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1 Randagio Clandestino Il Cimitero degli Animali (Spoon River d’anime mute) Le bistecche non crescono sugli alberi – Voi lo sapete e masticate bene Per non sentire i gemiti del sangue O l’occhio impazzito d’un manzo Scuoiato ancora vivo Quando la carne sfrigola soffrendo Sull’allegra graticola festiva Le bistecche non sono frutti e fiori Né furono mai seminate Tra gli alberi e il frumento Per farsi nutrimento Mite e incruento sulle vostre mense – E voi lo sapete bene e masticate forte Per non vedere come Su campi d’erba al pascolo Sarebbero vissuti Docili mandrie ancora Prima che la catena della carne-mercato Li incatenasse a vita In gabbie di cemento Senza più sole ed erba Terrore e tormento intensivo Venduto a poco prezzo Ai vostri appetiti inumani.

IL CIMITERO ANIMALI

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IL CIMITERO DEGLI ANIMALI – (Spoon River di anime mute), di Randagio Clandestino sul sito editoriale www.ilmiolibro.it è quasi certamente la prima raccolta di poesie che ha tentato dar voce agli animali. Per rendere immediatamente disponibile la lettura pubblica di alcuni versi, allego un estratto del libro con un’intera sezione di poesie. L’intera raccolta può essere acquistata sul sito suddetto.

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Randagio Clandestino

Il Cimitero degli Animali (Spoon River d’anime mute)

Le bistecche non crescono sugli alberi – Voi lo sapete e masticate bene Per non sentire i gemiti del sangue O l’occhio impazzito d’un manzo Scuoiato ancora vivo Quando la carne sfrigola soffrendo Sull’allegra graticola festiva Le bistecche non sono frutti e fiori Né furono mai seminate Tra gli alberi e il frumento Per farsi nutrimento Mite e incruento sulle vostre mense – E voi lo sapete bene e masticate forte Per non vedere come Su campi d’erba al pascolo Sarebbero vissuti Docili mandrie ancora Prima che la catena della carne-mercato Li incatenasse a vita In gabbie di cemento Senza più sole ed erba Terrore e tormento intensivo Venduto a poco prezzo Ai vostri appetiti inumani.

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Il Cimitero degli animali Tema con variazioni

Il cimitero degli animali

non sta né in cielo né in terra né in altro luogo reale - nessuno ha mai deposto un fiore o una preghiera su tombe inesistenti ma è come un giardino fiorito o un’isola di pace per ogni creatura vivente il paradiso perduto degli animali defunti.

Forse è inesistente come ogni luogo reale - è un riverbero d’acqua o un riflesso di luce è terra senza confini dove ogni animale

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possa dormire in pace oltre i suoi giorni effimeri un grembo accogliente di terra rifugio sicuro e segreto da ogni agguato spietato di uomo o di macchina umana.

Il cimitero degli animali è oltre ogni cielo ogni terra oltre ogni mare ignoto è nel fiume del tempo che rallenta la corsa in un’attesa è in ogni parola non detta in ogni pensiero taciuto in ogni gesto sospeso nel nascere e rinascere di nostra morte effimera – effimere creature miei simili fratelli.

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Variazione 1

Il cimitero degli animali

non sta né in cielo né in terra forse dicono in tanti non esiste è solo una cosa irreale né lapidi né santi cimitero migrante assai spesso frullato e omogeneizzato nella bocca di teneri bambini o nel putrido ventre di un pranzo di natale cimitero-discarica più spesso inscatolato scarti e avanzi mangime d’animali per altri animali mucche da latte scrofe galline ovaiole o maiali cimitero di quarti di cadaveri nutrimento prescritto e ben sponsorizzato da medica scienza grigliata

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umanità carnivora bisognosa proclamano di proteine animali cimitero disperso di cani e gatti arrotati ai bordi delle strade grumi di sangue e pelo cimitero crudele senza preghiere e lacrime cimitero insensato di vite disprezzate.

Il cimitero degli animali non sta né in cielo né in terra è visibile spesso ai piedi della gente calzature griffate o calde pellicce indossate da donne in carriera pret-a-porter di massa dei grandi magazzini cimitero vetrina delle vanità vite scuoiate ergastolo d’innocenza violata senza rimorso o pietà

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Variazione 2

Il cimitero degli animali non conosce la morte né la crudeltà è lo spazio possibile oltre il pensiero umano principio di vita respiro origine del mondo divinità mutevole a somiglianza e immagine di tutti gli animali che furono e saranno cimitero-rinascita di un’altra umanità.

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LAPIDILAPIDI

SENZA NOMESENZA NOME

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Un randagino investito da un fuoristrada davanti alla chiesa degli Angeli Custodi

Voi segnereste una data e una foto su una lapide:

due dicembre di un giorno infausto detto venerdì

una grigia giornata di fine anno del duemilacinque –

poi intreccereste corone e cuscini di fiori funerari

e in tanti versereste amare lacrime per un dolente addio

sulla strada che porta all’ultima dimora sepoltura con lapide marmorea con le cifre scolpite di nascita e di morte per eterno riposo ed eterna memoria.

Per me ci fu soltanto l’immondizia a seppellirmi nell’indifferenza.

Quel giorno senza cifre scodinzolavo allegro

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nella strada al risveglio del mattino quando un fuoristrada mi travolse con

cinica violenza oltre il limite incerto della vita. Al morso del dolore tentai l’ultima corsa prima di cedere infine a quella morte

odiosa. Nell’agonia di un freddo marciapiedi nessuna pietà mi soccorse - solo una carezza e una tenera voce

impietosita di una mano bambina passata lì per caso.

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Un cane abbandonato sulle strade delle vacanze

E’ un sonno duro immobile impregnato d’asfalto e di cinismo – un sonno che non sa dormire più gettato come uno straccio ai bordi di una strada al chilometro 15 o 21 – la mia carcassa informe esposta all’irrisione del rombo dei motori -

E’ un sonno duro gelido che impedisce alle zampe di correre e saltare di scavare una buca e che nega la gioia al mio muso straziato di leccare una mano o un volto amico e alla coda spezzata di scodinzolare a qualche umano sorriso -

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E’ un sonno duro amaro

che mi ruba la vita e il sonno vero – il sonno accucciato che s’apre istante dopo istante a sempre nuovi risvegli in cerca d’altro cibo.

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Agnello pasquale

Questa mia poca carne non è bastata a saziare

il vostro appetito inumano – poca carne di cucciolo da poco macellato - non è bastata a saziare l’umana crudeltà più che mai nei giorni della resurrezione di un dio-agnello salvifico...

Mi avete tolto alla vita quando la vita chiama -

un lattante strappato alla mammella svezzato da un taglio di lama - e a questa

mia gola assetata di latte materno avete dato a bere il mio

sangue versato – la stessa mia vita negata…

Poi del mio corpo appeso all’uncino avete fatto commercio

squartato e incartato - poca carne pur sempre

e un mucchio d’ossa tenere sul piatto della festa -

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il vostro agnello sacrificale da santa macellazione pasquale - un pasto degno delle vostre guerre umanitarie e carità cristiana.

Del cucciolo che fui non è rimasto altro

che un mucchio d’ossa in un immondezzaio batuffoli bianchi di lana e un belato

smarrito nel silenzio vermiglio di tutti gli innocenti che nessuno di voi vuole ascoltare…

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Un pollo allo spiedo

Nato merce vivente fui destinato allo spiedo

di questo girarrosto della vostra città – pasto veloce -

Mi amputarono il becco appena nato e fui pollo-pulcino ingozzato d’ormoni sotto la luce assidua delle lampade-lager - fui costretto all’ammasso dei miei simili in grande sofferenza senza tregua per una tortura intensiva di quattro

settimane.

Le mie fragili zampe reggevano a fatica

il peso di un corpo all’ingrasso – tenere ossa

debolissime e a rischio di spezzarsi… Sopravvissuto a pene inaudite – un breve

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tempo infinito! infine fui trasportato alla macellazione fra migliaia di corpi (catena di smontaggio) smembrati per i vostri fast food.

Così divenni alimento di chi ama nutrirsi

di morte violenta e troppe vite negate.

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Una gallina ovaiola morta in batteria

Ancora non so se ho vissuto Se la mia breve vita possa chiamarsi vivere Costretta in quella gabbia Di ventuno centimetri per trenta Senza potermi muovere Senza poter capire che cosa Potessi essere - se creatura vivente O macchina da uova… Ho voglia di grattarmi Ho voglia di raspare e beccare E ruzzolare in mezzo alla terra E rompere il guscio alle uova Maledette uscite dal mio grembo A catena in odiata schiavitù… Ora non posso muovermi Ora che pure da morta sono costretta In un dado da brodo in una pentola Affogata in quell’acqua In cui non mi è stato concesso Di sguazzare da viva Se mai fossi stata davvero Una gallina in piena libertà.

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Fegato d’oca Io non sono stata nient’altro che un fegato d’oca solo il mio fegato amaro - un corpo d’animale in forma d’oca è vero ma corpo-contenitore di una merce

alimentare per palati raffinati nell’arte della tortura da gustare tra calici di buoni vini francesi quelli consigliati da sapiente chef esperto in raffinata crudeltà detta

gastronomia – come si può pensare di schiavizzare un povero animale e costringerlo ad essere nient’altro che un fegato d’oca grasso così grasso da scoppiare di bile ingozzato con la forza di grassi e di alimenti costretto all’ingrasso veloce istante dopo istante nata per essere solo un fegato grasso un fegato squisito dal gusto dolceamaro della vita negata di noi carne da cibo ?

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Un coniglio d’allevamento

Sulla confezione per alimenti dell’ipermercato

l’etichetta vi dice che queste membra furono coniglio – n’è testimone la mezza testa segata questo mio occhio vitreo che non si rassegna a morire.

L’etichetta lo dice - ma io non so chi fui

se non carne vivente da macello senza diritto alla vita o anche solo a godere dei miei istinti primari – così liberamente godere e soffrire della mia identità di creatura senziente come voi umani.

Fui solamente un corpo fra milioni di corpi

nei vostri allevamenti ristretto in schiavitù dentro gabbie ammassate - io non conobbi

mai

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la corsa in mezzo ai campi la fuga e il nascondiglio

la libera espressione dei miei istinti primari né i miei occhi conoscono la luce del giorno l’ombra della notte…

Non so chi fui né cosa sia la vita sia pur breve e rischiosa di tutti noi in

natura. Fui solo dolore e tortura per soddisfare il

piacere dei vostri ingordi palati nostra sepoltura.

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Cavallo Clandestino Sfrigola il grasso sulla griglia accesa – addio corpo mia vita sacrificata alla fiamma per quattro miserabili avventori cultori del braciere arrustemangia e di polpette equine ai piedi del Castello affumicato – avventori-clienti della movida alla moda di questa Catania spacchiusa e pezzente bramosa d’addentare le mie carni ubriacate da salamariglio e da eterna impostura popolare.

Vittima predestinata di mafia e malaffare – voi che mostrate ripulsa voi che condannate torture e prigionie inumane per i vostri simili voi che reclamate uguali diritti e riscatto di tutti gli sfruttati – perché non provate disgusto a mangiare le mie carni grigliate solo perché non fui “nient’altro che un cavallo”, così forse pensate?

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Voi affamati di pari dignità

e giustizia in un mondo di eguali una scheggia del vostro comunismo serbatela anche a noi, vostri fratelli compagni di strada sempre sfruttati ancora condannati al rogo del braciere.

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Una femmina di tonno arpionata nell’ora dell’amore.

Immaginatevi dentro una lattina brandelli di vita in scatola arpionati nell’ora dell’amore così teneri tranci da potersi tagliare anche con un grissino (così come vorrebbe la multinazionale)…

Arpionata nell’ora dell’amore lo sono stata un giorno e il mare s’è ubriacato del sangue che grida terrore io che cercando l’amore ho incontrato la morte - intrappolata nella strage degli esseri marini per un banale gusto sott’olio o a condimento della crudeltà godereccia di voi umani meschini.

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Alice nella rete

Morta dissanguata nella maglia sottile della rete il giorno del massacro del popolo marino quando tutto il mare fu desertificato dalle spadare onnivore - lo strascico di morte e di tortura per ogni creatura marina il genocidio finale di tutto ciò che vive e dà vita nei mari.

Nessuno dei miei simili potrà più sopravvivere in questo nostro mare divenuto un immenso cimitero di pesci e di futuro.

Buon appetito dunque! insulsi padroni del mondo divoratori mortali malati di presunta immortalità.

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Un cucciolo di foca

Chi mi indossa conosce la nuda verità

del mio corpo scuoiato ancora senziente e in preda al terrore d’una morte atroce - chi mi indossa conosce certamente la trappola feroce alla mia tenera infanzia. Cucciolo di foca godevo l’innocenza e il fresco stupore dei primi istanti di vita (vaghe percezioni del mio corpo bambino) là dove i ghiacciai sorridono al sole io godevo quel giorno dei giochi della vita la tiepida carezza dei ghiacci e delle nevi – i miei occhi bambini stracolmi di stupore.

Chi oggi mi indossa ha saputo la violenza e lo strazio d’ogni randellata sul mio capo indifeso – preso a tradimento

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da quell’ignoto animale a due zampe – vile cacciatore di pellami da vendere alla

nuda pelle d’uomini e donne a tutto indifferenti.

Chi oggi mi indossa ha saputo - certo ha saputo ma non ha sentito il lamento infinito della nostra agonia dentro la sua vita.

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Una colomba investita per gioco Il 28 di giugno dell’anno che sapete nell’affollata pescheria di Catania città strafottente cinica mangiatrice di

cavalli esattamente di fronte alla bottega delle carni coi quarti di manzo cadaveri di polli e d’agnelli squartati esposti al ludibrio di polveri e insetti - fui per gioco investita da un miserabile avventore del bar mentre beccavo briciole di brioche insieme a un mio carissimo compagno di liberi voli. Avvenne quasi in un attimo che quel miserabile umano ci saltò addosso con un balzo felino del motorino truccato facendoci a pezzi tra un ghigno e due risate di due vigili

urbani.

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I passanti guardavano del tutto indifferenti e passavano oltre magari un po’ schifati pensando che tanto sono due bestiole nemmeno commestibili – anzi meglio così ce n’è di troppi e portano sporcizia colombe e cani randagi – brutte bestie. Intanto dalla bottega delle carni il garzone del grasso macellaio veniva fuori a spazzare ciò che rimaneva dei nostri corpi straziati: una testolina

decapitata brandelli di membra ancora palpitanti un’ala che sbatte gridando la voglia recisa di volo e di cieli. Con tre colpi di scopa ci ha spazzati il garzone del grasso macellaio in mezzo ai tanti cumuli di spazzatura tra scarti di verdure e frutta marcia.

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Una giovane mucca da latte Ancora oggi che di me non restano che poche ossa scarnite a me sopravvive il dolore e il peso insostenibile delle mie enormi

mammelle gonfie di troppo latte nei lunghi brevi anni della mia breve troppo lunga vita costretta a ingravidare e a partorire figli a catena – i miei teneri cuccioli tutti destinati alla catena di morte del grande Macellaio universale – i miei teneri figli strappati con violenza al seno della madre… al suo atroce destino di macchina da latte e di formaggi doc spremuta oltre ogni limite per poi finire in fretta nel grande tritacarne dell’umana ingordigia commerciale.

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Dal bancone delle carni bovine

Tu che divori in fretta le nostre carni straziate speziate di esotici aromi nel lento giro di fiamma sappi che siamo stati esseri senzienti la cui angoscia e il terrore nell’ora della morte ora mastichi sazio nel nome della vita.

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Canto Antispecista

Amarvi è amare la vita nel suo manifestarsi tra il nascere e il morire - felice congiunzione con l’anima del mondo.

Amarvi è pienezza d’amore senza infingimenti di inutili parole coniugate dal verbo ipocrisia dove la voce amore è sterile possesso.

Amarvi è sentirsi mistero – partecipi al vostro mistero d’anime mute che tutto sanno dire di ciò che la terra non dice.

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Amarvi è sazietà

d’ogni essere vivente per il nutrimento di luce - freschi germogli d’alba fioriti dall’aurora notturne efflorescenze vibranti di vene nascoste di cielo d’acqua e terra.

Amarvi vuol dire nient’altro che amarvi per quello che siete - che a noi non appartiene (supposti padroni di mondi!) - alterità-eguaglianza nell’attimo infinito d’una perfetta unione con l’anima svelata di nostra madre terra.