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IL MOVIMENTO COOPERATIVO IN CAPITANATA (1875-1915): NASCITA E SVILUPPO DELLA COOPERAZIONE IN UN'AREA DEL MEZZOGIORNO 1 - INTRODUZIONE Che cos’è la cooperazione? La domanda a prima vista può sembrare di facile risposta ma invece rappresenta il punto di partenza per penetrare dentro una realtà di difficile ap- proccio metodologico ed interpretativo. Di fronte, infatti, non abbiamo solo il tentativo, storicamente iniziatosi in Italia a partire dalla seconda metà dell’800, «di correggere e/o contrastare il tipo di sviluppo impresso alla società del capitalismo per porre proprie finalità alla soluzione del rapporto fra le diverse classi e allo sviluppo economico, per renderli meno ingiusti socialmente [ ... ]» 1 , ma anche uno dei modelli organizzativi possibili dei rapporti di produzione. La cooperazione - cioé - non può essere fatta rientrare, se non a rischio di stravolgenti e forzature, nella nozione classica di impresa in una società capi- talistica, né tantomeno in quella di istituto preparatorio o complementare ad una economica socialista 2 . ____________ 1 - S. NARDI, Per la conoscenza storico-sistematica della cooperazione in F. FABBRI (a cura di), Il movimento cooperativo nella storia d'Italia 1854-1975, Milano, Fertrinelli, 1979, pp. 693-708, p. 695. 2 - «La coopererazione è dunque individualista o socialista? Essa è di fatto universalista e vuole riuscire a produrre e a scambiare i beni econo- mici nella migliore delle condizioni e col minimo di attriti in qualunque regime e in qual- siasi mercato avendo per fine l’uomo e i suoi bisogni»: cfr. “Introduzione” di B. RI- GUZZI a B. RIGUZZI-R. PORCARI, La cooperazione operaia in Italia, seconda ed. riveduta ed ampliata, Milano “La Fiaccola”, 1946, p. 9 89

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IL MOVIMENTO COOPERATIVO IN CAPITANATA(1875-1915): NASCITA E SVILUPPO

DELLA COOPERAZIONEIN UN'AREA DEL MEZZOGIORNO

1 - INTRODUZIONE

Che cos’è la cooperazione?La domanda a prima vista può sembrare di facile risposta ma invece

rappresenta il punto di partenza per penetrare dentro una realtà di difficile ap-proccio metodologico ed interpretativo.

Di fronte, infatti, non abbiamo solo il tentativo, storicamente iniziatosi inItalia a partire dalla seconda metà dell’800, «di correggere e/o contrastare iltipo di sviluppo impresso alla società del capitalismo per porre proprie finalitàalla soluzione del rapporto fra le diverse classi e allo sviluppo economico, perrenderli meno ingiusti socialmente [ ... ]»1, ma anche uno dei modelli organizzativipossibili dei rapporti di produzione.

La cooperazione - cioé - non può essere fatta rientrare, se non a rischiodi stravolgenti e forzature, nella nozione classica di impresa in una società capi-talistica, né tantomeno in quella di istituto preparatorio o complementare aduna economica socialista2.

____________

1 - S. NARDI, Per la conoscenza storico-sistematica della cooperazione in F. FABBRI (acura di), Il movimento cooperativo nella storia d'Italia 1854-1975, Milano, Fertrinelli, 1979, pp.693-708, p. 695.

2 - «La coopererazione è dunque individualista o socialista?Essa è di fatto universalista e vuole riuscire a produrre e a scambiare i beni econo-

mici nella migliore delle condizioni e col minimo di attriti in qualunque regime e in qual-siasi mercato avendo per fine l’uomo e i suoi bisogni»: cfr. “Introduzione” di B. RI-GUZZI a B. RIGUZZI-R. PORCARI, La cooperazione operaia in Italia, seconda ed. rivedutaed ampliata, Milano “La Fiaccola”, 1946, p. 9

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E questo perché esistono delle serie difficoltà «nell’affrontare una pro-blematica tutt’affatto particolare, nella quale si compenetra e si realizza il mo-mento politico - ideologico con l’esercizio economico in quanto impresa», maanche «dubbi, ognora insorgenti, sulla collocazione della storia del movimentocooperativo in bilico tra l’economica, la sociale e la politica»3.

Un problema questo che per le sue caratteristiche rimanda, se si vuolegiustamente comprendee il movimento cooperativo in Italia, al sistema di rap-porti che sono intercorsi (e che ancora intercorrono) tra le ideologie e la coope-razione e al modo in cui questi due momenti sono entrati in relazione nel corsodello sviluppo dell’associazionismo nel nostro paese.

Ora, nella cooperazione si è sempre vista proprio «quella istituzione ingrado di correggere o addirittura di sostituire le strutture della società borghe-se-capitalistica [ ... ]»: ne è venuta fuori, anziché una interpretazione dei meccani-smi interni e dei modi di sviluppo della società cooperativa, un vero e proprio«modello di comportamento morale»4.

Tra i diversi problemi che si sono creati, uno dei più importanti è sicu-ramente quello della mancanza di analisi storiografiche in grado di restituirepiena autonomia all’argomento. Non mancano certo ottimi lavori e ricercheimportanti5, ma si vuole soffermare l’attenzione sul fatto che la storiografia hastudiato il movimento cooperativo in maniera derivata, nel senso di non vederenella cooperazione una realtà autonoma nell’ambito dello sviluppo della società,ma solo un aspetto di problematiche più generali, che di volta in volta sonostate lo sviluppo del movimento operaio, la questione contadina, e così via.

Questo non significa che sia un tipo di approccio metodologico sba-gliato. Infatti ormai «è generalmente ammesso che la nascita della cooperazioneitaliana rappresenta, nella storia del movimento operaio, l’anello di congiunzio-ne che segna il trapasso dalle organizzazioni corporative e di mutuo soccorso aquelle di resistenza e sindacali»6. Però ciò comporta non solo una subalternitàrispetto ad un processo di ben maggior peso, ma

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3 - S. NARDI, op. cit ., p. 695.4 - Cfr. Ibid, p. 696: il corsivo è mio.5 - Si veda, tra tutti, il già citato volume a cura di Fabio Fabbri, la cui pubblicazione

è legata a motivi celebrativi (i 90 anni della Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue) mache è riuscito a dare una visione d’insieme del fenomeno cooperativo attraverso un tagliostoriografico tanto settoriale quanto geografico.

6 - S. NARDI, op. cit ., p. 698.

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soprattutto l’appiattimento su modelli interpretativi incapaci di pervenire ad unaconoscenza del tutto esauriente di un fenomeno per sua natura “diffidente”verso approcci di tipo totalizzante7.

Resta però sempre da chiarire il perché la produzione scientifica esistentenon è riuscita, al di là dei reali meriti di sintesi storica, a raggiungere dei risultatistimolanti dal punto di vista di una generale ricostruzione del fenomeno coope-rativo. L’analisi sommaria di alcune delle tendenze interpretative che si possonoriscontrare nella storiografia del movimento cooperativo in Italia, può sicura-mente portare nuova luce sulla questione8.

L’indirizzo che forse ha meno valenza sul piano storiografico, a causa delsuo carattere di “ovvietà”, è sicuramente quello che fa leva sulle specificità dellarealtà nazionale in un dato momento storico. Questo però, non significa altroche affermare l’esistenza di peculiarità nello sviluppo della società borghese-capitalistica in Italia in rapporto ad esperienze di altri paesi: il pericolo è di noncomprendere un movimento che, nato in una particolare situazione economicae politica, è passato attraverso diverse condizioni tanto politico-istituzionaliquanto economico-sociali.

Esiste poi un indirizzo che, partendo dal concetto di cooperazione nellasua accezione più largha, vede le origini del movimento cooperativo nelle co-munità rurali e di villaggio. Vi è quindi un tentativo di creare una continuità nellerealtà associative più diverse, dalle prime comunità, passando per le corpora-zioni, fino alle moderne forme mutualistiche e cooperative9. Il pericolo, in que-sto caso, è rappresentato proprio dal non

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7 - Bisogna sempre considerare che, essendo il movimento socialista e il movimen-to cattolico le forze popolari a cui la cooperazione ha fatto più spesso riferimento, è inevi-tabile che l’associazionismo sia studiato in funzione della storia di queste due grandi realtàdi massa dell’Italia post-unitaria. Ma è altrettanto inevitabile che le carenze della storiogra-fia lasciando, «sostanzialmente nell’ombra le strutture base - tra cui quelle cooperativistiche- sulle quali i due movimenti sono cresciuti, non hanno certo favorito lo sviluppo deglistudi sulla cooperazione»: Z. CIUFFOLETTI, Dirigenti e ideologie del movimento cooperativo inG. SAPELLI (a cura di), Il movimento cooperativo in Italia. Storia e problemi, Torino, Einaudi,1981, pp. 89-189, p. 89.

8 - Si seguiranno le considerazioni svolte da S. NARDI, op. cit ., pp. 697-699 (a cuisi rimanda per la bibliografia generale), l’autore che più di ogni altro ha inquadrato la que-stione nei giusti termini, dando, nel suo saggio, un contributo decisivo allo sviluppo diuna storiografia che vuole aspirare all’esatta comprensione della cooperazione.

9 - Ad interpretazioni di questo tipo sono ricorsi anche due autori inglesi: l’originedella cooperativa è rintracciata nelle “corporazioni religiose e nelle gilde artigiane”; le societàdi mutuo soccorso rappresenterebbero “i legami intermedi” tra le istituzioni medievali e lemoderne società cooperative: cfr. E. TOPHAM E J.A. HOUGH, Il movimento cooperativo inGran Bretagna, trad. it. Roma, edizioni de “La Rivista della Cooperazione”, 1949, pp. 14-16.

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considerare che la cooperazione è nata in un particolare periodo, quellodella formazione di una moderna società capitalistica e come tale risente di tuttele problematiche inerenti ad essa, non ultima quella del rapporto con l’alloranascente movimento operaio organizzato.

Veniamo ai due ultimi indirizzi, che sono quelli che più di tutti hanno in-fluenzato e influenzano tuttora la storiografia. Innanzitutto quello che analizza leproblematiche della cooperazione entro l’ambito della storia del movimentooperaio. A parte le considerazioni generali già espresse sulla non autonomiadegli studi sulla cooperazione in un ambito di questo tipo, resta il fatto che losviluppo dell’associazionismo in Italia è frutto anche degli sforzi di settori eco-nomico-sociali che non possono essere fatti rientrare nella definizione di mo-vimento operaio (vedi le cooperative di produzione artigiana e le cooperativedi categorie come gli impiegati statali), ed è stato influenzato da ideologie chespesso erano in netto contrasto con il movimento socialista, come quella libe-rale e quella cattolica.

Infine, l’ultimo indirizzo prevalente è quello che si concentra sull’aspettotecnico-aziendale della cooperazione. In questo modo però viene messo daparte proprio l’aspetto più significativo e di maggior importanza storica, quellodi un movimento che racchiude al suo interno degli ideali di dignità umana ecoscienza sociale e che, soprattutto, ricerca una “redenzione” sociale e politica,prima che economica. Inoltre bisogna tenere presente le difficoltà esistenti inItalia per studiare la cooperazione sul versante economico-finanziario perché«per far questo occorrerebbero vaste risorse documentarie che, allo stato at-tuale, non sono disponibili o, quando lo sono, non consentono di operare lascelta di un campione abbastanza significativo per evincere dagli studi particola-ri un modello esplicativo che si fondi su un processo di generalizzazione nonarbitrario»10.

Riassumendo, «si può dire che gli elementi che storicamente confluisconoe specificano la cooperazione italiana sono dati dalla tipicità della problematicarelativa alla formazione della società borghese-capitalistica italiana, cioè il tempoe il luogo specifico dell’accadere del fatto cooperativo, delle ideologie e degliaspetti economici, in quanto la cooperazione come idea o ideologia più esisteresolo se esiste come impresa»11. Nell’aver

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10 - G. SAPELLI, La cooperazione come impresa: mercati economici e mercato politico inG. SAPELLI (a cura di), op. cit ., pp. 253 - 349, p. 253.

11 - S. NARDI, op. cit ., p. 699.

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considerato o privilegiato uno solo di questi elementi risiede l’errore degli indi-rizzi sopra citati e la causa maggiore della situazione in cui versa la storiografiasulla cooperazione oggi in Italia.

Ad una non completamente chiara scelta metodologica fa da contrap-punto l’enorme difficoltà nella fissazione di un quadro di riferimento statisticoquantitativamente e (soprattutto) qualitativamente idoneo ad un campo di ricer-ca così ricco e stimolante.

Il problema è essenzialmente di natura “ideologica”, nel senso di unacooperazione che ha dovuto subire, fin dalle sue origini, continui attacchi (ver-bali ma anche, come nel periodo fascista, “fisici”) e tentativi di cooptazione daparte di quei settori della classe dominante desiderosi di esorcizzare a tutti i co-sti una realtà che vedevano diversa e scasamente inquadrabile all’internodell’ideologia borghese-capitalistica.

Il perché di questo “modello culturale” che cercava di “diluire” la speci-ficità e l’atipicità cooperativa annullandole nella impresa tout court era già statochiaramente individuato, un secolo fa, da uno dei masismi conoscitori e propu-gnatori della cooperazione nell’Italia liberale: Ugo Rabbeno. Secondo lo studio-so, le società cooperative di produzione

«accennavano a voler esercitare l’industria in mododiverso da quello che prevaleva e che era credutoottimo; annunciavano l’idea di voler sopprimere ilsalario e di porre la direzione [ ... ] dell’industria inmano a degli operai. Ora tutto questo turbava male-dettamente gli economisti [ ... ]. Quando in Francia sicominciò a parlare di associazioni produttive [ ... ]era l’ora delle “armonie” di Bastiat. E questo“ordinamento armonico” lo si credeva e lo si valu-tava assoluto, immutabile; e guai a chi osasse toc-carlo!»12.

E uno dei mezzi usati per “esorcizzare” l’atipicità cooperativa può essereconsiderato proprio il non aver studiato la cooperazione dal punto di vista“sociale”: in tutte le statistiche ufficiali consultate per il periodo considerato, nonesiste alcun tipo di classificazione delle società per categorie di soci, ne’ l’analisidel peso economico da loro esercitato all’interno delle singole società13.

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12 - U. RABBENO, Le società cooperative di produzione. Contributo allo studio della que-stione operaia, Milano, Dumolard, 1889, p. 445.

13 - La conferma si può trovare nel fatto che solo le statistiche riguardanti le banchepopolari contengono questo tipo di analisi: le società cardini del tentativo, caro alle classidominanti liberali, di controllare le spinte “popolari” del movimento cooperativo (cfr.infra), le società meno cooperative di tutte, sono le uniche studiate e classificate come tali!

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Ancora oggi questo modello culturale fa sentire il priprio peso ed è sicu-ramente tra le cause della mancanza di informazioni e rilevazioni unitarie dellarealtà associativa attuale14. Una mancanza che «raggiunge aspetti grotteschi»15,come la scomparsa della voce “soci” dalle statistiche ufficiali (indice evidentedella “confusione” tra società ordinarie, cioè società di capitali e, cooperative,società di persone) o la non completa conoscenza di tutte le cooperative esi-stenti in Italia16.

Ma inevitabilmente, tutti questi problemi metodologici e statistici, calatinell’ambito di una ricerca a livello locale, possono non solo assumere aspettidiversi, ma accentuarsi in rapporto a specifiche difficoltà. E questo è il casodella Capitanata. Si cercherà, perciò, di analizzare brevemente gli ostacoli in-contrati nel tentativo di delineare la storia del movimento cooperativo nellaprovincia.

Un primo ordine di problemi riguarda la periodizzazione.Se il 1875 è l’anno della fondazione della prima cooperativa della Capi-

tanata17 (tenendo presente che con la “prima” si vuole intendere quella la cuiesistenza è stata rintracciata per prima da fonti ufficiali)18, la scelta

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14 - Questo è un fatto che viene riscontrato anche a livello d’indagine ufficiale: un«elemento significativo [ ... ] è quello concernente l’estremo scoordinamento dei dati repe-ribili nel nostro paese in tema di cooperazione»: REGIONE PUGLIA. ASSESSORATOAL LAVORO E COOPERAZIONE, Indagine conoscitiva sullo stato della cooperazione inPuglia, Palo del Colle, Liantonio Editrice, 1985, p. 7.

15 - R. STEFANELLI, L'agricoltura nella crisi italiana, Roma, Editrice Sindacale Ita-liana 1974, p. 75.

16 - Si vedano, in proposito, le due statistiche ufficiali compilate a cura della Dire-zione Generale della Cooperazione presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza So-ciale: Il movimento cooperativo in Italia. Dati statistici relativi alla consistenza, alle iscrizioni e cancel-lazioni delle società cooperative nei registri prefettizi dall'anno 1951 al 1959, Roma, “La Rivistadella Cooperazione”, 1960 e Il movimento cooperativo in Italia. Dati statistici relativi alla consi-stenza, alle iscrizioni e cancellazioni delle società cooperative nei registri prefettizi dall'anno 1965 al1969, Roma, “La Rivista della Cooperazione”, 1970.

17 - Si tratta della Banca dell'Associazione Operaia di Cerignola: cfr. F. VIGANO’, Re-soconto di 160 banche popolari italiane e movimento cooperativo in Italia e all'estero del 1875, 1876 e1877, Milano, Battezzati, 1878, pp. 26-27. Sebbene delle società non si ha più notizia, inquesto caso (cfr. nota seguente) Viganò risulta essere una fonte attendibile: la Banca diCerignola era tra le “Banche notate nel Bollettino delle Banche di Credito Ordinario”.

18 - Viganò riportava una non meglio identificata società di Foggia nel suo elencodi cooperative esistenti in Italia nel 1865, ma di quella società non esistono altre notizie:l’elenco, pubblicato in F. VIGANO’, Banques Populaires, Milano, 1865, è ora riportato inW. Briganti (a cura di), Il movimento cooperativo in Italia 1854-1925, Roma-Bologna, EditriceCooperativa-Edizioni A.P.E., 1976, pp. 40-44.

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di far concludere l’ambito cronologico della ricerca allo scoppio della I GuerraMondiale è stato dettato tanto da considerazioni generali, quali la particolaresituazione creata dagli eventi bellici con tutto quello che essa ha comportatoall’interno del movimento cooperativo nazionale19, quanto (e soprattutto) daesigenze legate alla realtà locale.

Nel 1915 esistevano nella provincia 92 cooperative. La mancanza di sta-tistiche post-belliche per alcuni settori costringe a prendere in considerazionesolo le banche popolari e le cooperative di produzione e lavoro per le quali sihanno a disposizione dati quantitativi, sebbene riferiti agli inizi del periodo fasci-sta20. Ora, su 63 cooperative facenti parte dei due settori considerati esistenti nel1915, solo 23 (cioè il 36,5%) risultavano ancora in attività nel dopoguerra.

Questo alto indice di “mortalità” (il 63,5%) la dice lunga sull’azione di“cesura” cronologica svolta dalla I Guerra Mondiale: non a caso, nel primostudio ufficiale dedicato alla cooperazione nel dopoguerra, la provincia di Fog-gia non risulta mai menzionata21.

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19 - Generalmente parlando, da una parte ci fu una sempre maggiore integrazionedel movimento cooperativo con le strutture dello Stato, cosa che lo portò, in ultima anali-si, a dipendere dalle sue scelte di politica economica; dall’altra, la completa ristrutturazioneverticale della Lega Nazionale della Cooperative, attraverso la creazione delle federazioninazionali di categoria: cfr. M.S. ONOFRI, La Lega negli anni della Prima Guerra Mondiale inF. FABBRI (a cura di), op. cit ., pp. 223-248.

20 - Cfr. ASSOCIAZIONE TRA LE BANCHE POPOLARI COOPERATIVEIN ITALIA, Cenni statistici sugli istituii di credito legalmente costituiti con la forma di societàanonima esistenti nel regno al 1° gennaio 1922, Roma, 1923 e ISTITUTO NAZIONALE DICREDITO PER LA COOPERAZIONE, Annuario della cooperazione di produzione e lavoro1919-1923, Roma, 1925: i due settori rappresentavano, però, complessivamente, il 67,9%di tutte le cooperative censite nella provincia di Foggia nell’arco cronologico studiato (108su 159).

21 - Cfr. LEGA NAZIONALE DELLE COOPERATIVE. UFFICIO STATI-STICO, Il movimento cooperativo in Italia, Como, 1920. Delle altre 29 cooperative esistenti nel1915 di sicuro si può dire che 3 (2 cooperative di consumo e una distilleria cooperativa) sisciolsero per decorrenza di durata nel corso della guerra, mentre dei 9 consorzi agrari 6erano sicuramente esistenti nel periodo post-bellico: cfr. FFDERAZIONE ITALIANADEI CONSORZI AGRARI, Convegno dei consorzi agrari ed enti affini dell'Italia meridionale,Napoli, 4 ottobre 1926, pp. 7-8, p. 10.

L’uso di una fonte così “lontana” è dipeso dalla impossibilità di consultare la stati-stica stilata dalla Federazione nel 1921 (FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZIAGRARI, I consorzi agrari italiani e le società affini. Note statistiche, 1919-1920 Roma, 1921): ilvolume, infatti, non risulta nel catalogo delle due biblioteche nazionali di Firenze e Romaed è “scomparso” dalla biblioteca del Ministero di Agricoltura e Foreste. Considerandoanche i consorzi, le società in attività dopo la I Guerra Mondiale salgono a 29, cioè il 40,3%delle 72 esistenti nel 1915.

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Il secondo, e più importante, ordine di problemi riguarda le fonti. E’ quìche alle difficoltà di poter disporre, a livello nazionale, di studi statistici adeguatialla realtà cooperativa in quanto realtà sociale ed economica “diversa”, si som-mano gli enormi problemi legati alla possibilità di integrare le insufficienti fontinazionali con dati reperiti a livello locale.

Se centrale nell’analisi storica deve essere «la consistenza del movimentocooperativo sia come soci e imprese nei diversi settori, sia come entità econo-miche prodotte in rapporto alle disposizioni territoriali, al mercato e alle classisociali»22, la disponibilità di fonti alternative ed integrative diventa, a questoproposito, indispensabile alla reale conoscenza del fenomeno cooperativo nellasua integrità, del “meccanismo sociale della cooperazione”.

Da non molto tempo, gli studiosi del movimento cooperativo hannoiniziato ad usare sistematicamente il Bollettino Ufficiale delle Società per Azioni. Coope-rative (d’ora in avanti designato con la sigla BUSA) pubblicato a partire dal1883 dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio (MAIC) e, successi-vamente, da altri ministeri23. Sul BUSA sono riportati integralmente gli atti co-stitutivi (fino al 1935), i verbali o gli estratti dei verbali delle assemblee (generalie straordinarie), oltre ai bilanci di esercizio delle singole cooperative (secondo ilCodice di Commercio del 1882 infatti, le società coopertive erano soggette allestesse norme riguardanti la pubblicazione degli atti a cui erano soggette le so-cietà ordinarie).

E’ questa l’unica fonte a stampa disponibile in Italia per conoscere lastruttura interna delle cooperative, cioè la composizione sociale, e la vera naturadella loro attività, spesso non chiaramente individuabile dalla denominazioneufficiale, cioè, in ultima analisi, la collocazione all’interno dell’economia e dellasocietà.

C’è, poi, il tentativo di recuperare il patrimonio archivistico statale.All’Archivio Centrale di Stato e a quelli provinciali e comunali, si sono affiancatigli archivi dei Tribunali, prinicipalmente il “Registro delle Imprese” tenuto pres-so la Cancelleria Commerciale, gli archivi delle

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22 - S. NARDI, op. cit ., p. 708.23 - Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio (1883-1920), Ministero

dell’Economia Nazionale (1925-1929), Ministero delle Corporazioni (1929-1943), Ministe-ro dell’Industria, del Commercio e del Lavoro (1944-1946) e Ministero del Lavoro e dellaPrevidenza Sociale (1947-).

Il BUSA presenta due lacune: 1921-1924 e 1943-1944.

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Camere di Commercio e gli archivi del Ministero del Lavoro, principalmentelo “Schedario Generale della Cooperazione” presso l’Ufficio Provinciale delLavoro e della Massima Occupazione - Sezione Cooperative.

La possibilità di disporre di tutte le fonti citate rappresenta l’unico modoper arrivare ad avere un quadro abbastanza completo delle singole cooperativee del loro rapporto con le diverse realtà interne ed esterne, anche se spesso que-sto quadro risulta statico come, ad esempio, la distribuzione dei soci per cate-gorie, conosciuta solo all’atto costitutivo e non durante tutto l’arco di vita dellasocietà.

Si comprende così quali tipi di problemi possono sorgere quando qual-cuna di queste fonti viene a mancare. E’ questo il caso della provincia di Foggia.Il censimento del movimento cooperativo in Capitanata è stato effettuato pres-soché interamente con i dati desunti dal BUSA. Non è stato possibile, infatti,consultare, tra le fonti integrative più importanti, né lo “Schedario Generaledella Cooperazione”, né il “Registro delle Imprese”24, mentre una parte rile-vante del “Fondo Prefettura” dell’Archivio di Stato di Foggia (d’ora in avantidesignato con la sigla ASF) è andata persa a causa degli avvenimenti bellici.Questo ha comportato l’impossibilità, da una parte, di verificare o integrarealcune lacune nei dati del BUSA e di conoscere, per la maggior parte delle co-operative, la data esatta di cessazione dell’attività (non sempre facilmente indivi-duabile, neanche per mezzo del BUSA), dall’altra di ricostruire il tipo di rap-porto che le società avevano instaurato con i pubblici poteri, ricostruzione cheper le cooperative di produzione e lavoro sarebbe stato possibile effettuarepartendo dalla consultazione del Registro Prefettizio, al quale la legge li obbli-gava ad iscriversi per poter partecipare agli appalti pubblici.

Con lo sfoglio di alcuni giornali locali e con i pochi dati reperiti pressoASF si è cercato di sopperire ad alcune di queste mancanze. Quello che ne vie-ne fuori è, nonostante tutto, un quadro che permette di valutare con una qual-che “tranquillità” il peso e il ruolo che il movimento cooperativo ha avutoall’interno della realtà locale.

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24 - Chi scrive ha fatto numerosi tentativi, diretti o indiretti, presso gli uffici co m-petenti per cercare di avere visione delle fonti suddette e, per un motivo o per l’altro, ne haricevuto sempre risposta negativa.

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2. LA COOPERAZIONE IN CAPITANATA (1875-1915): ANALISIDELLE STRUTTURE ASSOCIAZIONISTICHE

Sin dalla nascita, il movimento cooperativo in provincia di Foggia si ècontraddistinto per il suo carattere di “atipicità”, rispetto non solo alla relatànazionale ma anche a quella regionale. Infatti, se furono cooperative di consu-mo le prime società ad essere costituite tanto in Italia (il Magazzino di Previdenzadell’Associazione Generale degli Operai di Torino è del 1854) quanto in pro-vincia di Bari25 e di Lecce26, in Capitanata la cooperazione prese subito la for-ma di credito popolare e cooperativo.

Questo non rappresenta solo un fatto simbolico. La conferma si ha ana-lizzando la Cronologia delle Società cooperative esistenti in Capitanata secondo l'anno difondazione: 1875-191527: sui 34 comuni interessati alla nascita di una realtà coope-rativa, in ben 24, cioè nel 70,6% dei casi, la pirma società a sorgere fu una ban-ca popolare, una percentuale che sale al 76,5% considerando le 2 casse rurali e,quindi, il settore del credito popolare e cooperativo nel suo complesso.

Si può parlare, perciò, di una vera e propria “polarizzazione” del movi-mento cooperativo foggiano intorno al settore del credito, una polarizzazioneche risulta sorpattutto nel periodo delle origini e in rapporto ad altre realtà re-gionali:

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25 - «Già nell’ottobre del 1861 era sorta a Bari, per iniziativa dell’Associazione Fi-lantropica degli operai baresi, società promossa dai mazziniani, un magazzino di consu-mo annesso ai locali della stessa associazione»: E. MAZZOCCOLI, Appunti sul processo diformazione del movimento cooperativo nel Barese (1861-1908) in “Movimento Cooperativo”,Anno VIII, n. 3-4, maggio-giugno-luglio-agosto 1962, pp. 306-330, p. 307.

26 - La prima società di cui si ha notizia, nel 1870, è un magazzino cooperativo aBrindisi: cfr. C.G. DONNO, Mutualità e cooperazione in Terra d’Otranto (1870-1915), Lecce,Milella, 1982 (d’ora in avanti DONNO), pp. 62-63.

27 - Cfr. APPENDICE II

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Ma se tecnicamente le banche popolari erano cooperative (ammetteva-no, infatti, il “voto per testa” e non per azioni), esse hanno rappresentato, nellastoria del movimento cooperativo italiano, una “rottura” rispetto alle esigenzeche spingevano generalmente gli strati più deboli e più poveri della società adassociarsi tra loro. Vero e proprio coagulo delle iniziative portate avanti dallaborghesia liberale per incanalare le istanze presenti nel movimento cooperativoin un disegno di equilibrio socio-politico generale, il credito popolare andòsempre più specificando il proprio come un ruolo di “rastrellamento” dellerisorse che potessero servire a consolidare una borghesia in ascesa29.

Perciò, si è preferito analizzare i due settori più strettamente popolari, iquali permettono di mettere in evidenza la peculiarità di un movimento coope-rativo poco sviluppato e, in ultima analisi, arretrato.

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28 - Fonte: BUSA per FOGGIA e DONNO, p. 65 per Lecce. Si tenga presente cheil termine iniziale per Foggia è il 1875, mentre per Lecce è il 1885.

Per la distribuzione geografica nella provincia di Foggia, cfr. APPENDICE III.29 - Secondo Rabbeno, lo sviluppo delle banche popolari aveva rappresentato un

fattore ostacolante o ritardante (seppure indirettamente) della nascita delle cooperative diconsumo: cfr. U. RABBENO, La cooperazione in Italia. Saggio di sociologia economica, Milano,Dumolard, 1886, pp. 23-25.

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LA COOPERAZIONE DI CONSUMO

Prima di tutto, bisogna sottolineare il ritardo del suo apparire nella pro-vincia30. E’ in questo caso, più che in ogni altro, si può trovare confermaall’ipotesi di uno stretto rapporto tra strutturare associazionistiche precedenti enascita del movimento cooperativo.

Dal Magazzino di Previdenza di Torino, la cooperativa di consumo è stataspesso diretta emanazione delle Società di Mutuo Soccorso31 che cercarono,anche attraverso essa, di costruire le prime “reti protettive” in un periodo in cui,soprattutto in alcune zone dell’Italia settentrionale, l’incipiente sviluppo capitali-stico iniziava a far sentire le sue contraddizioni.

Ma, proprio un tessuto mutualistico ed associativo “forte” mancava inCapitanata, anche se quello esistente era abbastanza diffuso geograficamente32.La conferma si ha soprattutto dall’analisi delle singole SMS fatta da FrancoMercurio: in nessuna società da lui studiata, i dati a disposizione riferiscono ditentativi di impiantare magazzini di previdenza o di consumo33.

Comunque, le prime statistiche ufficiali sulle società cooperative di con-sumo in Italia fotografavano, per la Puglia, una situazione di scarca consistenzanumerica:

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30 - La prima cooperativa di consumo in Capitanata fu la Società Cooperativa di Con-sumo sorta a Vico del Gargano nel 1892: cfr. BUSA.

31 - D’ora in avanti denominate con la sigla SMS32 - Al 1885, già 44 comuni (su 53, l’83%) avevano visto sorgere una SMS: cfr. F.

MERCURIO, Le organizzazioni proletarie di Capitanata. Dalle Società di Mutuo Soccorso ai FasciOperai in “La Capitanata”, n. 1-6, gennaio-dicembre 1978-1979, parte prima, pp. 139-200,Tav. 1, p. 145.

33 - Cfr. ibid: questo poi non vuol dire che non vi furono cooperative di consumocreate da SMS, ma vuole solo essere l’indicazione di una tendenza generale.

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NOTE:

(a) Per le società di Foggia, cfr. BUSA.(b) Un società aveva cessato l’attività per delibera dei soci, mentre un’altra, fon-

data nel 1893, aveva funzionato solo per pochi mesi.(c) La società di Gallipoli, fondata nel 1889, aveva cessato l’attività per aver

esaurito il capitale in imprese arrischiate.(d) al 31/12/1893.(e) 2 erano agricole.

La provincia di Foggia era quella in cui la cooperazione di consumo nonsolo era meno sviluppata, ma anche dal punto di vista economico partiva inritardo.

Nonostante la forzatura metodologica, è sembrato utile mettera a con-fronto due bilanci d’esercizio delle uniche società di consumo legalmente rico-nosciute in Puglia: da una parte quello al 31/12/1888 della Società dei MagazziniCooperativi di Gallipoli (Lecce) e, dall’altra, quello al 31/12 1892 della Società Co-operativa di Consumo di Vico del Gargano:

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34 - Elaborazione su dati tratti da MAIC. DIREZIONE GENERALE DELLASTATISTICA, Sulle associazioni cooperative in Italia. Saggio statistico, Roma, 1890 e IDEM,Società cooperative di consumo al 31 dicembre 1895, Roma, 1897.

Nel 1895 esistevano, in tutt’Italia, 1013 cooperative di consumo: ibid.

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La debolezza economica della cooperativa di Vico era evidente: le279,50 lire versate rappresentavano solo il 18,3% dell’intero capitale sottoscrit-to, che ammontava a L. 1522.50. Ma è il bilancio successivo a svelare la debo-lezza della società: se da un lato il versato rappresentava ancora una quota mi-nima di quello sottoscritto (291 lire su di un totale di L. 1450), dall’altra la co-operativa aveva già accumulato un disavanzo di 238,47 lire. Non solo, ma dalbilancio risulta una somma molto elevata, per le condizioni economiche dellasocietà, da avere da debitori per merci a credito (1786,55 lire)36: non può me-ravigliare, perciò, che l’Assemblea straordinaria del giugno 1897 votòall’unanimità lo scioglimento anticipato della società, a causa della perdita dioltre la metà del capitale sottoscritto37.

L’analisi delle 22 cooperative di consumo per le quali si dispone dellostatuto (sulle 23 censite)38 permette di evidenziare quella che può essere

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35 - FONTI: per Gallipoli, cfr. MAIC. Sulle associazioni. cit.: per Vico cfr. BUSA,Anno XI (1893), fasc. XI, pp. 299-300: per la compilazione della tabella si è utilizzato loschema del MAIC.

36 - Cfr. BUSA, Anno XIII (1895), fasc. XII, p. 238.37 - Cfr. BUSA, Anno XV (1897), fasc. XXXV, pp. 55-57: stranamente, però, la

cooperativa risultava ancora censita in LEGA NAZIONALE DELLE COOPERATIVEITALIANE [LNCI], Statistica delle società cooperative esistenti nel 1902, Milano, 1903, pp.120-121.

38 - La Società Cooperativa di Consumo di Margherita di Savoia risulta solo nell’elencodelle cooperative esistenti nel 1915 in LNCI, Annuario statistico 1916 delle società cooperative

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considerata la caratteristica maggiore della cooperazione di consumo in Capita-nata: l’estrema varietà dei sistema di vendita applicati dalle diverse società.

Per una cooperativa di consumo il tipo di sistema usato è un dato asso-lutamente rilevante. L’adozione di uno o dell’altro, può essere una chiave inter-pretativa della reale natura della società, della sua forza e della sua debolezza.Ecco come effettuavano la vendita le cooperative di consumo della Capitanata:

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esistenti in Italia escluse quelle che hanno per scopo prinicipale l'esercizio del credito, Como , 1917[d’ora in avanti LNCI, Annuario 1916].

39 - Manca la Società di Previdenza con Magazzino Cooperativo di S. Severo, la quale erapiù specificatamente una cooperativa mista di consumo.

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Bisogna sottolineare essenzialmente due caratteristiche: da una parte unasola cooperativa, i Magazzini Cooperativi di Consumo di Monte S. Angelo, utilizzavaper intero il “sistema rochdale”40; dall’altra la bassa percentuale (il 33,3%) dicooperative che applicava il ristorno, cioè la distribuzione degli utili in ragionedegli acquisti effettuati, uno dei mezzi più importanti per rafforzare tanto i le-gami tra i soci e la cooperativa, quanto la stabilità della base sociale.

Analizzando la cooperazione di consumo in Capitanata, tanto il sistemarochdale quanto il ristorno sono stati usati come “indici di modernità” dellesingole società e del settore nel suo insieme. Ora, questo è totalmente vero soloin teoria, nella pratica applicazione un pò meno. Ma, in generale, se il ristornoera (ed è) uno dei criteri alla base della diversità della società cooperativa ri-spetto quella ordinaria in quanto consente ai soci di realizzare «un vantaggioeconomico in ragione essenzialmente del volume di “occasioni di incremento”rispettivamente fornito all’impresa [ ... ]»41, quello rochdale era un sistema cheaveva bisogno di essere verificato caso per caso, in base alle singole realtà locali.O, per dire meglio, il sistema rochdale da solo non garantiva una maggiorestabilità della base sociale o un legame più stretto tra i soci e la cooperativa.

Il caso dei Magazzini Cooperativi di Consumo di Monte S. Angelo è, a questoproposito, illuminante.

Istituita nel 1900 dalla Società Mista di Mutuo Soccorso “Principessa Elena” lasocietà era, in effetti, una via di mezzo tra la cooperativa di consumo di tipo“piemontese”42 e la cooperativa rochdaliana. Se da una parte, infatti, ammette-va come soci effettivi solo quelli della SMS, stabiliva che il presidente di questadoveva essere anche presidente della

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40 - Dal nome della cittadina inglese dove, nel 1844, nacque la prima cooperativa diconsumo, il sistema prevedeva le vendite a prezzi correnti ed aperte a tutti, mentre gli utilierano divisi in due parti, l’una a pagare gli interessi agli azionisti, l’altra distribuiva agliacquirenti in proporzione degli acquisiti fatti.

41 - P. VERRUCOLI, La società cooperativa, Milano, Giuffrè, 1958, p. 64.Bisogna considerare che sebbene non realizzi una perfetta giustizia retributiva, il ri-

storno non attua nessun tipo di criterio capitalistico: proprio per questo motivo,l’impronta più o meno “capitalistica” della cooperazione può derivare da sistemi legislativiin cui sia o non contemplato: cfr. ibid. pp. 75 e ss.

42 - Le sue caratteristiche maggiori erano la vendita a prezzo di costo e ai soli soci,la devoluzione degli utili alla società operaia madre e una forte presenza di soci onorari.

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cooperativa e assegnava il 5% degli utili alla società madre, dall’altra una partedegli utili, seppur minima (solo il 10%), veniva distribuita in ragione degli acqui-sti43.

Ma, analizzando meglio la struttura della società ed il suo corpo sociale,si scopre che essa aveva poco del magazzino di consumo creato per difenderele deboli economie di ceti popolari minacciate dal carovita e dagli speculatori.Tra i 41 soci che si costituirono, tutti “gentiluomini, possidenti ed artigiani”, vierano alcuni esponenti della ricca borghesia cittadina (5 professionisti, 2 possi-denti e un sacerdote), una borghesia strettamente collegata con le autorità loca-li44. Il capitale della società, formato da 371 azioni sottoscritte, era praticamentetutto nelle mani di poci soci: basti pensare che 9 persone possedevano 255azioni, il 68,7% dell’intero capitale, mentre 25 soci avevano sottoscritto meno di10 azioni.

Il dato è molto significativo soprattutto perché lo statuto, da una parte,assegnava al capitale un dividendo molto alto, il 60% (come alto era il numeromassimo di azioni, 200), dall’altra stabiliva la non eleggibilità di tutti quei sociche avessero sottoscritto meno di 25 azioni. Considerando che solo 9 soci go-devano delle caratteristiche previste dallo statuto, si comprende bene come la“teoricamente” più moderna cooperativa di consumo della Capitanata fosse inrealtà una società nata per gli interessi di un ristretto nucleo di ricca borghesia45.

Ma il dato sicuramente più interessante che emerge dallo studio della co-operazione di consumo in Capitanata è quello che riguarda la concentrazione,non tanto quantitativa quanto piuttosto qualitativa, di due nuclei di società concaratteristiche di classe in due zone opposte (geograficamente ed economica-mente) della provincia, l’analisi dei quali fornisce uno spaccato molto significati-vo del movimento cooperativo foggiano.

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43 - Cfr. Atto costitutivo in BUSA. Anno XIX (1901), fasc. XII, pp. 149-157.Per le notizie che seguono, cfr. Statuto ibid, pp. 151-157.44 - «Ieri sera coll’intervento delle autorità cittadine e gran numero di soci ebbe

luogo l’inaugurazione della nuova sede della Società di Mutuo Soccorso “ReginaElena”»:“Il Foglietto”, Anno III - n. 167, 1 marzo 1897.

45 - La cooperativa ebbe vita breve. L’ultima rilevazione statistica che la dava peresistente era quella della Lega del 1902 (LNCI, Statistica... cit... pp. 120-121): non compa-rendo nella statistica MAIC del 1906, si può dedurre che la società si sia sciolta tra il 1904 eil 1906, dato che nell’Archivio Comunale di Monte S. Angelo sono contenute alcune“notizie sulla Cooperativa di Consumo” riportanti la data del 1904. Purtroppo la lorovisione non è stata possibile: il pessimo stato degli archivi comunali di alcuni tra i maggio-ri centri della provincia di Foggia ha rappresentato, un ulteriore ostacolo ad una conoscen-za più completa del movimento cooperativo in Capitanata.

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La zona dove la cooperazione di consumo attecchì maggiormente fu ilSubappennino. Sono qui, infatti, gli unici 4 comuni della Capitanata (Carlantino,Celenza Valfortore, S. Marco La Catola e Volturara Appula) in cui la primacooperativa a sorgere fu una società di consumo, una percentuale dell’11,8 ri-spetto ai 34 comuni interessati alla nascita di una cooperativa e che rappresental’unica nota di diversità nella cronologia di un movimento cooperativo netta-mente dominata dalle banche popolari (cfr. APPENDICE II). Non solo, ma inquesti 4 comuni le società di consumo rappresentarono anche l’unica realtà co-operativa a sorgere.

Costituite tra il 1902 e il 1913, le 6 cooperative del Subappennino (alle 4citate nella Cronologia bisogna aggiungere la cooperativa di Deliceto e un’altrasocietà sorta a Celenza Valfortore nel 1911) furono la conseguenza diretta diuna situazione economico-sociale molto particolare, ben fotografata da Presuttinell’Inchiesta del 1909. Proprio qui

«Quantunque, per il fatto che domina il piccolo af-fitto e che si estende sempre più la piccola priprietàcoltivatrice, non vi sia un terreno propizio alle Leghedi resistenza, il contadino tende più che in passato ad asso-ciarsi»

Non può meravigliare, perciò, se«Principalmente nei paesi di emigrazione […] in pro-vincia di Foggia [...] si sono sviluppate [...] cooperati-ve di consumo tra contadini»46

La loro caratteristica maggiore era quella di essere promosse dalle legheo dai circoli socialisti locali, unico esempio (con le cooperative di S. GiovanniRotondo, che rappresenta l’altra zona da analizzare: cfr. infra) di società di con-sumo con una certa fisionomia di classe, anche se a volte delineata più a livellodi composizione sociale che di strutturazione della società.

Soprattutto 2 sono le cooperative su cui è opportuno soffermarsi bre-vemente.

Una è la Cooperativa di Consumo Sempre Avanti, sorta a Deliceto nel 1904 epromossa dalla locale Lega dei contadini e dal Circolo Socialista47.

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46 - Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Si-cilia, Vol. III, Le Puglie, Tomo I, Relazione del Delegato Tecnico Prof. Errico Presutti,Roma, 1911 [d’ora in avanti PRESUTTI], p. 545: il corsivo è mio. Carlantino (1851 abi-tanti), Celenza Valfortore (3491 abitanti), S. Marco La Catola (4229 abitanti) e VolturaraAppula (2649 abitanti) avevano una percentuale di emigrazione nel 1907 che era, rispetti-vamente, del 7.18 del 4.07, del 4.21 e del 7.78, tra le più alte della provincia (Carlantino eVolturara rappresentavano i due comuni con maggiore emigrazione): cfr. ibid., pp. 650 ess.

47 - Cfr. Atto costitutivo in BUSA, Anno XXII (1904), fasc. XLIX, pp. 149-162.

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La società aveva caratteristiche di classe molto accentuate e dovette nascere so-prattutto come strumento ausiliario dell’attività della Lega. I 144 contadini chesi costituirono, infatti, si erano dati uno statuto in cui soci della cooperativa po-tevano essere solo gli iscritti alla Lega e al Circolo, ben il 15% degli utili eranoriservati alla “propaganda e peraltro miglioramento del proletariato” e in cuiuna norma contemplava l’espulsione di quei soci che avessero acquistato più diuna volta merci per persone estranee alla cooperativa48.

L’altra è la Società Anonima Cooperativa di Consumo di S. Marco La Catola,l’unica per la quale si conosce la “spinta” alla nascita: secondo Presutti, infatti, lacooperativa fu costituita dai contadini per rompere la coalizione dei venditoricomunali che mantenevano alti i prezzi49. Lo statuto non presentava particola-rità, ma il fatto di essere l’unica cooperativa di consumo del Subappennino adessere federata alla Lega Nazionale delle Cooperative, le conferisce uno statusparticolare50.

Ma, soprattutto a S. Giovanni Rotondo la cooperazione di consumoebbe la capacità di mobilitare i ceti popolari intorno a società con caratteristichedi classe molto accentuate.

Nel comune del Tavoliere, su 4 cooperative costituite, ben 3 erano co-operative di consumo, la cui caratteristica comune era la filiazione diretta dallaLega o dal Circolo Operaio e la composizione sociale assolutamente popolare.Basti pensare che sui 166 soci complessivi che si costituirono nelle tre società trail 1904 e il 1908, ben 148 (l’89,1%) appartenevano alla classe lavoratrice: 87 era-no i lavoratori rurali (83 contadini 1 piccolo agricoltore 1 bracciante e 2 pasto-ri), mentre 61 erano lavoratori urbani51

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48 - Cfr. Statuto ibid, pp. 152-160.49 - Cfr. PRESUTTI, p. 545. Secondo l’atto costitutivo, su 90 soci i lavoratori agri-

coli erano 74, di cui 71 coloni, 2 contadini (tira cui una donna) e 1 bracciante: cfr. BUSA,Anno XX (1902), fasc. XL, pp. 3-11.

50 - Cfr. APPENDICE V.51 - Cfr. Atti costitutivi in BUSA: Cooperativa di Consumo (1904), Anno XXII

(1905) fasc. VII, pp. 3-9; Cooperativa di Consumo e Previdenza (1906), Anno XXIV (1906)fasc. XXXVI, pp. 196-206; Unione Cooperativa fra Operai e Contadini (1908), Anno XXVI(1908), fasc. XLIV, pp. 58-70. A questa cifra vanno aggiunti i 9 piccoli negozianti (fornai,macellai), mentre i rimanenti 5 soci erano così distribuiti: 2 guardiani, 2 orefici, 1 sacerdote.

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Come si può vedere, l’elemento borghese era del tutto assente nelle co-operative di S. Giovanni Rotondo, dato che le rendeva le più schiettamentepopolari dell’intero settore di consumo della Capitanata. Gli statuti sancivanochiaramente questo carattere, e vale la pena analizzarli (brevemente) uno peruno.

La Cooperativa di Consumo fu la prima ad essere costituita. Nata nel 1904presso la Lega di resistenza dei contadini, ammetteva come soci solo contadini edoperai, aveva un taglio azionario bassissimo (L. 3) e non ammetteva la delegaper le assemblee. La vendita era fatta ai soli soci e a scopo di beneficenza perpoter usufruire delle disposizioni legislative che esentavano dal dazio consumole cooperative con scopi simili, mentre il ristorno era applicato ai 2/3 degli utili.

La società, alla scadenza dei 10 anni previsti, si ricostituì nel maggio 1914,con uno statuto che presentava due novità di rilievo: da una parte la base so-ciale veniva allargata anche alle “altre classi povere”, dall’altra scompariva il ri-storno, sostituito da una completa destinazione degli utili alla riserva52.

La Cooperativa di Consumo e Previdenza del 1906 era quella che aveva sotto-scritto il programma più ambizioso. Costituita da 28 lavoratori urbani presso ilCircolo Operaio, aveva come scopo principale la “mutua beneficienza” macontemplava anche sussidi giornalieri per i soci ammalati (riconosciuti bisognosidal Consiglio d’Amministrazione e alla condizione di essere abituali consumato-ri dei magazzini sociali) e la formazione di fondi di previdenza e di pubblicautilità. Il corpo sociale era circoscritto ai soli abitanti del comune purché «ritrag-gono dal proprio lavoro il loro sostentamento» e, per garantire una maggiorepartecipazione alla vita sociale, non era ammessa la delega per le assemblee. Acompletare la fisionomia, per così dire, “difensivistica” della società, si erano ledisposizioni che assegnavano l’80% degli utili al “Fondo Previdenza”, un fondoche, al principio previsto solo per i soci bisognosi o ammalati, sarebbe diven-tato godibile da parte di tutti i soci una volta rafforzata economicamente lasocietà53.

Ma l’ambizioso progetto non deve essere stato attuato. Costituitasi conun capitale sottoscritto di L. 840 di cui il versato ammontava a sole L. 140, lacooperativa ancora nel 1910 aveva L 516 di capitale versato, mentre

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52 - Cfr. BUSA, Anno XXXII (1914), fasc. XLIV, pp. 112-114.53 - Cfr. Statuto in Atto costitutivo cit., pp. 197-205.

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risultava l’unica delle 6 Cooperative censite nella provincia di Foggia per laquale non si disponeva dei dati delle vendite durante l’anno54 .

L’ultima in ordine di costituzione fu la Unione Cooperativa fra Operai e Con-tadini, costituita da 102 soci nel 1908 presso la Lega Popolare di Miglioramento.Nessuna disposizione statuaria era prevista per delimitare il corpo sociale, anchese tutto andava in quella direzione: la presenza di azioni di piccolo taglio (L. 2),il visto del Presidente della Lega per essere ammesso come socio, la preferenzadata ai piccoli sottoscrittori (i grandi avrebbero potuto sottoscrivere azioni solodopo l’esaurimento della potenzialità economica degli azionisti minori). Il colle-gamento con la Lega, era sancito a livello ufficiale con la norma che ammettevadi diritto a far parte della cooperativa il Presidente e il segretario della Legastessa55.

Il carattere popolare della cooperazione di consumo di S. GiovanniRotondo è un dato acquisito. Resta da verificare poi, quanto realmente questesocietà incidessero sulla realtà economica locale, così come sarebbe molto inte-ressante poter analizzare il ruolo economico avuto dalle cooperative di consu-mo nell’area subappenninica in presenza di una realtà sociale particolare. I dati adisposizione non lo consentono. Si può solo sottolineare, a conferma dellascelta fatta, che le 5 società per le quali disponiamo di dati al 1905 appartengo-no tutte alle 2 zone analizzate56.

Quello che, invece, i dati consentono di affermare è tanto una scarsaconsistenza numerica quanto (e soprattutto) una “debolezza” economica dellacooperazione di consumo in Capitanata, come emerge dall’analisi della situa-zione regionale:

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54 - Cfr. MAIC. ISPETTORATO GENERALE DEL CREDITO E DELLAPREVIDENZA, Elenco delle società cooperative legalmente costituite esisenti nel Regno al 31 di-cembre 1902 escluse quelle che hanno per oggetto principale l'esercizio delle assicurazioni e del credito,Roma, 1904, p. 64.

55 - Cfr. Statuto in Atto costitutivo cit., pp. 61-69.56 - Cfr. LNCI, Annuario 1916, pp. 786-787. Le società esistenti erano: L’Avvenire di

Carlantino, la Fratellanza di Celenza Valfortore, la Società Anonima Cooperativa di Consumo diS. Marco La Catola e due di S. Giovanni Rotondo, l'Unione Cooperativa fra operai e contadini ela Cooperativa di Consumo.

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57 - MAIC. DIREZIONE GENERALE DEL CREDITO E DELLA PREVI-DENZA, DELLA COOPERAZIONE E DELLE ASSICURAZIONI SOCIALI, Societàcooperative legalmente riconosciute esistenti nel Regno al 31 dicembre 1910 escluse quelle che hanno perscopo principale l’esercizio del credito, Roma, 1911, pp. CIV-CV.

58 - Cfr. LNCI, Annuario 1916, p. 1317.

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Ma non basta. Solo cinque anni dopo, caso unico in tutta la regione, la situazioneeconomico-finanzi aria era peggiorata:

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LA COOPERAZIONE DI PRODUZIONE E LAVORO

I dati sulla costituzione delle cooperative di produzione e lavoro in Ca-pitanata confermano chiaramente la tendenza generale generalmente riscontrataa livello nazionale: nato tardi rispetto agli altri tentativi cooperativi delle classipopolari, il settore si sviluppò enormemente a partire dall’inizio del periodogiolittiano, periodo in cui le condizioni politico-economiche generali eranomolto favorevoli allo sviluppo della cooperazione59. Non solo, ma l’azionenormativa di Giolitti, che si esplicò nei riguardi della cooperazione soprattuttocon le importantissime leggi del 1909 e del 191160, creò nuove condizioni dicrescita dando nuova spinta al settore.

Per la Capitanata tutto questo sembra essere ancora più vero, soprattuttoconsiderando che la debolezza delle strutture associazionistiche cooperativeesistenti rendeva spesso necessari intenventi “esterni” a favorirne la crescita. Siconsideri la distribuzione delle cooperative di produzione e lavoro nella pro-vincia secondo l’anno di costituzione:

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59 - Cfr. A. PEPE, La cooperazione in età giolittiana (1900-1914) in F. FABBRI (a cu-ra di), op cit ., pp. 119-222.

60 - La legge 25 giugno 1909, n. 422 sanciva la possibilità per le cooperative di pro-duzione e lavoro di riunirsi in consorzi (ai quali era riconosciuta la personalità giuridica)per l’assunzione di appalti sino a 2 milioni di lire.

Il R.D. 12 febbraio 1911, n. 278 rappresentava il nuovo regolamento delle coopera-tive e dei consorzi. Tra le norme più importanti, l’introduzione di uno dei principi cardinedel cooperativismo, quello della “porta aperta”, ossia la garanzia e la tutela offerta a terzi,che avessero i requisiti per entrare a far parte della società, di poter partecipare alla societàstessa.

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La tabella non ha bisogno di spiegazioni, con il 80,9% di tutte le coope-rative della provincia che si costituirono dopo 1908. Ma il dato più significati-vo, a conferma della spinta data dalle disposizioni legislative giolittiane, è quelloche considera le cooperative costituitesi dopo il 1911: ben 36 società (l’88,6%delle 44 costituite dopo il 1909), infatti, vennero fondate tra il 1912 e il 1915,con una percentuale sul totale delle cooperative di produzione e lavoro censitenell’arco cronologico considerato del 52,9%62.

Sarebbe necessaria, perciò, l’esatta conoscenza dei “rapporti pubblici” in-staurati dalle cooperative di produzione e lavoro. Ma, a questo proposito, ladisponibilità dei dati è veramente sconfortante: per l’intero settore della provin-cia di Foggia (68 società) è stato possibile rintracciare notizie solo

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61 - Fonte: BUSA.Per le categorie, cfr. APPENDICE I.62 - Per la distribuzione geografica Cfr. APPENDICE IV. Anche nel leccese è il pe-

riodo 1908-1914 quella di maggior sviluppo: Cfr. DONNO, pp. 70 e ss.

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sulla concessione di un appalto, mentre si dispone di informazioni generali o diseconda mano per 4/5 casi. Si cercherà, comunque, con una (evidente) forzatu-ra metodologica, di azzardare qualche ipotesi interpretativa generale.

Il ritardo con cui la cooperazione di produzione e lavoro prese piede inCapitanata non fu solo un fatto cronologico. Fino al 1908, nonostantel’esistenza di un discreto numero di cooperative localizzate principalmente neigrossi centri del Tavoliere (cooperative di muratori, soprattutto, si contavano aFoggia, Cerignola, Manfredonia e S. Severo), il settore nel suo complesso nonsembra avere nell’economia generale della provincia alcun peso. Nella arretra-tezza dell’Italia meridionale e nella Puglia in particolare, la Capitanata spiccavaper assenza:

Ma, partendo dall’analisi dell’unico appalto concesso ad una cooperativaper il quale si dispone di notizie complete, si cercherà di inquadrare il ruoloavuto dalla società di produzione e lavoro nella provincia.

La cooperativa per la quale esiste la documentazione è L’Edilizia di S.Severo, una società che si costituì nel 1908 tra 15 muratori con lo scopo di

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63 - Cfr. M. DEGL’INNOCENTI, Storia della cooperazione in Italia. La Lega Nazio-nale delle Cooperative 1886-1925, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 213-215: l’importo degliappalti delle cooperative pugliesi rappresentava soltanto lo 0,1% di quello totale perl’Italia, che ammontava a L. 56.467.419,72, concentrato per l’86,2% nelle regioni setten-trionali.

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«unire i lavoratori perché assumano direttamente le imprese edilizie»64. Ameno di un anno dalla sua fondazione, nel marzo 1909, in seguito a trattativaprivata firmava un contratto con il comune di S. Severo per la sistemazione diP.zza Bruno (una piazza centrale delle città) e delle strade adiacenti.

Quello che va subito sottolineato è, però, il fatto che la società era ri-uscita ad aggiudicarsi l’appalto (del valore di lire 10.101,97) solo ricorrendo alribasso del 10% e rinunciando al 10% assegnato per i lavori commissionati mache il comune si riservava di non eseguire.

I lavori, iniziati nell’aprile, subirono un certo ritardo per cause che lo stes-so Comune valutò indipendenti dalla cooperativa (e lo indussero a non applica-re le sanzioni previse dalla legge), come, ad esempio, nel caso dello spargi-mento del brecciame usato per completare la massicciata, prorogato a causadelle forti piogge.

Al termine dei lavori poi, nel maggio 1910, lavori valutati «generalmentebuoni», la cooperativa ricevette come utili finali la somma di lire 1642,4665.

Non si dispone dei dati per gli altri due appalti concessi nella provinciadi Foggia dei quali si hanno notizie: uno era stato concesso alla Cooperativa diMuratori per Imprese di Costruzioni di Ascoli Satriano e riguardava la manutenzionedi tre strade esterne comunali per il quinquennio 1911 - 1915, l’altro interessavai lavori di sistemazione di P.zza Umberto I di Candela ed era stato affidato allalocale Società Anonima Cooperativa di Costruzione tra Capi-Mastri, Manovali e Affini66.Sicuramente però non dovevano essere stati i soli: tra il 1910 e il 1912l’amministrazione dei lavori pubblici concesse due appalti a cooperative nellaprovincia di Foggia per un ammontare complessivo di lire 335.352,6067.

Non è possibile, perciò affermare se il ribasso d’asta fosse una“necessità” generalizzata. Certo è che anche in un altro caso conosciuto, la già

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64 - Cfr. Statuto in Atto costitutivo in BUSA, Anno XXVI (1908), fasc. XXXVI,pp, 46-56, pp. 47-53, p. 48.

65 - ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI S. SEVERO, Categoria X, Clas-se 1, busta XXVIII, fasc. 4.

Da notare che l’appalto per la sistemazione della piazza fu l’unico concesso nelcomune di S. Severo per il secondo semestre del 1909: Cfr. ibid, Categoria XI, Classe I, fasc.9, n. 339.

66 - Cfr. ASF. SOTTO PREFETTURA DI BOVINO (1860-1828), Busta 21, fasc.16.

67 - Cfr. M. DEGL’INNOCENTI, op. cit., p. 298: da notare che la provincia diFoggia superava quella di Bari per l’importo degli appalti ma non per il loro numero (Bariaveva 6 appalti pari a lire 158.249).

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citata cooperativa tra muratori di Candela fu costretta a licitare al ribasso68.Comunque, l’impressione generale che si ricava è quella di un intreccio tra pro-blemi legati ad una situazione economico-sociale non particolarmente favore-vole allo sviluppo della cooperazione di produzione e lavoro e “ritardi” (o li-miti) di un settore che non riusciva a proporsi come valido partner economico.

Non mancano esempi di cooperative che persero l’assunzione di lavoriper una certa incapacità di fondo di valutare determinate situazioni. Caso limite,ma senza dubbio significativo, soprattutto per le conseguenze che comportò alivello locale, fu quello della Società Cooperativa Agricola di Lavoro e Produzione “IPionieri” di Margherita di Savoia69.

Vale la pena soffermarsi un pò più a lungo sulla vicenda in quanto foto-grafa in modo abbastanza chiaro una situazione generale che, sebbene non do-vesse essere prerogativa della sola Margherita di Savoia, in quella città si dimo-strò molto favorevole alla nascita di strutture cooperative70.

A Margherita (sede di una salina regia) la raccolta del sale era affidata adun appaltatore.

«L’ingegnere Mazzolenis, direttore di questa salina,tentò di distribuire direttamente ai lavoratori le 10 epiù mila lire di utile netto che l’appaltatore intascavaannualmente sopprimendo l’appaltatore e dando aglioperai non ciò che loro ricevevano dall’appaltatore(50-55 centesimi il mc) ma ciò che l’appaltatore rice-veva dalla salina (70 cent. al mc)».

Il risultato fu che a«un appaltatore successe una quantità di appaltatori,perché la gente ignorante è abituata a subire la ca-morra e invece di trattare direttamente, si raggruppòin diverse squadre e ciascun capo squadra diventò uncottimista».

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68 - Cfr. Un appalto all'amichevole per la comodità del Signor Sindaco in “Il Foglietto”,Anno XVI - n. 1487, 23 gennaio 1913: la cooperativa, però, alla fine si ritirò dalla gara.

69 - Ecco uno dei casi più “classici” della confusione che può creare la denomina-zione delle singole società cooperative. Infatti la società, costituita nel 1910 tra 46 contadinie con uno statuto molto simile a quello delle cooperative di produzione e lavoro agricole,era in realtà una cooperativa di produzione e lavoro mista. La cosa doveva essere talmenteevidente che anche la stessa Lega non cadde nell’errore, classificandola “cooperativa mista”(categoria II, sezione XVII): Cfr. LNCI, Annuario 1916, p. 169 e pp. 788-789.

70 - Basti pensare che su 13 cooperative costituitesi nel comune di Margherita diSavoia, con Manfredonia la quarta città in Capitanata per numero di cooperative dopo S.Severo (18), Foggia e Cerignola (16 a testa), ben 11 erano cooperative di produzione e la-voro, di cui 8 classificate come miste (7.2): Cfr. APPENDICE IV.

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Quando poi si costituì la cooperativa, anch’essa chiese il suo lotto,«ma dette pessima prova, tanto vero che, ad evitareattriti fra soci, la direzione delle saline concesse (auto-rizzata dal Ministero) duecento lire in più di quelleche avevano contrattate».

Perciò, quando per il raccolto del sale nel 1912«la cooperativa chiese L. 1,30 il mc, mentre altri cot-timisti avevan chiesto L. 0,65 per i campi vicini e L.0,70 per i campi lontani [ ... ] il Ministero, trovandoesagerate le pretese della cooperativa - e ricordando-si delle colpe dell’anno scorso - ordinò che i lavorifossero dati ai migliori offerenti e la cooperativa ve-nisse esclusa».

La cosa creò parecchia tensione perché, essendo giunta da Roma la con-ferma, da parte del Presidente della cooperativa, dei lavori, si pensò ad un di-spetto del direttore, soprattutto considerando il fatto che il brigadiere dei cara-binieri non aveva letto ai soci della cooperativa la lettera dello stesso in cui eraspiegata tutta la faccenda. Ma

«ciò ignorando la cooperativa [ ... ] si fe’ indurre daquattro o cinque [ ... ] a chiedere l’impossibile e cioè:1. l’esclusività del lavoro, cioè il monopoliodell’ammassamento, per quindi obbligare gli altri chechiedessero lavoro a iscriversi alla cooperativa (equesto è antidemocratico); 2. la sospensione dei la-vori della raccolta, lavori che neanche il Ministerodelle finanze si sente in diritto di sospendere […]»71.

Come si è potuto notare, il caso di Margherita è molto emblematico.Anche in una situazione “favorevole” una cooperativa di produzione e lavorostentava a crescere: basti considerare che nel 1915 il patrimonio complessivo(capitale versato e fondo di riserva) di quattro cooperative di Margherita diSavoia (I Pionieri, G. Garibaldi, Stella d'Italia e la Società Anonima Cooperativa di La-voro tra i Figli degli Operai ai Sali) era di appena lire 2724,4072.

Ma, la “arretratezza” del settore da sola non basta a spiegare un (pre-sunto) scarso peso degli appalti e, più in generale, dei pubblici rapporti

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71- Cfr. Eccidio e sciopero ad oltranza a Magherita di Savoia in “Il Foglietto”, AnnoXV- n. 63, 22 agosto 1912. La tensione accumulatasi, però, nonostante i dirigenti dellacooperativa, accortisi dell’errore, si affrettarono a ritornare sui propri passi, scoppiò in tu-multi provocati dall’eccessivo “zelo” delle guardie di finanza preposte alla sicurezza dellesaline. La violenza degli scontri provocò, poi, l’immediata reazione della popolazione cherispose con lo sciopero generale.

72 - Cfr. LNCI, Annuario 1916, pp. 788-789.

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nella vita della cooperazione di produzione e lavoro. La questione, infatti, inve-stiva tutta una serie di responsabilità non tanto (o non solo) a livello nazionale73,ma quanto soprattutto a livello locale, a livello di quella «borghesia di Capita-nata che è un anacronismo, un feroce, anacronismo, anche il Medioevo arrossi-rebbe di lei!»74.

Gli ostacoli frapposti alla cooperazione da parte di una borghesia desi-derosa di contrastare o, dove questo non era possibile, di controllare le formeautonome di organizzazione delle classi popolari, non rappresenta certo unanovità. Ma questa “contrapposizione” faceva sentire maggiormente il suo pesoproprio nelle zone in cui queste forze autonome facevano fatica ad impiantarsi.La Capitanata era senza dubbio una di queste zone.

I modi di intervento erano parecchi. Ad Ascoli Satriano, per esempio,dove la locale cooperativa di muratori aveva «saputo co’ soli suoi mezzi prov-vedere alla disoccupazione ond’è travagliata la classe lavoratrice [ ... ], eseguen-do parecchi lavori ed occupando in essi il maggior numero possibile di senzapane», la borghesia cittadina tentò di correre ai ripari con mezzi “legali”: unamozione presentata al Sindaco, «nella quale si chiede ragione del perché in pe-riodi di disoccupazione i lavori municipali siano stati affidati proprio alla sullo-data cooperativa»75.

A S. Severo, invece, dove la «cooperativa fra muratori “La Edilizia” hasconcertato gli appaltatori mediatori» si cercò di contrastare l’associazione sulsuo stesso terreno (anche se con esiti negativi): gli appaltatori, infatti, «per com-batterla pensarono di costruirne un’altra, ma con forti capitali pignorati. Eratutto pronto, mancavano solamente i soci, i quali vennero ma... per buttaretutto a mare»76.

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73 - Non è il caso in questa sede di analizzare gli aspetti “settentrionalistici” dellapolitica giolittiana e la loro presa, anche a livello teorico, all’interno del movimento sociali-sta, quel “connubio” che Gramsei (come Arturo Labriola e Salvemini) individuava nel«riformismo-cooperative-lavori pubblici»: Cfr. A. GRAMSCI, Sul Risorgimento, Torino,Einaudi, 1964, p. 98.

74 - Cfr. Il processo di Sansevero. Buona propaganda (contro contadini organizzati e attivistisocialisti) in “Il Foglietto”, Anno X - n. 65,15 agosto 1907.

75 - La cooperativa muratori in “Il Foglietto”, Anno XVI - n. 1502, 16 marzo 1913.Si consideri che la Cooperativa di Muratori per Imprese di Costruzioni di Ascoli Satriano era sortanel 1908, con una chiara impronta classista facilmente individuabile dal suo statuto. Lasocietà, infatti, prevedeva sia sussidi per i soci in caso di malattiva o di “assoluta indigen-za” sia una biblioteca circolante ed una scuola pratica per istruire i soci al mestiere che serci-tavano. In più, la società, già per statuto, si federava alla Lega: Cfr. Statuto in Atto costitu-tivo in BUSA, Anno XXVII (1909), fasc. 6, pp. 144-160, pp. 146-159.

76 - I piccoli capitalisti muratori alla riscossa in “La Bandiera Socialista”, Nuova Serie,21 febbraio 1909: il giornale era l’organo della sezione socialista di S. Severo.

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Il caso di Candela, infine, dimostra come il semplice tentativo di far na-scere (o rinascere) una cooperativa creasse seri problemi alle classi dirigenti lo-cali. Nel 1905 era sorta una cooperativa fra muratori che, però, formata a sco-po puramente politico, non aveva avuto praticamente vita. Nel 1912, a causadella propaganda di Antonio Rotola, democratico, articolista de “Il Foglietto”,la cooperativa si ricostituì.

«Quando qui si conobbe che la cooperativa, costi-tuita fin dal 1905, si destava dal suo lungo letargo eprendeva la sua vera fisionomia subito corse la do-manda: - ma come il risveglio? Ma chi la desta dalsonno pacifico? […] Le autorità [ ... ] capirono chesfuggiva loro la facile preda e non vollero rimanereinerti e si dettero un gran da fare per impedire il ri-sorgere della cooperativa. Degli emissari corsero daogni dove, si fece un lungo parlare di lavoro a mi-lioni che il governo stava preparando, si mise inmoto l’autorità prima del collegio, si finse pure che siignorava l’esistenza della cooperativa del 1905, e chesi intendeva costituirne una, e la più larga copia dipromesse veniva fatta. I tentativi escogitati rimaseroinfruttuosi»77.

Cosi, rendendosi conto di aver sbagliato strada, passarono alla controf-fensiva. Prima provarono con le calunnie. Poi un grosso appaltatore del luogosi infiltrò nella cooperativa. Chiesta ed ottenuta la possibilità di diventare socio,venne anche nominato membro del Consiglio d’Amministrazione a causa dellasua notevole esperienza. Il suo fu un tentativo continuo di convincere la coope-rativa a chiedere i favori del Sindaco e dell’Amministrazione. Ma la cooperativanon si fece imbrigliare nella rete tesa. Ecco come racconta uno di questi tentati-vi lo stesso Antonio Rotola:

«Un bel giorno [l’appaltatore] annunciò che il Sinda-co voleva venire alla cooperativa a tenere un discor-so... Ma che discorso! La cooperativa è una societàdi produzione e lavoro; che cosa ci ha da vedere ildiscorso di un Sindaco? - Vedranno, vedranno, i la-vori pioveranno, la moneta affluirà, quante porte sa-ranno aperte... Ma che! La dignità sovra tutto, equindi niente discorsi di Sindaco»78.

Il metodo della calunnia non era una prerogativa della borghesia foggia-na. Anche a Taranto, «dove il proletariato [ ... ] lavora tenacemente colle sueorganizzazioni di lavoro a dare il crollo agli affaristi grandi e piccoli»,

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77 - Per asservire una cooperativa in “Il Foglietto”, Anno XV - n. 98, 22 dicembre1912.

78 - Ibid.

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gli «speculatori, i quali si vedono di giorno in giorno mancare il terreno, hanno[…] nei giorni scorsi avanzato un reclamo al Ministero avanzando calunnie acarico dei lavori organizzati»79.

Ma sicuramente la strada maestra intrapresa dalla borghesia per contra-stare le classi popolari che cercavano nella cooperazione di produzione e lavorouna qualche forma di emancipazione sociale, fu quella degli ostacoli frappostialla giusta applicazione delle varie normative sugli appalti. La CommissioneProvinciale di Vigilanza, creata con il R.D. 17/ 3/1907, n. 146, non brillò perobiettività: alle cooperative, alle quali la legge dava la precedenza sulla aggiudi-cazione degli appalti, furono sollevati molti “cavilli” di natura giuridica che,sommati ad inesperienza ed ignoranza, possono spiegare la poca consistenzadegli appalti nella provincia (ma, in generale, in tutta la Puglia).

Sicuramente a questi cavilli si riferivano, durante un comizio tenuto a Ce-rignola nel settembre del 1912, Antonio Misceo, capo-lega e presidente dellaSocietà Cooperativa Agricola di Lavoro e Produzione, e Giuseppe Di Vittorio, Segreta-rio del Circolo Giovanile Socialista, quando parlavano di «opera deleteria della bu-rocrazia», alla quale i due rappresentanti socialisti facevano risalire la responsabi-lità del fallimento delle aste per l’appalto dei primi lotti dei lavori di argina-mento dell’Ofanto80.

Si è cosi entrati nel vero e proprio regno delle congetture. Il settore diproduzione e lavoro agricolo paga, infatti, un prezzo durissimo alla mancanzadi dati: quasi nessun bilancio publicato, nessuna notizia (quantitativa o qualitati-va) di una qualche rilevanza sul ruolo economico svolto, rilevamenti statistici alivello nazionale che non tengono conto della reale struttura delle singole socie-tà. In una situazione del genere, più che per tutte quelle precedenti, la stradaobbligatoria è quella dell’analisi di alcune realtà particolari.

Un primo dato bisogna subito mettere in evidenza. Delle 14 cooperativedi produzione e lavoro agricole costituitesi in Capitanata, solo 4 furono direttaemanazione di leghe socialiste, mentre una era stata costituita tra i bracciantiaderenti al Fascio operaio cattolico. Il dato non deve meravigliare: se le parti-colari condizioni del mercato della manodopera e l’aspra

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79 - La cooperazione a Taranto in “La Cooperazione Italiana”, Anno XVII - n. 525,8agosto 1903.

80 - Cfr. “Il Foglietto”, Anno XV - n. 66, 1 settembre 1912: a conclusione del co n-vegno fu votato un ordine del giorno, col quale si fecero voti «che il Governo conceda gliappalti a trattativa privata in modo da ottenere la esecuzione dei lavori per i primi mesi disettembre».

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resistenza dei proprietari aveva favorito il sorgere rapido di leghe,nell’«animo dei contadini non albergano pensieri di collettivismo o di profonderivoluzioni economiche e sociali. Essi non vedono che la disoccupazione el’aumento dei salari»81.

Lo sciopero, fatto alla vigilia dei periodi di intensi lavori agricoli, eraun’arma che incideva maggiormente in una relatà, come quella foggiana, conaltissime percentuali di salariati agricoli, fissi ed avventizi (ben il 69% nel 1901)82.Questo i proprietari lo avevano capito, tant’è vero che «lottano allargando,quanto è più possibile, l’uso delle macchine agrarie, restringendo i lavori, sosti-tuendo sulla più larga scala le donne agli uomini nelle lavorazioni, ritardandolifino al periodo, in cui, essendovi minor richiesta di manodopera, le mercedisono più basse»83.

Il sistema, in qualche modo, funzionò. Causa anche una situazione eco-nomica che stava peggiorando (siccità, crisi vinicola), nel 1907-8 in tutta la pro-vincia vi fu un generale riflusso delle lotte, contraddistinto dalla diminuizionedegli scioperi e dalle prime defenzioni all’interno delle leghe (ad esempio, quelladi S. Severo perderà più della metà dei soci fra il 1909 e il 1910)84.

Si può azzardare l’ipotesi di uno stretto rapporto tra crisi dei tradizionalisistemi di lotta e nascita delle cooperative, soprattutto se si guarda al dato cro-nologico: tutte le cooperative di produzione e lavoro agricole in Capitanatasorgono a partire dal 1908, e in zone da sempre all’avanguardia nelle lotte deiprimi anni del ‘900 (Cfr. APPENDICE IV).

Ma rimane il dato di fatto di una cooperazione di produzione e lavoroagricola poco consistente in una zona in cui, teoricamente, vi erano tutte le con-dizioni per il suo sviluppo.

Teoricamente, perché, ad esempio, era la particolare struttura socialedelle campagne foggiane ad ostacolare l’adozione di uno dei mezzi più efficacidi lotta adottati dal proletariato agricolo di vaste zone d’Italia: l’affittanza collet-tiva. Infatti, nonostante che in tutta la Puglia, solo qualche contadino «intelligentein prov. di Foggia pensa alla eliminazione degli intermediari, i grossi affittuari,vagheggiando di entrare in contatto diretto con i proprietari, mediante affittan-ze collettive»85, questa particolarissima

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81 - PRESUTTI, p. 602.82 - Cfr. ibid, pp. 280-281.83 - Ibid, p. 665.84 - Cfr. G. DE FAZIO, Lotte contadine e socialismo in Capitanata 1900-1913, Bari,

Adda, 1974, p. 44.85 - PRESUTTI, p. 602.

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cooperativa non ebbe nessunissimo tipo di applicazione in Capitanata. Certo, alivello teorico, era la soluzione richiesta da più parti.

«Il problema economico del Mezzogiorno è tutto omassimamente [ ... ] in ciò: risollevare l’agricoltura [... ]. Bisogna, dunque, avvicinare la terra a chi lavora,concedendo ad associazioni cooperative di contadinii latifondi [ .... ]»86.

Non solo, ma tutte le cooperative agricole di produzione e lavoro, tra gliscopi sociali, prevedevano l’acquisto o il fitto di “terreni per essere coltivati ogoduti per conto sociale”87.

Ma, in pratica, nella provincia di Foggia non vi è stato (o, almeno, non siconosce) nessun caso di una qualunque forma di affittanza88. Le grandi aziendea salariati, che avrebbero dovuto costituire uno stimolo alla loro costituzione(vedi Emilia e Mantovano), avevano però in Capitanata una propria particolarefisionomia, legata soprattutto all’alta percentuale di braccianti avventizi che vitrovavano lavoro. Se l’esperienza dell’Italia settentrionale e della Sicilia dimo-strava che la principale ragione economica della formazione di affittanze collet-tive «fu lo squilibrio sempre maggiore determinato fra la disponibilità di terre-no coltivabile e le unità lavoratrici presenti localmente e che [ ... ] non potevanoessere utilizzate»89, condizioni simili non sembrano aver prodotto lo stesso ri-sultato in Capitanata.

La questione è molto ampia ed investe problematiche diversissime, chemeriterebbero una trattazione separata e sistematica. Allo stato attuale delle ri-cerche, non è possibile neanche affermare con sicurezza se, al di là dei proclamie dei programmi, le cooperative agricole della Capitanata ebbero un ben preci-so “ruolo sociale”, dato che quello economico non è valutabile pienamente.Con questo non si vuole disconoscere l’importanza delle cooperative comemezzo di aggregazione dei ceti popolari e rurali, ma solo porre alcuni interro-gativi di fondo.

Sono interrogativi che nascono dall’analisi di un particolare avvenimentoche, sebbene circoscritto, acquista un preciso valore simbolico. La più

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86 - I latifondi e le cooperative dei contadini in “Il Foglietto”, Anno X - n. 67,25 agosto1907.

87 - Da notare due cose: la prima è che tutti gli Statuti erano praticamente uguali (8società sulle 11 per le quali si dispone dello Statuto); la seconda che in nessuna società ilprendere in fitto terreni era il primo scopo: solitamete infatti veniva dopo quello di“assumere per proprio conto lavori pubblici e privati”.

88 - Cfr. FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI, Inchiestasulle affittanze collettive in Italia, Piacenza, 1906 e U. SORBI, Le Cooperative Agricole per lacondizione dei terreni in Italia, Roma, Edizioni de “La Rivista della Cooperazione”, 1955.

89 - U. SORBI, op. cit., p. 16.

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grande cooperativa agricola di produzione e lavoro della provincia, in-fatti, fu implicata in grosse polemiche che investivano la sua autonomia e la suaimmagine.

Costituita nel 1910 da 31 contadini, la Società Cooperativa Agricola di Lavoroe Produzione di Cerignola nasceva nel più grande agro di tutta la provincia diFoggia, nella zona all’avanguardia in tutte le lotte agrarie dei primi anni del ‘900.Diretta emanazione della locale lega dei contadini, la più numerosa dell’interaprovincia (circa 6000 soci)90, la cooperativa non faceva nessun accenno parti-colare nello statuto a questo suo rapporto, forse per non creare problemi di“immagine”: la conferma si trova nella messa in evidenza del fatto che la «asso-ciazione non si occupa che di questioni di lavoro e rifugge da ogni ingerenzapolitica e religiosa nelle sue deliberazioni »91.

Presidente era lo stesso Presidente della lega, il già ricordato Antonio Mi-sceo, uno dei massimi rappresentanti del leghismo in Capitanata. E proprioMisceo fu il primo ad essere chiamato in causa dall’anonimo articolista de “IlFoglietto” che, nell’aprile 1912, accusò la cooperativa, «la massima organizza-zione operaia di Cerignola», di essere sotto la protezione politica dell’on. Mau-ry, deputato salandrino92.

L’articolo scatenò un’ondata di polemiche, di accuse e di smentite cheinvestirono il paese per circa tre mesi. Brevemente, le accuse rivolte alla coope-rativa riguardavano il ruolo avuto dall’onorevole Maury tanto nella“miracolosa” (per la brevità del tempo) iscrizione della stessa nel registro pre-fettizio, quanto (e soprattutto) nell’aggiudicazione di certi lavori concessi dalMinistero delle Finanze93.

La polemica fu tanto violenta da costringere la CdL di Cerignola, il 1°maggio, a stampare «un numero unico in cui viene riportato un ordine delgiorno, proposto dal suo segretario Di Serio e votato dal Comitato direttivodei contadini, col quale si fa obbligo ai dirigenti di non appoggiarsi più a de-putati borghesi, anche quando si esibissero, spontaneamente, perché agisconocon scopo opportunistico»94.

Ma le accuse aumentarono. Ora investivano anche Giuseppe Di Vittorio,giovanissimo segretario del Circolo Giovanile Socialista, accusato di aver

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90 - Cfr. PRESUTTI, p. 609.91 - Cfr. Statuto in Atto Costitutivo in BUSA, Anno XXVIII (1910), fasc. LII,

pp. 76-86, p. 77.92 - Il connubio social-mauriano in “Il Foglietto”, Anno XV - n. 26, 4 aprile 1912.93 - Cfr. Fanno i sornioni in “Foglietto”, Anno XV - n. 30, 21 aprile 1912.94 - Aria netta... Le capriole dell'on. Maury in “Foglietto”, Anno XV - n. 35,12 mag-

gio 1912.

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concordato (insieme a Misceo) con Maury la messa in opera di alcune agitazionia favore di un qualche intervento pubblico contro la fillossera (che avrebberofavorito i proprietari dei vigneti “malati” con la loro opera di denuncia) incambio del lavoro di scasso di alcuni vigneti95.

Misceo cercò di difendersi dalle accuse dando una propria visione deifatti che rendeva il rapporto con Maury solo un fatto occasionale96. Anche DiVittorio mandò una lettera al giornale per dare la sua versione dei fatti. Ma,riuscì solo a far passare il suo coinvolgimento come un errore, «una necessità diambiente», come lui stesso lo definì97.

Non c’è, nella lettera, nessun tentativo di difendersi dalle accuse, ben piùgravi, sulla combutta per le agitazioni “anti-fillosseriche”, un’accusa che, tral’altro, nessuno cercò di circoscrivere o di spiegare.

Le polemiche si chiusero, almeno a livello ufficiale, con un Convegnodelle organizzazioni operaie di Cerignola in cui «i continui rapporti avuti dallacooperativa dei contadini con l’on. Maury» erano da addebitarsi soprattuttoall’uomo politico, «che cercava di speculare sulla buona fede dei contadini perpotersi costituire un più forte piedistallo elettorale»98.

Sicuramente è troppo poco per trarne conclusioni. Certo è che se lamaggiore cooperativa agricola di produzione e lavoro (non solo per numerodei soci, ma soprattutto per i collegamenti con il più forte proletariato organiz-zato della provincia) foggiana aveva bisogno di appoggi per ricevere in conces-sione qualche lavoro, deve (almeno) significare che la situazione economico-sociale non era particolarmente favorevole alle cooperative. E non solo a quelleagricole.

Si osservi la situazione dell’intero settore di produzione e lavoro nel1915:

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95 - Ibid.96 - Polemiche fra socialisti e lavoratori in “Il Foglietto”, Anno XV - n. 35, cit.97 - Polemiche socialiste a Cerignola in “Il Foglietto”, Anno XV - n. 37, 19 maggio

1912.98 - Convegno socialista a Cerignola. L'accordo raggiunto in “Il Foglietto”, Anno XV -

n. 45, 16 giugno 1912.

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Nonostante uno sviluppo numerico da non sottovalutare il settore nelsuo complesso non aveva una consistenza economica particolarmente forte, siain termini assoluti che relativamente alla realtà regionale. Solo il settore dellesocietà agricole era maggioritario rispetto alla Puglia ma, tutto sommato, avevascarso peso, sia in termini di soci, sia in termini economici, nonostante un im-porto degli affari maggiore di quello delle cooperative di produzione e lavoroindustriali99.

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99 - Non deve trarre in inganno il fatto che l’ammontare dell’importo degli affaririsultasse maggiore per le cooperative di produzione e lavoro agricole rispetto a quellodelle cooperative industriali: si tenga presente infatti che la sola Società Cooperativa Agricoladi Cerignola contribuiva con lire 200.000 al totale dell’importo (il 55,9%): Cfr. LNCI, An-nuario 1916, pp. 791-792.

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UNA NOTA CONCLUSIVA

L’aspetto “dimesso” della ricerca non è solo la conseguenza dell’estremaframmentarietà dei dati e delle fonti a disposizione. Una, anche se pur minima,parte di “colpa” deve essere assegnata ad una precisa scelta metodologica, opi-nabile finché si vuole, ma che è sembrata la più adatta al tipo di dati a disposi-zione: l’analisi della cooperazione in provincia di Foggia è stata, soprattutto,analisi delle sue strutture, delle sue realizzazioni pratiche.

Il “censimento” (in certi casi asettico) del movimento cooperativo inCapitanata era il primo passo da compiere. Era necessario per aprire la strada anuovi tentativi di ricerca.

Stefano d’Atri

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APPENDICE I

TABELLA DI CLASSIFICAZIONE MINISTERIALE PER SETTOREE CATEGORIA DI ATTIVITA’

1 Cooperative di consumo1.1 Vendita di generi alimentari1.2 Vendita di generi di abbigliamento1.3 Vendita di articoli di arredamento1.4 Vendita di prodotti meccanici, elettrici1.5 Vendita di articoli di cancelleria, giornali1.6 Vendita di prodotti chimici e sanitari1.7 Vendita di materiale di costruzione1.8 Vendita di combustibili1.9 Attività ricreative1.10 Attività sanitarie1.11 Attività assicurative e finanziarie1.12 Distribusione di energia elettrica, gas e acqua1.13 Vendita di più generi1.14 Vendita di prodotti ortofrutticoli2 Cooperative di produzione e lavoro2.1 Estrazione di minerali2.2 Produzione di derrate alimentari2.3 Panificazione e pastificazione2.4 Macellazione del bestiame e lavorazione delle carni2.5 Produzione di bevande (escluse cantine sociali e distillerie)2.6 Produzione e lavorazione delle pelli2.7 Produzione tessuti2.8 Produzione di generi di vestiario, arredamento2.9 Lavorazione del legno, sughero e affini2.10 Produzione e lavorazione della carta e attività editoriali2.11 Attività fono-foto-cinema-tipografia2.12 Lavorazione meccanica e metallurgica2.13 Trasformazione di minerali non metalliferi2.14 Produzioni chimiche2.15 Costruzioni edili, stradali2.16 Insallazione impianti, produzione e trasporto energia elettrica

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2.17 Servizi telegrafici, postali, telefonici2.18 Igiene, pulizia e servizi vari2.19 Attività culturali, artistiche, ricreative2.20 Attività legali, commerciali, tecniche2.21 Produzione e lavoro con attività commerciali2.22 Agricole2.23 Trasporto2.24 Pesca3 Cooperative agricole3.1 Lavorazione della terra3.2 Agricolo-silvo-forestale3.4 Lavorazione delle uve3.5 Produzione di acquaviti e liquori3.6 Produzione di olio di olive, di semi3.7 Produzione di conserve3.8 Raccolta, trasformazione, conservazione e vendita ortofrutticoli3.9 Filatura, molitura di cereali3.10 Allevamento e selezione del bestiame3.11 Coltivazione ed essicazione dei bozzoli3.12 Coltivazione delle foglie di tabacco3.13 Gestione dei granai3.14 Vendita di prodotti agricoli3.15 Esercizio di macchine agricole3.16 Acquisto e vendita di materiale per l’attività agricola3.17 Attività varie (mutua assistenza, servizi ai soci)3.18 Allevamento di animali da cortile e vendita prodotti3.19 Miglioramenti fondiari, lavorazione e vendita prodotti dei soci3.20 Coltivazione e prima lavorazione del cotone3.21 Servizi collettivi per la riforma fondiaria4 Cooperative di edilizia per abitazione4.1 Costruzione di abitazioni per i soci4.2 Costruzione di abitazioni per i braccianti agricoli5 Cooperative di trasporto5.1 Trasporto terrestre con mezzi meccanici5.2 Trasporto terrestre con veicoli a trazione animale5.3 Trasporto marittimo ed aereo5.4 Trasporto lacuale e fluviale5.5 Facchinaggio

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5.6 Carico e scarico6 Cooperative per la pesca6.1 Acquisto, vendita e manutenzione attrezzi pesca e gestione magazzini6.2 Costruzione, acquisto, riparazione, manutenzione scafi e motori6.3 Vendita dei prodotti della pesca6.4 Allevamenti ittico in acque marine6.5 Pesca e allevamento ittico in acque interne6.6 Esercizio della pesca7 Cooperative miste7.1 Consumo7.2 Produzione lavoro7.3 Agricole7.4 Edilizie7.5 Trasporti7.6 Pesca7.7 Miste7.8 Credito-casse rurali7.9 Credito-banche popolari7.10 Credito-assicurazioni7.11 Credito-garanzia fra artigiani7.12 Mutue

Nota:La classificazione ministeriale è stata utilizzata per semplificare il lavoro di cata-logazione. Ma dall’analisi dei vari statuti è risultato spesso che una cooperativaclassificata in un modo dalle statistiche ufficiali, spesso svolgeva la propria atti-vità in un settore diverso da quello attribuitole.Le cooperative censite sono state raggruppate, nel corso del lavoro, in 6 grandisettori, formati dall’unione delle seguenti categorie:

CREDITO: 7.8,7.9CONSUMO: 1,7.1PRODUZIONE E LAVORO : 2, 5.5, 5.6, 6.6AGRICOLE: 3EDILIZIE: 4VARIE: 2.20, 5.1, 5.3, 7.6

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