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Polo Sud | n. 2 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-2> POLOSUD SEMESTRALE DI STUDI STORICI Il mito del Vespro nell’immaginario patriottico ottocentesco di Maria Chiara Pagano anno secondo | n. 2 | 2013 ISNN 2280-1669 © 2013 editpress Dall’Alpe a Sicilia ovunque é Legnano ogn’uom di Ferruccio ha il cuore, ha la mano. I bimbi d’Italia si chiaman Balilla; il suon d’ogni squilla i Vespri suonò 1 Si destaron quegli schiavi dal lungo servaggio: ”Muoiano, muoiano i francesi!” gridarono; e il grido, come voce di Dio, dicon le storie de’ tempi, echeggiò per tut- ta la campagna, penetrò tutti i cuori [...] La forza del popolo spiegossi, e soper- chiò. Breve indi la zuffa: grossa la strage de’ nostri: ma eran dugento i francesi, e ne cadder dugento 2 . Con queste parole lo storico Michele Amari fissò il momento più dramma- tico del Vespro siciliano: era il 31 marzo del 1282, data che avrebbe segna- to profondamente il destino della Sicilia e non solo. Da allora tale episodio, oltre a rappresentare una vexata quaestio per gli storici, ha alimentato l’im- maginario di ogni epoca per il suo legame col tema della lotta per la libertà dall’oppressione straniera, assumendo il carattere di un mito fondativo che nel corso della storia si è prestato ad una pluralità di interpretazioni ed usi dettati dalle diverse istanze politiche di ogni epoca. Amari diede un contri- buto fondamentale a localizzarlo nella Sicilia, facendone l’icona del riscat- to della nazione siciliana, e da allora, in simmetria con la battaglia di Legnano, il Vespro divenne il simbolo della partecipazione di un’area della penisola

Il mito del Vespro nell’immaginario patriottico ottocentesco · grafico a lui più congeniale, incentrando il racconto non sull’eroe ma sul po-polo. Il Vespro, infatti, non era

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POLOSUDSEMESTRALE DI STUDI STORICI

Il mito del Vespro nell’immaginario patriottico ottocentescodi Maria Chiara Pagano

anno secondo | n. 2 | 2013ISNN 2280-1669 © 2013 editpress

Dall’Alpe a Sicilia

ovunque é Legnano

ogn’uom di Ferruccio

ha il cuore, ha la mano.

I bimbi d’Italia

si chiaman Balilla;

il suon d’ogni squilla

i Vespri suonò1

Si destaron quegli schiavi dal lungo servaggio: ”Muoiano, muoiano i francesi!”gridarono; e il grido, come voce di Dio, dicon le storie de’ tempi, echeggiò per tut-ta la campagna, penetrò tutti i cuori [...] La forza del popolo spiegossi, e soper-chiò. Breve indi la zuffa: grossa la strage de’ nostri: ma eran dugento i francesi,e ne cadder dugento2.

Con queste parole lo storico Michele Amari fissò il momento più dramma-tico del Vespro siciliano: era il 31 marzo del 1282, data che avrebbe segna-to profondamente il destino della Sicilia e non solo. Da allora tale episodio,oltre a rappresentare una vexata quaestio per gli storici, ha alimentato l’im-maginario di ogni epoca per il suo legame col tema della lotta per la libertàdall’oppressione straniera, assumendo il carattere di un mito fondativo chenel corso della storia si è prestato ad una pluralità di interpretazioni ed usidettati dalle diverse istanze politiche di ogni epoca. Amari diede un contri-buto fondamentale a localizzarlo nella Sicilia, facendone l’icona del riscat-to della nazione siciliana, e da allora, in simmetria con la battaglia di Legnano,il Vespro divenne il simbolo della partecipazione di un’area della penisola

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al processo di unificazione, per poi suscitare nuove riletture di carattere re-gionista, universalista, antifrancese. Rimane tuttora l’ambiguità semanticadi un evento straordinario che continua ad unire e a dividere al contempo.

1. L’interpretazione risorgimentale

Nell’Europa del primo Ottocento, percorsa dai movimenti insurreziona-li contro le forze della Restaurazione, il Vespro divenne gradualmente stru-mento di battaglia politica, assecondando il gusto romantico dell’epoca chetendeva a riproporre le glorie nazionali del passato per spronare all’azione.Andando oltre il fatto storico contingente e riducendolo al suo nucleo piùprofondo, gli artisti reinventarono l’episodio, mostrando di che cosa po-tesse essere capace un popolo oppresso. L’interpretazione tradizionale in-fatti – accettata nel secolo precedente da Voltaire e Gibbon – propende-va per la tesi della congiura organizzata da Giovanni da Procida: su que-sta falsariga Casimir Delavigne compose la tragedia Les Vêpres Sicilien-ne, rappresentata a Parigi il 23 ottobre 18193. In seguito la valenza sim-bolica della rivolta siciliana cominciò a prevalere e si acclimatò in Italiacon la tragedia Giovanni da Procida di Giovan Battista Niccolini, rap-presentata nel 1831 a Firenze, che faceva dell’esule un tipico eroe romanticofedele al suo credo nella libertà4.

La Sicilia fece suo il Vespro solo dopo il fallimento della rivoluzione del1820, in nome di un ideale indipendentista5. Non è casuale che da allora piùvoci si fossero levate a ribadire i diritti della Sicilia conculcati da Napoli e aricordare come esistesse nell’isola una tradizione politica risalente alla mo-narchia normanna. Per dimostrare la continuità fra la vecchia e la nuova co-stituzione del 1812, cancellata dai Borboni assieme all’indipendenza, NiccolòPalmeri scrisse intorno al ’22 il Saggio storico e politico sulla Costituzionedel Regno di Sicilia. Lo storico, esponente del partito costituzionalista, am-metteva che i popoli potessero ricorrere a mezzi estremi contro un incor-reggibile dispotismo:

e se i Siciliani si macchiarono di quella sanguinosa rivoluzione di delitti che fanfremere l’umanità seppero eglino cancellarne tosto la macchia con gloriosissimeazioni6.

Diversa è la visione del memorialista Michele Palmieri di Miccichè, au-tore delle Moeurs de la cour et des peuples des Deux Siciles pubblicate nel1837 a Parigi. Con un senso romantico del passato egli ritornava insisten-temente a quella rivolta leggendaria ormai assurta a gloria nazionale, au-spicando che potesse servire, dopo tanti fallimenti, da monito ed esempioper il popolo siciliano7. Il Vespro fu esaltato e rimpianto anche nelle trage-die di Antonio Galatti e Vincenzo Navarro intitolate Procida, nel poema epi-

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co Il Vespro siciliano di Costantino Costantini e nel carme Sull’antico cam-po santo di Palermo di Vincenzo Errante8.

Ma chi ebbe maggiormente incidenza sull’opinione pubblica siciliana fuMichele Amari, che riuscì ad infondere una valenza nazionale ai sentimen-ti di opposizione al governo napoletano. Iniziata nel 1834 la stesura degli Stu-dii su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII sec. al 1820 con l’intento discrivere sulla costituzione del ’12 tradita dal re e sulla rivoluzione del ’20, inseguito la accantonò. Quegli avvenimenti erano troppo scottanti per la loroattualità (“il problema era di gridare la rivoluzione senza che il vietasse lacensura”), anche perché avrebbero rievocato solo divisioni e fallimenti 9. Di-versamente per il Vespro, poiché

la storia di quella grande rivoluzione avrebbe preparati gli animi alla riscossa mol-to meglio che il racconto della effimera riforma costituzionale del 1812 e della in-concludente rivoluzione del 182010.

Il Vespro era, dunque, il soggetto più adatto al suo intento politico: in-coraggiare i siciliani a superare i particolarismi e ad unirsi contro i nuovi op-pressori come avevano fatto nel 1282 (“straziati da divisioni municipali, etutte nel Vespro si tacquero”)11. Non era forse rimasta proverbiale la man-cata adesione di Sperlinga alla rivolta? (“Passati appo la nazione con ingra-ta memoria. […] Ciò che ai Siciliani piacque, Sperlinga sola negò; e il popo-lo tuttavia punge con tal motto chi discordi da un voler comune”)12.

Una rivoluzione preparata com’io credea, terribile, vittoriosa, nella quale si era-no dileguati gli odii municipali; che lacerarono la Sicilia innanzi il 1282, tacqueroallora, e poi s’erano scatenati di nuovo fin oltre il 1820. La coscienza o la vanitàmi disse che il libro potea giovare alla cosa pubblica, e persuaso di ciò, affrontaiil pericolo che pure vedea chiaramente13.

Ispiratosi alla tragedia del Niccolini, Amari pensò dapprima ad un romanzostorico su Giovanni da Procida. In seguito si orientò verso il genere storio-grafico a lui più congeniale, incentrando il racconto non sull’eroe ma sul po-polo. Il Vespro, infatti, non era visto più come la diretta conseguenza di unacongiura, ma come un tumulto popolare non preparato: mentre re Pietrod’Aragona cospirava con i baroni di parte sveva tra cui il Procida, il popoloaveva preso da solo l’iniziativa e, superate le divisioni, si era organizzato inrepubbliche indipendenti strette in una lega a mutua difesa.

Al suo popolo, non ai potenti, la Sicilia dee quella rivoluzione che nel secolo XIIIla salvò dall’estrema vergogna e miseria, dalla corruzione servile, dall’annienta-mento14.

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Vespro, quindi, non “modello settario di rivoluzione” nel senso mazzia-niano del termine, non conseguenza di un progetto politico, ma “guerra dipopolo”, “lotta aperta e generosa di popolo che si vendica a nazione e liber-tà”15.

La storia moderna di una “nazione” non nasce da una liberazione che è conqui-sta (e però produttrice di dualità tra vincitori e vinti, e di una storica conflittua-lità), bensì da un patto tra dinastia e popolo verificato nel corso di una grande“guerra di popolo”16.

Questa scelta interpretativa, legata alla fede repubblicana dello storicoed al suo impegno a riaffermare il diritto della Sicilia all’indipendenza in quan-to nazione sin dalla dominazione normanna, avrebbe trovato riscontro nel-le rivendicazioni autonomistiche dell’epoca17.

L’opera fu pubblicata nel maggio del ’42 e, nonostante il titolo genericodi Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII scelto per prudenza, nonpassò inosservata per il suo infiammato spirito antiborbonico, ottenendo unsuccesso superiore ad ogni aspettativa anche fuori dall’isola. Il messaggio ri-voluzionario, democratico e antinapoletano fece di Amari un intellettuale diriferimento per molti contemporanei e gli costò l’esilio in Francia. Questaprima esperienza europea, oltre ad ampliare il suo orizzonte intellettuale, con-tribuì a modificare le sue convinzioni politiche. Soprattutto la conoscenzadel Gioberti a Parigi accelerò il passaggio dal sicilianismo all’idea di una Si-cilia parte di una federazione di stati italiani. Così nell’edizione parigina del1843, dal titolo ormai esplicito La guerra del Vespro siciliano o un perio-do delle istorie siciliane del secolo XIII, l’autore, pur lasciando immutata latesi centrale della rivolta e della guerra antifrancese come epos del popolosiciliano, dimostrava che era ormai impossibile scindere le sorti dell’isola daquelle dell’Italia. Questa nuova prospettiva, adottata anche nell’introduzioneall’edizione del Saggio storico e politico di Palmeri (1847) e nel Catechismopolitico siciliano (1848), ebbe vasta risonanza nella pubblicistica dell’epo-ca (La Masa, La Farina, Calvi).

La Sicilia deve essere in tutti i casi una provincia italiana e non l’appendice d’al-cun’altra provincia; perciò, nell’avvenire immediato che noi speriamo per l’Italia,Napoli e la Sicilia debbon essere due stati costituzionali uniti in istretta federazione[… ] così il governo centrale di Napoli e Sicilia guadagnerà quel tanto di forza, e nonè poco, che finora l’un paese ha opposto all’altro18.

Sempre attivo nel campo della politica, Amari seppe coniugare il mestieredi storico con la partecipazione alle vicende risorgimentali, modificando viavia le sue posizioni per una sempre maggiore aderenza alla situazione poli-tica del momento. Di questa evoluzione lasciò testimonianza, oltre che nel-l’epistolario, nelle prefazioni alle varie edizioni de La guerra del Vespro. In

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prima linea durante il ’48 come ministro nell’effimera esperienza antibor-bonica, dopo gli insuccessi rivoluzionari abbandonò il sogno di una patriasiciliana per aderire all’insurrezione organizzata tendente a realizzare un obiet-tivo più concreto: l’unità. Nel ’51, “dopo dieci anni e una rivoluzione”, le sueidee politiche erano cambiate in quanto aveva compreso che le province ita-liane non avrebbero mai conquistato la libertà se non si fossero unite ”le for-ze morali e materiali di tutta la nazione”19. Non più, quindi, la nazione sici-liana quale soggetto storico, bensì la “novella nazione italiana” che al seguitodei Normanni aveva sconfitto gli Arabi e ripreso la Sicilia che le appartene-va “per ragione di geografia e di schiatta”20.

Il contributo di Amari agli eventi del ’60 è noto: l’avvicinamento alla li-nea politica di Cavour e la nomina a senatore e a ministro del Regno sanci-rono il definitivo inserimento dello storico nella nuova realtà italiana, purcon qualche ripensamento.

Gli avvenimenti del 1859 e del 1860 mutavano le condizioni dell’Italia e dell’Europa;rendeano possibile quella unità che innanzi il 1848 era lecito più tosto desiderare,che sperare; assicuravano al tempo stesso la libertà e la concordia di tutta la na-zione […] Gli avvenimenti raggiugneano dunque e passavano di gran lunga le spe-ranze mie e della più parte degli Italiani. Mi biasimi or chi voglia, del non averfatto sosta a mezza via21.

Per quanto i libri di Amari avessero successo nell’intercettare il sentimentopatriottico che montava, il mito del Vespro ebbe anche altri banditori, in-dipendentemente dal grande storico. E anzi è proprio questa coralità che in-teressò le arti figurative e la musica a farne uno dei topoi della costruzioneideologica della nazione.

Nella pittura il Vespro si prestò bene alla propaganda delle idee risorgi-mentali, che poteva avvenire sia attraverso esplicite allegorie femminili del-la patria e della nazione sia attraverso allegorie sottili anche di tipo croma-tico, secondo una modalità di comunicazione subliminale tipica delle societàsegrete che l’artista disseminava nei dipinti a soggetto storico al fine di elu-dere i controlli della censura22. Così la pittura “impegnata” poteva suscita-re negli italiani il desiderio di emulare le eroiche virtù del popolo palermi-tano per portare a compimento la redenzione della patria. Nel primo Otto-cento il mito fu rielaborato e riplasmato da Francesco Hayez (Venezia 1791-Milano 1882), definito da Mazzini “il capo della scuola di pittura storica cheil pensiero nazionale reclamava in Italia”23. Tra gli anni venti e quaranta l’ar-tista, sempre più esperto nella rappresentazione allegorica politica, produsseben tre versioni de I Vespri siciliani24. Per la prima, realizzata nel 1822, ave-va tratto ispirazione dalla Storia delle Repubbliche italiane del Sismondi:

Colsi il momento, che fu un sol punto, è l’insolenza, è la vendetta, cioè l’originedelle stragi che di poi son state fatte nella Sicilia25.

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In primo piano il gruppo che comprende la siciliana svenuta, sorretta dalmarito, il cui onore di sposa virtuosa è stato per sempre offuscato dall’affrontosubito; a terra, colpito a morte, il francese responsabile dell’oltraggio; in pie-di l’eroico fratello della donna con la spada ancora intrisa di sangue, il cuigesto scatena l’ira del popolo. La scena diventava fonte di complessi signi-ficati, quasi una forma di propaganda subliminale, sicché al di là dell’alle-goria si riusciva a cogliere un messaggio patriottico: la figura femminile colseno sinistro scoperto era la patria, considerata come una madre che nutretutti i suoi figli legati da una lunga catena di generazioni; la difesa dell’onoredelle donne dagli insulti degli stranieri assumeva la valenza simbolica di di-fesa dell’onore della nazione da contaminazioni esterne, quasi una “guerrasanta” che era necessario combattere anche a rischio dell’esilio e della stes-sa vita26.

Il successo del quadro indusse Hayez a riproporre lo stesso tema nel1835 e nel 1844-46. Nel novembre 1841 l’artista giunse in Sicilia per osservarei luoghi in cui era avvenuta l’insurrezione: egli diceva, infatti, che non avreb-be saputo eseguire la commissione del principe di Sant’Antimo senza vi-sitare i campi di S. Spirito e la famosa chiesa27. Le tre versioni affrontanoallo stesso modo il tema, ma mentre nelle prime due i familiari e gli ami-ci che circondano la donna hanno espressioni di stupore o di furore, nel-la terza assumono pose molto teatrali che risentono della formazione neo-classica dell’artista e della sua esperienza negli allestimenti delle opere rap-presentate alla Scala. Anche i costumi sono molto teatrali per l’eccessivaricchezza e decorazione e per le tinte forti che contrastano con i colori sfu-mati dello sfondo. È come se l’artista, volendo invitare i connazionali a rea-gire con fermezza contro gli oppressori austriaci e nel contempo non vo-lendo compromettersi troppo, avesse trasferito la drammatica realtà del-la storia in una scena di teatro in cui a tutti i personaggi è stata assegna-ta una parte.

Anche nella pittura si ebbe un percorso di avvicinamento alla Sicilia, inquesto caso con un altro artista impegnato, com’era Andrea D’Antoni, nel-le battaglie risorgimentali. La scena da lui dipinta contiene un richiamo al-l’attualità con la presenza dello stesso pittore e di Amari nel gruppo di uo-mini che circondano la donna svenuta28. Una variazione al tema fu appor-tata da Domenico Morelli, esponente di spicco del “verismo storico”. La for-te carica teatrale dei suoi Vespri siciliani (Napoli, Museo di Capodimonte,1859-1860) fa pensare ad una ispirazione tratta dall’opera di Verdi messain scena per la prima volta in Italia al teatro San Carlo di Napoli nel 1856.Ma emerge anche qualche suggestione relativa al quadro internazionale: inprimo piano non l’uccisione del francese – siamo in piena seconda guerradi indipendenza, in cui il Regno di Sardegna è alleato con Napoleone III con-tro gli austriaci – ma tre figure femminili in fuga, una delle quali richiamaper il cromatismo dell’abito i colori della bandiera francese, mentre sullo sfon-do infuria la battaglia29.

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Si innestava così un circuito tra storia, arti figurative e melodramma, ge-nere più comunicativo, quest’ultimo, e più accessibile della grande tragedia,sempre più coinvolto nel nazionalismo risorgimentale grazie al convergeredei suoi vari livelli creativi (testo musicale, testo scritto, esecuzione) nel temadella patria e della nazione30. Sollecitazioni ad un maggiore impegno civileerano giunte nel 1836 dallo stesso Giuseppe Mazzini con la pubblicazionedi un libretto dal titolo Filosofia della musica, ma solo dopo il ‘48 i temi pa-triottici sarebbero diventati un motivo ricorrente della produzione verdia-na per le richieste del pubblico e degli editori musicali. Contemporaneamentefioriva una produzione di inni e di canti, manifestazioni popolari spontaneee sincere del sentimento patriottico. Tra questi l’inno di Mameli, che nellaquarta strofa include il Vespro fra i quattro atti indipendentistici che ave-vano storicamente coinvolto l’Italia dalla Lombardia al Piemonte. Mameliaveva così fatto propria la “lezione” di Amari31.

Ma anche nel Canto degli Italiani (1848), pubblicato da Ricordi nella suaAntologia Classica musicale, c’è un riferimento alla rivolta palermitana:

Non invano il mare e l’AlpiFè natura al nostro schermo;

Viva il Vespro di PalermoE colui che lo suonò32.

E sempre nel ‘48, al suono della campana della Gancia, i palermitani can-tarono:

Sta terra di lu Vespru,Antica prigiunera,Saprà ben diffeniri

La patria tutta intera33.

Nel 1855, dopo il “trittico romantico”34Rigoletto, Trovatore e Traviata,Verdi ritornò al tema patriottico ma con la voglia di percorrere nuove stra-de. In effetti i Vespri siciliani (titolo originale Les Vêpres siciliennes) inau-gurarono una svolta nell’arte verdiana, una nuova concezione del drammain cui la musica non si preoccupava soltanto di scolpire a tutto tondo il ca-rattere dei protagonisti ma anche di collocarli entro un ambiente storico edi costume35. Il dramma in cinque atti, commissionatogli dall’Académie Im-periale de Musique di Parigi su libretto dei francesi Augustin Eugène Scri-be e Charles Duveyrer, fu rappresentato il 13 giugno 1855 in occasione deifesteggiamenti organizzati a Parigi per la grande Esposizione universale, cuiera stato invitato anche Vittorio Emanuele II in segno di amicizia nei con-fronti dell’Italia che aveva partecipato alla guerra di Crimea.

La vicenda ruota attorno a quattro personaggi: Guido di Monforte, odiatogovernatore dell’isola in nome di Carlo d’Angiò; Arrigo, giovane siciliano che

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scopre di essere figlio di Monforte; la duchessa Elena, amata da Arrigo, frementedi odio dopo che il fratello è stato ucciso dagli invasori per motivi politici; Gio-vanni da Procida, l’esule che rientra nella sua patria per liberarla dai tiranni eche nella celebre aria “O tu Palermo, terra adorata” (scena I) invoca la rivol-ta dei siciliani contro lo straniero, chiamandoli alla vittoria ed al riscatto:

O patria, o cara patria, alfin ti veggo! / L’esule ti saluta / sì lunga assenza; / il tuofiorente suolo / bacio, e ripien d’amore / reco il mio voto a te, col braccio e il core!/ O tu, Palermo, terra adorata, / de’ miei verdi anni riso d’amor, / alza la frontetanto oltraggiata, / il tuo ripiglia primier splendor!

La rappresentazione fu preceduta da contrattempi di vario genere e dallecritiche di chi non approvava che la scelta fosse caduta proprio su Verdi, la-mentando il fatto che non si fosse trovato un compositore francese il grado difigurare all’apertura di una manifestazione organizzata in territorio naziona-le36. Inoltre la scelta della trama fatta dai due librettisti francesi non riuscì gra-dita né allo stesso Verdi né a qualche critico. Gli autori, infatti, decisero di in-centrare l’opera sul vecchio tema della congiura ordita da Procida anziché at-tenersi alla popolarissima Guerra del Vesprodi Amari, ristampata a Parigi nel1843 e uscita in quarta edizione a Firenze nel 1851. La motivazione potrebbeessere duplice: in primo luogo i due, all’insaputa di Verdi, pensarono di adat-tare al nuovo melodramma la trama de Il Duca d’Alba37, scritto dieci anni pri-ma per Donizetti, dall’intreccio incentrato su una congiura; in secondo luogo,in quanto francesi, avrebbero interpretato a modo loro il mito, spostando l’in-teresse dalla rivolta contro la mala signoria alle macchinazioni ordite dal sici-liano Procida. Ma c’è di più: per giustificare il fatto di aver ignorato la verità sto-rica, gli autori pensarono di prevenire eventuali critiche e, citando autorevolifonti tratte presumibilmente da una recensione del libro di Amari, si serviro-no della prefazione per dimostrare che “il massacro generale, noto sotto il nomedi vespri siciliani, non è mai accaduto”38. L’effetto fu quello di scatenare le iredel critico Paolo Scudo, che biasimò non solo la scelta del soggetto, inoppor-tuno per l’opera di un italiano da rappresentare in Francia, ma anche l’igno-ranza dei librettisti in fatto di storia. Lo stesso Verdi, deluso dall’insulso libretto,non gradì che fosse stata addossata tutta la responsabilità dell’eccidio ai sici-liani e lo fece notare anche al sovrintendente dell’Opéra:

Io contavo che Mr. Scribe, come mi aveva promesso dopo l’inizio, avrebbe cam-biato tutto quello che intacca l’onore degli Italiani. Più rifletto a questo sogget-to, più mi persuado che è pericoloso; esso offende i Francesi poi che sono mas-sacrati; offende gli Italiani perchè Mr. Scribe, alterando il carattere storico di Pro-cida, ne fa un cospiratore comune mettendo nella sua mano l’inevitabile pugna-le. Mio Dio! Nella storia di ogni popolo ci sono virtù e crimini, e noi non siamopeggiori degli altri. In ogni modo, io sono Italiano prima di tutto, e costi quel checosti non mi renderò mai complice di un’offesa fatta al mio paese39.

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Da quanto si è detto si può dedurre che i librettisti non avevano letto illibro di Amari. E Verdi? Sicuramente conosceva il Giovanni da Procida delNiccolini, ma sembra aver ignorato La guerra del Vespro. Lo stesso Ama-ri, che si trovava a Parigi già da alcuni anni, non accenna minimamente nelsuo epistolario né alla rappresentazione dei Vespri né al soggiorno parigi-no di Verdi. A questo proposito Leonardo Sciascia avanza delle ipotesi: for-se Amari non condivideva l’uso che della storia si faceva nel melodrammain genere; forse nutriva risentimento per il compositore che aveva ripresoil mito della congiura dopo che lui aveva fatto di tutto per distruggerlo. Inogni caso si trattava di due registri diversi: quello verdiano in chiave uni-versalistica, l’altro amariano in chiave politica e storica. Eppure

l’incontro che non avvenne a Parigi nel 1855 avveniva comunque nella comunepassione, negli uguali intendimenti civili ed artistici, nella forza con cui entrambi,con mezzi diversi, rappresentarono un momento del passato in funzione del pre-sente40.

I Vespri siciliani furono rappresentati a Parigi la sera del 13 giugno 1855con grande successo di pubblico, ma quando si trattò di portarli sulle sce-ne italiane la censura ovviamente sollevò infinite difficoltà. Dell’opera si die-dero tre versioni emendate (Giovanna de Guzman, Batilde di Turenna e Gio-vanna di Sicilia), chiaro segnale del pericolo che avrebbe comportato un’ese-cuzione fedele alla prima edizione. Nell’ottica risorgimentale, infatti, l’epi-sodio acquistava il significato simbolico di rivolta contro lo straniero e, comeha osservato il musicologo Giuseppe Montemagno, nel clima di euforia cheinvestiva l’Italia fungeva da “mazziniano manuale di istruzioni per l’orga-nizzazione di rivolte e congiure, tanto da prevederne anche il possibile fal-limento”41. I nomi dei personaggi, l’epoca e il luogo dell’azione risultaronostravolti dalla censura: ad esempio, in Giovanna de Guzman i Siciliani di-ventano Portoghesi in lotta contro la dominazione spagnola di Filippo IV,mentre in Giovanna di Sicilia l’azione ritorna a Palermo, ma all’epoca del-la dominazione araba.

2. La costruzione della nazione e “l’invenzione della tradizione” del Vespro

Dopo il 1861 il mito del Vespro, che aveva simboleggiato la lotta per la libertà,servì a monumentalizzare la partecipazione dell’isola al Risorgimento:esperienze culturali e istituzioni di vario tipo come l’arte, il folklore, gli stu-di demologici, le società di storia patria, le mostre etnografiche ebbero la fun-zione di ricollegare le identità locali a quella della nazione. Per quanto con-cerne la pittura, fra gli artisti siciliani che riproposero il tema con soluzio-ni diverse ci furono Luigi Lojacono con I Vespri Siciliani (1860), scena col-lettiva che aveva per protagonista il popolo, il messinese Giacomo Conti, au-

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tore tra il 1868 e il 1870 di una grande tela di cui rimane oggi solo un boz-zetto, e Giuseppe Carta con il sipario del teatro Regina Margherita di Ra-calmuto (1879)42. Di gran lunga più celebre il dipinto del 1864 I Vespri si-ciliani (Catania, Museo del Castello Ursino) del catanese Michele Rapisar-di43 per la resa della siciliana, il cui abito bianco – allegoria della purezza del-la stirpe – formava con il verde dell’erba e il rosso di un mantello i colori del-la bandiera. A partire dalla fine degli anni ’60 anche gli studiosi di folkloreGiuseppe Pitrè e Salvatore Salomone-Marino diedero il loro contributo al con-solidamento del mito, studiando e raccogliendo i canti popolari siciliani tracui quelli del Vespro, considerati frammenti di poemetti nati dopo l’insur-rezione44.Nello stesso periodo il tema entrava a far parte del repertorio deipittori dei carretti insieme ad altri episodi che esaltavano la conquistata li-bertà del popolo isolano dopo tanti secoli di servaggio, in particolare le im-prese di Ruggero il Normanno contro i Saraceni, anticipatrici dello sbarcodei Mille45.

La partecipazione dell’isola al processo unitario fu valorizzata in misu-ra ancora maggiore dalle commemorazioni collegate a fatti importanti del-la storia siciliana. Come osserva Ilaria Porciani, “la festa era intesa come unmodo per esaltare la forza del nesso centro-periferia dal punto di vista isti-tuzionale e amministrativo e per collegare simbolicamente alla capitale le cit-tà e i comuni del regno”46. Ma non solo: la rievocazione del passato glorio-so doveva servire a presentare un’immagine forte della nazione anche agliocchi degli altri Stati europei. In questa logica assunse grande rilievo la ce-lebrazione del sesto centenario del Vespro nel 1882, fortemente voluta e di-retta da Francesco Crispi, presidente onorario del comitato organizzativo.Il mito, nell’interpretazione che ne aveva dato Amari, veniva così istituzio-nalizzato e trasformato in tradizione, con i suoi rituali, il suo apparato ico-nografico, le sue ambiguità.

Tutta la Sicilia si mobilitò nel segno di un’unità che trascendeva i mu-nicipalismi, riconoscendo il primato di Palermo che, “conscia del valore e del-la virtù dei suoi avi, volle, dopo sei secoli, commemorare quello che era con-siderato il più grande avvenimento, dopo quello della Lega Lombarda, chevanti nel medio-evo l’Italia”47. Ma la commemorazione, lungi dal rappresentareun fattore di coesione, subì le sollecitazioni della politica locale, nazionalee persino internazionale, a cominciare dalla frattura venutasi a creare fra leforze politiche in lotta per la conquista di un posto al sole nell’agone politi-co, principalmente i democratici crispini e la sinistra radicale, fino alle po-lemiche scatenate dall’evento in Francia, dove si paventava che il popolo si-ciliano, eccitato dal ricordo di quella rivolta, potesse collegare il Vespro a quel-lo che considerava un nuovo sopruso da parte dei francesi, vale a dire il pro-tettorato imposto il 12 maggio 1881 sulla Tunisia48.

La vigilia della ricorrenza fu, quindi, caratterizzata da un pericoloso sta-to di tensione, accresciuto dagli articoli di un giornale antifrancese intito-lato proprio Il Vespro49; si aggiunsero il malcontento della Chiesa suscita-

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to dal carattere anticlericale del testo delle due lapidi destinate alla faccia-ta della Martorana e di Santo Spirito50 e gli infuocati discorsi di FrancescoCrispi, che il 13 novembre 1881 affermava che col Vespro “noi non abbiamosolamente cacciato lo straniero, ma abbiamo levato il primo grido di guer-ra contro il potere temporale dei papi”51 e che nei giorni della celebrazioneaggiungeva, citando Michele Amari sulle colonne de La Riforma: “I moti del31 marzo 1282 si devono al popolo, insofferente di tirannide; […] il popoloriformò i suoi statuti, e sostenne per 20 anni, nonostante i tradimenti e lecodardie della stessa dinastia che aveva instaurato sul trono, una guerra ti-tanica contro l’Italia guelfa, la Francia, la Spagna ed il papa insieme con-giurati”52. A questa visione ghibellina e misogallica del mito la sinistra ra-dicale replicava chiedendo a gran voce di far tacere ogni rappresaglia nei con-fronti della nazione francese, che rimaneva pur sempre in Europa il baluardodelle libertà repubblicane53.

Nonostante le rassicurazioni del comitato organizzatore54, il governo De-pretis e le autorità cittadine non risparmiarono rigore nel prevedere misu-re che evitassero i turbamenti dell’ordine pubblico e permettessero di con-trollare tutte le possibili interpretazioni del mito. Crispi aveva insistito per-ché alle celebrazioni partecipasse una vera e propria leggenda vivente del Ri-sorgimento, Giuseppe Garibaldi, il cui carisma rimaneva immune ai duri evisibili colpi della vecchiaia e della malattia e che ogni comune dell’isola sipreparava ad accogliere, riempiendo le piazze di una folla curiosa e osannante.Suscitavano enormi timori nei custodi della pubblica sicurezza le conseguenzeche avrebbe potuto scatenare l’incontro tra l’Eroe dei Due Mondi e l’isola ri-voluzionaria, che aveva prestato le sue quinte al Vespro e alla spedizione deiMille, in un esplosivo impasto senza precedenti di antiche memorie e freschiricordi55. Una straordinaria operazione di pedagogia patriottica orchestra-ta in gran parte da Francesco Crispi, che il giorno della ricorrenza, il 31 mar-zo, si rivolse ai cittadini di Palermo con queste parole:

Una sola è la nostra ambizione: noi desideriamo, noi vogliamo, che le generazioniche ci seguono sappiano conservare il patrimonio della unità, della libertà, del-l’indipendenza nazionale e che continuino esse quell’opera di quelle nostre isti-tuzioni, nelle quali è l’avvenire della democrazia. Molti han dubitato che la com-memorazione del Vespro possa offrir causa ad imprudenti rivincite, a mai me-ditate rappresaglie. Festeggiando il VI centenario delle grandi vittorie dei nostripadri, abbiamo avuto un solo scopo, cioè di alimentare il culto delle grandi me-morie56.

Le preoccupazioni per l’ordine pubblico e per le possibili letture di segnoantifrancese delle celebrazioni si dimostrarono infondate, come ebbe a no-tare con soddisfazione il console di Francia. Nei diversi giorni della festa lepersonalità politiche di spicco e gli studiosi incentrarono i loro interventi sullegame tra i fatti del 1282 e gli eventi del Risorgimento, senza prestarsi al

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gioco di una celebrazione in chiave polemica57. Il carattere polisemico del-la ricorrenza offriva inoltre la possibilità alle autorità locali di esaltare le glo-rie municipali e di affermare che

si è quasi orgogliosi di essere siciliani, ripensando all’esemplare contegno di-mostrato in Palermo in questo giorno solenne. La concordia, l’ordine, la fede neifuturi destini della patria, provano sempre più che nella Sicilia non vi è plebe, maun popolo degno di sè stesso e della nazione della quale fa parte. I detrattori stra-nieri apprendano che noi non siamo degeneri dai nostri padri58.

Nel complesso il giudizio della stampa straniera, sintetizzato dal Giornaledi Sicilia del 4 aprile, fu lusinghiero:

I Siciliani non erano quei selvaggi come gli dipingeva una stampa ostile ed ingiusta,ma un popolo eminentemente civile, che ha la coscienza della propria dignità eil rispetto di se stesso59.

Tuttavia le sollecitazioni politiche immediate non potevano essere taciute.L’umiliazione subita dall’Italia da parte dei francesi in Tunisia aveva accre-sciuto in Crispi e in molti esponenti della politica e della cultura la coscien-za della propria debolezza, dovuta alla mancanza di ideali e di ambizione.Si paragonava la mediocrità del presente all’eroismo e alla virilità del pas-sato, specialmente alle glorie della storia romana e medievale. Di questa di-sillusione si fece portavoce anche il Carducci:

Accoglietemi, udite, o de gli eroiEsercito gentile:

Triste novella io recherò fra voi:La nostra patria è vile60

Se si voleva risollevare il paese dalla decadenza bisognava, quindi, costruireuna nuova agiografia laica da affiancare ai principali protagonisti del Ri-sorgimento – Cavour, Mazzini, Vittorio Emanuele II e Garibaldi, quest’ul-timo scomparso il 2 giugno 1882 – come icone patriottiche artefici dell’unitànazionale cui la comunità doveva quotidianamente ispirarsi. Costruireun’immagine edulcorata dell’effettiva esperienza storica risorgimentaleera un’operazione necessaria al fronte democratico, che ne era l’artefice, persuperare le divisioni al suo interno e garantirsi l’adesione emotiva delle mas-se61. A tal proposito Salvatore Lupo osserva:

La nazione vuol ricordare il passato che le è utile, quello che parla di concordia,e rende il tutto col termine Risorgimento; dimenticando il passato che ritiene dan-noso, il conflitto e dunque innanzitutto la rivoluzione62.

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Nel corso degli anni Ottanta Crispi svolse un ruolo centrale nel consolida-mento delle conquiste del processo di State Building. A questo scopo erano sta-te pensate l’istituzione delle commemorazioni ufficiali legate all’epopea gari-baldina e la sacralizzazione di nuovi padri della patria. Tra questi fu annove-rato anche Michele Amari, morto il 16 luglio 1889 a Firenze63 e seppellito nelchiostro di S. Domenico, nuova sede della Società di Storia Patria e santuariodel patriottismo. Conquistava, dunque, l’immortalità anche lo storico del Ve-spro, assurto tra i numi tutelari del Risorgimento, destinato per sempre a ser-vire il mito della rivoluzione degli oppressi che conquistano la libertà.

3. Da liberi a oppressori

A dieci anni dalla commemorazione del sesto centenario del Vespro, Paler-mo ospitò un altro evento straordinario, la quarta Esposizione nazionale64,grandiosa fiera della produzione e della tecnica. La scelta della città sicilia-na non fu casuale: la manifestazione avrebbe dovuto diffondere un’imma-gine moderna e imprenditoriale della Sicilia, non più periferia ma parte in-tegrante a tutti gli effetti del nuovo Stato, malgrado le recriminazioni auto-nomistiche e la tensione sociale che sarebbe sfociata di lì a poco nei Fasci deiLavoratori65.

L’idea, nata fra alcuni giovani del Circolo artistico palermitano, fu quin-di accolta con entusiasmo dal capo del Governo Crispi ma attuata dal suc-cessore/rivale Antonio Starrabba di Rudinì66. Il 15 novembre, alla presen-za dei sovrani Umberto I e Margherita di Savoia, la manifestazione fu inau-gurata in una Palermo trasformata per l’occasione in una capitale europeadel liberty, “incorniciata dal profilo rosso del monte Pellegrino, [...] bella egloriosa, nelle pagine antiche della storia e nelle moderne”67.

All’esposizione della produzione industriale, artigiana, agricola ed arti-stica furono annessi dei padiglioni speciali come la mostra etnografica cu-rata da Giuseppe Pitrè, testimonianza di una cultura popolare che merita-va di essere raccolta e studiata in quanto espressione della “civiltà” e del “ge-nio” dei siciliani68, il Padiglione del Risorgimento nazionale, che custodivauna notevole quantità di cimeli storici, e la sezione delle Belle Arti, espres-sione dell’arte ufficiale a carattere propagandistico. Nelle sale della pitturanon poteva mancare il Vespro, divenuto ormai un’icona patriottica, raffiguratonel dipinto di Erulo Eroli che il comune di Palermo aveva acquistato proprioper l’occasione69. Il pubblico ammirò molto quella tela che rievocava l’epi-sodio diventato ormai “leggenda intangibile per ogni siciliano che si rispet-ti”: al centro della composizione la siciliana, dal bianco abito orientale, crea-va con il rosso e il verde dominanti nel dipinto l’allegoria cromatica tipica-mente risorgimentale70.

Tuttavia la celebrazione della liberazione e dell’unificazione non basta-va ad un’Italia che guardava con spirito di emulazione alle grandi potenze

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colonialiste e che sperava di competere con gli altri Paesi europei nell’ago-ne dell’imperialismo, rincorrendo in Africa la propria identità nazionale. Nel1887 le sue ambizioni erano state deluse a Dogali, in una sconfitta che ven-ne però accolta nel pantheon dei nuovi miti per la nazionalizzazione delle mas-se. Ecco perché fra le sculture dell’esposizione palermitana fu proprio il mo-numentale gruppo “Dogali” del siciliano Benedetto Civiletti, che rievocavail drammatico episodio della guerra d’Africa in cui avevano perso la vita 500soldati italiani, ad attirare maggiormente l’attenzione, sebbene con risulta-ti inaspettati71. La scultura immortalava l’istante in cui il colonnello De Cri-stoforis alzava la spada per sfidare i nemici, circondato dagli ultimi soldatirimasti ancora vivi, mentre gli altri erano a terra agonizzanti. Non si vede-vano gli africani, ma solo le lance e le frecce da loro scagliate che si config-gevano nei petti dei soldati72. Il tema, trattato anche nel dipinto “Dogali” delromano Cesare Biseo che raffigurava il manipolo italiano aggredito dalla mol-titudine dei nemici73, avrebbe dovuto contribuire ad assicurare il sostegnodell’opinione pubblica alla politica coloniale, suscitando grande commozioneed ammirazione per i valorosi eroi nazionali e disprezzo per un avversariobarbaro e sanguinario. In realtà le due opere produssero non poche critichenei confronti della “stoltezza di ministri sognanti le glorie militari colonia-li”74, proprio come ai tempi della disfatta. L’episodio, infatti, aveva diviso l’opi-nione pubblica: presentato dalla retorica ufficiale come un leggendario fat-to d’armi più epico delle Termopili e commemorato in tutte le città italiane,aveva anche scatenato proteste di piazza e polemiche fra gli anticolonialistie gli intellettuali interpreti del vecchio nazionalismo liberale. Tra questi Car-ducci, che si era rifiutato di celebrare in versi le vittime di una spedizione av-ventata, precisando che ”gli abissini” avevano “ragione di respingere noi comenoi respingevamo o respingemmo gli austriaci”75. Anche intellettuali mino-ri si erano fatti portavoce del disappunto popolare come il giornalista e poe-ta Ulisse Barbieri, che nel suo Inno abissino criticava l’operato del governoe difendeva l’avversario che gli italiani non avevano il diritto di aggredire76.

Non fu unanime neanche l’impatto sul pubblico della mostra eritrea, spet-tacolo nello spettacolo, vero evento mediatico dell’Esposizione77. Si trattava diuna delle prime esposizioni coloniali della nuova Italia78 allestita per mostra-re quello che il Ministro dell’Agricoltura Chimirri definì un “primo inventariodelle risorse italiane”79 e che avrebbe dovuto nel contempo suscitare simpatiae fiducia verso la politica coloniale di Crispi e le potenzialità della colonia Eri-trea80. La maggiore attrattiva della mostra era il villaggio, vero e proprio mu-seo vivente, idoneo nelle intenzioni degli allestitori a far conoscere le abitudi-ni e il modo di vivere degli indigeni per evidenziare la diversità e l’esotismo de-gli Assabesi, rappresentanti di un’altra razza da civilizzare. A parte qualche cro-naca trasudante stereotipi e pregiudizi, opera di giornalisti improvvisatisi an-tropologi, sicuramente molto più significative furono le espressioni di solida-rietà e di biasimo per la logica strumentale che aveva ispirato l’esposizione, sic-ché l’interesse per la colonia lasciò il posto ad un’immagine di desolazione81.

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Da alcune testimonianze particolarmente critiche rileviamo come i visi-tatori della mostra esprimessero il loro disappunto per la superficialità e l’im-provvisazione del comitato che aveva attirato con promesse quei poveri abis-sini seminudi a lasciare la propria terra per trascorrere un anno in Sicilia,alloggiati in pieno autunno in capanne di calcinaccio e paglia, malnutriti elasciati a battere i denti rannicchiati sulla terra umida82.

L’ignobile spettacolo che si offriva nel villaggio eritreo sembrò ai più in-degno della civiltà di un popolo come quello siciliano che aveva cacciato lostraniero con un atto di eroismo. Sembrava proprio il tradimento degli idea-li per i quali si era tanto combattuto: ”Là dentro siamo tra i barbari, ma i bar-bari, purtroppo, non sono gli Abissini”83. Fra gli indigeni c’erano ragazzi “buo-ni, simpatici, intelligentissimi”, tutti “figli di un popolo” che si era rivelato“esempio di amor patrio, di nobiltà e di fierezza”84. La cittadinanza avreb-be potuto riparare il danno e dimostrare di possedere quell’umanità di cuiera privo chi aveva diretto “l’empia mostra” ospitandoli ancora in Italia peristruirli e rimandarli poi a casa loro “apportatori di civiltà, meno costosi epiù efficaci dei cannoni e dei cannonatori”. Ma così non fu.

In tale contesto il dipinto di Eroli paradossalmente finiva per assumereagli occhi di tanti visitatori un valore simbolico universale e rivelava tuttele contraddizioni di una nazione libera che scopriva la propria vocazione al-l’oppressione. Ancora una volta il Vespro si dimostrava un mito polivalen-te: la donna in abiti orientali non rappresentava più solo la patria italianao quella siciliana, ma anche la patria degli Abissini; non più l’espressione delfalso patriottismo delle grandi potenze, che considerano sacra la libertà alproprio interno per poi violare sistematicamente i diritti altrui, ma di un pa-triottismo ideale, inteso come rispetto delle altre nazioni e obbligo moraleverso l’umanità.

Ogni interpretazione del passato, del resto, riverbera le tensioni del pro-prio tempo. Idealizzato nel corso dell’Ottocento in chiave regionista, unita-ria e, infine, universalista, in seguito il Vespro sarebbe stato demitizzato, inuna prospettiva altrettanto metastorica, da Croce e Gentile, ma qui si apri-rebbe un altro tema, alle origini delle elaborazioni che agli albori del nuo-vo stato unitario avrebbero legato la questione siciliana alla questione me-ridionale85.

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Erulo Eroli, I Vespri siciliani, Galleria civica d’arte moderna Sant’Anna di Palermo (da Kalos. Maestri sici-liani. Supplemento al n. 2, 1991)

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Note

1 Inno di Goffredo Mameli, IV strofa, in Associazione Amici Accademia dei Lincei, Canti e poe-sie per un’Italia unita dal 1821 al 1861, a cura di Pierluigi Ridolfi, prefazione di Carlo AzeglioCiampi, 1861-2011, 150° anniversario dell’Unità d’Italia, Associazione Amici dell’Accademia deiLincei, Roma 2011, p. 37.2 Michele Amari, La guerra del Vespro siciliano, 5° edizione, Centro Editoriale Meridionale, p.105.3 Sui precedenti dell’opera di Amari vedi Amelia Crisantino, Introduzione agli “Studii su lastoria di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 1820” di Michele Amari, Quaderni di Mediter-ranea. Ricerche storiche, Associazione Mediterranea, Palermo 2010, pp.194-201.4 Giovanni Battista Niccolini, Giovanni da Procida, tragedia, R. Masi, Bologna 1831. 5 Sulla rivoluzione del ’20 si veda Antonino De Francesco, Church e il nastro giallo. L’imma-gine del 1820 in Sicilia nella storiografia del XIX secolo, in Rivista italiana di studi napo-leonici, 28, 1991, pp. 23-90; id., La guerra di Sicilia. Il distretto di Caltagirone nellarivoluzione del 1820-21, Bonanno editore, Acireale 1992, pp. 11-33; id., Cultura costituzionalee conflitto politico nell’età della Restaurazione, in G. Barone, F. Benigno [et alter], Elites epotere in Sicilia dal Medioevo ad oggi, a cura di F. Benigno e C. Torrisi, Meridiana Libri, Ca-tanzaro 1995, pp. 121-134.6 Niccolò Palmeri, Saggio storico e politico sulla Costituzione del Regno di Sicilia, introduzionedi Enzo Sciacca, Edizioni della Regione siciliana, Palermo 1972, pp. 25-27, 95; Francesco Bran-cato, Storiografia e politica nella Sicilia dell’Ottocento, S.F. Flaccovio editore, Palermo 1973,pp. 152-164.7 Michele Palmieri di Miccichè, Moeurs de la cour et des peuples des Deux Siciles, introdu-zione di Massimo Colesanti, Edizioni della Regione Siciliana, Palermo 1971, pp. 10-13; Giu-seppe Giarrizzo, Note su Palmieri, Amari e il Vespro, in Archivio Storico per la SiciliaOrientale, anno LXIX, 1973, fasc. II, pp. 355-356.8 Francesco Crispi, Il Vespro e il Risorgimento italiano, in Sicilia-Vespro. VII Centenario(1282-1982), ristampa anastatica dell’edizione del 1882, a cura di Giuseppe Pitrè, nota intro-duttiva di Rosario La Duca, premessa di Francesco Giunta, Vittorietti editore, Palermo 1982,pp. 31-32; Luigi Sampolo, La letteratura poetica siciliana del Vespro del secolo nostro, in Si-cilia-Vespro cit., pp. 26-27; Giuseppe La Mantia, I prodromi e i casi di una penetrazione quasiclandestina della tragedia “Giovanni da Procida” di G. B. Niccolini in Sicilia nel 1831, in Ar-chivio Storico Siciliano, XLV, 1924, p. 230.9 Michele Amari, La guerra del Vespro cit., p. 9. Su Amari vedi Rosario Romeo, in Dizionariobiografico degli Italiani, UTET, Roma 1961, vol. II, pp. 637-654; id., Mezzogiorno e Sicilianel Risorgimento, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1963, pp. 157-194; Francesco Giunta,Attualità di Michele Amari, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, 1968, serie III, vol.XVIII, pp. 370-382; Francesco Brancato, Storiografia e politica nella Sicilia dell’Ottocento,S.F. Flaccovio, Editore, Palermo 1973, pp. 191-230; Giuseppe Giarrizzo, Note su Palmieri,Amari e il Vespro, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, LXIX, fasc. II, anno 1973, pp.355-359; Illuminato Peri, Michele Amari, Guida Editori, Napoli 1976; Maurice Aymard, Giu-seppe Giarrizzo, Le regioni dall’unità a oggi. La Sicilia, introduzione di Giuseppe Giarrizzo,pp. XIX-LVII, in Storia d’Italia, G. Einaudi Editore, Torino 1987; Vincenzo D’Alessandro,Giuseppe Giarrizzo, La Sicilia dal Vespro all’unità d’Italia, Storia d’Italia diretta da GiuseppeGalasso, vol. sedicesimo, UTET, Torino 1989, pp. 744-750; Salvatore Tramontana, Gli annidel Vespro. L’immaginario, la cronaca, la storia, edizioni Dedalo, Bari 1989, pp. 87-122; Giu-seppe Giarrizzo, Per una storia della storiografia europea. Gli storici, la storia, Bonanno edi-tore, Acireale 1995, pp. 77-89; Amelia Crisantino, op. cit; Annliese Nef, Michele Amari oul’histoire inventée de la Sicile islamique: réflexions sur la Storia dei Musulmani di Sicilia, inMaghreb-Italie des passeurs médiévaux à l’orientalisme moderne (XIIIe-milieu XXe siècle ),ed. Benoît Grévin, Rome 2010, 285-306.10 Alessandro D’Ancona (a cura), Carteggio di Michele Amari raccolto e postillato coll’elogiodi lui, Torino 1896-1907, I, p. 371, nota 18.11 Michele Amari, La guerra del Vespro cit., p. 120.12 Michele Amari, La guerra del Vespro cit., p. 120.13 Michele Amari, La guerra del Vespro cit., p. 9.14 Michele Amari, La guerra del Vespro siciliano o un periodo delle istorie siciliane del secoloXIII, 2a edizione, Baudry, Parigi 1843, p. 6.

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15 Vincenzo D’Alessandro, Giuseppe Giarrizzo, op. cit., p. 747.16 Vincenzo D’Alessandro, Giuseppe Giarrizzo, op. cit., pp. 747-748.17 Michele Amari, La guerra del Vespro cit., pp. 10-11. Libera da condizionamenti ideologici eculturali, la rivolta palermitana si ridimensiona a fatto scatenante di un insieme di avveni-menti che mutarono profondamente la realtà politica della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia.Francesco Benigno, Giuseppe Giarrizzo, Storia della Sicilia, vol. II, Laterza, Roma-Bari 1999,pp. 80-104; Francesco Benigno, La libertà ha bisogno di eroi: i Comuneros e i Vespri nella sto-riografia nazional-liberale, in Atti del Convegno internazionale 1812, fra Cadice e Palermo,Palermo-Messina 2005, a cura di A. Romano; id., Il ritorno dei Vespri: storia e politica nel-l’opera de Filadelfo Mugnos, Pedralbes, 27, 2007, pp. 131-150. Sul dibattito storiografico vediSalvatore Tramontana, Gli anni del Vespro cit.; Giovanni Vitolo, Medioevo. I caratteri origi-nali di un’età di transizione, Sansoni, Milano 2000, pp. 425-430. 18 Niccolò Palmeri, op. cit., p. 61.19 Michele Amari, La guerra del Vespro cit., p. 10.20 Prefazione al I volume della Storia dei musulmani di Sicilia (1854), in Giuseppe Giarrizzo,Per una storia della storiografia cit., pp. 78-79.21 Prefazione all’edizione del 1866 de La Guerra del Vespro, in Francesco Giunta, op. cit., p.378.22 Sull’immaginario patriottico vedi Alberto Mario Banti, La nazione del Risorgimento. Pa-rentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Giulio Einaudi editore, Torino 2000, p.150; id., Le invasioni barbariche e le origini delle nazioni, in Immagini della nazione nel-l’Italia del Risorgimento, a cura di A. M. Banti e R. Bizzocchi, Carocci editore, Roma 2002, pp.21-44; id., Il Risorgimento italiano, Editori Laterza, Roma-Bari 2004, pp.53-73; GiuseppeLangella, I valori risorgimentali e la lezione della storia, in Nuova Secondaria, 15 gennaio2011, anno XXVIII, pp. 54-58; Adriano Roccucci (a cura), La costruzione dello Stato-nazionein Italia, collana I libri di Viella, 2012.23 Su Francesco Hayez vedi: Giulio C. Argan, L’arte moderna, Sansoni 2002, pp. 168-169; Mau-rizio Bernardelli Curuz, Il bacio che cementa la nazione, in Nuova Secondaria, 15 marzo 2011,anno XXVIII, pp. 59-62; Maurizio Bernardelli Curuz, Elena Panzera, Unità d’Italia. La pit-tura subliminale e le esplicite allegorie politiche, inNuova Secondaria, 15 gennaio 2011, annoXXVIII, pp. 59-63. 24 Fernando Mazzocca, L’iconografia della patria tra l’età delle riforme e l’Unità, in Immaginidella nazione nell’Italia del Risorgimento, a cura di Alberto Mario Banti e Roberto Bizzocchi,Carocci editore, Roma 2010, p. 106.25 Lettera a Michele Bisi, intermediario fra Hayez e la marchesa Visconti d’Aragona, commit-tente dell’opera (31 gennaio 1821), in Fernando Mazzocca, op. cit., p.150; Alberto Mario Banti,La nazione nel Risorgimento cit., p. 84.26 Alberto Mario Banti, L’onore della nazione. Identità sessuali e violenza nel nazionalismo eu-ropeo dal XVIII secolo alla grande guerra, Einaudi, Torino 2005; id., Per una nuova storiadel Risorgimento, in Storia d’Italia, Annali 22, Giulio Einaudi Editore, Torino 2007, p.p.xxxviii-xli.27 Salvatore Lanza di Trabia P., Di alcuni quadri sul Vespro Siciliano, in Sicilia-Vespro cit, p.27.28 Per la pittura siciliana del periodo risorgimentale vedi il recente saggio di Tiziana Crivello,I Vespri siciliani in un sipario dipinto da Giuseppe Carta per l’Unità d’Italia, in Oadi, Rivi-sta dell’Osservatorio per le arti decorative in Italia, n°4, dicembre 2011(www.unipa.it/oadi/oadiriv./? Page-id=1049). 29 Fortunato Bellonzi, La pittura di storia dell’Ottocento italiano, in Mensili d’arte - Scuole,movimenti, personalità della pittura moderna, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1967, pp. 20-21, 95.30 Carlotta Sorba, “Or sia patria il mio solo pensier”. Opera lirica e nazionalismo nell’Italia ri-sorgimentale, in Gli italiani e il tricolore. Patriottismo, identità nazionale e fratture socialilungo due secoli di storia, a cura di Fiorenza Tarozzi e Giorgio Vecchio, Il Mulino, Bologna1999, pp. 177-197; id., Teatri. L’Italia del melodramma nell’età del Risorgimento, Il Mulino,Bologna 2001, pp. 191-225; id., Il Risorgimento in musica: l’opera lirica nei teatri del 1848,in Immagini della nazione cit., pp. 89-108; Elisa Mazzella, “Liberi non sarem se non siamuni”. La formazione della coscienza nazionale nel melodramma italiano, in Nuova Seconda-ria, 15 novembre 2011, anno XXIX, pp. 35-39. Su Giuseppe Verdi vedi: Raffaello Monterosso,La musica nel Risorgimento, Casa Editrice Dottor Francesco Vallardi, Milano 1948, pp. 290-

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379; Gustavo Marchesi, Giuseppe Verdi, Unione Tipografica-Editrice Torinese, Torino 1970;David R.B. Kimbell, Verdi in the Age of Italian Romanticism, Cambridge University Press,Cambridge 1985; Julian Budden, Le opere di Verdi, vol. II, Edt, Torino 1986; Giuseppe Mon-temagno, Politica e potere nella librettistica italiana del Risorgimento. Contributo per unaprima ricognizione ed analisi di testi, estratto da Note su note, Rassegna di contributi musi-cologici curata e realizzata dalla Cattedra di Storia della Musica del Dipartimento di ScienzeStoriche, Antropologiche e Geografiche dell’Università degli Studi di Catania, Anno V, n.5, di-cembre 1997; Francesco Degrada (a cura di), Giuseppe Verdi: l’uomo, l’opera, il mito, Skira,Milano 2000; Massimo Mila, Verdi, a cura di Piero Gelli, Rizzoli, Milano 2000. 31 Gli altri eventi sono la battaglia di Legnano contro il Barbarossa, la difesa della repubblicafiorentina dall’assedio da parte dell’esercito di Carlo V (1530) e la rivolta di Genova contro gliaustro-piemontesi durante la guerra di successione austriaca (1746).32 Raffaello Monterosso, op. cit, pp. 184-186.33 Giuseppe Cocchiara, L’anima del popolo italiano nei suoi canti, Ulrico Hoepli, Editore Li-braio della Real Casa, Milano 1929, p. 49.34 Raffaello Monterosso, op. cit., p. 372.35 Charles Osborne, Tutte le opere di Verdi. Guida critica, Mursia, Milano 1979, pp. 269-284.36 I Vespri siciliani, dramma in 5 atti di G. Scribe e C. Duveyrier, musica del maestro cav. Giu-seppe Verdi, R. stabilimento Tito di Gio. Ricordi, Milano-Napoli-Firenze; Massimo Mila, op.cit., 509-523.37 Le Duc d’Albe, ambientato nel XVI secolo durante l’occupazione spagnola delle Fiandre, furedatto da Scribe nel 1839, ma per varie ragioni non fu rappresentato. Scribe intentò una causaper riscuotere il compenso: in tal modo il libretto avrebbe dovuto essere di proprietà di Doni-zetti. Ma alla morte del musicista, avvenuta nel 1848, il librettista rimaneggiò il testo e lo pro-pose a Verdi. L’esecuzione dell’opera Le Duc d’Albe sarebbe avvenuta nel 1882. CharlesOsborne, op. cit., p. 277.38 Leonardo Sciascia, Il mito dei Vespri siciliani: da Amari a Verdi, in Archivio Storico per laSicilia Orientale, 1973, fasc. III, pp. 183-192.39 Gustavo Marchesi, op. cit., pp. 210-211.40 Leonardo Sciascia, op. cit., p. 191. 41 Giuseppe Montemagno, op. cit., pp. 204-209.42 Stefania Petrillo, Giù il sipario! E’ di scena la storia, in Kalòs. Arte in Sicilia, Palermo, anno23, n° 2, aprile-giugno 2011.43 Annamaria Ficarra, Michele Rapisardi pittore, 1822-1886, presentazione di Vito Librando,Istituto per la cultura e l’arte, Catania, 1987, pp.46-47.44 Giuseppe Pitrè, Canti popolari siciliani, I vol., Società Editrice del libro italiano, Roma 1940(Opere complete di Giuseppe Pitrè, I, Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane). 45 Giuseppe Cocchiara, La vita e l’arte del popolo siciliano nel Museo Pitrè, F. Ciuni, Palermo1938, pp. 213-215; Salvatore Lo Presti, Il carretto, S. F. Flaccovio, Editore, Palermo 1959.46 Ilaria Porciani, La festa della nazione. Rappresentazione dello Stato e spazi sociali nel-l’Italia unita, Il Mulino, Bologna 1997, p. 45.47 Alfonso Sansone, Mezzo secolo di vita intellettuale della Società Siciliana per la Storia Pa-tria, Palermo, Scuola tip. “Boccone del povero”, 1923 (rist. anast. Palermo 1996), p. 55.48 Francesco La Colla, Ricordo del 6° centenario del Vespro siciliano, Virzì, Palermo 1911; Ore-ste Lo Valvo, Il Vespro siciliano. Guerra di redenzione contro l’aborrita dominazione francesenarrata al popolo italiano, Industrie Riunite Editoriali Siciliane, Tip. Ires, Palermo 1939,pp.180-222; Francesco Brancato, I. Carini in Spagna nel VI centenario del Vespro (carteggiocon M. Amari), Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo 1976, pp. 20-31; Salvatore Tra-montana, Gli anni del Vespro cit., pp. 98-110; Claudio Mancuso, Il potere del passato e il suoutilizzo politico. Il caso del sesto centenario del Vespro siciliano, in Mediterranea, n° 25, ago-sto 2012, pp. 325-364.49 Salvatore Tramontana, Gli anni del Vespro cit., pp. 105-106; Christopher Duggan, Creare lanazione. Vita di Francesco Crispi, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 503.50 Il testo delle due lapidi commemorative, inaugurate il 31 marzo 1882, fu opera di FrancescoPaolo Perez. (in Oreste Lo Valvo, op. cit. , p. 224).51 Discorso pronunziato all’Associazione Democratica di Palermo il 13 novembre 1881, in Fran-cesco Brancato, I. Carini in Spagna cit. p. 23.52 Francesco Crispi, Il Vespro ed il Risorgimento italiano, in “La Riforma”, 31 marzo 1882, ci-tato in G. Astuto, Crispi e la Sicilia tra cospirazioni e rivoluzioni, in Francesco Crispi. Co-

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struire lo Stato per dare forma alla Nazione, a cura di A. G. Ricci, L. Montevecchi, DirezioneGenerale per gli Archivi, Roma 2009, p. 5.53 Giuseppe Giarrizzo, Per la Francia, per la libertà. La Sicilia tra due centenari, 1882-1889,Bonanno editore, Acireale 1989 (Mario Rapisardi, Ode XXXI marzo, p. 32; lettera di Mario Ra-pisardi a Edoardo Pantano, Catania 20 marzo 1882, pp. 67-69). 54 Oreste Lo Valvo, op cit., p. 188 (proclama dell’8 dicembre 1881).55 Francesco Brancato, I. Carini in Spagna cit., p. 29; Salvatore Tramontana, Gli anni del Ve-spro cit., pp. 107-108.56 “Il Tempo”, 3 aprile 1882, citato in Claudio Mancuso, Il potere del passato, cit., p. 347.57Ricordi e documenti del Vespro siciliano pubblicati a cura della Società Siciliana per la Sto-ria Patria nella ricorrenza del sesto centenario, pei tipi del Giornale “Lo Statuto”, Palermo1882 (introduzione del Marchese di Torrearsa); Sesto centenario del Vespro. Tornata straor-dinaria della Società Siciliana per la Storia Patria nel dì xxx marzo 1882, Archivio Storico Si-ciliano, fascicolo straordinario, Palermo, Tipografia del giornale “Lo Statuto”, 1882, pp. 3-16.58 “Giornale di Sicilia”, 1 aprile 1882, in Claudio Mancuso, op. cit., p. 572.59 “Giornale di Sicilia”, 4 aprile 1882, in Claudio Mancuso, Miti del Risorgimento a Palermo.Spazi urbani e simbologie patriottiche (1860-1911), in Mediterranea, anno IV, dicembre 2007,p. 572.60 Da In morte di Giovanni Cairoli, in Giambi ed epodi, Letteratura italiana Einaudi, p. 41. 60.61 Sull’eredità del Risorgimento vedi Alberto Mario Banti, La memoria degli eroi, in Storiad’Italia, Annali 22, Il Risorgimento, a cura di A. M. Banti e P. Ginsborg, Giulio Einaudi Edi-tore, Torino 2007, pp. 637-664; Pietro Finelli, “E’ divenuto un Dio”. Santità, Patria e Rivolu-zione nel “culto di Mazzini”, ibidem, pp. 665-695; Lucy Riall, Storie d’amore, di libertà ed’avventura: la costruzione del mito garibaldino intorno al 1848-49, in Immagini della na-zione cit., pp. 157-174; Alberto Mario Banti, Il Risorgimento italiano cit., pp. 119-131; Salva-tore Lupo, L’unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile, Donzelli editore,Roma 2011, pp. 151-158.62 Salvatore Lupo, op. cit., p. 154.63 Rosario Romeo, Michele Amari, in Dizionario Biografico degli Italiani cit., p. 188. 64 Francesco Brancato, L’Esposizione nazionale di Palermo, (15 novembre 1891 – 5 giugno1892), Grifo, Palermo 1985; Esposizioni di Sicilia. Palermo, 15 novembre 1891 – 5 giugno.Catania, 14 aprile – 1° dicembre 1907, Tringale Editore, Catania 1988 (rist. anast.); Esposi-zione Nazionale di Palermo 1891-92. Catalogo generale, Stabilimento Tipografico Virzì, Pa-lermo 1892, rist. anast., con presentazione di Giuseppe La Grutta, introduzione di RomualdoGiuffrida, Palermo, S.T.ASS. 1991; Kalos. Maestri siciliani. Supplemento al n. 2, 1991. 65 Esposizione Nazionale di Palermo 1891-92. Catalogo generale cit., pp. IX-XVI.66 Esposizioni di Sicilia cit., dispensa 1, p. 7. 67 Esposizioni di Sicilia cit., dispensa 2, p. 10 (articolo di Palmiro Premoli).68 Vedi Giuseppe Pitrè, Catalogo illustrato della Mostra Etnografica Siciliana, 1892, disegnioriginali di Aleandro Terzi, Stabilimento Tipografico Virzì, Palermo 1892; Giuseppe Tummi-nello, Nel Museo Pitrè e fuori, Ugo La Rosa Editore, Palermo e Roma 1988.69 Teresa Zambrotta, Erulo Eroli, in Dizionario Biografico degli Italiani Treccani. Il dipintosi trova ora presso la Galleria civica d’arte moderna Sant’Anna di Palermo.70 Esposizioni di Sicilia cit., dispensa 8, pp. 57-58.71 Esposizioni di Sicilia cit., p.169-170. Su Dogali vedi Angelo Del Boca, Gli italiani in AfricaOrientale. I: Dall’Unità alla marcia su Roma, Mondadori, Milano 2001, pp. 239-245.72 Angelo Del Boca, op. cit., pp. 239-245.73 Esposizioni di Sicilia cit., p.169-170.74 Esposizioni di Sicilia cit., dispensa 2, pp. 9-10.75 Lettera di Carducci al Sindaco di Roma (in Guido Capovilla, Giosuè Carducci, in Storia let-teraria d’Italia, a cura di A. Balduino, Piccin Nuova Libraria, Padova 1994, p. 73).76 Ulisse Barbieri, Ribellione, Lugo 1887, p. 23, in Angelo Del Boca, op. cit., p. 250-259. Al-trove in Vergogne italiche Barbieri si indignava per gli ignobili patteggiamenti dello Stato conla Chiesa, mentre in Invocazione scrive: ”Picchiate ancora, e ancora...e ancor picchiate.../Buoni abissini....almen voi ajutateci.../ Quasi convinti siam d’averle date.../ Per convincercimeglio...massacrateci”. 77 Esposizione Nazionale in Palermo 1891-1892. Guida della Mostra Eritrea. Cataloghi dellecollezioni esposte, compilazione curata dal Segretario della Commissione Giovanni di Fede, Ti-pografia S. Lapi, Città di Castello 1892; Giulia Fanara, Il villaggio eritreo all’Esposizione na-

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zionale di Palermo 1891-1892: narrazioni dell’alterità e nuova identità nazionale nell’Italiacoloniale umbertina, in Archivio Storico Siciliano, serie IV, vol. XXXI, pp. 33-93.78 Sulle esposizioni coloniali si veda Nicola Labanca (a cura), L’Africa in vetrina. Storia dimusei e di esposizioni coloniali in Italia, Pagus, Treviso 1992; Guido Abbattista, Torino 1884:Africani in mostra, in Contemporanea, anno VII, n. 3, agosto 2004, pp. 369-409.79 Esposizione Nazionale in Palermo 1891-1892 cit., p. 19.80 Esposizioni di Sicilia cit., dispensa 1, pp. 18-19. Sul piano di colonizzazione proletaria del-l’altopiano abissino vedi Angelo Del Boca, op. cit., pp. 362, 384-387; Nicola Labanca, Oltre-mare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Il Mulino, Bologna 2002, p. 314. 81 Esposizioni di Sicilia cit., dispensa 2, p. 19 (articolo La neve a Palermo e la colonia abissina).82 Esposizioni di Sicilia cit., dispensa 2, p. 19 (articolo La neve a Palermo e la colonia abissina).83 Esposizioni di Sicilia cit, dispensa 10, p. 80 (articolo La mostra della barbarie).84 Esposizioni di Sicilia cit., dispensa 11, p. 184 (articolo I fanciulli della mostra eritrea).85 Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, Laterza, Bari 1925; Giovanni Gentile, Il tra-monto della cultura siciliana, Rizzoli 2003; Giuseppe Giarrizzo, Le regioni dall’unità a oggi.La Sicilia, introduzione di Giuseppe Giarrizzo, op. cit.; Salvatore Bottari, Fuori e dentro lastoria. Percorsi storiografici sulla Sicilia moderna prima e dopo Romeo, in “Il Risorgimentoin Sicilia”. Bilancio storiografico e prospettive di ricerca, a cura di Salvatore Bottari, Rub-bettino, Soveria Mannelli, 2002, pp. 72-84.

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