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Roth Il dolore di essere «I l pudore non s’addice allo scrittore. Bi- sogna liberarsene. Non significa esse- re per forza osceni o sporcare di feci le pagine, non è questo il punto. Ma vergognarsi non funziona. Non sarei riuscito a scrivere Il teatro di Sabbath se avessi provato pudore». E la felicità? «Ho cercato di scrivere sulla felicità nelle pagine iniziali di Pastorale americana, in cui ho descritto una famiglia felice che aveva lavorato sodo e vissuto secondo le regole. E poi ho raccontato la rovina di quella felicità. Non so se ho mai scritto di gente felice sul serio. È il tipo di cosa per cui consiglio di rivolgersi altrove». Ci sono momenti in cui immagini la felicità nella «Controvita». «Oh, certo». E poi la distruggi. «Appunto». E la sofferenza? È proprio necessario soffrire per esse- re un bravo scrittore? «Non hai scelta. Non hai bisogno di andare a cercare la sofferenza se vuoi essere uno scrittore. Puoi star tranquil- lo che sarà lei a trovarti. Scrivere è senza dubbio un me- stiere pericoloso. O per ragioni intrinseche o per il tempe- ramento di chi lo sceglie. Che cosa abbia portato tanti scrittori di qualità a suicidarsi, come Levi, Hemingway e Mishima, non lo so. So che non ho intenzione di aggiun- gere il mio nome alla lista». Tu perché hai scelto questo mestiere? «Perché scrivo? Non lo so. So che i miei momenti peg- giori sono quando non scrivo. Allora tendo a essere infeli- ce, depresso, ansioso, e così via. Ne ho disperatamente bisogno». Mi racconti della tua famiglia? Tuo fratello, per esempio. «Mio fratello Sandy aveva cinque anni più di me. Vole- va fare il pittore ed è diventato un disegnatore pubblicita- rio. Ricordo che il sabato frequentava una scuola d’arte nella Cinquantasettesima strada a New York dove prima di lui aveva studiato mio zio Mickey, il comunista della famiglia. Sandy era iscritto a disegno dal vero. Aveva quat- tordici anni e io... nove. E non vedevo l’ora che mi raccon- tasse tutto! Per me era sbalorditivo avere un fratello mag- giore che andava in una grande città esotica, si sedeva da- vanti a una donna nuda, la guardava e la disegnava!». E tua madre che tipo era? «Al contrario di mio padre aveva fatto il liceo. Che tipo era? Non beveva, non fumava. Aveva una grande energia. Mio padre e mia madre erano il tipo di persone che quan- do cominciano un lavoro, non importa quanto difficile, lo finiscono». Era molto protettiva? «Con Sandy forse, ma non con me. Come si faceva a essere iperprotettivi con me? Ero sempre in giro, andavo ai giardini a cinque minuti da casa, poi a scuola a giocare tutto il pomeriggio. A sette anni non andavo certo al bor- dello». E tuo padre? «Mio padre invece divenne esageratamente protettivo quando andai al college. Non riusciva ad accettare la mia indipendenza. E così cominciammo a scontrarci. Ricordo di aver pensato che se non fossi andato via, lo avrei am- mazzato». Com’era il quartiere in cui sei cresciuto a Newark? «Non era un quartiere di immigrati, ma di figli di immi- grati. Non c’era nessuna nostalgia del Paese d’origine, non se ne parlava mai. Non ho mai sentito una parola a riguardo nella mia famiglia. Forse dai miei nonni: ma loro parlavano solo yiddish e io solo inglese. Eravamo troppo occupati a immergerci nella vita americana». Hai qualche ricordo della guerra? «Ricordo mio padre ascoltare Hitler alla radio. E ricor- do che stavo giocando con degli amichetti davanti a casa, quando uno dei miei genitori è venuto alla finestra e ha detto: "Venite su". Poi ci hanno spiegato che l’America era entrata in guerra». Hai cominciato a scrivere sotto le armi, vero? A quan- ti anni? «Ventidue. Lavoravo in un ufficio con una macchina per scrivere. E dopo cena facevo un giro intorno alla base con altri ragazzi, poi tornavo in ufficio — avevo la chiave — e mi mettevo al lavoro. È lì che ho scritto alcuni dei racconti di Goodbye, Columbus». Quelli che hanno scatenato un putiferio quando so- no usciti nel 1959? Incontro con l’autore che martedì 19 compirà 80 anni e che l’America celebra come il più grande L’inserto continua online con il «Club della Lettura»: una community esclusiva per condividere idee e opinioni Gli appuntamenti I principali eventi in Italia e in America per il compleanno di Philip Roth. La sera del 19 marzo, su Raitre, Giovanni Minoli per «La Storia siamo noi» presenta «Philip Roth rivelato» di Livia Manera e William Karel. Il lungometraggio andrà in onda lo stesso giorno alle 17 anche su Rai Storia, a «Dixit». A New York, il Film Forum ha in programmazione, dal 13 al 19 marzo, l’anteprima di «Philip Roth: Unmasked» di Livia Manera e William Karel, che poi, il 29, andrà in onda sulla rete tv Pbs. Il 18 e 19 marzo il Robert Treat Hotel di Newark, New Jersey, ospita il convegno organizzato dalla Philip Roth Society: «Roth@80», che sarà seguito da un ricevimento in onore dello scrittore, al Newark Museum, presentato da Jonathan Lethem, Hermione Lee e Claudia Pierpont Roth. Infine, dal 19 marzo al 31 agosto la Biblioteca Pubblica di Newark ospiterà una mostra fotografica dedicata alla vita di Roth Sommario i Il dibattito delle idee di LIVIA MANERA 4 Il dibattito delle idee De- o Post- I prefissi della nostra era di LUCA SERIANNI e GUIDO VITIELLO 5 Tecnologia Verso la civiltà del dopolavoro di MASSIMO GAGGI Orizzonti 6 Nuovi linguaggi Il futuro dell’editoria: ebook e scritture condivise di ALESSIA RASTELLI e BOB STEIN 8 Educazione Il ruggito del Maestro Tigre di MARCO DEL CORONA 10 Geopolitica L’Arabia avrà la sua Tahrir di LORENZO CREMONESI 11 Visual data Beppe Grillo e il lessico della negazione di EMANUELE BUZZI Caratteri 12 La Fiera di Bologna Il potere della fantasia Percorsi per giovani lettori di ANTONIO FAETI 17 Maestri Il papà di Asterix vuole bene ai romani di STEFANO MONTEFIORI 18 Classifiche La pagella dei libri di ANTONIO D’ORRICO Sguardi 20 Tendenze L’arte del videogioco a New York di LEANDRO PISANO 24 Arte India, una galassia piena di stelle di ROBERT STORR 25 Incontri Il monumentalista argentino Ricardo Cinalli di STEFANO BUCCI Percorsi 26 Reportage in versi Viaggio nella pelle dell’Iran di FRANCESCO TARGHETTA 28 Il luogo Amityville, la casa stregata di MATTEO PERSIVALE 29 La biografia Le gemelle «a luci rosse» di ELENA TEBANO 30 Controcopertina La nostalgia dell’uguaglianza di ANTONIO POLITO R RR corriere.it/lalettura Philip «Con il pudore non puoi scrivere, con la rabbia neanche I posteri? Non è un problema mio» LITCHFIELD COUNTY (Connecticut) — Il 19 marzo Philip Roth compirà ottant’anni. Gli amici stanno arrivando per la festa che gli ha organizzato la città di Newark. Gli accademici si preparano per il convegno della Philip Roth Society. La Pbs manderà in onda il primo documentario americano sulla sua vita. La stampa renderà omaggio a quello che una giuria di autori, da Rushdie a Lethem, ha appena dichiarato il maggiore scrittore americano vivente. Come compleanno, poteva andare peggio. Roth, malgrado tre operazioni alla schiena in dieci anni, va in piscina tutte le mattine, collabora con il suo biografo Blake Bailey e dice di avere smesso di scrivere mandando scosse di eccitazione al web e alla stampa mondiale. Qualche settimana fa ero a Londra da un suo vecchio amico, il poeta e critico Al Alvarez, e gli ho chiesto se ci credeva. «No way», ha risposto facendosi una risata. Ma quando mai. Avendo lavorato intensamente con Roth negli ultimi 4 anni per realizzare due film documentari sulla sua vita — uno europeo e uno americano — mi permetto un’interpretazione personale. Roth non ha smesso di scrivere. Si è liberato dall’obbligo di scrivere. Ha archiviato un impegno ossessivo con se stesso da cui sono nati 31 libri in 60 anni. Ma di qui a diventare un ex scrittore ce ne corre. Tuttavia, rinunciare a quell’impegno è stata una liberazione. Avrà anche raggiunto un’età che «sembra un numero civico», come gli piace dire, ma non è mai stato così di buon umore. Quando lo scorso gennaio ha partecipato alla conferenza stampa a New York per il lancio del nostro film «Philip Roth: Unmasked» — due mesi dopo aver dichiarato al «New York Times» che non avrebbe mai più dato interviste — ha conquistato 150 giornalisti con una grazia e una verve irresistibili. «Ero un povero scrittore pornografico e hai fatto di me una star», si è divertito a scherzare al telefono. Quanto ai suoi ottant’anni, Roth li ha vissuti ritagliandosi un ruolo eroico nella letteratura americana. Facendo arrabbiare un sacco di gente. E tirando dritto per la sua strada, come racconta nell’intervista qui di seguito, tratta dalle dieci ore di conversazione registrate nel 2010 durante la lavorazione di «Philip Roth rivelato», che «La Storia siamo noi» di Giovanni Minoli manderà in onda il 19 marzo. Ha anche vinto ogni premio desiderabile su questa terra, incluso il Nobel che non gli hanno ancora dato. È successo nell’ottobre del 2005, una settimana dopo l’assegnazione del premio a Harold Pinter. Roth mi aveva telefonato in uno stato di gioiosa eccitazione, perché era appena rientrato da una cerimonia in cui gli avevano intitolato la strada dov’era cresciuto. L’irresistibile sindaco afroamericano di Newark era arrivato col bagagliaio dell’auto pieno di alcolici, e alla festa avevano partecipato una cinquantina di neri anziani reduci dal «Philip Roth Bus Tour». Gli chiesi se avesse fatto un discorso. E mi rispose di sì. «Newark oggi è la mia Stoccolma, e questa targa è il mio premio», aveva detto emozionato. E io ho provato a immaginare quegli anziani signori neri, affaticati dalla gita, con il bicchiere di plastica in mano, che si chiedevano cosa diavolo c’entrasse Stoccolma con Newark, New Jersey. © RIPRODUZIONE RISERVATA 2 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 17 MARZO 2013

Il dolore di essere Philip Roth

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Intervista a Philp Roth che, avrà anche raggiunto un'età che sembra un numero civico, ma non è mai stato così di buon umoredi Livia Manera

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RothIl doloredi essere

«Il pudore non s’addice allo scrittore. Bi-sogna liberarsene. Non significa esse-re per forza osceni o sporcare di fecile pagine, non è questo il punto. Mavergognarsi non funziona. Non sareiriuscito a scrivere Il teatro di Sabbathse avessi provato pudore».

E la felicità?«Ho cercato di scrivere sulla felicità nelle pagine iniziali

di Pastorale americana, in cui ho descritto una famigliafelice che aveva lavorato sodo e vissuto secondo le regole.E poi ho raccontato la rovina di quella felicità. Non so seho mai scritto di gente felice sul serio. È il tipo di cosa percui consiglio di rivolgersi altrove».

Ci sono momenti in cui immagini la felicità nella«Controvita».

«Oh, certo».E poi la distruggi.«Appunto».E la sofferenza? È proprio necessario soffrire per esse-

re un bravo scrittore?«Non hai scelta. Non hai bisogno di andare a cercare la

sofferenza se vuoi essere uno scrittore. Puoi star tranquil-lo che sarà lei a trovarti. Scrivere è senza dubbio un me-stiere pericoloso. O per ragioni intrinseche o per il tempe-ramento di chi lo sceglie. Che cosa abbia portato tantiscrittori di qualità a suicidarsi, come Levi, Hemingway eMishima, non lo so. So che non ho intenzione di aggiun-gere il mio nome alla lista».

Tu perché hai scelto questo mestiere?«Perché scrivo? Non lo so. So che i miei momenti peg-

giori sono quando non scrivo. Allora tendo a essere infeli-ce, depresso, ansioso, e così via. Ne ho disperatamentebisogno».

Mi racconti della tua famiglia? Tuo fratello, peresempio.

«Mio fratello Sandy aveva cinque anni più di me. Vole-va fare il pittore ed è diventato un disegnatore pubblicita-rio. Ricordo che il sabato frequentava una scuola d’artenella Cinquantasettesima strada a New York dove primadi lui aveva studiato mio zio Mickey, il comunista dellafamiglia. Sandy era iscritto a disegno dal vero. Aveva quat-tordici anni e io... nove. E non vedevo l’ora che mi raccon-

tasse tutto! Per me era sbalorditivo avere un fratello mag-giore che andava in una grande città esotica, si sedeva da-vanti a una donna nuda, la guardava e la disegnava!».

E tua madre che tipo era?«Al contrario di mio padre aveva fatto il liceo. Che tipo

era? Non beveva, non fumava. Aveva una grande energia.Mio padre e mia madre erano il tipo di persone che quan-do cominciano un lavoro, non importa quanto difficile, lofiniscono».

Era molto protettiva?«Con Sandy forse, ma non con me. Come si faceva a

essere iperprotettivi con me? Ero sempre in giro, andavoai giardini a cinque minuti da casa, poi a scuola a giocaretutto il pomeriggio. A sette anni non andavo certo al bor-dello».

E tuo padre?«Mio padre invece divenne esageratamente protettivo

quando andai al college. Non riusciva ad accettare la miaindipendenza. E così cominciammo a scontrarci. Ricordodi aver pensato che se non fossi andato via, lo avrei am-mazzato».

Com’era il quartiere in cui sei cresciuto a Newark?«Non era un quartiere di immigrati, ma di figli di immi-

grati. Non c’era nessuna nostalgia del Paese d’origine,non se ne parlava mai. Non ho mai sentito una parola ariguardo nella mia famiglia. Forse dai miei nonni: ma loroparlavano solo yiddish e io solo inglese. Eravamo troppooccupati a immergerci nella vita americana».

Hai qualche ricordo della guerra?«Ricordo mio padre ascoltare Hitler alla radio. E ricor-

do che stavo giocando con degli amichetti davanti a casa,quando uno dei miei genitori è venuto alla finestra e hadetto: "Venite su". Poi ci hanno spiegato che l’America eraentrata in guerra».

Hai cominciato a scrivere sotto le armi, vero? A quan-ti anni?

«Ventidue. Lavoravo in un ufficio con una macchinaper scrivere. E dopo cena facevo un giro intorno alla basecon altri ragazzi, poi tornavo in ufficio — avevo la chiave— e mi mettevo al lavoro. È lì che ho scritto alcuni deiracconti di Goodbye, Columbus».

Quelli che hanno scatenato un putiferio quando so-no usciti nel 1959?

Incontro con l’autore che martedì 19 compirà80 anni e che l’America celebra come il più grande

L’inserto continua onlinecon il «Club della Lettura»:

una community esclusivaper condividere idee e opinioni

Gli appuntamentiI principali eventi in Italia e

in America per ilcompleanno di Philip Roth.

La sera del 19 marzo, suRaitre, Giovanni Minoli per

«La Storia siamo noi»presenta «Philip Roth

rivelato» di Livia Manera eWilliam Karel.

Il lungometraggio andràin onda lo stesso giorno

alle 17 anche su Rai Storia,a «Dixit». A New York,

il Film Forum ha inprogrammazione, dal 13 al

19 marzo, l’anteprima di«Philip Roth: Unmasked» di

Livia Manera e WilliamKarel, che poi, il 29, andrà

in onda sulla rete tv Pbs. Il18 e 19 marzo il Robert

Treat Hotel di Newark, NewJersey, ospita il convegno

organizzato dalla PhilipRoth Society: «Roth@80»,

che sarà seguito da unricevimento in onore dello

scrittore, al NewarkMuseum, presentato da

Jonathan Lethem, HermioneLee e Claudia Pierpont

Roth. Infine, dal 19 marzo al31 agosto la Biblioteca

Pubblica di Newark ospiteràuna mostra fotografica

dedicata alla vita di Roth

Sommario

i

Il dibattito delle idee

di LIVIA MANERA

4 Il dibattito delle ideeDe- o Post-I prefissi della nostra eradi LUCA SERIANNI e GUIDO VITIELLO

5 TecnologiaVerso la civiltàdel dopolavorodi MASSIMO GAGGI

Orizzonti6 Nuovi linguaggi

Il futuro dell’editoria:ebook e scritture condivisedi ALESSIA RASTELLI e BOB STEIN

8 EducazioneIl ruggito del Maestro Tigredi MARCO DEL CORONA

10 GeopoliticaL’Arabia avrà la sua Tahrirdi LORENZO CREMONESI

11 Visual dataBeppe Grillo e il lessicodella negazionedi EMANUELE BUZZI

Caratteri12 La Fiera di Bologna

Il potere della fantasiaPercorsi per giovani lettoridi ANTONIO FAETI

17 MaestriIl papà di Asterixvuole bene ai romanidi STEFANO MONTEFIORI

18 ClassificheLa pagella dei libridi ANTONIO D’ORRICO

Sguardi20 Tendenze

L’arte del videogiocoa New Yorkdi LEANDRO PISANO

24 ArteIndia, una galassiapiena di stelledi ROBERT STORR

25 IncontriIl monumentalista argentinoRicardo Cinallidi STEFANO BUCCI

Percorsi26 Reportage in versi

Viaggio nella pelle dell’Irandi FRANCESCO TARGHETTA

28 Il luogoAmityville, la casa stregatadi MATTEO PERSIVALE

29 La biografiaLe gemelle «a luci rosse»di ELENA TEBANO

30 ControcopertinaLa nostalgia dell’uguaglianzadi ANTONIO POLITO

RRR corriere.it/lalettura

Philip

«Con il pudore non puoi scrivere,con la rabbia neancheI posteri? Non è un problema mio»

LITCHFIELD COUNTY (Connecticut) — Il 19marzo Philip Roth compirà ottant’anni. Gliamici stanno arrivando per la festa che gliha organizzato la città di Newark. Gliaccademici si preparano per il convegnodella Philip Roth Society. La Pbs manderàin onda il primo documentario americanosulla sua vita. La stampa renderà omaggioa quello che una giuria di autori, daRushdie a Lethem, ha appena dichiarato ilmaggiore scrittore americano vivente.Come compleanno, poteva andare peggio.Roth, malgrado tre operazioni alla schienain dieci anni, va in piscina tutte le mattine,collabora con il suo biografo Blake Baileye dice di avere smesso di scriveremandando scosse di eccitazione al web ealla stampa mondiale. Qualche settimanafa ero a Londra da un suo vecchio amico, ilpoeta e critico Al Alvarez, e gli ho chiestose ci credeva. «No way», ha rispostofacendosi una risata. Ma quando mai.Avendo lavorato intensamente con Rothnegli ultimi 4 anni per realizzare due filmdocumentari sulla sua vita — uno europeoe uno americano — mi permettoun’interpretazione personale. Roth non ha

smesso di scrivere. Si è liberatodall’obbligo di scrivere. Ha archiviato unimpegno ossessivo con se stesso da cuisono nati 31 libri in 60 anni. Ma di qui adiventare un ex scrittore ce ne corre.Tuttavia, rinunciare a quell’impegno èstata una liberazione. Avrà ancheraggiunto un’età che «sembra un numerocivico», come gli piace dire, ma non è maistato così di buon umore. Quando loscorso gennaio ha partecipato allaconferenza stampa a New York per illancio del nostro film «Philip Roth:Unmasked» — due mesi dopo averdichiarato al «New York Times» che nonavrebbe mai più dato interviste — haconquistato 150 giornalisti con una graziae una verve irresistibili. «Ero un poveroscrittore pornografico e hai fatto di meuna star», si è divertito a scherzare altelefono. Quanto ai suoi ottant’anni, Rothli ha vissuti ritagliandosi un ruolo eroiconella letteratura americana. Facendoarrabbiare un sacco di gente. E tirandodritto per la sua strada, come raccontanell’intervista qui di seguito, tratta dalledieci ore di conversazione registrate nel

2010 durante la lavorazione di «PhilipRoth rivelato», che «La Storia siamo noi»di Giovanni Minoli manderà in onda il 19marzo. Ha anche vinto ogni premiodesiderabile su questa terra, incluso ilNobel che non gli hanno ancora dato. Èsuccesso nell’ottobre del 2005, unasettimana dopo l’assegnazione del premioa Harold Pinter. Roth mi aveva telefonatoin uno stato di gioiosa eccitazione, perchéera appena rientrato da una cerimonia incui gli avevano intitolato la strada dov’eracresciuto. L’irresistibile sindacoafroamericano di Newark era arrivato colbagagliaio dell’auto pieno di alcolici, e allafesta avevano partecipato unacinquantina di neri anziani reduci dal«Philip Roth Bus Tour». Gli chiesi seavesse fatto un discorso. E mi rispose disì. «Newark oggi è la mia Stoccolma, equesta targa è il mio premio», aveva dettoemozionato. E io ho provato a immaginarequegli anziani signori neri, affaticati dallagita, con il bicchiere di plastica in mano,che si chiedevano cosa diavolo c’entrasseStoccolma con Newark, New Jersey.

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2 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 17 MARZO 2013

«In effetti quando Difensore della fede uscì sul "NewYorker" successe il finimondo. Ci furono dozzine di telefo-nate e lettere di ebrei che annullavano l’abbonamento allarivista. E di colpo cominciarono a darmi dell’antisemita:questa cosa che ho detestato per tutta la mia vita! Ma inve-ce di scoraggiarmi quest’incidente mi ha motivato. Non ascrivere apposta cose irritanti, ma a continuare il lavoroche avevo cominciato».

Che cosa c’era di così offensivo in quei racconti?«In uno si parlava di un ebreo di mezza età che tradiva la

moglie. E in un altro una ragazza ebrea comprava un dia-framma. Ma sono pronto a testimoniare che c’erano ragazzeebree che compravano diaframmi, e mariti ebrei che com-mettevano adulterio (ride). Sa cosa dicevano a Isaac Singer?Gli dicevano: "Mister Singer, deve proprio scrivere di putta-ne ebree e magnaccia ebrei?". E lui rispondeva: "E di cosadovrei scrivere? Di puttane portoghesi? Di magnaccia porto-ghesi?"».

Da dove è uscita cinque anni dopo l’esilarante osceni-tà del «Lamento di Portnoy»?

«Quando sono tornato a New York nel 1963 ho comincia-to a frequentare dei tipi, tutti ebrei, che mi divertivo a fareridere. Andavamo a cena e dopo mi esibivo. E morivamodalle risate, esattamente come quando ero ragazzino e gliamici di mio fratello venivano a casa e si mettevano a rac-contare storielle esilaranti. Portnoy in un certo senso è unaperformance».

Hanno riso anche i tuoi genitori?«Senti. Un giorno li ho invitati a colazione e ho spiegato

che stavo per pubblicare un libro che avrebbe fatto scalpo-re, e che se li avessero chiamati dei giornalisti, potevanoriattaccare. Sembra che nel taxi mia madre sia scoppiata inlacrime, dicendo: "Quel ragazzo ha manie di grandezza. Dabambino non era così. Ora ha manie di grandezza..."» (escoppia di nuovo a ridere).

E tuo padre?«Vuoi sapere come la prese mio padre? Ho mandato lui e

mia madre in crociera per tenerli lontani dai fuochi d’artifi-cio di Portnoy. E al ritorno ho scoperto che aveva portatocon sé una dozzina di copie, e quando faceva amicizia conqualcuno, diceva: vuole una copia autografata del libro dimio figlio? Correva in cabina, prendeva un libro e ci scrive-va: "Dal padre di Philip Roth, Herman". Era un venditore...».

All’epoca eri ancora sposato, vero?«No... ho lasciato mia moglie nel 1963. Sono stato spo-

sato per due anni e mezzo».Allora eri in attesa di divorzio.«Non posso parlare di questo».Va bene. Ma se non parliamo della tua prima mo-

glie...«... Non parliamo nemmeno della seconda. Lasciamo-

le fuori tutt’e dodici!... È stato un matrimonio terribile,cupo, brutale. Non avevo nemmeno trent’anni. E quandoho lasciato questa persona mi sono ritrovato a pezzi. De-ragliato. Per anni non sono nemmeno più riuscito a scri-vere».

Cosa te lo impediva?«La rabbia. Sono uno che non si compra niente, i miei

amici mi prendono sempre in giro. Ma avevo bisogno disoldi per poter scrivere. E tra gli alimenti a mia moglie elo psichiatra quattro volte alla settimana ero sempre sen-za un soldo. Di qui la rabbia. E l’impossibilità di scrive-re».

Ci vai ancora, magari saltuariamente, dallo psicoa-nalista?

«Oh no, ho cent’anni! Sopra i 99 non ti prendono più».In ogni caso a quel punto è arrivato il successo...«Sì, e insieme al successo la fama letteraria, la fama

sessuale, e la fama di essere un pazzo. Tutto quello che lagente vedeva in Portnoy, da quel momento in poi lo havisto in me. Ho dovuto andarmene da New York. Al risto-rante mi apostrofavano: "Hei, Portnoy, stai mangiando fe-gato?". Un giorno camminavo in montagna con la mia ra-gazza e mi lamentavo di questi assalti, quando lei mi ha

detto: "Smettila adesso, non c’è nessuno qui. Non vediche siamo tra le montagne?". In quel momento è passatauna macchina, una persona ha abbassato il finestrino eha gridato: "Lasciala stare, Portnoy!". Indimenticabile».

A New York, per strada, la gente ti riconosce anco-ra.

«Ma no, ora vedono questo vecchio per strada e lo aiu-tano. Ora la fama è diventata una cosa buona. Mi aiutanoad attraversare la strada».

Nella «Controvita» c’è un personaggio che dice aZuckerman, che è scrittore: «Tu non ti rendi conto chequello che scrivi ha delle conseguenze sulle persone».Lo hanno detto anche a te?

«Forse lo hanno pensato, ma non ho mai dovuto af-frontare direttamente un amico arrabbiato».

Sicuro? Nemmeno tuo fratello? Come ha preso «Eve-ryman»?

«Gli mandai il manoscritto con un biglietto che dice-va: molte persone penseranno che sei tu e... Senti: non loso! Quando il libro è uscito lo avrà buttato nel gabinetto,o ha dato un pugno alla moglie o magari è salito sul tettoper buttarsi di sotto. Ma a me non ha detto niente».

Ti sei mai chiesto che effetto doveva fare essere ilfratello di Philip Roth?

«Sì, ci ho pensato. Non lo so. Doveva essere piacevole,fonte di soddisfazione e anche orribile. Quando vinsi ilPulitzer, Sandy mi chiamò piangendo. Ma che altre voltesi sia scocciato, irritato, imbarazzato, o si sia sentito insul-tato... Sì, credo sia vero anche questo».

Com’è la frase di Czeslaw Milosz sulla famiglia chemi hai citato una volta?

«Quando in una famiglia nasce uno scrittore, quellafamiglia è finita».

E quella di Flaubert che hai trovato sulla scrivania diWilliam Styron?

«"Devi vivere una vita ordinata e regolare come un bor-ghese, se vuoi essere scatenato e originale nel tuo lavo-ro". C’è della verità, in questo. Alcuni sono stati capaci diesser scatenati e originali sia nella vita sia nel lavoro. Nonio. Io ho bisogno di molta quiete, molto tempo e di unagrande regolarità per scrivere».

Vita sociale?«Pochissima. Vedo solo gli amici».Periodi di depressione?«Tra un libro e l’altro. Quando mi chiedo se sarò capa-

ce di scrivere ancora».E la depressione vera?«L’ho sperimentata dopo i cinquant’anni, di solito si

presentava come effetto di un periodo prolungato di do-lore cronico. Nel mio caso è il mal di schiena che mi haaccompagnato tutta la vita dopo un brutto incidente sot-to le armi. Non so, quando soffri per sei, sette, otto mesi,devi essere psicologicamente più forte di quanto sia io,per non esserne annientato. Prima della mia secondaoperazione alla schiena ho avuto 17 mesi ininterrotti didolore. E se a questo si aggiungono problemi personali,allora è la fine. In quell’occasione ho pensato al suicidio.Ho dato il mio dolore a un personaggio di Everyman —una donna — che, in effetti, si uccide».

Sei mai stato crudele?«Penso di sì. Ma penso anche di non esserlo stato

quando avrei dovuto. Mi domando quale sia la natura del-la crudeltà. Se non sei un criminale, credo sia il tradimen-to personale. Di certo ci sono persone che mi hanno accu-sato di questo. Ma non è un tratto distintivo del mio carat-tere».

E se ti chiedessi dove hai fallito?«Penso di avere commesso molti errori di valutazione.

Ma come ha detto la mia amica Josie Herbst quando laconobbi a un party quarant’anni fa, "Se non fosse per imiei errori sarei ancora sotto un portico a Sioux City"».

Che sentimenti ti ispira la prossimità della morte?«L’idea che morirò mi fa paura, tristezza, mi dà il desi-

derio di rivivere tutto daccapo. Ma non rabbia. Quandoscrivo di morte e cataclismi come nei miei ultimi quattrolibri, non provo rabbia. Cerco di rappresentare come ilmorire condiziona la vita di coloro che si avvicinano allamorte».

Una volta abbiamo avuto una conversazione piutto-sto comica sulla tua ricerca del cimitero giusto. Te laricordi?

«Sì».Lo hai trovato?«Sì, ma non te lo dico. Perché se si venisse a sapere

dove sarò sepolto, il giorno dopo il funerale il cimiterosarebbe invaso dalle ragazzine».

Come stai organizzando la tua posterità?«Non la sto organizzando. Tanto non posso farci nien-

te. La sola cosa buona della posterità è che non dovrò piùleggere le recensioni sui miei libri».

Vorresti farci credere che non stai mettendo le cosein ordine?

«Certo che le sto mettendo in ordine. Ma a parte darele mie carte alla Biblioteca del Congresso, non c’è moltoda fare. E poi a chi importa?».

A te, per esempio.«No. Guarda, se c’è una cosa che è fuori dal nostro con-

trollo, è la posterità. Per cui che vada al diavolo».I tuoi ultimi anni sono stati molto produttivi. Cosa

c’è nel tuo futuro?«Un’idea piuttosto chiara ce l’ho, ma non so quando

(ride). Ma non si mangia stasera? Ancora no?».Prima dobbiamo trovare un finale...«Io penso che ce l’abbiamo il finale. Un finale commo-

vente su questo povero vecchio che morirà. Lasciamoche questo sia il finale, ok?».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Quando scrissi Portnoy miamadre si mise a piangere. Miopadre invece autografava copie:"Dal padre di Philip Roth,Herman". Era un venditore»

»»»Nato a Newark (New Jersey)

il 19 marzo 1933, Philip Rothha esordito nel 1959 con

«Addio, Columbus», col qualeha vinto il National Book

Award nel 1960. Ma lapopolarità arriva nel 1969

con «Il lamento di Portnoy»,dove il protagonista racconta

la sua sessualitàallo psicoanalista. Alla fine

degli anni 70, crea il suoalter ego, Nathan Zuckerman,che esordisce in «Lo scrittore

fantasma» (1979) e che,come protagonista o

personaggio, comparirà inmolti suoi romanzi, compresi

«Pastorale americana»,«Ho sposato un comunista»e «La macchia umana». Con«Pastorale americana» Roth

vince il Pulitzer nel 1997. Piùdi recente, tra i suoi 31 titoli,

si ricorda «Everyman»(2006), una riflessione sullamalattia, l’età, la morte, che

gli vale il terzo Pen/FaulknerAward (fra i numerosi premi

ricevuti ci sono anche ilPrincipe delle Asturie e il

Booker Prize). Tra gli ultimititoli del prolifico autore,

«L’umiliazione» e «Nemesi»

RRR

I titoli e l’alter egoZuckerman

ILLUSTRAZIONEDI STEFANIA CAVATORTA

3LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 17 MARZO 2013