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in Viaggio GUSTO Diversi Olio extravergine, il simbolo dell'unicità e Gresini L'alimentazione di un Campione del mondo 4 Tradizione e innovazione: intervista a Pellini 20 dall'Oriente 22 La città fondata e l'oro bianco 25 Alla ricerca del tempo perduto gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 1 20/11/15 17:24

GUSTO IN VIAGGIO 1

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in ViaggioGUSTO

DiversiOlio extravergine, il simbolo dell'unicità e

GresiniL'alimentazione di un Campione del mondo

4 Tradizionee innovazione:intervistaa Pellini

20 dall'Oriente

22 La città fondata e l'oro bianco

25 Alla ricerca del tempo perduto

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| Gusto in Viaggio - 20152Editoriale

Olio, non basta essere extravergineL’olio è la risposta migliore che si può dare a quello che gli esperti chiamano “piacere unico” e cioè la tendenza a un gusto principe, che si eleva sugli altri. La colpa di questo equivoco è la messinscena televisiva o editoriale: l’abbuf-fata nazional-popolare vuole vincitori, non cultura. Con i suoi 538 cultivar, le sue cinquecento diversità insomma, l’olio è la risposta più integra e nostrana a questo gusto collettivo che cerca un’uniformità impossibile. Più o meno amaro o piccante o armonioso, l’extravergine si basta da solo, non ha bisogno neanche del sale come ha sottolinea-

gioco di dettagli per palati che vogliono viversi l’interezza del viaggio. Purtroppo a tanta ricchezza naturale non cor-risponde ancora una piena consapevolezza da parte di chi lo propone e di chi lo consuma, e sembra quasi che l’olio non sia entrato nell’olimpo dei prescelti della gastronomia mondiale. A torto, perché la base di ogni movimento - o viaggio culinario - è sempre lui. Sovente nei ristoranti la scelta è di bassa qualità e soprattutto immotivata, come se quella boccetta servita stesse lì per caso o complemento. Se si chiedono spiegazioni, spesso queste mancano di risposta ed entusiasmo. Sull’olio in tavola si risparmia, questa sem-bra essere l’unica chiave di lettura; e se magari andiamo a sincerarci di com’è fatto quell’olio, scopriamo quella che sembra essere la “dimensione parallela” dell’oro verde: in Italia è talmente vario, buono e di altissima qualità che si mettono in circolazione blend fatti da oli di altri Paesi che niente hanno a che fare con l’eccellenza. Un paradosso che è ora di eliminare. Ci sono da noi talmente tanti produttori ed esperti ec-

-ti - e vincerla, anche fregandocene di leggi europee sempre più inutili. Non vogliamo miscele e non vogliamo aziende che spacciano per olio italiano quello che non ne è mini-mamente parente. Non vogliamo equivoci sull’argomento e per raggiungere questo obiettivo bisogna per forza passare attraverso la cultura: da educare chi ci somministra l’olio -

semplici informazioni - a rendere i consumatori consapevoli che dire extravergine non basta, se non a riempirsi la bocca

Sarà invece bene accetto chi ci spiegherà, tenteremo di far-lo anche noi, cosa c’è dietro questa parola magica, qual è la sua innata verità, il suo segreto e diversità.

Lo scempio continua e solo pochi sembrano farci caso. Solo nell’ultimo decennio trecentomila ettari di suolo agricolo sono stati distrutti, per far posto a quella che sembra essere una delle ultime eccellenze italiane in

che sembra inarrestabile e che va fermato a tutti i costi, perché non solo diventiamo sempre più brutti e meno salvaguardati, ma anche per un’identità culturale, che ha fatto del nostro Paese una gemma della Bellezza nel mondo. I luoghi in questa maniera piano piano, o di col-po, perdono la propria identità e matrice e a malapena si riconoscono e tutto, indovinate, per una questione di soldi. Che però gli astuti, e corrotti, politicanti e costruttori dovranno versare sempre di più, perché così mettono a repentaglio la sicurezza dei posti: il dieci per cento del territorio italiano, proprio grazie a questi interventi dissennati, è a rischio alluvioni e frane. Per la loro piccola mentalità, che dio li strafulmini, deve scap-parci il morto, come è avvenuto in Sicilia, nelle Cinque Terre, in Calabria e dove potrebbe succedere ogni mo-mento in qualsiasi altro posto a rischio. La manutenzio-ne del territorio è anche la manutenzione di noi stessi e solo i non vedenti che ci governano possono lasciare a interventi di natura volontaristica, a missioni senza bu-dget, la salvaguardia di un patrimonio naturale sempre più “stuprato”.

Sempre più cemento sempre meno suolo

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Direttore: Giovanni GiacchiComitato editoriale: Fabio Fossi Enrico CherchiCollaboratori: Antonio Attorre Davide Sta�a Roberto Trevisan Roberto Lendaro Cinzia Ferro Giacomo Pini Sara Boni Eleonora Ciaralli

supplemento a L'Opinione dellaCollina e dell'Appennino (RegistrazionePubbl. Tribunale di Macerata n.621)

www.gustoinviaggio.com

Edizione Dicembre 2015

Per la pubblicità:[email protected]

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in ViaggioGUSTO

Gusto in Viaggio - Edizione Dicembre 2015

INSIEME PER ESSERE OBIETTIVIQuesto giornale vuole essere la casa di chi ritiene che tutto ciò che riguarda la cultura del cibo e del vino, dell'ospitalità e dei servizi, della creatività e della vera italianità, non sia in vendita. E' di coloro che non credono che la comunicazione sia soltanto pubblicità o una "fusione a freddo". E' di chi vuole esprimere passionalità, valori e crede nei valori condivisi della collettività.

Il nostro gruppo è fatto di giornalisti, professionisti del settore enogastronomico, cultori del Bello. Proveniamo da esperienze

venduto, chi ha eccepito, chi ha stimolato. Ci siamo messi in-

noi per scambiarci informazioni e al settore Food & Wine per emergere e promozionarsi.

Vogliamo essere una piattaforma in cui lo scambio dei pareri e delle competenze è fondamentale. L'azienda che vorrà far par-te del nostro progetto dovrà avere le risposte di cui ha bisogno e i contatti giusti all'interno del circuito. Sarà compito nostro fornire i nomi e le informazioni giuste.

Crediamo che la creazione di questi servizi essenziali per le aziende sia la base della riuscita del giornale. La pubblicità da sola o il publiredazionale non bastano più. Ci vuole una Rete

sono opportunità reali per il settore enogastronomico. Ave-

estere, compratori e distributori o agenti, può essere decisivo per una azienda.

Da parte nostra, oltre all'assistenza editoriale e tecnica ad aziende e territori, garantiamo la massima indipendenza dei contenuti. Non vi annoierete. Buona lettura.

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Che cosa promuoverebbe e cosa boccerebbe nell’attuale panorama enogastronomico italia-no? (strutture, prodotti, organizzazione) Si potrebbe essere meno attori e più professionisti, più ricercatori che oratori...Sarebbe bello avere un albo professionale per la catego-ria degli addetti in cucina.Siamo tutti coscienti che nelle mani del cuoco c’è re-sponsabilità verso il cliente, verso la sua salute e in Italia credo manchi un po’ di formazione: bisognerebbe migliorare la qualità dell’insegnamento, incentivare ed agevolare il sistema contributivo per i ragazzi nell’ap-prendistato, dando modo alle aziende di avviare le nuo-ve forze lavoro con costi contenuti, migliorare da subito il sistema ristorativo negli alberghi, premiare con in-centivi chi si prodiga alla ricerca della tradizione, chi acquista a km 0, chi tratta prodotti di territorio, chi valorizza la cucina Italiana.Quali sono, a suo giudizio, i “must”, le cose ir-rinunciabili, per il suo concetto di cucina?Innanzi tutto metto le tipicità nazionali. I concetti di semplicità e genuinità non sempre coincidono con le nuove tendenze gastronomiche... Oggi la gente si spo-sta sempre più, ha conoscenze più ampie e maggiore curiosità, ma proprio questo dovrebbe darci stimolo a

proporci come depositari e cultori della tradizione Ita-liana, quindi un obbligo a mantenere alta la nostra eno-gastronomia.Il concetto di “fusion” - mischiare le cucine e le esperienze di più Paesi - può essere un concet-to-base del futuro?E’ a mio giudizio un concetto di tendenza, di ricerca, disperimentazione cercare abbinamenti stimolanti intri-ganti e anche appetibili. Anche se la base è la “radice”, fatta di culture tradizionali, di storia, tipicità che - in-sieme con usi e costumi - hanno fatto della cucina Ita-liana la più esportata al mondo... Va quindi bene usarel’alga nori, la curcuma, il cardamomo... ma non dimen-tichiamo il rosmarino....Dei suoi viaggi internazionali - spesso come consulente di prestigiose strutture - cosa le è rimasto più impresso?Come tanti miei colleghi ho avuto modo di attraversare gli oceani, le prime volte con lo spirito e la presunzione di insegnare a cucinare...Ora a distanza di anni (e di migliaia di chilometri) pos-so dire che la nostra cucina senza dubbio è molto ap-prezzata, ma non è certo vero che all’estero in molti locali sia la migliore...In Italia abbiamo a disposizione la nostra materia pri-

Modernità &Passato

INTERVISTA CON OTTAVIO PELLINI.UN ESEMPIO PER I PIÙ GIOVANI“Va premiato chi ricerca la tradizione e usa prodotti del territorio”

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cosa ed ho maturato la convinzione che chi vuole mangiare italiano deve venire nel nostro Paese.Comunque la cosa straordinaria che mi ha colpito all’este-

si mangia meglio, con maggiore attenzione anche ai tempi che si dedicano alla preparazione a al consumo, mentre negli stati dove c’è più “benessere” l’attenzione al cibo è su livelli più bassi ed oltretutto eccessiva sia in quantità che in com-ponente grassa .

-ne, ispirazione?

-zione è un aggettivo più umano... Sono doti che vanno tutte insieme e che non si insegnano e non si imparano.La cucina internazionale diventerà sempre più soli-dale?Ho dei dubbi in proposito... Sicuramente ci sarà un evoluzio-ne, ma si potrebbe anche rischiare di cadere nelle banalità o nei compromessi che non innalzerebbero il livello qualita-tivo, quindi forse una promiscuità eccessiva forse rischia di appiattirci.

-riera?Ho avuto la fortuna di avere genitori entrambi nel settore: mia madre pasticcere e mio padre cuoco e così non ho mai avuto dubbi ne ripensamenti, ho sempre amato questo lavoro che mi ha portato a girare il mondo e mi ha fatto conoscere ed apprezzare sempre di più la ristorazione. Ho avuto, oltre ai miei Maestri - chef e pasticceri di grande prestigio interna-zionale - delle soddisfazioni: dal 1980 la Federazione Italiana Cuochi mi ha dato modo di confrontarmi in concorsi mondia-li di cucina e pasticceria, poi dopo le mie esperienze all’estero ho intrapreso con successo un attività di catering e banque-ting, con ristoranti e villaggi turistici. Sono stato incaricato di cucinare per molte personalità, tra le quali Papa Woytila, il Presidente Ciampi, l’industriale Diego Della Valle.Ho organizzato eventi e collaboro con aziende italiane nella promozione di tecnologie per la ristorazione; sono consulente di diverse scuole alberghiere, ho collaborato alla pubblica-zione di diversi libri, faccio parte dell’equipe eccellenza della Federazione Nazionale Pasticceri e attualmente mi occupo di formazione e dimostrazione di tecnologie per la ristorazione.Quali crede che siano le “ambizioni” del futuro?Le ambizioni a volte sono opposte alla realtà ma penso che

e un riconoscimento appropriato alle capacità professionali e umane. Mentre una speranza sarebbe quella che riparta il comparto turistico e che ci sia necessità dell’impegno di tutti gli operatori per soddisfare la richiesta delle eccellenze Italiane e le bellezze naturali che tutto il mondo ci invidia. Facciamole conoscere meglio.

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Quel viaggio con Mark Ladner Giovanni Giacchi

Con il gruppo ci incontrammo a una stazione di ser-vizio dell’autostrada Messina-Catania. Mi avevano avvertito, poche ora prima, che ci sarebbe stata la possibilità di girare la Sicilia “con degli americani”. Mi presentai all’organizzatore del viaggio, che era

etnea e che scoprii essere una persona squisita e un grande talento, e salii nell’autobus. Mai scelta fu più azzeccata. Tra gli “americani” c’erano manager di tour operators leader, esperti di cucina e food bloggers (quando questa parola in Italia ancora non

giovane timido laggiù con dei grandi occhialoni da nerd e la faccia quasi smarrita, doveva essere uno dei cuochi. Ho conosciuto così Mark Ladner, oggi uno dei più acclamati cuochi della Grande Mela, chef de “Del Posto”, incredibile cultore dei nostri gusti e sapori. Siracusa e Ortigia, il parco naturale

Erice e al volto senza tempo di Palermo, e in que-sto tour di una settimana tenni d’occhio Mark per scoprirne qualche segreto, che poi non c’era: solo curiosità – un istinto dettato dalla passione – e ab-negazione profonda – stare sempre “sul pezzo”, con una “voracità” che sin d’allora mi avrebbe dovuto

viaggio con Cesare Casella, oggi sul web a capo dei cuochi italiani negli States e direttore della Scuola di Italian Studies all’International Culinary Cen-ter: un italiano tutto d’un pezzo, ironico e “gua-stafeste”, con un rametto di rosmarino sempre in evidenza all’occhiello. Oggi i due, entrambi per i propri ristoranti, sono al top della nostra cultura gastronomica negli Stati Uniti. Lavoro e applica-zione, passione e studio delle materie, ecco cosa mi hanno insegnato in quei giorni meravigliosi in una terra unica al mondo. Hanno “copiato” i sapori e si sono fatti ambasciatori nel mondo di tutti noi. A distanza di anni devo ringraziarli per quel senso d’appartenenza al mondo dei curiosi che anch’io ormai mi porto dietro a tutte le latitudini.

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Là dove il Panaro e Secchia vanno a baciarsi, in un’E-milia placida e luminosa, che sembra sterminata all’o-rizzonte come la tenacia e le speranza di questo popolo, là abbiamo conosciuto la famiglia Garuti.Che da quasi cento anni - l’anniversario sarà fra cinque anni, nel 2020 - fa del grande vino, rinnovandosi come se non si fosse mai gli stessi, ma in realtà tenendo alle origini più di ogni altra cosa.Dante è stato il capostipite, colui che insegnò ai discen-denti che il vino è un racconto e cresce come un figlio e che in campagna ci vogliono umiltà e abnegazione perché trionfi e delusioni sono il ciclo naturale non solo

dell’esistenza ma anche di chi lavora la campagna, fino ai figli Elio e Romeo, e poi ai nipoti e ai pronipoti, e oggi proprio loro hanno in mano l’azienda. Sette persone: Mauro Bompani che è responsabile della produzione, il figlio Alessio che si occupa dei mercati esteri (Svizzera, Olanda, Danimarca, Belgio, Germania in primis) e ita-liani, la moglie Antonella che cura l’amministrazione, eancora i cugini Roberto e Paola e la zia Marta che si oc-cupano dell’agriturismo e l’altro cugino Andrea che sta dietro ai vignetiUna storia emiliana che sembra presa dai film di Pupi Avati, dai racconti che profumano di passione ed epoche che non muoiono mai. Oggi l’azien-

Centanni di qualità

DA DANTE GARUTI AI SUOI PRONIPOTI, LA STORIA TUTTA ITALIANA DEL LAMBRUSCO DI SORBARA

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da Garuti è sì tradizione - da lì si è partiti, sono stati tra i primi per esempio a vinificare il Lambrusco di Sorbara in purezza – ma anche e soprattutto innovazione e ricerca sul prodotto. La nuova collezione di vini, che verrà presentata al Vinitaly, è un modello di bontà e stile (le nuove bottiglie ed etichette). Ci si prepara al futuro, adesso che ormai il Lambrusco è stato “sdoganato” e va diritto al gusto delle grandissime platee internazionali, negli Stati Uniti dove viene celebrato come lo champagne rosso, o italiane, che sempre più apprezzano il figlio della “Vitis Labrusca”, della vite che sin dall’antichità cresceva ai margini dei campi e oggi è diventato uno dei grandi vini nostrani.I trenta ettari della famiglia Garuti hanno caratteristiche diverse e questa diversità si co-glie e si dona alla produzione: il podere Marandello caratterizza per esempio profumi più persistenti e maggiore acidità, mentre il Ca’ Bianca è ideale per fare un Lambrusco diSorbara amabile in purezza.Qualità che si sentono in bottiglia, così come il gusto avverte all’assaggio la specificità di questi vini, Lambrusco sì ma cresciuto a fianco del Salamino, con una impollinazione che arriva fino al quaranta per cento. Una produzione che comprende, tra le eccellenze (ovviamente evitando diserbanti e concimi chimici!) il Lambrusco di Sorbara DOP "Podere Cà Bianca" Secco e Amabile, il Lambrusco di Sorbara DOP "Rosà" Secco, il Lambru-sco Grasparossa di Castelvetro DOP "Pratola" Secco, il Lambrusco di Sorbara DOP "Gioia" Spumante rosato Extra-Dry, il Pignoletto DOP "L'Una" Secco, il “Gioia” Bianco Spumante Extra Dry.Per garantire una maggiore qualità del prodotto, negli anni le cantine hanno preferito passare dalle botti in legno alle autoclavi. Così è stato anche per questi nostri eccellenti produttori, che inoltre vendemmiano per lo più di notte per evitare gli sbalzi termici, tra i primi a farlo storicamente. Innovatori, ma nella tradizione, un passato che se fate un salto all’agriturismo – ve lo consi-gliamo – trovate nei piatti, nell’accoglienza e nelle facce e nella gentilezza di questo intatto angolo di mondo.

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- Lambrusco di Sorbara DOP "Garuti" Secco- Lambrusco di Sorbara DOP "Anteprima" Semisecco- Lambrusco di Sorbara DOP "Rifermentato in Bottiglia"- Lambrusco di Modena DOP "Malandrino" Secco- Lambrusco di Modena DOP "Malandrino" Dolce- Trebbiano dell'Emilia IGP "Garuti" Secco

LINEA ESSENZE IN PUREZZA- Lambrusco di Sorbara DOP "Podere Cà Bianca" Secco- Lambrusco di Sorbara DOP "Podere Cà Bianca" Amabile- Lambrusco di Sorbara DOP "Rosà" Secco- Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOP "Pratola" Secco- Pignoletto DOP "L'una" Secco

SPUMANTI- Lambrusco di Sorbara DOP "Gioia" Rosato Extra-Dry- Spumante Bianco "Gioia" Extra-Dry.

Garuti Products L'HOTEL DEL MESE| Gusto in Viaggio - 20158

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Albergo 4 stelle ricavato dal restauro di un antico mulino del cinquecento con 21 camere e suite, lounge bar, SPA e sale meeting che racchiudono design, gastronomia, benes-sere, sostenibilità, high-tech ed un attento recupero degli elementi del passato.In questo albergo 4 stelle a Cusago tutto è curato nei mi-

-to della natura: geotermia ed energia solare sono utilizzate

per la climatizzazione ed il riscaldamento dell'acqua, inoltre agli ospiti vengono proposti, prodotti biologici locali a chi-lometri zero, coltivati direttamente o acquistati da fornitori selezionati.Per vivere un momento di relax o lavorare lontani dallo stress scegliete Hotel Mulino Grande, un albergo di lusso vicino alla Fiera di Milano Rho.

Via Cisliano 26 - Cusago MIT +39 0290390731 - F +39 0287152455 www.hotelmulinogrande.it

L'HOTEL DEL MESE2015 - Gusto in Viaggio | 9

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Winery & Farm Holidays GarutiThe Azienda Agricola Garuti winery is located in the heart of the coun-tryside around Sorbara, the home of the lambrusco of the same name, in a fertile area where the Panaro and Secchia rivers are so close they al-most touch. Rich in potassium, the alluvial terrain with its loose, sandy, permeable structure is ideal for growing Sorbara lambrusco grapes.For generations, the Azienda Agricola Garuti has raised the prized Sorbara grapevine to produce a lambrusco of the highest quality (certi-fied with the DOC mark), but with the utmost respect for wine making tradition.In the 1920s, Dante Garuti began growing grapevines and making wine using the perfect combination of quality, tradition and technology. The wine is produced with the most modern production techniques, but without affecting the authenticity of the finished product. Garuti quality has earned the company many national awards, such as the Gold Medal - Gold Wreath at the Matilde di Canossa Sparkling Wine Competition, the Silver Medal of the Mayor’s Competition, and a Medal at the Doujà D’or D’Asti.

Traditional Balsamic VinegarA section of the Trebbiano vineyards has long been devoted to growing grapes that are used to make the cooked must for traditional Modena DOP balsamic vinegar. For over thirty years, the winery has operated a vinegar plant composed of barrels made of various types of wood, which provides the vinegar with its unmistakable aroma as it matures over the years. At Garuti, there is no universal recipe for producing a traditional wine. What you will find is a passion for wine making that has been handed down from generation to generation, in which the producer’s skill and sensitivity make the difference.

The Balsamic Dressing The dressing balsamic vinegar contains more 'selected with all the featu-res that come from the right maturation and aging in oak barrels.The addition of cooked product with our own grapes, the time which gives the density 'and light and pleasant acidity', create a product that accompanies many dishes and enriches the simple foods.

INFOAz. Agricola e Agriturismo "Garuti"Via per Solara, 6 - Sorbara (MO)Tel. e Fax 059 902021 - 059 [email protected]@[email protected]

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Se i gusti cambiano così in fretta o i bar diventano locali multi-specializzati, se insomma dobbiamo “per for-za” cambiare pelle di continuo per soddisfare esigenze che viaggiano alla velocità dello spazio, allora c’è anche bisogno di loro, dei Cibartisti. Pittori e cuochi, o entrambi nello stesso corpo, artisti in ogni caso, gente capace di lanciare provocazioni che arrivano direttamente ai sensi: al tatto e all’olfatto, alla vista come al gusto. Un gruppo che vuole trasformare i cibi in opere e istallazioni così come “riempire” i piatti anche di immagini. Il viaggio è in realtà diretto al cuore perché la loro filosofia è nella sostanza quella dell’artigianalità e il riferi-mento di questi eredi di Marinetti (ci sia consentito il paragone: ma col piacere al posto della bellicosità) è l’officina – del fabbro, da cui escono creazioni e manualità sempre nuove. Chi può fermare tutta questa energia? E’ ciò che ci siamo chiesti girando per questa immensa vetrina del nuovo e del professionale che è Host di Milano. Là, colpiti al cuore, dalla filosofia dinamica che ci viene spiegata da Roberto Luise ed Enrico Cherchi e dalle qualità di Stefano Marconi, il creativo chef dell’Osteria Cuore Piccante di Foligno, che dopo aver girato mezzo mondo in grandi ristoranti (dal parigino Druont al Topazdi Istanbul, dalla Locanda dell’Angelo di Sarzana e Il Carpaccio a Parigi con Angelo Paracucchi a Il Postale con Marco e Barbara Bistarelli) ha scelto di restare nella tradizione, la bottega insomma, ma dandole la velocità dell’innovazione propria dei Cibartisti. Potete assaggiare dunque i fiori di Carpobrotus e farina di Kamut con crema di melanzane e pecorino, olive taggische ed olio al basilico e zenzero, un piatto sopraffino suggerito da Marconi e da Mentana Morichini, che il Carpobrotus (www.carpob.it) ce l’ha insegnato a tutti. Una pianta millenaria scoperta solo da poco in cucina – ma si usa anche come cosmetico o lozione calmante e ha un’azione antimicrobica, si trova nei negozi dedicati, quelli bio, in farmacie e parafarmacie – grazie a questa signora esplosiva che, come i colleghi artisti, che crede nel rispetto della natura della tradizioni ma anche del nuovo. L’eleganza del Carpobrotus, antico e moderno che nasce sulla spiaggia e poi insaporisce naturalmente i piatti, esaltandone i gusti, e consigliamo agli Chef che vogliono provare qualcosa di autentico di provare questi prodotti della natura dimenticati, creando nuove frontiere sul ciglio della tradizione.Artigiani, alchimisti, innovatori, i Cibartisti ci portano in un terreno dove c’è spazio solo per la gioia e il pia-cere, una nuova terra in cui i territori e l’arte, la cultura e la natura, siano integrate come è sempre stato e come qualcuno oggi, forse, dimentica. Siamo un Paese di creativi e “naturopati” nati, abbiamo il gusto come bussola delle nostre vite, si deve tornare a quello anche contro le mode e il commercio senza regole. Questo ci dicono i Cibartisti all’Host e, incastonandosi questo pensiero in noi come solo riuscirebbe a fare un artigiano, ci sentiamo meglio.

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VIAGGIO A HOSTSalone internazionale dell’ospitalità prof:150mila visitatori, quasi la metà internazionali e idee per il futuro come quella dei Cibartisti

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Viaggio nel mondo della birra artigianale

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“Siamo un fenomeno in crescita. Ma senza scorciatoie”

Che margini di crescita ha la birra artigianale?“I micro-birrifici in Italia sono circa seicento e molti non riescono a fare un prodotto standardizzato. Ecco, questo è il vero problema, che si risolve solo (e c’è, come cartina di tornasole le esperienze che hanno fatto col-leghi imprenditori in altri Paesi, dove il fenomeno delle birre artigianali è “esploso prima”) con l’ingrandimento degli impianti. La stabilità del prodotto in termini di gusto è il problema numero uno.L’altro è il prezzo, che è ancora alto e su cui le azien-de lavoreranno, a mio giudizio. Ma senza “scorciatoie”. Verrà premiato chi non “spaccerà” i difetti della birra come pregi “artigianali”, come per esempio le birre aci-de, scariche di gas o troppo cariche”.

CHI È Rolando Della SeraQuarantaquattro anni, Rolando è riconosciuto come uno dei mastri birrai e responsabili di produzione più autorevoli del settore, sia per la vastissima esperien-za come docente all’università di Perugia (Filtrazione del mosto, Sistemi produttivi di birra, ebollizione del mosto e luppolazione, prova pratica di maltazione per il Master universitario di primo livello in “Tecnologie birrarie”) e al 3A Parco Tecnologico Agroalimenta-re dell'Umbria, che come componente di vari panel internazionali d’eccellenza. Rolando, che ha fornito un contributo essenziale alla straordinaria esperienza del Centro di Eccellenza per la Ricerca sulla Birra (C.E.R.B.) dell’Università di Perugia, fa anche parte dell’Associazione Italiana dei Tecnici della Birra e del Malto (AITBM) ed è stato nominato rappresentante dell’Assobirra al gruppo di lavoro del EBC (European Brewing Convention): Brewing Science and Techno-logy. E’ autore di numerose pubblicazione scientifiche sul settore.

Intervista a uno dei massimi esperti del settore, Rolando Della Sera

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Ritiene che il pubblico dei consumatori sia ancora inesperto rispetto all’offerta?“Certo l’educazione ai prodotti porterà a un palato sempre più fino. Al momento, nonostante il fenomeno delle birre arti-gianali sia in crescita continua, non c’è una promozione ade-guata a supporto. Pensi che c’è gente che crede che si possa produrre birra di qualità con tutto ciò che hanno per le mani: pensi al tartufo! Beh, c’è da educare ancora!”Come si riconosce una birra artigianale di qualità?“I parametri qualitativi sono oggettivi e soggettivi come il gusto personale. Quelli oggettivi sono importanti e creano la base per un prodotto che si faccia apprezzare: il rispetto delle norme igieniche, non ci devono dunque essere microrganismi che rovinano la birra né disturbano la persona che la beve, l’equilibrio necessario tra corpo e alcol, il sapiente utilizzo delle materie prima”.

In Italia quello delle birre artigianali è un fenomeno “troppo” recente?“Certo ci sono scuole, nel mondo, che hanno fatto la storia come quella che potremmo chiamare tedesca-ceca (in buona sostanza una lager a bassa fermentazione e che sottende a livello industriale quasi l’ottanta per cento della produzione), come la scuola inglese fatta di stout e ales, come la belga, ad alta fermentazione, con birre come quelle dell’abbazia o blan-che. Ci sono poi le sottoscuole come quella americana, delle birre luppolate. Tutti in passato hanno voluto produrre una birra lager e così il risultato è stato che molte tipologie meno note si sono perse per strada!Sì, c’è un cammino da fare ma, come dicevo prima, stiamo crescendo anche come gusto e aspettative”.

Che mercati ha oggi chi produce birre di questo tipo? Si potranno esportare?“Il trend di crescita delle nostre birre non significa che verran-no proposte in sostituzione del vino o della birra industriale. Con quelle artigianali si amplia l’offerta e si danno scelte al consumatore che prima non poteva fare. Per esempio, un buon brasato può essere gustato sia con un vino rosso o con una birra artigianale doppio malto. Ampliandosi la richiesta e di conseguenza la produzione, c’è la possibilità di vendere anche all’estero e di aprire nuovi mercati che noi abbiamo già testato in Australia, Giappone, Cina, Olanda, Stati Uniti. C’è molto da fare, mi creda”.

BIRRA FLEAVia F.lli Cairoli, Zona ind.le sud06023 Gualdo Tadino (Perugia)tel. (+39) 075 91 08 159fax (+39) 075 91 08 159www.birraflea.com - e-mail: [email protected]

L’azienda di cui Rolando Della Sera è responsabile di produzione,tecnologo e mastro birraioTradizione e innovazione: la Flea, con impianti di ul-timissima generazione, ha una capacità produttiva di tre milioni di bottiglie annue. La qualità significa, per l’azienda di Gualdo Tadino, usare solo acqua pura e solo malto di qualità con-trollata: orzi coltivati nell’azienda agricola di famiglia così da garantire la filiera corta agroalimentare. An-che i fornitori sono selezionatissimi. Le birre Flea, è il caso di sottolinearlo, non conten-gono mai cereali non maltati, non sono filtrate né pa-storizzate, bensì rifermentate in bottiglia con lo scopo di preservare al massimo le loro caratteristiche orga-nolettiche originali senza aggiungere additivi chimici.

LA STORIAProprio a Gualdo Tadino, dalle parti della Rocca Flea, si trovò a passare intorno al 1242, negli anni dell’opposizione al papato, l’imperatore Federico II e vi trovò la fedele città ghibellina di Gualdo prostrata dopo il terribile incendio che ne aveva distrutto il pre-cedente abitato.Commosso dalle sorti della città alleata, il sovrano volle dare un segno della sua munificenza dotandola di una cinta muraria difensiva e restaurando la Rocca, ponendo con le proprie mani la prima pietra. E inoltre «cavalcando in giro per il territorio, seminò con le sue mani frumento, orzo, spelta, fave, miglio e altre essenze, chiedendo a Dio onnipotente che facesse crescere il castello e moltiplicare la sua popolazione e si degnasse di assicurare cibo ed ogni bene e sicurezza come impegno eterno» (Chromicon). La birra Flea è l’erede di “quei semi” gettati secoli fa dall’imperatore Federico. Hanno nomi di eroi, dame e streghe che hanno popolato l’immaginario di queste terre umbre: Costanza, Federico II, Bastola, Bianca-lancia.

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Gran Sassoil piccolo Tibet d'Europa

La cima più alta dell’Appennino, l’altopiano più esteso

ghiacciaio più a sud del continente. Un territorio unico, una delle aree europee con la più elevata diversità biologi-ca e agroalimentare. Siamo nel cuore dell’Italia centrale, a poca distanza da Roma e a pochi chilometri dalle coste del Mar Adriatico: il Gran Sasso d’Italia raggiunge i 2912 me-tri di altezza ed è all’interno di uno degli scenari paesag-gistici più autentici, nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Tra le più belle Regioni verdi d’Europa, l’Abruzzo, con quasi il 40% del suo territorio sottoposto a tutela, è caratterizzato da un susseguirsi di paesaggi moz-

-vo e quasi poetico, che ha meritato il soprannome di Picco-lo Tibet per via del vasto altopiano di Campo Imperatore, situato a circa 1800m di quota in provincia dell'Aquila, con tanti piccoli laghi che costellano le montagne. Ruscelli

a formare fragorose cascate; tra il verde e le pietre levigate delle vaste praterie che ancora recano le tracce dell’antica

pastorizia, delle cime e creste rocciose sulle quali, tra gole

Massiccio del Gran Sasso domina il paesaggio circostante, i colli, la pianura, le città dell’Italia centrale e i due mari Adriatico e Tirreno. Il Gigante degli Appennini si eleva dall’altopiano di Campo Imperatore e, a est nel versan-te teramano, si impone con una maestosa e imponente parete verticale. Il contesto naturalistico e paesaggistico di eccezionale valore, abbinato all’enogastronomia di qua-lità e a patrimoni di folklore, borghi, siti archeologici e monumenti, fanno del Gran Sasso una delle nuove e più apprezzate destinazioni turistiche nel panorama nazionale ed internazionale. La tradizione artigianale ha radici stori-che e culturali profonde e la produzione enogastronomica e culinaria annovera le eccellenze più pregiate del Made in Italy. L’enogastronomia è profondamente legata alla sta-gionalità delle colture e condizionata da aspetti tradiziona-li della vita agro-pastorale, che ne determina il metodo di produzione e di preparazione. La vitivinicoltura è rappre-sentata dal Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane e

di Giovanni Giacchi

Lago di Campotosto (AQ)

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Vette, laghi e cascate, tra verde e storia: uno tra i paesaggi più belli d'Italia.

e del rispetto per l'ambiente

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Foto di A. Palermi

la produzione olearia dalla DOP olio extravergine di oliva Petruziano delle Colline Teramane, ottenuta seguendo una disciplina di produzione che ne garantisce le caratteristi-che di qualità chimica, organolettica e di tipicità. Altra tipicità sono il grano solina, il farro, la saragolla e il mais, utilizzati per la produzione di farine alimentari e per la preparazione di pietanze a base di cereali. La triade medi-terranea grano, vite e olivo è dunque ampiamente rappre-sentata nelle aree pedemontane.Le specialità più popolari sono gli arrosticini (spiedini di castrato) e la porchetta, quest’ultima legata soprattutto ai territori di Colledara e di Campli, dove i mastri porchet-

prodotto d’eccellenza dello street food.I piatti di primavera sono le scrippelle, il timballo, l’agnel-lo cacio e ovo, le cotolette di agnello, l’agnello o capretto al forno, le mazzarelle (interiora di agnello avvolte con indivia scarola legate con le budelline) e la pizza di Pasqua (dolce di uova, farina, zucchero, olio, uva passa, canditi, semi di anice e lievito). Durante il mese di maggio, le erbe spontanee, le prime verdure, i legumi, le granaglie, vari formati di pasta arricchiti con polpette di carne macina-ta, brodo e cotenna di maiale vanno a costituire il piatto tipico de “le virtù”. Pecorino e fave, pane con salsiccia spalmata, cacio fritto con pastella di uova e farina sono i piatti tipici della primavera. La ricchezza delle erbe dei prati naturali di montagna dona al latte delle greggi al pascolo profumi intensi.Le pietanze tradizionali estive sono essenzialmente a base di carne ovina: agnello al forno o alla brace, pecora alla "callara", spezzatino di pecora. Tra i salumi e le carni, oltre alla lonza ed i salami nostrani, particolarmente ca-ratteristica è la mortadella di Campotosto e la ventricina, fatta con lardo macinato e aromatizzato con spezie varie. Della mattanza del maiale ricordiamo altri prodotti tipici come le salsicce di carne e di fegato, i cotechini, la" 'ndocca

'ndocca". I prodotti estivi più caratteristici degli orti sono i legumi ed i pomodori a pera o cuore di bue, con cui si preparano anche le conserve. Tra la frutta più ricorrente

cannella. I piatti autunnali sono a base di pasta o di legu-mi secchi (“tajarill e fajul”). Inoltre compaiono nei boschi

(scorzone, tartufo nero pregiato e tartufo bianco).All'autunno è legata anche la cucina della cacciagione di lepre, di volatili e di cinghiali. Le varietà autunnali tipiche di frutta sono le mele gelate e le mele rosa, oltre tutti i

utilizzata anche per la preparazione dei dolci tradizionali (la croccante di mandorle, gli spumini, il torrone, la pizza dolce). Il frutto autunnale più rappresentativo è sicura-mente quello dei castagneti di montagna, il pregiato mar-rone della Laga.Le tipicità invernali sono i legumi dell’area aquilana ceci, fagioli, cicerchie, lenticchie, e la dolce e gustosa patata turchesa. Il tradizionale baccalà, la stracciatella in brodo con il cardo e il timballo di scrippelle. Non meno ricercati i dolci: caggionetti, pepatelli, bocconotti, sfogliatelle, fer-

di genziana, genepì, vino cotto o ratafìa. La festività di Sant’Antonio è caratterizzata, da questo punto di vista, da "li cellit" (una pasta ripiena con marmellata d'uva condita con mandorle); per San Biagio si preparano i taralli lessa-ti; per San Giuseppe le zeppole. Il giovedì grasso ricorrono le “scrippelembusse”; a carnevale i ravioli di ricotta, e du-rante la quaresima sarde fritte e baccalà arrosto, in umido o fritto in pastella con cavoli e rape. Il patrimonio della biodiversità agroalimentare conta molti altri prodotti di

-no, canestrato, giuncata, ricotta e caciotte), i mieli e altre

di Giovanni Giacchi Borgo di Pietracamela (TE)

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Archivio Parco Naz. Gran Sasso e Monti della Lagafoto di Maurizio Anselmi

produzioni di nicchia che in ogni parte, sono l'espressionepiù autentica del territorio.Per valorizzare questo grande patrimonio naturalisticoculturale ed enogastronomico, che è ancora poco cono-sciuto a livello nazionale ed internazionale, il 20 maggio 2015è nato il Distretto Turistico del Gran Sasso d’Italia.Ne parliamo qui a �anco con Claudio Ucci e i due Presidentidelle DMC (Destination Management Company) delGran Sasso, Luigi di Furia e Alfonso D’Alfonso.

Claudio Ucci è il presidente del Distretto Turistico Monta-no, primo in Italia, e dirige un comitato di sette persone.Come nasce il Distretto? Con l’approvazione dell'atto costitutivo da parte di sessanta sindaci dei Comuni del territorio attraverso la Conferenza dei Servizi, il che con-sentirà di ottenere il riconoscimento di primo Distretto Turistico Montano d’Italia da parte del Ministero dei Beni Culturali e del Turismo. Si tratta del distretto più grande d’Italia.E’ un nuovo modo di proporre il turismo? Certa-mente. Il fine è quello di creare un sistema territoriale integrato che organizzi in modo unitario l’offerta turistica. In un sistema economico globalizzato la valorizzazione del patrimonio naturalistico, artistico, culturale ed enogastro-nomico non delocalizzabile, rappresenta un’enorme oppor-tunità ed un valore aggiunto sul quale costruire una pro-posta turistica integrata e di qualità. Infatti, lo strumento del Distretto consentirà anche di tutelare giuridicamente le imprese che vi aderiscono, rendendo più agevole l’accesso al credito, creando maggiori opportunità di investimento e semplificando i rapporti con le pubbliche amministrazioni.Chi ha aderito, oltre ai Comuni fondatori, alla pro-posta? Le due DMC - Destination Management Com-pany - rispettivamente del versante aquilano e teramano del Gran Sasso che insieme raggruppano circa quattrocen-to operatori, le Camere di Commercio, l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’Ente Parco Gran Sasso e Monti della Laga, il CAI, il Corpo Forestale dello Stato, le Province, il Centro turistico del Gran Sasso. Altro valore aggiunto dei distretti, risiede nel loro essere zone a burocrazia zero, nelle quali sono a disposizione delle imprese sportelli uni-ci di coordinamento delle attività delle agenzie fiscali e

dell’Inps e di front-office per procedimenti di competenza delle amministrazioni statali.Quali sono i fini a breve-medio termine? Le riporto le parole del vicepresidente della Giunta regionale, Gio-vanni Lolli, che ha aperto la Conferenza dei Servizi, per il quale si tratta di "un'operazione che sancisce il definitivo rilancio in termini turistici della montagna più importante dell'Appennino e la volontà di creare un prodotto turisti-co, connotato dagli elementi dell'identità del territorio e dalla qualità, in grado di collocarsi con autorevolezza sul mercato turistico nazionale e internazionale”. E’ la sinte-si, ma posso aggiungere che proprio l'esperienza del Gran Sasso potrebbe essere punto di riferimento per altre espe-rienze simili per altre aree montane turistiche dell'Appen-nino. Oggi il turista non si muove solo per consumare un prodotto ma per vivere un'esperienza. Non viene solo a sciare ma anche a cercare una gastronomia di livello, delle attività ricreative per i più piccoli, un'offerta culturale sti-molante. Noi abbiamo queste potenzialità."

Alfonso D’Alfonso è il Presidente della DMC (Destination Management Company) L'Aquila e Terre Vestine.A che punto siamo nella crescita delle DMC? Abbia-mo potenzialità enormi, soprattutto nell’Europa del Nord, penso anche agli Stati Uniti e al mondo anglosassone in genere. Abbiamo a che fare con un territorio straordinario e un’offerta di qualità. Ma credo che bisogna ancora di più accrescere la fiducia negli operatori.Cosa può essere fatto nell’immediato futuro? Deve essere costruito e promosso il brand Abruzzo. Non è più

““

Calascio (AQ)

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La proposta turisticaè ora integrata e di qualità

““Con la filiera coinvolgiamoi privati nella governance

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tempo di parlare singolarmente, a fronte del possibile svi-luppo che ci aspetta. Oltre a credere di più nei propri

Su cosa si può puntare in particolare? Sulle eccel-lenze ambientali, enogastronomiche, sulle attività sportive come la bike in tutte le sue forme, sci, equitazione: abbia-mo un ambiente unico in Italia. E anche, ovviamente, sulle nostre ricchezze culturali.Crede che il cammino intrapreso sia quello giusto?Non ho dubbi, solo così potevamo rilanciarci ed essere un modello unico, con le nostre DMC e PMC (Product Ma-nagement Company), destinazioni turistiche e di prodotto. E’ stata una scelta vincente della Regione Abruzzo, che ha così coinvolto non solo gli operatori del mondo turistico,

governance partecipano così tutti.

Luigi Di Furia, Presidente della DMC Gran Sasso Laga scarl, manager in passato di importanti realtà impren-ditoriali, è oggi titolare di un’azienda nella quale si pro-ducono salumi e formaggi tipici. Salvaguardare le sue eccellenze gastronomiche va di pari passo con la pro-mozione di un territorio che non ha nulla da invidiare a paesaggi e ricchezze di altri Regioni italiane. “La re-cente crisi economica - ci dice Di Furia - ha portato ad

e nel frattempo non c’è stato ‘ricambio’ di strategie. Oggi gli operatori del settore vanno alla ricerca di nuovi

esigenze è stata individuata nel modello da noi propo-sto e attuato, quello della DMC Gran Sasso Laga. Ma attenzione, rilanciare il turismo e tutto ciò che ruota intorno ad esso parte dall’analisi delle tipologie di turi-

soddisfazione delle varie tipologie dei nostri ospiti”. La possibilità di avere un territorio così variegato consente una scelta di grande livello. “Esprimiamo varie eccel-lenze artistico-culturali ed enogastronomiche, ma senza dubbio l’attrazione principale è la natura che trova la massima espressione nel Parco del Gran Sasso e Monti della Laga. Il massiccio del Gran Sasso, che ospita il ghiacciaio più a sud d’Europa, è circondato da territori incontaminati dove l’uomo ha creato i suoi insediamenti rurali nel rispetto della natura. Abbiamo uno dei San-tuari più visitati d'Italia, antichissimo e con un fascino ancora intatto ai piedi del Gran Sasso, il santuario di San Gabriele dell'Addolorata. Nel territorio della no-

stra sola DMC ci sono tre dei Borghi più belli d’Italia: Castelli, il paese delle ceramiche, Civitella che ospita

Pietracamela antico borgo alle falde del Gran Sasso dove l’antico nucleo abitato, risalente al XIII secolo, costruito tutto in pietra su uno sperone di roccia, nel suo territorio si trovano piste attrezzate per gli sport invernali”. E per rendere queste straordinarie bellezze “moderne”, cioè atte all’utilizzo degli ospiti italiani e stranieri, è necessario valorizzare il territorio. “Stia-

coinvolgendo la popolazione a rendere eccezionale l’o-spitalità, recuperando e valorizzando le antiche usanze, creando e promuovendo azioni di coordinamento tra i consorziati, e tra le esigenze del territorio e gli enti, organizzando eventi meravigliosi, strutturando azioni di web marketing mediante l’utilizzo di tecnologie all’a-

DMC Gran Sasso Laga - Cuore dell'Appennino Scarlsede legale: 64049 - Tossicia (TE)Contrada Piana dell'Addolorata

Via Savini 12-14 C\O Camera di Commercio tel.: +393427130621e-mail: [email protected] web: www.dmcgransassolaga.it

DMC Gran Sasso d'ItaliaL'Aquila e Terre Viestine Scarlsede legale: Assergi (AQ)Via del Convento, 1C/O Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Lagasede operativa: Penne, Largo San Nicola, 6C/O Wolftour srltel.: +393396842474 - 085.8278444e-mail: [email protected]: www.dmcterredeipopoli.it

Distretto Turistico Gran Sasso d'Italia

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““La soluzione si chiama

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Il processo è in atto, e dovrebbe farci incre-Sappiamo di essere sulla

buona strada”.

L'alimentazione di un campione

del mondo

Come si alimenta un pilota, durante la settima-na e nel weekend di gara? ANTONIO TROTTA - Per quanto mi riguarda posso parlare dei weekend di gara: i piloti solita-mente a pranzo prediligono pasta in bianco, con olio di oliva o parmigiano, mentre Melandri è so-lito preferire la pasta integrale, a volte al Kamut. A cena solitamente per i piloti preparo carne ros-sa oppure tonno; Bautista è invece un amante del salmone.

Quale cibo a volte le manca in modo particolare? O non si fa mancare niente?FAUSTO GRESINI - La pasta, decisamente! Non riesco a farne a meno, soprattutto se condita col ragù, come da tradizione romagnola...

C'è uno "schema" settimanale standard di ali-mentazione o si cambia a differenza dei Paesi e dei climi differenti? C'è una "base" alimentare che non viene toccata dal fattore viaggi?ANTONIO TROTTA - La pasta è una "base" che non manca mai, ovviamente, a prescindere dal Paese in cui ci troviamo! Normalmente comunque facciamo la spesa appena arriviamo sul posto e co-struiamo il menu di conseguenza, anche se non ci sono molte variazioni da un Gran Premio all'altro.

Cosa chiede in particolare al suo Chef? Ci può descrivere in poche parole la vostra collaborazio-ne? E per i tecnici del team?FAUSTO GRESINI - Ai Gran Premi mi piace adottare un'alimentazione non troppo pesante, in modo da mantenermi leggero: spesso quindi richie-do al mio chef dei piatti di pesce, tonno e sushi in particolare.ANTONIO TROTTA - Il mio lavoro di chef ai Gran Premi inizia molto prima che le moto scen-dano in pista: partiamo con i bilici dell'hospitality diversi giorni prima, poi iniziamo ad allestire la cucina. Nel weekend la giornata inizia alle 6.30 e fino alle 11 'maciniamo' vassoi e piatti per prepa-rare il pranzo per tutti i membri del team e gli ospiti, spesso numerosi. A pranzo prepariamo un buffet, mentre a cena cerchiamo di preparare un

Intervista al grande Fausto Gresini

e al suo Personal Chef, Antonio Trotta

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menu più ricercato, proprio come in un ristorante 'in'.

Quella del pilota è un'alimentazione speciale. Quali altre professioni secondo lei potrebbero es-sere più "vicine" in questo senso?ANTONIO TROTTA - Fondamentalmente i piloti

una dieta che può essere tranquillamente parago-nata ad altri sportivi di altre discipline.

Lei ha viaggiato in tutto il mondo. Ha qualche aneddoto particolare culinario da raccontare ai nostri lettori?FAUSTO GRESINI - Le prime trasferte che ho fatto in Giappone le ho odiate... non mi piaceva

iniziato ad apprezzare il sushi, che ora è addirit-tura diventato uno dei miei piatti preferiti! Viag-giare è bello anche perché permette di scoprire e in seguito anche apprezzare nuove realtà culinarie.

Quali sono le sue preferenze, sempre nell'ambi-to enogastronomico?FAUSTO GRESINI - Della pasta e del sushi ho già detto; per quanto riguarda i vini, prediligo i bianchi fermi e profumati. Anche se con la carne, ovviamente, ci sta bene un bel rosso, direi un Ba-rolo, oppure un Sangiovese.

Come campione e vero testimonial dell'Italia

nel mondo, ha mai abbinato o pensato di abbi-nare la sua immagine al settore Food & Wine?FAUSTO GRESINI - Diciamo che ora sarei pronto per farlo! Quando ero pilota ero costretto a mante-nermi più in forma e a fare attenzione all'alimenta-zione, adesso invece mi piace molto la buona cuci-na, sedermi al tavolo con davanti un bel bicchiere di vino... Infatti sono perennemente a dieta, anche se non ci riesco!

Cosa prepara per gli ospiti del team e del pad-dock? Cambia il cibo a seconda dei Paesi? Qual-che aneddoto in merito di qualche ospite e ri-chiesta particolare?ANTONIO TROTTA - Come già detto il nostro menù non ha molte variazioni nel corso della sta-gione, anche se possono essere inseriti dei piatti locali a seconda del Gran Premio. Non mi viene in mente un piatto in particolare, però ho sem-pre un trattamento di riguardo per Fausto e per i suoi ospiti, per i quali preparo sempre dei piatti gourmet e spesso sperimento anche nuovi piatti, divertendomi.

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In principio era… il mistero

IL CAFFÉ DALL’ORIENTE

ALLA CONQUISTA DELL’EUROPAdi Roberto Trevisan

Come per tutte le cose buone e apprezzate in cucina (si pensi alla pizza, alla pasta ecc.), anche per l’“oro nero” sono in molti a vantarsi di averlo scoperto e di avergli dato i natali, con la conseguenza che il caffè è oggi con-siderato bevanda nazionale in molti Paesi, dal Brasile all’Italia. Se, dunque, non v’è dubbio che l’espresso ita-liano sia il tipo di caffè più conosciuto al mondo, resta da appurare se il caffè sia la più italiana delle bevande esotiche ovvero la più esotica delle bevande italiane. In realtà, poco si sa storicamente dell’origine di questa bevanda e molte sono, invece, le leggende legate alla sua scoperta più o meno casuale. Un aiuto a chiarire la vexata quaestio della sua genesi può venire dall’ori-gine della pianta e dall’analisi del suo nome: la Coffea arabica è infatti originaria dell’Etiopia e il suo nome deriverebbe dalla regione di Kaffa in cui il caffè sarebbe stato originariamente scoperto. Tuttavia, secondo Pellegrino Artusi (1820–1911), auto-re del celeberrimo trattato La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene (1891), il miglior caffè è quello pro-veniente dalla città yemenita di Moka e ciò potrebbe fornire un´altra chiave per individuarne il luogo d’ori-gine. Dalla leggenda il caffè sarebbe nato casualmente dall’osservazione, fatta da alcuni monaci (altri vogliono da un pastore di nome Kaldi), che le capre, dopo aver

mangiato le bacche rosse di un certo arbusto, diventa-vano più vivaci e irrequiete. Così, per combattere i colpi di sonno, principale nemico delle preghiere notturne, i monaci avrebbero provato a rendere commestibili anche per l’uomo le bacche di quella pianta, abbrustolendole, macinandole e facendo-ne un infuso. Un’altra leggenda vuole, invece, che le bacche bollite dell’arbusto abbiano salvato la vita ad un arabo di nome Omar e ai suoi compagni, condannati a morire di fame nel deserto vicino alla città di Moka. Stando agli enciclopedisti francesi, altre teorie non poco discusse ossia che riferimenti al caffè si troverebbero addirittura nel testo dell’Odissea, né mancano, nella leggendaria genesi del caffè, echi biblici e religiosi in genere. Così, sarebbero in realtà chicchi di caffè sia il «grano tostato» regalato da Abigail a David in segno di riconciliazione (cfr. 1 Sam 25, 18ss.) sia le «pietre [= bacche] preziose» regalate dalla regina di Saba a Sanso-ne (cfr. 1 Re 10, 2ss.). Né i riferimenti religiosi restano circoscritti al solo ambito giudaico-veterotestamentario, ché di caffè l’arcangelo Gabriele avrebbe fatto dono a Maometto in persona, onde vincere la sonnolenza. Se queste leggende farebbero risalire l’origine del caffè all’VIII secolo a.C., le prime testimonianze storicamen-te accertate sulla bevanda sono di molto posteriori. È

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IL CAFFÉ DALL’ORIENTE

ALLA CONQUISTA DELL’EUROPAdi Roberto Trevisan

infatti all’incirca intorno all’anno Mille che Avicenna prescrive il bunc (nome abissino del caffè) come forte antidepressivo e digestivo (soprattutto per cibi troppo pesanti e grassi). Sulla scia di Avicenna, il caffè interessò medici e scien-ziati occidentali già prima di approdare in Europa. Essi ne studiarono le caratteristiche e gli effetti sull’uomo, lasciando molti studi nella trattatistica cinque-seicente-sca. La prima descrizione “medica” del caffè stampata in Europa fu opera di un medico di Augusta di nome Leonhard Rauwolf che tra il 1573 e il 1576 visitò Geru-salemme e il Medio Oriente. Nel suo diario di viaggio, pubblicato nel 1582 col titolo Reiß in die Morgenländer, egli loda il «guet getränck» per le sue proprietà curati-ve, soprattutto per lo stomaco, offrendoci uno spaccato sul modo in cui essa viene consumata in quelle terre lontane: Di qualche decennio successivo è, invece, la de-scrizione dell’“acqua nera” e delle sue proprietà digesti-ve fatta da Jean de Thévenot, altro viaggiatore europeo in Vicino Oriente. In ambito italiano si distinguono gli studi di Prospero Alpino e del medico bolognese Angelo Rambaldi. Quest'ultimo si dedicò all’Ambrosia arabi-ca (1691), rilevando che il caffè non solo teneva svegli senza diminuzioni di forze, ma corroborava lo stoma-co, asciugava le flussioni, preservava dai calcoli e dalla gotta, sradicava le ostruzioni, quietava i tumulti delle parti naturali, cioè di “affetti ipocondriaci”, sollevava gli idropici, raffrenava gli isterici, apriva copiosamente le urine e le “purghe” delle donne, aiutava le gravi-de, preservava dalle febbri intermittenti col solo fumo, aguzzava la vista e faceva effetti che per essere fra di loro contrari, parevan fuori dall’ordine di natura.Una diagnosi medica, sia pur non basata su cognizioni specifiche, ci viene dalla cerchia degli Illuministi mene-ghini, sancendo la giustezza della bevanda per questo tipo di intellettuale: Il caffè rallegra l’animo, risveglia la mente, in alcuni è diuretico, in molti allontana il sonno, ed è particolarmente utile alle persone che fanno poco moto e che coltivano le scienze.Nel corso del Cinquecento il caffè lascia i territori ori-ginari dell’Arabia e dello Yemen per diffondersi prima in Turchia e di lì conquistare l’Europa e le Colonie del Nuovo Mondo. Probabilmente al 1475 risalgono le prime botteghe di caffè di Costantinopoli. Pertanto, nonostan-te l’origine araba, nell’immaginario collettivo europeo sarà la Turchia ad essere associata alla bevanda nera. In Turchia il caffè è un’istituzione che ha i suoi mini-stri, i suoi sacerdoti e i suoi ferventi. La carica di «gran caffettiere» (kahveci başı) presso il Sultano è più impor-tante di quella di primo ministro, perché, se non altro, è più stabile. […] Poiché qui si beve del caffè da mattina a sera, a tutte le ore del giorno, senza ragione, senza

contare, come si fuma una sigaretta; da tutti, dovun-que. Dal moka delizioso, al profumo inebbriante, che lo schiavo vi offre nelle case turche, servito in minuscole tazze introdotte negli zarfs d’argento, al modesto caffè mescolato a ceci abbrustoliti e ridotti in polvere finis-sima, che si vende a uno o due soldi negli innumerevoli caffè della città, il consumo che si fa di questa bevanda è favoloso. Nelle piazze, nei cortili delle moschee, ad ogni angolo di via – propizio –, si trovano caffettieri ambulanti che in un primitivo fornello fanno cuocere del caffè che servono ai numerosi clienti di passaggio da mane a sera.La straordinaria diffusione del caffè nella società turca aveva del resto già fatto restare a bocca aperta l’anoni-mo compilatore degli Annali Universali di Statistica del 1825, allorquando notava che la passione degli Orientali per questa bevanda è al di là d’ogni dire. In tutti gli ordini dello stato, gli uomini, le donne, i fanciulli ne prendono ad ogni istante del giorno. Dappertutto ove si vada, qualunque visita si faccia, fra i grandi, fra gli artigiani, fra i Maomettani, fra i Cristia-ni, nelle case, negli uffici, nei magazzini, nelle botteghe, alla città, alla campagna, i padroni di casa cominciano sempre col presentare il caffè: se la visita è lunga, si offre con piacere una seconda e una terza tazza.Dopo la diffusione in Anatolia, nel corso del Cinquecen-to, dovranno passare quasi due secoli prima che l’“oro nero” possa diffondersi in Europa. Nel 1645 le prime tracce del caffé nelle botteghe di spezie orientali, 1650 viene importato quasi regolarmente dalle colonie orien-tali Inglesi e si diffondono le prime caffetterie nelle prin-cipali capitali europee.Secondo la vulgata, il caffè sarebbe arrivato in Euro-pa nel 1683 in seguito al secondo assedio turco della città di Vienna. Sbaragliati gli Ottomani, infatti, nel loro accampamento furono rinvenuti, insieme a merci e tesori vari, sacchi di strani chicchi tostati fin’allora sconosciuti agli Occidentali. Stando alle fonti storiche, l’accampamento turco contava ben ventidue tende nelle quali i vincitori rinvennero viveri di ogni genere, tra cui il caffé. Fu Franz Koltschitzky, una sorta di “turco viennese” di origine polacca, poliglotta, cosmopolita e viaggiatore, a riconoscere in quei «Bohnen» gli stessi chicchi che aveva visto nel corso dei suoi viaggi nelle caffetterie di Istanbul. Fiutato l’affare, come ricompen-sa per i servigi resi (aveva avuto un ruolo fondamentale nel recapitare dispacci militari segreti) Koltschitzky si fece regalare i sacchi di caffè dall’imperatore asburgico e, forte del Privileg des Kaffeeausschanks concessogli dal monarca, aprì poco dopo “Zur blauen Flasche”: la prima bottega in città (e, a quanto pare, in Occidente) in cui si mescesse il cosiddetto “vino d’Arabia”.

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La prima cosa che si ricorda di Cervia? Le sue montagne di sale, i cumuli bianchi che si stagliano all’orizzonte da ovunque si guardi. E poi le vasche che si ripetono tutte uguali e i fenicotteri rosa. È qui che inizia il racconto del sale, delle saline e della città fondata.Cervia era fino al 1600 una città di terra, che si trovava a mon-te delle saline in un antico insediamento, qualcuno dice perfino etrusco, che si chiamava Ficocle. Tutta la vita degli abitanti della città delle alghe (questo significa letteralmente Ficocle infatti) era legata alla vita del sale.Il lavoro era assicurato, ma la fatica era tanta, così come i proble-mi, non ultima la malaria. Quel borgo antico, in mezzo alle saline era diventato invivibile. Eppure il sale era ricchezza. I signori, i padroni, prima il Papa, poi il Doge di Venezia, quindi, per un brevissimo periodo i signori di Cesena, i Malatesta, infine nuova-mente e a lungo il Papa, lo chiamavano l’Oro Bianco. Per loro, per gli abitanti della vecchia Ficocle, a monte delle saline, era sudore, saliva da sputare e sangue. Era soprattutto morte sicura

La città fondata e l’oro bianco

di Letizia Magnani

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a causa della malaria. Così lottano gli abitanti e quando la lotta non basta più implorano.Chi implorano? Il Papa. Chiedono al signore che tut-to può di poter distruggere pezzo per pezzo le proprie case, la piazza, la chiesa, per poter ricostruire tutto più a valle, sulla marina, al di là delle saline, dove già il Papa sta facendo costruire i Magazzeni del Sale, dove dovrà essere custodito il prezioso oro bianco e la Torre San Michele che dovrà stare, silente ed eretta, sempre sveglia, a guardia del prezioso sale.Finalmente, dopo anni di richieste, Papa Innocenzo XII concede il suo benestare per la ricostruzione della città. Nel 1697 il Papa firma infatti il chirografo che cambierà del tutto la storia di questa piccolissima comunità.Cervia Nuova nasce quindi come città fortificata, at-torno alla sua economia, la produzione del sale, per questo viene anche considerata una città industria o “città fabbrica”.D’altra parte il sale è sempre stato prezioso, non a caso lo chiamiamo l’oro bianco. Il sale è stato lungo il petro-lio del mondo, in epoca classica e moderna e soprattut-to è stato il petrolio del Mediterraneo e quindi dei paesi che vi si affacciano, dall’Europa e dall’Africa.L’intera storia dell’alimentazione è legata al sale, alla necessità di dare sapore alle pietanze e quindi alla vita.

Il sale di CerviaLa Salina di Cervia è la più a nord d’Italia e si estende per 827 ettari, in un parco naturale, oggi porta sud del Parco del Delta del Po e da sempre riserva natura-le di popolamento per molte specie animali e vegetali. La salina è grande un terzo dell’intera estensione del comune di Cervia ed è compostata da oltre 50 bacini, formati ognuno da tre vasche, complessivamente lunghe un chilometro e larghe 160 metri. È qui che si forma e si raccoglie il sale, in maniera artigianale, proprio come avveniva un tempo, ma con l’ausilio di una nastro tra-sportatore e di un carrello, che è in tutto e per tutto un trenino. L’uso di macchine per la raccolta risale al 1959

Il Presidentedel parco dellaSalina di Cervia srlGiuseppe Pomicetti

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La difesa del territorio, una scommessa vinta in nome dell'eccellenza

Giovanni Giacchi

La tradizione delle Saline è in primo luogo una que-stione di identità.Al momento di decidere su quale dovesse essere il fu-turo di quest'area di eccellenza a sud del Delta del Po, la comunità locale si compattò ancora di più. Le Saline erano e sono il bene paesaggistico e storico più importante di Cervia, un'ecosistema che - all'epoca in cui si decise - avrebbe dovuto essere preservato anche per evitare che quelle zone diventassero paludi. La cessione dei Monopoli dello Stato sarebbe stata poi volano per la creazione di un'eccellenza e di un'iden-tità conseguente, al pari di ciò che successe alle saline siciliane e pugliesi. Una scommessa vinta.

-vole di tutto il mondo e viene usato dai migliori gour-met del pianeta, fatto di cloruro di sodio purissimo,

storia di una comunità tenace e preveggente e diventa un esempio, una sorta di oggetto-cult, su come si deb-ba fare impresa valorizzando i nostri territori.La società Parco della Salina di Cervia, costituita tre-dici anni fa per volontà di Comune di Cervia, della Provincia di Ravenna, del Parco del Delta del Po e della Camera di Commercio di Ravenna, una società pubblica con un solo socio privato, le Terme di Cervia di Brisighella, ha dimostrato anche come si possa cre-are business sul prodotto d'eccellenza e sugli aspetti a traino, quali il turismo enogastronomico - sempre più importante nel mondo del Food & Wine, in ascesa come numeri e qualità dei visitatori - e quello ecolo-gico.La Cultura insomma che diventa impresa e questa è una storia che in Romagna ha numerosi esempi.In epoca di dissolvimenti - quello, ad esempio per chi scrive, dell'unità nazionale per come l'abbiamo intesa, o quello dei fondi pubblici e degli investimenti - la via scelta dalle Saline, di creare e salvaguardare un terri-torio che è anche ecosistema, ci appare la risposta più intelligente e ovvia.Speriamo che in epoca di strane spending review non distruggano anche questo gioiello per cui ogni appas-sionato di cucina o di ambiente del mondo farebbe follie.

e da allora - salvo nella Salina Camillone, sezione vivente del Museo del Sale, Musa, dove la raccolta avviene ancora a mano, con il metodo detto a raccolta multipla - ogni

cavadura.La cavadura è la raccolta del sale. L’acqua del mare viene fatta entrare dal canale immissario, che si trova a Milano Marittima, all’altezza della prima traversa e viene movi-mentata nei canali che percorrono l’intera area del terri-torio di Cervia. Di passaggio in passaggio l’acqua di mare

si crea il sale. Il sale quando viene raccolto è bagnato e molto pesante: il suo colore tipico è il rosa. Il rosa gli deriva dal colore dell’acqua di mare concentratissima nella quale vive un microorganismo unicellulare, un granchietto rosso, l’artemia salina, che dà il tipico colore non solo ai bacini salanti e al sale, ma anche al piumaggio dei fenicotteri rosa.Ma perché il sale di Cervia è dolce? La posizione della sa-lina, le caratteristiche dei bacini e del mare Adriatico, del sole e del vento, fanno in modo che il sale che se ne ricava sia costituito di cloruro di sodio purissimo, con una bassa, quasi inesistente presenza di altri cloruri più amari, come il solfato di magnesio, di calcio, di potassio e il cloruro di

né sbiancare chimicamente il sale, lo lascia integrale e ad alta solubilità. Il sale dolce di Cervia mantiene infatti l’u-midità che gli deriva dal suo percorso nelle vasche e anche il suo colore tipico, che non è bianchissimo, ma anzi ha in sé tutte le sfumature del rosa e del grigio che gli derivano dal percorso produttivo e storico. Quindi è un sale dolce e integrale, che mantiene inalterate le caratteristiche di salubrità fondamentali per la vita. Il sale dolce di Cervia è infatti ricco di oligoelementi presenti nell’acqua madre (e utilizzati nella linea benessere come iodio, zinco, rame, magnese, ferro, calcio, magnesio e potassio).

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Quella che i ravennati considerano la Casa è una palaz-zina rosata dal gusto un po’ retro nel mezzo di un viale cittadino. Più che affascinare (con gli “effetti speciali” che oggi sono richiesti a tutto ciò che parla di cibo e vini e di cui qui per fortuna non v’è traccia) la facciata pro-fonde gentilezza e quasi tenerezza. Calore, direi, e senso di appartenenza quasi istintivo, la sensazione di ritor-nare a casa. Sensibilità condivisa visto che da questo portone sono entrati quasi tutti: attori e capitani d’in-dustria, politici e presidenti, intellettuali e bellimbusti, ma per lo più gente semplice, che come gli altri ha visto nell’arte di questa famiglia di ristoratori il segnale che

l’Italia poteva andare avanti con il suo segno distintivo di creatività e buone maniere.Lui si chiama Ferdinando Turicchia, Commendatore al Merito della Repubblica Italiana, e a Ravenna sanno che insieme ai figli Umberto ed Eva e alla moglie Delia è il padrone di casa. Il locale, che è un mix di eleganza li-berty e inizio secolo, con i salottini e i mobili antichi mi fa ritornare in mente la casa di mio nonno nel Pesarese e quelle atmosfere ovattate e l’odore buono che veniva dalle cucine. Qua “Al Gallo” non si urla. Per fortuna siamo distanti anni luce da quei protagonismi (Ferdi-nando è assai schivo) a cui ci ha abituato la “novelle

Alla ricerca del tempo perduto

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cuisine” de noantri, quella che deve mettere l’azoto nei cibi per forza e lo fa per via della modernità magari ispi-rati da Adrià, o quell’altra piuttosto che se non ci sono competizioni e conseguenti premi televisivi non scende in campo neppure. Qua è diverso, e sostanzialmente di-verso: si viene per mangiare (bene, nel rispetto della tradizione) e fare due chiacchiere con gli amici, a Casa propria. E’ un viaggio alla ricerca del tempo perduto, in cui le “madeleine” di Proust sono i silenzi e i sorrisi di Ferdinando o le camminate rispettose avanti e indietro di Franca e Lucia, che curano sale e cucina. E anche il tempo che abbiamo perduto ad andare dietro alle pre-sunte innovazioni alimentari, a chefs che si truccava-no nei loro camerini prima di incontrarci, a ristoranti freddi e inautentici che sembravano camere iperbariche. Ecco, tutto questo “Al Gallo” non c’è, per grazia di Dio. C’è il calore buono di una volta, che non scade.

C’è anche il fatto che, sedendosi al tavolo appena dopo

con quattro battute e discutendo di aneddoti, quell’in-sana competizione che è ormai andare a mangiare in un locale, come in un eterno reality-show di cui siamo protagonisti e vittime inconsapevoli.La Casa dei ravennati ha compiuto centanni nel 2009. Ferdinando è nato in questa palazzina: prima c’erano i

seguono in ogni passo per carpire magari i segreti della cordialità. Qualche frase di Ferdinando per far capire il tipo, di che pasta è fatto. “Segreti della ristorazione?

scelta è orientata sulla qualità di quei prodotti che por-tano la continuità e la tradizione della nostra cucina”.“Il mio segreto? Il rispetto reciproco con le persone che,

una volta sedute, possono respirare la serenità di una ambiente familiare”. La tranquillità del Gallo è prover-biale: sembra di entrare in un altro tempo, quello ma-gari delle origini o delle tradizioni che abbiamo lasciato per strada! “Mai lasciare la tradizione! La spesa la fac-cio io ogni mattina”. “Vede, il tavolo dove siamo seduti fa esso stesso parte della tradizione col suo avvicendarsi di amici e personaggi della nostra società. Com’era Raul Gardini che, quando rientrava a Ravenna, mangiava le tagliatelle alla disperata (prosciutto, pomodoro e pepe-

per la terra o per la vela, o Sergio Zavoli, con la scelta dei cappelletti che, essendo ripieni solo di formaggio, li

Ferdinando e che storia lunga ha alle spalle. Ancora oggi continua a cercare clienti “che non prendano possesso del locale, ma vengano semplicemente a mangiare”. In

queste parole c’è anche una lezione gigantesca.E se parliamo di tendenze, Ferdinando sottolinea che “i gusti sono cambiati, a causa delle esigenze lavorative”, nient’altro. In quelle due parole che dice “riduzione delle scelte” c’è la sintesi di quanto ci è successo negli ultimi anni. E che luogo è Ravenna, Ferdinando? “Ravenna è una città con profonde radici storiche, a volte un po’ chiusa, ma che non smette mai di stupire e rinnovarsi. Per i ravennati si è persa in parte l’abitudine di incon-trarsi nella piazza o al bar – a parlare di vita, tra una mano di beccacino e l’altra – ma continuano a ritrovarsi in altri luoghi, magari a teatro… o qui”.O qui, a Casa loro. Beppe Errani, ex direttore de Il Resto del Carlino e storico inviato, grande collega, che oggi è qui accanto a noi nel tavolo degli amici, annuisce. L’incanto ravennate è in questa semplicità, in questo segreto che nessuno vuole disperdere né rivelare.

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ANTICA TRATTORIA AL GALLO 1909Locale Storico d'Italiadel Dott. Umberto TuricchiaVia Maggiore,87 48121 RAVENNA

Come nell'arte bizantina l'involucro architettonico esterno nasconde la ricchezza degli interni: infatti l'at-tuale “Antica Trattoria al Gallo 1909” (Locale Storico d'Italia dal 2010) si proietta con una facciata tradizio-nale su Via Maggiore, nel rione S. Biagio, custodendo tra i tavoli imbanditi quadri, sculture, vetrate liberty e decò.Alle pareti del ristorante “Al Gallo” le foto con gli ospi-ti prestigiosi che sono passati di qua sono numerose ed i mosaici realizzati dalla moglie Delia Clapiz colpiscono per la bellezza e la luminosità. L'oro invisibile di quei mosaici è custodito negli occhi scintillanti di Fernando quando parla di Delia, che conobbe durante un corso estivo di tecniche musive organizzato dal Prof. Salietti; lei insegnante, lui allievo.Quel felice incontro portò Delia, friulana di origine, a prendere il posto lasciato dopo 50 anni dalla mamma di Fernando, la “mitica” Verdiana, abbandonando una promettente carriera artistica per dedicarsi col suo toc-

-che nell'inventiva e nelle presentazione dei piatti: gusti

-ne ravennate. Il capitolo frequentatori del locale, poi sarebbe lunghissimo: capi di stato, ministri, segretari di partito, direttori d'orchestra, uomini e donne di spet-tacolo, ma per Ferdinando Turicchia hanno importanza soprattutto quelle persone che hanno dato e danno vita a Ravenna e che ha avuto la fortuna di conoscere e di ascoltare.Fra gli altri a lui piace ricordare le cene che si prolun-gavano a notte inoltrata del gruppo dell'Accademia guidato da De Grada seguito da Zancanaro, Pomodo-

dei pastori il mercoledì e il sabato, che erano giorni di mercato, con le trattative e la stretta di mano a conclu-sione di un contratto. Poi le robuste mangiate a base di caccia organizzate da Raul Gardini dove l'amico Vanni Ballestrazzi primeggiava nell'onorare la tavola imbandi-ta di alzavole e beccaccini.Oggi le cose sono cambiate, ma l'importante è che si salvi la tradizione gastronomica, oggi minacciata dalla facilità e dalla faciloneria con cui si aprono locali di ogni genere, etnici e non, in cui i piatti pronti standardizzati

del nostro mare. Racconta Ferdinando: “In questo am-

a dare una mano, poi proseguii gli studi, mi diplomai e iniziai l'università, ma la prematura morte del bab-bo, Berto, mi costrinse a dedicarmi completamente alla trattoria. Beninteso, non me ne pento, perché questa attività mi ha dato tante soddisfazioni e il lavorare in coppia con mia moglie è stato per me una carica in più.

scelte dei padri. Per me è stata quindi una grande gioia

abbia deciso di continuare la tradizione famigliare del

dolci. Tutto questo penso che è e sarà apprezzato dai buongustai, ravennati e non, cioè da tutti quelli che hanno a cuore che nella nostra Ravenna sia garantita l'identità anche per il futuro. Perché, come si sa, il fu-turo ha un cuore antico”.

Antica trattoria al Gallo 1909

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GRAND HOTELRIMINI

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Genialità, immaginazione, intuito, fantasia e uno spic-cato senso per gli affari sono alla base del successo di Antonio Batani, proprietario, insieme alla sua fa-miglia, del gruppo alberghiero Select Hotels Col-lection. I suoi dodici alberghi disposti lungo la riviera di Romagna, sulle colline romagnole, e un cinque stelle anche in Romania, sono espressione della sua profonda passione per l’ospitalità. Una passione vissuta così in-tensamente da condurlo, nell’arco di cinquanta anni di attività, da una modesta pensione di sole 20 camere, ad un impero di oltre 1000.

Cesenatico, Cervia, Milano Marittima, Rimini, Bagno di Romagna e Cluj Napoca (Romania): ecco le desti-nazioni scelte da Antonio Batani per i suoi alberghi. Si tratta di location di prestigio, costantemente animate da interessanti attività, in grado di offrire all’ospite in-numerevoli servizi durante tutto l’anno. La vocazione di Select Hotels Collection è duplice: “Luxury Expe-rience” e “Family Feeling” due tipologie di ospitali-tà per offrire il soggiorno ideale che meglio risponde ai desideri di ciascuno.

Batani Select HotelsCollection:

il segreto di una vacanza straordinaria

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Luxury Experience Alberghi che incarnano un mito, un sogno. Esclusive oasi di relax, lusso ed eleganza. Ampi spazi, atmosfere ovattate, profumi inebrianti e ovunque il bello, la sto-ria, il fascino. Negli hotel Luxury Experience, le gior-nate estive scorrono lente, scandite da appuntamenti irrinunciabili: la prima colazione in terrazza, il relax totale al Beach Club con spiaggia privata e il servizio dei nostri “Stewart di spiaggia” per soddisfare ogni ri-chiesta, il pranzo a buffet al ristorantino della spiaggia con vista sul mare, oppure servito al ristorante dell’ho-tel, un tuffo nella grande piscina, una partita a tennis o l’allenamento in palestra, ma anche un percorso be-nessere, trattamenti di bellezza e massaggi nei nostri centri “Dolce Vita Spa”. Al calar del sole, nulla di meglio di un aperitivo a bordo piscina seguito dalla cena in terrazza o nei saloni del ristorante dove gli Chef propongono menù à la carte con proposte di alto livello della tradizione locale e della cucina internazionale, per palati raffinati e sofisticati gourmet. E per concludere, musica dal vivo nel dopoce-na, per allietare le calde sere d’estate. E per chi desidera concedersi un’esperienza romantica davvero unica: cene al lume di candela, in riva al mare, sulla spiaggia privata, con maggiordomo dedicato e il sottofondo di struggenti note di violino; Private-Spa, una mini-spa creata appositamente per la coppia; la splendida suite con vista mare e caminetto per riscalda-re i cuori, anche nel più rigido inverno.

Family FeelingVitalità, freschezza, allegria! Negli alberghi “Family Fe-eling” ogni dettaglio è a misura di famiglia con servizi di alto livello pensati per gli adulti e i loro piccoli, per garantire, durante la giornata, momenti di svago e relax per tutti. La sveglia del mattino è assicurata dalle deli-zie dei nostri chef pasticceri; il gran buffet dolce-salato è ricco e variato, con specialità golose adatte anche ai più piccoli. In spiaggia, in piscina e in hotel, il mini-club si prende cura dei bambini coinvolgendoli in numerose attività ludiche e didattiche: la merenda alla scoperta dei sapori, la cena con i personaggi di Walt Disney, il Masterchef Bimbi, i nutella party, il teatro dei buratti-ni, il trucca-bimbi, i gonfiabili, lo zucchero filato e tanto altro ancora. Mentre i piccoli si divertono con gli animatori, gli adulti possono finalmente approfittare di favolosi momenti di relax nei nostri centri benessere, in piscina, in spiaggia o sui campi da tennis. Pranzi e cene sono alla carta o a buffet, con menù speciali creati appositamente per colo-ro che seguono specifici regimi alimentari. E poi tutto,

Negli alberghi della famiglia

Batani, il benessere è un concetto

“globale”, un modo speciale

di declinare l’accoglienza secondo

lo stile della famiglia Batani.

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ma proprio tutto per i più piccini: dallo scalda-biberon, al fasciatoio, dal bavaglino personalizzato ai seggioloni,

-zioni di mamma….

La Cucina-

cipali motivi del successo degli alberghi di Select Hotels Collection. Come sostiene il patron Antonio Batani: “L’ospite non si accontenta di un’accoglienza impec-

-stinazione alla moda. L’ospite ritorna solamente se ri-tiene di avere mangiato molto bene”. Parole semplici,

famiglia Batani. La genuinità dei prodotti utilizzati in cucina è assicurata in parte dall’azienda agricola della

Vitalità, freschezza, allegria! Ogni dettaglio è a misura di famiglia

con servizi di alto livello pensati per gli adulti e i loro piccoli e

per garantire, durante la giornata, momenti di svago e relax per tutti.

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famiglia Batani, situata nella campagna cesenate, che rifornisce quotidianamente i nostri ristoranti di frutta e verdura freschissimi, da coltivazioni naturali e a kilome-tro zero. Nei ristoranti dei nostri alberghi, solo i miglio-

.enoissap atnat e enoigats id ittodorp iroilgim i ,fehC ir

un’esperienza indimenticabile. I Ristoranti più rinomati del gruppo sono:• Ristorante La Dolce Vita, Grand Hotel Rimini

5*L, Chef Claudio Di Bernardo (aperto tutto l’an-no)

• Monnalisa Restaurant, Grand Hotel da Vinci 5* Cesenatico, Chef Stefano Donegaglia e Alessandro Trovato (aperto tutto l’anno)

• I Venini Restaurant, Palace Hotel 5* Milano Marittima, Chef Roberto Scarpelli (aperto da mar-

Specialità: ricette della tradizione marinara rivisitate in chiave moderna, ampia scelta di proposte anche a base di carne, proposte vegetariane.

La “Fattoria Batani”L’azienda agricola della famiglia Batani è ubicata in un piccolo villaggio rurale dell'entroterra e si estende su un territorio di 16 ettari. La “Fattoria Batani” nasce 10 anni fa, dal sogno dell’imprenditore Antonio Batani

alberghi prodotti assolutamente genuini la cui prove-nienza fosse garantita. Niente di meglio quindi che dare l’avvio alla produzione propria di numerose varietà di verdure, legumi e frutta. Il tutto secondo le regole di un’agricoltura naturale, in accordo con le stagioni e non

-chi, patate, melanzane, zucchine, fagioli e fagiolini, solo per citarne alcuni, fanno parte di una grande varietà di frutta succosa e di verdure saporite prodotte con pas-sione e amore per la terra dalla famiglia Batani. Non solo: le numerose galline allevate a terra garantiscono quotidianamente uova freschissime, per la preparazione della pasta fatta a mano dagli Chef e degli squisiti des-sert. Oggi, l’azienda agricola impiega ben 20 persone addette alla coltivazione e alla raccolta, durante tutto l’anno. Nella tenuta, una grande casa colonica accoglie la famiglia Batani, i loro ospiti ed amici, e a volte anche il personale, per occasioni speciali e feste anche all’aria aperta in un atmosfera tipicamente bucolica. Un altro modo per riscoprire la natura vera e godere delle sue numerosissime virtù.

Il Benessere Negli alberghi della famiglia Batani, il benessere è un concetto “globale”, un modo speciale di declinare l’ac-coglienza secondo lo stile della famiglia Batani. Il be-nessere infatti inizia con un’accoglienza calorosa e con-tinua con un’attenzione tutta particolare all’ospite, un cibo particolarmente curato, genuino, fresco e che, oltre a deliziare il palato, fa anche bene alla salute, camere ampie ed eleganti, ampi spazi interni ed esterni, tra cui

una totale “remise en forme” dentro e fuori…. Il tutto avvolto nella classe e nell’eleganza proprie dell’ospitali-tà di lusso. In particolare, ecco i principi applicati nei centri benessere del gruppo.

La “Dolce Vita Spa”Un innovativo concetto di bellezza tutta al naturale

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viene proposto nei centri benessere del gruppo Select Hotels Collection. E’ la vera bellezza che nasce dalla consapevolezza di sé, del proprio valore intrinseco, una bellezza che non dipende più da rigidi canoni, bensì dalla capacità di esprimere la propria interiorità, ciò che rende unici. Bellezza interiore, quindi, che traspare da uno sguardo particolarmente luminoso, un colorito fresco, una pelle ringiovanita, un corpo tonificato e pri-vo di tensioni, e si traduce poi in fascino e sensualità. Dolce Vita Spa propone il benessere come uno stile di vita che include 5 principi fondamentali. 1. Movimento, attività fisica moderata o intensa

a seconda del proprio temperamento. Le sofisticate attrezzature Technogym di ultima generazione po-ste nell'area fitness garantiscono un'attività fisica equilibrata, sicura e con programmi personalizzati. Ideale per scaricare tensioni e liberare le tossine prima del percorso relax.

2. Detossinazione, ovvero "pulizia" interiore in due fasi: percorso benessere che include sauna, bio-sau-na, bagno turco, percorso Kneipp, doccia emozio-nale con cromoterapia, cascata di ghiaccio, vasca idromassaggio e grande piscina interna riscaldata con cascate d'acqua. Area relax al termine del per-corso. Bevande naturali. Lasciatevi consigliare il succo, il centrifugato fresco, per un pieno di vitamine e an-tiossidanti; oppure l'infuso ideale realizzato con le erbe officinali più adatte alla vostra costituzione e al vostro temperamento.

3. Salus per aquam: piscina, idromassaggio, doc-cia emozionale. I benefici dell'acqua non solo per il corpo, ma anche per lo spirito, per un benessere profondo.

4. Mangiar bene, ovvero alimentazione equilibrata, ricca di frutta e verdura. E, anche se con grande moderazione, sì a tagliatelle e piadina o qualsivo-glia specialità della tradizione per il piacere di ritro-vare i sapori del proprio territorio.

5. Mens sana, un atteggiamento mentale che sostie-ne il benessere fisico attraverso il recupero di spazi per sè, con gli amici, in palestra, nella natura o semplicemente facendo qualcosa che piace e gratifi-ca.

• Grand Hotel Rimini 5 stelle L• Grand Hotel da Vinci 5 stelle, Cesenatico• Il Grand Hotel Italia 5 stelle, Cluj Napoca (RO)• Palace Hotel 5 stelle, Milano Marittima• Grand Hotel Gallia 4 stelle, Milano Marittima • Hotel Aurelia 4 stelle, Milano Marittima

• Hotel Doge 4 stelle, Milano Marittima• Hotel Universal 4 stelle e Diplomatic 3 stelle, Mila-

no Marittima• Hotel Brasil 3 stelle, Milano Marittima• Hotel Miramonti 4 stelle, Acquapartita di Bagno di

Romagna

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Batani Select Hotels Collection

Maestri nell’arte dell’accoglienza,

da oltre 50 anni.

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Sono nato a Forlì il 3 febbraio del 1959, nell’epoca in cui si partiva per Ravenna, dove il polo petrolifero e in-dustriale del cemento dava la possibilità di un impiego e speranze di ricchezza. Mio padre Ivan faceva l’operaio all’Anic e mia madre Idelba la sarta in casa, o, comesi diceva allora, faceva “delle riparazioni”. Quattro fra-telli, tre maschi e una femmina, più la nonna Corinna: una famiglia tranquilla con i valori di altruismo e one-stà alla base, gli stessi che oggi provo a trasmettere a

avere ultimato gli studi. La stessa storia di mio padre, che dovette smettere all’età di 17 anni quando gli morì il padre: andò, a lavorare in fabbrica per poter mante-nere la madre e la sorella Ivana che ha vissuto con noi

con un diploma era la massima aspirazione, da parte

mia sono stato l’unico a scegliere al terzo anno di PeritoElettrotecnico di smettere per andare a lavorare a Ra-venna! Proprio come lui. Ma quando arrivò a una cer-ta età mio padre si iscrisse a corsi serali per ultimare gli studi, dando l’esame di stato da privatista lo stesso giorno di mio fratello Fausto (il più grande di età). Su

da parte di mio padre la sensazione che fosse dispiaciu-to della mia scelta di interrompere gli studi: anzi era lui che mi incoraggiava a tenero duro, a capire quali fossero le mie più vere passioni. Fu Lorenzo, il marito di mia zia Ivana, a darmi la prima idea: lui faceva il rappresentan-te a Milano nel settore dolciario, guadagnava bene, era sempre elegante e con macchine alla moda.Perché no, dissi tra me e me: c'era il deposito della San

Una storiadi valori,la mia

Fabio Fossi

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Carlo, nota azienda di snack che cercava ragazzi patentati con la patente C per vendere i loro prodotti nella provincia di Ravenna. Così nell’81 iniziai la mia carriera di rappresentante: feci il corso per agente di commercio alla Camera di Commercio di Forlì per il patentino degli agenti di commercio. Dopo un anno e mezzo mi capitò l’occasione di andare alla Parmalat, divisione latticini; l’unico problema era il freddo della cella frigorifera del furgone e il fatto che alle quattro di mattina dovevi fare il carico in depo-sito. Incominciavo a guadagnare bene, meglio dei miei amici che facevano gli operai in fabbrica, addirittura meglio di mio fratello Fausto, diplomato e ora impiegato. Mia madre era la più felice.Non mi sono mai dimenticato di aiutare la mia famiglia e i miei fratelli. Nel 1984 la Barilla cercava agenti a Forlì; è il momento giusto di abbandonare il freddo del furgone per la “cravatta” e il copia-comissione. Rimango con loro due anni. L’anno prima mi sono sposato con Daniela, che è sempre

di tutto ciò che ho fatto.Attraverso il sindacato dei rappresentanti di Forlì, conosco una persona, Elveo Focacci che ha una avviata agenzia di rappresentanza vini di nome “La Romagnola”; non sapevo allora che sarei rimasto in questo settore

-ne, la mia grande occasione era arrivata. Ed era costoso fare questo lavoro perché tra le spese della benzina, i ristoranti e le tasse, con le mie misere provvigioni non bastavano mai per pagare le bollette. Sono passati tanti anni da allora, e mi sembra di sentire ancora il pianto silenzioso di mia moglie che per non demoralizzarmi piangeva di notte di nascosto, perché eravamo pieni di debiti ed io ero imbarazzato a chiedere aiuto ai miei suoceri o genitori. Dedico a mia moglie e alla mia famiglia i miei successi lavorativi e economici; a loro che mi hanno dato la forza in tutti questi anni Feci i corsi da Sommelier e da degustatore di grappa, iniziai a leggere riviste di vino e cibo: capivo che la preparazione era importante in questo settore e dovevo essere preparato più del mio cliente! Oggi ringrazio ancora Elveo per i 14 anni passati con lui e per avermi indicato una strada; solo a dirgli che sarei dovuto andare alla Errebi come responsabile vendita vini, mi toglieva il sonno.Poi aprì anche con il mio amico Christian Donini una agenzia di consulen-za commerciale, Eterea. Erano anni duri, le aziende pagavano male, la crisi mordeva, gli agenti stentavano a prendere mandati di aziende ancora sco-nosciute. Decidiamo dopo qualche anno di dividerci, sono piu le spese che i guadagni e io continuo da solo con la mia nuova agenzia Decant. La svolta è arrivata cinque anni fa quando andai senza troppo entusiasmo a dire la verità al Merano Wine Festival. Mi incontro con un caro amico romagnolo, Gianmatteo Baldi, il quale lavora per una importante cantina, la Bertani.

Nord-Est. E si arriva ad oggi, ai miei 55 anni, soddisfatto del mio percorso. Quando racconto la mia storia agli agenti più giovani, mi viene fuori un malinconico sorriso; è la storia di un ragazzo come tanti che cerca nella vita e nel lavoro di portare avanti valori che oggi stanno scomparendo.Vorrei dire, con le parole del grande Marcello Mastroianni nello stupendo

-

bene che abbiamo fatto e il male che abbiamo causato resteranno sempre da qualche parte”. Ecco, questa è una storia di valori e rispetto, ma nor-male.

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per tuttiRoberto Trevisan

Oltre ad aver avuto la fortuna di co-noscere il carissimo amico Giovanni

per conoscerci, sono felice di essere tra quelle persone che hanno come attività principale la propria passione, non mi

un suo amante e per questo si può dire che dedichi tutto il mio tempo, forze e capacità per capire, esaminare e scopri-re l‘amata magica bevanda.Sono nato a Bologna, da studente so-gnavo il mio futuro da bravo ingegnere della meccanica di precisione e recar-mi nella vicina Maranello per magari poter bussare alle porte della mitica Ferrari: la mia passione per i motori é sempre stata forte e proprio nei tre mesi estivi delle vacanze scolastiche per guadagnare i soldi per una moto usata sono capitato casualmente in una pic-cola torrefazione. Ancora senza saperlo iniziavo a muovere i primi passi in un mondo che ancora oggi dopo tanti anni mi attrae sempre con maggior passione e il merito di questo lo devo ad Arman-do Parenti, il titolare della torrefazione Bolognese il quale oltre ad trasmetter-

-sia Trieste, dove ho avuto la fortuna di conoscere personalmente persone come Alberto Hesse, Ernesto Illy, Vincenzo Sandalj e altri veri esperti, timonieri e

Da venti anni vivo in Repubblica Ceca,

attrezzature principalmente a Praga, proponendo un prodotto artigiana-le inizialmente tostato in Italia; poi

norteP acitim anu id otsiuqca l opod -cini (torrefattrice prodotta dalla stori-ca azienda bolognese) ho iniziato negli anni ‘96 e ‘97 a tostare in una piccola

-date.

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A testimonianza dell'antica vocazione all'olivocoltura, oltre che vitivinicola, esistono documenti di epoca medievale che atte-stano come alle navi che approdavano sul Po venisse richiesto un pedaggio consistente in venticinque libbre di olio d'oliva. Tale pedaggio, chiamato "Ripatico", veniva riscosso anche dai pugliesi, ma in misura quantitativamente (e dunque con va-lutazione qualitativamente inferiore) minore rispetto alle va-lutazioni degli oli marchigiani, come attestano i regolamenti dei commercianti veneziani, nella seconda metà del 1200: l'o-lio "de Marchia" godeva di un capitolo a parte, privilegiato rispetto alle altre regioni produttrici. L'usanza di far pagare alle provincie dell'Impero tributi in olio era stata introdot-ta dai Romani; dopo la caduta dell'impero furono i monaci, specialmente nei territori possedimenti degli Stati Pontifici, a rinnovare gli impianti e a salvaguardare l'olivocoltura. Agli agricoltori veniva affidata la ricostruzione degli oliveti dietro compenso pecuniario o di una quantità di prodotto: una sorta di contratto colonico mezzadrile ante litteram, che diventerà l'asse portante dell'economia agricola marchigiana. Nel 1300 la produzione olearia regionale raggiungeva anche Firenze, con consistenti quantitativi; tale esportazione, favorita anche dal fatto che la produzione eccedeva il consumo interno, è conti-nuata fino al 1600. Alcuni dati sono sufficientemente eloquenti per descrivere l’attuale situazione produttiva: in una regione come le Marche in cui l’olivicoltura rappresenta circa l’1,5% della produzione lorda vendibile, con una superficie olivicola complessiva di poco superiore ai 10.000 ettari, assai frammen-tata e suddivisa in qualcosa meno di 30.000 aziende, con una produzione media regionale intorno ai 40.000 quintali di olio (quest’anno le oscillazioni della bilancia pendono a favore di un incremento rispetto alla scorsa stagione), si può aggiunge-re che al peso del numero, tutto sommato abbastanza esiguo complessivamente, corrisponde una qualità in sicura, costante crescita, con notevole espressione di biodiversità, una DOP nel territorio di Cartoceto, e una quota più che apprezzabile di biologico, con un migliaio di aziende e una superficie di circa 1.600 ettari. Tra le cultivar, negli ultimi anni performance ab-bastanza straordinarie sono state fornite dall’Ascolana tenera, varietà di antichissima tradizione ma ritenuta solo “da mensa”

fino a tempi molto recenti. E’ un caso paradigmatico di come la storia del gusto sia anche una storia delle tecniche (e vicever-sa) e di come cambino le cose a seconda della determinazione qualitativa e della vitalità del feedback, ovvero della comunica-zione tra produttori e consumatori. Originaria della provincia di Ascoli Piceno, ma occasionalmente coltivata nell’intero ter-ritorio marchigiano con crescente diffusione, anche in virtù dei risultati di eccellenza organolettica raggiunti, l’Ascolana tenera può esprimere fruttato intenso decisamente erbaceo, con sento-ri che vanno dal pomodoro al carciofo, e gusto complesso con amaro e piccante in evidenza, e presenza di cicoria. Tra le cul-tivar autoctone c’è poi la Coroncina, diffusa soprattutto nella provincia di Macerata, con maggiore concentrazione nei comuni di Caldarola, Belforte del Chienti e Serrapetrona, fino alle aree interne, ad altitudini superiori ai 600 m s.l.m., questa cultivar deve probabilmente il suo nome alla sporgenza che il frutto presenta, simile a una corona. Esprime un fruttato medio con sentori di erba e di carciofo, di colore verde intenso, e un elevato contenuto in polifenoli e clorofilla. Ci sono poi il Piantone di Mogliano e il Piantone di Falerone: il primo è diffuso soprat-tutto nel maceratese, in una zona intermedia tra le aree interne e la collina litoranea, e si caratterizza per il colore giallo oro e il fruttato leggero tendenzialmente dolce con amaro e piccante favoriti dalla raccolta precoce. Il secondo, storicamente legato alla civiltà picena e al territorio di Piane di Falerone (oggetto di centuriazione ed assegnazione ai veterani da parte di Augusto nel 30 a.C., con relativa edificazione di una città giuridicamente simile a Roma), si caratterizza per un fruttato medio-leggero, gusto inizialmente dolce, leggermente piccante, con piacevole retrogusto amaro. La Mignola è presente nelle province di An-cona, Macerata ed Ascoli, ma particolarmente diffusa nelle aree più interne del territorio regionale e nella Vallesina. L'olio che se ne ricava è mediamente fruttato, con sentori peculiari, in-confondibili, di erba e frutti di bosco: il sapore è marcatamente amaro e piccante, con note di dolce più o meno accentuate. La Carboncella è diffusa soprattutto nelle province di Ascoli Piceno e Macerata, la Carbonella nel territorio di Cingoli, ed ha buon fruttato armonico, amaro e pungente, di colore verde intenso, con buon contenuto in polifenoli e clorofilla.

Olio, da “compenso” a eccellenza

di Antonio AttorreGiornalista, scrittore, docente universitario, redattore di Slow Food

Le grandi varietà marchigiane conquistano gli esperti

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Parlando di “Aceto Balsamico” occorre, innanzitutto, dimentica-re l’asprezza e farsi trascinare da lento piacere del sapore: un equi-librio sensoriale come nessun altro alimento può vantare. Un sapore talmente esclusivo, ac-cattivante, da essere quasi inde-scrivibile, perché l’Aceto Balsami-co tradizionale è dolce quel tanto che entusiasma ed appaga per la sua sapidità.Un balsamo suadente scaturito dal sapere della civiltà medioevale, quando mistero e casualità riuscirono ad accumunare plebe e corti blasonate; non a caso i primi riscontri risalgono al 1.046 quando l’Imperatore Enrico II fece tappa in Emilia gustando l’agognata rarità.Nei secoli successivi il prodotto continuò ad evolversi presso le famiglie più blasonate maturando e allargan-do il fascino di questo nettare; nella Sua immensa gam-ma olfattiva, concentrò tutti quei sapori tipici della civiltà emiliana, fatta di cose schiette e semplici come il territorio.Così diventa un rito coltivare le vigne, mostare le uve, cuocere il mosto, attivare il processo produttivo e se-guire il lento e lungo processo di invecchiamento; un

pienamente solo gustando qualche goccia di aceto bal-samico tradizionale nella sua lenta evoluzione. A tut-to questo pensava Ferdinando Cavalli (detto Nando) perché in questo articolo parliamo proprio dell’Acetaia Cavalli Cav. Ferdinando ([email protected])

scorso, per ampliare l’acetaia già allora assai nutri-ta e raggiungere il suo scopo il “Cavaliere” si diede a raccogliere, con passione, il maggior numero possibile di preziosi barilotti, ricolmi di balsamici vecchi anche di quattro o cinque generazioni acquisendoli dalle più

nobili famiglie reggiane che, ri-entrando in città dalla provin-cia nel primo dopoguerra, non sapevano dove mettere questi barilotti e come conservarli; in pochi anni l’acetaia si svilup-pò arrivando già negli anni 60, ad oltre 1.000 barili quasi tutti ricolmi di aceti balsamici tra-

dizionali di annate assai vecchie, di cui alcuni anche ultracentenari.

i più blasonati produttori di Aceto Balsamico di Mo-dena e Reggio Emilia.Vignaiolo e cantiniere, proprio in quegli anni decise di ampliare l’acetaia di famiglia per poter soddisfare le richieste di amici e dei migliori clienti della Sua cantina

produzioni di Lambrusco; proprio in quegli anni fu tra i primi ad avviare un’azienda artigianale di Aceto bal-samico tradizionale di tutto rispetto che in pochi anni lo ha fatto conoscere ed apprezzare in tutto il mondo; il

spetta continuare questa antica tradizione.

Vi narriamo la storia autentica di una famiglia da considerarsi tra i più blasonati produttori di Aceto Balsamico

tradizionale di Reggio Emilia e di Modena

La favoladel Balsamico

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dna

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1) Aceto Balsamico di Reggio Emilia Dop (denominazione di origine pro-tetta). La disciplina per la produzio-ne dell’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia Dop è stata regola-mentata nel 2000 (Provv. 15-05-200

-cata con DM 16-12-2013 G.U. N.3 del 14-01-2014; in sintesi si utilizza mosto

ed invecchiato in serie di barili (bat-teria). Il primo prelievo dal barile più piccolo della batteria avviene dopo almeno 12 anni di invecchiamento. Il prodotto ulteriormente invecchiato

-cato come “extravecchio”. L’imbotti-gliamento avviene in bottiglie dalla forma particolare a tulipano rovesciato, che permette di distinguerlo dagli altri “balsamici”.2) “I Balsamici Cavalli”: Il Cav. Ferdinando Caval-li detto Nando e soprannominato Cavaliere, già dagli anni 70, considerando che per produrre l’aceto bal-samico tradizionale (prodotto di qualità insuperabile) occorrevano almeno 12 anni, ritenne opportuno creare un aceto balsamico denominato “Cavalli” o balsamico

le generazioni future così descritto: tutti i prodotti Cavalli sono ottenuti da solo mosto d’uva, senza altri ingredienti ed additivi; non sono presenti addensanti, coloranti, aromatizzanti, conservanti; i prodotti sono senza glutine. I Balsamici Cavalli sono ottenuti gra-zie alla continua ricerca e studio dei processi biologici e delle trasformazioni che avvengono durante le fasi produttive. E’ stata messa a punto una metodica che

unisce tradizione ed innovazione tec-nologica ottenendo un balsamico con caratteristiche di eccellenza ma con costi contenuti. Questi prodotti dif-feriscono, in alcune fasi, dal prodot-to ottenuto con metodo tradizionale: anziché subire i contrasti del clima naturale (gli ambienti sono sempre areati ed aperti sia in estate che in inverno), le botticelle del balsamico Cavalli sono poste in ambiente condi-zionati. La lavorazione prevede l’uti-lizzo di uve trebbiano, la cottura del mosto, la fermentazione alcoolica in

il lungo invecchiamento in fusti di ro-vere, castagno, ginepro, gelso e cilie-

gio. A seconda dei tempi di lavorazione ed invecchia-mento otteniamo:a) Morbido e fruttato: prodotto con minore acidità per chi ama un prodotto più delicatob) Balsamico Classico: che sottolinea la lavorazione se-condo le metodiche tramandate del balsamico.c) Balsamico Riserva Nando: prodotto ulteriormente invecchiato.

L’azienda Cavalli, seguendo le metodiche tradizionali, usa esclusivamente mosto cotto; per questo non pro-duce Aceto Balsamico di Modena. Cavalli non utilizza aceto di vino indispensabile per la preparazione del più

-lando aceti di vino e mosto concentrato-cotto.Bisogna prestare attenzione e non confondere i balsa-mici ottenuti da solo mosto cotto, tra cui i due prodot-ti DOP Aceto Blasamico Tradizionale.

Il commercio e il gusto

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Il NegroniSicuramente un simbolo del nostro Bel Paese, icona del bere made in

-ri di modernissimi cocktail bar del centro città.Nasce a Firenze dalle abili mani del barman Fosco Scarselli che la-

Parliamo del 1919/20 anni, in cui il conte Camillo Negroni frequen-

nei suoi viaggi londinesi, propone al barman di variare l’Americano (Campari, Vermouth rosso e seltz) bevuto di consuetudine. Chiede quindi a Fosco di mescere un drink alternativo e cioè di sostituire il seltz con il gin. Nasce così “l’Americano alla moda del conte Negro-ni” che diverrà col tempo IL NEGRONI nazionale.La ricetta:3 cl di gin, 3 cl di bitter Campari, 3 cl di vermut rosso dolce, Mezza fettina d'arancia, all’interno del drink.Preparazione:

con cura il bicchiere, riempire di ghiaccio ed aggiungere gli ingre-dienti.Mescolare con il bar spoon e guarnire con mezza fettina di arancia. Un drink servito"On the rocks", che non richiede la cannuccia.

Idea rivisitazione:NEGRONI guarda ad oriente2cl gin Marton 's (italianissimo), 3cl bitter Campari, 2cl amaro 18 Isola Bella, 1cl Chay tea sciroppo Fabbri.Conserveremo il classico sapore del Campari, useremo un gin italiano caldo e ben speziato, un amaro della tradizione che con le sue 18 erbe aromatizzi, profumi

"Strizzando" un piccolo zest di limone andremo poi a dare freschezza al drink che confezioneremo, come l'originale Negroni, direttamente nel bicchiere "on the rocks".Guarniremo con una strisciolina di scorza di limone ed un stecca di cannella. Il risultato sara' un interessante ed intrigante viaggio, tutto italiano ma con venti speziati che portano il pensiero verso oriente.

I COCKTAILS ITALIANI NELLA STORIAdi Cinzia Ferro

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cinque anni fa a Solarolo, piccolo paesino in provincia di Ravenna, grazie

a produrre, in modo autonomo, tutte le materie prime che gli occorrono per la produzione della birra, come il luppolo ed i cereali, curando così tutta la

Anche l'energia elettrica deriva da un impianto fotovoltaico aziendale.L'attività si sviluppa all'interno di una vecchia stalla di proprietà restaurata che si trova nel perimetro dell azienda agricola della famiglia. Le birre pro-dotte sono quasi tutte ad alta fermentazione come la Dora, bionda a 5 gradi, la Mora a 6 gradi, la Lova, ambrata a 8. Le ultime nate sono la Myale, la Marty, la Fior di Pesca, la 100 per cento e la Bheé.

la Mata

Il recupero delle rarità

In provincia di Ravenna c'è una particolare attenzione per il recupero di alcuni frutti rari, in via di estinzione, i cosiddetti dimenticati.Questa ricerca ha portato alcuni pionieri dell'agricoltura locale ad organizzarsi e, nelle domeniche di ottobre a Casola Valsenio, hanno da alcuni anni messo a punto una serie di sagre dove si possono vedere ed acquistare questi antichi

Per citarne alcuni troviamo la nespola, le sorbe, le avellane, le castagne, i corbezzoli, le corniole, le azzernole, le noci, le melograne, le mele della rosa, le cotogne, le pere volpine, prodotti che un tempo erano un'importante risorsa di sostentamento rurale autunnale alternativa.

A TUTTA BIRRA

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Il tesorodi Burson

Burson è il soprannome di una famiglia storica di una famiglia bagnacaval-lese, ora usato per indicare un vino locale che nasce dal vitigno autoctono Uva Longanesi, registrata nel registro nazionale Vigna e Vini nel 2000. E' un vitigno a bacca rossa strettamente legato al territorio romagnolo della provin-cia di Ravenna, in particolare circoscritto ai comuni di Bagnacavallo, Lugo, Russi, Godo, Fusignano, Cotignola e da poco allargato all'area collinare di Faenza.In origine era chiamato Nigrett, o "negretto" per la sua capacità di dare colo-

salvato dalla ormai estinzione a causa degli espianti massicci del dopoguerra legate alla coltivazione di uve altamente produttive, è da ricondurre sembra all'epoca romana, quando era loro uso e abitudine utilizzare il vino come bevanda quotidiana.Sembra che alcune piante si siano conservate nei secoli all'interno della Pi-neta di Classe, antico ex porto Romanico. Da qui alcune piante sono state recuperate e piantate da agricoltori curiosi all'interno dei propri fondi. E' cosi che nel 1920, Aldo Longanesi, anziano agricoltore ancora in vita, ne ha individuate alcune nella sua tenuta di Boncellino, frazione di Bagnacavallo, e recuperate assieme al nipote Daniele che oggi è il depositario di questo te-soro. Osservando questa vite ci si accorge facilmente che è sopravvissuta nel

Il grappolo è molto resistente alle malattie fungine ed è quindi in grado di restare in pianta molto più a lungo di altre tipologie locali, raggiungendo delle importanti gradazioni alcoliche. Oggi questo vitigno è preservato e col-tivato da un gruppo di piccoli produttori che si sono uniti nel Consorzio del Bagnacavallo, ente atto alla promozione. L'uva regala un vino molto concen-trato cromaticamente parlando, longevo, con una carica tannica importante in gioventù, caratteristiche che ne fanno un vino dal facile invecchiamento. Letipologie oggi in commercio sono nella versione giovane chiamato Etichetta Blu, una riserva Etichetta Nera e alcuni producono un piacevolissimo vino, ottenuto da lungo appassimento.

VINO E NON SOLO

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di Nicolucci Alessandro

Fattoria

Nicolucci

Predappio

The estate Fattoria Nicolucci di Nicolucci Alessandro has been producing vintage wines at Predappio Alta(a vine growing area historically renowned in Romagna) since 1885.Indeed since the year 1000, as quoted in the municipal statutes of the time, the local economy was based on Sangiovese vine growing: feudatories used to distribute the large vineyards among their peasants who’d take the greatest care of Bacchus’ trees.Fattoria Nicolucci di Nicolucci Alessandro is a typical Italian estate, a family run farm driven by the concept that the variety must match the terroir and climate; that’s why it continues to set the standard for Romagna and remains at the forefront of the region's top wine producers. Today, the winery and vineyards are operated under the same guiding principles with fourth generation wine-dresser Alessandro at the helm.Predappio has its own microclimates, its own traditions, and its own history, all of which are reflected in the wine produced at Fattoria Nicolucci di Nicolucci Alessandro.

Dal 1885 l’azienda vitivinicola Fattoria Nicolucci di Nicolucci Alessandro produce pregiati vini a Predappio Alta, area di grande importanza storica nella viticoltura della Romagna.Sin dall'anno 1000, come riportano gli statuti comunali dell'epoca, l'economia locale era fondata sulla produzione del Sangiovese in numerose vigne suddivise dalle Signorie feudatarie fra i "vignaioli" che coltivavano con cura l'albero di Bacco.La Fattoria Nicolucci di Nicolucci Alessandro è la tipica azienda vitivinicola italiana a conduzione familiare, retta dal concetto che vigne, territorio e clima sono tutt’uno; ecco perché continua ad essere il punto di riferimento della Romagna e l’alfiere dei produttori di Sangiovese. Oggi la cantina e i vigneti sono governati con i medesimi principi da Alessandro, enotecnico e quarta generazione della famiglia. Predappio ha il suo microclima, le sue tradizioni e la sua storia, tutto questo si riflette nei vini "Fattoria Nicolucci di Nicolucci Alessandro".

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Vitigno: Sangiovese (dall’acino piccolo) Il territorio: Predappio Alta (FC) – Italia Altitudine: 350 m s.l.m. Esposizione: Sud / Sud Est Tipologia di terreno: Argilloso, calcareo e sulfureo Sistema di Allevamento: Cordone speronato, Potatura Corta, diradamento estivo Resa: 2 Kg per pianta Vendemmia: Raccolta manuale nella prima settimana di Ottobre Diraspatura e Pigiatura: Fermentazione: a temperatura controllata a 28 gradi per 20 giorni

Fermentazione malolattica e

seguono 3 mesi in bottiglia Alcool: 14,00 Vol.

Note degustative: Colore rubino granato; al naso è com--

molto lungo e morbido ben sostenuto da tannini vivaciSi consiglia di passarlo al decanter due ore prima, accompagnandolo a carni rosse, selvaggina, cacciagione.

Riconoscimenti:- “TRE BICCHIERI” sulla guida Vini D’Italia Gambero Rosso edizioni 2009, 2012, 2013, 2014, 2015 e 2016;- Inserito “TOP HUNDRED” i 100 migliori Vini D’Italia del Glossario di Massorbio e Gatti;- “5 GRAPPOLI”, valutazione dell’Eccellenza, sulla guida DuemilaVini Bibenda 2011, 2012, 2013, 2014, 2015 e 2016.- Inserito tra le “ECCELLENZE” sulla guida L’Emilia Romagna da Bere edizioni 2008/2009, 2009/2010, 2011/2012 , 2014/2015 e 2015/2016;- Valutazione di «Eccellenza» sulla nuova guida Ais "Vitae la Guida Vini D'Italia" 2015 e 2016.- «Grande Vino» sulla guida Slow Wine 2016.

I nostri vini pregiati:Nero di Predappio - Sangiovese - Refosco - Merlot - IGTTre Rocche - Romagna Sangiovese - Superiore (D.O.C.)

I Mandorli - Romagna Sangiovese Superiore (D.O.C.)Grigio d’Appio - Bianco frizzante

Tre Rocche - IGP Bianco RubiconeGrigio Brut - Spumante brut

Passolo - Vino bianco dolce

Il Sangiovese Riserva “VIGNA DEL GENERALE” nasce dalla più vecchia vigna, di circa 90 anni, ancora esisten-te nel paese di Predappio, deve il suo nome e l’etichetta alla sua storia, alle vicende di un generale amante del vino che al ritorno dalla guerra acquistò il miglior terreno che c’era in paese e ci pianto le viti di Sangiovese, un Sangio-vese dall’acino piccolo molto particola-re in grado di poter dare vini molto longevi, da poter essere degustati an-che dopo 10, 15 o 20 anni.Il generale aveva un amico molto spe-ciale che si aggirava fra le sue vigne: un Lupo! Ghiotto d’uva! con la quale spesso si macchiava il manto grigio.Questa è la storia che ancora oggi si racconta in paese. E’ un vino prodot-to in quantità limitata e non per tut-ti, è corposo, minerale, e complesso sia all’olfatto che al gusto, bisbetico nei primi anni di vita per poi ammorbidir-si col tempo .

Fattoria Nicoluccidi Nicolucci AlessandroVia Umberto Primo, 2147016 Predappio Alta (FC)Tel/Fax: 00 39 (0) 543 922361Email: [email protected]

Un Vino da ricordare tutta la vita Predappio di Predappio Vigna del Generale

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Quando parliamo di futuro e innovazione nella ristora-zione, dobbiamo necessariamente parlare di strategia e Marketing, anche se queste due parole molto spesso nella ristorazione contemporanea si conoscono solo per sentito dire.Il marketing è una disciplina fondamentale negli affari e il contributo che apporta al successo di una società è ampiamente riconosciuto, una strategia di marketing vincente da luogo a prodotti più stabili, clienti più sod-disfatti e profitti maggiori, sia che abbiate piena re-sponsabilità delle operazioni di marketing della vostra società, in questo caso ristorante o bar sia che si tratti di un attività periferica, come spesso erroneamente ac-cade e per attività di semplicistica pubblicità.Spesso il marketing viene appunto confuso con pubbli-cità e promozione, che invece sono solo rami di questa disciplina, il marketing viene definito base primaria per la strategia, ma perché parlare di strategia o di marke-ting per la gestione di un ristorante?Semplicemente perché questa è la strada che porta al successo e non al fallimento, perché sorriso ( ad oggi presente in pochi locali) e materia prima non sono più sufficienti per far tornare i conti a fine mese, perché la concorrenza degli altri paesi Europei, senza pensare a quelli oltre oceano, è sempre più agguerrita e basa la propria strategia partendo sempre da elementi di Mar-keting. Comprendendo tutti i componenti del marke-ting, in particolar modo il ruolo centrale dei clienti, avrete fatto un passo avanti sulla strada del successo, in particolare il principio che deve fare da guida in questa innovazione strategica è il seguente: “ perché un cliente decide di acquistare la mia offerta invece che quella della concorrenza?” Tutti gli elementi che fanno parte di questa scelta, sono il punto di partenza per la vostra azione strategica.Vediamo quindi di definire il marketing, attuare una strategia efficace di marketing significa “produrre ciò che si può vendere, non vendere ciò che si può produr-re”.

Chi vende ciò che riesce a produrre incentra tutto sul prodotto: prima crea il prodotto, poi considera i clienti, in questo modo il marketing diventa solo un mezzo per indurre i clienti all’acquisto.Chi ha successo invece produce ciò che potrà vendere, sulla base di esigenze specifiche del cliente crea prodotti e servizi, nella ristorazione tutto questo sta in equili-brio tra una gestione troppo commerciale e una troppo idealistica e di concetto, in questo senso la concorren-za degli altri Stati prende terreno, nell’aver centrato questo equilibrio, e attenzione al fatto che, in Italia la ristorazione ha sempre goduto di vantaggi competitivi di grande spessore, materia prima, location geografica, servizio, oggi tutti e tre un po’ appannati, senza dub-bio i costi incidono ma anche l’essersi seduti e pensare di brillare per sempre di luce riflessa hanno pesato sul risultato finale. Leggiamo sempre con più frequenza di sensorialità e piacere dei sensi, credo che la vera stra-tegia parta da questo concetto, emozionare il cliente, emozionare la sua esperienza gastronomica, è impor-tante concentrarsi su ogni aspetto del marketing, non solo sulla promozione o sulle tecniche di vendita per portare il cliente all’acquisto, partendo da qui e con una gestione economica corretta, la vostra azienda sarà nel tempo un successo garantito, cito un locale nelle colline toscane che ho visitato di recente che a mio avviso ben attua il Marketing strategico: Il Colomabio di Casole D’Elsa. Anche se questo locale può vantare la Toscana come referenza, la location non è certo tra le più favorevoli, ed ecco che la strategia di Marke-ting viene per poter esistere, necessariamente attivata, l’orto dietro la casa dove i clienti vedono quello che si produce, la rete che protegge l’orto dalle aggressioni dei cinghiali, “ racconta una storia, vende un esperien-za” ogni tanto i cinghiali finiscono nel forno, a seconda delle stagioni, e soprattutto un equilibrio economico correttissimo tra l’aspettativa e il risultato finale nella soddisfazione dell’ospite, chiuderei affermando“ avanti tutta con il Marketing”.

Il Futuro è nella strategia

di Giacomo Pini

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di Sara Boni

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