24
Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto privato. Una riflessione sui rapporti tra morale e diritto Dott. Alessandro Barale INDICE 1. Premessa introduttiva. 2. Le definizioni della dottrina e della giurisprudenza. 3. Uso e buon costume. I parametri da utilizzare per il loro accertamento: necessit à di spostarsi dal piano ontologico dell'uso ad un piano deontologico per il buon costume. 4. Segue. L'individuazione del contenuto del buon costume: l'imprescindibilit à di una valutazione della realt à sociale. 5. L'incontro fra morale e diritto. I termini del problema. 6. Il contenuto del buon costume. Impossibilit à di circoscrivere al dettato costituzionale i canoni dei boni mores. 7. Segue. Le altre vie della dottrina e gli scopi che essa si prefigge. Dibattito tra fonti trascendenti e fonti tecnico - sociologiche. Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. L'impostazione tecnico - sociologica. 9. La difficolt à della dottrina a riconoscere un ruolo autonomo alla morale. Critica della tesi di Giovanni Battista Ferri. 10. Segue. La teoria della scuola esegetica francese. Inaccettabilit à della soluzione da essa proposta: verso un ridimensionamento della ratio del buon costume contrattuale. 11. Verso una conclusione: la ratio del buon costume alla luce della relativit à del suo contenuto. 12. Bibliografia. 1. Premessa introduttiva La clausola dei boni mores – inserita nell’art. 1343, c.c., con una funzione di limite alla validità dei contratti – apre allo studioso del diritto privato una sorta di «finestra sull’ordine etico» [1 ]: gli strumenti tipici del diritto si trovano a disagio in un ambito di analisi che non si presta alle classificazioni ed alle pretese definitorie a cui il giurista è tanto affezionato. Egli dimostra imbarazzo e timore dinanzi ai rischi che una così incerta formula porta con sé, quasi rappresentando «un salto nel buio» dai rigidi schemi del mondo del diritto, attraverso quella finestra che si affaccia sul nebbioso universo del morale e dell’immorale [2 ]. Ma, allo stesso tempo, non può fare a meno di ammettere che la flessibilità di siffatta clausola, suscettibile di operare come «concetto polmone» [3 ] dell’ordinamento, consente – sul piano operativo il raggiungimento di risultati non altrimenti conseguibili con i tradizionali rigidi mezzi che mette a disposizione il ragionamento giuridico [4 ]. Tuttavia, pur riconoscendo i vantaggi che contraddistinguono il ricorso alla formula del buon costume, sorgono subito legittimi dubbi sulle modalità con cui essa operi. Come effettuare la distinzione fra ciò che è morale e ciò che è immorale? Dove reperire i parametri alla cui stregua effettuare la valutazione? Il giudizio di immoralità che si richiede all’interprete deve senz’altro spostarsi dal piano 12/10/2004

Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto privato. Unariflessione sui rapporti tra morale e diritto

Dott. Alessandro Barale

INDICE

1. Premessa introduttiva.2. Le definizioni della dottrina e della giurisprudenza.3. Uso e buon costume. I parametri da utilizzare per il loro accertamento: necessità dispostarsi dal piano ontologico dell'uso ad un piano deontologico per il buon costume.4. Segue. L'individuazione del contenuto del buon costume: l'imprescindibilità di unavalutazione della realtà sociale.5. L'incontro fra morale e diritto. I termini del problema.6. Il contenuto del buon costume. Impossibilità di circoscrivere al dettato costituzionale icanoni dei boni mores.7. Segue. Le altre vie della dottrina e gli scopi che essa si prefigge. Dibattito tra fontitrascendenti e fonti tecnico-sociologiche. Il giusnaturalismo cattolico8. Segue. L'impostazione tecnico-sociologica.9. La difficoltà della dottrina a riconoscere un ruolo autonomo alla morale. Critica dellatesi di Giovanni Battista Ferri.10. Segue. La teoria della scuola esegetica francese. Inaccettabilità della soluzione da essaproposta: verso un ridimensionamento della ratio del buon costume contrattuale.11. Verso una conclusione: la ratio del buon costume alla luce della relatività del suocontenuto.12. Bibliografia.

1. Premessa introduttiva

La clausola dei boni mores – inserita nell’art. 1343, c.c., con una funzione di limite alla validità deicontratti – apre allo studioso del diritto privato una sorta di «finestra sull’ordine etico» [1]: glistrumenti tipici del diritto si trovano a disagio in un ambito di analisi che non si presta alleclassificazioni ed alle pretese definitorie a cui il giurista è tanto affezionato. Egli dimostra imbarazzo etimore dinanzi ai rischi che una così incerta formula porta con sé, quasi rappresentando «un salto nelbuio» dai rigidi schemi del mondo del diritto, attraverso quella finestra che si affaccia sul nebbiosouniverso del morale e dell’immorale [2].

Ma, allo stesso tempo, non può fare a meno di ammettere che la flessibilità di siffatta clausola,suscettibile di operare come «concetto polmone» [3] dell’ordinamento, consente – sul piano operativo– il raggiungimento di risultati non altrimenti conseguibili con i tradizionali rigidi mezzi che mette adisposizione il ragionamento giuridico [4].

Tuttavia, pur riconoscendo i vantaggi che contraddistinguono il ricorso alla formula del buon costume,sorgono subito legittimi dubbi sulle modalità con cui essa operi. Come effettuare la distinzione fra ciòche è morale e ciò che è immorale? Dove reperire i parametri alla cui stregua effettuare la valutazione?Il giudizio di immoralità che si richiede all’interprete deve senz’altro spostarsi dal piano

12/10/2004

Page 2: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

fenomenologico, di accertamento della realtà dei fatti, a quello deontologico, inteso come il prodotto diuna valutazione di ordine morale [5]. La dottrina ha avuto modo di affrontare tali quesiti sottomolteplici aspetti, senza però convenire su una posizione che può dirsi davvero prevalente: vi è chi haindividuato la presenza di una certa etica da assumersi come assoluta e dunque bisognosa della tuteladell’ordinamento [6], vi è poi chi ha preteso di rinvenire nello stesso diritto positivo i parametri di talevalutazione [7], vi è, infine, chi – accogliendo senza compromessi l’intrinseca variabilità dei bonimores – ha ritenuto che il legislatore abbia consapevolmente delegato alla coscienza sociale ladefinizione del criterio di apprezzamento in parola.

Senza anticipare quale sarà la tesi che verrà preferita, è qui sufficiente rimarcare che nella casisticamolte delle difficoltà ravvisate sul piano dottrinale svaniscono, consentendo alla giurisprudenzaitaliana e straniera di tracciare sentieri ben definiti e facilmente percorribili. Gli orientamentigiurisprudenziali – ad eccezione di alcuni casi particolari – dimostrano che i dubbi sollevati da unacerta dottrina, che accusava la clausola del buon costume di urtare contro le fondamentali esigenze dicertezza del diritto, sono legittimi solo sul piano teorico, ma non hanno ragion d’essere sul latoapplicativo.

Semmai, quei revirement interpretativi che hanno visto protagonista non solo la Suprema Corte, maanche la giurisprudenza di merito, debbono essere salutati con favore dallo studioso, il quale puòcogliere in essi quel particolare modus operandi che permette al buon costume di adattarsi, con loscorrere dei decenni, all’evoluzione dei modi di pensare della comunità dei consociati.

2. Le definizioni della dottrina e della giurisprudenza

Prima di entrare nel vivo dell’analisi sembra opportuno soffermarsi brevemente sulle definizioni chedottrina e giurisprudenza hanno utilizzato ogniqualvolta si è proposta la necessità di chiarire meglio ilcontenuto dei boni mores. E’ doveroso rimarcare, tuttavia, che il ricorso a formule standard o adespressioni tipizzate – piuttosto frequente nella manualistica ma anche in alcune sentenze del SupremoCollegio – non contribuisce certamente ad una maggiore comprensione dell’effettivo significato che sicela dietro alla clausola del buon costume.

Come si vedrà nelle prossime righe, le opinioni dottrinali si mostrano tutt’altro che concilianti. Esseforniscono infatti succinte spiegazioni che, seppure sembrano differire talvolta solo per le scelteterminologiche, sono spesso notevolmente diverse anche nel significato. E’ anche vero, però, chenonostante il concetto non si presti ad un’agevole determinazione teorica, esso non incontra gli stessiostacoli quando deve essere applicato [8].

La dottrina più risalente ha definito il buon costume utilizzando formule diverse. Talvolta ci si riferitial contenuto e all’estensione della morale [9], o più genericamente alla morale pubblica [10], altrevolte si è parlato di sentimento etico normale [11], o dell’insieme delle esigenze etiche della coscienzamorale collettiva [12], mentre rappresenta un’eccezione il tentativo di inquadrare meglio il contenutodei boni mores, chiarendo che di buon costume si può discorrere solo in riferimento ad un ben precisoquadro storico e sociale [13]. Secondo un’interpretazione più restrittiva, altri hanno invece ritenuto chel’ambito di operatività del buon costume fosse circoscritto all’insieme delle ipotesi di contrasto con iprincipi della morale sessuale e familiare [14].

Più recentemente gli studiosi hanno invece spesso preso posizione in merito al dibattito sulla nozionedi buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano alle cd. fonti trascendentie la lettura storico-sociologica, come meglio si vedrà nei prossimi paragrafi [15]. Seppure certamentenon manca chi ha aderito alla prima delle due summenzionate tesi [16], è senz’altro prevalente laseconda [17], più volte confermata dalla dottrina anche negli ultimi anni [18].

La giurisprudenza prevalente ritiene immorali i «negozi contrari a quei principi etici che costituisconola morale sociale, in quanto ad essi uniforma il suo comportamento la generalità delle persone corrette,di buona fede e di sani principi in un determinato ambiente e in una determinata epoca» [19]. Tuttavia,

12/10/2004

Page 3: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

anche se dalle espressioni utilizzate si potrebbe intendere diversamente, non si ha riguardo ad una élitedi soggetti aventi un’etica superiore, bensì alla coscienza morale dell’uomo medio.

Infatti la Suprema Corte ha meglio precisato in un’altra decisione che un’attività è turpe quando «vieneavvertita dalla generalità delle persone come violatrice di quella morale corrente … sulla scorta dellenorme etiche che rappresentano il patrimonio della civiltà attuale» [20].

In sede di merito la giurisprudenza ha poi avuto modo di affermare correttamente che si deve discorreredi moralità avendo riguardo al «comune sentimento medio della comunità nazionale; inteso,quest’ultimo, come il sentimento e la sensibilità di chi vive, con sano equilibrio, nella società del suotempo» [21].

Non è infatti possibile valutare la conformità o meno ai boni mores di una determinata convenzione conriguardo soltanto all’opinione che in concreto ne hanno i contraenti ovvero riferendosi all’ambientesociale in cui l’accordo è stipulato: la necessità di un riferimento più ampio è imprescindibile poiché sirischierebbe di effettuare la valutazione alla stregua di un determinato atteggiamento di eccessivo rigoremoralistico, o magari seguendo i principi di chi «vive con eccessiva rilassatezza» [22].

Va però anche segnalata un’ipotesi in cui la giurisprudenza di legittimità si è allontanata da siffattoorientamento – senz’altro prevalente anche ai gradi inferiori – optando invece per una soluzione moltopiù vicina a quella tesi di Giovanni Battista Ferri, di cui si dirà nel prosieguo [23], con cui l’autoretentava di ricostruire il buon costume utilizzando tutte le indicazioni ravvisabili nei testi normativi, apartire dalla Costituzione, fino ai codici ed alle leggi speciali.

In quella occasione, infatti, il Supremo Collegio ha definito il buon costume come quel «minimo eticodallo stesso ordinamento garantito» [24] .

3. Uso e buon costume. I parametri da utilizzare per il loro accertamento: necessità di spostarsi dalpiano ontologico dell’uso ad un piano deontologico per il buon costume

Prima di approfondire le questioni relative al contenuto del buon costume, pare utile soffermarsi,seppure brevemente, sugli strumenti che vanno utilizzati per definirlo. Ed in particolare può esseresignificativo un raffronto delle peculiarità riscontrabili fra esso ed il concetto di uso, proprio nellaprospettiva dei parametri [25] da assumere ai fini della loro determinazione.

Appare infatti evidente – anche soltanto a seguito di una approssimativa lettura delle più interessantidecisioni sui due argomenti – che quando l’interprete incontra un riferimento al buon costume o all’uso,la sua attenzione si focalizza subito sulla realtà dei fatti nella quale si contestualizza l’applicazione dellanorma piuttosto che sulla norma stessa [26].

Ciò che si vuole dimostrare è che, seppure entrambe le clausole dirigano l’analisi di chi interpreta lalegge verso il mondo reale piuttosto che verso i testi giuridici, esse sono destinate ad operare su duelivelli profondamente diversi.

Per quanto riguarda l’uso [27], esso è sostanzialmente una prassi derivante da un ripetersi costante dideterminate situazioni, entro un ambiente sociale delimitato e da cui derivano delle conseguenzegiuridiche puntualmente previste dalla legge. Gli usi operano dunque sul piano della disciplina delfatto, e precisamente come strumenti interpretativi ed integrativi rispetto a quegli altri elementidirettamente determinati dalla legge [28].

E’ quindi l’osservazione della ripetitività e della frequenza di determinate pratiche che danno luogo adun uso giuridicamente considerato: l’ordinamento, dunque, percepisce l’uso da una determinata realtàmediante strumenti prevalentemente statistici [29], rimanendo su un piano meramente ontologico, dellarealtà di fatto.

12/10/2004

Page 4: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

Diverse, e sotto alcuni profili opposte, sono le considerazioni che possono farsi con riguardo alcostume, così come esso è menzionato nei testi di legge, e cioè connotato positivamente con l’aggettivoqualificativo «buono». A differenza dell’uso, il buon costume si definisce non in un ambito delimitato(secondo parametri sociali o materiali), bensì va inteso allo stesso modo ogniqualvolta è preso inconsiderazione da una norma giuridica [30]. Esso, lungi dall’essere un mero elemento interpretativo edintegrativo, assurge a criterio alla cui stregua si è chiamati a valutare la validità delle convenzioniprivate. Si tratta dunque di una clausola generale che assume primaria importanza per il ruolo che le èstato assegnato dalla legge, cioè quello di «limite alla libertà dell’agire negoziale interprivato».

In secondo luogo il processo che conduce l’interprete alla determinazione del buon costume è, sì, voltoal mondo del reale [31], così come già si è visto per l’uso, ma non sono qui sufficienti parametriesclusivamente di tipo statistico. Pertanto è evidente, come già più volte si è sottolineato [32],l’impossibilità di riempire di un significato funzionale la nozione di buon costume mediante unaraccolta di dati della realtà ed una loro elaborazione matematica.

E’ infatti chiaro che – già solo per la presenza dell’aggettivo che qualifica come «buono» il costume –la clausola diriga l’attenzione dell’interprete non su «ciò che (mediamente) accade», ma piuttosto su«ciò che si ritiene debba accadere». E dunque, l’interprete, chiamato ad attribuire un significato al buoncostume, non dovrà tener conto tanto di ciò che è riscontrabile statisticamente nella realtà delle cose,bensì volgere l’attenzione verso le opinioni concernenti le valutazioni di moralità [33]. Il criterio dautilizzare, allora, non potrà più essere rinvenuto ad un livello ontologico, così come invece si è dettocon riguardo all’uso: l’operazione interpretativa che il legislatore richiede al giurista ai finidell’individuazione del contenuto dei boni mores si svolge allora su di un piano deontologico, checoncerne «ciò che deve essere».

4. Segue. L’individuazione del contenuto del buon costume: l’imprescindibilità di una valutazionedella realtà sociale

Bisogna ammettere però che, così come non è vero che una mera indagine statistica possa permettereall’interprete di circoscrivere le ipotesi di contrarietà al buon costume, neppure si può pretendere diaffermare che ciò che accade nella «vita di tutti i giorni» non abbia alcuna influenza sulladeterminazione dell’immoralità. Si è in passato affermato che la diffusione di determinaticomportamenti immorali non può, da sola, valere come argomento per affermare la loro sopravvenuta«moralizzazione» [34].

Tuttavia non si può nemmeno negare che la proliferazione di un certo fenomeno non possa influenzarela sensibilità collettiva – eventualmente suscitando dubbi circa l’immoralità di certi comportamenti –ovvero non valga da segnale in base a cui l’interprete possa ragionevolmente ritenere che vi sia stato unmutamento di opinione riguardo a ciò che prima veniva considerato turpe [35].

Si pensi, ad esempio, all’ipotesi dell’intervento chirurgico finalizzato esclusivamente al miglioramentoestetico del proprio corpo. Esso era in passato stato considerato come immorale poiché si presentavasenza alcuna utilità [36]. Oggi, per quanto riguarda questo argomento, le valutazioni della società sonoprofondamente mutate e nessuno più si è interrogato sulla contrarietà al buon costume di un contrattoavente ad oggetto un’operazione di chirurgia estetica. Sebbene sia vero che ciò derivi anche da unperfezionamento scientifico di tali interventi avutosi grazie alla ricerca medica, non si può negare che ladiffusione del ricorso a tali operazioni abbia, da una parte, influenzato notevolmente l’opinione comunee, dall’altra, tolto ogni dubbio sulla moralità di tale fenomeno [37]. O ancora può essere ricordatal’evoluzione che si è avuta a riguardo del fenomeno del concubinato, oggi più comunemente chiamato«famiglia di fatto» [38]. E gli esempi potrebbero continuare.

A seguito di queste brevi considerazioni possono già trarsi alcune conclusioni. In primo luogo sembracorretto ritenere che l’accertamento del contenuto sostanziale del buon costume non possa esserecompiuto con criteri statistici e matematici, in base a «ciò che (mediamente) accade», altrimenti non sispiegherebbe la presenza dell’aggettivo qualificativo «buono» [39]. In secondo luogo, secondo le

12/10/2004

Page 5: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

riflessioni fin qui compiute, si può affermare che non è possibile determinare il buon costume senzaaver riguardo alla realtà: seppure non con un’indagine statistica, l’interprete non può limitarsi adesaminare il sistema del diritto, il suo sguardo deve muovere oltre i testi legislativi.

5. L’incontro fra morale e diritto. I termini del problema

Il richiamo alla morale, o meglio alla contrarietà ai buoni costumi, che l’ordinamento utilizza ai finidella determinazione delle ipotesi di invalidità del contratto, determina inevitabilmente uncollegamento fra morale e diritto. Ma qual è il rapporto tra il discorso giuridico e la valutazione diordine morale? Esistono rapporti di sovraordinazione e subordinazione ovvero si tratta di due piani dianalisi del tutto indipendenti? La questione – che può facilmente fuoriuscire dal tipico ambito di studiodel privatista – è tuttavia stata presa in considerazione più volte in passato [40], e sembra importante aifini dell’analisi che qui si conduce.

A ben vedere l’incontro tra morale e diritto pone il giurista davanti ad una rigida alternativa. Delle duel’una: o si ammette che l’ordinamento civilistico (rifiutando di intervenire con la sua funzioneregolatrice) tuteli la morale, attribuendo ad essa un ruolo sì limitato dal punto di vista delleconseguenze, ma del tutto autonomo per quanto concerne la sua determinazione, o bisogna altrimentiritenere che la morale agisca nell’ordinamento solo nel limite in cui quest’ultimo la definisce, e cioè lamorale è costituita solo da quelle regole direttamente ed indirettamente desumibili dal sistemanormativo vigente [41].

La dottrina prevalente [42] protende per la correttezza della prima tesi, ovverosia che con il riferimentoal buon costume l’ordinamento giuridico voglia riconoscere ad esso una sfera di autonomia [43], cioèsubordini al rispetto delle regole dettate dalla morale la conclusione delle convenzioni fra privati [44].Accolta questa seconda soluzione, il problema si complica notevolmente. Sarebbe infatti statorelativamente agevole identificare nella legge tutte quelle norme volte a proteggere la morale e limitarsiquindi, in presenza di richiami al buon costume, a prendere in considerazione questa «lista di normemorali» desumibile per una determinata situazione di presunta immoralità [45].

Ben più difficile è intendere la morale come un piano di analisi del tutto autonomo rispetto al diritto,tenendo conto non solo della notevole variabilità temporale del concetto, che è probabilmente un fattoreconsapevolmente voluto ed introdotto appositamente per attenuare la rigidità dell’impianto normativocivilistico [46], ma anche della difficoltà di determinare quale morale debba essere assunta a criteriovalutativo della validità dei contratti.

Analizzando il problema dell’incontro tra diritto e morale in un’altra prospettiva, possono essereidentificate in particolare tre situazioni diverse in cui la regola morale entra in rapporto con il diritto. Laprima di queste ipotesi è quella in cui il dettato della norma giuridica sia ispirato ai dettami della morale[47] ; nella seconda ipotesi la regola giuridica scavalca la morale, introducendo nell’ordinamentodeterminate disposizioni che debbono essere rispettate ancorché si pongano in contrarietà con i principidella morale, o forse di una determinata morale [48].

In queste due situazioni ora descritte è evidente la notevole indipendenza fra la morale ed il diritto, omeglio: la regola giuridica prescinde in linea assoluta dalla valutazione morale, sottraendo aquest’ultima qualsiasi valore sul piano degli effetti giuridici.

Da queste due ipotesi, va distinta una terza. Talvolta l’ordinamento «si richiama ai principi morali,come elementi di integrazione dei principi giuridici» [49], utilizzando formule come «buona fede»,«correttezza», «lealtà», ma prima di tutto «buon costume». In tali casi la morale entra in campo neldiscorso giuridico in modo diretto e le sue regole vengono utilizzate come criteri valutativi. Ed ecco cheil rapporto tra morale e diritto diventa problematico, proprio per le difficoltà, di cui già si è detto, dioffrire una definizione convincente e valida di morale.

6. Il contenuto del buon costume. Impossibilità di circoscrivere al dettato costituzionale i canoni dei

12/10/2004

Page 6: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

boni mores

Per riassumere con una formula unica le diverse definizioni offerte dalla manualistica più recente [50],si può dire che il buon costume consista in un «corpo di regole deontologiche, non formalizzate epregiuridiche».

Confortati dall’impostazione attuale del problema, così come è deducibile dalla summenzionataformula, si può escludere una volta per tutte quella strada percorsa da coloro che – non sufficientementedissuasi dalle aspre critiche mosse in passato contro la cd. dottrina esegetica – hanno tentato di definireil buon costume indagando tra le righe dei testi di legge, o magari della costituzione [51].

Molto recentemente, tuttavia, vi è ancora ha affermato che «tutti i valori di buon costume sonocontenuti (sono scritti, o sono impliciti) nella Costituzione» [52]. Considerando la carta costituzionalecome la fonte di legittimazione di tutte le norme dell’ordinamento, si è sostenuto che l’essenzialità deivalori che essa riconosce impone che nessuno dei canoni di buon costume si ponga al di fuori deldettato costituzionale. A ben vedere, pare però che l’opinione cada nell’equivoco di non distinguere frala non conformità alla costituzione – che, ad esempio, riscontrata in sede giurisdizionale, potrà essererisolta dal giudice delle leggi mediante le prescritte procedure – e la circostanza che un determinatoprincipio, o un determinato valore, non sia contenuto dalla costituzione.

Ai sostenitori della tesi che qui si critica si può agevolmente ribattere che, seppure sia pacifico cheattraverso il buon costume non possono insinuarsi nel diritto precetti non rispettosi della cartacostituzionale, ciò non toglie che esso ricomprenda anche una compagine di valori che vanno oltrerispetto a quelli palesati dal costituente.

Ulteriore argomento utile è poi quella considerazione [53] di chi evidenzia che tra l’entrata in vigoredel codice civile e la promulgazione della carta costituzionale erano contrari ai boni mores tutti icontratti contrari al buon costume a partire dal 1948, circostanza che già da sola sarebbe sufficiente perconfutare la teoria in discorso.

Inoltre, last but not least, non può essere dimenticato che il buon costume è preso in considerazione dalcodice civile solo in senso negativo. Sotto siffatto particolare profilo, la pretesa di una ricomprensionedi valori nel dettato costituzionale appare non soltanto ingenua, ma pure inutile: ciò che assume rilievoè l’atto contrario al buon costume, cioè quell’ambito entro il quale la libertà negoziale si pone incontrasto con i boni mores. E la giurisprudenza, nell’applicazione del buon costume, può esserel’esempio più significativo di come esso non si presti ad una elaborazione concettuale ed astratta, maoperi – oltrepassando agevolmente le difficoltà che si incontrano sul piano teorico – in modo intuitivo esufficientemente elastico nelle fattispecie concrete.

Lasciata definitivamente da parte la strada di chi pretende di individuare i canoni del buon costumemediante un’indagine del diritto positivo, si rende ora necessaria un’analisi delle altre possibilità che glistudiosi hanno proposto per riempire di significato il cd. buon costume contrattuale.

7. Segue. Le altre vie della dottrina e gli scopi che essa si prefigge. Dibattito tra fonti trascendenti efonti tecnico-sociologiche. Il giusnaturalismo cattolico

Ecco che allora la dottrina – scartando la «strada esegetica» – ha tentato di ritrovare il buon costumeutilizzando altri percorsi. Schematizzando possono essere individuati due principali tipologie diindagini che hanno visto impegnati gli studiosi, più che la giurisprudenza, la quale, come si è visto, nonha mai chiamato in causa categorie concettuali generali, limitandosi alla decisione del caso concretosottopostole volta a volta.

Si può notare che, nonostante siano diverse le tesi prospettate, l’obiettivo della dottrina rimane peròsempre lo stesso, cioè quello di evitare che la determinazione del buon costume sia rimessa allavalutazione personale dell’interprete, tentando, in diversi modi, di sottrarre a quest’ultimo margini di

12/10/2004

Page 7: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

discrezionalità [54]. Ed il raggiungimento di questa meta può essere possibile soltanto imponendo a chisi trova ad interpretare e ad applicare la legge il rispetto di determinati parametri affinché il suogiudizio prescinda dalle sue opinioni personali e rimanga subordinato ad un criterio unico e soprattuttoprevedibile, anche per soddisfare indubitabili esigenze di certezza del diritto.

Il dibattito si instaura nella dottrina più recente fra chi ricerca l’essenza del buon costume in fontitrascendenti – essenzialmente si tratta di principi filosofici e soprattutto religiosi – e chi invece, fedelealla tradizione sociologica, volge lo sguardo alla coscienza morale così come è sentita ed osservata inun determinato ambiente circoscritto.

Emerge così, prima face, la contrapposizione tra le due diverse strade percorse dalla dottrina. Da unaparte si apre la possibilità di individuare il buon costume in una compagine di principi che, seppuredotati di un certo margine di elasticità ed adattabilità all’evoluzione sociale, si presentano comeimmutabili e sempre validi. Dall’altra, invece, si attribuisce all’interprete (non un elenco di valori,bensì) il criterio in base al quale operare l’accertamento di una morale che, volta a volta, muta e sievolve ed è immersa nella sua caratteristica relatività spazio-temporale.

Passando ad un’analisi più approfondita, conviene avvicinarsi prima di tutto alla prima delle dueimpostazioni sopra esposte, e cioè a quella che, per comodità espositiva, può essere denominatachiamando in causa il concetto di «fonti trascendenti». In siffatta categoria si possono porre queigiuristi che, muovendosi in diverse direzioni, hanno ricondotto il buon costume ad un insieme di valoritrascendenti ed hanno fondato le loro tesi sulla indiscutibile prevalenza, nella morale sociale corrente,della tradizione da cui tali valori sono desunti.

Scartando fin da subito l’ipotesi di una morale derivante da un sistema filosofico o ideologico [55] ,ipotesi meramente accademica nel sistema vigente [56], l’attenzione si dirige verso le correnti delgiusnaturalismo cattolico [57], secondo cui la morale è volta a regolare in un primo tempo il rapportointimo dell’uomo con la propria coscienza e con Dio, e solo in un secondo tempo assume rilevanza ladimensione sociale [58]. I principi che ordinano il rapporto dell’uomo con sé stesso si rifletterannoinevitabilmente nelle relazioni interpersonali, ma solo in un momento successivo ed esclusivamentecome conseguenza di una coerente applicazione degli anzidetti principi [59].

Così procedendo la coscienza sociale si permea di valori cristiani, ed appare difficile distinguerla dallamorale religiosa. Si tratta di teorie che raramente hanno trovato terreno fertile nell’ambito dello studiodel diritto privato [60], ed i motivi di questa pressoché nulla adesione possono essere almeno due.

In primo luogo il generale principio della laicità dello stato [61] ed i reiterati richiami ad esso compiutinelle più svariate occasioni dalla dottrina e dalla giurisprudenza finirebbero per trovarsi incontraddizione con un’eccessiva incursione della morale religiosa nei rapporti interprivati [62],seppure entro il limitato ambito dell’invalidità del contratto.

Inoltre, sul versante opposto, l’inconsapevole ed automatica trasfusione dei valori cristiani nellacoscienza sociale – risultato di secoli di storia dell’Europa – ha reso il «sentire comune» fortementepermeato di principi religiosi, così che diviene difficoltoso per l’interprete scindere il canone eticolaico dal canone religioso [63]. In questa prospettiva, allora, una stessa compagine di valori di matriceindubbiamente cattolica, considerata la sua immissione nella coscienza della collettività, potràvalidamente essere presa in analisi senza che sia puntualizzata la sua valenza religiosa [64].

Ed è proprio facendo leva, implicitamente, su questa seconda osservazione, che in dottrina è stataprospettata una teoria [65] rilevante ai fini dell’analisi: essa, infatti, si colloca in una posizioneintermedia tra l’atteggiamento di coloro che riempiono di significato la clausola del buon costumerichiamando valori trascendenti e l’opinione – di cui ci si occuperà nel prosieguo della trattazione – dichi ritiene invece imprescindibile il riferimento alla morale pubblica corrente. Partendo dallaconsiderazione dell’indubbia influenza dei valori cristiani sulla coscienza sociale, si è arrivati asostenere che il rinvio effettuato dal legislatore mediante l’inserzione della clausola dei boni mores sia

12/10/2004

Page 8: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

riferito non a «delle vaghe opinioni, più o meno diffuse, o seguite dai più o meno boni homines, bensìa quel complesso di norme etiche che … è rappresentato dalla morale cristiana» [66].

Sebbene i risultati concreti a cui si perviene in questa prospettiva non siano del tutto scorretti,l’opinione non sembra accettabile. L’equivoco in cui essa cade è ben comprensibile semplificando ilragionamento seguito da chi l’ha sostenuta. In primo luogo si osserva che il legislatore, con il rinvio albuon costume, intende richiamare i principi della morale sociale corrente; in secondo luogo sievidenzia che tale morale, nel contesto storico e sociale in cui si colloca il codice vigente, è senz’altrodominata in senso prevalente dai valori cristiani [67]; dunque – si conclude – il rinvio della legge èsenz’altro diretto ai valori cristiani.

Non sembra però essere stata questa l’intenzione che ha determinato il legislatore del 1942, e lo stessopare possa valere anche negli altri ordinamenti: come puntualizza la dottrina maggioritaria che si èoccupata dell’argomento, il buon costume è un tipico esempio di clausola generale, intenzionalmenteimprecisa e suscettibile di un adattamento continuo all’evoluzione sociale [68].

Sebbene appaia corretto il rilievo circa la notevole influenza dei valori cristiani nella morale sociale, lateoria non è condivisibile: «una cosa è constatare, sul piano storico, un’approssimativa coincidenzaeffettiva, ed altra cosa è sostenere l’esistenza di un rapporto di necessità» [69].

Infine, prima di passare ad esaminare l’altra posizione dottrinale, pare opportuno dare conto di unaconseguenza che deriva dall’impostazione teorica che qui si critica. Se la morale che l’ordinamentoprende in considerazione è un insieme di principi ben determinati, propri di una confessione religiosa odi una certa ideologia, ciò starà a significare che il diritto agirà come difensore di una precisa religioneovvero di un determinato pensiero filosofico o politico [70].

Morale e diritto, dunque, sarebbero così destinati ad operare non più su due piani distinti, comedovrebbe accadere [71], ma l’ordinamento dovrebbe, in un certo senso, adeguarsi alla morale edagirebbe su di un piano subordinato. I rilievi sollevati in precedenza in relazione all’importanza delprincipio di laicità nel sistema giuridico italiano sono già sufficienti per escludere una simileeventualità [72].

8. Segue. L’impostazione tecnico-sociologica

Come si è accennato nel paragrafo precedente, all’impostazione sopra descritta ispirata,nell’ordinamento italiano, al giusnaturalismo cattolico, si contrappone un metodo di individuazionedella morale che utilizza parametri di accertamento essenzialmente tecnico-storici [73]. Secondo unaprospettiva del tutto diversa, siffatta seconda opinione nega la possibilità che il legislatore, conl’introduzione della clausola del buon costume nel diritto civile, abbia voluto inserire un richiamo adun sistema trascendente di valori assoluti o ad una distinzione tra bene e male in un ordine superiore[74].

I boni mores, in questa seconda prospettiva, si identificano con quel sistema di valori sentiti comepropri in una determinata collettività, poiché la morale deve «realizzarsi nella coscienza laica e civiledell’individuo, considerato non un’isola a sé stante, che il rapporto con la divinità rendeautosufficiente, svincolato per così dire dalla storia e dal tempo; ma dell’individuo in quanto membrodella collettività» [75]. Il buon costume si identifica allora con quell’insieme di valori che, nell’ambitodi un determinato contesto sociale, sono sentiti e praticati, o comunque ritenuti dalla generalità comedoverosi di considerazione e rispetto. Il mancato rispetto della regola morale, da intendersi comenorma non formalizzata e pregiuridica [76], determina non una sanzione comminata dall’ordinamento,bensì il biasimo da parte dei consociati e l’intimo rimorso.

In questo senso, l’interprete non può pretendere di individuare un insieme di principi, astratti edassoluti, alla cui stregua valutare la conformità alla morale di un determinato comportamento (omeglio, in relazione ad un determinato contratto), ma la sua indagine dovrà necessariamente essere

12/10/2004

Page 9: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

rivolta, come già si è rimarcato, alla realtà sociale [77]. Si può allora cogliere appieno quel carattere diadattabilità all’evoluzione sociale, tipica della nozione di buon costume, così come delle altre clausolegenerali. La conformità della convenzione interprivata alla moralità deve necessariamente essere intesain rapporto al tempo ed al contesto storico nel quale l’interprete si trova. Il buon costume assume cosìun carattere peculiare di relatività e flessibilità.

Come si è puntualizzato distinguendo i parametri richiesti ai fini dell’accertamento dell’uso e quellinecessari ad individuare il buon costume [78], questa contestualizzazione che si richiede all’interpretenon si compie con il ricorso a criteri statistici: occorrerà far riferimento a quell’insieme di valoriconsiderati doverosi di rispetto dal sentire comune, i valori cioè che danno origine a quella che puòessere definita coscienza sociale [79].

In questa seconda prospettiva non è più in discussione il rapporto esistente fra morale e diritto.Intendendo la morale come la coscienza sociale [80], peculiare di un certo contesto storico, non ha piùsenso chiedersi se sia possibile attribuire all’ordinamento una funzione di tutela che lo pone su di unlivello subordinato rispetto alla morale: non vi sono principi assoluti da proteggere, ma soltanto unacoscienza sociale che muta e si evolve continuamente. Diritto e morale operano su due piani distinti, ilprimo non è sottomesso alla seconda e non deve (necessariamente) difenderla [81], sebbene èinevitabile che talvolta intervengano reciproci condizionamenti [82]. La morale troverà spazionell’ordinamento solo se e quando quest’ultimo farà ad essa rinvio, ed opererà soltanto nei limitistabiliti dalla norma giuridica [83].

9. La difficoltà della dottrina a riconoscere un ruolo autonomo alla morale. Critica della tesi diGiovanni Battista Ferri.

Dunque, per riepilogare in poche righe ciò che finora si è tentato di spiegare, può dirsi che sembracondivisibile quell’opinione, ormai maggioritaria in dottrina [84], secondo cui il buon costume siidentificherebbe con la morale sociale corrente, e quindi va respinto sia l’orientamento di coloro che –sulla scia della dottrina esegetica francese – pretendono di ritrovare nello stesso diritto positivo iriferimenti per individuare il contenuto dei boni mores, sia le tesi di chi ha affermato che l’intenzionedel legislatore era quella di rinviare, con l’introduzione del buon costume, ad un sistema di valoriassoluto come, ad esempio, quello della religione cristiana.

A quanto pare, tuttavia, talvolta i giuristi proprio non riescono ad accettare che nell’ordinamento visiano delle clausole la cui applicazione determina delle conseguenze potenzialmente imprevedibili,almeno in teoria, alla luce del solo diritto positivo.

La nozione cd. tecnico-storica di buon costume, ora esposta, presenta infatti il difetto di non esseresemplificabile in quegli schemi ed elenchi a cui il discorso giuridico è tradizionalmente affezionato.

In altre parole, accogliendo siffatta tesi si finisce per attribuire alla morale, sotto certi profili, un ruoloautonomo, o meglio un’operatività incontrollabile alla luce del diritto positivo [85]. E perciò, adifferenza delle impostazioni prima escluse, in questa prospettiva risulta impossibile individuareun’elencazione tassativa (o quantomeno approssimativamente completa) di contratti contra bonosmores alla luce del diritto positivo, anche perché – come si è rilevato [86] – se lo avesse ritenutoopportuno, l’avrebbe già introdotta il legislatore [87].

Queste incertezze, che inducono a non condividere la nozione cd. tecnico-storica, sono ben espressenelle pagine di una nota monografia di Giovanni Battista Ferri [88], forse la più importante delle operededicate al buon costume nel diritto privato. In sintesi – per giungere subito al nocciolo della questione– l’autore resta perplesso dinanzi ad una definizione di buon costume svincolata da qualsiasiriferimento normativo, volta invece ad accogliere quella valutazione sociale di «cosa è buono e cosanon è buono», senza possibilità di correggerla alla stregua di un qualche parametro ben definito. In talmodo – si è sostenuto – il diritto privato abdicherebbe infatti dalla sua funzione regolatrice della libertànegoziale, rimettendosi all’opinione del comune sentire sociale: il buon costume opererebbe cioè come

12/10/2004

Page 10: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

una legittimazione della realtà di fatto [89].

E’ opportuno rilevare che le argomentazioni addotte dal giurista contro la tesi cd. tecnico-storica fannoleva anche sulla presenza dell’aggettivo «buono» con cui il nostro legislatore, sulla scia della soluzioneadottata in Europa fin dalla codificazione ottocentesca [90], ha contraddistinto il «costume». Ci sichiede, in altre parole, in che modo è possibile valutare la bontà del costume? L’unico parametro digiudizio, a detta dell’autore, non può che essere l’insieme di principi desumibili da una visionecomplessiva dell’ordinamento, quella Rechtsmoral che si distingue dalla mera prassi sociale: illegislatore vuole cioè riferirsi al buon costume intendendo quegli «aspetti del costume che piùparticolarmente e intensamente aderiscono al disegno di organizzazione sociale che il sistemadell’ordinamento giuridico ha come punto di riferimento e che, dunque, intende realizzare» [91]. E soloin questo senso, secondo la tesi in parola, è possibile individuare – passando dal piano fenomenologicoal piano deontologico [92] – un qualche «dover essere» alla cui stregua distinguere il costume «buono»dal mero costume tout court inteso in termini statistici [93].

Nonostante le semplificazioni operative che il suo accoglimento determinerebbe [94], siffattaimpostazione teorica non sembra affatto condivisibile. Essa, pur non riconducendosi espressamente aitentativi esegetici di incanalare i parametri di valutazione del buon costume nel diritto positivo, di fattoproduce le stesse conseguenze sul piano operativo. Palese dimostrazione di ciò che si afferma èdesumibile da alcune osservazioni sul punto che lo stesso Giovanni Battista Ferri ha dedicato in altrasede all’argomento [95]. L’autore ha affermato che l’ordinamento – come in tutti gli altri casi in cui,anziché definire in modo preciso un determinato valore, preferisce ricorrere ad una clausola generale –non può accogliere, mediante l’inserzione della nozione del buon costume, «a scatola chiusa, tutto ciòche si produce nella realtà sociale», poiché, così operando, esso perderebbe la sua ragion d’essere,ovverosia il presentarsi come un sistema di valori che i consociati devono rispettare.

L’ordinamento giuridico nel suo insieme – sostiene l’autore – esprime e fa propri dei fondamentalivalori etici ed è ad essi che bisogna guardare ogniqualvolta si renda necessaria la definizionedell’ambito del buon costume, tenendo dunque al di fuori da tale ambito quegli altri valori che, seppurediffusi nella società, siano non conformi con quanto sia desumibile dai principi esprimenti la moraleprescelta dal sistema giuridico. Dopo queste premesse teoriche, lo studioso conduce un esamedell’ipotesi concreta sottoposta alla giurisprudenza nella decisione commentata dalla sua nota: inparticolare si poneva il problema della qualificazione del rapporto con la concubina (nel caso di specieil punto controverso era l’eventuale configurabilità di un’obbligazione naturale nel trasferimentoimmobiliare attuato a favore della convivente).

L’analisi del giurista prende subito in considerazione l’art. 29, Cost. [96], gli artt. 560 ss., c.p. [97], el’intero Capo I del Titolo XI del II libro del codice penale e da tali disposti desume che, alla luce deldiritto positivo, «l’unica forma di convivenza ritenuta attualmente accettabile sotto un profilo morale esociale … è quella che si fondi sul matrimonio; ogni altra forma di convivenza che si ponga incontrasto e in violazione dell’istituto matrimoniale è considerata illecita».

Ma, così procedendo, non si rischia di perdere quella tipica funzione di adeguamento al continuoevolversi sociale, che dovrebbe essere propria delle cd. clausole generali? Non si finisce con ilriaffermare, ad un secolo di distanza, quanto sostenevano gli esegeti del rien que la loi? Non pocheanalogie sono infatti ravvisabili fra il metodo di valutazione della contrarietà al buon costume seguitoda Giovanni Battista Ferri e quello che – un secolo prima – era descritto da Huc [98].

10. Segue. La teoria della scuola esegetica francese. Inaccettabilità della soluzione da essa proposta:verso un ridimensionamento della ratio del buon costume contrattuale

Théophile Huc, ultimo esponente al tramonto della cd. scuola esegetica, pretendeva di individuare iparametri alla cui stregua ricostruire il contenuto dei bonnes m urs [99], nello stesso codice civile. Inconformità con la pretesa autosufficienza che la dottrina del tempo attribuiva al diritto positivo, ilgiurista francese escludeva che il legislatore avesse voluto in qualche modo delegare un parametro della

12/10/2004

Page 11: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

disciplina contrattuale alla coscienza sociale o, ad ogni modo, ad un quid non compreso nelle paginedella legge. E tale considerazione era, a maggior ragione, incontestabile per un criterio che fungeva dalimite all’autonomia negoziale dei cittadini: una barriera, cioè, ad una di quelle libertà celebrate nelprimo grande codice civile della storia.

L’autore, partendo dalla sua definizione di buon costume («habitudes acquises pour le bien en tantqu’elles sont protégées ou déterminées par les lois positives»), desumeva dall’ordinamento del tempocinque differenti ordini di valori che, se violati da una convenzione interprivata, determinano unasituazione di immoralità, cioè di contrarietà ai bonnes m urs [100]. In particolare si trattava dellaprotezione del matrimonio come origine della famiglia (date le norme che attribuivano uno statusinferiore ai figli naturali rispetto a quelli legittimi), il rispetto della pubblica decenza (tenuto contodelle sanzioni dell’oltraggio al pudore), la tutela dei diritti patrimoniali (considerate, fra l’altro, lenorme che condannano il gioco d’azzardo), il rispetto dei principi rivoluzionari (posti alla basedell’ordinamento giuridico del tempo) e la protezione della buona fede (in relazione alle norme chesanzionano dolo e violenza nei rapporti interprivati).

E’ evidente che – come è possibile dedurre da queste considerazioni dell’autore francese – accogliendola soluzione proposta dalla scuola esegetica viene meno l’esigenza di distinguere tra il buon costumeed il costume tout court, essendo la legge a prescrivere le singole ipotesi in cui una certa convenzione èimmorale. Ma l’incoerenza della teoria ora esposta con i fondamenti della dottrina degli esegetifrancesi è fin troppo palese: sebbene tali differenti fattispecie di immoralità siano state dedotte dallalegge, quali possono essere i criteri per riconoscerle e ricavarle dai testi normativi? E quali i mezzi perindividuare una loro eventuale abrogazione?

E’ evidente la fragilità della tesi esposta [101]. A parte l’impossibilità di accettare come esaustiva unaclassificazione che non è prevista espressamente dalla legge (e ciò è ancora più vero se ci si ponenell’ottica della dottrina esegetica francese), è chiaro che in tal modo non si perviene all’obiettivo cheHuc si era prefissato, e cioè quello di offrire una definizione esauriente di buon costume alla luce deldiritto positivo vigente. Ciascuna delle ipotesi sopra tipizzate può invero essere elasticamente estesa oristretta a seconda della convinzione che ogni singolo interprete ha di ciò che è morale (ad esempio,per quanto riguarda la pubblica decenza: «où commence, où finit le respect de la décencepublique?» [102]), di fatto ritornando allo stesso punto dal quale si era partiti. Inoltre non sembraammissibile il metodo con cui Huc pretende di far derivare principi generali da norme dettate peresigenze particolari (si prendano come esempio quelle che assicurano uno status superiore ai figlilegittimi rispetto a quelli naturali) [103].

Senza dilungarsi oltre con le critiche alla menzionata tesi, è opportuno evidenziare che le perplessitàsollevate dalla teoria di Giovanni Battista Ferri sono determinate, a ben vedere, da un fraintendimentodella ratio che il legislatore ha attribuito alla contrarietà ai boni mores, o meglio da una suasopravvalutazione.

Fino a quando si continua ad attribuire al buon costume una funzione educativa [104], un ruolopedagogico, non si potrà mai ammettere che esso si identifichi con la coscienza sociale: come potrebbemai un giurista accettare che la legge deleghi alle generali opinioni dei consociati la determinazione diun insieme di valori aventi uno scopo formativo per la società stessa? Sarebbe un’assurdità, quasi unparadosso, riconoscere come valido un siffatto rapporto. L’errore qui è quello di sopravvalutare lafunzione del divieto di contrarietà ai buoni costumi intesa dal legislatore. In realtà in tale regola non èravvisabile alcuna finalità educativa: non si tratta di perfezionamento morale [105], la legge non sipropone di moralizzare, ma si limita soltanto ad impedire l’immoralità che per svolgersi si serva deglistrumenti giuridici [106], rifiutando di prestare la sua assistenza ai negozi che la morale disapprova[107].

Sotto tale profilo, allora, si potrà anche ritenere che la morale presa in considerazione dal legislatore èquella degli «uomini dabbene», ma intendendo in tal modo non una certa elite di soggetti aventiun’etica superiore, bensì la coscienza sociale dell’uomo medio, poiché non vi è alcuno scopo di

12/10/2004

Page 12: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

miglioramento sociale [108]. E tale circostanza non desta scandalo se si opta per la suddetta ratio dellailliceità per non conformità al buon costume. Dunque, ridimensionato il ruolo che il buon costumecontrattuale assume nel sistema giuridico, diventa meno problematico (e non suscita perplessità)accettare che esso consista in un criterio metagiuridico, completamente svincolato dalla valutazionedell’ordinamento che vi fa riferimento ed esclusivamente riconducibile ai canoni della coscienzasociale [109].

Ciò, inoltre, testimonia con chiarezza lo stretto rapporto che si instaura fra ratio e contenuto dei bonimores: una corretta determinazione della nozione di buon costume non può prescindere dalla giustaindividuazione della sua funzione all’interno dell’ordinamento, come limite (negativo) dell’autonomianegoziale. La dottrina maggioritaria, seppure non si soffermi con particolare attenzione sul punto,dando quasi per scontata una soluzione in tale senso [110], appare concorde con questa definizione.

11. Verso una conclusione: la ratio del buon costume alla luce della relatività del suo contenuto

Per comprendere con chiarezza quanto si è finora detto occorre tenere ben presente la portata dellapreclusione dell’art. 1343, c.c. e delle disposizioni che sanciscono l’illiceità del contratto con riguardoagli altri suoi elementi, e dunque ricordare che quando il codice civile menziona i boni mores, siriferisce esclusivamente al cd. buon costume contrattuale, cioè al valore che esso assume in relazioneall’autonomia negoziale.

Il buon costume si presenta come un limite determinato in senso negativo: non si richiede che leconvenzioni abbiano una finalità meritevole dal punto di vista della morale, anche perché non sarebbefacile individuare quale morale utilizzare come parametro di valutazione; si impone soltanto che essenon violino i principi della coscienza del tempo in cui vengono stipulate.

E tale divieto non è previsto a presidio di un insieme di valori che l’ordinamento si sente chiamato atutelare, come nemmeno è volto ad educare i consociati ad una certa etica o ad un corretto modo divivere (non si può certo attribuire al diritto privato una funzione didattico-formativa), bensì soltantoper evitare che gli strumenti che la legge predispone vengano utilizzati per il perseguimento di finalitàdisapprovate dal comune sentire sociale, e che dunque si presentano come non meritevoli di tutelagiuridica [111]. In altre parole, che direbbe l’uomo della strada del caso in cui la meretrice ed il suocliente si trovassero a discutere innanzi ad un tribunale? E che penserebbe se la legge tutelasse lapretesa contrattuale di chi pretende di aver impegnato la controparte, un funzionario dello stato, avelocizzare la sua pratica nelle procedure della pubblica amministrazione?

Anche se non sembra errato sostenere che in linea generale il legislatore sanzioni [112] coloro chestipulano un contratto immorale, non è neppure ravvisabile una funzione strettamente sanzionatoriapoiché l’ordinamento dispone di altri mezzi, ben più efficaci di un mero limite al contrattareinterprivato, per punire e reprimere i comportamenti che ritiene scorretti.

12. Bibliografia

Ajani G., Le fonti non scritte nel diritto dei paesi socialisti, Milano, 1985 - Alpa G., Istituzioni didiritto privato, Torino, 1997 - Asquini A., Le clausole d’uso dell’art. 1340 c.c., in Riv. dir. comm.,1950 - Asquini A., Usi legali e usi negoziali, in Riv. dir. comm., 1944 - Balossini C. E., Consuetudini,usi, pratiche, regole del costume, Milano, 1958 - Balossini C. E., L’accertamento del dirittoconsuetudinario, compito del giurista e del sociologo, Milano, 1963 - Balossini C. E., voce «usi (teoriadegli)», in Noviss. dig. it. - Barassi L., Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1946 - Bayet A., Lamorale scientifique. Essai sur les applications morales des sciences sociologiques, Paris, 1907 - BettiE., L’interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949 - Betti E., Teoria generale delnegozio giuridico, Torino, 1952 - Bettiol G., Sistema e valori nel diritto penale, estratto da Jus, 1940 -Bianchi F. S., Principi generali sulle leggi. Spiegazione delle disposizioni premesse al codice civileitaliano sulla pubblicazione, interpretazione ed applicazione delle leggi in generale, in Corso di dirittocivile italiano, Torino, 1888 - Boistel A., Cours de philosophie du droit, Paris, 1899 - Carbone V., Casa

12/10/2004

Page 13: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

in comodato vita natural durante per una breve convivenza more uxorio, nota a Cass. 8 giugno 1993, n.6381, in Corr. giur., 1993 - Cariota-Ferrara L., Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli,s.d. - Carresi F., Il negozio illecito per contrarietà al buon costume, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949 -Chironi G. P., Abello L., Trattato di diritto civile italiano, Torino, 1904 - Colin A., Capitant H., Julliotde la Morandiere L., Traité de droit civil, Paris, 1957 - D’Amico G., Libertà di scelta del tipocontrattuale e frode alla legge, Milano, 1993 - De Ruggiero, R. Istituzioni di diritto civile, Messina-Milano, 1934 - Delle Monache S., Il negozio immorale tra negazione dei rimedi restitutori e tutelaproprietaria, Padova, 1997 - Di Marzio F., I contratti in generale, VI, in Il diritto privato nellagiurisprudenza a cura di P. Cendon, Torino, 2000 - Ferrara F., Teoria del negozio illecito nel dirittocivile italiano, Milano, 1914 - Ferri G. B., Illiceità di convenzioni elettorali, in Riv. dir. comm., 1972 -Ferri G. B., Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, Milano, 1967 - Ferri G. B.,Qualificazione giuridica e validità delle attribuzioni patrimoniali alla concubina, nota a Cass. 15gennaio 1969, n. 60, in Riv. dir. comm., 1969 - Ferri G. B., voce «ordine pubblico» (dir. civ.), Enc. dir.- Galgano F., Diritto privato, Padova, 1994 - Gallo P., Istituzioni di diritto privato, Torino, 2000 -Gambigliani Zoccoli L., Negozi illeciti per contrarietà al buon costume, in Riv. dir. civ., 1968 -Gazzoni F., Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983 - Genovese A., voce «usi negoziali einterpretativi» (dir. priv.), Enc. dir. - Gianturco R., Sistema di diritto civile italiano, Napoli, 1894 -Guarneri A., voce «buon costume», Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, Torino,1988 - Guarneri A., voce «Usi», Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, Torino, 1999,XIX - Hart H. L. A., Il concetto di diritto, Torino, 1965 - Huc T., Commentaire théorique & pratiquedu code civil, Paris, 1894 - Lévy-Bruhl L., La morale et la science des m urs, Paris, 1905 - Lotmar P.,Der unmoralische Vertrag, Leipzig, 1896 - Messineo F., Dottrina generale del contratto, Milano, 1952- Mossa L., Trattato del nuovo diritto commerciale, Milano, 1942 - Motta A., La causa delleobbligazioni nel diritto civile italiano, Torino, 1929 - Oberto G., I regimi patrimoniali della famiglia difatto, Milano, 1991 - Oberto G., Le prestazioni lavorative del convivente more uxorio, Padova, 2003 -Oppo G., Adempimento e liberalità, Milano, 1947 - Oppo G., Profili dell’interpretazione oggettiva delnegozio giuridico, Bologna, 1943 - Pacchioni G., Diritto civile italiano, Padova, 1937 - Panza G., Buoncostume e buona fede, Napoli, 1973 - Pesante M., voce «corpo umano (atti di disposizione)», Enc. dir.- Piola A., La questione romana nella storia e nel diritto: da Cavour al Trattato del Laterano, Padova,1931 - Pollock F., Principles of contract at law and in equity, New York, 1906 - Ravà A., Istituzioni didiritto privato, Padova, 1938 - Ripert G., La règle morale dans les obligations civiles, Paris, 1935 -Rocco A., Principi di diritto commerciale. Parte generale, Torino, 1928 - Rodotà S., In tema di usiindividuali, in Foro pad., 1971 - Rodotà S., Ordine pubblico o buon costume?, in Giur. di merito, 1970- Romboli R., Delle persone fisiche. Art. 1-10, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialojae G. Branca, Bologna-Roma, 1970, sub art. 5 - Sacco R., De Nova G., Il contratto, Torino, 1993 -Saiget J., Le contrat immoral, Paris, 1939 - Saleilles R., De la déclaration de volonté. Contribution àl’étude de l’acte juridique dans le code civil allemand (Art. 116 à 144), Paris, 1901 - Scialoja A.,Natura ed efficacia dei c.d. usi cotonieri, in Foro it., 1950 - Scognamiglio R., Dei contratti in generale.Disposizioni preliminari – dei requisiti del contratto. Art. 1321-1352, in Commentario del codicecivile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1970, sub art. 1343 - Sicari A., Prostituzionee tutela giuridica della schiava, Bari, 1991 - Simitis K., Gute Sitten und ordre public, Marburg, 1960 -Sioufi M., Essai sur le critérium et la nullité des obligations immorales et illicites, Thèse, Paris, 1925 -Stolfi G., Teoria generale del negozio giuridico, Padova, 1947 - Torrente A., Schlesinger P., Manualedi diritto privato, Milano, 1994 - Trabucchi A., voce «buon costume» (dir. civ.), Enc. dir. - ValsecchiE., Sulla pretesa immoralità del giuoco proibito e autorizzato, in Temi, 1950 - Varrone C., Ideologia edogmatica nella teoria del negozio giuridico, Napoli, 1972 - Zatti P., Colussi V., Lineamenti di dirittoprivato, Padova, 1999.

[1] La metafora è di S. Rodotà, Ordine pubblico o buon costume?, in Giur. di merito, 1970, II. p. 106.

[2] G. B. Ferri, Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, Milano, 1967, pp. 78 ss.

12/10/2004

Page 14: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

L’autore corregge l’espressione di Stefano Rodotà: il buon costume non sarebbe una «finestra»sull’ordine etico, ma una «finestra» su «quel limitato ordine etico di prassi e comportamenti che, nelquadro e nell’attuazione del sistema di valori dell’ordinamento giuridico, emergono dal concretosvolgersi ed organizzarsi della vita sociale» (si cfr., in particolare, G. B. Ferri, Illiceità di convenzionielettorali, in Riv. dir. comm., 1972, p. 25). Ma sul punto si tornerà infra, § 9.

[3] R. Romboli, Delle persone fisiche. Art. 1-10, in Commentario del codice civile, a cura di A.Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1970, sub art. 5, p. 232.

[4] Da ultimo R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, Torino, 1993, II, p. 78.

[5] Si v., sul punto, E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1952, pp. 382 ss.

[6] Cfr. A. Trabucchi, voce «buon costume» (dir. civ.), Enc. dir., V, p. 703. V. amplius, le osservazioniriportate infra, § 5.

[7] G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., p. 79; G. B. Ferri, Qualificazione giuridica e validità delleattribuzioni patrimoniali alla concubina, nota a Cass. 15 gennaio 1969, n. 60, in Riv. dir. comm., 1969,II, p. 403. Analogo tentativo è quello di F. Di Marzio, I contratti in generale, VI, in Il diritto privatonella giurisprudenza a cura di P. Cendon, Torino, 2000, pp. 247 s., ma contra R. Sacco, G. De Nova, Ilcontratto, cit., II, p. 79. Su tali questioni cfr. altresì, §§ 4 e 7.

[8] Come si è avuto modo di sottolineare già nel paragrafo precedente (cfr. supra, § 1). E’ opportunorimarcare che tale rilievo vale anche per l’interpretazione del buon costume negli altri ordinamenticontinentali, ed in particolare in quello francese, considerando che è con il Code Napoléon che il buoncostume ha visto la luce negli ultimi secoli.

[9] G. P. Chironi, L. Abello, Trattato di diritto civile italiano, Torino, 1904, I, p. 106, che tuttavia fariferimento al buon costume nei rapporti con la legge, gli atti e le sentenze dei paesi stranieri.

[10] Fra gli altri v. F. S. Bianchi, Principi generali sulle leggi. Spiegazione delle disposizioni premesseal codice civile italiano sulla pubblicazione, interpretazione ed applicazione delle leggi in generale, inCorso di diritto civile italiano, Torino, 1888, p. 33.

[11] Cfr. G. Stolfi, Teoria generale del negozio giuridico, Padova, 1947, p. 219.

[12] L. Cariota-Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d., p. 598. Similmentevi è poi chi si è riferito all’insieme dei principi scolpiti nella umana coscienza e all’insieme dei principidella morale: rispettivamente R. Gianturco, Sistema di diritto civile italiano, Napoli, 1894, II, pp. 17ss.; G. Pacchioni, Diritto civile italiano, Padova, 1937, I, 1, pp. 9 e ss.

[13] F. Ferrara, Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, Milano, 1914, p. 14 e pp. 33 s.

[14] R. De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, Messina-Milano, 1934, I, p. 46. Siffatta delimitazionedei boni mores è sempre stata respinta dalla giurisprudenza del codice civile vigente (v. Cass. 17giugno 1950, n. 1552, in Foro it., 1951, I, c. 185; Cass. 21 marzo 1965, n. 825; Cass. 15 febbraio 1960,n. 234), ma tuttavia non è mai stata data per scontata, tant’è che anche di recente il S.C. si è premuratodi ribadire la sua inaccettabilità (si cfr. Cass. 18 giugno 1987, n. 5371, in Foro it., 1988, I, c. 181).

[15] Il discorso sarà sviluppato nei §§ 7 e 8.

[16] Tra le opinioni più autorevoli si veda E. Betti, Teoria generale, cit., p. 101 e A. Trabucchi, vocecit., p. 700, che si ricollega all’etica cristiana, come meglio si vedrà nel prosieguo dell’analisi (cfr.infra, § 7).

12/10/2004

Page 15: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

[17] F. Messineo, Dottrina generale del contratto, Milano, 1946, p. 229; F. Carresi, Il negozio illecitoper contrarietà al buon costume, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, p. 34, che si riferisce direttamenteall’opinione pubblica della società; A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano,1994, p. 194; R. Scognamiglio, Dei contratti in generale. Disposizioni preliminari – dei requisiti delcontratto. Art. 1321-1352, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca,Bologna-Roma, 1970, sub art. 1343, p. 329 ss.

[18] Oltre ai riferimenti già proposti nelle note precedenti, v. ancora F. Galgano, Diritto privato,Padova, 1994, p. 252; G. Alpa, Istituzioni di diritto privato, Torino, 1997, p. 149; P. Zatti, V. Colussi,Lineamenti di diritto privato, Padova, 1999, p. 470; P. Gallo, Istituzioni di diritto privato, Torino,2000, p. 506.

[19] L’espressione, che compare per la prima volta in Cass. 17 giugno 1950, n. 1552, cit., è poi ripresadal S.C. più volte: Cass. 21 marzo 1965, n. 825, Cass. 15 febbraio 1960, n. 234, Cass. 7 luglio 1981, n.4414, in Foro it., 1982, I, c. 1679, e in Giust. civ., 1982, I, p. 2418. Non molto diversamente talvolta laCorte di cassazione si è riferita in senso più generale ai principi ed alle esigenze etiche «della moralecollettiva» (Cass. 23 marzo 1985, n. 2081 e Cass. 18 giugno 1987, n. 5371, in Foro it., 1988, I, c. 181,in Giust. civ., 1988, I, p. 197, in Giur. it., 1989, I, c. 1056, con nota di P. Petrelli e in Riv. del not.,1989, II, p. 1183) o, più di recente, al «complesso dei principi etici costituenti la morale sociale in undeterminato momento storico» (Cass. 8 giugno 1993, n. 6381, in Corr. giur., 1993, p. 947, con nota diV. Carbone, Casa in comodato vita natural durante per una breve convivenza more uxorio, e in Vitanot., 1993, p. 225).

[20] Così Cass. 1 agosto 1986, n. 4927, in Foro it., 1986, I, c. 493 e in Resp. civ. e prev., 1986, p. 554,in cui alla stregua del parametro del buon costume così definito si è ritenuto che «il commercio perdanaro che una donna faccia del proprio corpo» è attività immorale.

[21] Trib. Milano 13 aprile 1966, in Foro it., 1966, II, c. 265. Contra Cass. 22 maggio 1936, in Rep.Foro it., 1936, voce «obbligazioni e contratti», n. 158, c. 1265

[22] Trib. Milano 13 aprile 1966, cit., c. 276.

[23] Cfr. infra, § 9.

[24] Cass. 12 giugno 1964, n. 1491, in Foro it., 1964, I, c. 1994 e in Giust. civ., 1965, I, p. 169.

[25] In argomento: C. E. Balossini, L’accertamento del diritto consuetudinario, compito del giurista edel sociologo, Milano, 1963, pp. 155 ss.

[26] Sulle difficoltà che il giurista incontra ogniqualvolta sia chiamato ad individuare regole che stianoal di fuori del diritto positivo si v. C. E. Balossini, L’accertamento, cit., pp. 5 ss. e, amplius, C. E.Balossini, Consuetudini, usi, pratiche, regole del costume, Milano, 1958, pp. 505 ss.

[27] Sul concetto di uso nel diritto privato cfr. A. Guarneri, voce «Usi», Digesto delle DisciplinePrivatistiche, Sezione Civile, Torino, 1999, XIX, pp. 527 ss., che distingue fra usi-fonti del diritto (i cd.usi normativi) e usi interpretativi (cioè gli usi negoziali, le cd. clausole d’uso finalizzateall’integrazione ed alla interpretazione della volontà dei contraenti). Nell’ambito della prima categoriaè nota la tradizionale tripartizione tra usi contra legem, usi praeter legem, usi secundum legem. Dataper certa l’esclusione dei primi dal novero delle fonti del diritto – che si spiega già sulla base delcriterio gerarchico delle fonti – la dottrina ha poi diversamente motivato l’inoperatività dei secondi,talvolta adducendo l’argomento ottocentesco della pretesa completezza del diritto positivo, talvoltainvece preferendo al ricorso agli usi praeter legem gli strumenti dell’analogia legis e dell’analogiaiuris. Per quanto riguarda invece l’uso secundum legem, la sua rilevanza giuridica è circoscritta ai solicasi in cui la legge vi fa rinvio, ed il valore che essi assumono non si giustifica dal fatto che essicostituiscono «per se stessi norme giuridiche, ma perché formano il contenuto di una disposizione di

12/10/2004

Page 16: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

legge» (Così A. Rocco, Principi di diritto commerciale. Parte generale, Torino, 1928, pp. 137 ss.). Perquanto interessa in questa sede, sugli usi interpretativi, va detto ad essi fa riferimento il legislatorenegli artt. 1340, 1368 e 1374, c.c.

Tale elencazione non è pacifica: per la dottrina maggioritaria l’art. 1374 non riguarderebbe gli usiinterpretativi bensì gli usi normativi (v., fra gli altri, F. Messineo, Dottrina generale del contratto,Milano, 1948, pp. 362 ss.; L. Mossa, Trattato del nuovo diritto commerciale, Milano, 1942, I, p. 124;E. Betti, L’interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949, pp. 229 ss.; A. Asquini, Leclausole d’uso dell’art. 1340 c.c., in Riv. dir. comm., 1950, II, pp. 444 ss.; l’opinione contraria èsostenuta da C. E. Balossini, voce «usi (teoria degli)», in Noviss. dig. it., 1975, XX, pp. 200 ss., che tral’altro ritiene superfluo il disposto dell’art. 1374, c.c.), così come alcuni studiosi tendono aricomprendere nella categoria anche l’art. 1362, secondo comma, che concerne gli usi individuali(sulla questione e per un cospicuo numero di riferimenti si v. A. Genovese, voce «usi negoziali einterpretativi» (dir. priv.), Enc. dir., XXXII).

Lasciando da parte, ai fini dell’analisi, l’art. 1374 – data la sua prevalente esclusione dal novero delledisposizioni sugli usi negoziali – e l’art. 1368, che si occupa in particolare delle pratiche generalilocali, occorre dedicare maggiore attenzione alle clausole d’uso disciplinate dall’art. 1340 (Sul punto siv. C. E. Balossini, Consuetudini, usi, cit., pp. 233 ss.). Secondo siffatta disposizione, salvo l’espressavolontà manifestata dalle parti, gli usi negoziali si intendono inseriti nel contratto e contribuiscono adintegrarlo e ad arricchirlo. Tra i problemi connessi all’introduzione del contratto delle clausole d’uso,come quelli concernenti l’individuazione dell’eventuale volontà contraria, quello che più rileva inquesta sede è la definizione del contenuto di tali usi negoziali.

Le teorie prospettate – dalla dottrina e dalla giurisprudenza – sono principalmente tre: una primariconduce le clausole d’uso agli usi normativi (secondo quanto si sostiene in F. Messineo, Dottrinagenerale, cit., p. 368; ma v. altresì E. Betti, L’interpretazione della legge, cit., p. 297; G. Oppo, Profilidell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna, 1943, pp. 102 ss.; C. Varrone, Ideologiae dogmatica nella teoria del negozio giuridico, Napoli, 1972, pp. 190 ss.; per gli orientamentigiurisprudenziali, fra le decisioni più significative, cfr. Cass. 23 febbraio 1963, n. 434, in Giur. it.,1963, I, p. 1478 e Cass. 17 ottobre 1968, n. 3342, in Foro pad., 1971, I, p. 143); una seconda tesi, maiaccolta dalla giurisprudenza, intende per usi negoziali quelle clausole abituali ripetutamente inserite inuna serie di contratti fra gli stessi soggetti contraenti (A. Genovese, Gli usi nella disciplina dei contratticommerciali, cit. p. 385; S. Rodotà, In tema di usi individuali, in Foro pad., 1971, I, p. 143); la terzatesi, seguita dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie identifica invece le clausole d’uso congli usi di mercato (seppure prospettata percorrendo strade diverse, è sostenuta da A. Asquini, Usi legalie usi negoziali, in Riv. dir. comm., 1944, I, p. 71 ss.; L. Barassi, Teoria generale delle obbligazioni,Milano, 1946, II, pp. 486 ss.; A. Scialoja, Natura ed efficacia dei c.d. usi cotonieri, in Foro it., 1950, I,pp. 364 ss.; per la giurisprudenza – anch’essa non unitaria nelle motivazioni che conducono a questasoluzione – si v., tra le decisioni più significative, Cass. 4 febbraio 1954, n. 275, inedita).

[28] Come ha correttamente affermato G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., p. 66.

[29] Per una rassegna delle ipotesi in cui il codice civile ed il codice della navigazione richiamano gliusi cfr. C. E. Balossini, Consuetudini, usi, cit., pp. 689.

[30] Nonostante siano diverse le disposizioni codicistiche in cui esso è menzionato, la dottrina èsempre stata concorde nel ravvisare in ciascuna norma sempre la stessa definizione di buon costume. Adifferenza del buon costume, gli usi invece sono richiamati più volte ma con accezioni diverse.

[31] Tanto che, secondo alcuni, questa ricerca spetterebbe non solo al giurista ma anche al sociologo(C.E. Balossini, L’accertamento, cit., pp. 155 ss.).

[32] V. A. Trabucchi, voce cit., p. 703, che puntualizza come in dottrina mai nessuno ha preteso dipervenire ad una definizione di buon costume adoperando metodi statistici. Sul punto cfr. altresì G.

12/10/2004

Page 17: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

Panza, Buon costume e buona fede, Napoli, 1973, p. 7; E. Betti, Teoria generale cit., pp. 382 ss.; C. E.Balossini, Consuetudini, usi, cit., p. 198.

[33] Sia ora sufficiente questa generica espressione: successivamente si preciserà meglio qualivalutazioni di moralità debbono essere considerare per definire il buon costume.

[34] L’osservazione è di A. Trabucchi, voce cit., p. 703. Secondo questo orientamento, «se anche inun’ipotetica, per quanto assurda, rilevazione di giudizio … dovessero, ad esempio, prevalere leopinioni favorevoli all’ammissione di certe forme libere di rapporti fra i sessi riprovate comescandalose dalla morale», il giudice non potrebbe rimanere inerte invocando la diffusione di talipratiche immorali. Dello stesso avviso la giurisprudenza: Trib. Como 24 marzo 1979, in Giur. it., 1980,I, 2, c. 630, con nota di G. Ponzanelli, Trafique d’influence ed illiceità della causa. Come haoculatamente osservato il tribunale lombardo, seppure si dica «esser costume a Roma caldeggiare apagamento pratiche amministrative e stipulare con i clienti contratti di raccomandazione con tariffepercentuali, trattasi sicuramente di mal costume, la cui diffusione in termini statistici nulla toglieall’apprezzamento di disvalore morale e sociale».

[35] E non sembra il caso di soffermarsi ad indagare se sia stata la diffusione di certi comportamenti adaver influenzato le opinioni della società ovvero siano queste ultime ad aver permesso il diffondersidelle pratiche inizialmente non accettate poiché ritenute immorali. E’ palese che in questi casi fra i duetermini del rapporto si instaura un rapporto di influenza reciproca che non è possibile analizzare contermini generali.

[36] E’ l’ipotesi che la giurisprudenza francese ha avuto occasione di analizzare in Lyon 27 juin 1913,Gaz. Pal. 1913, II, p. 506 e D. 1914, II, p. 83, con nota di Lalou.

[37] Sull’argomento, per considerazioni dottrinarie, si rimanda a M. Pesante, voce «corpo umano (attidi disposizione)», Enc. dir., X, p. 660, in cui si ammettono in linea generale le operazioni con scopoestetico che abitualmente vengono praticate, ad esclusione di quelle in cui il consenso dell’interessatoverta su un’operazione ad altro rischio e sia finalizzata alla correzione di un difetto esteticoscarsamente rilevante, proprio perché – puntualizza l’autore – «la morale corrente vieta che per unaesagerata ambizione di estetica si esponga a grave repentaglio la propria salute».

[38] Sul punto cfr. F. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983; G. Oberto, Iregimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991; G. Oberto, Le prestazioni lavorative delconvivente more uxorio, Padova, 2003.

[39] E’ ben possibile che un negozio, «quantunque conforme all’uso praticato nella cerchia sociale cuiappartengono gli interessati, sia tuttavia illecito, perché quell’uso è riprovato dall’opinione pubblica ocoscienza sociale collettiva» (E. Betti, Teoria generale, cit., p. 382).

[40] V., per tutti, le riflessioni di C. E. Balossini, Consuetudini, usi, cit., pp. 157 ss.

[41] In questo senso E. Valsecchi, Sulla pretesa immoralità del giuoco proibito e autorizzato, in Temi,1950, p. 518: «A tutto può giungere l’onnipotenza del legislatore, quindi anche a discriminare sulterreno della morale giuridicamente rilevante atti che in determinate circostanze sarebbero repressi perla loro immoralità, e per questo riflesso l’affermazione che la legge non può abrogare i boni mores sirisolve in un’arguta petizione di principio».

[42] Unica e vistosa, eccezione è costituita dalla scuola esegetica ed, in particolare, dalle dottrine diHuc, riguardo a cui si v. infra, § 9 e, amplius, T. Huc, Commentaire théorique & pratique du code civil,Paris, 1894, I, sub art. 6, pp. 172, ss.; sulle convincenti critiche mosse alla cd. teoria esegetica, cfr. J.Saiget, Le contrat immoral, Paris, 1939, p. 44; G. Panza, Buon costume e buona fede, cit., p. 39.Tuttavia, anche G.B. Ferri, Ordine pubblico, cit., pp. 78 ss., perviene a conclusioni non troppo lontaneda quelle a cui erano giunti gli esegeti cento anni prima, seppure con finalità diverse che cioè non

12/10/2004

Page 18: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

concernono la pretesa omnicomprensività del diritto positivo. E la medesima tesi è altresì sostenuta inG. B. Ferri, Qualificazione giuridica e validità delle attribuzioni patrimoniali alla concubina, cit., p.403. Ma di ciò oltre.

[43] Così A. Ravà, Istituzioni di diritto privato, Padova, 1938, p. 13: «La morale è un principioregolatore di tutto il nostro contegno, sia di fronte a noi stessi, sia di fronte agli altri uomini, sia difronte a tutti gli esseri della natura: ogni forma di nostra attività puo (sic) essere sottoposta al criterio ealla valutazione morale. Il diritto invece si limita a determinare il nostro contegno in rapporto agli altriuomini con noi consociati, e lo determina solo in quanto è richiesto per rendere possibile la convivenza… assicurando la necessaria collaborazione di tutti per il raggiungimento dei fini collettivi».

[44] Non bisogna dimenticare, tuttavia, che tale richiamo non ha nessun fine formativo, non è cioèvolto a promuovere la conclusione di contratti con particolari finalità o tanto meno a diffondere lamorale. L’unico scopo che in tal senso viene perseguito è quello di evitare che sia data forza legaleall’immoralità (così giustamente A. Trabucchi, voce cit., p. 700). Si ha però la sensazione che ladottrina, talvolta travisando siffatto limitato ruolo del buon costume, attribuisca ad esso una funzionepedagogica, formativa, quasi educativa (come lascia intendere G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., pp. 78ss. ed altresì G. Ripert, La règle morale dans les obligations civiles, Paris, 1935, p. 41, quandodefinisce il giudice il gardien de la morale publique).

[45] Secondo un’opera di interpretazione del diritto positivo ben descritta da G. B. Ferri,Qualificazione giuridica e validità delle attribuzioni patrimoniali alla concubina, cit., p. 403, che, pergiudicare l’eventuale immoralità delle attribuzioni alla concubina, prende in considerazione tutta unaserie di norme di diritto costituzionale e di diritto penale. Sul punto v. in particolare infra, § 9.

[46] Ed in particolare di un codice che «nasce, caratterizzato dall’insuperabile paradosso, di essereelaborato su esperienze passate ed essere destinato a regolare esperienze future», G. B. Ferri, Ordinepubblico, cit., p. 32.

[47] Molti esempi di norme derivanti da principi di carattere morale, talvolta sottolineati in sedegiurisprudenziale, possono già ritrovarsi nello stesso codice civile. Cfr. in particolare, per un’esaurienteelencazione di queste ipotesi, G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., p. 89 ss.

[48] E’ l’esempio della legge che ha regolamentato l’aborto (l. 22 maggio 1978, n. 194): la valutazionedi immoralità dell’interprete perde di importanza di fronte ad una statuizione esplicita di legge.

[49] G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., p. 89.

[50] V., ex multis, R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, cit., II, p. 79 e F. Di Marzio, I contratti ingenerale, cit., pp. 247 s.

[51] R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, cit., II, p. 77. Un simile tentativo, alla luce dell’evoluzione deldiritto, «non avrebbe senso»: C.E. Balossini, L’accertamento, cit., p. 152.

[52] F. Di Marzio, I contratti in generale, cit., p. 248.

[53] R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, cit., II, p. 77.

[54] L’apprezzamento della morale non è rimesso agli interessati, così come non deve essere compiutocon riguardo alla condizione sociale e patrimoniale delle parti, è invece ai precetti della moralecollettiva che deve uniformarsi il giudice. Siffatta osservazione di G. Oppo, Adempimento e liberalità,Milano, 1947, p. 244 è stata proposta in relazione al discorso sull’accertamento del dovere moralecome fondamento dell’obbligazione naturale, ma sembra possa valere anche per l’analisi che qui siconduce.

12/10/2004

Page 19: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

[55] Semmai configurabile – pare opportuno sottolinearlo – in sistemi di tipo autoritario, in cui ilriferimento al buon costume è stato forzatamente ricondotto a quella compagine di principi cheassurgono all’ideologia del potere. Un valido esempio può essere la situazione creatasi nello scorsosecolo nei paesi socialisti: per alcuni riferimenti si v. A. Guarneri, voce «buon costume», Digesto delleDiscipline Privatistiche, Sezione Civile, Torino, 1988, p. 124. L’argomento è affrontato amplius,seppure dal punto di vista del diritto pubblico, in G. Ajani, Le fonti non scritte nel diritto dei paesisocialisti, Milano, 1985, pp. 73 ss.

[56] Il rilievo è di C. E. Balossini, L’accertamento, cit., pp. 152 s.

[57] L’espressione, idonea a contraddistinguere una corrente che va ben oltre il ristretto ambito dianalisi della trattazione, è già stata utilizzata, con riferimento al tema in oggetto, da G. B. Ferri, Ordinepubblico, cit., pp. 67 ss.

[58] E’ interessante notare che contrapporre una morale cattolica individuale ad una morale laicasociale non è del tutto esatto. Spesso coloro che si sono occupati dell’argomento hanno presentato ledue tendenze come opposte l’una all’altra, come se i principi della morale cattolica interessassero soloed esclusivamente l’individuo in rapporto con sé stesso ed in rapporto con Dio, nel senso di unrapporto esclusivamente intimo e personale, e mai interpersonale. Dall’altra parte i principi dellamorale laica, si è detto, trascurerebbero il rapporto con sé stessi, concernendo unicamente le relazionisociali. Prima di tutto, per quanto riguarda quest’ultima, non ha senso affermare l’esistenza di regolevalide per i rapporti interpersonali che non si riflettono anche, sotto determinati profili, nella intimarelazione con sé stessi e con l’Essere divino.

Inoltre – ed è quello che si vuole qui mettere in evidenza – la morale cattolica, in sé e per séconsiderata, concerne non solo i rapporti con Dio e con sé stessi, ma anche tutto ciò che riguarda ilmodo di relazionarsi con gli altri. Non solo con un’accezione strettamente «evangelica» (Gv 13,34-35:«Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevianche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni pergli altri»; Mt 19,19: «ama il prossimo tuo come te stesso»), ma anche nel senso, più generale, dirapporti tra soggetti facenti parte di una collettività di individui.

A riguardo sia sufficiente fare riferimento al crescente interesse per la Chiesa per le vicende politiche esociali del mondo, fenomeno senz’altro non nuovo (cfr. sul punto A. Piola, La questione romana nellastoria e nel diritto: da Cavour al Trattato del Laterano, Padova, 1931). Fin dall’Enciclica Quanta cura(1864) di Pio XI e dalle Encicliche Immortale Dei (1886) e Libertas (1888) di Leone XIII èriscontrabile un crescente interesse ai problemi che interessano la società, che oggi viene confermatodall’attenzione che il pontefice presta sia alle tematiche sollevate in ambito sociale, talvolta con fermeprese di posizione, sia alle vicende belliche e politiche riguardanti l’intero pianeta.

[59] A. Boistel, Cours de philosophie du droit, Paris, 1899, I, p. 151 ss. Si vedano altresì leosservazioni di G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., p. 70. Ma cfr. anche le osservazioni del paragrafosuccessivo (v. infra, § 8).

[60] Ma lo stesso sembra valere anche negli altri settori ordinamentali: nell’ambito penalistico, adesempio, si v. ad esempio, le osservazioni di G. Bettiol, Sistema e valori nel diritto penale, estratto daJus, 1940, I, IV, p. 9 in cui si conclude evidenziando che «i valori supremi della legislazione nonvengono più ricercati su di un piano soprannaturale, ma si affida al diritto penale solo il compito ditutela di interessi e valori naturali derivanti da un sistema morale laico a carattere autonomo».

[61] Il principio, ribadito dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20, cost., è più volte preso in considerazione dalgiudice delle leggi (tra le più recenti si cfr. Corte cost. 25 maggio 1990, n. 259, inedita; Corte cost. 1dicembre 1993, n. 421, in Foro it., 1994, I, c. 14, con note di F. Cipriani e S. Lariccia, in Vita not.,1993, p. 1337, con nota di A. Finocchiaro; Corte cost. 5 maggio 1995, n. 149, in Foro it., 1995, I, c.2042, con nota di F. Donati, in Giur. cost., 1995, p. 1241, con note di F. Politi, P. Spirito e G. Cosimo;

12/10/2004

Page 20: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

Corte cost. 31 maggio 1996, n. 178, in Foro it., 1998, I, c. 3503, in Giur. cost., 1996, p. 1635, con notadi A. Guazzarotti; Corte cost. 20 novembre 2000, n. 508, in Giur. it., 2001, p. 2228, con nota di F.Albo, in Giur. cost., 2000, p. 3965, con note di R. D’Alessio, M. Olivetti, B. Randazzo e P. Cavana;Corte cost. 27 settembre 2001, n. 329, in Giur. cost., 2001, p. 2779, con note di R. D’Alessio e A.Guazzarotti; Corte cost. 26 febbraio 2002, n. 34, in Giur. cost., 2002, p. 310; Corte cost. 9 luglio 2002,n. 327, in Foro it., 2002, I, c. 2941, in Giur. cost., 2003, p. 218, con nota di P. Spirito).

[62] E la stessa soluzione deve essere mantenuta negli ordinamenti che riconoscono il principio dellalaicità, fino al modello più radicale ravvisabile nel sistema francese, in cui dalla rivoluzione del 1789 lareligione viene ridotta ad une chose qu’on administre et qu’on réglemente: v. sul punto C.E. Balossini,L’accertamento, cit., p. 146. E’ doveroso, tuttavia, puntualizzare che proprio la dottrina francese –quasi come reazione all’interpretazione di buon costume seguita dalla cd. scuola sociologica – si èspinta a conclusioni che poco si discostano da quelle del giusnaturalismo cattolico. Tra gli altri studiosiche si collocano in questa tendenza (come Mazeaud e Dorat des Monts), si cfr. G. Ripert, La règlemorale, cit., p. 79: «les tribunaux qui se trouvaient en présence des faits, et devant qui défilaient desêtres mus par des motifs lamentablement vils, avaient le devoir de maintenir la règle que de longssiècles de morale chrétienne ont imposée à la société et qu’ils sont chargés de défendre».

[63] Ma non solo in Europa: oltreoceano si è affermato che nel discorso dell’immoralità un’ulteriorecomplicazione deriva dall’influenza del diritto ecclesiastico, rilevante soprattutto nelle questioniconcernenti la vita familiare e sessuale. Tale fenomeno ha finito per «to mix up the principles ofordinary social morality with considerations of a different kind, and with the help of thoseconsiderations to push them sometimes to extreme conclusions». L’interessante opinione è espressa daF. Pollock, Principles of contract at law and in equity, New York, 1906, p. 333.

[64] Si immagini l’ipotesi della prostituzione: l’immoralità della pratica del meretricio è propria solodel punto di vista dell’etica cristiana? Seppure sia incontestabile il notevole contributo apportato daiprecetti della religione, è fuori discussione che, al giorno d’oggi, siano anche altri i parametri alla cuistregua si dà una valutazione negativa del fenomeno della prostituzione.

[65] A. Trabucchi, voce cit., p. 703.

[66] Op. loc. citt.

[67] Sull’influenza della religione cristiana nella morale pubblica si cfr. G. Ripert, La règle morale,cit., p. 32, ma anche G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., p. 77, nota 64.

[68] V., per brevi osservazioni e per cospicui riferimenti, A. Guarneri, voce cit., p. 121, G. D’Amico,Libertà di scelta del tipo contrattuale e frode alla legge, Milano, 1993, pp. 137 ss.; R. Romboli, Dellepersone fisiche, cit., p. 232, che vede nel buon costume un «concetto polmone» con cui è possibileottenere delle innovazioni sostanziali senza modifiche formali della normativa. La natura di clausolagenerale non è sufficiente per giustificare l’eccessiva indeterminatezza del buon costume: le difficoltàsi pongono, infatti, anche nell’indagine volta ad offrire una definizione, hic et nunc delimitata.

[69] E’ l’osservazione, che si rivela decisiva ai fini della critica della teoria di Trabucchi, di C.E.Balossini, L’accertamento, cit., p. 150.

[70] A. Boistel, Cours de philosophie du droit, cit., II, pp. 229 ss., il quale ritiene che lo stato debbaessere au service de la morale.

[71] Qualificare un determinato comportamento giusto o ingiusto (in relazione all’ordinamentogiuridico) non è lo stesso che giudicarlo morale o immorale, oppure buono o cattivo (così H. L. A.Hart, Il concetto di diritto, Torino, 1965, p. 185).

[72] V. supra, nota 61.

12/10/2004

Page 21: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

[73] Le origini di questo orientamento dottrinale si ritrovano indubbiamente nella cd. scuolasociologica francese.

[74] G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., p. 76. Sostanzialmente d’accordo anche F. Ferrara, Teoria delnegozio illecito, cit., p. 33, il quale precisa che per morale bisogna intendere «non la morale passata,ma la morale presente, non la morale teorica, ma la morale pratica, non la morale religiosa, ma lamorale civile, non la morale internazionale, ma la morale locale, non la morale individuale, ma lamorale obbiettiva e generale». Dello stesso avviso anche E. Betti, Teoria generale, p. 382, chepuntualizza come la valutazione della moralità prescinda da un’etica particolare, religiosa o filosofica,consistendo invece in quelle esigenze etiche della coscienza sociale collettiva.

[75] E’ il corretto e significativo rilievo di G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., p. 70, chesuccessivamente – come si vedrà nel prosieguo della trattazione – perverrà tuttavia a conclusioni noncondivisibili.

[76] R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, cit., II, p. 79.

[77] Dunque, la morale affonderà le sue radici nella storia e nell’economia, nelle tradizioni e nelleideologie politiche e persino in quei fattori geografici e climatici che assumono rilievo nell’evoluzionesociale (G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., pp. 70 s.).

[78] Riguardo a cui cfr. supra, §§ 3 e 4.

[79] Vi è poi chi, pur accogliendo l’opinione in parola, evidenzia i caratteri scientifici e razionali dellamorale stessa, forse travisando la funzione stessa dei boni mores: cfr. A. BAYET, La moralescientifique. Essai sur les applications morales des sciences sociologiques, Paris, 1907, p. 5 ss. e L.Lévy-Bruhl, La morale et la science des m urs, Paris, 1905, pp. 129 ss.

[80] Già Emilio Betti parlava di coscienza sociale intendendo con tale termine nient’altro che laopinione pubblica (E. Betti, Teoria generale, cit., p. 382).

[81] Resta fuori discussione che – come si rileva da più parti (si v., fra gli altri, F. Ferrara, Teoria delnegozio illecito, cit., pp. 5 ss.; G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., pp. 78 ss.; A. Trabucchi, voce cit., p.700) – il diritto veda nella morale una delle sue sources più importanti (così A. Colin, H. Capitant, L.Julliot de la Morandiere, Traité de droit civil, Paris, 1957, p. 10).

[82] In particolare è innegabile che l’evolvere dei costumi assuma rilievo con riguardoall’individuazione dei valori che l’ordinamento intende tutelare. Sul punto si rimanda alle corretteosservazioni di A. Sicari, Prostituzione e tutela giuridica della schiava, Bari, 1991, p. 10.

[83] G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., p. 76, il quale evidenzia che una possibile intromissione dellamorale nel diritto è subordinata al rispetto della «tecnica rigorosamente formale della recezione».

[84] E. Betti, Teoria generale, cit., p. 382 e, per altri cospicui riferimenti alla dottrina che sostienequesto orientamento, si v. infra, nota 108.

[85] Sollevando, eventualmente, anche problemi di certezza del diritto, come ha correttamente rilevatoL. Gambigliani Zoccoli, Negozi illeciti per contrarietà al buon costume, in Riv. dir. civ., 1968, II, p.164.

[86] A. Trabucchi, voce cit., p. 705

[87] E non è un caso che la dottrina, quando analizzando il buon costume, ha proposto esempi praticidi negozi immorali, si è sempre premurata di specificare come fosse impossibile un’elencazionetassativa, limitandosi solo ad una rassegna, seppure approfondita ma «senza pretese di

12/10/2004

Page 22: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

completezza» (A. Trabucchi, voce cit., p. 705 e A. Guarneri, voce cit., p. 125), delle fattispecie diimmoralità tipiche e frequentemente sottoposte alla giurisprudenza. Ad esempio, G. Ripert, La règlemorale, cit., p. 45, dopo aver escluso la possibilità di una classificazione di contratti immorali, si limitaa proporre una recueil de jurisprudence.

[88] Ci si riferisce a G. B. Ferri, Ordine pubblico, cit., pp. 78 ss.

[89] Così J. Saiget, Le contrat immoral, cit., pp. 61 ss., nella sua critica alla concezione sociologica dibuon costume. Allo stesso modo di Giovanni Battista Ferri, il giurista francese nel criticare la nozionesociologica di buon costume (che tuttavia nell’Ottocento francese si era spinta verso conseguenze piùestreme rispetto alle tesi italiane di cui si è detto supra, § 8, avvicinandosi quasi ad identificare ibonnes m urs con gli usi) accusa l’assenza di parametri fissati dal diritto positivo nella determinazionedi una clausola avente importanza notevole nel complesso dell’ordinamento civilistico, essendo essavolta alla delimitazione del libero contrattare interprivato.

Non molto diversa appare la critica di R. Saleilles, De la déclaration de volonté. Contribution à l’étudede l’acte juridique dans le code civil allemand (Art. 116 à 144), Paris, 1901, p. 282, il quale sostieneche il giudice «ne peut et ne doit s’élever à ce qui devrait être qu’en prenant pour base ce qui est»,motivo per cui non è possibile far coincidere i boni mores con il sentiment populaire. A ben vedere,anche chi più recentemente ha condiviso la tesi che qui si sostiene, e che meglio verrà enunciata nelprosieguo, mantiene un’ingiustificata diffidenza rispetto all’operato della magistratura. Non sembrainfatti condivisibile sostenere che «bisogna ammettere che lo stesso rinvio al buon costume, operatodal legislatore in molteplici disposizioni … male armonizza con il valore fondamentale della certezzadel diritto: infatti, è illusorio ritenere che, dovendo il giudice procedere ad una determinazione rigorosadi quale sia la scienza collettiva di una certa comunità in un dato ambiente e momento storico, le sueconvinzioni personali possano non svolgere alcuna influenza sul concreto apprezzamento dellafattispecie dedotta nel processo» (S. Delle Monache, Il negozio immorale tra negazione dei rimedirestitutori e tutela proprietaria, Padova, 1997, p. 233, nota 168).

[90] L’art. 1133, Code Napoléon, menziona i bonnes m urs, statuendo che «la cause est illicite quandelle est prohibée par la loi, quand elle est contraire aux bonnes m urs ou à l’ordre public»;analogamente il § 138, BGB, richiama i gute Sitten, disponendo che «ein Rechtsgeschäft, das gegendie guten Sitten verstoßt, ist nichtig», con l’unica differenza – rispetto alla soluzione francese editaliana – che è escluso un richiamo all’ordine pubblico. Sul punto si v. R. Saleilles, De la déclarationde volonté, cit., p. 271 e, più in generale, K. Simitis, Gute Sitten und ordre public, Marburg, 1960.

[91] G. B. Ferri, voce «ordine pubblico» (dir. civ.), Enc. dir., V, p. 4. Come si è accennato inprecedenza, Giovanni Battista Ferri corregge l’espressione secondo cui il buon costumerappresenterebbe «una finestra sull’ordine etico». Cfr. supra, § 1 e nota 2.

[92] Si tratta di un passaggio necessario, tenendo conto che il buon costume non si identifica con uncriterio fenomenologico suscettivo di semplice accertamento, ma un criterio deontologico che è ilprodotto di una valutazione morale (E. Betti, Teoria generale, cit., pp. 382 s.), e le osservazioniproposte supra (§§ 1 e 2) non possono che avvalorare siffatta considerazione.

[93] Non distinguere fra costume e buon costume può dar luogo ad evidenti fraintendimenti. Un paleseesempio della veridicità di siffatto assunto emerge da una nota a sentenza relativa ad una decisione delTribunale di Como (Trib. Como 24 marzo 1979, cit., con nota di G. Ponzanelli, Trafique d’influenceed illiceità della causa). Nella motivazione si discute della illiceità del contratto di raccomandazionepresso la pubblica amministrazione, e si afferma «esser costume a Roma caldeggiare a pagamentopratiche amministrative e stipulare con i clienti contratti di raccomandazione con tariffe percentuali».L’autore della nota, considerando «costume» come sinonimo di «buon costume», solleva il problemarelativo alla variabilità del buon costume in relazione a parametri (non solo temporali, ma anche)geografici. A ben vedere il collegio giudicante non intendeva affermare che a Roma è conforme albuon costume – e dunque viene ritenuta generalmente morale e lecita – la pratica di richiedere

12/10/2004

Page 23: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

raccomandazioni onerose presso la pubblica amministrazione, bensì semplicemente osservava che ciòsi verifica di frequente, dunque restando su un piano ontologico e non invece deontologico, come hafrainteso lo studioso.

[94] Richiamando una morale che, per quanto divergenti possano essere le interpretazioni proponibili,poggia su una base solida e ben definita com’è il diritto positivo, l’opera dell’interprete sarebbefacilitata poiché egli potrebbe del tutto prescindere da un’analisi volta ad individuare le valutazionisociali correnti.

[95] G. B. Ferri, Qualificazione giuridica e validità delle attribuzioni patrimoniali alla concubina, cit.,p. 403.

[96] Secondo cui «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sulmatrimonio».

[97] Che, peraltro, pochi mesi dopo la redazione dell’articolo contenente la tesi in parola, sono statidichiarati costituzionalmente illegittimi dal giudice delle leggi (Corte cost. 19 dicembre 1968, n. 126,in Giur. it., 1969, I, p. 416, in Foro it., 1969, I, c. 4 e in Giur. Cost., 1968, p. 2175, con note di F.Modugno e R. Zaccaria).

[98] T. Huc, Commentaire théorique & pratique du code civil, Paris, 1894, I, sub art. 6, pp. 172 ss.

[99] Di cui all’art. 1133, code Napoléon. Oltre alla summenzionata disposizione il codice Napoleone fariferimento al buon costume – unitamente o disgiuntamente dalla legge e dall’ordine pubblico – in altrenorme: gli artt. 6 («On ne peut déroger, par des conventions particulières, aux lois qui intéressentl’ordre public et les bonnes m urs»), 900, 1387, 1172.

[100] In conclusione, successivamente alla presentazioni di tali diverse ipotesi, afferma che «donctoute convention, clause particulière ou combinaison qui tendrait à fonder ou à favoriser en état deconcubinage, à faciliter ou encourager la prostitution ou l’intempérance, à faciliter le jeu ou la loterie,sous prétexte de courses de chevaux ou de toute autre manière, à réagir contre les principes de 89, àdétruire la liberté ou la bonne foi dans les contrats, a paralyser la liberté du commerce ou de l’industrie,sera une convention contraire aux m urs ou aux bonnes m urs, et devra à ce titre être annulée ouréputée non écrite, selon les cas».

[101] Ma sul punto cfr. altresì T. Huc, Commentaire théorique, cit., VII, sub art. 1113, p. 116.

[102] J. Saiget, Le contrat immoral, cit., pp. 44 s.

[103] G. Panza, Buon costume e buona fede, cit., p. 39. La debolezza della tesi è altresì confermata daun’obiezione sollevata da M. Sioufi, Essai sur le critérium et la nullité des obligations immorales etillicites, Thèse, Paris, 1925, riportata da J. Saiget, Le contrat immoral, cit., pp. 46 ss. In particolareSioufi, ragionando per assurdo, evidenzia che se si pretende di far discendere dalle disposizioni chepongono su due livelli diversi i figli legittimi ed i figli naturali il principio per cui il legislatorepredilige il matrimonio rispetto al concubinato, detto principio non sarà più valido allorquandointervenga una modifica di legge che parifichi i due status. Non si può pretendere di far discendere iprincipi generali dalla legge (rien que loi), ancorché intesa in senso lato, essi talvolta vanno oltre lalegge, o quantomeno vengono prima della legge. Allo stesso modo anche le altre quattro proposizionidi Huc vengono confutate dalle argomentazioni di Sioufi.

[104] Così come afferma Giovanni Battista Ferri: «la funzione didattica è quindi, con la funzioneimpeditiva, l’altro dei momenti necessari, come del resto accade per ogni valore deontologico» (G. B.Ferri, Ordine pubblico, cit., p. 86).

[105] A. Trabucchi, voce cit., p. 700.

12/10/2004

Page 24: Il contenuto del buon costume nell'ordinamento di diritto ... · Il giusnaturalismo cattolico 8. Segue. ... di buon costume, cioè alla contrapposizione fra l’opinione che si ricollegano

[106] F. Ferrara, Teoria del negozio illecito, cit., p. 27.

[107] Così P. Lotmar, Der unmoralische Vertrag, Leipzig, 1896, p. 6, citato da F. Ferrara, Teoria delnegozio illecito, cit., p. 27.

[108] Sul punto si cfr. E. Betti, Teoria generale, cit., p. 383.

[109] Nello stesso senso la dottrina prevalente: F. Ferrara, Teoria del negozio illecito, cit., pp. 4 ss.; A.Motta, La causa delle obbligazioni nel diritto civile italiano, Torino, 1929, p. 257; F. Carresi, Ilnegozio illecito, cit., pp. 29 ss.; E. Betti, Teoria generale, cit., p. 382; F. Messineo, Dottrina generaledel contratto, Milano, 1952, p. 277; C. E. Balossini, Consuetudini, usi, cit., p. 189; A. Trabucchi, vocecit., p. 704; G. Panza, Buon costume e buona fede, cit., p. 8; R. Sacco, G. De Nova, Il contratto,Torino, 1993, II, p. 79. In giurisprudenza si v. Cass. 11 aprile 1949, n. 868, in Giur. it., 1950, I, c. 239,in cui si statuisce che «il buon costume, richiamato dal codice civile, si identifica con la mediamoralità, con ciò che un uomo medio, in un dato momento della sua esistenza, stima necessarioall’honeste vivere».

[110] Il rilievo è di G. Panza, Buon costume e buona fede, cit., p. 9, il quale correttamente evidenziache nella manualistica difficilmente ci si sofferma sul punto, forse confortati dalla facilità che primafacie sembra caratterizzare l’argomento della contrarietà al buon costume. Ma, come testimonianocoloro che hanno approfondito la questione da un punto di vista teorico e più generale, assai arduo ècogliere il giusto rapporto tra contenuto e ratio della clausola dei boni mores.

[111] In tale senso Cass. 1 giugno 1968, n. 1634, in Resp. civ. e prev., 1968, p. 389.

[112] Ma soltanto con un significato generico, nel senso cioè che la legge dispone una conseguenzalatu sensu sfavorevole.

12/10/2004