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GHIACCIAI Nel 1800 erano 153 Due studi sul massimo dell’estensione nei tre secoli della «Piccola età glaciale» Centosessanta anni fa esistevano ghiacciai a nord di Cima d’Asta e nella conca sommitale del Catinaccio: ipotizzato un ghiacciaio sul Carega Fra ’500 e ’800 raggiunsero la superficie di oltre 112 km quadrati Le mappature per il nuovo catasto e la carta delle pericolosità resto delle Alpi. Se non giunsero a mi- nacciare gli abitati, come accadde ai piedi del Monte Bianco, scesero anche a quote relativamente basse come quelle dei pascoli, come mostra la Ori- ginalkarte di Julius Payer (1868), dove la lingua del Mandrone, in Val Genova era scesa sotto ai 1700 metri. Ma in quei secoli di peggioramento cli- matico seguiti al «piccolo optimum» medievale, quanti ghiacciai si conta- vano? Che limiti ebbero nella loro mas- sima espansione? E quali di essi si so- no estinti? A rispondere a queste do- mande, ricostruendo l’estensione e i depositi della Piccola età glaciale nel Trentino sono - con obiettivi diversi - da una parte il Muse e «Meteotrenti- no» della Provincia (ne parliamo in que- sta pagina), dall’altra il Servizio geolo- gico della Provincia in collaborazione con le Università di Padova, Pavia e Pi- sa (pagina a fianco). Il Nuovo catasto dei ghiacciai Per realizzare il Nuovo catasto dei ghiacciai trentini, l’evoluzione di tutti gli apparati glaciali dalla massima espansione ottocentesca ad oggi è sta- ta «fotografata» da Christian Casarotto (glaciologo e mediatore culturale) ed Elena Bertoni (geologa), entrambi del Muse. Un progetto finanziato dal Mu- seo delle scienze e dall’Osservatorio trentino sul clima della Provincia. Ne è risultata una cartografia, in sca- la 1:2000, che mostra nel dettaglio le variazioni della loro estensione e indi- ca come, nell’arco di quei secoli, i ghiacciai trentini giunsero a ricoprire oltre 112 chilometri quadrati di super- ficie rispetto agli attuali 32,2 (dato 2013). Un’estensione che già negli an- ni Cinquanta del ‘900 si era dimezzata e che si considera oggi persa al 70%. «Fra il 1850 e il 1958 - spiega Casarot- to - il ritiro è stato più elevato rispet- to al trentennio successivo: dal 1970 al 1986 c’è stata un’avanzata e dal 1986 il ritiro è costante. La perdita media annua è dell’1,8% della superficie, al- l’incirca come l’estensione del lago di Toblino. Alla fronte del ghiacciaio del Mandrone, nel gruppo dell’Adamello, la perdita è di circa 4 metri di spesso- re, quest’anno l’arretramento è stato di 39 metri». L’Adamello ha «sofferto» meno «Il lavoro - spiegano Casarotto e Ber- toni - è frutto di un grosso rilevamen- to sul terreno, alla ricerca delle trac- ce di morene, depositi glaciali, rock glacier, e della consultazione dei cata- sti dei ghiacciai italiani, catasti digita- li di Provincia (2003) e Sat (1987), car- tografie del passato e immagini stori- che, foto aeree, ortofoto, ecc. Abbia- mo così costruito in un “albero” l’evo- luzione di tutti gli apparati glaciali, estinti e presenti, evoluti e frammen- tati, dal massimo della Peg) ad oggi. ta per effetto del ritiro glaciale, stu- diando inoltre le conseguenze in ter- mini di acqua e suoi utilizzi, come ad esempio la produzione idroelettrica, per arrivare a delle considerazioni eco- nomiche e sociali e capire in quale di- rezione si stia andando». Prima della Piccola età glaciale Dal punto di vista della loro estensio- ne, i ghiacciai trentini di oggi possono essere paragonati a quelli di un miglia- io di anni fa. Al cosiddetto optimum climatico romano seguirono alternan- ze di periodi più o meno freddi ed una ricerca del 2011 dell’Istituto federale svizzero di ricerca per la foresta, la ne- ve e il paesaggio, ricostruendo i cam- biamenti climatici negli ultimi 2500 an- ni, ha messo in luce i possibili collega- menti con i grandi mutamenti econo- mici e sociali della storia. Secondo lo studio effettuato sulle precipitazioni e le temperature estive nell’Europa centrale, in età romana il clima era re- lativamente caldo e umido, e meno va- riabile. I mutamenti climatici fra il 250 e il 600 coinciderebbero con le migra- zioni e la caduta dell’Impero romano d’occidente, così come il peggioramen- to climatico medievale potrebbe esse- re collegato con le carestie, le epide- mie e la crisi del XIV secolo, FRONTI ALLE QUOTE PIÙ ALTE: DUE CASI TRENTINI LARES: 1959 L’arretramento del ghiacciaio del Lares, nel gruppo dell’Adamello (nella foto di Vigilio Marchetti si vede com’era nel 1959) ha subito un netto appiattimento della fronte, ben visibile al confronto con la foto a fianco. LARES: 2013 Il ghiacciaio del Lares, come si nota nella foto scattata da Adriano Dorna nel 2013, ha perso spessore e la lingua che mezzo secolo prima lo caratterizzava, abbandonando la conca dove si trova il lago. LA MARE: 1985 Dal 1985, data della foto di Secchieri, il Ghiacciaio di La mare (Cevedale) è arretrato di 770 metri e la sua fronte è «risalita» di circa 270 metri: a destra di questa non vi è più la massa glaciale fotografata. ari ricercatori - spiega il professor Alberto Carton - stimano che tra il 1850 e gli anni Settanta del ‘900 i ghiacciai delle Alpi abbiano perso il 35% della loro superficie e un altro 22% è stato perso entro la fine degli anni ‘90. Successive stime quantificano la perdita dal 1999 al 2010 in un ulteriore 9%». Un’accelerazione si è avuta a partire dal 1980, un’ulteriore intensificazione dal 2003. Il processo di «V Ghiacciai scomparsi «Nella Piccola età glaciale - spiegano Casarotto e Bertoni - la quota media minima era di 2540 metri, attualmen- te è di 2775». La quota più bassa, al Mandrone, è di 1686 metri, contro i 2600 del 2003, con un’estensione di 340 ettari contro i 78 attuali. In Marmola- da, la quota più bassa nella Peg è 2265 metri, contro i 2584 del 2003. L’esten- sione è passata da 558 a 136 ettari. Il ghiacciaio del Travignolo (Pale di San Martino) scendeva fino a 2.106 metri, esteso su 62 ettari contro i 20 attuali. Il Careser (Cevedale) arrivava a 2599 metri, estendendosi su 656 ettari con- tro i 158 odierni. I ghiacciai più «bassi» erano quelli del- le Pale di San Martino, e lo sono tutto- ra: Fradusta, ghiacciaio della Pala, Bu- sa dei Camosci. Erano a 2340 metri 160 anni fa. Le motivazioni? Si assiste ad una trasformazione da ghiacciai “bian- chi” a ghiacciai coperti di detrito. Vi è abbondante materiale detritico che crolla e protegge dalla fusione». Fra i ghiacciai scomparsi, tuttavia solo ipo- tizzato e catalogato quindi come incer- to, quello più meridionale è sul Care- ga. L’ipotesi, suggerita anche da topo- nimi locali, è che fosse esteso su 4,5 ettari e raggiungesse la quota minima di 1850 metri. Un ghiacciaio dolomiti- co scomparso è localizzato nella con- ca della cima Catinaccio (3 ettari), non lontano quello di Cima Uomo (Monzo- ni) dalla superficie stimata di 18 ettari. Gli effetti sull’uomo Concluso questo lavoro di ricostruzio- ne dei limiti e delle superficie glaciali dalla Peg ad oggi, Casarotto e Bertoni intendono studiarne gli effetti «Vorrem- mo capire - spiegano - come l’uomo che frequenta la montagna si compor- Depositi della Peg, ad esempio, si tro- vano anche in Cima d’Asta, sul versan- te nord, o sul Catinaccio». Il gruppo montuoso che ha fatto registrare la maggiore contrazione è il Brenta (87%), e in generale il ritiro è superiore nei gruppi dolomitici per motivi morfolo- gici e fisici. «Quello che ha “sofferto” meno è il gruppo dell’Adamello - con- tinua Christian Casarotto - dove la per- dita è stata “solo” del 64%». L’andamen- to peraltro non è uniforme, dipenden- do da vari fattori: «Nel Cevedale e sul- le Pale di San Martino, a seguito del- l’avanzata fino agli anni Settanta Ot- tanta è stata superata la posizione de- gli anni ‘50, probabilmente per le in- genti precipitazioni nevose». deglacializzazione non è omogeneo e si possono osservare evidenti differenze anche su ghiacciai posti a breve distanza , nello stesso gruppo. Dalla metà del XVI alla metà del XIX secolo, anche l’uso dei pascoli in quota (nel disegno di David Herrliberger, di metà 1700 circa, si nota un ghiacciaio) ha subito le conseguenze dell’avanzata glaciale: «Fra il 1650 e il 1700 diminuiscono le strutture, mentre nel corso del XVIII secolo gli edifici tornano sensibilmente ad aumentare» hanno scritto Marco Avanzini e Isabella Salvador nello studio su «Variazioni climatiche e antropizzazione delle terre alte tra XVII e XIX secolo nelle Prealpi trentine (Pasubio, Trento). La crescita di strutture in quota si accompagna alla netta risalita delle temperature dalla seconda metà del XIX secolo, in connessione con la rivoluzione dei sistemi economici agrari. L’aumento della temperatura legato alla crescita di strutture in quota Gli effetti sui pascoli e sull’agricoltura IL CASO l'Adige 14 venerdì 29 gennaio 2016 Primo Piano

GHIACCIAI - Italia Nostra Trento Onlus 01... · 2016. 1. 30. · ghiacciai trentini giunsero a ricoprire oltre 112 chilometri quadrati di super-ficie rispetto agli attuali 32,2 (dato

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Page 1: GHIACCIAI - Italia Nostra Trento Onlus 01... · 2016. 1. 30. · ghiacciai trentini giunsero a ricoprire oltre 112 chilometri quadrati di super-ficie rispetto agli attuali 32,2 (dato

GHIACCIAINel 1800 erano 153Due studi sul massimo dell’estensionenei tre secoli della «Piccola età glaciale»

Centosessanta anni faesistevano ghiacciaia nord di Cima d’Astae nella conca sommitaledel Catinaccio: ipotizzatoun ghiacciaio sul Carega

Fra ’500 e ’800raggiunsero lasuperficie di oltre112 km quadrati

Le mappatureper il nuovocatasto e la cartadelle pericolosità

FABRIZIO TORCHIO

ei circa trecento anni del-la «Piccola età glaciale», frametà Cinquecento e metàOttocento, i ghiacciai tren-tini avanzarono come nel

resto delle Alpi. Se non giunsero a mi-nacciare gli abitati, come accadde aipiedi del Monte Bianco, scesero anchea quote relativamente basse comequelle dei pascoli, come mostra la Ori-ginalkarte di Julius Payer (1868), dovela lingua del Mandrone, in Val Genovaera scesa sotto ai 1700 metri. Ma in quei secoli di peggioramento cli-matico seguiti al «piccolo optimum»medievale, quanti ghiacciai si conta-vano? Che limiti ebbero nella loro mas-sima espansione? E quali di essi si so-no estinti? A rispondere a queste do-mande, ricostruendo l’estensione e idepositi della Piccola età glaciale nelTrentino sono - con obiettivi diversi -da una parte il Muse e «Meteotrenti-no» della Provincia (ne parliamo in que-sta pagina), dall’altra il Servizio geolo-gico della Provincia in collaborazionecon le Università di Padova, Pavia e Pi-sa (pagina a fianco).Il Nuovo catasto dei ghiacciaiPer realizzare il Nuovo catasto deighiacciai trentini, l’evoluzione di tuttigli apparati glaciali dalla massimaespansione ottocentesca ad oggi è sta-ta «fotografata» da Christian Casarotto(glaciologo e mediatore culturale) ed Elena Bertoni (geologa), entrambi delMuse. Un progetto finanziato dal Mu-seo delle scienze e dall’Osservatoriotrentino sul clima della Provincia. Ne è risultata una cartografia, in sca-la 1:2000, che mostra nel dettaglio levariazioni della loro estensione e indi-ca come, nell’arco di quei secoli, ighiacciai trentini giunsero a ricoprireoltre 112 chilometri quadrati di super-ficie rispetto agli attuali 32,2 (dato2013). Un’estensione che già negli an-ni Cinquanta del ‘900 si era dimezzatae che si considera oggi persa al 70%.«Fra il 1850 e il 1958 - spiega Casarot-to - il ritiro è stato più elevato rispet-to al trentennio successivo: dal 1970al 1986 c’è stata un’avanzata e dal 1986il ritiro è costante. La perdita mediaannua è dell’1,8% della superficie, al-l’incirca come l’estensione del lago diToblino. Alla fronte del ghiacciaio delMandrone, nel gruppo dell’Adamello,la perdita è di circa 4 metri di spesso-re, quest’anno l’arretramento è statodi 39 metri».L’Adamello ha «sofferto» meno«Il lavoro - spiegano Casarotto e Ber-toni - è frutto di un grosso rilevamen-to sul terreno, alla ricerca delle trac-ce di morene, depositi glaciali, rockglacier, e della consultazione dei cata-sti dei ghiacciai italiani, catasti digita-li di Provincia (2003) e Sat (1987), car-tografie del passato e immagini stori-che, foto aeree, ortofoto, ecc. Abbia-mo così costruito in un “albero” l’evo-luzione di tutti gli apparati glaciali,estinti e presenti, evoluti e frammen-tati, dal massimo della Peg) ad oggi.

Nta per effetto del ritiro glaciale, stu-diando inoltre le conseguenze in ter-mini di acqua e suoi utilizzi, come adesempio la produzione idroelettrica,per arrivare a delle considerazioni eco-nomiche e sociali e capire in quale di-rezione si stia andando». Prima della Piccola età glacialeDal punto di vista della loro estensio-ne, i ghiacciai trentini di oggi possonoessere paragonati a quelli di un miglia-io di anni fa. Al cosiddetto optimumclimatico romano seguirono alternan-ze di periodi più o meno freddi ed unaricerca del 2011 dell’Istituto federalesvizzero di ricerca per la foresta, la ne-ve e il paesaggio, ricostruendo i cam-biamenti climatici negli ultimi 2500 an-ni, ha messo in luce i possibili collega-menti con i grandi mutamenti econo-mici e sociali della storia. Secondo lostudio effettuato sulle precipitazionie le temperature estive nell’Europacentrale, in età romana il clima era re-lativamente caldo e umido, e meno va-riabile. I mutamenti climatici fra il 250e il 600 coinciderebbero con le migra-zioni e la caduta dell’Impero romanod’occidente, così come il peggioramen-to climatico medievale potrebbe esse-re collegato con le carestie, le epide-mie e la crisi del XIV secolo,

FRONTIALLEQUOTEPIÙALTE:DUECASITRENTINI

LARES: 1959L’arretramento del ghiacciaio delLares, nel gruppo dell’Adamello(nella foto di Vigilio Marchetti sivede com’era nel 1959) hasubito un netto appiattimentodella fronte, ben visibile alconfronto con la foto a fianco.

LARES: 2013Il ghiacciaio del Lares, come sinota nella foto scattata daAdriano Dorna nel 2013, haperso spessore e la lingua chemezzo secolo prima locaratterizzava, abbandonando laconca dove si trova il lago.

LA MARE: 1985Dal 1985, data della foto diSecchieri, il Ghiacciaio di Lamare (Cevedale) è arretrato di770 metri e la sua fronte è«risalita» di circa 270 metri: adestra di questa non vi è più lamassa glaciale fotografata.

LA MARE: 2013Nella foto scattata nel 2013 daClaudio Delpero, il ghiacciaio diLa Mare è vistosamente arretrato.È stato calcolato chel’innalzamento medio della quotadella fronte del ghiacciaio sia dicirca 13 metri ogni anno.

Carton: «Liberateampie superficiantistanti le frontie il fianco internodegli argini morenici»

Perso il 70% in 160 anni

on il loro progressivo ar-retramento, come provail ritrovamento di Ötzi

nel 1991, i ghiacciai stanno met-tendo in luce testimonianzedella storia dell’uomo di epo-che passate. Con «Frozen Sto-ies», il Museo archeologico del-l’Alto Adige di Bolzano ha mes-so in mostra reperti dei ritro-vamenti archeologici di altaquota dal 5000 a.C. fino alla«Grande guerra» ed oltre. Dai ghiacciai emerge la storiaFra questi vi sono reperti ritro-vati recentemente in una zonaun tempo gelata nel comune diMalles Venosta: al Langgruben-joch, alla quota di 3.017 metri,l’archeologo della Soprinten-denza sudtirolese Hubert Stei-ner ha studiato alcuni di que-sti reperti, come una scando-la in larice datata al XIII seco-lo a.C., a suggerire l’esistenzadi costruzioni, e un gancio dacintura in legno datato al 1800a. C. circa. Dal ghiacciaio Por-chabella, in Engadina (Svizze-ra) sono stati restituiti i restidi una giovane donna del XVIIsecolo - forse vittima della ca-

C duta in un crepaccio - rinvenu-ti nel 1990, ai quali ha fatto se-guito il recupero dei vestiti, delcopricapo, di un rosario e unpettine, di scarpe isolate conla pece e una gavetta.Ancora,quattro ghette, calzatura e cal-zini datati all’800–500 a.C, so-no state rinvenute sulle Vedret-te di Ries, e un manico d’asciain legno di quercia (2700-2500a.C.) è emerso al Giogo di Tisa,a una cinquantina di metri dalluogo di ritrovamento di Ötzi.Peg: i metodi utilizzati«Per ricostruire i limiti massi-mi raggiunti dai ghiacciai du-rante la Piccola età glaciale, so-no state utilizzate metodologietradizionali e nuove soprattut-to per quanto riguarda l’indi-viduazione delle evidenze dimargine glaciale», spiega il pro-fessor Alberto Carton che, conaltri colleghi (colonna a fian-co) ha realizzato la mappatu-ra sulla base di dati di archivio,inventari, carte topografiche,foto storiche e immagini dapubblicazioni e archivi, carto-grafia antica. Sulla base delleevidenze di margine glaciale

generate durante la Piccola etàglaciale - osserva Carton - èpossibile ricostruire con unbuon grado di precisione la po-sizione ed estensione dei ghiac-ciai, utile per un confronto conla situazione attuale, ma ancheper la conoscenza delle areerecentemente deglaciate. Que-ste ultime hanno anche un ruo-lo importante sulla fornitura disedimenti e sull’innesco di unaserie di processi di instabilitàcome debris e mud flows (cola-te detritiche o di fango) chepossono generare della peri-colosità anche in aree situatemolto più a valle. Dati quanti-tativi significativi sono stati ri-cavati dall’interpretazione difoto aeree tradizionali, ortofo-to digitali e soprattutto da im-magini Lidar. Le indagini sulterreno sono state condotte se-guendo i tradizionali metodi dirilevamento geomorfologico edi geologia glaciale, accompa-gnate da osservazioni e anali-si. Con questi strumenti - spie-ga Carton - è stata realizzata lamappatura delle morfologieglaciali attuali (confini glacia-

Ghette e calzature sulle Vedrette di Ries, una donnadal ghiacciaio Porchabella nell’Engadina svizzera

RITROVAMENTI

Sotto il ghiaccio, le scandoleIn alta Venosta un manufatto del XIII secolo a. C.

a mappatura deighiacciai effettuata peril Servizio geologico

dalle Università di Padova,Pavia e Pisa indicaun’estensione glaciale, nellaPeg, di circa 123 chilometriquadrati, per un totale di 153ghiacciai. Un dato vicino aquello della ricerca Muse-Provincia, spiegabile conalcune differenze come le«zone grigie» considerate,quelle dei rock glacier o lelinee di limite a monte.«L’Adamello-Presanella -spiega Carton - era il gruppocon maggior areaglacializzata (71.1 km2) e conil maggior numero di corpiglaciali (67), mentre l’areaminore coperta da ghiacci(due ghiacciai) si trovava nelgruppo del Sella-Pordoi (0.28km2). Dalla Peg agli anni ’50si è passati dai 123 km2 a 63km2 di area glacializzata esuccessivamente a 43 km2nel 2006. «L’obiettivo diquesta ricerca - spiega Carton- è quello di ottenere unaconsolidata conoscenza dellaPeg del territorio trentino,considerando che può essereconsiderato come un “fossileguida” negli studi glaciologicie utilizzato anche comeriferimento per indagini sullevicende glaciali più antiche.Una corretta e dettagliatamappatura dei depositiglaciali riferibili alla Peg edalle successive fasi di ritiroassume importanza anchedal punto di vista applicativo.La fortissima riduzione arealee volumetrica dei ghiacciai inatto dalla fine della Peg -continua - ha liberato ampiesuperfici antistanti le fronti emesso progressivamente agiorno il fianco interno degli

L

incisione, con l’innesco dicolate detritiche) e allagravità che possono agiredirettamente sul corpo dellamorena. In altri casi, ildeterioramento dell’arginemorenico con conseguenterilascio di detriti sciolti puòavvenire per la fusione dinuclei di ghiaccio. Talesituazione attualmente si puòverificare solo incorrispondenza di morenePeg». Lo studio potrebbeessere utile anche a fronte diuna recrudescenza climatica -oggi difficilmente ipotizzabile- perché il ghiacciaiopotrebbe riprendere laposizione che aveva prima.Perché avvenga, spiegaCarton, non sono necessarigrandissimi sconvolgimenticlimatici. «Il limite delle neviè grosso modo più alto di180, 130 metri della Peg, asecondo delle situazioni: conmeno di un grado divariazione temperatura innegativo potremmo più omeno tornare alle posizionidella Peg». F. T.

IL DOCENTE

Piccola età glacialecome un “fossile guida”negli studi glaciologicie le vicende più antiche

Alberto Carton

argini morenici. Da questanuova configurazionemorfologica deriva unaabbondante disponibilità didepositi glaciali scioltiesposti all’aggressione diacque incanalate e diffuse inoccasione di forti piogge, dirotte glaciali o piùgeneralmente di rilasciimprovvisi di acqua. In talifrangenti l’originariaconfigurazione di un arginemorenico viene modificataprevalentemente dai processimodellatori connessiall’acqua (erosione al piede,erosione lineare, sovra

li, argini morenici, laghi sopra-glaciali e proglaciali, ecc.) e diquelle antiche, riconducibili al-la Piccola età glaciale: crestedi morene latero frontali, trimline (linee sul fianco di una val-le di origine glaciale). Questeultime hanno permesso di ri-costruire esattamente in granparte l’effettiva dimensione deighiacciai durante la loro mas-sima espansione del XIX seco-lo.

ari ricercatori - spiega ilprofessor Alberto Carton -stimano che tra il 1850 e

gli anni Settanta del ‘900 i ghiacciaidelle Alpi abbiano perso il 35%della loro superficie e un altro 22%è stato perso entro la fine degli anni‘90. Successive stime quantificanola perdita dal 1999 al 2010 in unulteriore 9%». Un’accelerazione si èavuta a partire dal 1980,un’ulteriore intensificazione dal2003. Il processo di

«V

Un ritiro documentato

Sopra, la «risalita» del ghiacciaio della Marmolada dallaPiccola età glaciale (Peg) al 2003 (linea gialla) e al 2013(foto Muse). A fianco il ghiacciaio della Fradusta nel 1996(foto Cancian del 1996) e sopra nel 2013 (foto FedericoCroci). A sinistra la fronte del Mandron nel 1865 (Payer).

Grossglockner(Austria): sulghiacciaio Pasterze i cartelli mostranoil progressivo ritiro.Nella foto il limitedel ghiacciaio nel2005, l’immagine èstata ripresa quattroanni dopo, nel 2009(foto F. Torchio)

� La ricercaA delineare i limitiraggiunti dai ghiacciaidurante la Piccola etàglaciale, ed i rispettividepositi, ai finidell’inserimento dei datinelle Carte dellapericolosità realizzatedalla Provincia di Trentohanno lavorato AlbertoCarton e Thomas Zanoner(Università di Padova),Luca Carturan(Dipartimento Tesaf dellastessa Università),Roberto Seppi (Universitàdi Pavia), Carlo Baroni eMaria Cristina Salvatore(Università di Pisa) eMatteo Zumiani (Serviziogeologico della Provinciadi Trento).

� L’arco temporale«Durante l’ultimomillennio un importantepeggioramento climaticoglobale, durato alcunecentinaia di anni, che halasciato profonde traccenel paesaggio è senzadubbio rappresentatodalla Piccola Età Glaciale(Peg, «Little Ice Age», dallametà del XVI alla metà delXIX secolo)», osserva ilprofessor Alberto Carton.«Tale episodio hafortemente influenzatol’ambiente naturale; inquesto intervallo ditempo, nelle zone dimontagna i ghiacciaihanno raggiunto le lorodimensioni massime».

Ghiacciai scomparsi«Nella Piccola età glaciale - spieganoCasarotto e Bertoni - la quota mediaminima era di 2540 metri, attualmen-te è di 2775». La quota più bassa, alMandrone, è di 1686 metri, contro i2600 del 2003, con un’estensione di 340ettari contro i 78 attuali. In Marmola-da, la quota più bassa nella Peg è 2265metri, contro i 2584 del 2003. L’esten-sione è passata da 558 a 136 ettari. Ilghiacciaio del Travignolo (Pale di SanMartino) scendeva fino a 2.106 metri,esteso su 62 ettari contro i 20 attuali.Il Careser (Cevedale) arrivava a 2599metri, estendendosi su 656 ettari con-tro i 158 odierni.I ghiacciai più «bassi» erano quelli del-le Pale di San Martino, e lo sono tutto-ra: Fradusta, ghiacciaio della Pala, Bu-sa dei Camosci. Erano a 2340 metri 160anni fa. Le motivazioni? Si assiste aduna trasformazione da ghiacciai “bian-chi” a ghiacciai coperti di detrito. Vi èabbondante materiale detritico checrolla e protegge dalla fusione». Fra ighiacciai scomparsi, tuttavia solo ipo-tizzato e catalogato quindi come incer-to, quello più meridionale è sul Care-ga. L’ipotesi, suggerita anche da topo-nimi locali, è che fosse esteso su 4,5ettari e raggiungesse la quota minimadi 1850 metri. Un ghiacciaio dolomiti-co scomparso è localizzato nella con-ca della cima Catinaccio (3 ettari), nonlontano quello di Cima Uomo (Monzo-ni) dalla superficie stimata di 18 ettari.Gli effetti sull’uomoConcluso questo lavoro di ricostruzio-ne dei limiti e delle superficie glacialidalla Peg ad oggi, Casarotto e Bertoniintendono studiarne gli effetti «Vorrem-mo capire - spiegano - come l’uomoche frequenta la montagna si compor-

Depositi della Peg, ad esempio, si tro-vano anche in Cima d’Asta, sul versan-te nord, o sul Catinaccio». Il gruppomontuoso che ha fatto registrare lamaggiore contrazione è il Brenta (87%),e in generale il ritiro è superiore neigruppi dolomitici per motivi morfolo-gici e fisici. «Quello che ha “sofferto”meno è il gruppo dell’Adamello - con-tinua Christian Casarotto - dove la per-dita è stata “solo” del 64%». L’andamen-to peraltro non è uniforme, dipenden-do da vari fattori: «Nel Cevedale e sul-le Pale di San Martino, a seguito del-l’avanzata fino agli anni Settanta Ot-tanta è stata superata la posizione de-gli anni ‘50, probabilmente per le in-genti precipitazioni nevose».

deglacializzazione non è omogeneoe si possono osservare evidentidifferenze anche su ghiacciai postia breve distanza , nello stessogruppo. Dalla metà del XVI allametà del XIX secolo, anche l’uso deipascoli in quota (nel disegno diDavid Herrliberger, di metà 1700circa, si nota un ghiacciaio) hasubito le conseguenzedell’avanzata glaciale: «Fra il 1650 eil 1700 diminuiscono le strutture,mentre nel corso del XVIII secolo gli

edifici tornano sensibilmente adaumentare» hanno scritto MarcoAvanzini e Isabella Salvador nellostudio su «Variazioni climatiche eantropizzazione delle terre alte traXVII e XIX secolo nelle Prealpitrentine (Pasubio, Trento). Lacrescita di strutture in quota siaccompagna alla netta risalita delletemperature dalla seconda metàdel XIX secolo, in connessione conla rivoluzione dei sistemieconomici agrari.

A destra le morenedel ghiacciaio La Mare(foto Muse), sotto laPresanella nella cartadel DuÖAV del 1903

� LA SCHEDA

L’aumento della temperatura legato alla crescita di strutture in quota

Gli effetti sui pascoli e sull’agricolturaIL CASO

l'Adige14 venerdì 29 gennaio 2016 l'Adige 15venerdì 29 gennaio 2016Primo Piano Primo Piano

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GHIACCIAINel 1800 erano 153Due studi sul massimo dell’estensionenei tre secoli della «Piccola età glaciale»

Centosessanta anni faesistevano ghiacciaia nord di Cima d’Astae nella conca sommitaledel Catinaccio: ipotizzatoun ghiacciaio sul Carega

Fra ’500 e ’800raggiunsero lasuperficie di oltre112 km quadrati

Le mappatureper il nuovocatasto e la cartadelle pericolosità

FABRIZIO TORCHIO

ei circa trecento anni del-la «Piccola età glaciale», frametà Cinquecento e metàOttocento, i ghiacciai tren-tini avanzarono come nel

resto delle Alpi. Se non giunsero a mi-nacciare gli abitati, come accadde aipiedi del Monte Bianco, scesero anchea quote relativamente basse comequelle dei pascoli, come mostra la Ori-ginalkarte di Julius Payer (1868), dovela lingua del Mandrone, in Val Genovaera scesa sotto ai 1700 metri. Ma in quei secoli di peggioramento cli-matico seguiti al «piccolo optimum»medievale, quanti ghiacciai si conta-vano? Che limiti ebbero nella loro mas-sima espansione? E quali di essi si so-no estinti? A rispondere a queste do-mande, ricostruendo l’estensione e idepositi della Piccola età glaciale nelTrentino sono - con obiettivi diversi -da una parte il Muse e «Meteotrenti-no» della Provincia (ne parliamo in que-sta pagina), dall’altra il Servizio geolo-gico della Provincia in collaborazionecon le Università di Padova, Pavia e Pi-sa (pagina a fianco).Il Nuovo catasto dei ghiacciaiPer realizzare il Nuovo catasto deighiacciai trentini, l’evoluzione di tuttigli apparati glaciali dalla massimaespansione ottocentesca ad oggi è sta-ta «fotografata» da Christian Casarotto(glaciologo e mediatore culturale) ed Elena Bertoni (geologa), entrambi delMuse. Un progetto finanziato dal Mu-seo delle scienze e dall’Osservatoriotrentino sul clima della Provincia. Ne è risultata una cartografia, in sca-la 1:2000, che mostra nel dettaglio levariazioni della loro estensione e indi-ca come, nell’arco di quei secoli, ighiacciai trentini giunsero a ricoprireoltre 112 chilometri quadrati di super-ficie rispetto agli attuali 32,2 (dato2013). Un’estensione che già negli an-ni Cinquanta del ‘900 si era dimezzatae che si considera oggi persa al 70%.«Fra il 1850 e il 1958 - spiega Casarot-to - il ritiro è stato più elevato rispet-to al trentennio successivo: dal 1970al 1986 c’è stata un’avanzata e dal 1986il ritiro è costante. La perdita mediaannua è dell’1,8% della superficie, al-l’incirca come l’estensione del lago diToblino. Alla fronte del ghiacciaio delMandrone, nel gruppo dell’Adamello,la perdita è di circa 4 metri di spesso-re, quest’anno l’arretramento è statodi 39 metri».L’Adamello ha «sofferto» meno«Il lavoro - spiegano Casarotto e Ber-toni - è frutto di un grosso rilevamen-to sul terreno, alla ricerca delle trac-ce di morene, depositi glaciali, rockglacier, e della consultazione dei cata-sti dei ghiacciai italiani, catasti digita-li di Provincia (2003) e Sat (1987), car-tografie del passato e immagini stori-che, foto aeree, ortofoto, ecc. Abbia-mo così costruito in un “albero” l’evo-luzione di tutti gli apparati glaciali,estinti e presenti, evoluti e frammen-tati, dal massimo della Peg) ad oggi.

Nta per effetto del ritiro glaciale, stu-diando inoltre le conseguenze in ter-mini di acqua e suoi utilizzi, come adesempio la produzione idroelettrica,per arrivare a delle considerazioni eco-nomiche e sociali e capire in quale di-rezione si stia andando». Prima della Piccola età glacialeDal punto di vista della loro estensio-ne, i ghiacciai trentini di oggi possonoessere paragonati a quelli di un miglia-io di anni fa. Al cosiddetto optimumclimatico romano seguirono alternan-ze di periodi più o meno freddi ed unaricerca del 2011 dell’Istituto federalesvizzero di ricerca per la foresta, la ne-ve e il paesaggio, ricostruendo i cam-biamenti climatici negli ultimi 2500 an-ni, ha messo in luce i possibili collega-menti con i grandi mutamenti econo-mici e sociali della storia. Secondo lostudio effettuato sulle precipitazionie le temperature estive nell’Europacentrale, in età romana il clima era re-lativamente caldo e umido, e meno va-riabile. I mutamenti climatici fra il 250e il 600 coinciderebbero con le migra-zioni e la caduta dell’Impero romanod’occidente, così come il peggioramen-to climatico medievale potrebbe esse-re collegato con le carestie, le epide-mie e la crisi del XIV secolo,

FRONTIALLEQUOTEPIÙALTE:DUECASITRENTINI

LARES: 1959L’arretramento del ghiacciaio delLares, nel gruppo dell’Adamello(nella foto di Vigilio Marchetti sivede com’era nel 1959) hasubito un netto appiattimentodella fronte, ben visibile alconfronto con la foto a fianco.

LARES: 2013Il ghiacciaio del Lares, come sinota nella foto scattata daAdriano Dorna nel 2013, haperso spessore e la lingua chemezzo secolo prima locaratterizzava, abbandonando laconca dove si trova il lago.

LA MARE: 1985Dal 1985, data della foto diSecchieri, il Ghiacciaio di Lamare (Cevedale) è arretrato di770 metri e la sua fronte è«risalita» di circa 270 metri: adestra di questa non vi è più lamassa glaciale fotografata.

LA MARE: 2013Nella foto scattata nel 2013 daClaudio Delpero, il ghiacciaio diLa Mare è vistosamente arretrato.È stato calcolato chel’innalzamento medio della quotadella fronte del ghiacciaio sia dicirca 13 metri ogni anno.

Carton: «Liberateampie superficiantistanti le frontie il fianco internodegli argini morenici»

Perso il 70% in 160 anni

on il loro progressivo ar-retramento, come provail ritrovamento di Ötzi

nel 1991, i ghiacciai stanno met-tendo in luce testimonianzedella storia dell’uomo di epo-che passate. Con «Frozen Sto-ies», il Museo archeologico del-l’Alto Adige di Bolzano ha mes-so in mostra reperti dei ritro-vamenti archeologici di altaquota dal 5000 a.C. fino alla«Grande guerra» ed oltre. Dai ghiacciai emerge la storiaFra questi vi sono reperti ritro-vati recentemente in una zonaun tempo gelata nel comune diMalles Venosta: al Langgruben-joch, alla quota di 3.017 metri,l’archeologo della Soprinten-denza sudtirolese Hubert Stei-ner ha studiato alcuni di que-sti reperti, come una scando-la in larice datata al XIII seco-lo a.C., a suggerire l’esistenzadi costruzioni, e un gancio dacintura in legno datato al 1800a. C. circa. Dal ghiacciaio Por-chabella, in Engadina (Svizze-ra) sono stati restituiti i restidi una giovane donna del XVIIsecolo - forse vittima della ca-

C duta in un crepaccio - rinvenu-ti nel 1990, ai quali ha fatto se-guito il recupero dei vestiti, delcopricapo, di un rosario e unpettine, di scarpe isolate conla pece e una gavetta.Ancora,quattro ghette, calzatura e cal-zini datati all’800–500 a.C, so-no state rinvenute sulle Vedret-te di Ries, e un manico d’asciain legno di quercia (2700-2500a.C.) è emerso al Giogo di Tisa,a una cinquantina di metri dalluogo di ritrovamento di Ötzi.Peg: i metodi utilizzati«Per ricostruire i limiti massi-mi raggiunti dai ghiacciai du-rante la Piccola età glaciale, so-no state utilizzate metodologietradizionali e nuove soprattut-to per quanto riguarda l’indi-viduazione delle evidenze dimargine glaciale», spiega il pro-fessor Alberto Carton che, conaltri colleghi (colonna a fian-co) ha realizzato la mappatu-ra sulla base di dati di archivio,inventari, carte topografiche,foto storiche e immagini dapubblicazioni e archivi, carto-grafia antica. Sulla base delleevidenze di margine glaciale

generate durante la Piccola etàglaciale - osserva Carton - èpossibile ricostruire con unbuon grado di precisione la po-sizione ed estensione dei ghiac-ciai, utile per un confronto conla situazione attuale, ma ancheper la conoscenza delle areerecentemente deglaciate. Que-ste ultime hanno anche un ruo-lo importante sulla fornitura disedimenti e sull’innesco di unaserie di processi di instabilitàcome debris e mud flows (cola-te detritiche o di fango) chepossono generare della peri-colosità anche in aree situatemolto più a valle. Dati quanti-tativi significativi sono stati ri-cavati dall’interpretazione difoto aeree tradizionali, ortofo-to digitali e soprattutto da im-magini Lidar. Le indagini sulterreno sono state condotte se-guendo i tradizionali metodi dirilevamento geomorfologico edi geologia glaciale, accompa-gnate da osservazioni e anali-si. Con questi strumenti - spie-ga Carton - è stata realizzata lamappatura delle morfologieglaciali attuali (confini glacia-

Ghette e calzature sulle Vedrette di Ries, una donnadal ghiacciaio Porchabella nell’Engadina svizzera

RITROVAMENTI

Sotto il ghiaccio, le scandoleIn alta Venosta un manufatto del XIII secolo a. C.

a mappatura deighiacciai effettuata peril Servizio geologico

dalle Università di Padova,Pavia e Pisa indicaun’estensione glaciale, nellaPeg, di circa 123 chilometriquadrati, per un totale di 153ghiacciai. Un dato vicino aquello della ricerca Muse-Provincia, spiegabile conalcune differenze come le«zone grigie» considerate,quelle dei rock glacier o lelinee di limite a monte.«L’Adamello-Presanella -spiega Carton - era il gruppocon maggior areaglacializzata (71.1 km2) e conil maggior numero di corpiglaciali (67), mentre l’areaminore coperta da ghiacci(due ghiacciai) si trovava nelgruppo del Sella-Pordoi (0.28km2). Dalla Peg agli anni ’50si è passati dai 123 km2 a 63km2 di area glacializzata esuccessivamente a 43 km2nel 2006. «L’obiettivo diquesta ricerca - spiega Carton- è quello di ottenere unaconsolidata conoscenza dellaPeg del territorio trentino,considerando che può essereconsiderato come un “fossileguida” negli studi glaciologicie utilizzato anche comeriferimento per indagini sullevicende glaciali più antiche.Una corretta e dettagliatamappatura dei depositiglaciali riferibili alla Peg edalle successive fasi di ritiroassume importanza anchedal punto di vista applicativo.La fortissima riduzione arealee volumetrica dei ghiacciai inatto dalla fine della Peg -continua - ha liberato ampiesuperfici antistanti le fronti emesso progressivamente agiorno il fianco interno degli

L

incisione, con l’innesco dicolate detritiche) e allagravità che possono agiredirettamente sul corpo dellamorena. In altri casi, ildeterioramento dell’arginemorenico con conseguenterilascio di detriti sciolti puòavvenire per la fusione dinuclei di ghiaccio. Talesituazione attualmente si puòverificare solo incorrispondenza di morenePeg». Lo studio potrebbeessere utile anche a fronte diuna recrudescenza climatica -oggi difficilmente ipotizzabile- perché il ghiacciaiopotrebbe riprendere laposizione che aveva prima.Perché avvenga, spiegaCarton, non sono necessarigrandissimi sconvolgimenticlimatici. «Il limite delle neviè grosso modo più alto di180, 130 metri della Peg, asecondo delle situazioni: conmeno di un grado divariazione temperatura innegativo potremmo più omeno tornare alle posizionidella Peg». F. T.

IL DOCENTE

Piccola età glacialecome un “fossile guida”negli studi glaciologicie le vicende più antiche

Alberto Carton

argini morenici. Da questanuova configurazionemorfologica deriva unaabbondante disponibilità didepositi glaciali scioltiesposti all’aggressione diacque incanalate e diffuse inoccasione di forti piogge, dirotte glaciali o piùgeneralmente di rilasciimprovvisi di acqua. In talifrangenti l’originariaconfigurazione di un arginemorenico viene modificataprevalentemente dai processimodellatori connessiall’acqua (erosione al piede,erosione lineare, sovra

li, argini morenici, laghi sopra-glaciali e proglaciali, ecc.) e diquelle antiche, riconducibili al-la Piccola età glaciale: crestedi morene latero frontali, trimline (linee sul fianco di una val-le di origine glaciale). Questeultime hanno permesso di ri-costruire esattamente in granparte l’effettiva dimensione deighiacciai durante la loro mas-sima espansione del XIX seco-lo.

ari ricercatori - spiega ilprofessor Alberto Carton -stimano che tra il 1850 e

gli anni Settanta del ‘900 i ghiacciaidelle Alpi abbiano perso il 35%della loro superficie e un altro 22%è stato perso entro la fine degli anni‘90. Successive stime quantificanola perdita dal 1999 al 2010 in unulteriore 9%». Un’accelerazione si èavuta a partire dal 1980,un’ulteriore intensificazione dal2003. Il processo di

«V

Un ritiro documentato

Sopra, la «risalita» del ghiacciaio della Marmolada dallaPiccola età glaciale (Peg) al 2003 (linea gialla) e al 2013(foto Muse). A fianco il ghiacciaio della Fradusta nel 1996(foto Cancian del 1996) e sopra nel 2013 (foto FedericoCroci). A sinistra la fronte del Mandron nel 1865 (Payer).

Grossglockner(Austria): sulghiacciaio Pasterze i cartelli mostranoil progressivo ritiro.Nella foto il limitedel ghiacciaio nel2005, l’immagine èstata ripresa quattroanni dopo, nel 2009(foto F. Torchio)

� La ricercaA delineare i limitiraggiunti dai ghiacciaidurante la Piccola etàglaciale, ed i rispettividepositi, ai finidell’inserimento dei datinelle Carte dellapericolosità realizzatedalla Provincia di Trentohanno lavorato AlbertoCarton e Thomas Zanoner(Università di Padova),Luca Carturan(Dipartimento Tesaf dellastessa Università),Roberto Seppi (Universitàdi Pavia), Carlo Baroni eMaria Cristina Salvatore(Università di Pisa) eMatteo Zumiani (Serviziogeologico della Provinciadi Trento).

� L’arco temporale«Durante l’ultimomillennio un importantepeggioramento climaticoglobale, durato alcunecentinaia di anni, che halasciato profonde traccenel paesaggio è senzadubbio rappresentatodalla Piccola Età Glaciale(Peg, «Little Ice Age», dallametà del XVI alla metà delXIX secolo)», osserva ilprofessor Alberto Carton.«Tale episodio hafortemente influenzatol’ambiente naturale; inquesto intervallo ditempo, nelle zone dimontagna i ghiacciaihanno raggiunto le lorodimensioni massime».

Ghiacciai scomparsi«Nella Piccola età glaciale - spieganoCasarotto e Bertoni - la quota mediaminima era di 2540 metri, attualmen-te è di 2775». La quota più bassa, alMandrone, è di 1686 metri, contro i2600 del 2003, con un’estensione di 340ettari contro i 78 attuali. In Marmola-da, la quota più bassa nella Peg è 2265metri, contro i 2584 del 2003. L’esten-sione è passata da 558 a 136 ettari. Ilghiacciaio del Travignolo (Pale di SanMartino) scendeva fino a 2.106 metri,esteso su 62 ettari contro i 20 attuali.Il Careser (Cevedale) arrivava a 2599metri, estendendosi su 656 ettari con-tro i 158 odierni.I ghiacciai più «bassi» erano quelli del-le Pale di San Martino, e lo sono tutto-ra: Fradusta, ghiacciaio della Pala, Bu-sa dei Camosci. Erano a 2340 metri 160anni fa. Le motivazioni? Si assiste aduna trasformazione da ghiacciai “bian-chi” a ghiacciai coperti di detrito. Vi èabbondante materiale detritico checrolla e protegge dalla fusione». Fra ighiacciai scomparsi, tuttavia solo ipo-tizzato e catalogato quindi come incer-to, quello più meridionale è sul Care-ga. L’ipotesi, suggerita anche da topo-nimi locali, è che fosse esteso su 4,5ettari e raggiungesse la quota minimadi 1850 metri. Un ghiacciaio dolomiti-co scomparso è localizzato nella con-ca della cima Catinaccio (3 ettari), nonlontano quello di Cima Uomo (Monzo-ni) dalla superficie stimata di 18 ettari.Gli effetti sull’uomoConcluso questo lavoro di ricostruzio-ne dei limiti e delle superficie glacialidalla Peg ad oggi, Casarotto e Bertoniintendono studiarne gli effetti «Vorrem-mo capire - spiegano - come l’uomoche frequenta la montagna si compor-

Depositi della Peg, ad esempio, si tro-vano anche in Cima d’Asta, sul versan-te nord, o sul Catinaccio». Il gruppomontuoso che ha fatto registrare lamaggiore contrazione è il Brenta (87%),e in generale il ritiro è superiore neigruppi dolomitici per motivi morfolo-gici e fisici. «Quello che ha “sofferto”meno è il gruppo dell’Adamello - con-tinua Christian Casarotto - dove la per-dita è stata “solo” del 64%». L’andamen-to peraltro non è uniforme, dipenden-do da vari fattori: «Nel Cevedale e sul-le Pale di San Martino, a seguito del-l’avanzata fino agli anni Settanta Ot-tanta è stata superata la posizione de-gli anni ‘50, probabilmente per le in-genti precipitazioni nevose».

deglacializzazione non è omogeneoe si possono osservare evidentidifferenze anche su ghiacciai postia breve distanza , nello stessogruppo. Dalla metà del XVI allametà del XIX secolo, anche l’uso deipascoli in quota (nel disegno diDavid Herrliberger, di metà 1700circa, si nota un ghiacciaio) hasubito le conseguenzedell’avanzata glaciale: «Fra il 1650 eil 1700 diminuiscono le strutture,mentre nel corso del XVIII secolo gli

edifici tornano sensibilmente adaumentare» hanno scritto MarcoAvanzini e Isabella Salvador nellostudio su «Variazioni climatiche eantropizzazione delle terre alte traXVII e XIX secolo nelle Prealpitrentine (Pasubio, Trento). Lacrescita di strutture in quota siaccompagna alla netta risalita delletemperature dalla seconda metàdel XIX secolo, in connessione conla rivoluzione dei sistemieconomici agrari.

A destra le morenedel ghiacciaio La Mare(foto Muse), sotto laPresanella nella cartadel DuÖAV del 1903

� LA SCHEDA

L’aumento della temperatura legato alla crescita di strutture in quota

Gli effetti sui pascoli e sull’agricolturaIL CASO

l'Adige14 venerdì 29 gennaio 2016 l'Adige 15venerdì 29 gennaio 2016Primo Piano Primo Piano