarita CampagnaDott. Andrea CostantiniDott. Matteo De LiseDott. Luca D’Isanto Dott.ssa Federica De Pieri Dott. Alessandro Farinelli Dott. Marco Fiengo Dott. Davide Iafelice Dott. Fabio Iodice Dott. Pasquale Limatola Dott. Cesare Longo Dott.ssa Francesca Masotto Dott. Antonio Morese Dott. Marco Piva Dott.ssa Manuela Salvestrin Dott. Massimo Senatore Dott. Roberto Tudini Dott. Mauro Visca Dott.ssa Samantha Visentin

Componenti Area Penale

Responsabile: Dott.ssa Sonia Mazzucco

Dott. Angelo Pio CammalleriDott. Rosario CandelaDott. Calogero CracòDott. Gianni Lanza Dott. Paolo Limiti Dott. Antonio Muffoletto Dott. Maurizio Stella

Componenti Commissione di Studio UNGDCEC “Le consulenze tecniche d’ufficio civili e penali”

Dott. Riccardo Borgato - Delegato GiuntaDott. Daniele Anzelmo - PresidenteDott.ssa Samantha Visentin - Segretario

Dott. Massimo Festa - Responsabile area civile Dott.ssa Sonia Mazzucco - Responsabile area penale

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Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

Prefazione

CAPITOLO 1La Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale: il Consulente Tecnico quale ausiliario del Giudice, requisiti personali e professionali

1. Fonti normative

2. L'Albo dei Consulenti Tecnici e l'Albo dei Periti

3. Istituzione e conservazione degli Albi

4. I requisiti del professionista per l'iscrizione all'Albo dei CTU ed all'Albo dei Periti

5. Il procedimento d'iscrizione

6. La scelta del CTU/Perito fra gli iscritti all'Albo speciale del Tribunale

7. La revisione dell'Albo

8. La vigilanza sulla distribuzione degli incarichi

9. Prassi nei Tribunali italiani: l'esempio del Tribunale di Roma

10. La natura della Consulenza Tecnica d'Ufficio

11. La Consulenza Tecnica come ausilio del Giudice

12. Il Perito nel processo penale come testimone

13. La Consulenza Tecnica come mezzo di prova

13.1. CTU percipiente - CTU deducente

13.2. La perizia percipiente nel processo penale

14. Diritti e doveri del CTU quale ausiliario del Giudice

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Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

CAPITOLO 2Il conferimento dell’incarico, l’accettazione, la rinuncia e la revoca. La Consulenza Tecnica collegiale

1. Il conferimento d'incarico

2. La nomina

2.1. L'ordinanza di nomina

3. La rinuncia

4. L'astensione

5. La ricusazione

6. Giuramento del CTU

7. Incarichi collegiali e ausiliari del Perito

CAPITOLO 3Poteri e doveri del Consulente Tecnico d’Uffi cio nello svolgimento dell’incarico. Aspetti deontologici

1. Poteri

2. Doveri

3. Obbligo di diligenza e perizia

CAPITOLO 4Il ruolo del Consulente Tecnico nelle indagini preliminari, nell’udienza preliminare e nella fase dibattimentale, e del Perito nel processo penale

1. Il Consulente Tecnico del Pubblico Ministero: ruolo nell'indagini preliminari, nell'udienza preliminare e nella fase dibattimentale

2. Escussione della prova del Perito nel processo penale

CAPITOLO 5Il Consulente Tecnico d’Uffi cio e il Consulente Tecnico di Parte. Responsabilità civili e penali

1. La figura del Consulente Tecnico di parte

2. La responsabilità del CTU

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Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

3. Responsabilità del Perito e relative sanzioni

4. Responsabilità civile

5. Responsabilità penale

5.1. Obbligo di assumere l'incarico

5.2. Falsa perizia

5.3. Frode processuale

5.4. Sanzioni per corruzione in atti giudiziari

5.5. Omessa o ritardata denuncia di reato

6. Responsabilità penale del Consulente Tecnico nel processo penale

6.1. Incompatibilità all'assunzione del ruolo di Consulente Tecnico

CAPITOLO 6La Consulenza Tecnica nel processo civile: metodologia e contenuti

1. Lettura dei quesiti

2. Individuazione degli obiettivi

3. Individuazione della metodologia e della tecnica di indagine

4. Individuazione e selezione dei documenti sui quali esperire le indagini

5. La relazione del CTU: forma, contenuto e deposito

5.1. La forma della relazione del CTU

5.2. Il contenuto della relazione del CTU

5.3. I termini di deposito

6. La partecipazione al processo da parte del CTU

6.1. La richiesta di chiarimenti

6.2. L'assistenza all'udienza e l'audizione in camera di consiglio

CAPITOLO 7La Consulenza Tecnica nel processo penale: metodologia e contenuti

1. Premessa: il processo penale

2. La Perizia e la Consulenza Tecnica

3. Metodologia e contenuti della Perizia

4. Metodologia e contenuti della Consulenza Tecnica

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Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

CAPITOLO 8I compensi del Consulente Tecnico d’Uffi cio e la liquidazione

1. La determinazione del compenso dei CTU - il quadro normativo

2. Le Tabelle dei compensi del CTU

3. La domanda di liquidazione del compenso

CAPITOLO 9Caso pratico

1. CTU penale in materia di bancarotta fallimentare

2. CTU civile in materia bancaria

2.1. Premessa

2.2. Il quesito

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Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

La delega affidatami dalla Giunta Nazionale all’inizio del mandato ha avuto come oggetto lo studio e l’analisi di una delle figure più controverse e importanti nel processo civile e penale, quella del Consulente Tecnico e del Perito, ausiliari di giustizia ai quali è attribuito il compito, qualora necessario, di coadiuvare il magistrato nelle ricerca della decisione più giusta fornen-do il supporto tecnico.

Negli incarichi giudiziari, infatti, le figure del consulente tecnico e del perito, in quanto au-siliari del giudice, rivestono particolare importanza in relazione alle competenze professionali richieste.

Per lo svolgimento di tali prestazioni sono necessari non solo una solida preparazione pro-fessionale e un continuo aggiornamento, ma soprattutto una conoscenza approfondita delle norme del diritto processuale sia civile che penale.

Il magistrato che si affida al professionista al fine di ottenere elementi tecnici di supporto e sovente propedeutici per emettere una decisione di giustizia non può tollerare alcun tipo di errore e deve avere piena garanzia che l’analisi elaborata dall’esperto abbia una valenza di assoluta oggettività e rispetto delle norme giuridiche.

Sulla scorta di tale esigenze è necessario, per i professionisti che operano in tale campo o che hanno intenzione di farlo, approfondire i necessari aspetti giuridici tipici del processo civile e penale, la cui conoscenza è certamente obbligatoria per affrontare senza incertezze e soprat-tutto senza errori un importante compito quale quello di ausiliario di giustizia.

La casistica processuale sia nei processi civili, ma soprattutto in quelli penali, ha infatti di-mostrato ed evidenziato le lacune di natura giuridica che, spesso, consulenti tecnici e periti, denotano nello svolgimento di incarichi giudiziari con la conseguente inutilizzabilità e nullità dei lavori di consulenza tecnica e di perizia svolti su incarico dell’autorità giudiziaria.

Infatti la ritualità del processo civile e ancor più di quello penale non consentono errori di superficialità dovuti alla mancata, o in alcuni casi incompleta, conoscenza di norme processuali di natura giuridica.

Per le motivazioni sopraesposte si è ritenuto pertanto opportuno e necessario, costituire un’apposita commissione studio, che ha affrontato tutti gli aspetti giuridici che le suddette funzioni richiedono, con particolare riferimento ed attenzione alle materie di competenza dei Commercialisti.

La Commissione, sin dalla sua costituzione, si era posta un obiettivo ambizioso: l’elabora-zione di un “manuale operativo del CTU” che potesse essere di ausilio e di supporto sia ai colleghi che già svolgono tali funzioni e sia a coloro che intendono o desiderano farlo.

Con la pubblicazione della presente monografia l’obiettivo è stato raggiunto e mi sento in dovere di ringraziare tutti i componenti della Commissione, che suddivisi nei due gruppi lavoro – civile e penale – hanno dedicato, con entusiasmo e dedizione, tempo prezioso alla realizza-zione di tale lavoro. Un particolare applauso, però, lo riservo al Presidente della Commissione, Daniele Anzelmo, che con il prezioso contributo dei responsabili d’area Sonia Mazzucco e Massimo Festa e della Segretaria Samantha Visentin, ha saputo ben coordinare le esperienze e convogliare così tutte le energie dei colleghi coinvolti in tale avventura.

Grazie ragazzi.

Riccardo Borgato Delegato di Giunta UNGDCEC

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Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

PREFAZIONE

PrefazioneLa realizzazione di un manuale tecnico e pratico sulla delicata e complessa attività del

Consulente Tecnico nell’ambito di un giudizio civile o di un processo penale, va “salutata” con estremo favore perché rappresenta un esempio importante di collaborazione tra ope-ratori del diritto e dell’economia che si muovono in un unico ambiente e che hanno mani-festato sensibilità nei confronti di un concetto elevato di professionalità. Uno strumento di approfondimento che costituisce anche “formazione professionale”, non un momento di autoreferenzialità, ma occasione di dialogo e di confronto tra professionalità diverse, tra referenti del mondo tecnico ed economico ed operatori giuridici qualificati. Strumento di efficienza e specializzazione, teso a favorire, promuovere ed elaborare prassi e strumenti di recupero di efficienza.

L’idea che sta alla base di quest’opera presuppone necessariamente una convergenza di interessi sull’ampia categoria del cd. “diritto dell’economia”, e cioè sulle tematiche della riforma del diritto civile, commerciale, penale e processuale che pongono il diritto dell’e-conomia come uno dei temi centrali dei prossimi anni. Disciplina cui si dovrà guardare, sia in un’ottica prettamente giuridica che più propriamente tecnica ed economica per dotare, sia il Giudice che gli altri operatori, delle conoscenze essenziali per l’attuazione giudiziale di fattispecie le quali talvolta presentano ampi profili gestori, in altri casi presuppongono complesse nozioni anche extragiuridiche.

Sullo sfondo restano i grandi mutamenti normativi e giurisprudenziali che dalla metà degli anni novanta hanno completamente rivoluzionato buona parte dei rapporti contrat-tuali che – sia in ambito civile che penale – richiedono generalmente l’apporto di profes-sionalità tecniche esterne.

Un esempio tra tutti riguarda la materia bancaria, la cui rilevanza, sia da un punto di vista giuridico, che economico non richiede ulteriori precisazioni. Basti pensare che, negli anni novanta, le prime decisioni innovative della Cassazione a Sezioni semplici in materia di anatocismo ed usura determinarono, secondo il Sole 24 Ore, un “giro d’affari” annuo di circa 5-6 mila miliardi di vecchie lire e, secondo le stime delle associazioni dei con-sumatori, sino a 100 mila miliardi di lire (Sole 24 Ore del 17/10/2000). La svolta della Cassazione era stata ben meditata (la causa era passata in decisione il 20/05/1998 ed è stata decisa il 16/03/1999) e quell’orientamento è stato successivamente conferma-to dalle Sezioni Unite le quali, nella notissima Sentenza 04/11/2004, n. 21095, hanno confermato l’illegittimità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi. Più di recente, le Sezioni Unite della Cassazione con la famosa Sentenza n. 24418 del 2010, hanno imposto una rivisitazione, anche tecnica, di ulteriori ambiti negoziali.

Le profonde trasformazioni del nostro ordinamento certamente hanno influenzato il di-ritto vivente, il quale non può prescindere dalla dinamicità dei processi giuridici ed econo-mici (come quello di adeguamento ai modelli europei in vista del mercato unico), le richie-ste di tutela del contraente debole e quelle di contrasto degli abusi di posizioni contrattuali dominanti. Esigenze che hanno portato alla normativa in materia di trasparenza bancaria, alla legge sul credito al consumo, alla legge sulla subfornitura, la normativa a favore del consumatore e le reiterate e recenti prove di forza, che hanno dato luogo a leggi di inter-pretazione, talvolta viziate da incostituzionalità.

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Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

PREFAZIONE

Oggi, il processo civile e quello penale sono sempre più caratterizzati dall’intervento di professionisti portatori di nozioni estranee a quelle giuridiche e che richiedono un impiego di conoscenze le quali vanno oltre il sapere dell’uomo medio, impedendo così al giudican-te di utilizzare la scienza privata per risolvere le singole questioni giuridiche. In tutti questi casi è necessario fare riferimento all’apporto di soggetti esperti che contribuiscono alla decisione della controversia attraverso differenti modalità: integrando i collegi giudicanti con esperti designati in funzione della specializzazione dell’organo giudicante; altre volte l’apporto esterno consiste nell’audizione come testimone di un soggetto qualificato, sia pure nei limiti consentiti per tale prova testimoniale scientifica. Lo strumento più efficace e di maggiore rilevanza è quello della nomina di un Consulente Tecnico ad opera del Giu-dice, delle parti o del PM, al quale conferire uno specifico incarico per il singolo giudizio.

Il delicato ed essenziale rapporto tra Giudice e Consulente Tecnico, si inserisce nel tema della prova scientifica, che “innesta” nella controversia civile o nell’indagine penale, un accertamento rilevante e spesso determinante per la decisione del procedimento, la cui acquisizione e valutazione va alla di là della conoscenza del Giudice, delle parti e dei loro difensori.

Anche nei casi in cui il giudicante è libero di scegliere il consulente sulla base dei criteri stabiliti dal codice di rito, e ancor prima, sulla base di un rapporto fiduciario e di affidabi-lità professionale, in genere, non ha le cognizioni tecniche o specialistiche per controllare effettivamente ogni passaggio dell’elaborato peritale.

In ciò si coglie l’importanza del ruolo del consulente d’ufficio, del Perito e del consu-lente di parte, la sua preparazione tecnica e la costante formazione professionale, poiché il principio del libero convincimento del Giudice, in presenza di materie caratterizzate da elevato tecnicismo, si restringe in presenza di una prova scientifica rigorosa.

Qual è, quindi, il residuo ambito di discrezionalità del giudicante in una controversia nella quale il materiale probatorio è costituito in tutto o in parte dalle risultanze di una pro-va tecnica o scientifica, i cui criteri valutativi, anche se conosciuti dagli esperti o dai tecnici di una determinata disciplina specialistica, sono in buona parte ignoti al giudicante?

La risposta a questo interrogativo individua, in maniera chiara e inequivocabile, l’im-portanza del ruolo del Consulente Tecnico, in generale, e del dottore commercialista, in particolare: tutta l’area residua, quella caratterizzata da profili di particolare specializza-zione, rappresenta l’ambito di piena operatività del Consulente Tecnico. E si tratta di un ambito di assoluto rilievo.

Lecce, 11 ottobre 2013

Gabriele Positano Consigliere della Corte di Cassazione

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CAPITOLO 1 | LA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO IN SEDE CIVILE E PENALE: IL CONSULENTE TECNICO QUALE AUSILIARIO DEL GIUDICE, REQUISITI PERSONALI E PROFESSIONALI

Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

CAPITOLO 1

La Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale: il Consulente Tecnico quale ausiliario del Giudice, requisiti personali e professionali

1. Fonti normative

La maggior parte delle norme che disciplinano la Consulenza Tecnica d’Ufficio nell’am-bito del processo civile e la perizia in sede di processo penale sono contenute, rispetti-vamente, nel codice di procedura civile e nel codice di procedura penale, nonché nelle relative disposizioni attuative.

In particolare, per quanto riguarda le Consulenze Tecnico d’Ufficio:

gli artt. 61-64 c.p.c., e gli artt. 191-201 c.p.c. disciplinano la perizia in generale;

gli artt. 87, 92, 177, 259, 260 e 261 disciplinano la CTU in vari momenti del pro-cesso;

gli artt. 5-26 disp. att. c.p.c. e l’art. 146 disp. att. c.p.c. disciplinano la formazione e la tenuta dell’Albo speciale dei CTU presso il Tribunale;

gli artt. 89-92 disp. att. c.p.c. e gli artt. 145 e 150 disp. att. c.p.c. contengono al-cune ulteriori norme procedurali sulla nomina e sull’attività del CTU.

Parallelamente, per quanto riguarda la perizia in ambito penale:

gli artt. 220 c.p.p. e segg. disciplinano la perizia in generale;

l’art. 392 c.p.p. disciplina la perizia nell’ambito dell’incidente probatorio (vale a dire durante le indagini preliminari);

l’art. 422 c.p.p. disciplina la perizia nell’udienza preliminare;

l’art. 501 c.p.p. disciplina la perizia nel dibattimento.

Come si vedrà, il contenuto e le modalità di svolgimento della perizia in ambito penale mutano a seconda della fase del procedimento in cui l’incarico viene assegnato.

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CAPITOLO 1 | LA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO IN SEDE CIVILE E PENALE: IL CONSULENTE TECNICO QUALE AUSILIARIO DEL GIUDICE, REQUISITI PERSONALI E PROFESSIONALI

Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

Le norme che riguardano la formazione, la tenuta e l’iscrizione all’Albo dei Periti sono invece contenute nelle norme di attuazione del c.p.p., agli artt. 66-75, e riproducono per la maggior parte quanto previsto dal c.p.c..

Vi sono poi alcune norme che risultano applicabili sia nelle procedure civili sia in quelle penali, vale a dire:

la L. 11/08/1973 n. 533 “Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria”, in particolare agli artt. 424, 441, 445;

l’art. 366 c.p. e l’art. 373 c.p. per quanto riguarda la responsabilità penale del Perito/CTU;

la L. 08/07/1980, n. 319 “Compensi spettanti ai Periti ed ai Consulenti Tecnici, con l’aggiornamento del D.M. 30/05/2002 - Adeguamento dei compensi spettanti ai Periti, Consulenti Tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposi-zione dell’Autorità giudiziaria in materia civile e penale”;

il Testo Unico in materia di spese di giustizia (D.P.R. 115/2002).

Da ultimo vi sono anche procedimenti non disciplinati espressamente né dal codice di procedura civile né dal codice di procedura penale, quali le consulenze in materia navale1 e quelle in materia tributaria2, che trovano comunque il loro supporto normativo nel diritto processuale civile ed in quello penale.

2. L'Albo dei Consulenti Tecnici e l'Albo dei Periti

Presso ogni Tribunale è istituito un Albo dei Consulenti Tecnici del Giudice (per le consu-lenze tecniche nel processo civile) ed un Albo dei Periti (per le perizie nel processo penale).

Si tratta di due registri separati, anche se, come si vedrà, gli stessi risultano disciplinati in modo parallelo.

Essi contengono i nomi delle persone, fornite di particolari competenze professionali e tecniche, alle quali il Giudice può affidare l’incarico di effettuare accertamenti di carattere tecnico, stime e valutazioni, utili ai fini del giudizio.

Nei paragrafi che seguono si esaminano le norme che regolano gli Albi tenuti presso i Tribunali, dall’istituzione all’iscrizione, sino alla revisione degli stessi.

3. Istituzione e conservazione degli Albi

Ai sensi dell’art. 61 c.p.c., e dell’art. 220 c.p.p., il Giudice per dirimere questioni tecni-che, scientifiche o artistiche complesse, può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti forniti di particolare competenza tecnica.

1 Cod. nav. 30/03/1942 n. 327; L. 11/12/1980, n. 862; Reg. Min. Trasp. 18/06/1981.

2 D.Lgs. 31/12/1992, n. 546.

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CAPITOLO 1 | LA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO IN SEDE CIVILE E PENALE: IL CONSULENTE TECNICO QUALE AUSILIARIO DEL GIUDICE, REQUISITI PERSONALI E PROFESSIONALI

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I consulenti e i Periti devono essere, pertanto, professionisti particolarmente esperti in una determinata arte o professione e, in generale, idonei al compimento di atti che il ma-gistrato, per la loro difficoltà tecnica, non è in grado di compiere.

Il Consulente Tecnico d’ufficio ed il Perito, dunque, sono ausiliari del Giudice, indipen-denti dalle parti in causa, nominati per colmare eventuali lacune tecniche del giudicante.

Proprio per garantire la competenza dei consulenti del Giudice, dunque, l’art. 61 c.p.c. e l’art. 221 c.p.p dispongono che gli stessi debbano normalmente essere scelti tra le per-sone iscritte negli Albi speciali formati a norma delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile e penale.

Presso ogni Tribunale sono a tal scopo istituiti:

a) l’Albo dei Consulenti Tecnici (in ambito civile) (art. 13 disp. att. c.p.c.);

b) l’Albo dei Periti (in ambito penale).

Essi sono tenuti dal Presidente del Tribunale (anche nel caso di Tribunale suddiviso in sezioni) e dagli stessi attingono tutti gli altri uffici giudiziari aventi sede nella circoscrizione del Tribunale (quindi sia la Corte di Appello, sia i giudici di pace).

La formazione e la tenuta di questi Albi speciali è affidata ad appositi organismi ed è assoggettata a norme specifiche.

Per quanto concerne la formazione dell’Albo dei CTU, ogni decisione viene demandata ad un apposito Comitato, formato da tre persone le quali decidono a maggioranza con parità di voto.

Tale Comitato è presieduto dal Presidente del Tribunale ed è composto del Procuratore della Repubblica e da un professionista iscritto all’Albo e designato dall’Ordine (o dal Colle-gio) della categoria a cui appartiene il richiedente l’iscrizione all’Albo dei Consulenti Tecnici.

Le funzioni di segretario del comitato sono esercitate dal cancelliere del Tribunale (art. 14 disp. att. c.p.c.).

Quanto sopra si applica anche al comitato preposto all’Albo dei Periti, con la precisa-zione che, ai membri suindicati, si aggiunge, in questo caso, ai sensi dell’art. 68 disp. att. c.p.p., anche il presidente del consiglio dell’ordine forense.

In base alla legge, poi, gli Albi sono sempre divisi in più categorie, a seconda delle attività esercitate dai rispettivi professionisti.

In particolare, l’Albo dei Consulenti Tecnici, ai sensi dell’art. 13 disp. att. c.p.c., deve essere suddiviso nelle seguenti categorie:

a) medico-chirurgica;

b) industriale;

c) commerciale;

d) agricola;

e) bancaria;

f) assicurativa.

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CAPITOLO 1 | LA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO IN SEDE CIVILE E PENALE: IL CONSULENTE TECNICO QUALE AUSILIARIO DEL GIUDICE, REQUISITI PERSONALI E PROFESSIONALI

Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

Tale elencazione non è tuttavia tassativa, potendovi essere ricomprese anche categorie di nuova istituzione (quali ed esempio quelle dei mediatori e degli psicologi).

Similmente, anche per quanto riguarda l’Albo dei Periti, “sono sempre previste le cate-gorie di esperti in medicina legale, psichiatria, contabilità, ingegneria e relative specialità, infortunistica del traffico e della circolazione stradale, balistica, chimica, analisi e compara-zione della grafia” (art. 67 disp. att. c.p.p.).

4. I requisiti del professionista per l'iscrizione all'Albo dei CTU ed all'Albo dei Periti

Per ottenere l’iscrizione agli Albi Speciali del Tribunale, un professionista deve obbliga-toriamente rispettare i requisiti previsti dalla legge.

Più precisamente, i requisiti necessari per l’iscrizione all’Albo dei Consulenti Tecnici ai sensi dell’art. 15 disp. att. c.p.c. sono:

1) speciale competenza tecnica in una determinata materia;

2) condotta morale specchiata;

3) iscrizione nelle rispettive associazioni professionali (rispettivi Albi o Collegi profes-sionali).

L’iscrizione all’Albo, quindi, deve essere concepita come un mezzo per garantire alla giustizia l’ausilio dei professionisti meglio preparati.

È stato peraltro abrogato il riferimento alla condotta “politica”, ritenuto incompatibile per effetto della nuova forma istituzionale dello Stato.

Un ulteriore requisito evincibile dalla lettera dell’art. 15 disp. att. c.p.c., invece, è quello di non essere già iscritto nel registro tenuto presso un altro Tribunale.

Difatti, in base alla predetta norma, nessuno può essere iscritto in più di un Albo. Ciò significa che qualora un professionista fosse già iscritto nell’Albo di un Tribunale potrebbe ottenere l’iscrizione nell’Albo di un nuovo Tribunale solo previa cancellazione dall’Albo in cui è già iscritto.

Per quanto riguarda invece l’iscrizione all’Albo dei Periti in ambito penale, l’art. 69 disp. att. c.p.p. prevede espressamente come requisito per l’iscrizione all’Albo dei Periti solo la “speciale competenza” nella materia prescelta.

Pur mancando un esplicito riferimento alla morale specchiata o all’iscrizione ad un Albo professionale, tuttavia, è possibile ravvisare anche nel codice di procedura penale i mede-simi requisiti del codice di procedura civile, laddove è previsto che non possono ottenere l’iscrizione nell’Albo le persone:

condannate con sentenza irrevocabile alla pena della reclusione per delitto non colposo;

che si trovano in una delle situazioni di incapacità previste dall’art. 222, co. 1, lett a), b) e c) del codice;

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CAPITOLO 1 | LA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO IN SEDE CIVILE E PENALE: IL CONSULENTE TECNICO QUALE AUSILIARIO DEL GIUDICE, REQUISITI PERSONALI E PROFESSIONALI

Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

cancellate o radiate dal rispettivo Albo professionale a seguito di provvedimento disciplinare definitivo.

Trattasi di un richiamo meno ampio di quello contenuto nel codice di procedura civile, ma che appare ugualmente stringente.

Per quanto riguarda la speciale competenza nelle materie per le quali si richiede l’i-scrizione, ai sensi dell’art. 15 disp. att. c.p.c., trattasi di un requisito fondamentale e inde-fettibile affinché possa procedersi con quest’ultima.

Poiché all’Albo dei CTU e dei Periti possono essere iscritti coloro che sono forniti di spe-ciale competenza tecnica in una determinata materia, non è sufficiente provare di essere laureati in una determinata disciplina, ma occorre dimostrare una specializzazione nella materia (o mediante un diploma di specializzazione o mediante titoli scientifici o professio-nali che dimostrino la speciale competenza)3.

Ciò spiega perché la domanda d’iscrizione debba essere corredata dai titoli e dai do-cumenti che l’aspirante ritenga di esibire per dimostrare la sua speciale capacità tecnica.

Inoltre, sempre al fine di valutare la speciale competenza tecnica dell’aspirante, la legge prevede che faccia parte al Comitato per la formazione dell’Albo anche il rappresentante della categoria professionale cui appartiene l’aspirante. Tale presenza dovrebbe avere lo scopo di garantire la corretta valutazione dei titoli prodotti dall’aspirante, nonché’ di con-sentire al Comitato di conoscere l’anzianità di iscrizione al relativo ordine professionale, l’eventuale conoscenza sulla piazza dell’aspirante stesso e se il comportamento dal punto di vista deontologico sia stato corretto.

Al fine di garantire la competenza e l’esperienza degli iscritti, in più Tribunali (ad esem-pio Roma e Venezia) è diffusa la prassi di richiedere come ulteriore requisito per l’iscrizione agli Albi Speciali, l’appartenenza al relativo Ordine o al relativo Collegio professionale da almeno 3 anni.

Per quanto riguarda, invece, il secondo requisito di cui all’art. 15 disp. att. c.p.c., per riconoscere la specchiata moralità del candidato non è sufficiente la mancanza di pre-cedenti penali e giudiziari, ma occorre anche che egli dimostri di possedere una condotta morale priva di ogni ombra che la possa intaccare.

Quanto al requisito dell’iscrizione nelle rispettive associazioni professionali, è stato osservato che l’appartenenza ad un Albo Professionale non costituisce un requisito indefet-tibile perché possa procedersi all’iscrizione all’Albo speciale del Tribunale.

Per quanto riguarda la materia più prettamente contabile, si rammenta, infatti, che con diverse pronunce è stato chiarito che anche i Revisori Contabili iscritti nel relativo registro istituito con D.M. 12/04/1995 possono ottenere l’iscrizione all’Albo dei Consulenti Tecnici (Corte Appello Bari, decisione del 28/01/1999).

Difatti, se così non fosse, si finirebbe per precludere il ruolo di ausiliario del Giudice a tutti i cosiddetti “professionisti senza Albo”, i quali invece sono dotati di competenze tecniche specifiche e possono fornire preziose consulenze non riconducibili ad altri profes-sionisti dotati di Albo (si pensi per esempio ad un esperto in informatica, che può fornire ausilio al magistrato per intercettazioni ambientali, tracciati gps, telefonia mobile, indagini informatiche e recupero dati da pc e hard-disk).

3 Si rinvia al paragrafo 1.5 per la prassi in uso presso il Tribunale di Roma con riferimento alla prova della speciale competenza.

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È stato, però, altresì osservato che coloro che appartengono a categorie sprovviste di Albo Professionale debbono comunque preferibilmente risultare iscritti nell’Albo dei Periti e degli Esperti tenuto dalla Camera di Commercio.

Dalla lettera dei codici di procedura, poi, emerge un ulteriore requisito, connesso alla residenza del richiedente.

Difatti, sia l’art. 16, co. 2, disp. att. c.p.c., sia l’art. 69, co. 2, disp. att. c.p.p. richiedono l’allegazione del certificato di residenza nella circoscrizione del Tribunale cui si presenta la domanda.

Da ciò si evince che possono ottenere l’iscrizione agli Albi solo coloro che sono residenti nel circondario del Tribunale, ovvero coloro che hanno in tale luogo il proprio domicilio professionale (equiparato alla residenza dall’art. 16 della L. 526/1999).

Riassumendo, quindi, il consulente d’ufficio/Perito del Giudice deve possedere alcuni requisiti essenziali, tra cui:

una pratica professionale provata e incontestabile;

la buona conoscenza della procedura giudiziaria, al fine di rispettare la forma e, in particolare, per vigilare sullo stretto rispetto dei diritti delle parti;

una buona capacità di analisi e di sintesi;

la sensibilità alle relazioni umane;

il costante aggiornamento;

l’integrità e l’imparzialità;

l’indipendenza nel giudizio;

la residenza nel circondario del Tribunale.

5. Il procedimento d'iscrizione

Per ottenere l’iscrizione negli Albi Speciali tenuti dai tribunali, è necessario presentare apposita domanda corredata dalla documentazione prevista per legge.

A livello nazionale, peraltro, sembra diffusa la prassi di presentare domande distinte (con modulistica separata) per l’iscrizione a ciascuno dei due Albi, quello dei CTU e quello dei Periti.

In particolare, in ambito civile, la domanda d’iscrizione all’Albo dei Consulenti Tecni-ci deve essere indirizzata, ai sensi dell’art. 16 disp. att. c.p.c., al Presidente del Tribunale, redatta su carta da bollo, e deve essere corredata dei seguenti documenti:

1. estratto dell’atto di nascita in carta da bollo;

2. certificato generale del casellario giudiziario di data non anteriore a tre mesi dalla presentazione della domanda, in carta da bollo;

3. certificato di residenza nella circoscrizione del Tribunale, in carta da bollo;

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4. certificato di iscrizione nell’Albo professionale (Ordine o Collegio), in carta da bollo;

5. i titoli o i documenti che l’aspirante ritenga di esibire per dimostrare la sua speciale capacità tecnica4.

In ambito penale, la domanda d’iscrizione all’Albo dei Periti deve essere indirizzata, ai sensi dell’art. 69, co. 2, disp. att. c.p.p., al Presidente del Tribunale, e deve essere corre-data dai seguenti documenti:

1. estratto dell’atto di nascita;

2. certificato generale del casellario giudiziale;

3. certificato di residenza nella circoscrizione del Tribunale, in carta da bollo;

4. i titoli o i documenti attestanti la speciale competenza del richiedente.

A differenza del c.p.c., il c.p.p. non prevede di allegare alla domanda il certificato di iscrizione nell’associazione professionale di appartenenza.

Tali disposizioni vanno, comunque, riviste alla luce del D.P.R. 445/2000 che prevede la possibilità della cd. “autodichiarazione”.

Inoltre per l’iscrizione di liberi professionisti all’Albo dei Consulenti Tecnici ed all’Albo dei Periti è dovuta la tassa di concessione governativa, pari ad euro 168.

Successivamente alla presentazione della domanda di iscrizione, il Presidente del Tri-bunale richiede alle autorità di polizia giudiziaria, specifiche informazioni sulla condotta pubblica e privata dell’aspirante (art. 17 disp. att. c.p.c. e art. 68 disp. att. c.p.p.).

Ottenute tali informazioni, il Presidente provvede a convocare il Comitato che dovrà decidere sull’iscrizione con provvedimento che viene adottato in Camera di Consiglio all’unanimità o a maggioranza (sia in ambito civile sia in ambito penale).

Il provvedimento d’iscrizione è un atto amministrativo di accertamento costituzionale, revocabile e suscettibile di autoannullamento da parte della stessa autorità che lo ha emanato qualora, a seguito di riesame, appaia inficiato da vizi di legittimità o non più rispondente a finalità pubbliche.

Qualora il Comitato si esprima negativamente per l’iscrizione, avverso tale provvedi-mento può essere proposto reclamo da parte del consulente o Perito non ammesso, entro 15 giorni dalla notificazione, al Comitato che sia costituito, ai sensi dell’art. 5 disp. att. c.p.c. o dell’art. 72 disp. att. c.p.p. presso la Corte d’Appello.

6. La scelta del CTU/Perito fra gli iscritti all'Albo speciale del Tribunale

L’iscrizione all’Albo speciale del Tribunale non è condizione necessaria per la nomina di un professionista a CTU o a Perito e non vincola la scelta del Giudice in alcun modo.

4 Si rinvia al paragrafo 1.5 per la prassi in uso presso il Tribunale di Roma con riferimento ai documenti da allegare alla domanda d’iscrizione.

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Infatti, l’art. 61 c.p.c., prevedendo che la scelta del Giudice debba essere fatta “nor-malmente” fra gli iscritti all’Albo, enuncia soltanto una direttiva, ma non pone alcun limite al Giudice in tal senso (Cass. Sez. II, 12/04/2001, n. 5473).

Il codice di procedura penale poi, all’art. 221, prevede espressamente l’alternatività fra gli iscritti ad appositi Albi e “persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina”. In più, proprio con riferimento alla seconda opzione, stabilisce che, ove il Giudice ritenga di nominare come Perito un esperto non iscritto negli appositi Albi, deb-ba, se possibile, designare una persona che svolga la propria attività professionale presso un ente pubblico.

Ciò significa che il Giudice può nominare anche persone non iscritte all’Albo del Tribu-nale, purché la nomina sia subordinata all’indicazione dei motivi ed al parere positivo del Presidente del Tribunale.

L’inosservanza delle predette norme peraltro non produce nullità processuali.È altresì possibile che il Giudice nomini un Consulente Tecnico d’ufficio iscritto nell’Al-

bo di un Tribunale diverso da quello in cui ha sede il Giudice investito della causa (Cass. Sez. Lavoro 12/07/1983 n. 4714) oppure che, in caso di accertamento in luogo lontano, deleghi per la nomina del CTU un Giudice del luogo (Cass. Sez. III, 11/04/2000, n. 4588).

Anche il Consulente Tecnico del PM, pur ricoprendo nel processo un ruolo di parte, è di norma scelto fra gli iscritti all’Albo dei Periti tenuto dal Tribunale.

7. La revisione dell'Albo

L’Albo ha in genere carattere permanente nel senso che chi vi è iscritto rimane nell’Albo a tempo indeterminato senza limitazioni di età.

Ai sensi dell’art. 18 disp. att. c.p.c., tuttavia, ogni quattro anni il Comitato presieduto dal Presidente del Tribunale provvede alla sua revisione al fine di eliminare i consulenti per i quali sia venuto meno uno dei requisiti di cui all’art. 15 disp. att. c.p.c. o sia sorto un impedimento ad esercitare l’ufficio.

Anche se la legge non lo precisa, si ritiene che il Comitato possa eliminare dall’Albo quei consulenti che ne facciano istanza, perché non intendono più esercitare la funzione di consulente o perché desiderano iscriversi in Albo di diverso Tribunale.

Similmente, in ambito penale, ai sensi dell’art. 68, co. 4, disp. att. c.p.p., il Comitato provvede ogni due anni alla revisione dell’Albo per cancellare gli iscritti per i quali è ve-nuto meno qualcuno dei requisiti previsti dall’art. 69, co. 3, o è sorto un impedimento a esercitare l’ufficio di Perito.

La revisione periodica degli Albi garantisce la competenza degli iscritti non solo al mo-mento della prima iscrizione, ma per tutta la sua durata.

Sembra, inoltre, garantire anche la correttezza nel comportamento tenuto dagli iscritti, visto che, com’è noto, l’iscrizione all’Albo comporta l’insorgere di una responsabilità di natura disciplinare e la comminabilità di sanzioni di vario genere (avvertimento, sospensio-ne o cancellazione a seconda dei casi) ove i Periti non adempiano agli obblighi derivanti dal conferimento dell’incarico.

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8. La vigilanza sulla distribuzione degli incarichi

Il Giudice Istruttore del processo civile è colui che di regola nomina il Consulente Tec-nico ; il Presidente del Tribunale, pertanto, non può ingerirsi nella scelta fatta dal Giudice Istruttore.

Vi è, tuttavia, una norma di carattere generale che prescrive che gli incarichi siano equamente distribuiti tra i consulenti iscritti all’Albo.

Il potere di vigilanza sulla distribuzione degli incarichi è attribuito al Presidente del Tri-bunale (art. 23 disp. att. c.p.c.).

Il criterio di equità nella ripartizione degli incarichi non costituisce un criterio assoluto al quale debba attenersi il Presidente del Tribunale nel suo compito di vigilanza, in quanto una deroga a tale norma si ha in genere quando gli esperti iscritti all’Albo posseggano una particolare specifica competenza, o qualora il Giudice ritenga di poter fare affidamento sulla puntualità, speditezza, diligenza di alcuni esperti, invece che su altri.

La vigilanza si sostanzia, pertanto, nel controllo che non vi sia sperequazione nella di-stribuzione degli incarichi limitata solo ad alcuni dei Consulenti Tecnici iscritti, nonché nel controllo sulla corretta liquidazione delle competenze spettanti ai consulenti nominati.

La scelta del consulente, infatti, non può limitarsi alla mera consultazione dell’Albo dei CTU, ma deve tener soprattutto conto delle specifiche capacità dei singoli consulenti.

Al fine di attuare i compiti di vigilanza, il Presidente fa tenere dal cancelliere un registro in cui vengono annotati tutti gli incarichi che i consulenti iscritti ricevono e i compensi li-quidati da ciascun Giudice.

Il codice di procedura penale, invece, non prevede alcuna norma per la vigilanza sulla distribuzione degli incarichi.

Nondimeno, appare ragionevole ritenere che la medesima logica di ripartizione equa del lavoro sia adottata anche nell’ambito del processo penale.

9. Prassi nei Tribunali italiani: l'esempio del Tribunale di Roma

Nella prassi dei Tribunali italiani, non tutti i Comitati seguono le stesse identiche regole per la tenuta degli Albi Speciali dei Consulenti Tecnici e dei Periti.

È evidente che in questa sede non è possibile, per ragioni di sintesi e di spazio, passare in rassegna tutti i Tribunali italiani, ma si ritiene comunque utile mostrare una procedura tipo di iscrizione e gestione degli Albi.

A tal fine si riporta a titolo meramente esemplificativo la prassi consolidata presso il Tribunale di Roma.

Il Tribunale di Roma richiede la presentazione di due diverse domande per l’iscrizione all’Albo dei CTU e dei Periti, ed a tal fine adotta anche moduli differenti.

Con riferimento ai documenti da corredare alla domanda d’iscrizione, il Tribunale di Roma consente che i dati anagrafici e quelli risultanti da atti dello stato civile (data, luogo di nascita e residenza) possono essere sostituiti da dichiarazione dell’interessato.

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Inoltre, lo stesso Tribunale non richiede il certificato generale del casellario giudiziario, in quanto viene richiesto d’ufficio.

Infine, il Tribunale di Roma richiede la produzione di un curriculum professionale, do-cumentato, nel quale sia in particolar modo specificato: l’anno di laurea, la sezione di specializzazione della laurea, la specializzazione conseguita nell’esercizio professionale, ogni altra notizia atta a dimostrare la sua idoneità.

Anche con riferimento alla “speciale competenza” il Tribunale di Roma ritiene che la stessa si presume carente, fino a prova contraria da fornirsi a cura dell’istante, nel caso in cui il professionista è iscritto al rispettivo Albo professionale da meno di cinque anni (in altri tribunali, come ad esempio Padova, sono sufficienti 3 anni).

Le istruzioni per il funzionamento dell’Ufficio CTU presso il Tribunale di Roma dispon-gono, inoltre, quanto alla prova della speciale competenza, che la stessa deve essere rigorosa e può essere fornita attraverso la dimostrazione:

di aver eseguito prestazioni professionali di particolare complessità;

di aver pubblicato monografie, articoli, saggi, note;

di essere stato relatore o docente in istituti universitari, scuole di specializzazione, corsi di aggiornamento;

di aver svolto e di svolgere continuamente e da un apprezzabile arco di tempo l’at-tività professionale.

10. La natura della Consulenza Tecnica d'Ufficio

L’esigenza da parte di magistrati di far ricorso alla Consulenza Tecnica di Periti o esperti è sempre stata sentita in tutti gli ordinamenti, sin dal diritto romano in cui si è cercato di far de-cidere le questioni aventi natura tecnica a giudici preparati nelle specifiche discipline tecniche.

In dottrina si è discusso se la perizia fosse un mezzo di prova, da inquadrare quindi nell’ambito del sistema probatorio, o se fosse da inquadrare nell’ambito della decisione del Giudice, dando pertanto prevalenza alla figura del Perito quale ausiliario.

Il codice di procedura civile italiano del 1865 riconduceva la perizia nel sistema delle prove ed attribuiva la nomina del Perito alle parti in causa (o al Giudice solo in caso di disaccordo tra le parti).

Nei diversi progetti di riforma del codice di procedura civile, si è iniziato a considerare il Perito quale ausiliario del Giudice e a non far rientrare la perizia quale mezzo di prova.

Così, in ambito civile, con la trasposizione della figura del Consulente Tecnico tra gli ausiliari del Giudice, si è avuto un mutamento di terminologia da perizia a Consulenza Tecnica.

Il mutamento di terminologia non ha, tuttavia, risolto i problemi relativi alla Consulenza Tecnica e ai compiti del consulente che è destinato a svolgere una funzione di accertamen-to, di conoscenza e di deduzione in campo tecnico al fine di fornire al Giudice gli elementi necessari per il giudizio5.

5 S. Satta, “Diritto Processuale Civile”, Padova, 1981.

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Ne consegue che il Consulente Tecnico non può essere incaricato di svolgere accer-tamenti di fatto che la parte ha l’onere di provare e, d’altra parte, la Consulenza Tecnica non costituisce un giudizio, in quanto è il magistrato il solo chiamato ad esprimerlo, ac-cogliendo le risultanze tecniche del consulente nominato o disattendendole, esprimendo obbligatoriamente in tal caso le ragioni tecnico-giuridiche in base alle quali ritenga di non accogliere le conclusioni tecniche del suo ausiliario.

L’attività del Consulente Tecnico serve, in definitiva, per integrare l’attività del Giudice come organo decidente, in quanto:

può offrire elementi per valutare le risultanze di determinate prove;

può offrire elementi diretti di giudizio del quale tuttavia è comunque responsabile sempre e soltanto il Giudice.

Il Consulente Tecnico va, quindi, considerato come un organo processuale che assiste il Giudice, non solo fornendogli dei dati di esperienza, ma anche portando alla sua co-noscenza quei fatti che sono strettamente collegati alla materia delle indagini che gli sono affidate e che il Giudice può porre a fondamento della propria decisione.

11. La Consulenza Tecnica come ausilio del Giudice

Come già menzionato in premessa, la Consulenza Tecnica rappresenta l’integrazione tecnica di un giudizio o, più chiaramente, come fu definita da autorevole dottrina “la di-chiarazione disinteressata di un soggetto diverso dal Giudice, con la quale si pone quest’ul-timo in grado di valutare gli elementi di giudizio raccolti per la decisione”.

Il ricorso alla consulenza non è rimessa alla disponibilità delle parti ma al potere discre-zionale del Giudice cui è demandata la facoltà di valutarne la necessità o l’opportunità, essendo la stessa utilizzabile per la soluzione di questioni relative a fatti accertabili median-te ricorso a cognizioni di ordine tecnico.

La Consulenza Tecnica è finalizzata all’acquisizione, da parte del Giudice di merito, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze.

Il Consulente Tecnico svolge pertanto una funzione di accertamento, di conoscenza e di deduzione in campo tecnico al fine di fornire al Giudice gli elementi necessari per il giudizio.

La Consulenza Tecnica può anche essere utilizzata per conoscere fatti, la cui conoscen-za può essere acquisita solo da chi possiede una determinata preparazione tecnica e per-tanto l’attività dal Consulente Tecnico serve, per integrare l’attività del Giudice in quanto può offrire sia elementi per valutare le risultanze di determinate prove, sia elementi diretti di giudizio; di quest’ultimo tuttavia è responsabile sempre e soltanto il Giudice, che quindi fa propri i suggerimenti del consulente, così come può anche disattenderli o prescinderne, purché dia adeguata motivazione del suo giudizio.

La Consulenza Tecnica è stata anche qualificata come una sorta di cerniera tra il pro-cesso civile e il sapere extragiuridico.

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Il Consulente Tecnico va quindi considerato come un organo processuale che assiste il Giudice non solo fornendogli dei dati di esperienza, ma anche portando alla sua conoscenza quei fatti che sono strettamente collegati alla materia delle indagini che gli sono affidate e che il Giudice, avvalendosi dei propri poteri di valutazione quale peritus peritorum, nel concorso di altri elementi e con adeguata motivazione, può porre a fondamento delle propria decisione.

Costituisce mezzo istruttorio quando è l’unico strumento per conoscere fatti rilevanti che in nessun modo la parte sarebbe in grado di provare se non ricorrendo a cognizioni tecniche che solo il consulente nominato dal Giudice potrebbe avere.

Infatti l’attività del consulente, a differenza di quella del testimone che è di mera nar-razione dei fatti, costituirebbe una valutazione degli stessi e come tale non può valere da sola ad assolvere l’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c..

12. Il Perito nel processo penale come testimone

È stato osservato da alcuni come la figura del Perito nel processo penale possa essere assimilata a quella del testimone.

Tale osservazione trae la sua origine dal disposto dell’art. 501 c.p.p., in base al quale “per l’esame dei Periti e dei Consulenti Tecnici si osservano le disposizioni sull’esame dei testimoni in quanto applicabili”.

Tuttavia giova precisare che tale assimilazione risulta prettamente processuale visto che è riconducibile alla semplice circostanza che sia il Perito sia il teste riferiscono al Giudice oralmente, sulla base delle proprie percezioni e sotto giuramento di verità.

Difatti i contenuti delle relazioni presentano poi delle differenze sostanziali, visto che il testimone riferisce al Giudice sulla base del proprio ricordo, e quindi la testimonianza può risentire anche del carico emotivo, mentre nell’elaborazione del Perito prevalgono la logica, la ragione e la cognizione scientifica.

13. La Consulenza Tecnica come mezzo di prova13.1. CTU percipiente - CTU deducenteL’attività del Consulente Tecnico può configurarsi in due distinte modalità che conduco-

no alla decisione della controversia. Tali connotazioni sul ruolo del Consulente Tecnico d’ufficio sono state riprese più volte

da pronunce della Suprema Corte di Cassazione che ha affermato come il Giudice possa affidare al Consulente Tecnico non solo l’incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti ma anche quello di accertare i fatti stessi.

Nel primo caso la consulenza presuppone l’avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha per oggetto la valutazione dei fatti i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti.

Nel secondo caso la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, senza che questo significhi che le parti possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente: in questo secondo caso è neces-sario, infatti, che la parte quanto meno deduca il fatto che pone a fondamento del proprio diritto e che il Giudice ritenga che il suo accertamento richieda cognizioni tecniche che egli non possiede o che vi siano altri motivi che impediscano o sconsiglino di procedere direttamente all’accertamento.

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Nel primo caso si definisce il consulente come deducente, in quanto è chiamato, attraver-so la sua specifica competenza a dare una valutazione a fatti già provati. La relazione per-tanto non diventa un’attività istruttoria in senso stretto ma un ‘attività di deduzione dei fatti.

Nel secondo caso la figura del consulente viene connotata come percipiente, in quanto, gli è affidato il compito di accertare fatti e situazioni non altrimenti accertabili e pertanto la consulenza assurge a fonte obiettiva di prova in quanto attraverso essa entrano nel pro-cesso fatti diversamente non dimostrabili.

Quindi l’attività del consulente talvolta si identifica in un mero accertamento di fatti e situazioni mentre in altre si traduce in una vera e propria valutazione di fatti.

In nessuno dei due casi però la Consulenza Tecnica può tradursi in un’attività giudican-te: questa responsabilità è rimessa esclusivamente al Giudice.

Ancorché la Consulenza Tecnica d’Ufficio non sia da ritenersi prova nel processo, ma solo un mezzo istruttorio rimesso alla disponibilità del Giudice, può tuttavia costituire fonte oggettiva di prova quando si risolve in uno strumento, oltre che di valutazione tecnica, anche di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente con il ricorso all’ac-certamento specialistico e a determinate cognizioni di carattere tecnico.

13.2. La perizia percipiente nel processo penaleL’art. 228 c.p.p. introduce una fattispecie particolare di perizia percipiente nel processo

penale, laddove prevede che “qualora, ai fini dello svolgimento dell’incarico, il Perito ri-chieda notizie all’imputato, alla persona offesa o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell’accertamento peritale”.

Si tratta evidentemente di una norma che trasforma profondamente il ruolo del Perito, in quanto gli attribuisce la facoltà di determinarsi autonomamente a richiedere notizie per l’espletamento dell’incarico ed a svolgere un attività di indagine ulteriore rispetto a quella del magistrato.

Ma non solo.La portata della norma è enorme in quanto essa consente al Perito di entrare in posses-

so di atti, documenti e cose che non solo non sono noti al Giudice, ma che non sono nem-meno suscettibili di essere acquisiti nel fascicolo di causa ed utilizzati ai fini del giudizio.

Ciò genera un evidente squilibrio fra il Giudice ed il suo ausiliario, posto che al Perito viene consentito di conoscere contenuti che devono essere invece ignorati dal giudicante.

Il CNDCEC ha osservato al proposito che “la rilevata disarmonia del sistema può forse essere superata sostenendosi che, se all’esito della verifica dibattimentale le informazioni raccolte dal Perito non sono contraddette da alcun altro elemento acquisito in dibattimento, non vi è motivo per cui non possano essere utilizzate ai fini della decisione; mentre, in caso di contraddizioni, sarà il Giudice a dover valutare gli elementi contrapposti, motivando sui risultati acquisiti all’esito di tale valutazione e dando conto dei criteri adottati”.

14. Diritti e doveri del CTU quale ausiliario del Giudice

Il CTU rappresenta “l’occhiale del Giudice” quando questi si trova a dover decidere su aspetti che esulano dalle proprie competenze e conoscenze e questo comporta che sempre più spesso il risultato del lavoro del Consulente Tecnico diventa la sostanza della decisione del magistrato.

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Compito del CTU è quello di constatare i fatti della causa e di fornire al Giudice i chiarimenti tecnici che questo ritenga opportuno chiedergli. La sua attività è limitata alle sole questioni la cui risoluzione non è possibile mediante il ricorso alle regole di comune esperienza, richiedendo invece specifiche conoscenze tecniche che esulano dalla normale cognizione del Giudice.

Il CTU, nell’ambito dello specifico incarico ricevuto, rappresenta in qualche modo l’alter ego del Giudice e le nozioni tecniche del CTU, quindi riferite al caso concreto, diventano a tutti gli effetti patrimonio del Giudice.

Pertanto all’attività del consulente si deve riconoscere una funzione, non sempre secon-daria, di acquisizione di fatti di cui il Giudice può avvalersi al fine di determinare il proprio convincimento.

Da queste considerazioni deriva la necessità di soffermarsi sui requisiti che i Consulenti Tecnici debbono avere per svolgere efficacemente l’attività di ausiliario del Giudice: innan-zitutto, oltre alla competenza specifica in un determinato settore il consulente deve cono-scere approfonditamente la materia processuale civile, ossia le norme che regolamentano la propria attività di Consulente Tecnico.

Al CTU viene riconosciuto il ruolo di pubblico ufficiale, in quanto esercita una delle fun-zioni di cui all’art. 357 c.p. e precisamente una pubblica funzione giudiziaria; in partico-lare egli esercita temporaneamente, obbligatoriamente e non gratuitamente una funzione giudiziaria come ausiliare del Giudice, la cui disciplina istituzionale è compresa nel Titolo I, Libro I, c.p.c.

Il consulente d’ufficio è in primo luogo tenuto ad osservare le disposizioni del magistra-to che lo ha nominato, contenute nell’ordinanza di nomina ovvero trascritte nel verbale dell’udienza di conferimento dell’ incarico.

L’esecuzione è personale e non può essere delegata a terzi; egli può avvalersi di colla-boratori per l’espletamento di operazioni materiali o accessorie e strumentali ma assumen-done la responsabilità verso le parti e il Giudice.

Non sono in ogni caso delegabili le attività di accertamento e valutazione dei fatti.Il Giudice - se ne ricorrono i motivi e in casi di particolare complessità dell’incarico -

può autorizzare espressamente il consulente ad avvalersi della collaborazione di terzi e/o affiancargli altri consulenti.

In relazione agli artt. 62 e 194 c.p.c. il consulente esplica la propria attività attraverso diverse fasi che in sostanza sono identificabili in:

partecipare alle udienze alle quali è chiamato;

svolgere indagini che gli sono state commesse dal Giudice, in presenza del Giudice stesso;

svolgere indagini che gli sono state commesse dal Giudice, in assenza del Giudice stesso;

fornire al Giudice i chiarimenti richiesti, in udienza o in camera di consiglio;

domandare, se autorizzato dal Giudice, chiarimenti alle parti;

assumere, se autorizzato dal Giudice, informazioni da terzi.

L’obbligo di diligenza e perizia nell’espletamento dell’incarico del consulente è garantito dalla legge sia sotto il profilo civile, che sotto il profilo penale [(art. 64 c.p.c.): la condotta

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CAPITOLO 1 | LA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO IN SEDE CIVILE E PENALE: IL CONSULENTE TECNICO QUALE AUSILIARIO DEL GIUDICE, REQUISITI PERSONALI E PROFESSIONALI

Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

del consulente d’ufficio che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti viene punita con la sanzione dell’arresto fino ad un anno o dell’ammenda fino ad euro 10.329 salvo obbligo del risarcimento del danno].

Ma il consulente deve svolgere la propria attività oltre che con diligenza e perizia anche con imparzialità.

Egli deve pertanto evitare comportamenti censurabili quali incontri con una sola delle parti o l’esame di documenti o atti prodotti dall’una parte o acquisiti da altri e non comu-nicati all’altra parte.

Devono essere rispettate del disposizioni dettate dagli artt. 194 c.p.c. e 90 disp. att. c.p.c.:

a) le operazioni peritali sono rigorosamente soggette al contraddittorio di tutte le parti del processo e tutti i documenti devono poter essere esaminati dalle parti e dai loro consulenti;

b) il consulente non può liberamente acquisire dalle parti o da terzi documenti che non siano già ritualmente acquisiti in giudizio ovvero la cui acquisizione non sia stata espressamente autorizzata dal Giudice istruttore.

Il consulente infine non può “mediare” nel suo responso le opposte posizioni al solo fine di giungere ad un compromesso, perché così facendo “inquinerebbe” l’oggettività del suo accertamento o della sua valutazione.

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CAPITOLO 2 | IL CONFERIMENTO DELL’INCARICO, L’ACCETTAZIONE, LA RINUNCIA E LA REVOCA. LA CONSULENZA TECNICA COLLEGIALE

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CAPITOLO 2

Il conferimento dell’incarico, l’accettazione, la rinuncia e la revoca. La Consulenza Tecnica collegiale

1. Il conferimento d'incarico

Tra le operazioni preliminari alla Consulenza Tecnica rientrano:

la nomina del Consulente Tecnico;

la notificazione dell’ordinanza di nomina;

la comparizione delle parti;

il giuramento del Consulente Tecnico e

il conferimento dell’incarico con la formulazione dei quesiti.

2. La nomina

La competenza a disporre una CTU spetta al Giudice che nomina il Consulente Tecnico secondo quanto indicato dall’art. 22 disp. att., c.p.c., “tutti i giudici che hanno sede nella circoscrizione del Tribunale debbono affidare normalmente le funzioni di Consulente Tec-nico agli iscritti nell’Albo del Tribunale medesimo”; il Giudice del merito dovrà scegliere il proprio ausiliario con riferimento alla categoria professionale di appartenenza e alle speci-fiche competenze del Consulente Tecnico sulla base di un apprezzamento prevalentemente fiduciario.

Proprio perché la scelta di tale ausiliario con riferimento alla categoria professionale e alla sua competenza qualificata è riservata alla discrezionalità del Giudice nel merito, l’inosservanza delle norme che disciplinano la scelta del Consulente Tecnico, per brevità anche CTU, non determina alcuna nullità della consulenza ed è sottratta al sindacato della Suprema Corte. Le norme relative alla scelta del CTU hanno infatti natura e finalità solo direttive, e non pongono alcun limite Giudice, con la conseguenza che la sua scelta, per-tanto, non è in alcun modo sindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez II, 12/04/2001, n. 5473): la ratio della norma deriva dall’intento di facilitare la scelta da parte del Giudice e all’opportunità di un’equa ripartizione degli incarichi giudiziari.

È sempre infatti consentito al Giudice di nominare un CTU iscritto nell’Albo di altro Tribunale o non iscritto in alcun Albo, così come dispone l’art. 22, co. 2, disp. att. c.p.c., con l’unico limite che il Giudice istruttore dovrebbe sentire il Presidente del Tribunale ed

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indicare nel provvedimento i motivi della scelta. Qualora questo non avvenga, proprio per il principio che le norme che disciplinano la scelta dei CTU hanno solo il fine di per-seguire il corretto svolgimento delle indagini, l’inosservanza non determina la nullità della consulenza: la norma, dunque, non ha carattere cogente e il Giudice può non informare il Presidente del Tribunale in caso di scelta al di fuori dell’Albo dei CTU (Cass. Sez. II, 09/04/1971, n. 1054). Rimane però il potere delle parti di denunciare come erronea la Consulenza Tecnica effettuata ovvero inidonea per incompetenza tecnica della persona nominata (Cass. 24/02/1983, n. 1428).

2.1. L'ordinanza di nominaQualora il Giudice ritenga di farsi assistere da un Consulente Tecnico, vi provvede con

ordinanza di nomina, fissando l’udienza nella quale il CTU nominato deve comparire da-vanti a lui per il conferimento dell’incarico. Non è necessario che nell’ordinanza siano già determinati i quesiti, potendo questi essere formulati successivamente nell’udienza in cui il consulente, convocato, presta il giuramento.

Deve invece essere necessariamente indicato:

a) il nome e l’indirizzo del consulente prescelto;

b) l’ordine alla cancelleria di convocarlo in una data udienza;

c) la fissazione alle parti del termine per la nomina dei consulenti di parte (art. 201 c.p.c.);

d) la succinta motivazione delle ragioni che consigliano l’adozione di una CTU.

Competente per la nomina è di regola il Giudice istruttore, ma la nomina può essere disposta anche dal collegio, se il Giudice istruttore non lo abbia nominato, oppure se il collegio, prima di decidere, reputi opportuno avvalersi dell’opera di persona tecnica (v. E. Protetti, M. Protetti, “La Consulenza Tecnica nel processo civile”, Giuffré Editore, p. 38).

L’ordinanza di nomina deve essere notificata, a cura del cancelliere al Consulente Tec-nico (anche via Fax o PEC), con invito a comparire all’udienza fissata dal Giudice ex art. 192, co. 1, c.p.c., e alle parti a norma dell’art. 176, co. 2, c.p.c.. Qualora però una delle parti sia contumace (convenuto), non sussiste nullità qualora sia stata omessa la notifica dell’ordinanza ammissiva della Consulenza Tecnica. L’ordinanza di nomina non è mai reclamabile e il provvedimento di nomina del CTU non è impugnabile per Cassazione (v. Cass. Sez. I, 18/01/1990, n. 226).

3. La rinuncia

Il Consulente Tecnico d’ufficio nominato dal Giudice ha l’obbligo di prestare il suo uf-ficio; qualora rifiuti, il consulente incorre nel reato di cui all’art. 366, co. 2, c.p., in base al quale il Consulente Tecnico, così come l’interprete e il custode, che rifiuti di dare le proprie generalità o di prestare il giuramento richiesto o di assumere o di adempiere alle sue funzioni è punito con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa da euro 30,98 a euro 516,46, con condanna all’interdizione della professione. L’art. 63, co. 1, c.p.c., prevede

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che il Consulente Tecnico d’ufficio possa rifiutarsi quando sussista un giusto motivo di astensione, che però solo il Giudice che lo ha nominato ha il diritto di riconoscerlo come “giusto motivo”. Diversa invece la posizione del CTU non iscritto all’Albo che ha il potere di rifiutare l’incarico anche senza giustificato motivo, senza incorrere in alcuna sanzione.

4. L'astensione

Qualora sussista un giusto motivo di astensione ex art. 63, co. 1, c.p.c., il CTU può astenersi dall’incarico ex art. 192, co. 2, c.p.c.; in tale caso deve farne denuncia o istanza scritta al Giudice che l’ha nominato almeno tre giorni prima dell’udienza di comparazio-ne, il quale provvederà con ordinanza non impugnabile, stesa in calce al ricorso e inserita nel fascicolo d’ufficio (art. 89 disp. att. c.p.c.).

L’astensione è invece obbligatoria nelle ipotesi di ricusazione, nel caso di reato com-messo in danno di terzi, per il venir meno dei requisiti richiesti per l’iscrizione all’Albo dei CTU, o qualora il CTU non abbia i requisiti previsti ex art. 15 dip. att. c.p.c.

Se il CTU non è iscritto nell’Albo del Tribunale questo può sempre astenersi anche senza giusto motivo.

5. La ricusazione

Il CTU può esser ricusato dalle parti per i motivi tutti quei motivi per i quali il Giudice ha l’obbligo di astenersi (art. 51 c.p.c.):

a) ha interesse nella causa o in altra vertenza su identica questione di diritto;

b) egli stesso o il marito/moglie sia parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione e convivente/commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;

c) egli stesso o il marito/moglie ha cause pendenti o grave inimicizia o rapporti di credito o di debito con una delle parti o dei suoi difensori;

d) ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa o ha depositato in essa come testimone, o ha conosciuto come Magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato consulenza come Consulente Tecnico;

e) è tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato di una società o stabilimento che ha interesse nella causa;

f) in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza.

L’istanza di ricusazione va proposta da ciascuna delle parti al Giudice che ha nomi-nato il consulente ex art. 192, co. 2, c.p.c., depositando apposito ricorso in cancelleria almeno tre giorni prima dell’udienza di comparazione. Termine questo ritenuto perentorio

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dalla Suprema Corte a la quale ha ritenuto che in difetto di presentazione dell’istanza nel termine prescritto, viene definitivamente preclusa alle parti la possibilità di far valere successivamente una situazione di incompatibilità con la conseguenza che la Consulenza Tecnica rimane ritualmente acquisita. A tale principio non è consentita deroga, neppure se la parte venga a conoscenza solo successivamente della situazione di incompatibilità, potendo esclusivamente proporre un provvedimento di sostituzione affinché il Giudice, se lo ritiene, si avvalga dei poteri che gli conferiscono ex art. 196 c.p..

Il Giudice provvede con ordinanza non impugnabile apposta in calce al ricorso ex art. 89 disp. att. c.p.c., depositata a fascicolo d’ufficio con il ricorso.

6. Giuramento del CTU

Il giuramento nel diritto processuale civile viene inteso sotto un duplice profilo:

a) come prova (decisorio, suppletorio, estimatorio, ex artt. 2736-2739 c.c. e artt. 233-241 c.p.c.);

b) come formula, al quale sono tenuti i testimoni e i Consulenti Tecnici.

La formula del giuramento è un atto solenne, con il quale si attesta la verità di un’affer-mazione, o di bene e fedelmente adempiere l’incarico che si assume.

È disciplinata in modo diverso nel processo civile e nel processo penale.Nel processo civile all’udienza di comparizione il Giudice istruttore ricorda al CTU

l’importanza delle funzioni che è chiamato a compiere e ne riceve il giuramento di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere al Giudice la verità ex art. 193 c.p.c..

Nel processo penale (D.P.R. 22/09/1988, n. 447) il Giudice, accertate le generalità del Perito, gli chiede se si trova in una delle condizioni previste dagli artt. 222 c.p.c. (incapa-cità e incompatibilità) e 223 c.p.c. (astensione e ricusazione), lo avverte degli obblighi e delle responsabilità previste dalla legge penale e lo invita a rendere la seguente dichiara-zione “consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell’incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali”. Il Giudice formula quindi i quesiti, sentito il Perito, i Consulenti Tecnici, il Pubblico Ministero e i difensori pre-senti (art. 266 c.p.c.) (v. E. Protetti, M. Protetti, “la Consulenza Tecnica nel processo civile”, Giuffrè Editore, p. 42).

Nel caso in cui non venga prestato il giuramento di rito, si deve distinguere se per rifiuto della prestazione – in tale caso il rifiuto di prestare il giuramento equivale al rifiuto di assu-mere l’incarico, ciononostante se il Giudice gli affida comunque l’incarico la consulenza è valida, o per mera dimenticanza del consulente o del Giudice – in tal caso la dottrina propende per la nullità della consulenza, mentre la giurisprudenza ritiene che sia comun-que valida la consulenza.

Non deve invece rinnovarsi il giuramento di rito quando il CTU venga richiamato per atti successivi. In tal caso il Giudice rammenta solo il giuramento prestato e ne fa menzio-ne nel processo verbale.

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CAPITOLO 2 | IL CONFERIMENTO DELL’INCARICO, L’ACCETTAZIONE, LA RINUNCIA E LA REVOCA. LA CONSULENZA TECNICA COLLEGIALE

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7. Incarichi collegiali e ausiliari del Perito

Si parla di collegio peritale quando il Giudice nell’espletamento della perizia nomina più consulenti ex art. 221 c.p.p.; in particolare il Giudice ha facoltà di nominare più con-sulenti:

quando le valutazioni risultano di notevole complessità;

le stesse richiedono distinte conoscenze in differenti discipline.

Il giudizio sulla complessità della perizia, che può esser sia di tipo qualitativo che di tipo quantitativo, fa riferimento esclusivamente a un giudizio di merito proprio del Giudice, pertanto non sindacabile dalla Suprema Corte.

Qualora si rendesse necessaria la nomina di più Periti con distinte conoscenze in dif-ferenti discipline è ammessa la possibilità di più perizie singole con conclusioni proprie di ogni Perito, spettando poi al Giudice il coordinamento dei singoli risultati. Qualora invece più Periti abbiano ricevuto un incarico congiunto allora dovrà esser presentata un’unica relazione. Spetta al Giudice la valutazione di come dovranno esser presentate le perizie (più o una congiunta), con la possibilità anche di indicare all’atto di conferimento un Perito di riferimento con il compito di coordinare il lavoro degli altri e trarne le proprie univoche conclusioni; il Giudice potrà indicare i singoli compiti che i membri del collegio dovranno svolgere, potendo altrimenti i singoli Periti chiedere al Giudice all’atto del conferimento l’autorizzazione a compiere singole operazioni autonome, con l’obbligo di sintesi nella discussione finale e nella relazione, sia per economia di tempo sia per rispetto specifiche competenze (v. G. Brescia, “Manuale del Perito e del CTU nel processo civile e penale”, Maggioli edizione).

I membri del collegio peritale devono sottostare alle regole generali nello svolgimen-to delle singole operazioni concedendo a tutte le parti del processo di aver la facoltà di verificare il lavoro e i risultati della perizia, anche con la redazione di un verbale in cui si assegnano i compiti, nonché un calendario progressivo di verifica, indipendentemente della presenza di tutti i Consulenti Tecnici.

Il Perito, così come stabilito dall’art. 228, co. 2, c.p., “può essere autorizzato […] a servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali non implicanti ap-prezzamenti e valutazioni”, chiamati solitamente a svolgere incombenze materiali, pur ri-manendo il Perito l’unico titolare della perizia e responsabile verso il Giudice, essendo solo il Perito a prestare giuramento e a questo vincolato, a differenza degli ausiliari (Cass. Pen. sez. III, 23/06/2000, n. 10058).

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CAPITOLO 3 | POTERI E DOVERI DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO NELLO SVOLGIMENTO DELL’INCARICO. ASPETTI DEONTOLOGICI

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CAPITOLO 3

Poteri e doveri del Consulente Tecnico d’Uffi cio nello svolgimento dell’incarico. Aspetti deontologici

1. Poteri

L’attività del consulente comprende in primo luogo quella di assistenza alle udienze su convocazione del Giudice (art. 194 c.p.c.); inoltre compie, da solo e insieme al Giudice, anche fuori della circoscrizione giudiziaria, le indagini che gli sono state affidate (art. 62 c.p.c.) ed è tenuto a fornire i chiarimenti che il magistrato gli richiede (art. 62 c.p.c.).

Il consulente d’ufficio avrà cura in primo luogo di esaminare approfonditamente i fasci-coli di parte e di estrarre copia dei verbali di causa.

Il CTU può compiere tutte le indagini che ritiene opportune presso gli uffici competenti, munendosi di preventiva autorizzazione del Giudice se si tratta di uffici pubblici, sempre che non sia stata già conferita all’atto della nomina.

Il consulente dovrà dare avvio all’incarico affidatogli, nel giorno nell’ora e nel luogo indicati nel verbale di udienza o successivamente comunicati alle sole parti costituite, cioè, ai loro difensori e non anche alla parte contumace, oltre che ai Consulenti Tecnici di parte eventualmente già nominati (Cass. 11/06/1990, n. 5659).

L’esecuzione dell’incarico è personale e non può essere delegata a terzi. Il consulente può avvalersi di collaboratori per l’espletamento di operazioni materiali, accessorie e stru-mentali ma assumendone la responsabilità verso le parti e verso il Giudice.

L’obbligo di diligenza e perizia nell’espletamento dell’incarico del consulente è presi-diato non solo sotto il profilo della responsabilità disciplinare e civile, ma addirittura da una disposizione penale (art. 64 c.p.c.) che incrimina la condotta del consulente d’ufficio il quale incorra in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti e commina la sanzione dell’arresto fino a un anno o dell’ammenda fino a euro 10.329,00 salvo l’ob-bligo del risarcimento del danno.

Nello svolgimento dei suoi compiti, il CTU può acquisire ogni elemento necessario a rispondere, dal punto di vista tecnico, ai quesiti, purché si tratti di fatti accessori rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati da queste.

Il CTU può così domandare chiarimenti alle parti, assumere informazioni da terzi (ad esempio, da enti pubblici), eseguire piante calchi e rilievi. Per queste attività il codice di rito prevede che il consulente debba essere autorizzato dal Giudice, ma la norma è sta-ta svuotata di significato da una “giurisprudenza per massime” della corte di cassazione che, muovendo da alcune situazioni particolari nelle quali era stato ritenuto che l’auto-

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CAPITOLO 3 | POTERI E DOVERI DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO NELLO SVOLGIMENTO DELL’INCARICO. ASPETTI DEONTOLOGICI

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rizzazione fosse stata tacitamente data dal Giudice, ha finito per sganciare tali attività da un’espressa autorizzazione del Giudice, ritenendo sempre ricompresa nel mandato detta autorizzazione o addirittura non necessaria affatto.

Nello specifico, i poteri del CTU sono:Acquisire documenti: l’art. 194, co. 1, c.p.c., consente al Giudice di autorizzare il Con-

sulente Tecnico a domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni da terzi e a eseguire piante, calchi e rilievi. Si tratta di una disposizione connotata da una forte ambi-guità che dà non pochi grattacapi all’interprete.

Innanzitutto bisogna stabilire l’esistenza o meno di limiti, riguardanti la stessa potestà autorizzatoria del Giudice istruttore, al potere di acquisizione e di indagine del consulente, problema che va risolto ricordando e richiamando i limiti posti all’acquisizione diretta di documenti e informazioni da parte del Giudice istruttore.

Nel processo ordinario di cognizione, fatto salvo il potere di allegazione e produzione dirette della parte (nel rispetto dei termini di preclusione previsti), esistono due strumenti che permettono detta acquisizione:

il primo, disciplinato dall’art. 210 c.p.c. (ordine di esibizione alla parte o al terzo), consente al Giudice di ordinare alle parti o a terzi l’esibizione di documenti o di cose di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo, ma solo su istanza di una delle parti del processo.

il secondo, disciplinato dall’art. 213 c.p.c., consente al Giudice istruttore di richie-dere – questa volta d’ufficio – alla Pubblica Amministrazione le informazioni scritte (si badi, non i documenti) relative ad atti e documenti dell’Amministrazione stessa, che è necessario acquisire al processo.

Appare evidente, quindi, che non vi sono né appigli normativi né ragioni logico-siste-matiche per trasformare la Consulenza Tecnica in un autonomo mezzo di libera ricerca e acquisizione della prova, in particolare documentale.

Detto ciò, appare del tutto legittima, perché rispettosa delle regole in tema di onere della prova, l’ordinanza del Giudice istruttore che accoglie l’istanza di ordine di esibizione fatta da una delle parti, disponendo l’acquisizione del documento per il tramite del con-sulente.

Ciò tuttavia, a condizione che sussistano i presupposti per l’accoglimento dell’istanza ai sensi dell’art. 210 c.p.c. o per l’esercizio dei poteri di cui all’art. 213 c.p.c..

La giurisprudenza ha fornito alcuni principi che sovrintendono alle acquisizioni di docu-menti:

a) non è consentita l’esibizione ex art. 210 c.p.c. di documenti che le parti hanno la possibilità di acquisire e produrre autonomamente (Cass., sez. III, 06/10/2005, n. 19475); ciò in quanto l’istituto non può servire a sopperire all’onere probatorio delle parti;

b) l’esistenza del documento che si chiede di acquisire deve essere certa e deve es-serne specificato il contenuto (Cass., sez. III, 05/08/2002, n. 11709; Cass., sez. I, 13/06/1991, n. 6707; sez. lav., 04/09/1990, n. 9126); ciò al fine di escludere l’esibizione cd. esplorativa e di valutare l’ulteriore presupposto dell’indispensabilità;

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CAPITOLO 3 | POTERI E DOVERI DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO NELLO SVOLGIMENTO DELL’INCARICO. ASPETTI DEONTOLOGICI

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c) l’acquisizione del documento deve vertere su punti decisivi della controversia ed essere indispensabile e non devono esservi altri mezzi per provare il fatto rappresen-tato dal documento in questione (Cass., sez. lav., 14/07/2004 n. 12997);

d) non è consentita l’acquisizione d’ufficio di informazioni ex art. 213 c.p.c. su fatti che potrebbero essere agevolmente provati dalle parti e che le parti hanno l’onere di provare (cfr. Cass., sez. I, 07/11/2003, n. 16713).

Qualora tali condizioni venissero rispettate l’acquisizione sia documentale che informa-tiva può avvenire tramite il consulente1.

Tentativo di conciliazione tra le parti: il CTU può tentare la conciliazione delle parti, pur non essendo assolutamente obbligato a farlo. Con specifico riferimento alla consulenza in tema di esame contabile, l’art. 199, co. 1, c.p.c. prevede, poi, che, qualora le parti giungano a un accordo, venga redatto il processo verbale di conciliazione, il quale, viene sottoscritto dalle parti e dal consulente e successivamente inserito nel fascicolo d’ufficio. Tale documento ha natura di scrittura privata, ma il Giudice gli attribuisce con decreto efficacia di titolo esecu-tivo. Al riguardo la dottrina ha dedotto che si tratta di una sorta di provvedimento di omolo-gazione non impugnabile. L’art. 199 c.p.c., il quale regola la conciliazione delle parti davanti al Consulente Tecnico d’ufficio, trova applicazione soltanto quando la causa abbia a oggetto una controversia di natura contabile. In buna sostanza la conciliazione è una procedura che propone un approccio alla gestione dei conflitti alternativo rispetto alle procedure giudiziarie tradizionali basate sul binomio vittoria/insuccesso e dove le parti si estraneano decisamente dal conflitto che le riguarda, demandando a terzi la decisione per la sua risoluzione. È di fatto un processo consensuale nel quale le parti in conflitto presentano i loro punti di vista a una terza persona neutrale, nella fattispecie il Consulente Tecnico d’ufficio, mantenendo tuttavia il controllo del processo e del risultato. Nello strumento della conciliazione non viene garantito un accordo finale e il conciliatore non ha il potere di prendere una decisione vincolante per le parti in lite. È uso frequente (odierno) che il CTU – sempre su disposizione del Tribunale – esperisca un tentativo di conciliazione tra le Parti e, soprattutto, invii una bozza delle sue con-clusioni ai Consulenti di Parte prima dello spirare del termine per il deposito in Cancelleria. I quali, entro un termine preciso – spesso 15 giorni –, possono presentare osservazioni cui il CTU darà conto (e risposta) nella sua relazione finale.

Astensione/Rinuncia: il consulente scelto, se ritiene di doversi astenere, deve presenta-re un ricorso di astensione almeno tre giorni prima dell’udienza di comparizione (art. 63 c.p.c.). Una volta nominato dal Giudice, il Consulente Tecnico è obbligato ad accettare l’incarico, e può rifiutare solo per giusti motivi valutati direttamente dal magistrato; ha il diritto di astenersi o può essere ricusato dalle parti per eventuali incompatibilità con l’in-carico conferitogli. Tuttavia, il Consulente Tecnico d’ufficio, se nominato dal Giudice tra gli esperti iscritti all’Albo, è obbligato a svolgere il mandato a meno che, come già sotto-lineato, non ricorrano le particolari motivazioni previste dal c.p.c. per le quali lo stesso ha facoltà di rinunciare all’incarico (ad esempio: parentela con una delle parti in causa, aver già prestato l’opera di CTU in un precedente grado di giudizio nella stessa causa, ecc…).

1 Diversamente, si avrà un’acquisizione che viola le regole in materia di onere della prova e lo stesso principio dispositivo che sovrin-tende al processo civile (ove ovviamente non ricorrano quelle ipotesi tipiche e tassative nelle quali il Giudice esercita poteri istruttori di tipo inquisitorio, e cioè indipendenti dalle allegazioni o richieste istruttorie delle parti).

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CAPITOLO 3 | POTERI E DOVERI DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO NELLO SVOLGIMENTO DELL’INCARICO. ASPETTI DEONTOLOGICI

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Indagini: il consulente può effettuare indagini che ritiene opportune presso gli uffici competenti, munendosi di previa autorizzazione del Giudice, se si tratta di uffici pubblici. Detto ciò, è bene ribadire che qualora la Consulenza Tecnica d’Ufficio sia disposta prima della maturazione e della scadenza dei termini perentori fissati a carico delle parti per il deposito dei documenti, il CTU è libero di attingere anche nuovi documenti e su questi fondare le proprie risposte al quesito formulatogli dal Giudice che parimenti potrà fondare la sua decisione su questo elaborato peritale; l’unico limite e quindi l’unico obbligo per il Perito è l’indicazione delle fonti delle sue acquisizioni documentali per consentire alle parti un corretto controllo della loro provenienza.

Affidamento a terzi: il CTU può avvalersi di collaboratori per l’espletamento di operazio-ni materiali, accessorie e strumentali, ma solo assumendone la responsabilità verso le parti e verso il Giudice. Infatti, l’esecuzione dell’incarico è personale e non può essere delegata a terzi. Certamente non delegabili sono l’attività di accertamento e di valutazione dei fatti sottopostigli. Il Giudice istruttore, ricorrendone giustificati motivi, può sempre autorizzare espressamente il consulente ad avvalersi, della collaborazione di terzi così come può af-fiancargli altri consulenti, in casi di speciale complessità dell’incarico. L’autorizzazione del Giudice, che ne valuta la necessità o l’opportunità, è poi presupposto per poter ripetere le spese derivanti dall’ausilio del terzo, spese che diversamente restano a carico dello stesso consulente.

Accertare l’esistenza di norme: come più volte ribadito, il consulente scelto dovrà avere una buona conoscenza della normativa di riferimento, far capo ai principi di legge nell’ esercizio delle sue funzioni e ribadire l’applicabilità della legge stessa in quella fattispecie concreta.

Interpretare e valutare prove documentali: il consulente nominato per la perizia compie le indagini che gli sono commesse dal Giudice, fornisce in udienza e in camera di consi-glio i chiarimenti che il Giudice gli richiede e redige una relazione denominata perizia o Consulenza Tecnica d’Ufficio. La perizia non è del tutto vincolante per il Giudice il quale, se non ritiene rilevanti gli argomenti del Perito, può sempre farne disporre una nuova o può perfino non tener conto di quanto scritto dal tecnico purché, ovviamente, motivi ade-guatamente tale decisione.

2. Doveri

Il consulente scelto, ha il dovere di accettare l’incarico: Il Consulente Tecnico d’Ufficio, se nominato dal Giudice tra gli esperti iscritti all’Albo, è obbligato a svolgere il mandato a meno che non ricorrano le particolari motivazioni previste dal c.p.c. per le quali lo stesso ha facoltà di rinunciare all’incarico (ad esempio: parentela con una delle parti in causa, aver già prestato l’opera di CTU in un precedente grado di giudizio nella stessa causa, ecc…).

L’esecuzione dell’incarico è personale e non può essere delegata a terzi, tuttavia, il consulente può avvalersi di collaboratori per l’espletamento di operazioni materiali o ac-cessorie e strumentali, ma solo assumendone la responsabilità verso le parti. Il Giudice, qualora ricorrano giustificati motivi, può sempre autorizzare espressamente il consulente

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CAPITOLO 3 | POTERI E DOVERI DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO NELLO SVOLGIMENTO DELL’INCARICO. ASPETTI DEONTOLOGICI

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ad avvalersi della collaborazione di terzi così come può affiancargli altri consulenti, in casi di speciale complessità dell’incarico. Certamente non delegabili sono l’attività di accerta-mento e di valutazione dei fatti sottopostigli.

3. Obbligo di diligenza e perizia

Il Consulente Tecnico d’ufficio, ha l’obbligo di diligenza e perizia nell’espletamento dell’incarico. Tale obbligo è presidiato non solo sotto il profilo della responsabilità disci-plinare e civile, ma addirittura da una disposizione penale (art. 64 c.p.c.) che incrimina la condotta del consulente d’ufficio il quale incorra in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti e commina la sanzione dell’arresto fino ad un anno o dell’am-menda fino a euro 10.329,00 salvo l’obbligo del risarcimento del danno. Il professionista chiamato a svolgere un incarico giudiziario deve sempre operare con una preparazione tecnica altamente qualificata e, adempiendo ad un obbligo di legge, portare a compimen-to l’incarico affidato con obiettività, indipendenza e diligenza. Il professionista che invece accetta un incarico senza avere le conoscenze tecniche adeguate e non lo fa presente a norma dell’art. 233 c.p.p. commette un illecito, perché disattende quanto previsto negli artt. 221 c.p.p. e 359 c.p.p. Inoltre il professionista che durante lo svolgimento dell’inca-rico svolge le sue funzioni senza, o con scarsa, diligenza e obiettività commette un illecito, perché non adempie a quanto “giurato” ex art. 226 c.p.c., oltre ovviamente ad essere passibile di eventuali sanzioni disciplinari ai sensi dell’ordinamento professionale di ap-partenenza.

Egli pertanto:

deve procedere con metodologia e tecnica, soprattutto quando si rivolge a singoli processi aziendali;

deve esaminare i fatti aziendali in un periodo temporale sufficientemente ampio per verificarne le origini;

deve scrupolosamente indicare i soggetti interessati al fatto, ma con particolare attenzione alla successione temporale degli incarichi ed ai processi formativi delle decisioni;

deve descrivere esattamente e compiutamente cosa ha esaminato e tutta la do-cumentazione relativa, sia quella favorevole, che contraria a ciascuna delle parti, senza discriminazione né esclusione alcuna;

deve descrivere il suo lavoro e le sue conclusioni con linguaggio comune e com-prensibile a tutte le parti del processo, affinché le stesse acquisiscano le conoscenze necessarie a risolvere la quaestiofacti, perché solo con un’alta professionalità si può essere semplici e concisi nei concetti;

deve citare il fatto o i fatti e cosa rileva dalle sue analisi e dal suo lavoro, traendo da tutto ciò la sintesi con le sue deduzioni e conclusioni.

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CAPITOLO 3 | POTERI E DOVERI DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO NELLO SVOLGIMENTO DELL’INCARICO. ASPETTI DEONTOLOGICI

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Interruzione delle operazioni: Il CTU deve interrompere le operazioni peritali e rinviare le parti davanti al Giudice quando egli non possa proseguire nella attività demandatagli, ovvero:

quando non è chiara la lettura del quesito e le parti dissentono sulla sua interpreta-zione;

quando, all’esito delle prime verifiche, risulta necessario un collegio di esperti per la particolarità di alcune parti del quesito che richiedono altre specializzazioni;

quando una (o più) delle parti adotta un contegno che rende impossibile il procede-re delle operazioni, impedendo materialmente le verifiche, su documenti o luoghi.

Deposito della relazione: la relazione, o più propriamente Consulenza Tecnica d’Ufficio, deve essere depositata in cancelleria nel termine assegnato nel verbale di conferimento dell’incarico (art. 195, co. 3, c.p.c.), in caso di mancato deposito nel predetto termine or-dinatorio, può essere fatta valere la nullità relativa della consulenza. Il CTU può chiedere la proroga del deposito dell’elaborato peritale, ma quest’ultima va chiesta, per iscritto, prima della scadenza del termine assegnato e deve essere motivata.

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CAPITOLO 4 | IL RUOLO DEL CONSULENTE TECNICO NELLE INDAGINI PRELIMINARI, NELL’UDIENZA PRELIMINARE E NELLA FASE DIBATTIMENTALE, E DEL PERITO NEL PROCESSO PENALE

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CAPITOLO 4

Il ruolo del Consulente Tecniconelle indagini preliminari, nell’udienza preliminare e nella fase dibattimentale, e del Perito nel processo penale

1. Il Consulente Tecnico del Pubblico Ministero: ruolo nell'indagini preliminari, nell'udienza preliminare e nella fase dibattimentale

L’art. 359 c.p.p. rubricato “Consulenti Tecnici del Pubblico Ministero” sancisce che: “Il Pubblico Ministero, quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o foto-grafici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze può nominare ed avvalersi di consulenti, che non possono rifiutare la loro opera. Il consu-lente può essere autorizzato dal Pubblico Ministero ad assistere a singoli atti d’indagine”.

L’art. 73 delle norme di attuazione del c.p.p., chiarisce infine che la scelta dell’even-tuale Consulente Tecnico è sostanzialmente lasciata al libero e insindacabile giudizio del magistrato inquirente, tant’è che l’ultima disposizione citata recita: “Il Pubblico Ministero nomina il Consulente Tecnico scegliendo di regola una persona iscritta negli Albi dei Periti”.

Attesa la natura dell’incarico e soprattutto l’impossibilità per il consulente nominato di rifiutare l’incarico, se non per le condizioni previste dell’art. 222 c.p.p., è prassi di nu-merose Procure della Repubblica richiedere preventivamente, al nominando Consulente Tecnico, un’informale disponibilità ad accettare tale incarico, a questa seguirà il decreto di nomina del Consulente Tecnico e la successiva convocazione dello stesso presso l’ufficio del Pubblico Ministero per assistere al verbale di conferimento dell’incarico.

La natura, più che fiduciaria, dell’incarico presuppone un momento nel quale Consu-lente Tecnico da un lato e Pubblico Ministero dall’altro svolgano le dovute considerazioni, al fine di permettere al professionista di essere realmente d’aiuto al PM e mai, per questo, avvallarne aprioristicamente le considerazioni che quest’ultimo potrebbe aver già tratto dagli atti d’indagine.

Infatti l’inquadramento e la chiarificazione della figura del Consulente Tecnico, così come si evince dall’art. 359 c.p.p., lo qualifica come un soggetto che, per le proprie spe-cifiche competenze, possa essere nominato e di cui possa avvalersi il magistrato lasciando pertanto il PM libero di decidere sulla necessità di tale nomina e sulla libera volontà di avvalersi della stessa.

Nella pratica il primo momento cruciale della Consulenza Tecnica ad un PM sorge al primo incontro quando il confronto fra i due soggetti permette d’individuare da un lato i

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dubbi o le mancate chiarezze del magistrato e dall’altro i limiti che qualsiasi scienza, finan-che la più nobile, debbono considerare di avere da parte del professionista.

In tale contesto vengono poste le basi per una buona e proficua Consulenza Tecnica, per un corretto ed inimpugnabile utilizzo della documentazione contenuta nei fascicoli d’indagine, per una efficiente acquisizione degli ulteriori elementi necessari all’elaborazio-ne della consulenza affidata e, da ultimo, per una tempestiva redazione della stessa.

Corre l’obbligo di sottolineare come, soprattutto per l’eventuale documentazione posta sotto giudiziale sequestro, occorra procedere con assoluta cautela, anche da parte del nominato consulente, onde evitare che possa essere mossa un domani qualunque ecce-zione al PM; il consiglio, oltre al corretto studio della normativa in tema di Codice Penale e Codice di Procedura Penale, è quello di confrontarsi sempre con il Pubblico Ministero, che apprezzerà la perizia e la cura con cui il consulente intende “maneggiare” la docu-mentazione da esaminare.

Il verbale riportante il giorno e l’ora dovrà contenere il numero del procedimento di cui è indagine, il nominativo del Pubblico Ministero, le parti nei cui confronti siano incardinate le indagini ed i reati per cui sono in corso le stesse.

Innanzi al PM, che potrà procedere anche personalmente alla redazione del verbale, dovrà dichiararsi la presenza del nominato Consulente Tecnico al quale verranno richieste le proprie generalità e verrà riportata la data del decreto di nomina a suo tempo notificato.

Successivamente sarà richiesto sempre al nominato Consulente Tecnico del PM se si trovi in una delle condizioni previste dall’art. 222 c.p.p..

Il PM quindi, informerà il Consulente Tecnico dell’oggetto dell’incarico e formulerà uno o più quesiti.

All’interno di questa parte, ad assoluta e completa discrezione del PM, potrà essere inserita la locuzione “effettui ogni altro accertamento che possa risultare utile ai fini dell’in-dagine”, tale espressione permetterà al Consulente Tecnico di spaziare maggiormente rispetto al singolo quesito senza mai però sfociare, è giusto ricordarlo, in un attività pura d’indagine, che mai potrà essere propria di tale professionista.

Nel caso in cui si faccia riferimento ad accertamenti che per il consulente risultino sem-plici ed immediati lo stesso potrà procedere in loco ed in quell’occasione a rispondere al PM presente; essendo quantomeno rara quest’ultima fattispecie, è molto più probabile che si trascriva, “…data la complessità dei quesiti e l’impossibilità di procedere seduta stante al compimento degli accertamenti richiesti…”, la richiesta del Consulente Tecnico di un termine per potervi provvedere e per rispondere per iscritto a quanto richiestogli, termine che il PM verbalizzerà, secondo quanto determinerà congruo concedere, nella misura di giorni a partire dalla data d’inizio delle operazioni peritali.

Il Consulente Tecnico inoltre chiederà o di prendere visione ed estrarre copia degli atti contenuti nel fascicolo del PM, ritenuti necessari ai fini dell’espletamento dell’incarico, o di prelevare dal fascicolo delle indagini preliminari l’originale di quella parte di docu-mentazione che dovrà essere espressamente dichiarata a verbale o di prendere visione ed estrarre copia della documentazione depositata presso gli organi di PG od infine di prele-vare quest’ultima, ivi compresa quella eventualmente in giudiziale sequestro, dichiarando il luogo nel quale tale documentazione verrà custodita e che logica vuole sia solitamente il proprio studio, nel quale verranno svolti gli accertamenti necessari ai fini dell’espletamento dell’incarico.

Il consulente inoltre potrà chiedere di essere autorizzato a servirsi per gli spostamenti di mezzi propri od eventualmente di altri da dichiararsi a verbale; di avvalersi, ove necessa-

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rio, della collaborazione di personale ausiliario, ed infine di acquisire presso uffici pubblici o privati ulteriore documentazione ritenuta necessaria ai fini dell’espletamento dell’incari-co; il PM espliciterà la propria autorizzazione o l’eventuale diniego, a quanto richiesto dal Consulente Tecnico.

Infine, per procedere alla decorrenza del termine concesso, il Consulente Tecnico di-chiarerà l’inizio delle operazioni peritali in ragione del giorno e del luogo in cui procederà con le stesse.

Il verbale terminerà con l’orario di chiusura, la lettura e la sottoscrizione dello stesso ad opera sia del Consulente Tecnico che del PM.

Tale verbale, che potrà essere oggetto di eventuali integrazioni, rimarrà depositato in originale presso la cancelleria del PM e, solitamente, al Consulente Tecnico ne verrà con-segnata copia fotostatica, è consigliabile richiedere immediatamente una copia conforme all’originale datata e sottoscritta dal cancelliere del PM al fine di rendere la stessa inec-cepibile a qualunque eventuale reticente ufficio, più privato che pubblico, a cui dovesse rivolgersi il Consulente Tecnico.

L’ottimo rapporto che deve instaurarsi tra Consulente Tecnico e PM fa sì che ogni inda-gine venga affrontata con l’opportuna prospettiva e con la necessaria segretezza, onde evitare la fuoriuscita di notizie che possano arrecare danno all’attività investigativa prodot-ta dagli organi di PG ed a quella successiva del PM, ecco perché diventa fondamentale conoscere gli uffici a cui vengono richieste determinate informazioni e necessario richiede-re una copia conforme ad hoc del verbale di conferimento dell’incarico, priva ad esempio dei reati ascrivibili al soggetto d’indagine o di ogni altro elemento, superfluo alla richiesta di documentazione, emerso e verbalizzato durante la descrizione dei quesiti.

Nella prima fase di una Consulenza Tecnica al PM è imprescindibile, ad eccezione di alcuni reati, il confronto con gli organi di PG che hanno condotto le indagini e redatto l’informativa sulla quale si basa l’azione del magistrato inquirente.

Solo tale confronto potrà permettere al Consulente Tecnico di apprendere eventuali sfumature ed ulteriori possibili disegni criminosi la cui lettura, all’interno di voluminosi fascicoli di causa, potrebbe non essere immediata.

Il Consulente Tecnico quindi procederà ad un’analisi compiuta del quesito e cercherà di svolgere il proprio incarico con quella tempestività e segretezza proprie del ruolo affi-datogli, aggiornando immediatamente il PM qualora emergano fatti o comportamenti che possano essere utili ai fini delle indagini dello stesso, ma che non sia stati esplicitati nei quesiti postigli.

Soprattutto in campo di reati fallimentari, reati bancari, associazione per delinquere, truffa e falsità personali, diventa fondamentale l’opera e la perizia tecnica del Dottore Commercialista, poiché, per la corretta lettura degli atti prodromici agli stessi, risultano fondamentali quelle operazioni tecniche per le quali sono necessarie le specifiche compe-tenze del Dottore Commercialista.

L’opera pertanto deve essere svolta su un doppio binario, da un lato sarà necessario procedere a ricostruire e ricucire i differenti accadimenti cercando di ripercorrere esatta-mente ciò che è accaduto, e dall’altro analizzare ogni singolo fatto ed elemento sotto la lente propria del Dottore Commercialista, in grado di riconoscere le ripercussioni civili, penali, commerciali, fiscali/tributarie, reddituali ed infine successorie di ogni singolo com-portamento.

A chiusura di tale precisa e meticolosa attività sarà necessario riportare le proprie con-clusioni scevre da inutili tecnicismi e possibilmente da quel linguaggio burocratico che

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costituirebbe solo una barriera alla netta e chiara concezione degli accadimenti che invece il PM deve farsi.

Il Consulente Tecnico del PM deposita pertanto in cancelleria del PM, entro il termine affidatogli, la propria relazione scritta corredata di ogni allegato, fornendo altresì, seppur non obbligatoria, una copia della stessa in formato elettronico (preferibilmente PDF/A) al fine di permetterne una rapida lettura ed una immediata utilizzabilità da parte del magi-strato inquirente attraverso i moderni metodi di ricerca ipertestuale.

Non è insolito che si fissi un appuntamento nel quale il Consulente Tecnico illustri bre-vemente le conclusioni a cui è giunto e risponda ai differenti quesiti che il PM vorrà porgli per avere ben chiaro il quadro finale.

A questo punto l’attività del Consulente Tecnico del PM non può certo dirsi conclusa poiché da un lato il PM stesso potrebbe richiedere un’integrazione dell’elaborato depo-sitato e porre nuovi quesiti mentre dall’altro il professionista potrà essere chiamato nelle successive fasi del processo a svolgere differenti attività.

Infatti sia in occasione dell’udienza preliminare che nella successiva fase dibattimentale il Consulente Tecnico del PM può essere ascoltato come teste dal Giudice e “controinter-rogato” dai difensori dell’imputato/indagato.

A norma dell’art. 422 c.p.p., secondo e terzo comma, “Il Giudice, se non è possibile procedere immediatamente all’assunzione delle prove, fissa la data della nuova udienza e dispone la citazione dei testimoni, dei Periti, dei Consulenti Tecnici e delle persone indica-te nell’articolo 210 di cui siano stati ammessi l’audizione o l’interrogatorio. L’audizione e l’interrogatorio delle persone indicate nel comma 2 sono condotti dal Giudice. Il Pubblico Ministero e i difensori possono porre domande, a mezzo del Giudice, nell’ordine previsto dall’articolo 421, comma 2. Successivamente, il Pubblico Ministero e i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni”.

Pertanto il Consulente Tecnico del PM potrà dover rispondere a domande postegli non solo dal Pubblico Ministero ma anche dai singoli difensori (della parte civile, del respon-sabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell’imputato) i quali potranno tendere a minare le basi del lavoro svolto, cercando perlopiù di dimostrare che l’attività eseguita, risentendo nel proprio iter logico-deduttivo di un qualche grado di soggettività, non può portare a conclusioni scevre dal cd. “ragionevole dubbio”.

Orbene è proprio riflettendo sull’eventualità di essere interrogati e dover motivare la propria attività ed il proprio modus operandi che il Consulente Tecnico del Pubblico Mi-nistero deve aver già risposto a tali quesiti, deve aver già chiarito, anche nella propria relazione, le motivazioni che fondano ogni sua singola scelta scientifica e l’utilizzo di ogni preciso modello di lavoro; operando in tal maniera il consulente, oltre a svolgere compiu-tamente il proprio incarico, non troverà alcuna difficoltà a rispondere a qualsiasi quesito anzi gli sarà concesso in udienza di dimostrare come le proprie scelte si basino su motiva-zioni di carattere tecnico/scientifico che non possono far altro che rafforzare le conclusioni a cui si è giunti.

Per ciò che attiene la fase dibattimentale il Consulente Tecnico del Pubblico Ministero può essere assunto a norma degli artt. 470 e ss. del c.p.p. e in quell’occasione, così come previsto dall’art. 497 c.p.p. e per ogni altro testimone, ripeterà la formula di rito “Con-sapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”.

Infine l’ultima, ma non certo meno importante, attività a cui può essere chiamato il Consulente Tecnico del Pubblico Ministero è quella prevista in caso di nomina del Perito da parte del Giudice di cui meglio si dirà nelle pagine successive.

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In questa sede pare doveroso sottolineare come anche questo compito richieda un’in-dubbia preparazione tecnica poiché le singole sessioni peritali si svolgeranno alla presen-za non solo del Perito nominato dal Giudice ma anche dei singoli Periti di parte e soprat-tutto poiché, come previsto, si potranno richiedere al Perito specifiche indagini ed opporre proprie osservazioni che saranno contenute in adeguate memorie.

Un valida attività professionale, anche in quest’ambito, permette di sgomberare il cam-po da inutili artifizi, che troppo spesso sono presenti nelle classiche materie di riferimen-to del Dottore Commercialista ed al tempo stesso permettere all’organo giudicante di formarsi un più ampio e, forse, convinto convincimento sempre teso al raggiungimento dell’unico obiettivo che deve avere il Consulente Tecnico: la verità.

2. Escussione della prova del Perito nel processo penale

Nel processo penale il momento dell’esame testimoniale assume un’importanza strate-gica, spesso decisiva, ai fini dell’indagine circa la realtà degli accadimenti e per la solu-zione del giudizio di cui sono oggetto. La testimonianza (regolata dagli articoli dal 194 al 207 c.p.p.), come mezzo fondamentale di prova, trova la sua naturale realizzazione nel dibattimento, quella fase del processo che va dalle formalità di apertura del dibattimento, alla delibera della decisione e cioè l’emanazione della sentenza.

Le prove sono gli equivalenti sensibili del fatto, cioè i segni che questo ha lasciato nella memoria degli uomini o nella materialità del mondo fisico e della cui percezione il Giudice si avvale per l’accertamento di quel fatto.

Le prove formano oggetto nel processo penale di una serie di attività, tra le quali l’e-scussione. L’escussione della prova è null’altro che la sua assunzione. L’assunzione della prova è l’attività con cui la prova, ammessa dal Giudice, viene immessa nel processo e percepita dal Giudice. L’assunzione è attività complessa e ha per oggetto le cosiddette prove costituende (testimonianza, esame, confronto, ricognizione, perizia, esperimento giudiziale).

Il termine escussione (da exquatere, scuotere) viene designato per definire l’assunzione delle prove personali in riferimento agli argomenti necessari all’accertamento del fatto.

L’assunzione o escussione dibattimentale della prova, in particolare di quella personale, è attività centrale del processo penale, e l’esame della relativa disciplina permette di fare il punto su quanto dell’originaria ispirazione accusatoria resta nel codice di procedura penale.

La regola continua ad essere quella per cui nel dibattimento le prove personali vengono escusse oralmente secondo la disciplina dettata dagli artt. 497-499 c.p.p. per l’esame dei testimoni e dall’art. 501 c.p.p. per l’esame dei Periti e Consulenti Tecnici.

I repertori di giurisprudenza sono avari di pronunce in tema di disciplina dell’esame. La giurisprudenza ammette capitolazioni assai generiche delle circostanze oggetto di esame a norma dell’art. 468 c.p.p. (anzi afferma che unica causa di inammissibilità della lista è la sua tardività, non la vaghezza della capitolazione), e quindi concede il più ampio oggetto alle domande che la parte che ha chiesto l’esame può rivolgere nell’esame diretto alla persona escussa. Sia nel controesame sia nel riesame l’interrogante può porre domande su oggetti non toccati nella fase precedente, fermo il diritto della controparte di porre do-mande sugli stessi oggetti.

L’assunzione della prova testimoniale in un contesto dialettico, basato su quella con-dizione di contraddittorio tra le parti che si realizza nell’esame incrociato, rappresenta,

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secondo gli studiosi più autorevoli, il metodo più affidabile per l’accertamento della verità e, conseguentemente, per impartire giustizia.

La prova testimoniale viene assunta attraverso l’avvicendamento di tre momenti, uno necessario e due eventuali; si tratta rispettivamente di:

esame diretto, ovvero l’interrogatorio del teste da parte di chi lo ha introdotto al fine di ottenere, tramite l’esposizione dei fatti da questo conosciuti, conferma e supporto alla versione che intende dimostrare. Nell’esame diretto, chi interroga ha, in genere, preventivamente vagliato al di fuori del dibattimento sia l’attendibilità, sia il bagaglio di informazioni in grado di essere ricavato dall’esaminato e l’approccio psicologico sarà, presumibilmente, conciliativo e collaborativo. Lo scopo è quello di fare emer-gere fatti che possono influenzare favorevolmente chi deve giudicare;

controesame, condotto dall’antagonista di chi ha richiesto l’escussione del testimo-ne per porre nel dubbio le valenze probatorie emerse dalle dichiarazioni preceden-temente rese e, nel contempo, aggiungere elementi di sostegno alla propria tesi. nel controesame si mira a dimostrare che i fatti asseriti nell’esame diretto sono falsi o inesatti, screditare il teste, forzarlo ad ammettere certi fatti, dimostrare che in altre occasioni ha affermato cose diverse;

riesame, nuovamente condotto da chi ha introdotto la prova, incentrato sulla veri-dicità dei fatti dichiarati in sede di esame diretto e contestati nel controesame. Col riesame si tenta di recuperare la credibilità del teste screditato e di ridare nuova attendibilità ai fatti affermati nell’esame diretto.

Analizzando alcune peculiarità dei momenti in cui si estrinseca l’escussione della prova testimoniale, vi è concordia nel ritenere necessario che le tre fasi dell’esame incrociato si-ano espletate con immediatezza, concentrazione e consequenzialità: l’alternanza di esame diretto, controesame e riesame deve essere senza interruzioni.

L’indagine relativa ai temi che possono essere oggetto dell’esame incrociato non può essere definita sulla base delle sole indicazioni fornite dagli artt. 498 e ss. che, con le dizioni “domande”, “altre domande” e “nuove domande”, usate rispettivamente per i tre momenti dell’escussione, lasciano la questione sostanzialmente irrisolta. La dottrina ha pensato di rimediare ricorrendo ad altre disposizioni del codice (in particolare gli artt. 468 e 493 che ne fissano il principio) dalle quali ha ritenuto di desumere che le doman-de oggetto dell’esame diretto devono essere quelle relative alle circostanze indicate nella lista testimoniale di cui all’art. 468; il controesame può cadere, anche su elementi che, pur non sviluppati nel contesto dell’esame, non ne sono completamente avulsi e possono servire ad attaccare la credibilità del teste; le nuove domande del riesame devono, invece, essere finalizzate a ricostruire la sequenza dei fatti così come originariamente prospettati ed a recuperare l’attendibilità del proprio testimone, chiedendogli di ribadire alcune cir-costanze o di chiarire eventuali contraddizioni in cui possa essere incappato nel corso del controesame. Si esclude comunque che nella fase finale del riesame si possa allargare il thema probandum proponendo domande su argomenti diversi da quelli oggetto di esame e controesame.

La regola della specificità delle domande tende ad evitare che il teste, attraverso la cd. narrazione continuata, avviata, per l’appunto, da domande ampie e generiche, possa esporre una versione dei fatti preconfezionata ed appositamente imparata a memoria.

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Per concludere la trattazione circa il contenuto dell’esame, può essere utile valutare il suggerimento che proviene dall’esperienza di common law secondo cui è preferibile rivol-gere al testimone molte domande su circostanze piuttosto che un numero limitato di quesiti che porterebbero ad una valutazione sintetica, equivalente, ad un’opinione indebita.

Nell’ipotesi in cui il teste ne abbia necessità, il comma 5 dell’art. 499 consente al pre-sidente, in deroga al generale principio dell’oralità, di autorizzare il testimone, nel caso di specie il Perito, a consultare dei documenti da lui redatti che possano aiutarlo a ricordare.

Si ritiene generalmente che il termine “consultare” vada inteso come esaminare, pren-dere spunto ma non leggere e ripetere pedissequamente; la stessa dottrina ha anche precisato che l’autorizzazione non può essere data prima dell’esame, poiché, essendo finalizzata ad aiutare la memoria, è necessario che emerga una difficoltà a ricordare o a rispondere con precisione.

Per quanto riguarda il documento da vedere, si deve tenere conto del disposto dell’art. 234, quindi si potranno consultare scritti, fotografie, riprese video ed audio.

Se il documento non appartiene al fascicolo per il dibattimento, il Giudice dovrà pre-ventivamente valutarne l’ammissibilità ai fini visti. Se non risulta inserito neppure nel fa-scicolo del Pubblico Ministero, dovrà essere reso conoscibile anche alle controparti che si potranno preparare per eventuali opposizioni e per il controesame.

Per ottenere il massimo, in termini di completezza ed attendibilità, dalla deposizione di un testimone, si rivelano di vitale importanza le tecniche di comunicazione e di valutazione studiate ed affinate con la ricerca scientifica degli psicologi o con il pragmatico empirismo dei più sensibili magistrati ed avvocati.

Il fine ultimo dell’esame incrociato del Perito, è quello di evidenziare i singoli elementi di prova emersi nelle tre fasi possibili e trasformarli in verità giuridicamente rilevante.

Nella normalità dei casi, il Perito sottoposto all’escussione orale si trova a dover parlare di fatti, atti e circostanze esaminate e trasferite nella relazione di consulenza molto tempo prima del processo. Già nella fase di redazione dell’elaborato peritale, è di fondamentale importanza, ai fini dell’apporto tecnico-scientifico e professionale, sia nell’immediato che in periodi successivi, integrare e completare la stesura del lavoro con allegati tecnico-documentali, fogli e carte di lavoro, come alla stregua delle tecniche che supportano la revisione legale, e che possono contribuire prima di tutto a rendere espliciti, chiari ed immediati i concetti ed i ragionamenti che sono alla base delle ricostruzioni e degli accer-tamenti peritali, nei confronti di tutte le parti a vario titolo interessate al procedimento. Ciò consente in qualsivoglia momento al Perito di ricostruire in maniera esaustiva le elabora-zioni concettuali alla base di quanto sviluppato nell’elaborato peritale.

La comunicazione nel processo penale può essere studiata da tre punti di vista:

sintassi, che riguarda la codificazione, i canali e le proprietà statistiche del linguag-gio;

semantica, relativa al significato delle parole, alle convenzioni che rendono decifra-bile il linguaggio;

pragmatica, nella cui prospettiva si esaminano gli effetti della comunicazione sul comportamento.

La valutazione della testimonianza si muove su due livelli di analisi: l’attendibilità, cioè la misura in cui il racconto dei fatti possa ritenersi privo di errori e la credibilità, relativa al grado di verità delle dichiarazioni del teste.

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CAPITOLO 4 | IL RUOLO DEL CONSULENTE TECNICO NELLE INDAGINI PRELIMINARI, NELL’UDIENZA PRELIMINARE E NELLA FASE DIBATTIMENTALE, E DEL PERITO NEL PROCESSO PENALE

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Il nostro lavoro, il nostro ruolo, esige e merita la nostra stessa serietà, ne va della nostra professionalità, ne va della nostra autorevolezza!

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CAPITOLO 5 | IL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO E IL CONSULENTE TECNICO DI PARTE. RESPONSABILITÀ CIVILI E PENALI

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CAPITOLO 5

Il Consulente Tecnico d’Uffi cio e il Consulente Tecnico di Parte. Responsabilità civili e penali

1. La figura del Consulente Tecnico di parte

Della figura del CTU se è già diffusamente trattato nelle pagine precedenti; in questo paragrafo si lumeggia brevemente il ruolo del CTP.

Con la stessa nomina del Consulente Tecnico d’ufficio, ai sensi dell’art. 201 c.p.c., il Giudice assegna un termine entro il quale le parti possono nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un proprio Consulente Tecnico.

Quest’ultimo non è tenuto a prestare giuramento, non è ricusabile e resta soggetto alle disposizioni del codice penale relative ai patrocinatori e consulenti infedeli.

La Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimi-tà costituzionale dell’art. 201 c.p.c., con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui, se non sia disposta la consulenza d’ufficio, non viene consentito alle parti di nominare un proprio consulente. L’ordinanza di nomina del CTU deve contenere il termine entro il quale le parti possono nominare i loro consulenti. Il termine ha carattere ordinatorio e non perentorio, per cui è prorogabile su istanza di parte, sempre che quest’ultima sia proposta prima della scadenza, ai sensi dell’art. 201 c.p.c..

Se il Giudice omette di indicare il termine per la nomina dei Consulenti Tecnici di par-te, ciò non determina la nullità della consulenza, essendo invece applicabile l’art. 289 c.p.c. che consente l’integrazione dell’ordinanza istruttoria, anche quando non sia fissa-to il termine entro il quale le parti debbono compiere atti processuali. Nel caso in cui il Giudice ometta di concedere il termine per la nomina dei consulenti di parte, parte della giurisprudenza stabilisce che possano provvedere a nominarlo sino all’inizio delle ope-razioni peritali o addirittura sino a che queste non siano concluse. Di regola accade che il termine di cui all’art. 201 c.p.c. venga stabilito “sino all’inizio delle operazioni peritali” e pertanto ai fini della validità della nomina occorre che la nomina avvenga con un atto formale depositato in cancelleria prima dell’inizio delle operazioni peritali. È importante sul punto sottolineare come la nomina del c.t.p. deve essere, tassativamente presentata in cancelleria entro il termine stabilito dal Giudice (di solito l’inizio delle operazioni peritali) e non al CTU in sede di apertura delle operazioni peritali, a pena di nullità della nomina. Il cancelliere deve dare comunicazione al Consulente Tecnico di parte, regolarmente nomi-nato, delle indagini predisposte dal cancelliere d’ufficio, perché vi possa assistere a norma degli articoli 194 e 201 del codice.

Ad ogni modo l’art. 201, co. 2, c.p.c. attribuisce al Consulente Tecnico di parte la facoltà di assistere alle operazioni del CTU, di partecipare alle udienze istruttorie ed alla discussione dinanzi al collegio ogni volta che sia invitato il consulente d’ufficio, per chiarire e svolgere le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche.

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CAPITOLO 5 | IL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO E IL CONSULENTE TECNICO DI PARTE. RESPONSABILITÀ CIVILI E PENALI

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2. La responsabilità del CTU

Al CTU nominato in qualità di esperto nella materia oggetto della consulenza, viene attribuita nell’ambito del processo una pubblica funzione quale ausiliario del Giudice con responsabilità oltre che penali e disciplinare, anche civile, con obbligo di risarcire come un qualsiasi pubblico ufficiale il danno che abbia cagionato in violazione dei doveri connessi all’ufficio. L’esperto nominato dal Presidente del Tribunale ex art. 2343 c.c. riveste la quali-tà di pubblico ufficiale, non tanto in virtù del richiamo da parte del comma 2 delle disposi-zioni dell’art. 64 c.p.c., che lo equipara ai Periti, quanto in virtù della funzione che lo porta ad inserirsi nell’attività di volontaria giurisdizione dell’autorità giudiziaria. Lo stesso può pertanto essere chiamato a rispondere del reato di interesse privato di cui all’art. 324 c.p..

Il Consulente Tecnico d’ufficio nello svolgimento dell’incarico ha inoltre l’obbligo di attenersi alle norme deontologiche generali proprie dell’ordine professionale di appar-tenenza, quali ad esempio, l’indipendenza professionale ed intellettuale, la competenza specifica, l’obiettività, la correttezza e trasparenza del proprio lavoro ed infine la diligenza e lo scrupolo nello svolgimento dell’incarico.

Ai sensi dell’art. 19 disp. att. c.p.c., l’attività di controllo e vigilanza sull’operato dei Consulenti Tecnici d’ufficio viene esercitata dal Presidente del Tribunale, il quale, d’ufficio o su istanza del Procuratore delle Repubblica o del presidente dell’ordine professionale di appartenenza, può promuovere procedimenti disciplinari contro i consulenti che non hanno ottemperato agli obblighi che derivano dagli incarichi ricevuti; la competenza nel giudizio disciplinare spetta al comitato formato dal Presidente del Tribunale che lo presie-de, dal Procuratore della Repubblica e da un professionista iscritto nell’Albo professionale, designato dal Consiglio dell’ordine o dal Collegio di categoria cui appartiene il CTU sot-toposto a giudizio.

A norma del medesimo articolo, ai consulenti che non hanno tenuto una condotta mo-rale specchiata, o non hanno ottemperato agli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti, possono essere inflitte le seguenti sanzioni disciplinari:

l’avvertimento;

la sospensione dall’Albo o dal Collegio per un tempo non superiore ad un anno;

la cancellazione dall’Albo o dal Collegio di appartenenza.

L’avvertimento è una pena morale e consiste in un rimprovero al Consulente Tecnico per la mancanza commessa o per il comportamento tenuto con esortazione a non ricadervi più.

La sospensione dall’Albo, per un tempo non superiore ad un anno, incide ovviamente sulle relative funzioni esercitate dal consulente sospeso, in quanto conseguenza di tale sanzione è l’impedimento ad essere nominati CTU; ad accettare se nominato, l’incarico; a proseguire nell’esercizio dell’incarico già affidato per tutta la durata della sospensione. Solo alla fine del periodo di sospensione, il consulente potrà riprendere l’esercizio delle sue funzioni senza ulteriore provvedimento.

La cancellazione dall’Albo è una sanzione espulsiva ed è quindi la più grave, in quanto la cancellazione è definitiva ed impedisce al professionista di esercitare le funzioni di CTU in modo assoluto.

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Ad ogni modo, a norma dell’art. 21 disp. att. c.p.c., prima di promuovere il procedi-mento disciplinare, il Presidente del Tribunale contesta l’addebito al consulente, racco-gliendone risposta scritta; solo in seguito a tale procedimento, il Presidente può decidere di proseguire nella sua azione invitando il CTU con biglietto di cancelleria a presentarsi davanti al comitato, la cui decisione di organo collegiale vada presa a maggioranza dei votanti.

In ordine alle responsabilità del CTU si possono ravvisare quelle di carattere penale, processuale e civile.

Ai sensi dell’art. 314 c.p., il consulente che avendo per ragioni del suo ufficio o servizio, il possesso di denaro o di altra cosa mobile appartenente alla pubblica amministrazione, se ne appropria, ovvero la distrae a profitto proprio o di altri è punito con la reclusione da 3 a 10 anni e con multa non inferiore ad euro 25,00 e con l’interdizione dai pubblici uffici. Nel caso in cui la reclusione sia inferiore ai 3 anni, la condanna comporta l’interdizione temporanea.

Il Consulente Tecnico che, nominato dal Giudice, ottenga con mezzi fraudolenti l’e-senzione dall’obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio, o che rifiuti di declinare le generalità, di prestare il giuramento richiesto, di assumere o di adempiere le funzioni, è punito con la reclusione fino a 6 mesi o con l’ammenda da euro 30 ad euro 500, nonché l’interdizione dalla professione o dall’arte (art. 366 c.p.).

L’art. 373 c.p. stabilisce che per il Perito, il quale nominato dall’autorità giudiziaria dia parere o interpretazioni mendaci o affermi fatti non conformi al vero, è prevista la pena stabilita dall’art. 372 nel caso di falsa testimonianza: reclusione da due a sei anni ed in-terdizione dai pubblici uffici, dalla professione o dall’arte.

Altro caso di falso in perizia si ha quando il consulente d’ufficio nasconda al Giudice la sua incompetenza nell’oggetto della perizia o taccia sull’esistenza di cause di incapacità naturale o legale, di incompatibilità o di ricusabilità (art. 384 c.p.). In questi casi la frode processuale, posta in essere dal tecnico, può danneggiare o favorire ingiustamente qual-cuno.

Un terzo grado di falsità consiste nella menzogna espressa, ossia nell’affermazione di cose non vere o perfino nell’intervento materiale o nella distruzione di prove false. La fal-sa perizia, sotto la duplice forma di falsa testimonianza e falsa valutazione, è punibile, a meno che il CTU non ritratti prima che sia pronunciata una sentenza di merito definitiva, anche se non revocabile, o ricorrano alcune ipotesi di non punibilità ex art. 384 c.p..

Va comunque considerato il caso di colpa grave, il quale si ritiene generalmente con nei casi di perdita o distruzione della cosa controversa e di documenti affidati e comunque tale per cui la consulenza appaia inattendibile. È invece dubbia nel caso di errore, anche se dovuta a manifesta imperizia. Nell’ipotesi di colpa grave è anche dovuto risarcimento dei danni indipendentemente dal fatto che sia applicata la pena pecuniaria. Nel caso di falsa perizia si può richiedere il risarcimento anche se il reato non sia più perseguibile per il verificarsi di qualsiasi causa estintiva. Il danno va ovviamente provato con le relative conseguenze sulle singole fattispecie. Dall’ipotesi di responsabilità aquiliana del consulen-te (qualsiasi comportamento che genera danno ingiusto), va tenuta distinta la domanda diretta ad ottenere la restituzione delle somme corrispostegli, in seguito alla dichiarazione di nullità della consulenza, che si sostanzia in un’azione di indebito soggettivo e no trova preclusioni nella disposizione dell’articolo in esame.

Inoltre non è così raro che i CTU siano soggetti a tentativi di corruzione o più precisa-mente di subordinazione (art. 377 c.p.) che si possono manifestare sotto diversi aspetti.

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I CTU devono perciò prestare la massima attenzione nell’evitare di essene coinvolti ed essere pronti a denunziare al Giudice ogni tentativo sospetto da parte di chiunque e co-munque sia espresso. Spetterà al Giudice valutare la sussistenza o meno del reato ed agire di conseguenza.

Infine ai sensi dell’art. 377 c.p., chiunque prometta denaro o altro al CTU per indurlo ad una falsa perizia soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, oppure sia accettata ma la falsità non sia commessa, alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni, ridotte dalla metà ai due terzi, e l’interdizione dai pubblici uffici.

3. Responsabilità del Perito e relative sanzioni

L’iscrizione del professionista all’Albo dei Periti fa sorgere una serie di doveri. Prescin-dendo dall’obbligo di mantenere determinati requisiti richiesti per l’iscrizione, il cui man-cato rispetto non rappresenta illecito disciplinare, ma è semplice causa di cancellazione dall’Albo, vengono in rilievo eventuali condotte illecite realizzate dal Perito “atteso che tali condotte, come anche il mancato puntuale adempimento degli obblighi derivanti dagli incarichi, possono costituire causa di cancellazione ove sia intervenuta una condanna con sentenza irrevocabile alla pena della reclusione per delitto non colposo (salvo sia interve-nuta riabilitazione)”.

4. Responsabilità civile

La violazione dei doveri di diligenza e correttezza, l’infedele od il cattivo espletamen-to dell’incarico fa sorgere, a carico del Perito nominato dal Giudice, una responsabilità diretta nei confronti delle parti del processo. Ferma restando l’applicazione delle norme del codice penale relative ai Periti, sarebbe auspicabile l’estensione analogica dell’art. 64 c.p.c. che prevede l’obbligo per il Consulente Tecnico di risarcire i danni causati alle parti nell’esecuzione dell’incarico ricevuto. Va infatti rilevato come nel codice di procedura penale non è presente alcuna disposizione analoga all’art. 64 c.p.c., secondo cui il Con-sulente Tecnico che incorra in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, oltre ad essere punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a euro 10.329, è tenuto in ogni caso al risarcimento dei danni causati alle parti. Ciò non è però ostativo al riconoscimento del diritto a pretendere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c. che sorge in capo alla parte che abbia subito un concreto pregiudizio in conseguenza dell’operato del Perito in un processo penale. In titolo di impugnazione soggettiva (dolo, colpa grave, colpa) necessario ai fini della integrazione dell’illecito aquiliano potrà poi va-riare in relazione al caso concreto. Per quanto concerne la quantificazione del danno, nor-malmente esso si sostanzia nelle spese sostenute per l’adozione di provvedimenti ritenuti indifferibili sulla scorta di una consulenza errata, e soprattutto, nelle spese affrontate per dimostrare l’erroneità della consulenza d’ufficio. Legittimata a domandare il risarcimento potrebbe essere, nel settore penale, la parte che abbia subito il concreto pregiudizio in conseguenza dell’operato del Perito o del Consulente Tecnico. A decidere sulla domanda di risarcimento proposta dalla parte che ha subito il danno sarà il Giudice competente per valore e territorio secondo gli ordinari criteri di competenza.

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5. Responsabilità penale

La responsabilità penale del Perito, può trovare la propria origine dalla violazione degli artt. 366 (rifiuto di uffici legalmente dovuti), 373 (falsa perizia o interpretazione), 374 (fro-de processuale) del codice penale.

Il primo articolo su menzionato punisce con la reclusione fino a sei mesi, o con la multa da euro 30 a euro 516 il Perito nominato dall’Autorità giudiziaria che ottiene con mezzi fraudolenti l’esenzione dall’obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio nonché il Perito chiamato dinanzi all’Autorità giudiziaria per adempiere ad alcuna delle predette funzioni che rifiuta di dare le proprie generalità, ovvero di prestare il giuramento richiesto, ovvero di assumere o di adempiere le funzioni medesime. Secondo la giurisprudenza di legittimità non integra il reato di rifiuto di uffici legalmente dovuti, previsto dall’art. 366, co. 2, c.p., la condotta del Perito che, nominato dal Giudice per l’espletamento di un incarico, non compaia all’udienza fissata per il giuramento senza giustificare il motivo dell’assenza, non potendo essere equiparata la mancata comparizione al rifiuto di assumere l’incarico, in quanto tale comportamento non determina una situazione di ostacolo al funzionamento della giustizia, potendo il Giudice disporre, in base all’art. 13 c.p.p., l’accompagnamento coattivo del Perito.

Ai sensi dell’art. 373 c.p., è punito con la reclusione da due a sei ani il Perito che, no-minato dall’Autorità giudiziaria, dà parere o interpretazioni mendaci, o afferma fatti non conformi al vero. La condanna importa, oltre che l’interdizione dai pubblici uffici, l’interdi-zione alla professione o dall’arte.

5.1. Obbligo di assumere l'incaricoL’art. 64 c.p.c. e l’art. 221, co. 3, c.p.p., stabiliscono l’obbligo di assumere l’incarico

di Perito ogni qual volta l’Autorità giudiziaria ne faccia richiesta. L’art. 366 c.p. sanziona penalmente, per rifiuto di atti legalmente dovuti, chi essendo stato nominato Perito si esen-ta fraudolentemente dal proprio ufficio. In merito, detto articolo dispone che se colui che è nominato Perito ottiene con mezzi fraudolenti l’esenzione dall’obbligo di prestare il suo ufficio è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 30 ad euro 500. Le stesse pene si applicano a chi, chiamato dinanzi all’Autorità giudiziaria per adempiere ad alcuna delle predette funzioni, rifiuta di dare le proprie generalità, ovvero di prestare il giuramento richiesto, ovvero di assumere o di adempiere le funzioni medesime. Le dispo-sizioni precedenti si applicano alla persona chiamata a deporre come testimone dinanzi all’autorità giudiziaria e ad ogni altra persona chiamata ad esercitare una funzione giu-diziaria. Se il colpevole è una persona o un interprete, la condanna importa l’interdizione dalla professione o dall’arte.

La violazione di cui si parla è subordinata alle seguenti condizioni:

la nomina di Perito deve essere portata a conoscenza dell’interessato;

per ritenersi valida, è necessaria la notifica.

Per quanto concerne il ritardo con cui il Perito adempie all’incarico peritale, il Giudice deve valutare caso per caso, stabilendo se si tratta di condotta punibile solo disciplinar-mente o se invece integri anche una condotta penalmente rilevante.

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5.2. Falsa periziaCome già indicato l’art. 373 c.p. dispone che “il Perito o l’interprete che, nominato

dall’autorità giudiziaria, dà parere o interpretazioni mendaci o afferma fatti non conformi al vero, soggiace alle pene stabilite nell’articolo precedente. La condanna importa, oltre l’interdizione dai pubblici uffici, l’interdizione dalla professione o dall’arte”. L’art. 372 c.p. aggiunge poi che “chiunque, deponendo come testimone innanzi all’autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due a sei anni”.

Trattandosi di delitto di falso giuramento, s’intende tutelare l’interesse alla veridicità della dichiarazione giurata per una corretta amministrazione della giustizia. Il Perito è sanzionato poi quando fornisce all’Autorità giudiziaria pareri o interpretazioni falsi o affer-ma fatti non conformi al vero. In particolare il Perito ricade nel reato di falsa perizia nelle seguenti ipotesi:

nasconde la sua incompetenza;

nasconde la sua incapacità naturale o legale nel redigere la perizia;

tace la sua condizione d’incompatibilità o di ricusabilità;

non si attiva nelle indagini necessarie;

non fornisce determinati elementi di valutazione.

La perizia risulta viziata infine, quando in essa risultano affermati fatti non rispondenti al vero o scaturenti da prove false. Tuttavia la stessa, anche se falsa, non è punibile se il Perito non avrebbe dovuto assumere l’incarico in base a determinate disposizioni di legge o nel caso in cui contro di esso sia stata formulata istanza di ricusazione. Al Perito inoltre si estendono anche le fattispecie che sono proprie del pubblico ufficiale; in particolare l’art. 378 c.p. dispone che “chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena di morte o l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa, è punito con la reclusione fino a quattro anni”. Quando il delitto commesso è quel-lo previsto dall’art. 416-bis, si applica in ogni caso la pena della reclusione non inferiore a due anni. Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a euro 516. Le disposizioni di quest’articolo si applicano, in quanto compatibili, quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che no ha commesso il delitto: la fattispecie integra il reato di favoreggiamento personale.

L’art. 379 c.p. sancisce che “chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli artt. 648, 648 bis, 648 ter, aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato, è punito con la reclusione fino a cinque anni, se si tratta di delitto, e con la multa da euro 51 ad euro 1032 se si tratta di contravvenzione”. In questo caso invece, trattasi di favoreggiamento reale.

L’art. 476 dispone che “il pubblico ufficiale che nell’esercizio delle sue funzioni, forma in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Inoltre se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni”. In questo si parla di falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici.

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L’art. 479 c.p. infine, occupandosi della falsità ideologica commessa dal pubblico uffi-ciale in atti pubblici, stabilisce che “il pubblico ufficiale, che ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’art. 476 c.p.”.

5.3. Frode processualeLa frode processuale è regolata dall’art. 374 c.p., il quale stabilisce che “chiunque, nel

corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il Giudice in un atto d’ispezione o di esperimento giudiziale ovvero il Perito nell’esecuzione di una perizia, muta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia previsto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da sei mesi a tre anni. La stessa disposizione si applica se il fatto è commesso nel corso di un procedimento penale, o anteriormente ad esso; ma in tal caso la punibilità è esclusa, se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza, e questa non è stata presentata”. Il Perito può anche essere assoggettato a violenze fisiche o morali affinché sia indotto alla menzogna. In genere la corruzione si manifesta attraverso un’offerta di denaro, o con la promessa di attribuzione di determinati incarichi professio-nali o infine ricorrendo a regali molto costosi. Il reato consiste nella mutazione artificiosa dello stato delle cose, dei luoghi o delle persone e riguarda sia il Perito che il Consulente Tecnico d’ufficio che abbiano alterato, sottratto o distrutto le scritture e i documenti conta-bili. Ciò che caratterizza la condotto è l’artificiosità della mutazione e quindi l’azione posta in essere deve trarre in inganno il Giudice.

Il reato di frode processuale si ha anche nell’ipotesi in cui il Perito svolga la sua attività a favore simultaneamente delle parti contrarie. In relazione al reato disciplinato dall’art. 374 c.p., il Perito può venirsi a trovare in due differenti situazioni:

attore del reato di frode;

parte tratta in inganno da un terzo.

Per tali motivi il Perito al fine di evitare di incorrere in questo gravissimo reato deve essere sempre pronto a denunciare al Giudice ogni fatto o atto di corruzione, anche solo sospetto.

5.4. Sanzioni per corruzione in atti giudiziariIl Perito è sanzionato penalmente in ipotesi di corruzione di atti giudiziari relativamente

alle sanzioni per corruzioni in atti d’ufficio o contrari ai doveri del medesimo. Il codice penale disciplina le varie fattispecie agli artt. 318, 319 e 319-ter c.p..

L’art. 318 c.p. stabilisce che “il pubblico ufficiale, che per compiere un atto del suo uf-ficio, riceve, per sé o per un terzo, in denaro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino ad un anno”. Si parla in questo caso di corruzione per un atto d’ufficio.

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L’art. 319 c.p.p. dispone poi che “il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri d’ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a cinque anni”. Trattasi della fattispecie di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio.

L’art. 319-ter c.p. stabilisce che “se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commes-si per favorire e danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo si applica la pena della reclusione da tre a otto anni. Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena della è della reclusione da quattro a dodici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da sei a vent’anni”.

La stessa pena è applicabile se nell’ambito delle fattispecie degli artt. 318 e 319 c.p. c’è stato pagamento o una sua promessa.

L’art. 32-quater c.p. prevede che se il compimento del delitto appena descritto avviene a vantaggio o in danno di qualsiasi attività imprenditoriale ne deriva incapacità di contrat-tare con la pubblica amministrazione.

5.5. Omessa o ritardata denuncia di reatoIl Perito è sanzionato penalmente ai sensi dell’art. 361 c.p. nell’ipotesi in cui ometta o

ritardi la denuncia di reato, essendo il Perito considerato pubblico ufficiale. Tale nozione di pubblico ufficiale è contenuta nell’art. 357 c.p. secondo cui “agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudi-ziaria o amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da enorme di diritto pubblico o da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”. Trattasi di delitto punito con la multa da euro 30,99 a 516,46.

La pena è della reclusione fino ad un anno, se il colpevole è un ufficiale, o un agente di polizia giudiziaria che ha avuto comunque notizie di un reato del quale doveva fare rapporto. Tuttavia queste sanzioni non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa.

6. Responsabilità penale del Consulente Tecnico nel processo penale

Ai sensi dell’art. 380 c.p., il patrocinatore o il Consulente Tecnico della parte che ren-dendosi infedele ai suoi doveri professionali arreca il nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’autorità giudiziaria è punito con la reclu-sione da uno a tre anni con la multa non inferiore a euro 516. È inoltre previsto l’aumento della pena se il colpevole ha commesso il fatto colludendo con la parte avversaria e se il fatto è stato commesso a danno di un imputato. Se poi il fatto è commesso a danno di per-sona imputata di un delitto per il quale la legge commina la pena dell’ergastolo ovvero la reclusione superiore a cinque anni, si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore ad euro 1.032. Il reato può derivare da qualsiasi nocumento commesso dal Consulente Tecnico che ha operato dolosamente. Gli obblighi professionali cui deve

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CAPITOLO 5 | IL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO E IL CONSULENTE TECNICO DI PARTE. RESPONSABILITÀ CIVILI E PENALI

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attenersi il Consulente Tecnico e che rappresentano l’oggetto di valutazione del Giudice riguardo all’infedeltà derivano o dalla legge o da regolamenti degli ordini professionali.

Altra fattispecie sanzionata penalmente è quella che può dar luogo a conflitto di interes-si. L’art. 381 c.p. sancisce che il patrocinatore o il Consulente Tecnico, che, in un procedi-mento dinanzi all’autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti contrarie, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 103.

La pena è della reclusione fino ad un anno e della multa da euro 51 a euro 516, se il patrocinante o il consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assu-me, senza il consenso di questa, nello stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria. Trattasi della più evidente manifestazione di violazione dei doveri professionali e la disposizione dettata dall’articolo in esame mira a tutelare tutte le parti fra loro avversarie nel caso in cui il Consulente Tecnico svolga l’attività di assistenza in una situazione di conflitto d’interessi.

6.1. Incompatibilità all'assunzione del ruolo di Consulente Tecnico Secondo il combinato disposto dell’art. 225 con l’art. 222, lett. a-c), c.p.p., l’art. 222,

lett. d) del codice di rito, non è ammessa a pena di nullità la nomina del Consulente Tec-nico per il soggetto chiamato a rivestire il ruolo di testimone, per il soggetto incompatibile con tale ruolo e per il soggetto che ha la facoltà dalla testimonianza.

Le motivazioni di tali limitazioni derivano dal fatto che il testimone agisce sempre su di un piano di terzierà rispetto alle parti e allo stesso incombe un obbligo di verità, mentre il Consulente Tecnico dal canto suo si caratterizza invece per essere un organo di parte che deve operare nell’interesse di questa, alla quale non può recare nocumento se non vuole incorrere nel rischio di “consulenza infedele” di cui all’art. 380 c.p..

A ciò è da aggiungersi come l’art. 200 del codice stabilisce che non possano essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragioni del proprio ministero, ufficio o professione, i Consulenti Tecnici, i medici ed ogni altro esercente la professione sanitaria.

Al contrario è stato ritenuto che il Consulente Tecnico nominato dal Pubblico Ministero non è incompatibile con l’ufficio di testimone, perché non assume la qualità di ausiliario del Pubblico Ministero.

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CAPITOLO 6 | LA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO CIVILE: METODOLOGIA E CONTENUTI

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CAPITOLO 6

La Consulenza Tecnica nel processo civile: metodologia e contenuti

1. Lettura dei quesiti

Gli artt. 191 e 195 c.p.c., che disciplinano l’incarico e lo svolgimento della Consulenza Tecnica, hanno subito sostanziali modifiche ad opera della L. 18/06/2009, n. 69, “Dispo-sizioni per lo Sviluppo Economico, la Semplificazione, la Competitività, nonché in materia di Processo Civile”; tali mutamenti sono volti essenzialmente all’accelerazione delle ope-razioni di nomina e prestazione di giuramento del Consulente Tecnico, al fine di eliminare i tempi morti che si annidavano nelle pieghe del sistema previgente e, quindi, aumentare l’efficacia e l’efficienza di tale fase procedimentale.

Il primo comma dell’art. 191 c.p.c. dispone che il Giudice istruttore, con l’ordinanza con cui nomina il Consulente Tecnico d’ufficio, formula i quesiti e fissa l’udienza nella quale il consulente deve comparire. A questa maggiore “celerità” (contestuale nomina e fissazione dei quesiti) dovrà seguire una più attenta e tempestiva analisi del fascicolo da parte del Consulente Tecnico incaricato. Questi, infatti, disporrà di minor tempo per la va-lutazione della sussistenza o meno di eventuali condizioni ostative all’accettazione dell’in-carico, per poi eventualmente presentare un’istanza di astensione al Giudice Istruttore che lo ha nominato.

Si osserva, inoltre, che questa concatenazione temporale limita, rispetto alla disciplina previgente, il carattere di ausiliarità del Consulente Tecnico d’ufficio nei confronti del Giu-dice, potendo il professionista anche in questa fase iniziale mettere a disposizione del pro-cedimento il proprio contributo circa la formula dei quesiti. È, infatti, noto a tutti che una Consulenza Tecnica veramente utile può nascere solo da una corretta ed esaustiva for-mulazione dei quesiti. Nella prassi viene accolta la formulazione della parte più diligente, che, normalmente, contiene quesiti molto circostanziati, vincolando il Consulente Tecnico d’Ufficio a svolgere le proprie indagini nei limiti del quesito posto, senza però poter fornire al Giudice tutti gli elementi idonei e necessari ai fini della decisione della causa. Pertanto, qualora il Giudice lo avesse ritenuto utile, la figura del Consulente Tecnico poteva espri-mere il proprio carattere di ausiliarità nell’assistenza alla formulazione dei quesiti. Oggi invece questa possibilità è “compressa”, se non preclusa.

2. Individuazione degli obiettivi

Dall’attenta e ragionata lettura dei quesiti, discende come naturale conseguenza l’indi-viduazione degli obiettivi da raggiungere al fine di fornire una risposta esauriente ai quesiti stessi.

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Obiettivo comune a qualsiasi Consulenza Tecnica è rendere intellegibile al Giudice ciò che per sua natura non lo è. Nel far ciò è necessario tenere sempre a mente che non è compito del Consulente Tecnico la valutazione giuridica dei fatti e degli atti, in quanto essa spetta solo ed esclusivamente al Giudice. L’errore più grande che un Consulente Tecnico può commettere è quello di confondere il ruolo che la legge gli riserva di ausiliario del Giudice con quello di Giudice.

Compito del Consulente Tecnico d’ufficio è la corretta individuazione degli obiettivi da raggiungere per rispondere ai quesiti posti dal Giudice, dopo aver attentamente letto gli stessi ed analizzato in maniera tecnica ed asettica (ossia senza esprimere giudizi di merito) il materiale a sua disposizione.

Il CTU naturalmente è abilitato ad accertare tutte quelle circostanze la cui conoscenza si renda necessaria per rispondere compiutamente ai quesiti posti dal Giudice1.

3. Individuazione della metodologia e della tecnica di indagine

Individuato l’obiettivo primario che l’attività del Consulente Tecnico d’ufficio deve per-seguire, la metodologia da utilizzare per svolgere l’incarico si può rinvenire in alcuni arti-coli del codice di procedura civile, in primis l’art. 62 c.p.c., che definisce espressamente le attività che deve svolgere il Consulente Tecnico d’ufficio: “il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal Giudice”, fornendo ove richiesto dal Giudice i chiarimenti ne-cessari.

Nell’art. 194 c.p.c., inoltre, si stabilisce che il CTU, al fine di chiarire gli aspetti tecnici necessari a permettere al Giudice di decidere una causa, assiste alle udienze alle quali è invitato dal Giudice istruttore, compie le indagini che quest’ultimo gli commissiona, da solo o insieme col Giudice secondo quanto disposto da quest’ultimo. Per eseguirle, può domandare chiarimenti alle parti, assumere informazioni da terzi o eseguire rilievi, calchi e piante.

Su questo ultimo aspetto si è molto discusso in dottrina ed in giurisprudenza sui limiti che il CTU incontra nella sua attività e l’opinione ormai consolidata è che esso:

pur potendo chiedere chiarimenti alle parti, non può raccogliere prove documentali presso le stesse2;

può assumere informazioni da terzi anche senza la preventiva autorizzazione del Giudice, prevista dall’art. 194 c.p.c., a condizione che esse siano inerenti fatti e situazioni strettamente attinenti l’oggetto della relazione, necessarie per l’espleta-mento dell’incarico e siano indicate come fonti nella relazione peritale3;

non può esaminare (e tener conto di) documenti consegnatigli dalle parti ma non

1 Cfr. Cassazione, 3 Sezione, 07/06/1962, n. 1372.

2 Il CTU non può fondare le sue conclusioni su dichiarazioni pro se della parte, che dovrà riscontrare in base ad elementi esterni ed obiettivi; può e deve, invece, tener conto di eventuali dichiarazioni contra se della parte, che assumono valore di piena prova dei fatti. Le dichiarazioni dei consulenti delle parti non possono invece assumere valore di prova, neanche in caso di valore confessorio, in quanto non vincolanti per la parte rappresentata.

3 Cfr. Cassazione, sez. lav., 5511/1982 e più recente Cassazione, sez. III, 6502/2001.

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ritualmente prodotti in giudizio, a pena di rendere inutilizzabile la sua relazione per il Giudice che lo ha incaricato. Inutilizzabilità così importante che se il Giudice doves-se accogliere le conclusioni di tale relazione la sentenza sarebbe affetta da un vizio di motivazione (ex multis Sentenza Cass. 3615/1990);

non può in assoluto sostituire le parti nell’onere di esibire le prove della loro pretesa in giudizio; è altresì vietata la cd. “esibizione esplorativa”, ovvero la richiesta di una parte di esibire un documento con il solo scopo di far indagare (in questo caso il CTU) se la prova che si cerca sia contenuta all’interno di tale documento4. È pos-sibile invece che, a norma dell’art. 210 c.p.c., il Giudice disponga alla parte, o ad un terzo, di esibire al CTU (e più in generale in giudizio) un documento specificata-mente indicato e del quale sia noto, anche sommariamente, il contenuto e che sia ovviamente inerente la causa in discussione e necessario per fornire una prova di un fatto controverso; ciò dietro richiesta di una delle parti o con decisione autonoma. La violazione di tale principio (onere della prova) comporta la nullità delle indagini compiute, che non potranno essere utilizzate in giudizio, restando prive di alcun ef-fetto probatorio anche solo indiziario.

L’art. 90 delle disposizioni attuative del codice di procedura civile regolamenta invece la procedura che il CTU deve seguire per compiere indagini in assenza del Giudice. Come primo adempimento, a pena di nullità della consulenza, il CTU deve comunicare alle parti ed ai suoi eventuali Consulenti Tecnici (CTP), con mezzi idonei a garantirne la ricezione, il luogo, giorno e ora dell’avvio delle operazioni di indagine5 (se queste non siano state già indicate nel verbale di udienza del giuramento). Da essi il CTU può ricevere solo i docu-menti di difesa contenenti osservazioni ed istanze ammesse nel giudizio a norma dell’art. 194 c.p.c.6, che deve prontamente rendere conoscibili all’altra parte affinché possa esa-minarli e predisporre eventuali memorie difensive. La medesima comunicazione prevista per l’avvio delle operazioni deve essere fatta per la prosecuzione delle operazioni peritali nel caso le stesse fossero state rinviate a tempo indeterminato.

4. Individuazione e selezione dei documenti sui quali esperire le indagini

Il CTU nell’espletare l’incarico di consulenza, ha la facoltà di raccogliere informazioni, chiarimenti e materiale documentale con la finalità di accertare dati di fatto tecnici connes-si col quesito, senza che egli possa supplire a carenze probatorie delle parti o raccogliere delle vere e proprie testimonianze, né raccogliere indizi su fatti che egli giudica rilevanti per la decisione della controversia; va ricordato infatti che il CTU è un mero ausiliario del Giudice e la sua funzione è quella di mero strumento chiarificatore di aspetti tecnici non

4 In questo senso, ex multis Sentenze Cassazione sez. lav. 17948/2006, 10043/2004, 5908/2004).

5 Il presente contributo non vuole essere una pubblicazione a carattere scientifico/accademico e, per tale ragione, le procedure sono descritte con un taglio strettamente operativo, evitando di analizzare letteralmente le norme di riferimento ma piuttosto esponendone il risvolto pratico.

6 La comunicazione di avvio delle operazioni e la possibilità di ricevere documenti e memorie sono espressione del diritto della parte rispettivamente alla difesa ed al contraddittorio.

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conoscibili dal Giudice e necessari a consentirgli di decidere con cognizione di causa l’esito della controversia. Pertanto il CTU nella sua relazione deve astenersi dal formulare giudizi inerenti il merito della controversia o la sua fondatezza.

In ogni caso, le informazioni ottenute da terzi costituiscono solamente dei semplici indizi utilizzabili nel procedimento decisorio, sempre che ne risulti la fonte e la possibilità anche per le parti di verificarne la provenienza e l’attendibilità, nel rispetto dei diritto al contrad-dittorio.

Un’eccezione al divieto di utilizzare documenti non ritualmente prodotti in giudizio si ha nelle CTU in materia contabile, dove con il consenso unanime delle parti il consulente può esaminare anche documenti non presentati in giudizio e menzionarli nella relazione, come previsto dal secondo comma dell’art. 198 c.p.c.

A conclusione si pone l’accento sul fatto che, tutte le situazioni di nullità citate, sono delle nullità cosiddette relative, che si sanano se non vengono eccepite dalla controparte nella prima memoria o difesa successiva al deposito della relazione.

5. La relazione del CTU: forma, contenuto e deposito

I risultati del lavoro effettuato dal CTU nel corso dello svolgimento dell’incarico devono confluire all’interno di una relazione peritale che il CTU dovrà sottoporre al Giudice e che deve rispettare dei requisiti di forma e contenuto, nonché dei termini per il suo deposito.

5.1. La forma della relazione del CTULa relazione peritale di solito riveste forma scritta, ma è possibile con il consenso del

Giudice che la stessa abbia solo forma orale, essendo esposta direttamente dal CTU all’u-dienza e come dichiarazione a verbale (art. 195 c.p.c.).

5.2. Il contenuto della relazione del CTUNaturalmente è evidente come non possano esistere norme o disposizioni di altro ge-

nere che indichino un contenuto minimo della relazione del CTU, per cui esistono diversi autori che hanno dato indicazioni diverse ed in materia si è sviluppata un’ampia prassi presso i diversi tribunali.

Si ritiene molto valido come punto di riferimento quello riportato dal Giudice Dott. Marco Rossetti7 (responsabile per diversi anni del Comitato per la formazione dell’Albo dei CTU del Tribunale di Roma), il quale ha indicato cinque parti ideali nella quali è possibile dividere la relazione di consulenza:

a) parte epigrafica: vanno indicati gli estremi del procedimento, e può essere utile per comodità di lettura riportarvi i quesiti, nonché riassumervi le posizioni delle parti re-lativamente a quegli aspetti che sono attinenti all’oggetto della consulenza;

b) parte narrativa: è la parte in cui deve essere riportato lo svolgimento delle operazio-ni peritali (eventualmente anche allegando il verbale delle operazioni compiute) e

7 Cfr. M. Rossetti, “Il CTU (“l’occhiale del giudice”)”, Giuffrè Editore.

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riassunte le eventuali osservazioni, obiezioni o istanze mosse dalle parti o dai rispet-tivi consulenti. L’obbligo di inserire questi ultimi aspetti è contemplato direttamente dall’art. 195 c.p.c. nel quale è previsto che nella relazione il consulente “inserisce anche le osservazioni e le istanze delle parti”. Pur essendo obbligatorio la S.C. ha comunque sancito che la mancata indicazione nella relazione delle istanze delle parti e dei loro consulenti, o l’omessa verbalizzazione delle operazioni peritali, non comportano la nullità della Consulenza Tecnica8;

c) parte descrittiva: in essa il CTU mette in rilievo il materiale e la documentazione utilizzata ai fini della consulenza, esponendo i fatti sui quali ha basato il proprio convincimento e dunque elaborato le risposte ai quesiti;

d) parte valutativa: in questa parte della consulenza il CTU esprime il proprio giudizio riscostruendo e motivando la fattispecie che è stato chiamato ad accertare e valuta-re, esponendo in modo analitico il risultato della propria indagine. A tal proposito si distingue tra CTU percipiente (che ha ritenuto esistente un fatto) e CTU deducente (che ha fornito una certa valutazione di un fatto);

e) parte conclusiva: si tratta della parte finale della consulenza, nella quale il CTU rias-sume il lavoro svolto, fornendo risposte specifiche e concise ad ogni singolo quesito.

5.3. I termini di depositoIl terzo comma dell’art. 195 c.p.c., come modificato dalla dall’art. 46, co. 5,

L. 18/06/2009, n. 69, prevede che la relazione deve essere trasmessa dal CTU alle parti costituite nel termine stabilito dal Giudice con ordinanza resa all’udienza di giuramento del CTU9. Nell’ordinanza deve essere fissato anche il termine entro il quale le parti devono trasmettere al CTU le proprie osservazioni sulla relazione, nonché il termine, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse. La novella normativa – che ha opportunamente recepito alcune prassi diffuse presso diversi tribunali – ha l’eviden-te finalità da un lato di razionalizzare i tempi necessari a garantire il contraddittorio con le parti e dall’altro di garantire il diritto delle parti di svolgere critiche e osservazioni circa le valutazioni espresse nella relazione dal CTU, avendo introdotto un termine interno alle operazioni peritali.

Il deposito tardivo della relazione o il mancato rispetto dei termini previsti dall’art. 195, non determina la nullità della relazione. Si tratta infatti di termini ordinatori sulla scorta del rilievo della mancata previsione degli stessi “a pena di decadenza”. Resta fermo il fatto che, in caso di proroga del termine per l’invio della relazione alle parti richiesta dal CTU e autorizzata dal Giudice, saranno conseguentemente prorogati a catena tutti i termini previsti dall’art. 195, co. 3, c.p.c..

Il ritardo nel deposito della relazione espone tuttavia il CTU a seri rischi di conseguenze sanzionatorie in quanto:

8 Cfr. Corte di Cassazione, 2 sezione, 14/04/1999, n. 3680.

9 Ai sensi dell’art. 58, co. 1, L. 69/2009, la modifica si applica ai giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009.

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CAPITOLO 6 | LA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO CIVILE: METODOLOGIA E CONTENUTI

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ai sensi dell’art. 52, D.P.R. 30/05/2002, n. 115, il Giudice potrebbe decidere di ridurre di un quarto il compenso del CTU a seguito del ritardo nel deposito della relazione;

ai sensi dell’art. 196 c.p.c., il Giudice potrebbe decidere addirittura di sostituire il CTU.

Ai sensi dell’art. 154 c.p.c. il Giudice può concedere la proroga del termine, e per-tanto si consiglia al CTU, qualora intraveda validi motivi che gli impediscano di rispettare il termine inizialmente stabilito per il deposito della relazione, di procedere con congruo anticipo alla presentazione di un’istanza per la richiesta della proroga del termine.

6. La partecipazione al processo da parte del CTU6.1. La richiesta di chiarimentiIl Giudice con ordinanza può convocare il CTU al fine di ottenere chiarimenti. Il CTU nell’udienza di convocazione può rispondere direttamente alle richieste di chiari-

mento formulate dal Giudice oppure riservarsi di depositare una ulteriore relazione scritta. Si precisa che in relazione a tale richiesta il CTU non è obbligato alla convocazione previ-sta dall’art. 90 disp. att. c.p.c. per l’inizio delle operazioni peritali.

6.2. L'assistenza all'udienza e l'audizione in camera di consiglioL’art. 197 c.p.c. prevede che il Presidente possa convocare il CTU in Camera di Consi-

glio, concedendo al Giudice ampia discrezionalità nell’esercizio di tale facoltà. Il verificarsi di tale eventualità risulta, tuttavia, poco frequente in quanto in genere se il Giudice ritiene necessario richiedere dei chiarimenti provvede direttamente prima che la causa venga trattenuta in decisione.

L’esercizio di tale facoltà, comunque, può essere dovuta a diverse ragioni quali ad esempio l’incompletezza della relazione di consulenza o la necessità di fornire risposta a obiezioni dei consulenti di parte ritenute dal Giudice non manifestamente infondate.

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CAPITOLO 7 | LA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO PENALE: METODOLOGIA E CONTENUTI

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CAPITOLO 7

La Consulenza Tecnica nel processo penale: metodologia e contenuti

1. Premessa: il processo penale

Preliminarmente, si ripercorrono in sintesi le fasi del procedimento penale.

Fase 1 - Le indagini preliminariIl Pubblico Ministero (colui che promuove l’azione penale), ricevuta o acquisita una no-

tizia di reato, da avvio alle indagini preliminari, ovvero alla fase del procedimento penale nella quale deve essere accertato se un reato è stato commesso. A tal fine, per acquisire elementi di prova, può avvalersi:

della Polizia Giudiziaria;

e/o

di Consulenti Tecnici (art. 359 c.p.p.).

Soffermandoci sul tema oggetto di questo lavoro, occorre da subito rilevare che il CT sostanzialmente è un alter ego del PM, con specifiche competenze tecniche, che in colla-borazione con il Magistrato, svolge una vera e propria indagine di carattere tecnico.

Nella fase preliminare, il legale del soggetto sottoposto ad indagini può svolgere attività investigativa per dimostrare l’innocenza del proprio assistito (art. 327-bis c.p.p.).

Il ruolo del Giudice risulta irrilevante in questa fase; di norma interviene qualora sus-sistano le condizioni per adottare misure cautelari o procedere ad incidente probatorio.

Tra il PM ed il Giudice opera, nella fase dell’indagine preliminare, anche il GIP (Giu-dice delle Indagini Preliminari), estraneo alle indagini, il quale sostanzialmente effettua un controllo sull’attività del Magistrato.

All’esito delle indagini, il PM potrà ritenere la notizia di reato:

infondata, e in tal caso presenta al GIP una richiesta di archiviazione;

fondata, e in tal caso (dopo aver notificato all’indagato e al difensore l’avviso di conclusione delle indagini) esercita l’azione penale con la richiesta di rinvio a giu-dizio.

Da questo momento in poi l’“indagato” diventa “imputato”.

Fase 2 - L’udienza preliminareLa fase successiva è quella dell’udienza preliminare, nella quale il Giudice dell’Udienza

Preliminare (GUP) deve valutare la validità dell’accusa, e conseguentemente se “celebra-

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CAPITOLO 7 | LA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO PENALE: METODOLOGIA E CONTENUTI

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re” o meno il processo; ciò è possibile attraverso un attento esame della documentazione probatoria raccolta dalle parti.

Tale fase potrà concludersi o con una sentenza di proscioglimento, o con un decreto che dispone il giudizio; in tale ultimo caso il Giudice dispone il rinvio a giudizio dell’impu-tato e si apre la fase successiva pre-dibattimentale.

Fase 3 - PredibattimentaleAlmeno 7 giorni prima del dibattimento, occorre depositare la lista con l’indicazione dei

testimoni, dei Periti e dei CT di cui si intende chiedere l’ammissione.

Fase 4 - Udienza dibattimentaleNell’udienza dibattimentale la prima cosa che viene verificata, prima dell’apertura for-

male del dibattimento, è la regolare costituzione delle parti e della trattazione delle que-stioni preliminari.

La parte può chiedere al Giudice l’ammissione di una perizia (come fonte di prova), qualora non sia stata già richiesta.

A questo punto si tiene la discussione finale, dove le parti formulano ed illustrano le proprie conclusioni; il Giudice dichiara chiuso il dibattimento ed inizia la fase di delibera-zione della sentenza.

Fase 5 - La sentenzaLa sentenza può essere per l’imputato:

di proscioglimento;

di condanna, quando è riconosciuto colpevole del reato contestato “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

2. La Perizia e la Consulenza Tecnica

È importante da subito sottolineare che gli incarichi di Consulente Tecnico e di Perito sono certamente complessi e delicati, ed oltre a richiedere una indiscussa competenza tecnica, comportano una totale imparzialità di giudizio che guidi il professionista esclusi-vamente verso la ricerca della verità.

Il CT non deve mai confondere la propria funzione con quella del Pubblico Ministero che gli ha conferito l’incarico, in quanto, pur se in un ruolo più incisivo, resta comunque e sempre un libero professionista chiamato a collaborare ‘asetticamente’ con la giustizia.

L’incremento delle fattispecie penali nei processi di natura economica ha comportato l’e-levazione della figura del Consulente Tecnico e del Perito i quali devono essere dotati di un elevata ed adeguata preparazione tecnica, di obiettività di giudizio, di diligenza ed attitudine psicologica; il tutto affinché il dottore commercialista possa svolgere al meglio il proprio ruolo.

La CT in materia penale, analogamente a quella civile, è strumento “di acquisizione di fatti rappresentativi o di valutazione di fatti già dimostrati”.

La perizia è ammessa “quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche, artistiche” (art. 220, co. 1, c.p.p.), ovvero quando il Giudice (e/o gli altri attori del processo) ha necessità di avere maggiori e specifiche informazioni attraverso l’ausilio di un esperto.

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CAPITOLO 7 | LA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO PENALE: METODOLOGIA E CONTENUTI

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A seconda della fase del processo in cui ci si trova, e del soggetto che lo richiede o lo dispone, la “perizia” assume nomi e discipline specifiche:

1) la perizia vera e propria è disposta dal Giudice (e normalmente sono le parti a ri-chiederla) ed è utilizzata per la decisione;

2) la Consulenza Tecnica riguarda sempre le Parti (Pubblico Ministero e difensore) e non è vincolante per il Giudice;

3) l’accertamento tecnico non ripetibile viene disposto dalle Parti (Pubblico Ministero e difensore) nella fase delle indagini preliminari.

Conseguentemente, come vedremo nel proseguo, anche la documentazione acquisibi-le varia in funzione del momento in cui è disposta la perizia.

Perizia disposta nell’incidente probatorio: il Perito prende visione delle cose e dei documenti che sono depositati con la relativa

richiesta (art. 395 c.p.p.).

Perizia disposta nell’udienza preliminare: il Perito prende visione delle cose e dei documenti facenti parte del fascicolo che il

Pubblico Ministero ha trasmesso insieme alla richiesta di rinvio a giudizio (art. 416, co. 2, c.p.p.).

Perizia disposta nel dibattimento: il Perito prende visione delle cose e dei documenti facenti parte del fascicolo per il

dibattimento (art. 431 c.p.p.). Si precisa che, con il consenso di tutte le parti proces-suali, l’autorizzazione alla visione può riguardare anche atti e documenti che di per sé non rientrerebbero nel novero di quelli elencati nel predetto articolo.

3. Metodologia e contenuti della Perizia

Il Giudice formula i quesiti al Perito d’ufficio sentito lo stesso Perito, i Consulenti Tecnici eventualmente nominati dall’imputato o dal PM, lo stesso Pubblico Ministero e i difensori presenti in udienza.

Concluse le formalità di conferimento dell’incarico (art. 227 c.p.p.), il Perito procede subito ai necessari accertamenti ed hanno così inizio le operazioni peritali. Il Perito dovreb-be rispondere ai quesiti “con parere raccolto nel verbale” (art. 227, co. 1, c.p.p.), ma nella maggior parte dei casi chiede un termine al Giudice per il deposito della relazione scritta (art. 227, co. 2, c.p.p.).

Il Giudice, se ritiene necessaria la concessione del termine, “fissa la data, non oltre novanta giorni, nella quale il Perito dovrà rispondere ai quesiti e dispone perché ne venga data comunicazione alle parti e ai Consulenti Tecnici”. Inoltre, dopo la formulazioni dei quesiti, il Giudice dà atto nel verbale del giorno, dell’ora e del luogo indicati dal Perito in cui avranno luogo le operazioni peritali.

Qualora, ai fini dello svolgimento dell’incarico, le operazioni peritali proseguissero oltre il giorno fissato per il loro inizio, il Perito ne darà comunicazione senza formalità alle parti presenti (art. 229 c.p.p.).

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CAPITOLO 7 | LA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO PENALE: METODOLOGIA E CONTENUTI

Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

È bene che il Perito rediga un verbale delle operazioni peritali nel quale, pur non esi-stendo obblighi di redazione, è consigliabile che renda atto:

della cronologia della riunione collegiale, indicando giorno, ora e luogo in cui le operazioni di perizia hanno avuto inizio;

dei partecipanti presenti e dei rinvii;

delle attività e operazioni di perizia svolte in presenza delle parti e nel corso della riunione, in conformità agli obiettivi e alle finalità;

delle osservazioni, obiezioni e richieste degli eventuali Consulenti Tecnici di parte, te-nuto conto che di esse il Perito dovrà fare menzione nella relazione (art. 230 c.p.p.);

delle domande formulate e delle risposte ottenute, nonché di eventuali dichiarazioni, nel caso in cui siano state sentite persone informate sui fatti oggetto di perizia;

di eventuali sopralluoghi effettuati per l’acquisizione di dati e documenti, con particolare riferimento all’acquisizione dei documenti autorizzati dal Giudice o prodotti dalle Parti.

Alle operazioni peritali dovranno partecipare i consulenti di parte, nonché possono as-sistere i difensori nominati dalle Parti.

I consulenti di parte “possono partecipare alle operazioni peritali, proponendo al Perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve” (art. 230, co. 2, c.p.p.), o addi-rittura suggerendo al Perito ulteriori indagini, “delle quali deve darsi atto nella Relazione”.

Non esistono norme specifiche per la forma con la quale i Consulenti Tecnici di parte possono proporre le loro osservazioni. Solitamente il Perito richiede ai CTP di produrre memorie scritte, assegnando loro un congruo termine, compatibile con quello assegnato dal Giudice per la risposta, anche se di regola i CTP attendono il deposito dell’elaborato del Perito prima di esporre le proprie osservazioni.

L’art. 228 c.p.p. è la norma di riferimento che disciplina ed individua la documentazione utilizzabile dal Perito per rispondere ai quesiti. In particolare, il Perito ha il potere di con-sultare atti, documenti e cose se vengono rispettate tre condizioni:

è autorizzato dal Giudice alla consultazione;

la documentazione esaminata è suscettibile di acquisizione nel fascicolo del dibattimento;

gli atti, i documenti e le cose sono stati prodotti dalle Parti.

La ratio di tale disposizione risiede nel consentire al consulente di esaminare gli atti co-nosciuti dal Giudice al momento in cui dispone la Perizia.

Gli atti riguardano tutti gli atti giudiziari relativi a sentenze, processi, verbali, ecc....I documenti acquisibili si sostanziano in scritti, supporti fotografici, cinematografici, fo-

nografici o di qualsiasi altro genere se rappresentano fatti, persone e cose; sono acquisibili anche i verbali di prove relative ad altri procedimenti.

Nella perizia contabile, in particolare, la documentazione di supporto è fondamentale per il buon esito della ricostruzione; pertanto la distinzione fra atti e documenti acquisibili o meno al fascicolo per il dibattimento assume notevole rilievo. Nei quesiti aventi ad og-getto reati fallimentari, ad esempio, la relazione redatta dal Curatore Fallimentare (ex art. 33 L.F.), non essendo acquisibile al fascicolo per il dibattimento, non può essere messa a disposizione del Perito d’ufficio.

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CAPITOLO 7 | LA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO PENALE: METODOLOGIA E CONTENUTI

Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

Oltre alla documentazione fornita dalle Parti, il Giudice può acquisire ulteriore docu-mentazione – esaminata dal Perito con l’eventuale parere dei CTP – che provvederà poi, tramite la propria cancelleria, a consegnare al Perito stesso.

Si ritiene che il Perito non possa ricevere direttamente documentazione da parte di terzi: dalla lettura dell’art. 228 c.p.p. non si evince, infatti, in capo al Perito alcun autonomo potere di acquisizione di atti e documenti da parte di privati.

Il Perito, qualora il Giudice lo ritenga necessario, può acquisire documenti in originale o altri oggetti; in tal caso viene redatto un apposito verbale a cura del funzionario di cancel-leria. Inoltre (sempre se autorizzato) il Perito può presenziare all’esame ed all’assunzione delle prove ma non può assistere agli atti di indagine del Pubblico Ministero.

Il Perito, secondo le sue esigenze e la sua discrezionalità, può richiedere notizie a chiun-que, in tal caso deve redigere un verbale sulle dichiarazioni ed informazioni raccolte; qualora le informazioni siano chieste direttamente all’imputato il difensore di quest’ultimo dovrà essere previamente informato.

Il Perito “può essere autorizzato a servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali non implicanti apprezzamenti e valutazioni” (art. 228, co. 2, c.p.p.).

Premesso quanto sopra, le operazioni peritali possono essere sintetizzate nelle se-guenti fasi:

lettura ed analisi dei quesiti;

individuazione degli obiettivi da raggiungere per la risposta ai quesiti;

individuazione di una metodologia e tecnica di indagine. Non esistono ovviamen-te tecniche e metodologie di indagine codificate; la metodologia è in relazione agli obiettivi da raggiungere. Nei casi, ad esempio, dei reati di natura contabile e finanziaria, sarà necessario individuare e predisporre idonee metodologie contabili-amministrative e di ricostruzione tecnico-contabile;

individuazione e specificazione dei documenti ed atti sui quali esperire le indagini affidate;

esame dei documenti reperiti e determinazione della loro idoneità e completezza;

discussione sui documenti in relazione ai quesiti;

impostazione di analisi tecniche che richiedono attività contabili;

esecuzione delle analisi suddette, e discussione e critica dei risultati;

impostazione e stesura della “Relazione peritale”;

deposito della Relazione (e dei relativi allegati) nella cancelleria del PM, e discus-sione delle conclusioni con il Magistrato. Il PM potrà chiedere ulteriori chiarimenti e/o integrazioni scritte, e qualora necessario potrà conferire un nuovo incarico con quesiti integrativi.

Per quanto concerne le tecniche di redazione della Relazione di perizia, non vi sono elementi di novità rispetto alla Consulenza Tecnica in sede civile.

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CAPITOLO 7 | LA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO PENALE: METODOLOGIA E CONTENUTI

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4. Metodologia e contenuti della Consulenza Tecnica

La Consulenza Tecnica può essere richiesta dal Pubblico Ministero o dalla parte indaga-ta, anche quando non è stata disposta perizia da parte del Giudice.

In genere il conferimento dell’incarico viene anticipato dal Magistrato informalmente al professionista e, solo dopo aver avuto conferma della sua disponibilità (anche sotto il profilo formale), il PM conferisce l’incarico, che può essere (su necessità) anche collegiale.

La nomina del CT del PM – fuori dai casi degli accertamenti irripetibili – non prevede la comunicazione all’indagato e al suo difensore, in quanto non costituisce momento di formazione della prova, né perizia, né appartiene al contradditorio.

Il PM poi formula i quesiti a cui il CT in genere si riserva di rispondere con relazione scritta.

Nello stesso verbale di conferimento dell’incarico, il Magistrato indica il termine entro il quale consegnare la Relazione, l’eventuale facoltà di avvalersi della Polizia Giudiziaria o di ausiliari, l’eventuale autorizzazione per il consulente di ricorrere a mezzi pubblici e/o mezzi propri, autorizzando nel caso la relativa spesa.

Il CT, ricevuto l’incarico, procede all’acquisizione di copia degli atti contenuti nel fasci-colo del PM e, qualora la detta documentazione fosse insufficiente per la soddisfazione dei quesiti sollevati dal Magistrato, potrà ricevere e/o acquisire direttamente, o con l’eventuale ausilio della Polizia Giudiziaria, qualunque documento utile e necessario.

Il CT non ha limitazioni normative alla consultazione di documenti ed atti (a differenza del Perito che, come visto, deve attenersi alla documentazione fornita dalle Parti); egli può quindi esaminare qualsiasi documento di cui venga in possesso o che il PM acquisisca tramite i suoi poteri di indagine.

L’attività del CT del PM non è pertanto soggetta ad obblighi, e l’unica scadenza è quella delle indagini preliminari.

Le operazioni di Consulenza Tecnica per il PM (art. 359 c.p.p.) possono essere sin-tetizzate nelle seguenti fasi:

lettura ed analisi dei quesiti;

individuazione degli obiettivi da raggiungere per la risposta ai quesiti;

individuazione di una metodologia e tecnica di indagine. Esse non possono essere prestabilite, per quanto la qualità di una ricostruzione tecnica dipende certamente dalle doti professionali del Consulente Tecnico, e dalla sua esperienza in materia; è consigliabile perciò che vi sia un continuo collegamento ed interscambio tra il PM ed il Consulente al fine di stabilire una metodologia operativa in funzione degli obiettivi da raggiungere;

individuazione e specificazione dei documenti e atti sui quali esperire le indagini affida-te. Il CT ha in questa fase più poteri del Perito, in quanto, come detto, non opera su di lui alcuna limitazione alla consultazione di atti, cose e/o documenti. Il CT può esamina-re tutti gli atti contenuti nel fascicolo del PM – al di là della successiva procedibilità nel dibattimento – e può assistere al compimento di tutti gli atti di indagine espletati dal PM;

acquisizione dei documenti in collaborazione con il PM, eventualmente partecipan-do all’attività della Polizia Giudiziaria;

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CAPITOLO 7 | LA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO PENALE: METODOLOGIA E CONTENUTI

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esame della documentazione acquisita;

impostazione di analisi tecniche che richiedano attività contabili;

impostazione e stesura della “Relazione di Consulenza Tecnica”;

deposito della Relazione (e dei relativi allegati) nella cancelleria del PM, e discussio-ne delle conclusioni con il Magistrato. Il PM potrà chiedere ulteriori chiarimenti e/o integrazioni scritte (fatto che accade con una certa frequenza), e qualora necessario potrà conferire un nuovo incarico con quesiti integrativi;

discussione della relazione con il PM;

partecipazione al dibattimento. In presenza di un rinvio a giudizio, il CT verrà indicato come teste dal PM, e quindi sarà esaminato dallo stesso avanti il Collegio giudicante; inoltre potrà essere anche contro esaminato dai difensori i quali ovviamente tende-ranno a sminuire gli aspetti che supportano la relazione e che quindi hanno formato oggetto di azione penale da parte del PM. Va precisato che solo alla fine dell’esame e dell’interrogatorio la Relazione del CT può essere acquisita agli atti del procedimento;

affiancamento al Perito nelle indagini peritali, qualora vi sia stata anche una perizia. Ciò sta a significare che il CT può anche richiedere al Perito delle specifiche indagi-ni, formulare proprie osservazioni e riserve, di cui si deve dare atto nella Relazione.

Volendo dare, in conclusione, dei suggerimenti, potremmo dire che il consulente dovrà:

procedere con metodo e capacità professionali;

elencare in modo esaustivo e con precisione la documentazione e gli atti esaminati;

valutare i fatti aziendali in un arco temporale ampio per accertarne l’origine;

indicare i soggetti coinvolti con il fatto oggetto di indagine, tenuto conto della suc-cessione temporale degli incarichi;

descrivere il lavoro fatto e le conclusioni a cui è pervenuto con linguaggio sempli-ce e comprensibile a tutte le Parti del processo, affinché le stesse acquisiscano con immediatezza le conoscenze necessarie a dirimere il fatto nell’esercizio del proprio ruolo. È importante evidenziare che il CT dovrebbe arrivare a conclusioni certe, dimostrabili e documentate, per quanto possibile poiché, quale organo di giustizia, egli deve agire sempre nell’interesse della verità;

saper esporre e sostenere in fase dibattimentale la propria consulenza, ciò al fine dell’efficacia stessa del procedimento penale.

In conclusione, è importante ricordare che il professionista incaricato dal Magistrato di redigere una Consulenza Tecnica è, nell’espletamento dell’incarico, ausiliario di giu-stizia, e pertanto non dovrebbe mai lasciarsi andare a conclusioni e deduzioni proprie e personali (ulteriori rispetto a quanto richiesto) basate su mere impressioni; diversamente si rischierebbe di indurre in errore l’autorità giudiziaria nel momento della decisione.

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CAPITOLO 7 | LA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO PENALE: METODOLOGIA E CONTENUTI

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Il Consulente Tecnico deve sempre agire nell’interesse della verità, astenendosi dal so-stenere accuse non dimostrabili, evitando affermazioni di carattere generale, mantenendo l’indipendenza dovuta; ciò affinché il proprio lavoro non risulti mai strumento funzionale per nessuna delle Parti del processo, ma costituisca un reale aiuto per la Giustizia.

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CAPITOLO 8 | I COMPENSI DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO E LA LIQUIDAZIONE

Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

CAPITOLO 8

I compensi del Consulente Tecnico d’Uffi cioe la liquidazione

1. La determinazione del compenso dei CTU - il quadro normativo

Il CTU è da sempre una figura essenziale e decisiva nel procedimento giudiziario. I Consulenti Tecnici di ufficio, per lo svolgimento degli incarichi, vengono scelti normal-mente tra quelli iscritti negli appositi Albi tenuti presso ogni Tribunale e rispondono a preci-se responsabilità. L’Albo, regolamentato dalle disposizioni attuative del codice di procedu-ra civile, è tenuto dal Presidente del Tribunale ed è costituito da un comitato presieduto dal medesimo e formato dal procuratore della Repubblica e da delegati degli ordini e collegi professionali.

La materia della liquidazione delle spettanze agli ausiliari del Magistrato è attualmente disciplinata dal Testo Unico sulle spese di giustizia (D.P.R. 115/2002) che ha sostituito, abrogandola – salvo che per il disposto dell’art. 4 in materia di vacazioni ancora in vigore – la precedente normativa, costituita dalla L. 319/1980.

La norma cardine è costituita dall’art. 49, secondo cui agli ausiliari spettano l’onorario, l’indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio e il rimborso delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico. Per ciascuna delle suddette componenti della liquidazio-ne sono enucleati i principi di massima da applicare nei casi più ricorrenti.

In merito agli onorari l’art. 50, D.P.R. 115/2002 prevede che gli stessi possono essere fissi, variabili e a tempo e che la loro misura è stabilita mediante tabelle approvate con Decreto del Ministero della Giustizia. In particolare, quando l’onorario è previsto in misura variabile a percentuale, il Giudice all’interno dei limiti minimo e massimo fissati dalla normativa, deve procedere alla determinazione del compenso tenuto conto delle difficoltà, della completezza e del pregio della prestazione fornita (art. 51 TU) secondo determinati scaglioni.

Per quanto riguarda invece gli onorari a tempo, il Testo Unico sulle spese di Giustizia non ha abrogato il solo art. 4, L. 319/1980 che a tal proposito recita al comma 1 che “Per le prestazioni non previste nelle tabelle e per le quali non sia applicabile l’articolo pre-cedente, gli onorari sono commisurati al tempo impiegato e vengono determinati in base alle vacazioni”. Tale circostanza ritenuta residuale e secondaria viene ribadita anche dal Decreto del Ministero della Giustizia del 30/05/2002 che all’art. 2 prevede che “… se non è possibile applicare i criteri predetti, gli onorari sono commisurati al tempo ritenuto necessario allo svolgimento dell’incarico e sono determinati in base alle vacazioni”.

Quindi, l’attuale criterio introdotto dal Testo Unico ex D.P.R. 115/2002 si fonda sul criterio delle tabelle determinate dal Ministero di Giustizia. Queste, invero, stabiliscono la misura degli onorari prevedendo una generale tripartizione in:

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CAPITOLO 8 | I COMPENSI DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO E LA LIQUIDAZIONE

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1) onorari fissi;

2) onorari variabili;

3) onorari a tempo.

Il Testo Unico elimina la specialità per gli onorari calcolati a tempo con il sistema della vacazioni, prevedendo lo stesso regime per questi e per quelli fissi e variabili, mentre per gli onorari a tempo come accennato la legge originaria (L. n. 319/1980, art. 4) prevedeva il sistema delle vacazioni.

Come sottolineato dalla Relazione illustrativa del Testo Unico delle disposizioni le-gislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, l’estensione della procedura delle tabelle agli onorari a tempo persegue il fine di una maggiore elasticità del sistema. Tale documento recita infatti al punto n. 6 che “nella materia degli onorari degli ausiliari del magistrato, il testo unico elimina la specialità per gli onorari calcolati a tempo con il sistema della vacazioni, prevedendo lo stesso regime per questi e per quelli fissi e variabili. Inoltre, applicando i principi della semplificazione procedurale ed organizzativa, rimette allo stru-mento regolamentare l’emanazione di tabelle, ottenendo elasticità nel sistema per risponde-re ad esigenze della prassi che aveva sottoposto le norme legislative a forzature applicative”.

A tal proposito va osservato che la riforma è stata improntata all’uniformazione del metodo, nell’ambito di un regolamento centrale elastico che li individui sulla base delle tariffe professionali esistenti. Non può negarsi, d’altra parte, come, attualmente, sia venuta meno la ratio dell’ottica originaria del legislatore. La previsione di un meccanismo residua-le a tempo si fondava sull’ipotesi che vi fossero materie in cui non era possibile prevedere tabelle basate su tariffe professionali, mancando, in molti settori, delle tariffe professionali vere e proprie ed avendo in mente le tariffe professionali “pubblicistiche”.

Invece, allo stato, è ipotizzabile la conoscibilità di tariffe per tutte le materie che, pur sen-za la veste pubblicistica, siano attendibili e utilizzate a più fini. In ogni caso l’individuazione e la finalizzazione all’incarico pubblico è garantita dalla mediazione a livello centrale con il regolamento ministeriale. Inoltre, il dettaglio della norma originaria e il richiamo specifico alla responsabilità del Magistrato si spiegano con il fatto che per questo tipo di compenso era determinato dalla legge solo l’importo della vacazione, senza alcuna preventiva indivi-duazione della materia, mentre per le altre tipologie di onorari operavano le tabelle.

Allo stato attuale, pertanto, le tabelle ministeriali prevedono tutti e tre i criteri di rife-rimento, in relazione alla determinazione degli onorari. Questi vanno determinati, a se-conda dell’oggetto, in maniera fissa, a tempo (vacazioni) o a percentuale, in relazione al valore della causa. Si applica il primo criterio (onorario fisso) quando devono essere compiuti accertamenti standardizzati, quali, ad esempio, esami medici o, comunque, dia-gnostici.

Il secondo criterio a vacazioni (onorario a tempo) concerne adempimenti da effettua-re, per lo più, in udienza stessa o, in ogni caso, circoscrivibili temporalmente in maniera assai agevole. Anche in questo caso la tabella prevede l’ammontare delle cd. vacazioni, che sono i compensi per ogni momento temporale di riferimento (ad esempio, l’ora).

Il terzo criterio (onorario variabile) si distingue, a sua volta, a seconda che l’accerta-mento compiuto riguardi determinati oggetti, potendo essere stabilito a percentuale o in una misura minima e massima.

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La determinazione a percentuale riguarda, nella maggior parte dei casi, il processo civile, e precisamente le cause il cui valore sia determinato o determinabile.

Ciò posto, va osservato che il Giudice non ha alcuna discrezionalità nella scelta del criterio da seguire nella determinazione della liquidazione, rimanendo sempre vincolante la scelta operata dalle tabelle. Questo è quanto si rileva dal D.P.R. 115/2002, che va di contrario avviso con l’orientamento giurisprudenziale maturato sotto la vecchia normativa, che, pur manifestando un evidente favore per il criterio della liquidazione a percentuale (che rappresentava il criterio generale), lasciava un minimo di discrezionalità all’organo decidente1.

Da quanto sopra si rileva che gli onorari fissi e quelli variabili sono previsti dal rego-lamento con riferimento alla consulenza in determinate materie, espressamente elencate. Il criterio di liquidazione a tempo, invece, è un criterio residuale: esso trova applicazione in tutte le ipotesi in cui per la materia oggetto della consulenza non è previsto dal regola-mento un onorario ad hoc, ovvero quando sia “impossibile” l’applicazione dell’onorario fisso o variabile (art. 1 Allegato al D.M. del 30/05/2002, Cass., sez. II, 21/10/1998, n. 10443, in Foro It. Rep. 1998, Consulente Tecnico, n. 45).

Qualora l’incarico comprenda una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali comporti un diverso accertamento (ad esempio, stimare più immobili; accertare la conformità alle prescrizioni di progetto di più opifici industriali, rielaborare più rapporti di conto corrente, ecc...), è controverso se il compenso debba essere liquidato una sola volta, in base al va-lore cumulato dei singoli accertamenti, ovvero tante volte quanti sono gli accertamenti. A questo riguardo, la Suprema Corte ha operato un distinguo:

1) nel caso in cui i vari accertamenti demandati al CTU abbiano caratteristiche uguali o analoghe, per cui il CTU debba effettuare operazioni ripetitive, l’importo su cui applicare il compenso a percentuale è quello risultante dal cumulo dei vari accer-tamenti;

2) se, invece, gli accertamenti demandati al Perito sono molto diversi tra loro, l’importo su cui applicare il compenso a percentuale è quello corrispondente ad ogni singolo accertamento (stima di immobile che abbia autonome caratteristiche valutative). In questo caso, fermo restando il tetto del massimo scaglione previsto dalla tabella, il compenso globale sarà pari alla risultante del compenso liquidato per i singoli accertamenti.

In particolare l’art. 4 relativo agli onorari commisurati al tempo, stabilisce che, per le prestazioni non previste nelle tabelle e per le quali non sia applicabile l’articolo preceden-te, gli onorari sono commisurati al tempo impiegato e vengono determinati in base alle vacazioni. La vacazione è di due ore. L’onorario per la prima vacazione è di euro 5,16 e per ciascuna delle successive è di euro 2,58. L’onorario per la vacazione può essere rad-doppiato quando per il compimento delle operazioni è fissato un termine non superiore a cinque giorni; può essere aumentato fino alla metà quando è fissato un termine non su-periore a quindici giorni. L’onorario per la vacazione non si divide che per metà; trascorsa un’ora e un quarto è dovuto interamente.

1 Cass. 19/07/1999, n. 7687, secondo cui nella determinazione degli onorari spettanti ai consulenti va applicato il criterio delle va-cazioni, anziché quello a percentuale, solo quando manca una specifica previsione della tariffa, o quando in relazione alla natura dell’incarico e al tipo di accertamento richiesti dal Giudice, non sia logicamente giustificata e possibile un’estensione analogica delle ipotesi tipiche di liquidazione del criterio della percentuale.

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Il Giudice non può liquidare più di quattro vacazioni al giorno per ciascun incarico. Questa limitazione non si applica agli incarichi che vengono espletati alla presenza

dell’autorità giudiziaria, per i quali deve farsi risultare dagli atti e dal verbale di udienza il numero delle vacazioni.

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 455, R.D. 23/05/1924, n. 827, il magistrato è tenuto, sotto la sua personale responsabilità, a calcolare il numero delle vacazioni da liquidare con rigoroso riferimento al numero delle ore che siano state strettamente necessarie per l’espletamento dell’in-carico, indipendentemente dal termine assegnato per il deposito della relazione o traduzione.Il D.M. del 30/05/2002 a tal proposito prescrive che: “Gli onorari di cui all’art. 4 della legge 8 luglio 1980, n. 319, sono rideterminati nella misura di euro 14,68 per la prima vacazione e di euro 8,15 per ciascuna delle vacazioni successive”.

In contemporanea alla approvazione del T.U Spese di Giustizia è stato approvato il D.M. 30/05/2002 intitolato “Adeguamento dei compensi spettanti ai Periti, consulenti, tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudi-ziaria in materia civile e penale”. Questo decreto, oltre che ad aggiornare gli onorari di vacazione che abbiamo appena visto, rinnova e rivede le Tabelle degli onorari da ricono-scere ai Periti e consulenti nominati dall’autorità giudiziaria precedentemente previste dalla L. 08/07/1980, n. 319 e dal D.P.R. 14/11/1983, n. 820.

L’allegato del D.M. 30/05/2002, intitolato “Tabelle contenenti la misura degli onorari fissi e di quelli variabili dei Periti e dei Consulenti Tecnici, per le operazioni eseguite su di-sposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale, in attuazione dell’art. 2 della legge 8 luglio 1980, n. 319”, prevede una lunga serie di Tabelle da utilizzarsi a seconda del tipo di incarico affidato al Consulente Tecnico.

Il primo comma dell’art. 50 del Testo Unico sulle Spese di Giustizia prescrive che “La misura degli onorari fissi, variabili e a tempo, è stabilita mediante tabelle, approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finan-ze”, che altro non è che il Decreto Ministeriale su indicato, del 30/05/2002.

Sugli onorari variabili, l’art. 51 prevede alcuni correttivi:1. “Nel determinare gli onorari variabili il magistrato deve tener conto delle difficoltà,

della completezza e del pregio della prestazione fornita.2. Gli onorari fissi e variabili possono essere aumentati, sino al venti per cento, se il

magistrato dichiara l’urgenza dell’adempimento con decreto motivato”.

Ulteriore correttivo riguarda gli incarichi collegiali, per i quali l’art. 53 prescrive: “Quan-do l’incarico è stato conferito ad un collegio di ausiliari il compenso globale è determinato sulla base di quello spettante al singolo, aumentato del quaranta per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio, a meno che il magistrato dispone che ognuno degli incaricati deve svolgere personalmente e per intero l’incarico affidatogli”.

Oltre agli aumenti, la legge prevede anche un particolare caso di decurtazione dell’o-norario che funge da penalità per il ritardo dell’espletamento dell’incarico. Infatti, l’art. 51 del predetto Testo Unico prevede che: “Se la prestazione non è completata nel termine originariamente stabilito o entro quello prorogato per fatti sopravvenuti e non imputabili all’ausiliario del magistrato, per gli onorari a tempo non si tiene conto del periodo succes-sivo alla scadenza del termine e gli altri onorari sono ridotti di un quarto”.

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2. Le Tabelle dei compensi del CTU

Il D.M. del 30/05/2002 in allegato pone le seguenti: “Tabelle contenenti la misura degli onorari fissi e di quelli variabili dei Periti e dei Consulenti Tecnici, per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale, in attuazione dell’art. 2 della legge 8 luglio 1980, n. 319”.

L’art. 1 prevede che per la percentuale degli onorari si ha riguardo per la perizia al valore del bene o di ogni altra utilità oggetto dell´accertamento determinato sulla base di elementi obiettivi risultanti dagli atti del processo e per la Consulenza Tecnica al valore della controversia; se non è possibile applicare i criteri predetti gli onorari sono commisu-rati al tempo ritenuto necessario allo svolgimento dell´incarico e sono determinati in base a vacazioni.

L’art. 2 del citato D.M. stabilisce che per la perizia o la Consulenza Tecnica in materia amministrativa, contabile e fiscale, spetta al Perito o al Consulente Tecnico un onorario a percentuale calcolato per scaglioni:

fino a euro 5.164,57, dal 4,6896% al 9,3951%;da euro 5.164,58 e fino a euro 10.329,14, dal 3,7580% al 7,5160%;da euro 10.329,15 e fino a euro 25.822,84, dal 2,8106% al 5,6370%;da euro 25.822,85 e fino a euro 51.645,69, dal 2,3527% al 4,6896%;da euro 51.645,70 e fino a euro 103.291,38, dall’1,8790% al 3,7580%;da euro 103.291,39 e fino a euro 258.228,45, dallo 0,9316% all’1,8790%;da euro 258.228,46 fino e non oltre euro 516.456,90, dallo 0,4737% allo 0,9474%.È in ogni caso dovuto un compenso non inferiore a euro 145,12.

La legge prescrive che le tabelle risalenti al 2002 debbano essere aggiornate all’aumento del costo della vita, adeguando gli importi con cadenza triennale. L’art. 54 del Testo Unico, infatti, prevede che: “La misura degli onorari fissi, variabili e a tempo è adeguata ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, verificatasi nel triennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze”.Abbiamo già visto, ed in ogni caso rinviamo alla lettura della norma, che oltre all’onorario è previsto il rimborso di spese, ad esempio di viaggio, e relativa indennità.

Sempre con riferimento agli onorari a percentuale, va rilevato che la loro liquidazione avviene secondo un criterio progressivo per scaglioni fino ad un ammontare massimo. Con riguardo a tale soglia massima la Corte di Cassazione ha più volte ribadito che essa costituisce un limite massimo che non è possibile superare neppure quando la stima del valore del bene è di ammontare superiore. In tal caso, ossia nell’ipotesi in cui i valori siano superiori allo scaglione massimo, la Cassazione ha, però, precisato che gli stessi non sono del tutto irrilevanti. Infatti, pur non essendo utilizzabili quale base di calcolo a percentuale, possono invece essere valutati dal Giudice come indice rivelatore dell’eccezionale impor-tanza, complessità e difficoltà della prestazione richiesta al Perito o Consulente Tecnico, idonee a consentire l’applicazione dell’aumento fino al doppio dell’onorario da liquidare, ai sensi dell’art. 5, L. 319/1980, trasfuso nell’art. 52, D.P.R. 115/2002.

Per la liquidazione dei compensi in materia penale valgono le stesse regole già af-frontate in quella civile, con tutte le precisazioni e osservazioni in precedenza richiamate,

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CAPITOLO 8 | I COMPENSI DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO E LA LIQUIDAZIONE

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riguardo ai limiti evidenziati. Infatti, al Consulente Tecnico del Pubblico Ministero e al Perito sono applicabili le norme delle leggi speciali tenendo presente che nel settore penale il criterio di individuazione del parametro è quello del “valore economico del bene o dell’u-tilità che costituiscono oggetto dell’accertamento e della contestazione quale risulta dagli elementi obiettivi del processo”.

Il titolo VII del Testo Unico, come accennato contiene la disciplina della liquidazione degli onorari degli ausiliari del magistrato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario.

3. La domanda di liquidazione del compenso

Il compenso al Consulente Tecnico d’ufficio è stato definito come “una spesa per un atto necessario al processo che l’ausiliario del Giudice compie nell’interesse superiore della giustizia ed in quello comune delle parti”.

Secondo la legge il provvedimento di liquidazione aveva la forma del decreto moti-vato, adottato dal Giudice tenendo conto delle tabelle di riferimento ed utilizzando come parametro il valore della controversia.

Ai fini della liquidazione delle spese di viaggio, il Testo Unico equipara gli ausiliari del Giudice ai dipendenti statali e, in particolare, ai dirigenti di seconda fascia del ruolo unico. Le spese relative all’utilizzo del mezzo proprio (previamente autorizzato dal Giudice), pos-sono essere riconosciute applicando le tariffe dell’ACI; il rimborso delle spese di viaggio effettuato con altri mezzi non necessita di una specifica allegazione se vi siano delle tariffe di riferimento relative a servizi di linea, con eccezione per il trasporto aereo che deve essere specificatamente autorizzato da parte del Giudice. Le spese devono essere indicate e documentate distintamente per esigenze di controllo. Sicuramente compete all’ausiliario il rimborso delle spese per diritti corrisposti ad uffici tecnici, catasto e conservatoria; non possono, invece, essere rimborsate spese per collaborazioni utilizzate dal consulente per lo svolgimento dell’incarico quando non siano state autorizzate dal Giudice al mo-mento del conferimento dell’incarico (o successivamente se richiesto) poiché l’incarico è personale.

Non è previsto rimborso per le fotografie digitali, essendo esse parte integrante della stesura della relazione, a differenza delle spese sostenute dal Perito per copie eliografi-che e fotostatiche, delle quali può essere richiesto il rimborso nella misura documentata. Analogamente non competono spese o diritti per collazione degli scritti, né spettano rim-borsi per le spese generali dello studio o, infine, per la dattilografia, copia o rilegatura. La liquidazione delle spese esposte, ai sensi dell’art. 56, co. 2, D.P.R. 115/2002, avviene a seguito di accertamento, effettuato dal magistrato, delle spese effettivamente sostenute, il quale potrà depennare quelle ritenute non necessarie.

L’art. 71 del Testo Unico Spese di Giustizia prevede che “le spettanze agli ausiliari del magistrato, sono corrisposte a domanda degli interessati, presentata all’autorità competen-te ai sensi degli articoli 165 e 168”.

In realtà in questa sede interessa unicamente l’art. 168 del solito Testo Unico, intitolato “Decreto di pagamento delle spettanze agli ausiliari del magistrato e dell’indennità di cu-stodia” e che così dispone:

1. “La liquidazione delle spettanze agli ausiliari del magistrato e dell’indennità di custo-dia è effettuata con decreto di pagamento, motivato, del magistrato che procede.

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CAPITOLO 8 | I COMPENSI DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO E LA LIQUIDAZIONE

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2. Il decreto è comunicato al beneficiario e alle Parti, compreso il Pubblico Ministero, ed è titolo provvisoriamente esecutivo.

3. Nel processo penale il decreto è titolo provvisoriamente esecutivo solo se sussiste il segreto sugli atti di indagine o sulla iscrizione della notizia di reato ed è comunicato al beneficiario; alla cessazione del segreto è comunicato alle Parti, compreso il Pub-blico Ministero, nonché nuovamente al beneficiario ai fini dell’opposizione”.

Da evidenziare che in ogni caso il decreto di liquidazione del compenso è titolo imme-diatamente esecutivo. Ne deriva che il Consulente potrà agire per il recupero del proprio compenso, sulla base del decreto di liquidazione, verso tutte le Parti del procedimento, tenute fra di loro in solido (indipendentemente dalla soccombenza processuale) al pa-gamento del compenso del CTU.

Usualmente, nella istanza di liquidazione dovrebbero essere indicati:

il Giudice Titolare della pratica;

il Numero di R.G.;

Nome delle Parti (e degli avvocati);

Generalità del Perito;

Data di Conferimento dell’Incarico;

Termine assegnato dal Giudice per il deposito.

Secondo l’art. 71 del TU Spese di Giustizia l’istanza di liquidazione delle spettanze degli ausiliari dell’autorità giudiziaria deve essere presentata a pena di decadenza entro cento giorni dal compimento delle operazioni dove per compimento deve intendersi il deposito in cancelleria della relazione peritale (e/o l’invio telematico laddove previsto).

È consentito all’ausiliario richiedere al magistrato l’anticipazione di parte del compenso che sarà posta provvisoriamente a carico della parte richiedente la consulenza/perizia.

Per quanto riguarda l’opposizione al Decreto di Liquidazione si deve purtroppo far rilevare le incongruità sorte a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 150/2011.

In precedenza si prevedeva nel TU Spese di Giustizia che entro 20 giorni dalla comu-nicazione del decreto di liquidazione si poteva proporre opposizione, allo stesso decreto, da parte di chi vi aveva interesse. E, per gravi motivi, poteva essere anche disposta la so-spensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento di liquidazione.

Il D.Lgs. 150/2011, che semplifica in tre modelli processuali tutta una serie di proce-dure precedentemente sparse nell’ordinamento giuridico italiano, specifica al primo com-ma dell’art. 15 che “Le controversie previste dall’articolo 170 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo” sostituendo il precedente comma 1 dell’art. 170 che prevedeva il termine di impugnazione (in 20 giorni). Con la conseguenza che, ad oggi, non è più specificato quale sia il termine per l’impugnazione.

I commi 2 e 3 del precedente art. 170 TU Spese Giustizia, poi, sono stati abrogati.

Si sottolinea che il D.L. 24/01/2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 2/2012, ha espressamente abrogato le tariffe professionali e che il comma 2 dello stesso articolo

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ha stabilito che “ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, in caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con Decreto del Ministro vigilante”.

Successivamente, con il D.M. 20/07/2012 n. 140 (in G.U. n. 195 del 22/08/2012) sono stati dettati i nuovi parametri per la liquidazione dei compensi professionali che sostituiscono le vecchie tariffe professionali che tuttavia non dovrebbero trovare applica-zione per gli ausiliari del Giudice, continuando a valere le liquidazioni determinate dalla normativa specificatamente prevista nel Testo Unico sulle Spese di Giustizia e dalle tabelle di cui al D.M. del 30/05/2002.

In ultimo si segnala una interessante sentenza della II Sezione della Cassazione Ci-vile, n. 23586 del 15/09/2008, che in tema di compenso al consulente d’ufficio ha sta-bilito che l’obbligo di pagare la prestazione eseguita ha natura solidale e, di conseguenza, l’ausiliare del Giudice può agire autonomamente in giudizio nei confronti di ognuna delle Parti, anche in via monitoria, non solo quando sia mancato un provvedimento giudiziale di liquidazione ma anche quando il decreto emesso a carico di una parte sia rimasto ina-dempiuto. Ciò perché non trova applicazione, per essere l’attività svolta dal consulente finalizzata all’interesse comune di tutte le Parti, il principio della soccombenza operante solo nei rapporti con le Parti e non nei confronti dell’ausiliare.

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CAPITOLO 9 | CASO PRATICO

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CAPITOLO 9

Caso pratico

1. CTU penale in materia di bancarotta fallimentare

I. ELENCO ED ESAME FORMALE DELLA DOCUMENTAZIONEIl Consulente Tecnico deve fornire un elenco dettagliato di tutta la documentazione

contabile ed amministrativa acquisita (fascicolo del PM, fascicolo fallimentare e del Cura-tore, documenti ed atti dal Registro delle Imprese e dagli uffici finanziari ed amministrati-vi), evidenziando la corretta istituzione e tenuta formale della contabilità, nonché dei libri contabili e sociali.

Il Curatore è normalmente l’interlocutore privilegiato del CT.

II. RICOSTRUZIONE DELLE VICENDE SOCIETARIE1. PRESENTAZIONE GIURIDICA DELLA SOCIETÀ FALLITAIl CTU, sulla base del fascicolo depositato presso il Registro delle Imprese, deve indicare

nella propria relazione i seguenti elementi, con le relative evoluzioni cronologiche:

denominazione e ragione sociale;

sede sociale;

oggetto;

entità del capitale sociale;

compagine sociale;

organo amministrativo;

organo di controllo.

2. RAPPRESENTAZIONE FORMALE DEI BILANCIIl CTU dovrà riferire in merito ai regolari adempimenti dei bilanci d’esercizio: redazione,

approvazione e deposito, e rappresentare sinteticamente le relative risultanze.Ai fini di una migliore comprensione della realtà aziendale, è utile porre a confronto i

bilanci degli ultimi 5 esercizi (o di più, se necessario) anteriori alla sentenza dichiarativa di fallimento, nella forma più analitica possibile.

Si suggerisce di fare attenzione alla documentazione acquisita dal Curatore, in quanto quest’ultimo non sempre richiede tutta la documentazione societaria limitandosi ad avere quella degli ultimi 3 anni.

3. ESAME DELLA CONTABILITÀ E DEI BILANCI Il CTU deve esaminare con attenzione la contabilità (se consegnata) e la relativa docu-

mentazione a supporto, al fine di evidenziare le principali vicende che hanno interessato

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CAPITOLO 9 | CASO PRATICO

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la società fallita ed esprimere un parere in merito all’attendibilità o meno delle scritture contabili.

Qualora i bilanci siano stati regolarmente depositati, si consiglia comunque un con-fronto con i saldi contabili, al fine di accertarne la regolarità e la rispondenza alle scritture contabili.

Nell’ipotesi in cui l’organo amministrativo non abbia provveduto a redigere i bilanci negli anni precedenti alla dichiarazione di fallimento, ma abbia comunque consegnato al Curatore le scritture contabili, il CTU dovrà ricostruire le vicende societarie direttamente dalle stesse.

Nel caso in cui non vi fossero né contabilità né bilanci, si suggerisce di ricostruire le in-formazioni sulla base della documentazione amministrativa e bancaria, sulle dichiarazioni fiscali, sugli eventuali rapporti con società collegate di cui si trovi evidenza, sulle risultanze fallimentari (come le insinuazioni nella massa passiva della procedura).

4. RIELABORAZIONE DELLE RISULTANZE FALLIMENTARIAi fini della comprensione dei principali fatti societari e della individuazione delle cause

ed epoca del dissesto, è estremamente utile una rielaborazione della massa attiva e pas-siva fallimentare.

In particolare:

la massa passiva fallimentare dovrà essere riclassificata raggruppando i crediti per natura, distinguendo la sorte dagli interessi maturati e spese relative, ed evidenzian-done, inoltre, la data di insorgenza;

in merito alla massa attiva, il CT dovrà procedere ad elencare le attività sociali (beni, liquidità e crediti) inventariate e valutate dal Curatore, e tener conto delle azioni intraprese dalla curatela per il recupero di ulteriore massa attiva.

Molto importante sarà il confronto e la lettura critica tra i dati così ottenuti e rielaborati, e quanto esposto nella situazione patrimoniale ex art. 16 L.F. e/o le risultanze contabili.

5. COMMENTO DELLE VICENDE GESTIONALI E RISCONTRO CON LE RISULTANZE FALLIMENTARIAttraverso l’esame del fascicolo societario depositato presso il Registro delle Imprese,

opportunamente integrato con tutte le informazioni ricavate dai libri sociali (soci, verbali assemblee, verbali organo amministrativo, verbali organo di controllo), nonché attraverso l’esame della contabilità e dei bilanci e delle informazioni contenute nelle relazioni dell’or-gano amministrativo e/o di controllo, nonché ancora attraverso le dichiarazioni rese dal fallito o da terzi al Curatore e tutti gli ulteriori elementi acquisiti dal consulente attraverso proprie indagini (altri Uffici, banche dati, ecc...), il CT sarà in grado di ricostruire le vicen-de che hanno principalmente interessato la società fallita sin dalla sua costituzione, con riferimento poi agli ultimi anni antecedenti la dichiarazione di fallimento.

Confrontando inoltre l’ultima situazione patrimoniale alla data di fallimento (ex art. 16 L.F.) con le risultanze della procedura fallimentare (massa attiva inventariata e realizzata, massa passiva insinuata nella procedura fallimentare), il CT potrà verificare se il deficit fallimentare trovi completa giustificazione e riscontro nella contabilità e nei bilanci e nelle reali vicende societarie.

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CAPITOLO 9 | CASO PRATICO

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In conclusione, il procedimento sin qui analizzato consentirà al Consulente Tecnico di desumere tutte le informazioni per poter individuare cause, tempi e responsabilità del ve-rificarsi dello stato di insolvenza.

SE NON È CHIARO IL QUESITO COSA FARE?Il rapporto fiduciario con il PM è alla base di ogni buona Consulenza Tecnica, ecco per-

ché diventa fondamentale cercare di avere chiarimenti, nel modo più dettagliato possibile, sulla vicenda sulla quale si innesterà il nostro lavoro.

Il CT ha il dovere di comprende esattamente l’universo nel quale dovrà muoversi; ecco perché potrebbe risultare molto utile riservarsi di richiedere un appuntamento a strettissi-mo giro con il PM, al fine di porre tutta quella serie di quesiti che nascono solo dopo una veloce, ma pur attenta, disamina dei fatti.

È dovere dello stesso consulente comprendere le reali necessità di informazione del PM per “aiutarlo” a formulare il quesito più efficace.

Il PM potrà sempre correggere il proprio quesito, riformulandolo in tutto od in parte, o ampliare lo stesso secondo le informazioni che riterrà necessarie.

E SE NON SI RIESCE A CONCLUDERE IN TEMPO LA PERIZIA?Capita, alquanto frequentemente, che il PM assegni inizialmente un termine per il de-

posito dell’elaborato peritale breve (45-60 giorni) rispetto alle tempistiche necessarie per svolgere correttamente e professionalmente le verifiche del caso.

È dovere del consulente richiedere una proroga al suddetto termine tramite formale istanza al PM nella quale saranno chiariti i motivi di tale richiesta (documentazione volumi-nosa non analizzabile nel tempo concesso, ritardo nella consegna della documentazione da parte dei soggetti a cui è stata richiesta, sviluppi d’indagine che postulano imprevisti approfondimenti, ecc...).

Si consiglia di non attendere mai l’ultimo giorno per presentare la suddetta istanza, poiché il consulente è di solito perfettamente conscio, prima della scadenza, che non sarà in grado di rispettare il termine assegnato.

Si consiglia, ove possibile, di portare personalmente al PM (previo appuntamento) la predetta istanza, poiché egli richiederà al consulente quale debba essere la congrua pro-roga da concedere.

GLI UFFICI A CUI È STATA RICHIESTA LA DOCUMENTAZIONE NON RISPONDONO TEMPESTIVAMENTE O NON RISPONDONO AFFATTOAll’interno dell’incarico il PM avrà autorizzato il Consulente Tecnico a richiedere infor-

mazioni agli uffici pubblici e/o privati, che sono pertanto tenuti a collaborare con l’attività del professionista incaricato.

Le richieste di documentazione, anticipate per le vie brevi, deve sempre constare da documenti scritti (fax, email, pec, raccomandate), assegnando un termine per l’invio ed allegando copia conforme all’originale ma secretata della nomina.

Qualora gli uffici non rispondano, sarà buona norma reiterare la richiesta facendo pre-sente che, in mancanza di riscontro, il consulente informerà il PM.

In mancanza di risposta, il consulente relazionerà al PM per iscritto, allegando le pre-gresse richieste documentali rimaste infruttuose.

Il PM procederà di conseguenza secondo i poteri assegnatigli dalla legge.

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COME PRESENTARE LA RELAZIONE?La relazione del Consulente Tecnico del PM deve essere presentata per iscritto, come da

nomina, e corredata di ogni singolo allegato.Ogni singolo documento che il consulente ha ottenuto da pubblici uffici o privati ed

ogni suo elaborato deve essere allegato.Si consiglia di allegare anche fotocopia dei documenti contenuti nel fascicolo del PM

(quanto meno di quelli più importanti e necessari per l’assunzione delle decisioni) e nella eventuale denuncia-esposto presentata, poiché il consulente deve facilitare il più possibile la lettura del PM, il quale così non dovrà preoccuparsi di cercare del fascicolo quanto richiamato in relazione.

Infine, un utile strumento può essere la stampa della relazione in PDF/A, che permette la lettura e la ricerca ipertestuale delle parole (si pensi ad una consulenza che afferisce ad una pluralità di soggetti per i quali dovranno essere indicati i capi di imputazione non in base a società o fatti economici ma per singolo indagato), e la scansione ordinata e nu-merata degli allegati, il tutto consegnato in supporto informatico – CD o pendrive USB – al PM. Ciò permetterà una maggiore fruibilità dell’elaborato e sarà eventualmente possibile per il PM estrarre parti della relazione o suoi allegati senza essere obbligato a riscrivere o a fotocopiare alcunché.

2. CTU civile in materia bancaria

2.1. PremessaIn questo paragrafo il CTU brevemente espone le premesse del proprio lavoro peritale, ini-

ziando con una breve presentazione con indicazione dell’iscrizione all’Ordine Professionale di appartenenza, le modalità e la data del conferimento dell’incarico, la data del giuramento, la data dell’inizio dei lavori peritali ed infine una breve presentazione delle Parti in causa.

Il sottoscritto dott. xxxxxxx, nato a xxxxxxxxxx il xxxxxxxxxx, regolarmente iscritto nell’Albo dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili per la Circoscrizione del Tribunale di xxxxxxxxxx dal xxxxxxxxxx con il n. xxxxxxxxx,

premesso

che con ordinanza del Tribunale xxxxxxxxxxxxxxx in data xxxxxxx, sono stato nominato dal Giudice xxxxxxxx Consulente Tecnico d’Ufficio nella causa xxxxxxxxxxxxxxx;

- che l’attore xxxxxxx, rappresentato e difeso dall’Avv. xxxxxxx, xxxxxxxxxx;- che la convenuta xxxxxxx, rappresentata e difesa dall’Avv. xxxxxxxxx, xxxxxxxxx;- che all’udienza del xxxxxxxx, accettato l’incarico e prestato rituale giuramento, lo

scrivente fissava l’apertura delle operazioni peritali in data xxxxxxxxxxxxxxxx;

a tal uopo dichiara

- che le premesse risultano essere parte integrante del documento;- che le memorie redatte dal sottoscritto riguardano una Consulenza Tecnica d’Uffi-

cio al fine di accertare, effettuando i necessari ricalcoli, l’ammontare dell’effettivo debito xxxxxxxxxxxxxxxx;

- che il giorno xxxxxxxxxx, presso il proprio studio, sito xxxxxxxxxxxxx, dava inizio alle operazioni peritali.

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2.2. Il quesitoIn questo paragrafo occorre riportare il quesito del Giudice, sulla base del quale il CTU

si dovrà attenere rigorosamente al tipo di ricalcolo da effettuare. Risulta ovvio che se il quesito formulato risulta non essere dettagliatamente specifico

sulle modalità di calcolo da realizzare, in tale caso potranno nascere in sede di accesso peritale delle contestazioni da parte dei CTP, in quanto l’interpretazione letterale del que-sito, nonché l’interpretazione normativa di riferimento, possono portare a diverse soluzioni e quindi a delle controversie.

A tal uopo, sarà abilità del CTU in sede di acceso peritale, trovare una interpretazione condivisa dalle parti da sottoscrivere in verbale, oppure in alternativa potrà presentare un’istanza di chiarimenti al Giudice, su esplicita richiesta delle parti, in modo da evitare il rischio ricevere di osservazioni critiche contenenti doglianze in merito a presunte errate interpretazioni soggettive del CTU.

Si indicano di seguito alcuni esempi di quesiti formulati dai Giudici:

Il quesito del Giudice dott. xxxxxxxxx, così come stabilito nell’udienza del xxxxxxxxxxx presso il Tribunale di xxxxxxxxxxxx, Ruolo Gen. Cont. n. xxxxxxxxxxxxx, è il seguente:

IPOTESI QUESITO 1

“1) Calcoli il CTU, sulla sola base della documentazione in atti, rideterminando i rap-porti di dare-avere correnti tra l’istituto opposto e la xxxxx a partire dal xxxx e sino al xxxxxx applicando gli interessi nella misura legale tempo per tempo vigente nel caso di valida pattuizione scritta, ovvero nella misura prevista dalle vigenti disposizioni (depurati dall’a-natocismo) senza tener conto né della capitalizzazione trimestrale né della commissione di massimo scoperto;

2) Verifichi l’eventuale superamento del tasso soglia – usura;”

IPOTESI QUESITO 2

“1) determinare la durata dell’intera apertura di credito;

2) calcolare la scopertura media in linea capitale;

3) calcolare l’ammontare complessivo delle competenze addebitate nel corso dell’intero rapporto;

4) calcolare il TAEG medio annuo;

5) calcolare il tasso di interesse effettivo globale medio annuo con riferimento ai periodi trimestrali di rilevazione del c.d. tasso soglia di cui alla Legge 108/96;

6) determinare l’effettivo dare-avere in regime di saggio legale di interesse, senza capi-talizzazioni, commissioni di massimo scoperto trimestrali e spese, computando delle singole operazioni dal giorno in cui la banca ha acquistato o perduto la disponibilità.”

IPOTESI QUESITO 3 “Il CTU, esaminati gli atti di causa e quanto sostenuto dalle parti nei loro scritti, verifichi

i conti correnti accesi da xxxxxxxxx presso la banca xxxxxxxx e precisamente:

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- conto corrente n. xxxxx dal xx/xx/xxxx al xx/xx/xxxx;

- conto anticipi n. xxxxx dal xx/xx/xxxx al xx/xx/xxxx.

Il CTU indicherà se gli interessi applicati dalla Banca sui conti indicati siano conformi o meno alla normativa vigente all’epoca facendo riferimento per eventuali punti interpretativi alle circolari in materia della Banca d’Italia.

Si precisa che con il termine “interessi” si intende dare incarico al CTU di verificare tutte le posizioni dare-avere tra Banca e cliente e indicare se gli interessi e indicare se gli interessi, ivi comprese le commissioni, sono stati applicati conformemente alla normativa vigente”.

IPOTESI QUESITO 4

a) proceda il CTU, sulla base della documentazione in atti e di quella ulteriore che do-vesse acquisire nel corso delle operazioni solo su consenso delle parti, a calcolare il saldo, alla data indicata in citazione o in ricorso, del conto corrente per cui è causa applicando il tasso di interesse sulla base di quanto pattuito per iscritto dalle parti e comunque nei limiti del tasso-soglia; in mancanza di pattuizione per iscritto, ovvero in casi di pattuizione di interessi c.d. “uso piazza”, applichi l’interesse legale sino all’entrata in vigore della l. 154/1992 (addì 9.7.1992) e, per il periodo successivo, operi una doppia ipotesi di cal-colo, la prima continuando ad applicare il tasso legale fino al momento di una espressa pattuizione del tasso di interesse passivo (cfr. Corte Cost. ord. n. 339 del 14.12.09 dep. 18.12.09), la seconda applicando – sempre fino alla espressa pattuizione di un tasso di interesse passivo - il tasso sostitutivo di cui all’art. 5 l. cit. e, di seguito, di cui all’art. 117, comma 7, d. lgs. 385/1993; quest’ultima norma dovrà essere interpretata nel senso che alle operazioni attive per la banca (saldi debitori per il correntista) si applicherà il tasso nominale minimo dei BOT o altri titoli similari emessi nei dodici mesi precedenti per ogni anno di durata del rapporto, ed alle operazioni passive per la banca (saldi creditori per il correntista) si applicherà il tasso nominale massimo dei BOT o altri titoli similari; dal mo-mento della pattuizione specifica del tasso di interesse, sarà applicato quanto pattuito;

b) calcoli gli interessi sulle operazioni bancarie di dare-avere con valuta dal giorno in cui tali operazioni vengono effettuate (art. 120 co. 1 TUB), salvo diverse pattuizioni contrattuali;

c) quanto all’anatocismo, escluda ogni forma di capitalizzazione periodica degli interessi debitori fino al 30.6.2000 (v. Cass. s.u. n. 24418/2010); per il periodo successivo, verifi-chi se la banca, previo adeguamento del contratto secondo quanto previsto dalla delibera CICR 9.2.2000, abbia applicato nel rapporto di c/c la stessa periodicità del conteggio degli interessi sia debitori che creditori come da delibera CICR cit. ed in ossequio al com-ma 2 dell’art. 120 TUB, in caso negativo escluda qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi; se il contratto è stato stipulato in epoca successiva alla entrata in vigore della de-libera CICR verifichi il CTU l’approvazione per iscritto della clausola sulla capitalizzazione con la medesima periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori e l’effettiva applicazione di tale principio;

d) con riferimento alla c.m.s., quando essa sia stata calcolata sul picco massimo dello scoperto di conto corrente anziché sulla somma complessivamente affidata, o se è stata applicata anche per scoperto di conto in assenza di fido, operi il CTU una doppia ipotesi di calcolo, la prima che tenga conto di detta c.m.s. (purché espressamente e specificamente pattuita), la seconda che escluda detta c.m.s.; per i contratti in corso alla data di entrata

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CAPITOLO 9 | CASO PRATICO

Guida alla Consulenza Tecnica d’Uffi cio in sede civile e penale

in vigore dell’art. 2-bis del d.l. 28.11.2008, n. 185, conv. in l. 28 gennaio 2009, n. 2, accerti il consulente se la banca si sia adeguata a tale normativa, applicando in tal caso la c.m.s. (per entrambe le ipotesi di calcolo) nei limiti previsti da tale normativa come da istruzioni della Banca d’Italia dell’agosto 2009; in caso di mancato adeguamento, il CTU escluderà l’applicazione della c.m.s. Nel caso in cui sia previsto, in luogo della c.m.s., una remunerazione per la messa a disposizione dei fondi, indipendentemente dall’utilizzo degli stessi fondi, tenga conto il CTU di detta remunerazione solo ove specificamente pattuita, e, successivamente all’entrata in vigore del citato art. 2-bis d.l. 185/2008, conv. in l. 2/2009, solo ove rispetti le condizioni previste dal 1° comma del citato art. 2-bis;

e) applicherà le spese di tenuta conto, annuali e/o periodiche, solo se previste in con-tratto;

f) nel caso di mancata disponibilità di tutti gli estratti conto relativi al rapporto di c/c in contestazione, operi il CTU la ricostruzione dell’andamento del rapporto nel seguente modo: 1) se mancano quelli iniziali, effettuerà un doppio calcolo partendo dal saldo zero o dal primo saldo disponibile; 2) se mancano i successivi, effettui il CTU la ricostruzione dell’andamento del c/c soltanto sulla base degli estratti conto effettivamente disponibili e quindi non effettui i conteggi per i periodi non documentati ma parta, nel conteggio del pe-riodo successivo, dall’ultimo saldo ricalcolato salvo che, in caso di giudizio promosso dalla banca o di opposizione a d.i. richiesto dalla banca, il saldo dell’estratto conto successivo al periodo mancante sia più favorevole al correntista;

g) in caso di eccepita prescrizione, verifichi il consulente se, oltre dieci anni prima dalla domanda giudiziale o dalla preventiva richiesta stragiudiziale di restituzione delle somme indebitamente percepite, vi siano addebiti di interessi o comunque di somme non dovuti (in quanto, ad es., non previste in contratto, o frutto della illegittima applicazione dell’ana-tocismo), quando il conto non era affidato e presentava comunque un saldo negativo, o quando il correntista aveva sconfinato dall’affidamento, e, in caso affermativo, quantifichi l’importo singolo di tali addebiti, per l’intero o fino all’importo necessario per eliminare lo sconfinamento dal fido o, in caso di mancato affidamento, per tornare al saldo zero;

h) nel verificare l’applicazione degli interessi usurari di cui alla l. n. 108/1996, includa, per il calcolo del TEG, negli interessi il costo della cms.

IPOTESI QUESITO 5

“Accerti il consulente, previo esame della documentazione contabile relativa ai rapporti contrattuali indicati nell’atto di citazione, sia quella prodotta in giudizio, sia nel rispetto del-le forme di cui all’art.198 c.p.c. quella di cui le parti hanno disponibilità e di cui dovesse risultare opportuna la visione, l’entità del saldo risultante dai predetti rapporti, nel rispetto dei seguenti criteri:

a) applicazione dei tassi debitori previsti contrattualmente per iscritto e in modo determi-nato (con esclusione di rinvii ad usi) ovvero, in difetto di siffatta pattuizione, applicazione del tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze emessi nei dodici mesi precedenti la con-clusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione.

Per il periodo antecedente all’entrata in vigore dell’art.117 D.Lgs. n. 385/93 applicazio-

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CAPITOLO 9 | CASO PRATICO

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ne dei tassi debitori previsti contrattualmente anche se contenente il rinvio alle condizioni usualmente praticate “su piazza”;

b) in caso di pattuizione per iscritto e in modo determinato dei tasso debitori che do-vessero risultare superiori rispetto delle soglie previste in attuazione della Legge n.l08/96, mancato riconoscimento di qualsiasi somma a titolo di interessi per il periodo interessato;

c) riconoscimento delle commissioni di massimo scoperto solo qualora convenute tra le parti e nel rispetto di quanto previsto dall’art.2 bis D.L. n.185/08, conv. nella L. n. 2/09;

d) esclusione di qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi debitori, fatta eccezio-ne, per il periodo successivo al l luglio 2000, per quei rapporti le cui condizioni contrattuali sono state adeguate alle disposizioni della delibera C.I.C.R. del 22 febbraio 2000, ai sensi dell’art.7 della medesima delibera.

In proposito, voglia il consulente provvedere ad effettuare anche i seguenti diversi ac-certamenti:

i) esclusione di qualsiasi forma di capitalizzazione anche per le somme addebitate a titolo di commissione di massimo scoperto;

ii) esclusione di qualsiasi forma di capitalizzazione, anche per il periodo successivo al l luglio 2000, anche in presenza dei presupposti previsti dal richiamato art.7;

e) irripetibilità delle somme indicate nelle annotazioni relative a versamenti effettuati dal correntista su conti passivi (cd allo “scoperto”), cui non accede alcuna apertura di credito ovvero destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento, in epoca ante-cedente xx/xx/xxxx, relativamente ai conti indicati nell’atto di citazione dinanzi al Tribunale di xxxxxx, allegato agli atti”.

I fatti di causa e gli accessiIn questo paragrafo occorre riepilogare i fatti salienti della causa con le richieste fatte

dalle parti nelle proprie memorie depositate, nonché saranno riepilogate cronologica-mente gli incontri che il CTU ha avuto con i CTP, mettendo in evidenzia i fatti salienti delle osservazioni fatte e messe a verbale dalle parti negli incontri fatti oppure quelle riportate nelle memorie scritte consegnate al CTU.

Si rammenta che il CTU nel rispetto del principio del contraddittorio dovrà informare le Parti – quindi i difensori, non solo i CTP – (a mezzo di racc.ta a/r o PEC, o anche via fax, ma a condizione di riceverne esplicita conferma di ricezione) esclusivamente della data del primo accesso peritale e, se richiesto dal Giudice, quando la bozza di perizia è pronta, dopodiché sarà onere dei CTP informarsi sulla evoluzione dei lavori.

La documentazione esaminata e le attività svolteIn questo paragrafo risulta opportuno riepilogare i documenti analizzati nel proprio

elaborato peritale, indicando anche le produzioni e le eventuali integrazioni di parte de-positate al fine di ricostruire i rapporti intervenuti.

A tal uopo, occorre evidenziare che i documenti principali che il CTU deve analizzare, al fine di comprendere le modalità di ricalcolo da realizzare secondo gli indirizzi del Giudice, sono i contratti di apertura dei rapporti bancari e loro successive modifiche.

Infine, dovrà riepilogare tutte le attività svolte per l’espletamento dell’incarico assunto.

Il sottoscritto, assunto l’incarico, ha acquisito le informazioni e la documentazione ne-cessaria per l’espletamento dell’elaborato peritale ed ha attentamente esaminato le pro-duzioni di parte depositate, ed in particolare, al fine di ricostruire i rapporti intervenuti, ha analizzato la seguente documentazione: xxxx, xxxx, xxxx, xxxx, …

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CAPITOLO 9 | CASO PRATICO

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Le premesse tecnicheIn questo paragrafo saranno illustrate brevemente le ricerche che il CTU ha realizzato

sui recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di anatocismo al fine di rispondere in modo esauriente al quesito del Giudice.

A tal uopo, occorre fare molta attenzione in questo paragrafo, in quanto va realizzato solo se le ricerche normative sono state richieste espressamente dal Giudice e/o richieste in comune accordo dalle parti, in quanto l’interpretazione letterale del quesito lo richiedo-no, in quanto non sono state specificamente dettagliate dal Giudice le modalità di ricalco-lo da utilizzare nel lavoro peritale.

Si rammenta che il CTU non deve procedere nel proprio lavoro peritale a delle inter-pretazioni normative, seguendo un orientamento giurisprudenziale rispetto ad un altro, ma dovrà sempre rispondere al quesito del Giudice secondo l’analisi documentale a sua di-sposizione e secondo l’interpretazione letterale del quesito, in quanto il CTU, quale “terzo imparziale”, ha un ruolo di ausiliario del Giudice, lasciando a quest’ultimo il compito della interpretazione della norma!!!!

Le modalità di calcoloIn questo paragrafo verranno illustrate le modalità e i criteri di calcolo che il CTU ha uti-

lizzato nel rispondere al quesito del Giudice sulla base dei documenti prodotti dalle parti, le eventuali indagini saranno realizzate se autorizzate dal Giudice nel quesito formulato.

Si rammenta e si consiglia che il CTU dovrà rispondere al suo mandato utilizzando un linguaggio semplice e comprensibile per il Giudice.

Sulla base di quanto reperito in atti, nonché di quanto dichiarato dalle parti e rilevato nel corso delle sedute peritali regolarmente verbalizzate, si è ritenuto che, per rispondere al mandato ricevuto, è necessario per le operazioni di ricalcolo ricostruire integralmente le movimentazioni avvenute nel conto corrente oggetto della consulenza e depurarli delle competenze imputate dalla banca in fase di liquidazione trimestrale.

Nel caso in questione, gli oneri da depurare sono gli interessi attivi e passivi capitalizzati al primo (marzo), secondo (giugno), terzo (settembre) e quarto (dicembre) trimestre e rical-colare il conto secondo le modalità richieste dal Giudice.

Dalla disanima della documentazione presente, risulta che: xxxxxxxxxxxxxx …

(ESPLICARE LE CONDIZIONI ECONOMICHE PRESENTI NEL CONTRATTO DI APERTU-RA DI CONTO COTTENTE)

In ossequio al quesito posto dal Giudice, si procede alla determinazione dell’esatto credito/debito del correntista, effettuando la ricostruzione del conto corrente secondo le seguenti modalità:

(ESPLICARE LE IPOTESI DI CALCOLO REALIZZATE DAL CTU SULLA BASE DEL QUESITO E DELLE RICHIESTE FATTE DALLE PARTI), di seguito alcuni esempi:

- capitalizzazione semplice, capitalizzazione annuale, capitalizzazione trimestrale;tasso di interesse legale, tasso di interesse BOT ex art.117 TUB, tasso di interesse con-

venuto;- applicazione della commissione di massimo scoperto, eliminazione della commis-

sione di massimo scoperto;- applicazione delle spese, eliminazione delle spese;

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CAPITOLO 9 | CASO PRATICO

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- applicazione delle date valute, eliminazione delle date valute (con riallineamento alle date delle operazioni).

Conclusioni e risultatiIn questo paragrafo verranno illustrate le risultanze finali del lavoro peritale, al fine di

esplicare brevemente i fatti e le conclusioni scaturite dal mandato conferito dal Giudice.

Non ritenendo opportuno addentrarsi in più approfondite questioni di legittimità di esclu-siva pertinenza del giudicante, passiamo ad esporre le risultanze della perizia.

La trattazione che precede consente di rispondere al quesito formulato dal Giudice e, secondo le modalità di calcolo illustrate nel paragrafo precedente, avremo un saldo ne-gativo/positivo di euro xxxxxxxxxxxxxxx sui conti correnti oggetto della consulenza, con un differenziale in favore del parte del correntista a seguito dell’effetto anatocismo di euro xxxxxxxxxx.

Per ulteriori approfondimenti si invita alla disamina dell’ALLEGATO TECNICO.

Certo di aver bene e fedelmente risposto ai quesiti, lo scrivente ringrazia per la fiducia accordatagli e rimane a disposizione per ulteriori ed eventuali chiarimenti.

Con osservanza.

In fede, il CTU

Acconti - CompensoL’esperienza registra come sia sempre meno infrequente che il Giudice, in sede di giu-

ramento, nel liquidare l’acconto al CTU contestualmente lo autorizzi a non dare inizio alle operazioni qualora non ne riceva il pagamento.

Nella redazione dell’istanza di liquidazione del compenso finale, appare buona prassi riferirsi – per l’individuazione del “valore della pratica” – al valore della controversia che le Parti indicano ai fini fiscali.

In mancanza di tale riferimento, il CTU può far riferimento ai risultati numerici della pro-pria indagine ponderandoli con la complessità e numerosità degli accertamenti contabili esperiti, avendo cura di mantenere la propria richiesta in ambiti di oggettiva congruità.

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