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Genocidio dei Santi Martiri Armeni GENOCIDIO DEI SANTI MARTIRI ARMENI Foto di THE ARMENIAN GENOCIDE MUSEUM - INSTITUTE - Premessa Al Monaco Armeno Rev. Kevork Hintlian RINGRAZIO il Patriarcato armeno e il Consolato italiano in Gerusalemme per la documentazione offerta. I Frati francescani che con le loro testimonianze vissute in prima persona in Armenia durante il ventennio del grande martirio armeno hanno reso possibile la ricerca seguente e tra essi in particolare Padre Basilio Kerop Talatinian che ho incontrato negli ultimi anni e ci ha lasciati da poche settimane. Egli ha offerto uno dei contributi più preziosi in quanto lui ha pagato sulla sua stessa pelle il prezzo della deportazione. Insieme a lui un grazie speciale al francescano Cristoforo Alvi, studioso delle problematiche dell'Oriente Medio, e in modo tutto particolare ringrazio il Monaco Armeno Rev. Kevork Hintlian, figlio di genitori sfuggiti al genocidio, il quale durante mezzo secolo ha incontrato oltre 800 testimoni oculari del genocidio stesso. Senza di lui non sarebbe stato possibile questo pur modesto contributo Rosso Renato - Presentazione (Caro lettore, se ti stanchi di leggere, non dimenticare almeno l'ultimo capitolo.) Il testo che segue può essere visto come un semplice articolo di giornale la cui finalità è di mettere in grado il lettore di leggere l’intera raccolta fotografica che è tra i più preziosi documenti del martirio armeno. Per poter capire le immagini proposte è necessario conoscere un minimo di storia armena e almeno una parte di cronaca di quegli avvenimenti che consegnarono due milioni di vite alla storia del martirio cristiano. Le fotografie del genocidio dei cristiani armeni sono veramente rare sia per gli ambienti che per le modalità in cui i soggetti sono stati ritratti. Non sono immagini rubate agli sguardi distratti,bensì permesse e spesso volute o commissionate dagli stessi turchi orgogliosi del loro lavoro. Ho intitolato il testo “Genocidio dei santi martiri armeni”, perché a me interessava esporre la causa principale di questo infinito numero di cristiani che hanno dato la vita per Gesù Cristo o comunque per la sua causa e in ogni caso, chiaramente non sarebbero stati uccisi se non fossero stati cristiani. Altra ragione del titolo è il fatto che in base alla documentazione a disposizione è difficile stabilire che i Turchi avessero una chiara volontà di distruggere indiscriminatamente tutti gli Armeni in quanto razza, come fu invece per il genocidio ebraico, e anche perché in seguito ai metodi usati per l'eliminazione, i Turchi sapevano che alcuni sarebbero sopravvissuti. È invece possibile pensare che l'Impero Ottomano puntando a uno stato forte, unitario e islamico, avrebbe tollerato a fatica un gruppo abbastanza significativo di Cristiani residenti nel proprio territorio, infatti cercarono di eliminare se non tutti i cristiani , il numero più alto possibile. Il perché i Turchi non eliminarono tutti è dato però anche dal fatto che non volevano mostrare davanti al mondo la loro intenzione e per questo usarono una tecnica più subdola, quella della deportazione, che vedremo in seguito. Le espulsioni degli Armeni dal paese potevano essere una presa di posizione più tollerata. Si suppone infatti che un paese possa esiliare persone sospette o pericolose dal proprio territorio però nel nostro caso l'esilio si trasformò subito in deportazione che però aveva lo scopo di lasciare gli Armeni morti sulla strada prima di arrivare ai luoghi stabiliti (circa 25 campi di concentramento) e i pochi che sopravvivevano erano candidati a morte quasi certa. C'erano poi i barconi che trasportavano i deportati da Zar ad Ana. Al momento della partenza tutti potevano testimoniare il carico umano e pure all'arrivo si poteva verificare e documentare che i barconi erano arrivati, ma non era così visibile che arrivassero solo i due quinti delle persone imbarcate mentre tutti gli altri erano stati legati e buttati in acqua ad annegare. In

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Genocidio dei Santi Martiri Armeni

GENOCIDIO DEI SANTI MARTIRI ARMENI

Foto di

THE ARMENIAN GENOCIDE MUSEUM - INSTITUTE - Premessa Al Monaco Armeno Rev. Kevork Hintlian RINGRAZIO il Patriarcato armeno e il Consolato italiano in Gerusalemme per la documentazione offerta. I Frati francescani che con le loro testimonianze vissute in prima persona in Armenia durante il ventennio del grande martirio armeno hanno reso possibile la ricerca seguente e tra essi in particolare Padre Basilio Kerop Talatinian che ho incontrato negli ultimi anni e ci ha lasciati da poche settimane. Egli ha offerto uno dei contributi più preziosi in quanto lui ha pagato sulla sua stessa pelle il prezzo della deportazione. Insieme a lui un grazie speciale al francescano Cristoforo Alvi, studioso delle problematiche dell'Oriente Medio, e in modo tutto particolare ringrazio il Monaco Armeno Rev. Kevork Hintlian, figlio di genitori sfuggiti al genocidio, il quale durante mezzo secolo ha incontrato oltre 800 testimoni oculari del genocidio stesso. Senza di lui non sarebbe stato possibile questo pur modesto contributo

Rosso Renato - Presentazione (Caro lettore, se ti stanchi di leggere, non dimenticare almeno l'ultimo capitolo.) Il testo che segue può essere visto come un semplice articolo di giornale la cui finalità è di mettere in grado il lettore di leggere l’intera raccolta fotografica che è tra i più preziosi documenti del martirio armeno. Per poter capire le immagini proposte è necessario conoscere un minimo di storia armena e almeno una parte di cronaca di quegli avvenimenti che consegnarono due milioni di vite alla storia del martirio cristiano. Le fotografie del genocidio dei cristiani armeni sono veramente rare sia per gli ambienti che per le modalità in cui i soggetti sono stati ritratti. Non sono immagini rubate agli sguardi distratti,bensì permesse e spesso volute o commissionate dagli stessi turchi orgogliosi del loro lavoro. Ho intitolato il testo “Genocidio dei santi martiri armeni”, perché a me interessava esporre la causa principale di questo infinito numero di cristiani che hanno dato la vita per Gesù Cristo o comunque per la sua causa e in ogni caso, chiaramente non sarebbero stati uccisi se non fossero stati cristiani. Altra ragione del titolo è il fatto che in base alla documentazione a disposizione è difficile stabilire che i Turchi avessero una chiara volontà di distruggere indiscriminatamente tutti gli Armeni in quanto razza, come fu invece per il genocidio ebraico, e anche perché in seguito ai metodi usati per l'eliminazione, i Turchi sapevano che alcuni sarebbero sopravvissuti. È invece possibile pensare che l'Impero Ottomano puntando a uno stato forte, unitario e islamico, avrebbe tollerato a fatica un gruppo abbastanza significativo di Cristiani residenti nel proprio territorio, infatti cercarono di eliminare se non tutti i cristiani , il numero più alto possibile. Il perché i Turchi non eliminarono tutti è dato però anche dal fatto che non volevano mostrare davanti al mondo la loro intenzione e per questo usarono una tecnica più subdola, quella della deportazione, che vedremo in seguito. Le espulsioni degli Armeni dal paese potevano essere una presa di posizione più tollerata. Si suppone infatti che un paese possa esiliare persone sospette o pericolose dal proprio territorio però nel nostro caso l'esilio si trasformò subito in deportazione che però aveva lo scopo di lasciare gli Armeni morti sulla strada prima di arrivare ai luoghi stabiliti (circa 25 campi di concentramento) e i pochi che sopravvivevano erano candidati a morte quasi certa. C'erano poi i barconi che trasportavano i deportati da Zar ad Ana. Al momento della partenza tutti potevano testimoniare il carico umano e pure all'arrivo si poteva verificare e documentare che i barconi erano arrivati, ma non era così visibile che arrivassero solo i due quinti delle persone imbarcate mentre tutti gli altri erano stati legati e buttati in acqua ad annegare. In

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seguito i turchi si difesero nei tribunali dicendo che durante le deportazioni, tutte quelle centinaia di migliaia di armeni erano morti di fame, malattia e stenti e non direttamente uccisi, anche se i massacri di massa perpetrati furono tanti. Per questa ragione a mio avviso è più corretto parlare di genocidio dei santi martiri armeni o se si vuole Massacro Armeno e Genocidio dei Cristiani. Si può anche dire che mentre è pericoloso abusare indistintamente del termine genocidio è altrettanto importante riconoscere quanto sia innegabile. Al termine della Presentazione voglio sottolineare che la ragione per cui mi sono occupato di questo argomento è il fatto che gli Armeni hanno uno ruolo molto importante nella storia di quelli che oggi chiamiamo Gypsies. Mi limito a dire che quasi certamente abbiamo un grande numero di martiri cristiani zingari vittime di questo genocidio, ma al momento di questa pubblicazione la mia ricerca al riguardo non è ancora terminata. La maggior parte dei testi che riporto sono luoghi comuni in molte pubblicazioni e quindi sono diventati patrimonio storico che non necessita essere suffragato da questa o quella citazione. Se qualcuno deve fare uno studio storico per la propria Università o per altre ragioni scientifiche può consultare i testi che ho riportato nel breve capitolo “Documenti”. LA STORIA - Alle fonti del popolo armeno Il territorio che poi prese il nome di Armenia si identifica con il luogo geografico che la Bibbia chiamò Paradiso terrestre. Prima del IX secolo, gruppi tribali erano coloro che occupavano quella regione che va dalla Siria del Nord alla Transcaucasia comprendendo i due laghi di Urmia e Van. Coloro che poi si chiamarono Armeni erano dei gruppi tribali seminomadi che arrivavano dalle steppe della Russia e Basso Danubio che poi si estesero fino alla Frigia. Nella stessa epoca e dalle stesse regioni russe si spostarono numerosi gruppi nomadi che oggi chiamiamo Ariani. Questi si incamminarono verso l'Oriente raggiungendo il Nord-Ovest dell'India. In seguito l'Europa diventò debitrice di quell'antica cultura portata prima dagli Armeni e poi dagli Ariani facendo di noi degli Indo-Europei. Calcolando che gli Ariani arrivarono nel Nord India Occidentale, non prima del 1000 A.C. non sarebbero arrivati in tempo per influenzare l'Europa con lingua e cultura, ma arrivarono molto prima gli Armeni i quali partirono dal nord all'incirca nello stesso tempo degli Ariani, ma arrivarono almeno 1000 anni prima degli Ariani stessi. Se questa ipotesi potesse essere suffragata da una seria documentazione potrebbe rivoluzionare significativamente la storiografia. L'Armenia durante il corso degli anni per via della sua posizione strategica visse non solo le proprie lotte ma anche quelle degli altri. Si può dire che la storia dell'Armenia fu una battaglia continua, dall'espansione della Persia in cui ebbe a che fare con il Re Dario (V sec.A.C.) poi con Alessandro il Grande (331), influenzata dalla civiltà persiana prima e da quella greca dopo vide formarsi al suo interno una cultura che è la sintesi dell'Oriente e dell'Occidente. Verso la fine del I sec. D.C. dovette inoltre affrontare anche l'Impero Romano. In questo scontro dapprima ne uscì vincente ma dopo che Roma si alleò con Pompeo l'Armenia dovette cedere anche se i due grandi blocchi alleati impiegarono ben 30 anni a piegarla definitivamente. In seguito l'Armenia diventò uno stato cliente di Roma fin quando con Diocleziano entrò nella cerchia romana. Divenne poi suddita della Persia, fin quando stanca delle ingerenze persiane gli Armeni si ribellano nel 451 e si scontrano con 212.000 soldati più un considerevole numero di elefanti mentre il loro esercito era appena di 60.000 uomini. Inutile dire che furono sconfitti ma nonostante ciò gli Armeni trincerati in diversi gruppi quasi invisibili adottarono una tecnica che potrebbe assomigliare alla guerriglia ante-litteram che sfiancò la Persia al punto che questa rinunciò al controllo totale delle istituzioni politiche e religiose del Paese. Nel sec. VI l'Armenia dovette affrontare l'espansione araba e nel 654 molte città vennero sottomesse. Si susseguirono poi tempi di maggior libertà alternati da periodi dominati da ingerenze straniere, fino a quando i bizantini (X sec.), i Greci, e nuovamente i Turchi (1064) la invasero, per saccheggiare, schiavizzare e massacrare, riducendo l'Armenia a un rottame. Ma da queste ceneri pur nella schiavitù l'Armenia tornò ad esistere, fin quando all'inizio del XIII sec. venne invasa dai Mongoli che la piegarono al loro potere fino a quando Tamerlano (1387) arrivò, saccheggiando, distruggendo e uccidendo. Per dimostrare la sua forza però risparmiò gli ultimi 4000 soldati Armeni perché preferì farli seppellire vivi tutti quanti e poi, radunato il massimo numero di bambini possibile, li fece calpestare dai cavalli del suo esercito. Si susseguirono secoli di relativa pace fino all'ultima occupazione dell'Impero Ottomano. - Storia di un genocidio (2 milioni di morti)

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I prodromi 21 marzo,1828 Alcune parti della Armenia, specialmente le regioni di Yerevan e di Nakhichevan vengono annesse alla Russia 18 febbraio,1856 Viene promulgato un Progetto di Riforma dove all'articolo 9 si dice che il Sultano promette di mettere in atto le Riforme nelle Provincie cristiane. Il progetto prevedeva l'abolizione di tutti i privilegi dei Mussulmani, ma queste riforme non furono mai applicate. 1862 Iniziano disordini e massacri nella regione del Tauro. Insurrezione sulle montagne di Zeythun. Inizia una occupazione turca di una regione quasi autonoma. 29 marzo,1863 La “Costituzione Nazionale Armena è stata ratificata da un editto imperiale per ridefinire la struttura della Comunità Armena, affidando le funzioni amministrative al Patriarcato e preparando un'Assemblea di 140 membri eletti. 24 aprile, 1877 La Russia dichiara guerra alla Turchia. I Turchi massacrano 300.000 Bulgari. La Russia, da questo avvenimento trae vantaggio e invade l'Armenia. Durante la guerra Turco-Russa la popolazione Armena delle regioni di Bayazid, Diadin e Alashgerd venne quasi del tutto sterminata 3 marzo, 1878 Viene firmato il Trattato di S. Stefano. All'Articolo 16 si chiede all'Impero Ottomano di iniziare le riforme nelle Province Armene. 13 luglio, 1878 Viene firmato il Trattato di Berlino. Si richiedono ancora riforme da parte del Governo Ottomano in favore dell'Armenia dal 1879 al 1894 Anche gli Stati Europei si lamentano che le riforme per l'Armenia non vengono fatte. Da parte della Turchia c'è tanta pigrizia e si abbandonano gli sforzi di implementare le riforme. Agosto-ottobre 1894 Gli Armeni si rifiutano di pagare le tasse illecite che i Curdi vorrebbero riscuotere in Sassoun. Attentato contro l'oppressione Curda. Si sono susseguiti massacri contro Armeni in Sassoun. Inizio delle persecuzioni. 1895 Dal secolo XV gli Armeni erano sotto il dominio ottomano e in diverse occasioni gli stessi avevano mostrato la loro insofferenza e le aspirazioni di indipendenza. Nell'ultimo trentennio del secolo XIX gli Armeni erano stati bersaglio dei Curdi e Circassi in diversi modi per cui in un primo momento avevano fatto appello al governo turco affinché intervenisse contro questo disordine, ma a nulla valsero i reclami. Gli Armeni allora si rivolsero all'estero per avere protezione dalle

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Potenze europee che avrebbero potuto far pressione sulla Turchia per intervenire contro i Curdi e i Circassi, ma la Turchia non prendeva alcuna posizione anche se prometteva di farlo.

Nel 1874, nel Trattato di Berlino, le Potenze europee chiesero formalmente alla Turchia di porre fine alle predette vessazioni, ma quelle carte firmate, al Governo ottomano non recavano alcun disturbo e non lo facevano sentire in nessun dovere di intervenire. Gli Armeni, per salvaguardare i loro diritti, formarono nel 1887 il partito Hinciak e in seguito quello di Tashnak. Pensavano che sarebbero stati sostenuti dalla Russia in una loro eventuale lotta per l'indipendenza, perché si era dimostrata benevola con loro in modo che questi potessero indebolire l'Impero Ottomano ed eventualmente, un giorno, offrire una possibilità in più alla Russia stessa di appropriarsi anche di Costantinopoli. La Russia poi aveva interesse ad arruolare degli Armeni nel proprio esercito. Però questo buon feeling con la Russia costò purtroppo molto caro agli Armeni. Nel frattempo il governo turco aveva aumentato le tasse e i Curdi avevano continuato ad opprimere gli Armeni così che questi ultimi mostravano sempre più segni di insubordinazione e questo serviva all'Impero Ottomano per motivare un attacco che covava da tempo. Così nel 1894-1895 il Sultano Abdul Hamid fu molto scontento del fatto che gli Armeni si fossero organizzati in due partiti e che avessero fatto ricorso alle Potenze europee. Il fatto ancora che questi fossero diventati insofferenti a causa delle persecuzioni da parte dei Curdi e a causa delle tasse e forse più ancora di queste cause giocava il fatto di quella segreta alleanza con i Russi, ma al di sopra di tutte le cause c'era quella che gli Armeni erano cristiani e in aggiunta l'Impero turco non avrebbe nemmeno disdegnato di confiscare tutto ciò che apparteneva ai Cristiani stessi. Per questo motivo il Sultano volle castigare gli Armeni e lo fece organizzando i tristemente famosi “battaglioni Hamidieh” formati da briganti Curdi e Circassi che pagò lautamente perché massacrassero gli Armeni. I predetti battaglioni, aiutati qua e là da truppe regolari si scagliarono contro le loro vittime uccidendo e derubando case e magazzini. Si ritiene che in questa persecuzione gli uccisi sarebbero stati 100.000, i villaggi devastati 2590, e obbligati ad accettare l'Islam gli abitanti di 650 villaggi (ovviamente coloro che non avevano accettato la nuova fede erano coloro che erano stati uccisi)”. (Cristoforo Alvi: “100 anni di Padre Basilio Talatinian” Gerusalemme, 214). Ora accennerò ad alcuni fatti meno importanti ma che avrebbero potuto essere la goccia che fa traboccare il vaso. Verso la fine del 1895 precisamente il 25 ottobre, in un mercato, un turco e un armeno ebbero a bisticciare. Si sentì un grido : “I cristiani si sono rivoltati per ammazzare i mussulmani” e questo avrebbe provocato una tragedia. C'è però un'altra tesi, dove si dice che il turco sarebbe stato trovato morto, il giorno dopo. La morte del Turco fu attribuita ai cristiani, i quali furono assaliti dai Turchi pestati e uccisi mentre le loro case e i loro magazzini furono saccheggiati. Il governo locale preparò un resoconto dei fatti ovviamente incolpando i Cristiani e inviò il tutto a Costantinopoli. La risposta immediata fu la seguente: “Usate le armi contro quelli che turbano la sicurezza pubblica”. Allora il Governatore, "seguendo il suggerimento di alcune persone influenti, designò per ogni quartiere della città guardie civili turche armate chi di fucile, chi di scimitarra, o di pugnale, o ancora di bastone per aggredire i cristiani che uscivano di casa. Non contento di questo, ordinò ai cristiani di aprire i loro magazzini. Quelli che credettero alle assicurazioni delle autorità e aprirono i loro portoni, videro quelle “guardie municipali” irrompere dentro e saccheggiarli”. (Cristoforo Alvi). Inoltre il Comandante turco Ferik Pascià invitò tutti i capi delle varie confessioni cristiane a tener aperte le chiese il 3 novembre perché ormai non c'era più da temere nessuna rappresaglia e la pace ormai era una verità. Molti credettero a quelle parole e aprirono case e botteghe e ripresero tutte le loro attività lavorative giornaliere, ma i soldati turchi, insieme con i Curdi e Circassi fecero uno scempio saccheggiando e devastando tutto, ferendo e uccidendo. Nel solo villaggio di Fernez vicino a Marasc avvenne una strage:

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“Il villaggio fu bombardato e la gente in fuga fu massacrata. In questa persecuzione, solo a Marasc, gli uccisi tra Armeni cattolici, protestanti e Armeni apostolici furono 822, le case saccheggiate 1543, gli spogliati di ogni bene 7900; molti dei sopravvissuti furono messi in prigione” (Cristoforo Alvi, “100 anni di Padre Basilio Kerop Talatinian”, Gerusalemme 2014).

La cifra conclusiva dei morti è quindi di 100.000 come accennato sopra. (J.Lepsius Pears Sir Edwin Pears in “Life of Abdul-Hamid” p.239). La stima del Patriarca che afferma il numero dei morti, in 300.000 potrebbe sembrare esagerato, ma se si considerano i morti dal '94 al '95 che ci sono stati a Van, a Costantinopoli, a Egin e le decine di migliaia di morti a causa della fame e della malattia, feriti che poi lentamente sono morti insieme a molti altri sfuggiti al conteggio dei Consoli e dei circa 100.000 forzati alla conversione; (ovviamente chi aveva rifiutato l'imposizione dell'Islam era stato ucciso). e si aggiungano 100.000 donne e ragazze rapite o trattenute negli harem. Gli storici più seri ritengono che il numero delle vittime è certamente superiore a 200.000 e si può avvicinare alla ipotesi del Patriarca armeno. Oltre ai morti si pensi ai saccheggi, alla rovina dei raccolti, i “250.000 villaggi che sono stati distrutti, migliaia di case incendiate, centinaia di dimore e di conventi che sono stati saccheggiati, demoliti o trasformati in moschee o in scuderie. Le provincie armene versavano in uno stato di desolazione, in preda alla carestia e alla epidemia di peste e di colera” (Y. Ternon – “Gli Armeni”, Bur, 2007), A tutto ciò si aggiunge l'emorragia delle forze armene a causa dell'immigrazione clandestina e regolare: 100.000 Armeni si rifugiarono in Transcaucasia (secondo i Novesty di San Pietroburgo, 1897), 50.000 in Europa Occidentale e America, 12.000 in Bulgaria. (P. Quillard e L. Margery p. 21). Si può considerare come ciò che preclude il futuro dell'Armenia è proprio questo esodo disperato, quando si sa che tutte le migliaia di persone uscite, quasi certamente non potranno più entrare e fuori rischieranno di perdere la loro identità come nazione proprio perché fatta a pezzi fisicamente, moralmente, politicamente e nella sua identità culturale e religiosa. Ma l'Armenia che rimane pur così ferita tenta sempre una risurrezione. - L'Armenia si riprende Già dal 1892 il partito Dashnak si organizzò per difendersi. Vennero create delle bande partigiane dette Fedai. Ci si organizzò in comitati e in bande di difesa e attacco. Si iniziarono le attività nella regione di Kars dove dei borghi armeni erano governati clandestinamente dal partito Dashnak: tre membri eletti in ogni comunità avevano un potere quasi assoluto: “amministravano la giustizia, raccoglievano le imposte, insegnavano l'Armeno e accoglievano i rifugiati”(Y. Ternon, “Gli Armeni”, Bur p.148). C'era un coordinamento per le riunioni nei villaggi e si organizzavano dei “finti matrimoni” nei quali si informava e addestrava la popolazione a difendersi con 30-50 uomini armati che potessero garantire la difesa nei villaggi. Se poi in quelle circostanze passava la Polizia i musicanti cominciavano a suonare. Da queste basi partivano agenti speciali che percorrevano l'Armenia Occidentale reclutando persone capaci di organizzare i villaggi armeni. In ogni paese, da 5 a 8 persone di fiducia formavano una “banda volante” che provvedeva ai bisogni dei Fedai per condurli da un villaggio all'altro e all'occorrenza assicurava loro l'evasione dal territorio per correre in aiuto a villaggi minacciati dai Curdi ( Ruben, “Memoires d'un partisan armenien”). “I Fedai sono meticolosamente selezionati e addestrati e la struttura dei gruppi è a compartimenti stagni; i membri di una compagnia non conoscono quelli delle altre compagnie. Tutti hanno il medesimo aspetto terrificante: la testa coperta da un fazzoletto rosso, quattro file di cartucce e pallottole di pistola incrociate sul torace, un pugnale alla cintura e un mantello senza maniche, portano una pistola tedesca Mauser a dieci colpi, un fucile russo Mossine e uno zaino contenente il

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minimo indispensabile di vestiario e cibo, qualche oggetto personale e un pezzetto di ostia. Il comandante di ciascuna Compagnia ha totale autorità sui suoi uomini al momento dell'azione: qualsiasi infrazione alla disciplina può essere punita con la morte... soltanto il capo conosce l'itinerario; dormono di giorno e si muovono di notte, alloggiano presso i contadini più poveri e non si fermano più di una settimana per non rischiare di essere localizzati e per non far pesare l'ospitalità”. (Rouben Ter Minassian, “Armenian freedom Fighters”, Boston,, J. Mandalian, 1963 p.72-75). I Fedai sono diventati dei leggendari eroi del Paese che, pur con delle esagerazioni, erano uomini onesti e disposti a dare la vita a ogni momento per il loro Paese. Apparentemente senza scrupoli perché sempre in mezzo alla lotta, ma sono essi uomini di fede, infatti portano con sé un pezzo di Eucarestia, affinché, in caso cadano nelle mani dei nemici, avendo il dovere di suicidarsi, possano almeno ricevere la comunione prima di morire. Nelle battaglie o negli attacchi improvvisi contro i Turchi uccidono solo gli uomini senza toccare donne o bambini. Nemmeno saccheggiano i paesi aggrediti. E ora, alcuni fatti , per capire come si muovono. Il 20 novembre 1901, 60 uomini di Andranik riparatisi nel Monastero di Arakhelots circondati da 1200 soldati ottomani hanno resistito per 19 giorni rifiutando di consegnarsi. Al mattino i soldati si accorsero che i Fedai nella notte erano riusciti a fuggire con il loro capo. Nel 1904, 150 Fedai si scontrano con 6000 soldati turchi. Malgrado le perdite riescono ad avvicinarsi ai nemici, ne falciano un gran numero e infine riescono ancora a sparire. Solo in un secondo momento accerchiati anche dalla fanteria che era venuta in aiuto ai quasi 6000 soldati, e dopo 2 giorni di resistenza, i Fedai vennero uccisi quasi tutti. Un altro fatto che merita di essere registrato è quello del 1903 in cui i Turchi decisero di attaccare Mush e Sasun dove restavano 180.000 uomini armeni in 700 villaggi. 10.000 soldati delle forze regolari e 5000-7000 Hamidiye di rinforzo occuparono i villaggi commettendo ogni nefandezza. Dall'11 al 22 aprile gli Armeni si difesero e anche attaccarono in qualche momento. In seguito gli abitanti di 45 villaggi si riunirono a Geliguzan resistendo alcuni giorni fino a quando l'artiglieria turca sfondò le difese e i Fedai con il loro capo Murad tentarono di evacuare la popolazione nella pianura di Mush dove riuscirono ancora a proteggerla anche se per poco e contro ogni speranza, fino alla fine: bilancio 3000 morti. Questa è l'Armenia che muore ma a caro prezzo.

Bisogna poi ricordare, tra i movimenti popolari la Federazione Rivoluzionaria Armena, FRA. Il suo obiettivo è puntare a “l'emancipazione politica ed economica dell'Armenia turca mediante una vasta insurrezione rivoluzionaria”. Ecco il loro programma: “Noi non inseguiamo la chimera della resurrezione dell'antica Armenia indipendente, ma vogliamo le stesse libertà e diritti per tutte le popolazioni del nostro paese in una Federazione libera e egualitaria” (Rapporto FRA al Congresso internazionale socialista di Londra, 25, luglio, 1996, stilato a Ginevra, Redazione “Droshak”). E la FRA giocò uno ruolo importante nel 1903, che fu il seguente: Il governatore del Caucaso, Principe Galitsin spaventato dalla forza armena era riuscito col consenso dello Zar a far chiudere le scuole armene, le loro associazioni culturali, i giornali e le biblioteche armene e nel giugno 1903 alla confisca dei beni della Chiesa. Dopo questi avvenimenti anche la borghesia chiese aiuto ai partiti popolari per organizzare la difesa e la FRA che rappresentava la base armena più attiva e rivoluzionaria accettò di spostare il suo centro di interesse non solo agli Armeni della Turchia, ma si estese anche agli Armeni di Russia. Dal 1907 la FRA adottò un programma socialista, ma con obiettivi diversi, cioè per l'Armenia Occidentale comportava lotta per una autonomia locale e legami federativi in seno all'impero Ottomano, mentre per l'Armenia Orientale si lottava per una Repubblica Democratica transcaucasica inserita in una Repubblica federale russa. La FRA pur comprendendo che il socialismo non era la soluzione perfetta per l'economia e politica armena, si accorse però del pericolo molto più grande dell'imperialismo europeo che cercava

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di entrare nell'Impero Ottomano per indebolirlo. A quel punto la FRA si staccò dal capitalismo europeo simpatizzando per i movimenti socialisti europei. Intanto già nel 1899 erano comparsi i primi gruppi marxisti armeni in Transcaucasia e nel 1903 la FRA si fuse con il Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR). Dal 1904 la Fra fu impegnata a combattere con le popolazioni di tre continenti: nell'Impero Ottomano, la guerriglia crebbe nelle provincie orientali. Nel 1905, il Principe Verontsov ottenne dal nuovo governo del Caucaso, la restituzione dei beni della Chiesa. Anche la borghesia che credeva i componenti della FRA degli anticlericali rivoluzionari ha dovuto ricredersi. Questi guerriglieri della FAR erano ancora una minoranza, ma già abbastanza pericolosi perché in caso di conflitto tutta la popolazione avrebbe potuto essere coinvolta e seguire le proposte della FRA. La tensione Armenia- Impero ottomano si fece così sempre più evidente. Ora la Chiesa dopo un periodo di crisi era tornata ad essere forte. La guerriglia che si stava costituendo non era tanto potente ma abbastanza pericolosa, però, tutti questi elementi, positivi della base, in realtà attirarono sulla Nazione antipatie sempre maggiori. Il sogno di una Armenia un poco più libera diventò sempre meno probabile e si preparava involontariamente la catastrofe. Si aggiunge poi il fatto che anche nel mondo mussulmano in Turchia e in Russia iniziarono ad infiltrarsi idee socialiste che avrebbero potuto difendere dall'imperialismo di Abdul e da quello dello Zar e ancora dall'imperialismo europeo, ma proprio per questo l'Armenia poteva essere vista come il focolaio che, attraverso la sua guerriglia ideologica, poteva alimentare queste nuove correnti di pensiero più liberali, così il tutto finì per ricadere ancora sulla Armenia già troppo nel mirino dell'Impero. Comunque in una grande nazione islamica e turca c'era sempre meno posto per l'Armenia. - Persecuzioni del 1909 I movimenti nazionalisti si svilupparono dapprima tra gli ufficiali ottomani a Salonicco in Macedonia, ambiente adatto per sviluppare attività clandestine. In quel luogo, più libero che Costantinopoli, nasce dapprima la “Società della Libertà ottomana” costituita da un Comitato di 10 ufficiali membri di cui uno è il direttore dell'Ufficio Poste e telegrafi della città. Il suo nome è Talaat Pasha e sarà uno dei maggiori responsabili del Genocidio. Il numero dei membri aumenta velocemente e i militanti sono tutti patrioti che vogliono salvare l'Impero. Sono favoriti dalle leggi massoniche di Salonicco, in questo contesto vengono facilitate clandestinità, diffusione e reclutamento nella società macedone. Il comitato si fonde con altri membri e organizzazioni e nel 1907 nasce il Comitato “Unione e Progresso”. Il direttivo è a Salonicco e i comitati locali sono presenti in tutte le città della Macedonia. I membri si chiamano “Giovani Turchi”che non si basano su grandi ideologie ma possiamo definirli dei liberali patriottici che vogliono, come già detto sopra, salvare l'Impero ottomano, ma non l'Imperatore cioè il Sultano. (B. Lewis potrebbe essere su questa linea?).

Il comitato nazionalista turco chiamato “Unione e Progresso” e “dei Giovani Turchi” voleva ottenere dal Sultano una Costituzione. Per ottenere questo si alleò con il partito armeno del Tashnak, il quale coltivava altrettanti sentimenti di indipendenza. “Unione e Progresso” e “Tashnak” chiesero dunque insieme una Costituzione che “garantisse la libertà e l'uguaglianza dei cittadini dell'Impero e anche il rispetto di tutte le religioni”. (Cristoforo Alvi). A malincuore il Sultano fu forzato a promulgare la Costituzione nel 1908. Vediamo ora nel dettaglio come si sono svolti i fatti.I Giovani Turchi in poco tempo acquistarono popolarità e fiducia: tra il 22 e 23 luglio il Comitato centrale convocò per l'indomani i delegati dei comitati

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e i sindaci dei villaggi. “Al mattino alle sette, cominciarono ad arrivare i rappresentanti Cristiani e Mussulmani dei villaggi. C'era una grande folla. Alle 10 arrivarono le autorità religiose e civili. I vescovi greci e bulgari si abbracciarono. Turchi, Greci e Bulgari si riconciliarono gli uni con gli altri in un clima di fratellanza tra religioni e popoli. Le autorità riunite inviarono un ultimatum al Sultano: chiedendo la Costituzione entro 24 ore. Quando il Sultano si rese conto che c'era di mezzo una insurrezione popolare accettò di ristabilire la Costituzione del 1876 (che era stata revocata). ( Sarrou, “La Jeusse Turquie e la Revolution”, p. 19-35). A Salonicco grande festa, ma a Costantinopoli la festa fu per il Sultano. Con la Costituzione nuova e con una promessa ormai scritta di aver ottenuto una pur fragile libertà religiosa i cristiani armeni fecero grandi dimostrazioni di gioia perché ormai si prospettava dinanzi a loro un'era nuova certamente più pacifica. Al contrario i Mussulmani si irritarono terribilmente. I Giovani Turchi avevano la strada aperta, si identificavano con quanto affermato da Niyazi Bey che disse: “Questo Paese ci appartiene e non permetteremo a nessuno che non sia turco di governarlo”. I Giovani Turchi sentivano sempre più che l'alleanza con i Cristiani non aveva futuro eccetto che questi diventassero Mussulmani. Diventava quindi sempre più evidente che l'Armenia cristiana sarebbe stata una spina nel fianco per l'Impero Ottomano per cui o cambiare la propria identità e convertirsi all'Islam o sparire. Oltre ai motivi già menzionati sopra che avevano creato tensioni tra Turchi e Armeni, se ne aggiunsero altri: I “Giovani Turchi” avevano rotto l'alleanza con il partito armeno del “Tashnak” ed erano tornati ad essere nemici tra di loro. Sempre nei “Giovani Turchi” ormai al potere aumentò la paura che gli Armeni alimentassero sempre più segrete alleanze con i Russi poiché erano già stati incoraggiati e sostenuti in passato nelle loro aspirazioni di indipendenza. Questo era chiaro dal momento che la Russia cercava in tutti i modi di indebolire l'Impero Ottomano ed eventualmente anche appropriarsi di Costantinopoli. Nel frattempo l'11 aprile 1909 alcuni soldati disarmarono gli ufficiali e uniti ad altri soldati e studenti entrarono nella Città di Costantinopoli. A questi si aggiunse un intervento dell'esercito macedone con Mohmud Shevket Pasha che proclamò la legge marziale mentre Camera e Senato insieme deposero il Sultano Abdul-Hamid esiliandolo a Salonicco e sostituendolo provvisoriamente col Fratello Mehmed. Il governo ottomano per poter reprimere il movimento autonomista armeno e l'entusiasmo che lo alimentava, cominciò a spargere sentimenti di odio anti-armeno, tra i Curdi che occupavano lo stesso territorio e tra i Circassi. Così questi si riversarono con violenza contro gli Armeni e solo nella città di Marasc nel 1909 gli uccisi furono 95 tra Latini (11), Armeni cattolici (48) e protestanti(36) più moltissimi Armeni apostolici. “I massacri si estesero a tutte le città e soprattutto la città di Adana che fu teatro di un'immensa ecatombe, dove i Circassi vi ammazzarono 20.000 cristiani” (Cristoforo Alvi). Ad Adana soldati e bande di saccheggiatori erano entrate nel quartiere degli Armeni che, dopo la tregua di pochi giorni prima, erano rimasti disarmati. Bombe incendiarie vennero lanciate contro le case, bruciarono le scuole che erano diventate un rifugio per molte famiglie. Nelle strade la violenza raggiunse il culmine. Gli Armeni furono sgozzati, legati, cosparsi di petrolio e dati alle fiamme come torce. Tra le nefandezze ci furono cadaveri scorticati appesi ai ganci delle macellerie, persone impalate, altre crocifisse alle porte o alle travi, donne mutilate alle mani, dita, orecchie tagliate dai ladri di gioielli, bambini fatti a pezzi e neonati con mani tagliate. Il massacro continuò per 24 ore. Su 4800 case incendiate 4400 appartenevano agli Armeni (le altre probabilmente erano state bruciate per il fatto di essere vicine a quelle armene). - Persecuzioni degli anni 1914-1915 All'inizio del 1914 (8 febbraio) alcune riforme furono comunque emanate per tenere a bada gli Armeni affinché non insorgessero. Nonostante tutto essi preferivano continuare ad illudersi che ulteriori riforme potessero essere fatte e quindi speravano in quel sogno che da secoli nutrivano e cioè di vedere un giorno “una Armenia autonoma dentro le frontiere dell'Impero Ottomano". Ecco un'altra ragione che causò tensioni: Prima della guerra mondiale del '15-'18 l'esercito francese aveva finanziato gli Armeni spingendoli alla rivolta contro il nascente potere repubblicano dei “Giovani Turchi”. Nel 1915 alcuni battaglioni dell'esercito russo cominciarono a reclutare nelle loro file soldati Armeni che in precedenza avevano militato nell'esercito ottomano. Intanto, il Ministro della guerra Enver Pasha aveva preparato un piano di battaglia per accerchiare e distruggere l'esercito russo del Caucaso in Sarikamish, al fine di ricuperare alcuni terreni confiscati precedentemente dai Russi ma fu clamorosamente sconfitto.

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Tornando a Costantinopoli Enver incolpò pubblicamente gli Armeni perché avrebbero combattuto a fianco dei russi e non in difesa dell'Impero ottomano. Ad aggravare la situazione si aggiunse il fatto che l'Impero ottomano stava reclutando soldati per la guerra (come aveva fatto la Russia) ma sia gli Armeni che molte altre minoranze etniche non volevano essere arruolati nelle file ottomane. Gli Armeni capivano che non ci si poteva fidare, ma per i Turchi questo atteggiamento si aggiunse ad altri per motivare il massacro che stava per arrivare. Mewlazada Rifar, membro del Comitato “Unione e Progresso” nel suo libro “Bastidores oscuros da Revolucao Turca”, disse: “All'inizio del 1915, il Comitato di “Unione e Progresso”, in sessione segreta presieduta da Talat, decise lo sterminio degli Armeni. Parteciparono alla riunione Talat, Enver, il dt. Behaeddin Shakir, Kara Kemal, il dott. Nazim Shavid, Hassan Fehmi e Agha Oghlu Amed. Si costituì una commissione esecutiva del programma di sterminio, integrata dal dt. Nazim, il Ministro dell'Educazione Shukri e il dt. Behaeddin Shakir. Questa Commissione decise di liberare dalla prigione i 10.000 criminali reclusi a causa di diverse condanne i quali sarebbero stati incaricati del massacro degli Armeni”. Anche se in quest'ultima espressione c'è della ingenuità perché 12.000 uomini non potevano pretendere di uccidere centinaia di migliaia di Armeni, ma questo fu solo l'inizio. Riporto uno stralcio che ho preso dal testo originale della sessione segreta presieduta da Talat dove si è deciso lo sterminio degli Armeni stessi. Il “paradocumento” è riportato anche da “Memorie di Naim Bey” dello stesso Dr. Naim Bey. Segue lo stralcio: “Il Comitato ha deciso di liberare la patria da questa razza maledetta e assumere davanti alla storia ottomana la responsabilità' che questo fatto implica. Risolvere di sterminare tutti gli Armeni residenti in Turchia senza lasciarne vivo uno; in questo senso furono dati ampi poteri al governo”. Anche se poi questa responsabilità non la assunsero perché cercarono di far morire il più possibile gli Armeni senza ammazzarli, ma farli morire in modi che potessero sembrare disgrazie. Il 25 febbraio, 1915 Enver Pasha inviò un ordine affinché tutte le unità militari armene presenti nelle file del'Esercito ottomano fossero smobilitate e disarmate. Dopo la smilitarizzazione, gli stessi, normalmente venivano impegnati nei battaglioni di lavoro come appoggio logistico all'Esercito regolare o come lavoro forzato. Sembra che molte reclute armene siano state utilizzate nei campi di lavoro forzato e poi uccise. Secondo quanto è riportato in “Le memorie" di Nazim Bey le reclute armene impegnate nei Battaglioni di lavoro facevano già parte di una strategia di sterminio in quanto molte di queste dopo aver lavorato venivano uccise però da gruppi di Turchi locali e non da un Esercito regolare. Anche questo stile di massacro faceva parte dei “massacri truccati”. Sempre nei fatti che innervosirono i Turchi ci fu anche la battaglia di Van dove, iniziati i massacri il 20 aprile 1915 un gruppo di Armeni cercò di proteggere 30.000 residenti e 15.000 rifugiati in un kilometro quadrato nel quartiere armeno di Aigestan. I difensori di queste 45.000 persone erano circa 1500 uomini armati di soli 300 fucili e pistole e ancora 1.000 armi piuttosto antiche. La resistenza fu lunga, ma gli armeni non avrebbero avuto successo se non fosse venuto in salvo il Generale russo Nikolai Yudenich. Anche questo fatto aggiunto ad altri rinforzava la tesi che gli ameni fossero un pericolo in quanto amici dei Russi. - Persecuzione degli anni 1915-1917 I “Giovani Turchi” arrivati al potere, avendo subito insuccessi militari in Bulgaria e Grecia, pensarono di proteggere tutto il territorio anatolico da qualsiasi smembramento: tutto questo territorio doveva essere turco e mussulmano. Esaltati da questo piano politico si accorsero che l'unico ostacolo che esisteva all'attuazione del loro progetto erano proprio gli Armeni, poiché più numerosi, più attivi, più colti, più addestrati nell'arte militare che non le altre etnie dell'impero e poiché cristiani decisero di eliminarli ricorrendo alla “guerra santa”, benché prima fossero stati aiutati dal partito armeno Tashnak.

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L'ordine fu eseguito con cinismo, crudeltà, vessazioni, uccisioni, devastazioni dei magazzini e delle abitazioni, ruberie, rapine, violenze alle donne e costrizioni alla conversione. Per coprire la loro barbarie fecero deportare i superstiti nei deserti della Siria orientale, prevedendo che una buona parte dei deportati sarebbero morti lungo la via. Questi misfatti avvennero in tutte le regioni abitate dagli armeni dal Nord fino al sud della Turchia, cioè da Trebisonda fino a Mardin, dall’est fino alla Cappadocia e alla Cilicia. C’è da rabbrividire quando si pensa ai disagi dei deportati attraverso montagne e le valli, sotto la pioggia e la neve, con scarso cibo e pochi indumenti, sotto la sorveglianza di soldati brutali, senza scrupoli, avidi solo di rapire e spogliare i deportati”(Cristoforo Alvi). Il Talatinian conclude la sua testimonianza dicendo: “Anche la mia famiglia, me compreso, fu esiliata in Siria e mio padre fu ucciso dai soldati turchi in Deir Zor. In una testimonianza del 1915 il Console americano Margenthau disse che per distruggere gli Armeni, bisognava affrontare alcune difficoltà che prima di allora non si erano palesate. Era stato relativamente facile il massacro del 1895 perché prima di allora gli Armeni non avevano all'interno alcun servizio militare e tanto meno possedevano armi. All'inizio del XX secolo gli Armeni invece erano presenti in tutti gli stati e i nuovi entusiasmi di libertà e uguaglianza diedero loro la possibilità di entrare nell’esercito, di allenarsi alla guerra e di possedere armi. Gli Armeni seppero mostrare il loro valore militare e spirito patriottico dal 1909 al 1915, quando i “Giovani Turchi” arrivarono al potere, avendo come presupposto e utopia uno stato forte e con una sola religione mussulmana. Per avere anche una politica esclusivamente islamica, decisero che bisognava eliminare i Cristiani. Per realizzare questo progetto bisognava: -Rendere tutti i soldati armeni senza potere -privare gli Armeni di tutte le loro armi. Così dapprima convocarono tutti gli uomini maschi da 16 anni a 65 per far parte dell’esercito; in questo modo tutte le famiglie armene rimasero senza alcuna difesa maschile. In un secondo momento smilitarizzarono tutti gli uomini armeni e li inviarono ai battaglioni di lavoro in aiuto all’esercito regolare o ai lavori forzati. Da coraggiosi artiglieri e membri della cavalleria erano stati trasformati in schiavi e a quel punto era diventato possibile iniziare la distruzione del popolo. La vita di questi lavoratori era terribilmente dura. Le intemperie, la neve sulle montagne, il dormire quasi sempre all’aperto, l’essere semplicemente abbandonati se ammalati, il cibo che si era fatto scarsissimo per renderli sempre più deboli, aveva reso gli Armeni sempre meno aggressivi e facilmente eliminabili. Quando le autorità decidevano di sopprimere una parte di questi ex soldati, venivano legati a gruppi di 50 oppure 100 e accompagnati fuori abbastanza distanti dai loro commilitoni affinché nessuno dovesse pensare a che cosa stava realmente capitando e là venivano massacrati. Spesso facevano loro scavare la propria fossa prima di ucciderli. Morghenthau, ricorda come all’inizio del luglio 1915 oltre 2000 ex militari armeni erano impegnati nella costruzione di una strada. Questi comprendendo il pericolo furono presi dal panico. I gendarmi cercarono di calmarli in tutti i modi per poterli massacrare più facilmente. Da ultimo furono poi gettati tutti indistintamente in una cava. Pochi giorni dopo arrivò l’ordine di eliminare altri 2000 inviati per lavoro verso Diarbakir, ma per poterli uccidere i gendarmi non vollero più rischiare come precedentemente e per questo andarono davanti al convoglio per avvisare i Curdi che li aiutassero ad eliminare gli Armeni, anche se non doveva essere così difficile massacrare dei disarmati che non potevano fuggire in nessun modo.

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Quando nelle città si chiedeva agli intellettuali rimasti di consegnare le armi e questo non avveniva venivano puniti subito con la morte, perché disubbidienti all’autorità. Se invece in buona fede gli intellettuali consegnavano le armi venivano accusati di possederle e di star preparando una rivoluzione contro i Turchi quindi dovevano essere uccisi comunque. I Vescovi e i Preti erano considerati ancor più responsabili di ogni movimento rivoluzionario volto a dare maggior libertà agli Armeni e per questo i venivano caricati di munizioni e fucili a spalle e carichi di tutto questo li facevano sfilare nelle città per dimostrare che certamente stavano organizzando una rivoluzione. Generalmente dopo queste processioni per mostrare che i Vescovi e i Preti erano nemici li torturavano prima di ucciderli: cavavano loro gli occhi, tagliavano le orecchie, la lingua il naso, le gambe o le braccia e infine li impiccavano o umiliavano con altra condanna a morte. Oltre 50 Vescovi e 5000 preti furono torturati e uccisi. Poiché è stato relativamente facile raccogliere delle testimonianze presso le loro comunità, sono stati raccolti tre volumi di descrizione delle torture inflitte specialmente alla Chiesa ortodossa armena. Quando i Turchi trovavano uomini particolarmente forti li portavano in stanza di tortura. Spesso cominciavano con il “bastinado” che consiste nell’affiancare un torturatore ad ogni piede della vittima poi questo iniziava a picchiare con bacchetta flessibile sulla palma del piede. All’inizio questa tortura non sembra insopportabile, ma poco dopo il piede comincia a gonfiarsi e bruciare terribilmente. Generalmente alla fine di questa tortura venivano amputati anche i piedi. Poi uno per uno venivano staccati i peli delle ciglia e sopracciglia e ancora venivano sradicate le unghie. Quando non tagliavano i piedi li inchiodavano a legni e spesso inchiodavano anche le mani per ricordare la croce di Cristo. In altre torture si usavano pezzi di acciaio incandescente e si posavano sui seni delle donne o sui capezzoli dei maschi. A volte poi usavano burro bollente e lo buttavano sulle ferite. Scoprirono poi una tortura ben sofisticata che consisteva nell'inchiodare ai piedi degli Armeni niente meno che i ferri da cavallo. Mentre il Sultano Abdul aveva come programma: “Uccidere! Uccidere! Uccidere!”, i “Giovani Turchi” proponevano ormai, l’annientamento del popolo armeno e lo realizzarono cominciando con le deportazioni. Queste avevano il vantaggio di apparire un semplice esilio e quindi non spaventavano le persone mentre divenne una morte provocata dolorosissima. Quando si dava l’ordine di partenza a volte c’erano poche ore per preparare il tutto. In primavera e estate 1915 i punti di arrivo delle deportazioni erano Costantinopoli, Smirne e Aleppo. In realtà chi organizzava il tutto, sapeva che sarebbero stati pochi coloro che sarebbero sopravvissuti e in ogni caso non sarebbero stati più fortunati degli altri. Se erano troppi i sopravvissuti, si ripartiva un’altra volta e poi ancora fino ad assottigliarsi di numero. L’avviso di esilio o deportazione si dava nelle città fissando manifesti o gridando per le strade con altoparlanti e avvisando uno o due giorni prima, ma spesso arrivavano i gendarmi davanti a una casa di Armeni dando ordine di seguirli immediatamente. - Tecnica di deportazione Ovunque si ripeteva la stessa tecnica: sia ai Musulmani che ai Cristiani si chiedeva di consegnare le armi, in questo modo si dava l’impressione di non fare differenze tra i Turchi mussulmani e gli Armeni cristiani poi si diceva che le armi degli Armeni erano insufficienti, come ho accennato prima, ossia ne esistevano ancora molte altre nascoste che non erano state consegnate e questa conclusione permetteva di arrestare i notabili e intellettuali (che sarebbero stati i più pericolosi) cioè i capi politici, i capi religiosi, e i più benestanti con l'accusa di nascondere armi. A questo punto i prigionieri venivano torturati con la scusa di ottenere qualche confessione di rivolta armata che sarebbe diventata un ottimo alibi per iniziare la deportazione. Gli arrestati poi portati fuori città venivano uccisi e iniziava la deportazione delle donne, adolescenti e anziani rimasti. Le famiglie armene non avevano che poche ore per prepararsi a partire portando pochissimo peso di bagaglio. In alcuni casi le famiglie avevano avuto alcuni giorni per prepararsi,

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ma non era cambiato molto. A volte alcune categorie di persone ottennero un rinvio della partenza o addirittura vennero salvati specialmente dove c'era qualche amico dei funzionari che poteva ottenere un condono. Gli stessi cattolici e protestanti a volte ottennero un rinvio e questo per far vedere che si facevano anche eccezioni quindi si stavano facendo le cose bene. “Il metodo poteva apparire più civile di un massacro, ma ugualmente radicale e efficace”. (Leslie A. Davis “The slaughterhouse Province: An American Diplomat's Report on the Armenian Genocide”.1915-17 citiamo la trad. Francese: “La Province de la mort”, Bruxelles, Complexe, 1994 p.32).

Durante il viaggio, come già accennato si chiamavano bande che assaltassero i convogli come fossero delinquenti comuni, saccheggiando, stuprando e uccidendo. I pochi che riuscivano a superare strade, montagne e deserti non incontravano mai la meta perché il campo di concentramento che li accoglieva era sempre provvisorio e si ripartiva fino a decimarsi e poi sparire. Uomini e adolescenti che avrebbero potuto sopravvivere venivano generalmente riuniti e massacrati in massa. Anche la popolazione turca sapeva di poterli derubare saccheggiare e prendersi liberamente donne ragazze e bambini. Nella città di Zeythun si fecero i primi esercizi del massacro destinato a diventare un Genocidio. Quando si dice che anche gli Armeni hanno attaccato dei gruppi di turchi si dice parzialmente una verità, ma bisogna vedere in quali circostanze questi fatti sono avvenuti. Per esempio, nel febbraio del 1915, 32 giovani Armeni zeythuniti dopo aver saputo che delle guardie turche avevano violentato delle ragazze armene, i 32 giovani attaccarono i colpevoli e ne uccisero 9. Il governo colse l'occasione per punire i Zeythuniti, così il 24 marzo arrivarono a Zeythun 500 soldati turchi. Appena arrivati, questi pretesero di sapere dove erano i 32 giovani, altrimenti avrebbero considerato tutta la Cilicia responsabile del fatto. Infine, quando seppero dove i 32 erano rifugiati, 100 soldati rimasero a distanza e 400 accerchiarono una specie di fortezza dove si erano arroccati. Durante il tempo della resistenza, i giovani, di notte riuscirono a fuggire nonostante l'assedio dei 400 uomini e li attaccarono alle spalle uccidendone circa 300. In seguito, dopo questa umiliazione, i soldati turchi, con i rinforzi raggiunsero Fundajak dove quei 32 giovani si erano rifugiati e dove riuscirono ancora a resistere per alcuni mesi prima di essere definitivamente annientati. (Stanley E. Kers, “The lions of Marash” p. 18-21). Pochi giorni dopo, 50 notabili della città, convocati per un “colloquio”, senza pensare alla trappola, arrivarono e furono immediatamente arrestati. Nei giorni seguenti 4 quartieri di Zeythun vennero saccheggiati e separate donne e bambini dagli uomini, prepararono la deportazione. In un mese Zeithun fu completamente svuotato di Armeni. Le chiese e i conventi furono saccheggiati e le scuole trasformate in caserme.( Y. Ternon, “Gli Armeni”, Bur, p. 228). Dei 25000 armeni abitanti dei villaggi vicini a Zeithun, 8000 vennero deportati nella regione di Konya e gli altri incamminati sulla strada di Deyr-es-Zor presso i deserti della Mesopotamia. Gli Armeni della Cilicia e della Siria, vedendo passare i deportati intravidero ciò che stava per accadere anche a loro e forse molto presto. Il governo fece di tutto per mostrare i convogli che in aprile e maggio passavano per Marash, Adana, Tarso, Aleppo. Caricati su carri bestiame attraversarono le montagne del Tauro per rimanere alcune settimane a Pozanti, capolinea di ferrovia. Ripartirono e giunsero a Konya affamati e senza più forze e qui, questa regione paludosa e malarica falciò la vita di un gran numero di sopravvissuti. Dopo altri tre giorni senza cibo e senza poter ricevere nessun soccorso vennero rimandati a Karapinar, il luogo più deserto dell'Asia Minore, dove ogni giorno un centinaio di Armeni zeythuniti persero la vita a causa di malaria, fame, tifo e colera. I sopravissuti si ammassarono in scuderie di cammelli, ma non potevano allontanarsi dal campo per cercare cibo e quelli che avevano ancora un poco di forza mangiavano erbe e radici. A luglio lasciarono Konya e ripartirono in direzione di Marash. Gli Armeni di Tarso li videro ripassare. “I leggendari Zeythuniti, l'orgoglio della nazione armena, erano ormai diventati dei miserabili sporchi, cenciosi, inebetiti dalle privazioni e coperti di pidocchi”. (Y Ternon, “Gli Armeni”, Bur p.229).

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Zeythun è stato il banco di prova del genocidio dei cristiani armeni. I metodi e la tecnica della deportazione sono stati testati: sradicamento, trasferimento e decimazione a causa di fame e malattie. Per il resto, basterà ripetere quello schema e gli Armeni spariranno. Solo il punto di arrivo delle deportazioni sarà da valutare e scegliere ancora meglio, comunque sembra che Deyr-es-Zor alla porta del deserto sia il luogo più adatto perché spedire uomini e donne là significa spedirli a destinazione morte. A giugno tutta la regione di Zeythun fu ripulita di ogni impronta armena. Nella città di Dortyol , nell'inverno 1914- 1915 mentre gli Anglo-Francesi bombardavano la zona dalle loro navi, gli Armeni vennero accusati di aver dato segnalazioni. Si impiccarono in piazza i primi arrestati, in seguito tutti i maschi da 16 a 70 anni sfuggiti ai rastrellamenti precedenti, vennero arrestati e inviati ad Hasan Beyli per lavori forzati in costruzioni di strade. Il programma di sterminio si svolse tecnicamente, in modo normale. Le Province Orientali vennero attaccate da maggio a luglio (1915) e le Province Occidentali dopo agosto. - Attacchi alle province orientali Distretto di Verzurum All’inizio del 1915 nel distretto c’erano 202.000 Armeni. L'occupazione russa aveva dato la possibilità a 100.000 Armeni di rifugiarsi in Russia. In marzo 1915 Passelt Pasha disarmò i soldati armeni e li mandò ai lavori forzati. Il 19 maggio i Curdi massacrarono gli Armeni di Khinis e dei villaggi a sud di Erzurum: 19.000 morti. Il 20 maggio evacuazione di tutti i villaggi a nord di Erzurum(Archives du Genocide des A rmeniens, Paris, Fayard,1986) Alla fine di maggio 600 Notabili vennero arrestati. II 6 giugno 100 villaggi ricevettero ordine di esilio (tempo, due ore per partire), alcuni riuscirono a fuggire e ripararsi nelle case dei Turchi Kizilbash dai quali vennero accolti e protetti. Tutti gli altri partirono e vennero uccisi dai Cete. Il 9 giugno 30.000 Armeni di Erzurum vennero informati che entro due settimane sarebbero partiti. Venne data la possibilità di lasciare i beni più preziosi, in bauli custoditi nella Banca Ottomana e di riprenderli al ritorno. Partirono verso sud e tra Kighi e Pacu vennero quasi tutti massacrati dai Cete. Il 19 giugno un gruppo di 10.000 Armeni partì e venne accorpato ad altri 5000 Armeni. Li accompagnavano 400 guardie. Il viaggio fu tranquillo. Dopo Erzinian, portati su sentieri impervi dove arrivò la solita banda di Curdi che nell’attacco rapirono donne e ragazze e il denaro che era rimasto. Poi vicino al fiume Eufrate, gli uomini vennero separati e uccisi tutti. I più anziani e bambini proseguirono (ancora per un poco). Il 28 luglio partì l'ultima carovana con l'Arcivescovo apostolico che fu assassinato quando raggiunse Erzindjan. Restavano ancora 50 artigiani armeni a Erzurum che furono sgozzati quando l'esercito ottomano lasciò la città. Nel Sandjak di Bayburt erano presenti 17.000 Armeni. A inizio giugno il Vescovo e sette notabili vennero impiccati mentre altri 70-80 vennero uccisi nei boschi. Quei 17.000 Armeni vennero divisi in tre gruppi: gli uomini sopra i 15 anni uccisi, le donne e ragazze rubate o regalate oppure vendute, mentre i bambini furono buttati nel fiume. I pochi vecchi rimasti proseguirono. In Erzindjan c'erano 20.000 Armeni. 2000 di essi furono arrestati e uccisi nei dintorni. Tutti gli altri deportati, eccetto i bambini, che furono venduti in un mercato di schiavi. A 15 Km. di distanza quel convoglio di 18000 deportati fu attaccato dai Curdi e turchi armati che li spogliarono, uccisero e buttarono nel fiume in sole quattro ore. Dei 202.000 Armeni della regione di Erzurum rimasero pochi vecchi e qualcuno che era riuscito a scappare. In seguito ai guai creati dai cadaveri che contaminarono l'acqua e ingolfavano i mulini, il 24 luglio il Talaat ordinò di non buttare più i cadaveri nei fiumi e nemmeno nei burroni, ma bruciarli con i loro oggetti personali. gendarmi davanti a una casa di Armeni dando ordine di seguirli immediatamente. Distretto di Bitlis In questa regione vivevano 218.000 Armeni. Nella città di Mush ce n'erano 25.000 mentre nei 250 villaggi attorno a Mush ce n'erano 100.000. Arrivò qui una banda di Cete che attaccò la regione distruggendo tutto. Nella città di Bitlis il crudele Abdul-Alik radunò un migliaio di bambini e li portò fuori della città dove li fece bruciare vivi alla presenza di Turchi a cui disse: “Per la sicurezza della Turchia bisogna cancellare per sempre il nome degli Armeni nelle province armene” (riportata da Y. Ternon, “Gli Armeni”, Bur p. 254)... Il 3 luglio iniziò la storia insanguinata di Mush. In primo luogo agli Armeni si chiese la consegna delle armi e una buona somma in denaro. In seguito si disse che le armi consegnate erano inferiori al numero reale di quelle che possedevano e per questo i notabili vennero torturati con la pretesa di estorcere la verità

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dopodiché vennero uccisi. Gli Armeni rimasti questa volta decisero di non cedere facilmente e si arroccarono in Mush (“Livre blu”, Paris,Payot, 1987,n.23). Dapprima i cannoni distrussero la città alta, poi un quartiere dopo l'altro, venne rastrellato un gran numero di Armeni che furono uccisi. Il 4 luglio, nel quartiere di Zov c'erano ancora 10.000-12.000 armeni. Tra essi 5.000 riuscirono a raggiungere le montagne prima di morire poi di fame e di stenti. Molti uomini preferirono suicidarsi dopo aver ucciso le rispettive mogli e figli. Meglio morire in fretta che subire torture e umiliazioni. I rimanenti vennero ammassati nei fienili, cosparsi di carburante incendiati e carbonizzati tutti. Alcuni sopravvissuti vennero spinti sulla strada che portava a Urfa e lungo l'Eufrate buttati in fiume. (“Libre bleu-Le traitement des Armeniens dans l'Empire Ottoman”, Laval, Imprimerie Kavanagh, 1916, pref. ª Toymbee n. 23). Nella pianura di Mush rimanevano circa 900 Armeni. In seguito fu la volta di Sasun che ospitava 20.000 Armeni più altri 30.000 provenienti dai dintorni e rifugiatisi in Sasun per essere più protetti. I primi 3000 uomini furono inviati nei Battaglioni di lavori forzati e in seguito uccisi presso Harput, mentre 4.000 Armeni si rifugiarono nel Convento di Arakhelots dove riuscirono a resistere per un mese e mezzo poi si rifugiarono a Sasun. Nell'estate intanto vennero attaccati tutti i villaggi limitrofi di Sasun. A luglio arrivarono i rinforzi della cavalleria ottomana contro i Sasuniti armeni ma questi riuscirono a resistere per diversi giorni, poi cercano di disperdersi verso la montagna meno accessibile, ma vennero inseguiti e un gran numero uccisi, gli altri superstiti assediati dovettero poi morire di fame. Ne avanzarono una trentina sulle cime dell'Antok insieme ai loro capi Ruben e Vahan che riuscirono a evadere oltre le linee turche. L'artiglieria russa che voleva venire in soccorso non potè arrivare in tempo e quando di fatto arrivò a soccorrere i 250.000 Armeni trovarono solamente più 5.000-6.000 donne e bambini islamizzati nei villaggi. Gli Armeni della Cilicia e della Siria, vedendo passare i deportati intravidero ciò che stava per accadere anche a loro e forse presto. Il governo fece di tutto per mostrare bene i convogli che in aprile e maggio passavano per Marash, Adana, Tarso, Aleppo, poi caricati su carri bestiame, fecero le montagne del Tauro, per rimanere poi bloccati alcune settimane, a Pozanti, capolinea di ferrovia. Ripartirono e giunsero a Konya affamati e senza più forze e qui, questa regione paludosa e malarica falciò la vita di un gran numero di sopravvissuti. Dopo altri tre giorni senza cibo e senza poter ricevere nessun soccorso vennero rimandati a Karapinar, il luogo più deserto dell'Asia Minore, dove ogni giorno un centinaio di Armeni zeythuniti persero la vita a causa di malaria, fame, tifo e colera. I soppravissuti si ammassarono in scuderie di cammelli, ma senza potersi allontanar dal campo per cercare cibo e quelli che rimasero con un poco di forza mangiarono erbe e radici. A luglio i sopravvissuti lasciarono Konya e ripartirono in direzione di Marash. Gli Armeni di Tarso videro ripassare … “I leggendari zeythuniti, l'orgoglio della nazione armena, diventati ormai dei miserabili sporchi, cenciosi, inebetiti dalle privazioni e coperti di pidocchi”. (Y Ternon, “Gli Armeni”, Bur p.229). Zeythun è stato il banco di prova del genocidio dei cristiani armeni. I metodi e la tecnica della deportazione sono stati testati: sradicamento, trasferimento e decimazione a causa di fame e malattie. Per il resto, basterà ripetere quello schema e gli Armeni spariranno. Solo il punto di arrivo delle deportazioni sarà da valutare e scegliere ancora meglio, comunque sembra che Deyr-es-Zor alla porta del deserto sia il luogo più adatto perché spedire uomini e donne là significa spedirli a destinazione morte. A giugno tutta la regione di Zeythun era ripulita di ogni impronta armena. Distretto di Trebisonda (Gerard Chaliand e Y, Ternon, “Le Genocide des Armenien” p.132-134) Gli Armeni qui sono molto meno, appena 73.000, di questi 14.000 nella città stessa. Il 24 giugno 40 membri del partito Dashnak furono arrestati, imbarcati e buttati in mare. Il 26 giugno arrivò l'ordine di deportazione. Da Trebisonda si partirà cinque giorni dopo. Gli Armeni consegnarono agli agenti statali i beni che ovviamente non potevano trasportare con loro e avrebbero ripreso al ritorno. Il primo luglio la città si riempì con migliaia di guardie armate e Cete. Le porte della città furono chiuse e Trebisonda rimase assediata. Dentro le mura, gli Armeni vennero divisi a gruppi. Le donne e i bambini furono incamminati per Mosul. Gli uomini arrestati, divisi poi a gruppi vennero prelevati un centinaio al giorno e portati fuori città. Dapprima scavavano la fossa, poi venivano fucilati e seppelliti. Alcune donne giovani e bambini benestanti vennero affidati o venduti a famiglie mussulmane per essere poi convertiti all'Islam. I bambini molto piccoli vennero consegnati al Console americano Oskar Heizer, ma poco dopo furono richiesti indietro per essere inviati in un orfanotrofio più specializzato e caricati su piccole imbarcazioni a poca distanza dalla costa vennero pugnalati e buttati in mare. A fine estate nella città rimanevano solo alcuni malati, vecchi e pochissimi bambini con alcuni impiegati negli uffici. Tutti questi in pochi giorni furono prelevati e buttati in mare. 10.000 Armeni da Trebisonda erano partiti nei convogli verso Djevizlik ma a 20 Km. dalla città furono tutti uccisi dai Curdi e dai Cete. Alcune donne e bambini e anziani che erano sfuggiti fino ad allora furono inviati in direzione di

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Aleppo. Quando il 18 aprile i Russi entrarono in Trebisonda, per salvare gli Armeni trovarono ancora due famiglie e 14 donne rifugiate in famiglie greche. Nei villaggi vicini sopravvissero un migliaio di armeni. Distretto di Sivas (“Episode de massacres de Diarbekir”, Costantinople, Imprimerie Kechichian, 1920) Vivevano qui 205.000 Armeni. In questa zona il responsabile della deportazione era Abdul-Gani. Nel villaggio di Mersinan c'erano 12.000 Armeni. Si usava il solito schema: -Arresto dei dirigenti del partito Dashnak insieme ai notabili che vennero portati fuori città e uccisi. -I giovani arruolati nei battaglioni dei lavori forzati saranno uccisi solo a lavori terminati, -Tutti gli uomini abili riuniti e uccisi a colpi di ascia. -I rimanenti entro tre giorni partirono in convogli da 500-1000 persone e vanno in direzione di Malatya, ma vengono tutti trucidati sulle rive del fiume Eufrate e buttati in esso. Nel villaggio di Amasya essendosi rivoltati gli Armeni non c'era più bisogno di un' altra ragione per punirli e ucciderli tutti sul posto. I pochi rimasti furono riuniti in un convoglio che uscì dal villaggio ed uccisi sui monti vicini. Gli abitanti di Gemarek deportati in convogli verso Sila furono uccisi lungo il viaggio. Gli uomini di Zile furono legati a gruppi e uccisi sulle montagne. Alle donne di Zile venne fatta la proposta di convertirsi all'Islam, ma esse non accettarono e per questo furono trafitte dalle baionette e i figli venduti. Nei villaggi limitrofi di Sivas c'era una delle più ricche produzioni di grano. Tutti i maschi in grado di lavorare, non furono uccisi, ma ebbero una dilazione e poterono continuare il lavoro ma poi uccisi al termine della mietitura. 400 bambini di questo villaggio furono avvelenati. I quartieri furono setacciati uno dopo l'altro e le donne raggruppate in convogli vennero deportate in direzione sud-est a gruppi di 1000-3000 persone. Venne lasciato loro sia il pane che un bastone per il viaggio. Queste si unirono ai convogli di Samsun per ottenere poi la stessa sorte. Nel villaggio di Shabin-Karahisar gli Armeni si rifiutarono di dare cibo ai soldati turchi e così per i turchi questa fu una scusa più che valida per punirli. I 200 notabili furono assassinati. Una parte considerevole si rifugiò in una fortezza dove resistette a lungo, ma quando cercarono di uscire per fuggire sulle montagne pochissimi riuscirono a salvarsi. La conclusione fu un'altra carneficina di uomini donne e bambini. Distretto di Dyarbakir (V. Dadrian, “Documents of Armenian Genocidein Turkish”, Sources. p.86-138). Qui vivevano 120.000 Armeni. I dirigenti del Dashnak e i notabili furono arrestati e mentre i dirigenti venivano uccisi in carcere, gli altri arrestati furono uccisi sulla strada in direzione di Malatya. 12.000 ex soldati armeni disarmati furono inviati ai Battaglioni di lavoro forzato. Mentre stavano lavorando furono assaliti e uccisi tutti. I convogli di Diyarbakir in direzione di Mardin e Malatyia furono tutti uccisi in cammino. 700 giovani erano stati mandati a lavorare sulla strada che porta a Urfa e là un sott'ufficiale e cinque guardie si vantarono di averli uccisi tutti da soli. 5000 donne vicino a Yudan-Dere furono precipitate tutte in un burrone. Un telegramma del 15 settembre comunicò l'espulsione e deportazione per tutti gli Armeni del Distretto di Diyarbakir, si trattava di circa di 120.000 persone, numero più alto di quello del Patriarcato del 1914, la causa per certo fu l'aggiunta di alcune migliaia di Armeni che si erano rifugiati in quel luogo.

Distretto di Harput (“Libre Blu”, Documento n. 22, p.261) Qui risiedevano gli studenti e i professori del famoso Euphrates College della missione americana. Gli Armeni erano 124.000. A inizio del mese di maggio furono arrestati e torturati come sempre i notabili con la scusa che non avevano consegnato tutte le armi. Vennero fucilati fuori città. 5 luglio: Furono arrestati 800 uomini legati a gruppi e fucilati sulla montagna. Nei villaggi vicini 300 uomini portati a valle e fucilati o uccisi con baionette o pugnali. 10 luglio: altre centinaia di uomini uccisi.

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Prima del 15 luglio le donne e i bambini vennero riuniti e deportati eccetto 700 bambini dell'orfanotrofio tedesco che vennero annegati nel lago vicino alla città. I 2000 Armeni abitanti di Arabkir furono ammucchiati su barconi poi, alcuni fucilati e il maggior numero legati e annegati nell'Eufrate (bisognava spendere meno munizioni possibili, ma in alcuni casi quando le vittime si ribellavano bisognava usare anche le armi.). Tutti gli uomini di Adiyaman e villaggi vicini furono uccisi a coltellate. A Resne tutta la popolazione (1800 Armeni) venne espulsa e accompagnata in convoglio verso la strada per Urfa. Giunti al fiume Gok-Su vennero fatti spogliare tutti poi uccisi e buttati in fiume. Molti convogli dei Distretti orientali furono indirizzati verso Harput dove c'erano gole di montagne assolutamente isolate e in queste valli vennero uccisi. Il Console americano Davis fu testimone di questa strage e nel 1919 testimoniò davanti alla Corte Marziale di Costantinopoli. Lo stesso Davis andando verso sud in direzione di Gokulp si trovò davanti a uno scenario spaventoso: 10.000 cadaveri di ogni età e sesso, alcuni dei quali ancora in putrefazione. Erano gli scheletri degli Armeni di Harput e dei convogli destinati a morire in quelle regioni deserte. Lo schema era sempre lo stesso: un gran numero venne affogato nel fiume. Le donne e i bambini venduti ai Turchi. I convogli si assottigliavano sempre di più. Alcuni superstiti che avevano conservato la ragione hanno testimoniato che 3000 Armeni di Harput erano partiti. Questi a Malatya furono raggiunti dai convogli provenienti da Tokat, Sivas ed Egin. Si era formato un convoglio di 18.000 persone diretti ad Aleppo, dopo due mesi ad Aleppo arrivarono, ma sopravvissero solo 185 fra donne e bambini. Bisogna ricordare che chi accompagnava i convogli doveva pur cercare di conservare vive almeno alcune persone per dimostrare la tesi che si trattava di una deportazione, ma non un'eliminazione. Sabit Bey, uno dei funzionari del massacro inviò una comunicazione al capo di Malatya e scrisse: “La informo che pur con tante ingiunzioni ripetutamente inviate, le strade continuano ad essere disseminate di cadaveri. Gli inconvenienti che derivano da questo stato di cose, non hanno bisogno di molte spiegazioni e il Ministero dell'Interno ha reso noto che i funzionari negligenti saranno severamente puniti” (Y. Ternon, “Enquete sur la negation d'un Genocide”, Marseille, Parentheses, 1989,p. 121). Se, come dicono le statistiche, due milioni di Armeni erano presenti nelle sette provincie Orientali, essendo non più di 150.000 quelli che si sono salvati, significa che 850.000 sono stati deportati. Le donne e bambini rapiti e islamizzati non sono più di 200.000. Ad Aleppo non

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arrivarono più di 50.000 Armeni in condizioni di morti in piedi. Le vittime delle Province Orientali non potevano essere meno di 600.000 - Le province occidentali Per le altre province a occidente, portare avanti il programma di sterminio fu relativamente facile perché il conflitto della Prima Guerra Mondiale offri un grande alibi: “bisognava ristabilire l'ordine nella zona di guerra attraverso misure militari rese necessarie dal fatto che gli Armeni avevano mostrato di essere in connivenza col nemico (russo), per tradimento e concorso armato della popolazione” (Ch. Stuermer, “Deux ans de Guerre a Costantinople”, Paris, Payot,1917, p.41). Parlare di connivenza col nemico semplicemente perché i Russi avevano arruolato degli Armeni nelle loro file è veramente esagerato. (Un privato può ben scegliere il luogo di lavoro e quindi anche impiegarsi in un esercito straniero se ci sono buone rimunerazioni e vantaggi sufficienti. L'iniziativa privata non coinvolge l'etica di una Nazione). Con l'esperienza nelle Province orientali si è potuto, senza indugio e senza spiegazioni iniziare subito la deportazione ad occidente dove risiedevano almeno 800.000 Armeni. Qui spesso si utilizzò il treno che attraversava l'Anatolia occidentale per uscire fuori dai luoghi di deportazione. Distretto di Agora (Raymondh H. Kevorkian, Paul B.Paboudjan, “Les Armeniens dans l'Empire Ottoman a la veille du Genocide”, Paris, Arhis, 1992, p. 57-60) Secondo la statistica ottomana gli Armeni erano 63.605 negli anni 1913-14, di cui un quarto di fede cattolica. Secondo il Patriarcato sarebbe stato di 1.035.000. Nella città di Angora c'erano 135.000 Armeni. Questi cattolici non avevano mai militato in una qualche organizzazione o in un partito e poiché controllavano le banche e il commercio della città questi ottennero una proroga di qualche mese. Intanto si cominciò con gli uomini gregoriani dai 15 ai 70 anni che vennero arrestati e divisi in gruppi condotti fuori della città dove i Cete e altri abitanti locali armati di pugnali e coltelli li uccisero subito. Il 27 agosto anche i cattolici furono arrestati. E a questo punto merita accennare a un fatto. Il Patriarca cattolico e il Nunzio chiesero di risparmiare almeno questo gruppo. Lo stesso Talaat incontrando l'Ambasciatore Hohenlohe-Langenburg mostrò dei telegrammi che lui stesso aveva inviato i quali riportavano che i cattolici non sarebbero stati deportati. In questo modo tutti si tranquillizzarono e non fecero altre richieste, né proposte. Dopo sole 24 ore la sospensione di deportazione fu annullata e si iniziò subito la deportazione, senza ucciderli subito, fuori della città, ma inviandoli nei convogli diretti a Konya e Adana. (Jan Naslian, “Les Memories de Mgr. Jean Naslian” vol. I p. 335-358) Nella città di Kayseri i 52.000 Armeni ebbero la stessa sorte. Dapprima i 200 notabili dei quali 80 furono impiccati subito, gli altri 120 uniti a tutti gli altri uomini e adolescenti di Kayseri trasportati fuori a gruppi di 80-100 uomini e spediti verso Siva, e lungo il cammino vennero tutti uccisi, mentre le donne e i bambini furono organizzati nei soliti convogli dove si poteva incontrare la morte subito o anche dopo qualche mese. Nelle città di Talas e Everek dopo l'arresto dei notabili seguì la tortura per gli stessi motivi e cioè per non aver consegnato sufficienti armi e in seguito tutti furono deportati: uomini, donne, bambini. Nella regione di Yozgat c'erano 67.000 Armeni. Il loro capo Djemal si oppose alla deportazione e per questo venne subito sostituito da Ali Kemal che fece riunire tutti gli uomini (a gruppi ovviamente) in una grande vallata vicina e li fece uccidere tutti. Le donne, i bambini riuniti in convogli partirono, ma poco lontano dalla città i Turchi dei villaggi vicini, rapirono tante ragazze e ne uccisero alcune (uccidere un pò di gente era il modo di sdebitarsi per le ragazze prese). Il bilancio dei morti nel Distretto di Agora fu di 61.000 morti (cioè 95,9%).

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Distretti di Bursa, Sandjak, Izmit In questi distretti c'erano 180.000 Armeni. Secondo lo stesso rituale, a giugno, furono arrestati i 170 notabili e fucilati, ad agosto avvisarono tutti che entro tre giorni sarebbero partiti. Molti furono invitati a comparire davanti a un magistrato a compilare un atto di vendita dei beni e vennero pure pagati in contanti. All'uscita poi i soldi venivano nuovamente ritirati da un funzionario e consegnati ancora al magistrato (ci voleva anche questa presa in giro). Partirono in treno, raggiunsero le stazioni di Biledjik e di Eskishehir. Gli ultimi rimanenti di Agora arrivarono anche nello stesso luogo, dove quasi tutti gli uomini vennero uccisi, i rimanenti separati da donne e bambini salirono su carri bestiame e sui treni. Lungo il tragitto venivano spinti fuori dal treno ad aspettarne un altro. L'attesa poteva essere di qualche giorno o qualche settimana senza alcun cibo. A Smirne e dintorni c'erano 25.000 Armeni. Per la loro deportazione era stato incaricato il Comandante tedesco della quinta Armata Lima Von Sanders, il quale si rifiutò di deportare quegli innocenti e minacciò la Polizia affinché non facesse altrettanto (in questo caso l’ufficiale tedesco, si era fatto onore, ma non capitava sempre così). Con la sua autorità di Capo dell' Armata, riuscì nell'intento e salvò i 25.000 Armeni. Anche a Costantinopoli furono salvati 150.000 Armeni per una ragione simile e perché c'erano troppi occhi stranieri.

Distretto di Adana (Y, Ternon, “Gli Armeni”, Bur, p.274). Dopo la metà del 1915 mentre esplodevano i Dardanelli (dove i Turchi persero oltre 50.000 soldati) in tutta la regione di Adana le deportazioni continuarono da luglio a novembre, ma i convogli si mescolavano con quelli militari per cui il tutto veniva rallentato. Dovettero costruire 6 campi di concentramento provvisori lungo il cammino. Le testimonianze dicono che questi deportati (donne e bambini, perché gli uomini erano già stati uccisi e i vecchi morti molto prima) arrivavano coperti di stracci affamati e morenti per il tifo. Una gran parte, dissero, erano senza più ragione e si potevano considerare come cadaveri in piedi. Solo nel campo di Islaihye nel mese di novembre si seppellivano una media di 600 cadaveri-scheletri al giorno. In cinque mesi attraversarono questa regione circa 250.000 persone. Gli Armeni si avvicinavano ad Aleppo e proseguivano in agonia verso il deserto. A Mersin 7000 prigionieri vennero deportati nel mese di agosto. Distretto di Adana (Y, Ternon, Gli Armeni, Bur, p.274). Dopo la metà' del 1915 mentre esplodevano i Dardanelli (dove i Turchi persero oltre 50.000 soldati) in tutta la regione di Adana le deportazioni continuarono da luglio a novembre, ma i convogli si mescolavano con quelli militari per cui il tutto veniva rallentato. Dovettero costruire 6 campi di concentramento provvisori lungo il cammino. Le testimonianze dicono che questi deportati (donne e bambini, perchè gli uomini erano già stati uccisi e i vecchi morti molto prima) arrivavano coperti di stracci affamati e morenti per il tifo. Una gran parte, dissero, erano senza più ragione e si potevano considerare come cadaveri in piedi. Solo nel campo di Islaihye nel mese di novembre si seppellivano una media di 600 cadaveri-scheletri al giorno. In cinque mesi attraversarono questa regione circa 250.000 persone. Gli armeni si avvicinavano

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ad Aleppo e proseguivano in agonia verso il deserto. A Mersin 7000 prigionieri vennero deportati nel mese di agosto. Distretto di Aleppo (Il Console americano, quello tedesco e l’austriaco furono testimoni oculari e raccontarono tutte le nefandezze viste). Ad Ayntab c'erano 36.000 Armeni. Ad agosto iniziarono le deportazioni con lo stesso schema. Si formavano gruppi piccoli (35-40 persone). I convogli andavano in direzione di Aleppo. Quelli che sopravvissero dopo Aleppo dovettero continuare sulla strada di Damasco fino a Hama. Nella regione di Musa i 6 villaggi vicino ad Aleppo in un primo momento furono risparmiati ma il 13 luglio giunse l'ordine di partenza. Alcuni scapparono verso la montagna. Erano 5000 uomini donne e bambini. Fortunatamente raggiunsero una posizione quasi imprendibile. I Turchi diedero 8 giorni per lasciarli pensare se arrendersi o meno. Gli Armeni rifiutarono. I turchi attaccarono pesantemente la “Fortezza” senza riuscire nell'intento. Chiesero un rinforzo di 15.000 uomini e con questi assediarono la montagna di Musa (montagna di Mosè), per farli morire di fame. Dopo 53 giorni, avvistati (grazie ai loro segnali) da due navi francesi e un incrociatore inglese, furono salvati. I sopravvissuti erano ancora 4200. Musa e Van sono gli unici due casi di difesa armata che agli Armeni diede successo (Franz Werfel, “Les 40 jours du Musa-Dagh”, Paris,, Albin Michel, 1936). Ad Urfa erano presenti 25.000 Armeni che barricati si difesero nei loro quartieri a lungo fin quando ad ottobre, 6800 uomini vennero in aiuto dell'esercito (in questi casi quando c'era una resistenza armata, l'esercito regolare si sentiva autorizzato a spegnere le rivolte, poiché gli Armeni risultavano “Rivoltosi” e non “in difesa”. Infine la difesa fu spezzata e gli Armeni quasi tutti uccisi. I pochi sopravvissuti furono deportati. (Rapporto di Jacob Kuntzler direttore dell'Ospedale della missione). Nelle Province di Siria, Damasco, Beirut gli Armeni erano 3500 e furono associati ad altri deportati in quelle Province. “Esecuzioni da una parte, esodi dall'altra, ovunque furti, saccheggi, stupri, torture, conversioni forzate, tutti crimini impossibili da mascherare e presentare come fanatismi folli, fanatismi sì, ma pianificati freddamente e truccati, diciamo pure ingenuamente, perché non è pensabile che non ci siano testimoni a rivelare tanto grandi misfatti. Le vie dell'esodo erano disseminate da cadaveri in decomposizione e di esuli affamati. I fiumi trasportavano cadaveri in decomposizione che infettavano le acque. Quanta lezione da imparare per i criminali di domani!... e ci saranno sempre, senza eccezione, dei superstiti in grado di raccontare ciò che è accaduto a gente che non avrà comunque né il cuore di ascoltare, né l'intelligenza di capire”. (Y. Ternon “Gli Armeni”, Bur, p.279).

La città di Aleppo è stata chiamata il crocevia della deportazione. Qui i convogli arrivavano da ogni parte e chi arrivava vivo doveva riprendere il cammino. Era importante che i testimoni vedessero che di Armeni vivi ce n'erano davvero e quindi non si poteva chiamare un genocidio e la morte doveva essere considerata come una disgrazia che capitava ai deboli. La motivazione che veniva data a chi veniva deportato ad

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Aleppo era per essere “reinseriti “ in una società nuova, cioè in parole povere, eliminato. Almeno 300.000 armeni arrivati ad Aleppo ripartirono per le destinazioni di Havran, Raqqa, Deir-es-Zor per stabilirsi in quei luoghi definitivamente. Ma arrivando là non trovavano assolutamente nulla, né cibo, né tende, né combustibile. Erano abbandonati a sé stessi e quindi destinati a morire. (“Archives du Genocide des Armeniens”, Paris, Fayard,1986 e Johannes Lepsius, “Deutschland und Armenien”, 1914-1918, Potsdam Tempel, Verlag 1919. p.161). Chi arriva vivo se non vuole morire lì deve proseguire per il deserto dove potrà finalmente morire, o ancora, allungare la vita di qualche settimana o di qualche mese. I superstiti potevano essere disposti a lasciarsi accompagnare da un campo all'altro in un circolo vizioso, fino a quando le migliaia diventassero centinaia e infine poche unità e questa era la conclusione della deportazione. (Joannes Lepsius, “Archives du Genocide des Armeniens”, Paris, Fayard,1986, p.161). Per questa ultima tappa quasi non esistono documenti, ma i testimoni stranieri che erano sul posto descrissero i percorsi di questa lenta agonia. I deserti della Mesopotamia e della Siria erano incaricati di inghiottire tutti i resti umani che arrivavano da Aleppo, da Deir-es-Zor, da Zeythun, dalle Province orientali, dalla Anatolia occidentale e dalla Cilicia. E quando arrivavano vivi dovevano riprendere il cammino, nella disperata speranza che capitasse qualcosa di impossibile che li potesse salvare (e a volte capitava). I due principali centri scelti dal Governo che raccoglievano gli agonizzanti furono Damasco a sud di Aleppo e Deyr-es-zor. Nel febbraio 1916 si ammassarono, in varie scadenze, 300.000 Armeni a Deyr-es-Zor e 130.000 a Damasco. Gli ordini che arrivavano in questi centri erano sempre di ripartire, massacrare lungo le strade e poiché era anche difficile materialmente uccidere numeri così elevati di Armeni, si provocavano delle carestie artificiali, così che tifo e diarrea, strade e rive dei fiumi divorassero finalmente tutto. Verso la fine del viaggio i deportati ormai nella maggioranza inebetiti “mangiarono prima gli asini, poi i cani e i gatti, poi ancora le carcasse dei cavalli e dei cammelli e, infine, quando non trovarono più niente di commestibile si cibarono di cadaveri umani preferibilmente quelli dei bambini piccoli... sembravano delle carovane di ossessi” (Aram Andonian, “Documents officials concernant les massacres armeniens”, Paris, Imprimerie Tourabian,1920 p. 49-52). Riporto un fatto: Presso Der-Zor. I deportati scheletriti non avevano più nulla da mangiare e si erano rassegnati a cucinare anche carne umana specialmente quella dei bambini. Una bambina era malata, moribonda, sulla stuoia. La madre le stava vicina. Arrivò un'ondata di odore di carne cucinata, che veniva chissà da dove. Certamente stavano cucinando la carne di qualche bambino. “Mamma-disse la bambina- va a chiederne un pezzo, io non ce la faccio più”. La madre con le ultime forze riuscì ad alzarsi e andare un poco avanti , ma qualche tempo dopo, ritornò a mani vuote. “Non hanno voluto darne nemmeno un pezzo? - disse la bambina – Mamma, fra poco quando morirò non dare niente della mia carne a loro, mangiala soltanto tu”. (James Nazer- “Documents of the turkish atrocities”). August Bernau agente della Compania americana Vacuum Oil ha riportato nel suo resoconto di aver visto ancora vivi lungo l'Eufrate 15.000 Armeni sparsi in centri improvvisati, alla vigilia dell’inverno senza tende, né coperte, continuamente spinti a ripartire. Vide poi ancora 60.000 Armeni a Meskene e Bernau: erano tutti colpiti da dissenteria e ogni giorno, centinaia di essi terminavano la deportazione. Il Console Jakson (Stati Uniti) spedì un resoconto in cui diceva di aver visto i 60.000 Armeni di Ayntab di Urea e di Marash forzati da Zeki ad uscire dalla città dove li aspettavano i Cete per ucciderli. In una settimana furono tutti uccisi. (Il Rapporto Jackson (console americano) scritto nel 1918 pubblicato nella rivista “The Armenian Review”, vol 38,n. 1- 145, primavera 1984, pp.127-145). Ancora nel febbraio 1916 Djevdet nella regione di Ras-Ul-Ayn fece massacrare 15.000 Armeni facendoli portare a gruppi verso il deserto per poi ucciderli, ciò avvenne in quattro mesi. Per i lavori del Gran Tunnel dell'Amano gli ingegneri tedeschi utilizzarono 50.000 Armeni dai convogli. Le famiglie di questi lavoratori rimasero fino a marzo 1916 nella zona e poi vennero deportati e uccisi tutti. Nel febbraio 1916 Djemal Pasha, uno dei tre capi del Governo turco, essendo Comandante della quarta armata riuscì a salvare 150.000 Armeni inviandoli a Beirut e a Damasco. Lo stesso Djemal affidò 1000 bambini orfani a Nora Altunian (figlia di un suo amico) e 1000 orfani a Suor Beatrice Rohner e inoltre invitò la scrittrice Halide Edip a organizzare altri orfanotrofi ad Angora, a Kayseri, a Damasco e a Beirut. Questo comportamento di Djemal non è facile da capire in quanto era sempre stato uno del Triumvirato, responsabile del Genocidio. Forse un cambiamento di prospettive nella sua vita. Una questione di coscienza, dopo aver visto le conseguenze delle decisioni del passato? Di fatto, lui stesso testimoniò di aver salvato quegli Armeni. Nell'estate 1916 dopo i massacri, le deportazioni, le torture, dopo l'islamizzazione forzata e dopo la confisca dei beni, la comunità armena era ridotta a un relitto senza più forze. (“Archives du Genocide des Armeniens”, Paris, Fayard, 198, pp.221-223). - Ancora una persecuzione nel 1920 Per questa ultima parte riporto parte di un manoscritto di Padre Materno:

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“Subito dopo la prima guerra mondiale, gli Alleati, francesi e inglesi occuparono anche la Cilicia. La Francia spese denaro per rimpatriare gli Armeni dalla Siria dove erano stati deportati ed erano sopravvissuti ai disagi dell’esilio. Anche i missionari ritornarono alle loro residenze. A Marasc vennero prima gli Inglesi: era l’anno 1919. Poi fu stipulata una convenzione secondo la quale gli Inglesi dovevano lasciare la città ed essere sostituiti dai Francesi e così si fece. All’arrivo dei Francesi i Cristiani esultarono di gioia ma non sapevano che il generale Allenby aveva dato l’ordine alle truppe inglesi di consegnare ai Turchi i fucili Mauser con le relative cartucce perché fossero usate contro i francesi. Gli Armeni comunque non ricevettero nulla. Il generale francese Quarette, che comandava le truppe cercava di calmare i Turchi dicendo che era venuto per portare la pace; ma questi, secondo il progetto dei Giovani Turchi, non volevano lo smembramento dell’Anatolia che sarebbe avvenuto nel caso in cui i Francesi fossero rimasti in Cilicia così si prepararono alla guerra costruendo barricate e facendo feritoie nei muri. Prima di attaccare i Francesi mandarono loro un ultimatum: “Consegnate le vostre armi, mettete in prigione i vostri soldati e in cambio noi lasceremo liberi i vostri ufficiali”. Naturalmente l’ultimatum fu respinto e la sparatoria cominciò il 21 gennaio 1920. Il fumo delle case bruciate degli Armeni doveva servire ai Turchi dei villaggi vicini a Marasc come segnale per cominciare ad organizzare la guerra santa. Infatti il 23 gennaio insorsero contro gli Armeni massacrando e saccheggiando le loro case. Nella lotta perirono 300 soldati francesi e 6000 armeni. Molte case e parecchie chiese furono bruciate. Intanto arrivò l’ordine alle truppe francesi di ritirarsi segretamente da Marasc. La ritirata fu fissata per la notte tra 10 e l’ 11 febbraio. La mattina dell’11 febbraio gli Armeni si accorsero che i Francesi si erano ritirati e li vollero raggiungere; erano 2500 persone delle quali solo 800 si salvarono, mentre tutti gli altri furono uccisi dai Turchi o morirono assiderati dal freddo o sfiniti dalla fatica” (da manoscritto di P. Materno, riportato dal Francescano Cristoforo Alvi in “100 anni di Kerop Basilio Talatinian”). GENOCIDIO - Tecniche per lo sterminio Deportazioni Questa tecnica, utilizzando le marce della morte, che erano destinate a disperdere il più gente possibile durante il cammino, e infine inviare persone all'imbocco del deserto, è stata la metodologia più usata dal Governo turco per realizzare il genocidio dei cristiani armeni.

Affogamenti Ho riportato in queste poche pagine precedenti, alcuni casi di affogamento, ma stando alle testimonianze deve essere stata una tecnica abbastanza comune quella di buttare donne e bambini nell'Eufrate o nel Mar Nero. A volte erano uccisi prima altre volte buttati in acqua vivi ad annegare. Gli uomini essendo più forti e in barca potendo anche ribellarsi, preferibilmente erano uccisi prima e buttati in fiume già morti. Incendi A volte incendiarono interi paesi, quartieri, altre volte ammucchiarono uomini donne e bambini in fienili cosparsi di combustibile e per carbonizzarli. I bambini venivano uccisi chiudendoli in scuole e bruciati oppure bruciati vivi in piazza. Avvelenamenti Alcuni medici turchi nella loro partecipazione al genocidio utilizzarono diverse forme di

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avvelenamento. Un sistema era quello dell' avvelenamento in massa, un altro sistema era quello di vendere pillole di veleno a quelli che a fine deportazione non avevano più forza di vivere ed erano disposti a pagare molto cara una pillola che togliesse loro la vita almeno un poco prima della morte in arrivo in modo naturale. Si era poi utilizzato il sistema di iniettare, prima della partenza per deportazione piccole dosi di sangue infetto specialmente di tifo, per garantire che la morte arrivasse presto e apparentemente senza colpa di nessuno. Strumenti di tortura Pugnali, coltelli, corde,croci, chiodi, pali e anche armi da fuoco, ma il minimo indispensabile. Il maggior numero di morti a costo quasi zero. - Le vittime Le stime del numero delle vittime varia da un minimo di 950.000 secondo le fonti scritte turche fino a 3.500.000 secondo le ipotesi degli Armeni. In specifico il Censimento ufficiale del 1914 fatto dal Governo ottomano rivela il numero di 1.295.000 Armeni, mentre il Patriarcato armeno parlò di 2.100.000 Armeni sempre nel 1914. Secondo il Ministro degli interni turco i morti sarebbero 800.000. Nel 1919 confermò questa tesi anche lo storico turco Bayur e anche Mustafa Kemal ritenendo accettabile la tesi del Ministero. Questa è però la parte che certamente ha tentato di minimizzare fino all'impossibile il numero delle vittime. Il Patriarcato Armeno ha parlato di 1.500.000 vittime armene durante il Genocidio. Dobbiamo ritenerci fortunati perché come ho già accennato sopra, il maggior storico e filosofo della storia del ventesimo secolo, Arnold Toynbee ha accompagnato personalmente tutta la vicenda del tentativo di cancellazione dell'Armenia e ha potuto studiare, valutare, comparare le migliaia di documenti che sono in specifico i documenti dei Consolati e tutte le testimonianze ai vari Tribunali nei quali sono poi stati condannati i responsabili del Genocidio e tutte le testimonianze informali o indirette che nel loro insieme hanno anche una parola molto preziosa da dire. A.Toynbee conclude che ritenendo il numero più verosimile degli Armeni residenti nell'Impero Ottomano di 1.800.000, sapendo che 200.000 si sono rifugiati nel Caucaso, 150.000 sono sfuggiti alla deportazione, 100.000 da considerarsi i rapiti di cui molti bambini salvati negli orfanotrofi, 150.000 i sopravvissuti nei campi di concentramento, 4200 Armeni di Musa, si potrebbe concludere secondo lui che i morti del genocidio dei cristiani armeni sarebbero almeno 1.200.000. (Yusuf Hikmet Bayur, “Turk Inkilabi Tarihi”, Ankara,1957, p. 787). Però nel 1916 la documentazione non era ancora certamente tutta a disposizione per cui anche il giudizio unico di Toynbee potrebbe essere insufficiente. Il Monaco Kevork che mi ha guidato in questo testo mi confidava con una certa amarezza il fatto che anche le autorità armene avrebbero accettato il numero di 1.500.000 vittime perché ormai questo numero aveva occupato il maggior spazio delle informazioni internazionali e richiedere giustizia riportando il numero a oltre 2.000.000 di vittime poteva sembrare un voler esagerare il numero per finalità demagogiche o di altro tipo, per questo si preferì ' accettare il numero che ormai era quasi universalmente accolto. Questa è la ragione per cui ho scritto 2.000.000 di vittime a cui credo fermamente. ( V.Dadrian, “The Naim Andonian”, p. 342 e p. 207 con la tesi di Mustafa Kemal) (Y, Ternon, “Gli Armeni”, Bur p. 292) - Alcuni benefattori Un uomo appartenente al triunvirato del Governo turco, Djemal Pasha nemico degli Armeni volle poi riparare in parte a quelle violenze irrazionali, riuscì a salvare 150.000 Armeni da morte certa. Lo stesso Djemal aveva affidato 1000 orfani alla figlia di un suo amico, altri 1000 orfani a una suora cattolica e più di mille in altri orfanotrofi. Alcuni Francescani almeno in alcuni momenti riuscirono a salvare un buon numero di Armeni, ma non conosciamo i risvolti di questi atti umanitari in quanto gli stessi Francescani furono uccisi. Anche due navi francesi e un incrociatore inglese, non troppo lontano, riuscirono a mettere in salvo 4500 Armeni braccati senza speranza. Benedetto XV oltre l'interessamento ha pure inviato tutti i suoi beni personali per le vittime del Genocidio cristiano armeno. L'ultima parola a Kevork Hintlian Nell’ultimo mezzo secolo ha seguito la vocazione di ravvivare la memoria del suo popolo, vittima del primo genocidio dell’epoca moderna. Kevork stesso è figlio di sopravvissuti al grande massacro. Nella sua

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città furono martirizzati oltre settanta dei suoi familiari, oltre ad alcuni sparsi in altre località più distanti. In cinquant’anni ha incontrato e ascoltato oltre ottocento persone sopravvissute al genocidio dei santi martiri cristiani armeni di cento anni fa. I suoi incontri non furono quelli del ricercatore archeologo che deve scrivere la tesi universitaria. Kevork è un pastore. In questi anni, a nome di Dio e a nome dei Turchi ha potuto chiedere perdono a queste persone. E quando ha incontrato ferite ancora non rimarginate ha potuto offrire la medicina dell’amicizia che vuole solidarizzare a tutti i costi. Tanti incontri! In quegli interminabili tentativi di incontri c’era sempre molta aspettativa, perché questo mio amico sapeva molto bene che quelle erano le ultime parole di testimoni oculari che avevano autorità di ravvivare la memoria di quel passato insanguinato. E quando finalmente incontrava la persona cercata, spesso doveva rimandare l’incontro perché il momento non era adatto o la persona traumatizzata aveva bisogno di altri tempi. Spesso ha dovuto aspettare settimane o mesi e ogni volta che incontrava la stessa persona, non era mai la stessa: le emozioni, i ricordi, e le ferite provocavano un batticuore diverso da una volta all’altra. Poi arrivavano le testimonianze, le ferite ancora aperte, i superamenti e quelle pesanti eredità che altre volte avevano ucciso anima e corpo lasciando il corpo con il solo respiro. Come sarebbe stata diversa la storia del genocidio senza di loro, senza le loro storie tormentate?

Kevork attraverso le loro storie ha potuto vedere anche lui, i campi di sterminio, la terra armena inzuppata di sangue, i fiumi con migliaia di corpi galleggianti e vere e proprie colline fatte di migliaia di cadaveri insepolti. Ha potuto vedere e sentire le grida nelle gole delle montagne in quei passaggi stretti che servivano da imboscate per un improvviso attacco che non dava più tempo per disperdersi. Il tutto era stato programmato per essere creduto un esilio che doveva però ben presto tramutarsi in annientamento. Quando i profughi si rendevano conto della trappola in cui erano caduti era tardi, troppo tardi. Negli esecutori del genocidio c’era un’unica volontà, quella di annientare i cristiani armeni. Poi Kevork cambia voce vicino all’iconostasi e apre il sipario della sua memoria per lasciarmi intravedere le icone sacre dei sopravvissuti: generalmente sono vedove, ma anche qualche orfano meno ferito che è riuscito a sfuggire. Mi racconta di Mayrig nativa di Mush, città così flagellata. La donna si è vista macellare davanti ai suoi occhi i cinque figli. Il marito poco prima aveva avuto la stessa sorte. Mentre sento questo fatto mi ricordo di aver visto una fotografia con la didascalia: “madre accanto ai suoi cinque figli massacrati” e mi domando se potrebbe essere, proprio quella che ho visto, la icona di Mayring, ma subito concludo, chissà quante donne hanno avuto la stessa sorte. Sento, poi che questa madre si è ricostruita un nuovo mondo per la sua vita. Due volte al giorno va in chiesa. La stanza in cui vive è satura di incenso, e tanti oggetti sacri rendono ancora più benedetta quella cappella. Come le altre vedove vicine, non aveva mai usato un passaporto e mai uscita dal suo mondo, dal suo quartiere armeno. La sua sofferenza aveva raggiunto il culmine per cui non sentiva necessità alcuna di cercare altro nella vita. Quell’ottantenne era diventata un’eremita ed era considerata una santa che si muoveva sulla terra in compagnia delle sue interminabili preghiere appena sussurrate. E come i suoi figli, appena usciti da Mush, altri 3000 bambini e donne erano stati uccisi a mazzate o semplicemente legati e buttati nell’Eufrate. Poi il mio interlocutore mi parla di Vartouk, un' orfana, trovata persa, nel deserto della Mesopotamia e diventata ufficiale di polizia, senza sorriso, senza amici e anche coloro che abitavano accanto a lei non erano suoi “vicini”. Mentre era diventata poco più che adolescente le avevano dato un marito orfano anche lui e la prima notte di matrimonio lei si era accorta di un particolare segno marrone sulla pelle simile a quello di suo fratello e parlando si accorse che lui era realmente suo fratello. Lei traumatizzata non si sposò più e si seppellì nel suo mondo, con uno sguardo stordito. In seguito Kevork mi disse che aveva viaggiato per quattro ore per incontrare un signore già centenario che disperso con tutti i suoi parenti era riuscito a salvarsi e ogni domenica si recava in chiesa per sentire

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se fosse arrivata qualche notizia di qualche familiare sopravvissuto e dopo oltre quarant’anni aspettava ancora. Mi parlò poi di Margot, una ottantenne di Marsiglia che viveva a Sivas e parlandomi del giorno in cui aveva lasciato il villaggio e dei tanti ricordi tristi di quel giorno non ricordava quasi più nulla. Infatti lei con le altre donne e bambini e vecchi erano partiti prima degli uomini, caso raro, solo perché in quelle terre c’era una grande produzione di grano e per questa ragione rimandarono la deportazione e l’uccisione degli uomini a dopo la mietitura. Sempre nella città di Margot, 400 bambini da 2 a 6 anni erano stati avvelenati per avere un peso in meno da trasportare. Da Sivas partivano i convogli numerosi, da 1000 a 3000 persone, tutti con lo stesso destino. E la Margot, di quel giorno, ricordava solamente il triste lamento del cane rimasto sul soffitto senza poter seguire il convoglio. Poi Margot aveva parlato di una donna che dopo aver partorito nel convoglio aveva dovuto lasciare il bambino lungo la strada come avevano fatto anche le altre partorienti. Dopo qualche giorno nel villaggio dove si erano fermate arrivarono dei turchi con sacchi chiusi. Riunirono le donne poi aprirono i sacchi che quelle donne pensavano fossero pieni di angurie dalla apparenza esterna. Rovesciarono per terra i sacchi che erano pieni di bambini nati negli ultimi giorni. Dopo che le madri avevano riconosciuto i loro bambini, i sacchi vennero nuovamente riempiti e chiusi e buttati via. Forse queste pratiche erano per cancellare ogni sentimento umano. Poi si parlò di Zarouhy del paese di Shoushankan presso Van. Quando scoppiò l’inferno a Van, una trentina di donne riuscirono a scappare, ma circondate dai Turchi non riuscirono a fuggire. Furono spogliate e assaltate sessualmente e lasciate nude. In seguito pensarono di ucciderle e per fare questo le portarono tutte in un casolare ormai fatiscente e attaccarono le donne con coltelli e accette. In mezzo a quella macelleria crollò il soffitto e così morirono tra le macerie. Zarouhy, che aveva nove anni dopo alcuni giorni incontrò ancora la madre agonizzante che le chiedeva un pò di acqua, ma Zarouhy non riuscì a trovarla e quella ultima voce di mamma le rimase nelle orecchie e non la lascio più. Quando poi Zorouhy uscì da quel rudere fu vista da due Turchi. Lei era completamente nuda. La presero e la pestarono fin quando ogni parte del suo corpo diventò un ematoma blu.

C’era poi il ricordo di Hekimian Sandrouny che nel 1915 era una giovane ragazza e ricorda quando ad Adiyaman, una notte furono arrestati tutti gli uomini e portati verso la prigione, era infatti sempre così, prima si mettevano fuori combattimento gli uomini, per cui con donne, bambini, e vecchi tutto diventava più facile. Dopo alcuni giorni, la donne furono invitate a vedere i mariti nella piazza della città e là erano stati legati con corde a gruppi di cinque ed erano esausti. Si diedero un saluto da lontano e fu l’ultimo, ovviamente. Dopo una settimana vennero deportate anche le donne e quando queste raggiunsero il fiume videro già da lontano un centinaio di cadaveri decapitati legati e incagliati negli arbusti della riva dell’Eufrate. Hekkimian aggiunse che quando andavano a prendere l’acqua al fiume, perché non ve n’era altra, spesso trovava gran quantità di depositi di sangue raggrumato lungo la riva. Poi Sarkis ricorda che i Turchi dopo aver scoperto che alcune decine di ragazzi armeni erano ospitati nell’orfanotrofio greco escogitarono un altro trucco. Di notte, si avvicinavano ai ragazzi e li invitavano a fare una gara in barca di notte. I ragazzi strafelici lottavano per non perdere l’occasione. Quando Sarkis si accorse che nessuno di loro tornava indietro cominciò ad avere dei dubbi su di loro, ma quando il giorno dopo li trovò sgozzati avvisò il fratello e fatta una corda con vestiti si lasciarono scendere dalla finestra e fuggirono presso una famiglia di amici greci. Là si vestirono al modo dei greci e vi rimasero fino a guerra finita. Ho ascoltato poi la storia del Dottor Vahan Kalbian che appena laureato nel 1915 andò presso la sua famiglia a Diarbekir per festeggiare la laurea. Come una festa di matrimonio durò ben sette giorni e si concluse con un incidente. La madre infatti danzando si fratturò l’anca. Il neo dottore insistette che si portasse subito a Beirut per l’operazione e così si fece. Con la malata, il marito e il figlio si aggiunsero

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altre cinque parenti infatti gli Armeni sono molto solidali tra di loro. Queste otto persone furono gli unici della famiglia sopravvissuti, mentre i loro parenti morirono tutti. 674 uomini erano stati annegati mentre erano imbarcati verso Musul. 12.000 ex soldati di Dyarbakir vennero massacrati sulla strada dei lavori forzati vicino a Palu e 700 giovani uccisi vicino a Urfa. 5000 donne buttate in un burrone. Il 15 settembre 1915 dei 120.000 Armeni del Distrertto di Diyarbakir non esisteva più nessuno o meglio gli otto sopravvissuti a Beirut. C’era poi Housep che da lontano aveva assistito al massacro di 10.000 ex militari ai lavori forzati. Quell’uomo, per tutta la vita si chiuse in una tomba di silenzio quasi assoluto e non fu più capace di parlare con nessuno. Ma chi lo incontrava poteva intravedere nel suo sguardo tutta la violenza che quegli occhi avevano visto. Sentii poi parlare di Mihran che dopo uno dei soliti massacri i Turchi decisero di buttare tutti i cadaveri in una grande cava. Pure lui fu buttato con gli altri infatti l’avevano creduto morto. Dopo che tutti se n’erano andati uscì furtivamente senza allontanarsi in quanto avrebbero potuto accorgersi di lui. Di giorno cercava un pò di cibo, ma di notte ritornava nella cava con i cadaveri e quell’insopportabile odore asfissiante e là ogni sera vedeva i suoi familiari decomporsi sotto i suoi occhi. Kevork mi parlò poi anche di Beatrice, nome datole dalla famiglia che l’aveva adottata. Lei aveva perso tutto: i familiari, il nome, la sua identità, gli amici e persino tanti ricordi che la sua memoria aveva rimosso. Era diventata una divoratrice della Bibbia, unico libro che possedeva e nonostante tutto, proprio lei ci teneva a dire che non nutriva sentimenti particolarmente ostili contro i Turchi e questo era certamente un grande miracolo. Uno degli ultimi ricordi che registro dal caro amico è la fine di Izmir (Smirne). L'incendio di Smirne. "Smirne ore 6 del 13 settembre 1922". Dei 370.000 abitanti della città (quasi 1.000.000 nella provincia) morirono 30.000 cristiani che furono proprio quelli nel mirino dei Turchi. Il fuoco bruciò la città tra il 12 e il 15 settembre, 1922. Il fatto grave che voglio registrare, capitò poco prima dell’incendio quando delle navi erano arrivate a Smirne per evacuare Inglesi, Francesi e Italiani, ma i Greci e gli Armeni furono rigettati. Per impedire che questi entrassero a bordo li tenevano lontano buttando addosso acqua e olio bollente. I 40.000 cristiani di quella città morirono quasi tutti. Kevork riuscì in seguito a intervistare 15 sopravvissuti di Smirne, ma quante lacrime! - Gli armeni dicono È evidente che nel programmare questo terribile pezzo di storia i responsabili presero una serie di precauzioni da esibire poi in qualche ipotetico Tribunale che volesse chiarire le responsabilità. I Turchi sapevano che quello che stavano per commettere era terribile, ma si lasciarono ubriacare da quel sogno di un Impero grande, forte, e con un'unica religione, l'Islam, per avere un'autonomia unica dal punto di vista politico, culturale e religioso. I membri del Comitato Centrale Turco sapevano che non potevano uccidere arbitrariamente per questo truccarono i fatti, e crearono le deportazioni gestite in modo tale che le persone non venissero uccise con un'arma da fuoco, ma fecero in modo che i deportati morissero lungo il cammino, di fame e di malattie. Le comunicazioni infatti venivano date a voce o se si spediva un telegramma o foglio scritto era sempre in duplice copia: una copia per comunicare i vari provvedimenti contro gli Armeni, copia che doveva essere subito distrutta e una copia in favore degli Armeni che rimaneva agli atti. Essi non potevano non sapere che le loro azioni , i loro metodi barbari e illegittimi non rispettavano nemmeno le leggi e i costumi di guerra ed erano contro i principi dell'umanità (anche la guerra ha delle leggi che tutti sono tenuti a rispettare). Il fatto che i documenti, che registrano le loro azioni non siano stati prodotti o immediatamente distrutti significa che sapevano molto bene che le loro azioni sarebbero state condannate da qualunque tribunale internazionale. Se fossero stati in buona coscienza non avrebbero avuto paura a documentare ciò che stavano facendo. Quindi il fatto che oggi non si trovino i documenti di tutte quelle centinaia di migliaia di morti non depone a favore dell'innocenza turca, ma contro la loro ipotetica buona coscienza. Il negazionismo del genocidio armeno indica un atteggiamento storico-politico che utilizzando a fini ideologici-politici modalità di negazione di fenomeni storici accertati, nega contro ogni evidenza il fatto storico del genocidio del popolo armeno. I testimoni provenienti da luoghi estremamente diversi e senza essersi potuti accordare prima delle loro deposizioni, hanno sempre constatato che le deportazioni non erano mai state motivate da cause militari, ma erano un semplice pretesto di vere e proprie condanne a morte. L'inizio poi, della Prima Guerra Mondiale, è stata una straordinaria copertura per organizzare il programma genocidio dentro la oscura nuvola della guerra. Benché il fatto sia storicamente accertato da centinaia di migliaia di testimonianze (e molte di queste non certo di parte) per degli interessi ideologici- politici-storici- culturali-religiosi, il Governo turco ritiene dannoso e antipatriottico ammetterlo.

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E alla fine di ogni constatazione si impone una domanda ironica, ma legittima: “Come si spiega che con tutti quei documenti in favore del popolo armeno, questo stesso popolo sia stato eliminato”? I turchi dicono “Presentate più documenti che comprovino le vostre accuse”. Infatti di fronte a qualunque testimonianza il colpevole può sempre negare il fatto se non ci sono documenti scritti accertati e inconfutabili. E questi documenti non sono mai stati prodotti per cui i responsabili in qualche modo “possono” continuare a negare il Genocidio. Un'altra precauzione usata dai Turchi è stata quella di non impiegare mai i soldati dell'esercito, in questo modo nessuno avrebbe potuto dire che il governo era a conoscenza dei fatti. Sono state usate le truppe dell'esercito nazionale solo quando è stato possibile supporre se non dimostrare che c'era stata una sommossa da parte degli Armeni o una difesa armata da parte degli stessi che poteva giustificare un intervento militare. La posizione ufficiale del governo turco è che le morti degli Armeni durante i “trasferimenti” o “deportazioni” non possono essere semplicemente considerate genocidio, perché le uccisioni non erano deliberate, né orchestrate dal Governo. Le uccisioni erano giustificate dalla minaccia filorussa costituita dagli Armeni, dall'ingerenza francese e inglese che cercavano di muoversi nel territorio ottomano servendosi degli Armeni. I Turchi poi denunciano il fatto che, degli Armeni si fossero arruolati nell'esercito russo e che non gradissero arruolarsi in quello ottomano. E le aspirazioni di indipendenza che serpeggiavano nel popolo armeno, i partiti armeni e i movimenti rivoluzionari in alcune regioni dell'Armenia stessa e forse quante altre ragioni motivarono un non-buon-vicinato tra Armeni e Turchi ma nulla che potesse motivare uno sterminio. Invece c'era una ragione che era la volontà di costruire un Impero grande, forte e compatto dal punto di vista culturale e religioso con un Islam che potesse modellare tutti i settori della società e questo non era certamente compatibile con un'Armenia cristana nel proprio territorio. La posizione filoturca arrivò persino a dire che la parola “genocidio” non esisteva ancora prima del 1943 quindi sarebbe scorretto usare quel termine. Ismet Inonu in una conferenza a Losanna conclude il suo discorso dicendo: “La responsabilità di tutte le calamità alle quali fu sottoposto il popolo armeno ricade così sulle sue azioni, dal momento che il governo e il popolo turco non hanno fatto altro che ricorrere, in ogni caso e senza eccezioni, a misure di repressione e rappresaglia, e questo solo dopo aver perso la pazienza” (A. Mandelstam, “Il Libro Giallo”, pp.258-307. Trad di Annalisa Crea). Poi c'è chi dice che non è successo proprio nulla. Essi cominciano col minimizzare il numero dei morti, riconoscendo appena un 200.000 morti, contro ogni evidenza, anche contro le evidenze da parte turca espresse dal Governo turco e alcuni storici sempre in difesa dei Turchi, poco dopo il termine del genocidio. Una sintesi dice: “Non è successo proprio nulla e se qualcosa è capitato è stato colpa esclusivamente degli Armeni”. Verso gli anni '60 Hikmet Bayur dice che gli Armeni si sono ribellati e i Turchi si sono difesi, mentre i massacri commessi dalle bande di Curdi e da guardie ausiliarie, le malattie contagiose, la fame e la fatica, hanno causato la morte di mezzo milione di persone”. (Yusuf Hikmet Bayur, “Turk Inkilabi Tarihi”, Ankara, 1957.pp.3-9). Altra tesi dice che i Turchi non hanno mai pensato a un genocidio contro gli Armeni, mentre gli Armeni sì che avrebbero tentato il genocidio dei Turchi e semplicemente non ci sarebbero riusciti. Al di là delle parti Una parziale conclusione è che il Genocidio è assolutamente esistito perché contro i fatti non ci sono argomentazioni che valgano ed è allo stesso tempo assolutamente negabile perché il documento scritto che lo condannerebbe ufficialmente non è mai stato accortamente prodotto. Se qualcuno pensa scorretto usare il termine di Genocidio armeno perché parti del massacro potevano sfuggire a questa denominazione, però è legittimo parlare di Genocidio dei cristiani armeni, perché è stata chiara la volontà di distruggere se non tutti il massimo numero possibile di cristiani. Si aggiunge il fatto che i due massacri dei cristiani Caldei (200.000) e dei cristiani persiani (80.000) mostra chiaramente che nel mirino erano gli Armeni in quanto cristiani più che gli Armeni in quanto un gruppo razziale. Se comunque il governo turco poteva avere delle paure nei confronti degli Armeni, come ho accennato sopra, e se poteva essere giustificato un esilio nei confronti di persone sospette non poteva però essere giustificata la volontà di distruggere una intera Nazione.

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Le responsabilità Una vasta letteratura ha parlato di responsabilità di tante nazioni. Riporto solo alcune ingerenze straniere che invece di dare un aiuto all'Armenia, mentre lo potevano fare, sono state semplicemente spettatrici pensando agli esclusivi tornaconti. Precisamente il 10 aprile quando iniziavano le deportazioni sulle montagne del Tauro, in Armenia, con l'accordo di Costantinopoli e dei Dardanelli la Francia e l'Inghilterra riconoscevano alla Russia i diritti sui Dardanelli stessi, conservando tuttavia i loro diritti commerciali. La Francia poi si attribuiva con la Siria, una parte dei territori popolati dagli Armeni, mentre I diplomatici cercavano di privare la Turchia di uno sbocco sul mare e l'Inghilterra dal canto suo proteggeva la via delle Indie e la Germania cercava di conquistare l'Impero ottomano non tanto come territorio ma economicamente. Tutti sapevano che cosa capitava in Armenia, il New York Times dava informazioni, sistematicamente sulla tragedia che veniva perpetrata in Turchia a danno degli Armeni e altri giornali e riviste europee comunicavano ai lettori le documentazioni ufficiali e le notizie che arrivavano attraverso i Consolati e le Ambasciate, ma queste informazioni non ottennero molto più che qualche rimprovero o biasimo, lasciando tutto come prima. C'era poi la Germania che, anche se molti hanno esagerato nel caricare di responsabilità questa nazione nella questione Armena, non si può dire con altrettanta sicurezza che fosse così innocente. Qualcuno parlando del genocidio dei cristiani armeni lo chiamò: “Metodo tedesco, Lavoro turco” e questo non è storico. Certamente la Germania non ha organizzato, né provocato i massacri armeni. Tutta la responsabilità di questi crimini contro gli Armeni ricade totalmente senza attenuanti, sui Giovani Turchi, ma è lecito porre qualche interrogativo. Nel momento in cui la Germania aveva uno straordinario potere nei confronti della Turchia, perché non fece nulla per salvare gli Armeni? Per capire il potere che la Germania aveva si pensi che insieme alla Turchia dovevano in comune fronteggiare la Russia, e la linea ferroviaria “Berlino-Bagdad” parla molto chiaro su quanto uno avesse bisogno dell'altro. E ancora il fatto che dei funzionari tedeschi fossero presenti nella storia delle Deportazioni e ancora vedendo poi come la Germania si comportò nel realizzare il suo genocidio contro gli Ebrei, anche questo non depone molto a favore dell'innocenza germanica.Come ho detto non è la Germania che ha progettato il genocidio dei Cristiani armeni, ma aveva certamente tutta l'autorità per impedirlo, così altre nazioni conoscendo ogni cosa dai loro Consoli e Ambasciatori avevano certamente il dovere, almeno di mitigare se non di impedire l'irrazionale violenza contro gli Armeni. CONCLUSIONE

- Tre icone dell'Armenia Armenia cristiana Sulla strada della deportazione, una madre ormai senza più forze, senza cibo né acqua, cade sulla strada per morire con i suoi due figli. Un soldato l'avvicina e dice: “So che stai morendo di fame. Se vuoi io ti porto tutto il cibo di cui avete bisogno tu e i due bambini, però – e mostrò una piccola croce – però devi sputare su questa croce”. La madre la prese in mano poi lentamente con devozione la baciò e la diede da baciare ai suoi due bambini, ben sapendo che quel gesto le avrebbe meritato di essere uccisa. Infatti il militare la uccise all'istante. (Patriarca Armeno in conferenza)

Armenia che muore Presso Der-Zor i deportati scheletriti non avevano più nulla da mangiare e si erano rassegnati a cucinare anche carne umana specialmente quella dei bambini. Una bambina era malata, moribonda, sulla stuoia. La madre le stava vicina. Arrivò un'ondata di odore di carne cucinata, che veniva chissà da dove. Certamente stavano cucinando la carne di qualche bambino.“Mamma - disse la bambina - va a chiederne un pezzo, io non ce la faccio più”. La madre con le ultime forze riuscì ad alzarsi e andare un poco avanti , ma qualche tempo dopo, ritornò a mani vuote. “Non hanno voluto darne nemmeno un pezzo? - disse la bambina – Mamma, fra poco quando morirò non dare niente della mia carne a loro, mangiala soltanto tu”. (James Nazer- “Documents of the turkish atrocities”) Armenia che risorge Un bambino di una decina di anni si nascose sotto la sabbia lungo la strada per Deyr-es-Zor. Era muto: gli avevano tagliato la lingua. Quando passava un convoglio emergeva

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dalla sabbia e avvertiva i passanti, che, laggiù li avrebbero massacrati. Smetteva di gesticolare solo quando la carovana aveva fatto marcia indietro. Allora, quel bambino non pensava a salvare se stesso, ma si nascondeva di nuovo sotto la sabbia e aspettava altre carovane di deportati. Quel bambino è oggi il Simbolo dell'Armenia che da cento anni a questa parte fa appello al mondo intero e da ottant'anni il mondo si rifiuta di ascoltare. (Y. Ternon- “Gli Armeni” -BUR, 2007). - L'icona del perdono Noi tutti sappiamo che quando incontriamo una persona che si è caricata della responsabilità di gravissime azioni criminali, siamo tentati di vedere in questa persona solamente più il male, la violenza, la prevaricazione, l'odio, e non siamo più capaci di vedere quegli angoli di bontà che pure possono coesistere o meglio devono esistere perché quella persona possa ancora sopravvivere. In quegli angoli di bontà di cui nessuno è completamente privo, cantano gli angeli, e la Trinità là poggia I suoi piedi. In questo viaggio tra i martiri di Armenia concludo con la testimonianza del Monaco Armeno Kevork Hintlian, di cui ho appena parlato sopra. Lui, figlio di genitori sopravvissuti, un uomo, più grande del genocidio stesso, che ha voluto riflettere sulla umanità e disumanità. Ricordo che nella sola città natale ha avuto tutti i suoi parenti (70 persone) martirizzati nel genocidio. Questo Monaco mi ha parlato di suo padre e disse che aveva incontrato ad un certo punto della sua vita “un gentiluomo che si chiamava Jemal Pasha, conosciuto come un mostro per la storia ufficiale ". Quando lessi questa frase, mi fermai e mi domandai come fosse possibile per un Armeno vedere qualche seme di gentilezza in chi è stato responsabile insieme ad altri due colleghi di due milioni di Armeni uccisi. È vero che verso la fine, forse lasciando parlare la sua coscienza, Jemal Pasha riuscì a salvare 150.000 Armeni e alcune migliaia di orfani. Ma un Armeno pensa certamente di più a quelli che ha fatto uccidere. Il mio interlocutore cerca di spiegarmi che quando riusciamo a perdonare ci rendiamo disponibili a vedere quei semi di bontà presenti in ogni creatura umana. Il mio interlocutore va avanti e dice di aver trovato tanta compassione tra i suoi Armeni sopravvissuti e dice che alcuni di loro continuano a voler bene ai Turchi e per stemperare la grandezza di questo fatto, mi aggiunge che qualcuno tra gli Armeni continua a sentire la loro musica turca (compreso suo padre). Il monaco continua a raccontarmi che è cresciuto in un villaggio di sopravvissuti al genocidio e mi ricorda che quegli Armeni hanno sempre tenuto solo per sé stessi le sofferenze, mentre hanno cercato, nei confronti dei giovani e bambini, di “inondarli” di calore, gioia e anche buon umore. Mi dice che i sopravvissuti non vogliono che si trasmetta ai giovani l'odio, bensì il perdono. Poi sento che poco tempo fa i membri di una organizzazione (G.A.) hanno tappezzato le città di posters ringraziando gli antenati Turchi per aver fatto quella pulizia etnica”. Io arrossisco, ma il mio amico il monaco Kevork pensando ai suoi morti, li ricorda là agonizzanti in quei burroni mentre gli avvoltoi volteggiano in picchiata sui loro corpi con grida raccapriccianti e Kevork ha un messaggio per i fratelli Turchi, una specie di vendetta: “Fratelli Turchi, noi abbiamo un messaggio, state certi, che la vittima umiliata, abusata, massacrata, ha un enorme potere datole da Dio stesso, che è il potere del perdono”. Poi continua a dire che è compito dell'umanità liberare il Turco dalla sua miseria ed educarlo a non essere orgoglioso delle sue uccisioni e spargimenti di sangue. Poi conclude : “Fratelli Turchi, noi vi siamo grati, perché proprio attraverso la vostra disumanità avete umanizzato noi Armeni”. E questo ultimo messaggio fa eco a ciò che disse una madre cristiana pochi mesi fa dopo aver assistito in video il massacro dei suoi due figli da parte di alcuni fanatici mussulmani. Avevano domandato alla madre che cosa avrebbe fatto se avesse incontrato quegli uccisori dei suoi figli; lei dopo un silenzio disse: “li avrei invitati a casa e li avrei ringraziati perché ci hanno fatto entrare nel Regno di Dio”. I documenti Consistono in archivi diplomatici, racconti dei deportati, le informazioni provenienti dai carnefici stessi, testimonianze nei racconti dei superstiti, degli stranieri presenti sul territorio tra il 1915-1916, i documenti ottomani stessi. I Consolati e le Ambasciate comunicarono sempre ogni cosa o per lo meno quello che potevano capire e a volte vedere. Ci sono poi i testi di Andonian e quelli di Naim Bey che pur con la loro straordinaria importanza, non disponendo di copie originali dei fatti a cui si riferiscono, se non pochissimi, e alcune imprecisioni sul numero dei morti e altri particolari non possono essere considerati “documenti” decisionali in un tribunale internazionale contro i responsabili del Genocidio. Comunque queste centinaia di migliaia di documenti pur essendo quasi sempre copie di originali, ma mai originali, perché quelli o non venivano prodotti o venivano immediatamente distrutti e arrivando da parti diverse, con autori senza la possibilità di confrontarsi prima di dare testimonianza, acquistarono un valore quasi assoluto.

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Si aggiunga il fatto che tutta questa documentazione è stata setacciata e vagliata dal maggior storico e filosofo della storia del secolo XX, Arnold Toynbee, il quale ha potuto pronunciarsi con autorità sui fatti di questo genocidio. Egli ha potuto dare un valore unico a questi documenti, rapportandoli tra loro, pur non suffragati in sé di tutte le proprietà della documentazione storica. C'è poi il “Libro Giallo” e il “Libro Blu”, quest'ultimo con una critica e lucida analisi di A. Toynbee pubblicato nel 1916. Il testo contiene preziosi rapporti consolari, testimonianze di missionari, civili neutrali, funzionari, infermieri, insegnanti, molti americani, svizzeri, danesi, alcuni tedeschi e armeni. Queste testimonianze non sono “Testimonianze giudiziarie” ma sono assolutamente attendibili perché portate da testimoni oculari e la loro precisione è data dalla concordanza dei fatti. I testimoni poi non solo hanno visto, ma hanno fotografato quei crimini incontestabili. Una delle documentazioni più preziose è certamente quella del fotografo Wegner Armin, che per due anni fissò nelle sue pellicole alcuni dei momenti più tragici del Genocidio. I testimoni hanno visto migliaia di cadaveri disseminati lungo le strade o trascinati dai fiumi, carnai a cielo aperto, testimoni che hanno visto armeni crocifissi, impalati, con arti tagliati. E questi fatti erano pubblicati in contemporanea dal New York Times e da giornali e riviste francesi, inglesi e di altri paesi. Oggi è possibile consultare almeno un milione di testimonianze di altrettanti tragedie di singoli, che nessun storico serio potrebbe contestare. E specialmente quelle del Francescano Basilius Talatinian, G. Balakian, il fotografo Armin Wegner, Morgenthau, Henry Barby, Gibbons, Harry Stuermer, Alma Johansson, Leslie Davids, M. Niepage, Suor Mohring, J. Lepsius e migliaia di altri. Nel caso di questo mio racconto preso dalle diverse testimonianze, la persona più preziosa è stato il Monaco armeno Kevork Hintlian che mi indirizzò per non perdermi in mezzo alla documentazione pur tutta preziosa. Il libro sul Genocidio dei martiri Cristiani Armeni è finito. Se però sei un Cristiano credente e praticante seguimi ancora in queste ultime righe. Dov'era Dio? Se durante la lettura ti sei domandato: "Ma Dio, dov'era? Ti rispondo : "Gesù era là inchiodato con loro". E se durante la lettura e la visione delle immagini ti sei detto: "Che criminali! Senza ombra di umanità!" Come hanno potuto arrivare a tanto! Meritano tutte le maledizioni del mondo". No! fratello, non dire così! Essi sono nostri fratelli, come Caino, Giuda e come tutti i criminali della storia. E ancora non dimenticare, che la stessa schizofrenia ha colpito milioni di persone. Dopo questo genocidio, i Russi hanno fatto uguale, gli Italiani in Iugoslavia hanno commesso gli stessi crimini, i Tedeschi, i Cinesi, gli Africani e gli Americani, tutti ci siamo macchiati allo stesso modo. Oggi quando incontrerai, sulla tua strada, qualcuno che non ha perdonato, che ha bestemmiato o ucciso un bambino innocente con una baionetta e lo ha buttato nell'Eufrate, o con una spinta lo ha buttato nell'inceneritore o incontrerai nella pagina del giornale, qualcuno che ha appena ucciso la moglie o il marito o stuprato un bambino, se vedi queste cose dunque, non dire: "Questo è problema loro e non mi riguarda!", non dire: "Peggio per loro!", semmai diciamo: "Peggio per noi!" Se ti trovi su una barca e ti occupi del motore, mentre un tuo collega si occupa della vela e un altro ancora dirige la barca col remo, tu non puoi dire: "Io cerco di fare bene il mio lavoro e se gli altri sbagliano, peggio per loro! No! semmai, peggio per te, per noi". Gli altri sono un pezzo di noi. Siamo nella stessa barca. O ci salviamo insieme o affondiamo insieme. Allora ecco una proposta cristiana: Quando vedrai le persone che hanno sbagliato, dopo esserti domandato : "Chi sono questi criminali?" ti risponderai: "Si, sono miei fratelli e io posso fare qualcosa per loro. Mi caricherò dei loro sbagli, della loro pigrizia di fare il bene,

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delle loro violenze. E farò miei questi crimini, proprio come li avessi commessi io, personalmente, perché essi non sanno da chi andare per chiedere perdono, qualcuno non sa neppure che esista il perdono, ma io lo so, io so dove andare per farmi perdonare e quando arriverò ai piedi dell'altare all'inizio della messa durante quel "Signore pietà", chiederò perdono io a nome loro". In quel momento potrò diventare collega di Gesù Cristo il quale si è caricato dei peccati del mondo: Gesù, il Redentore, noi, corredentori con lui. E ancora, poiché a noi non è dato di giudicare di peccato una sola persona della storia, e quindi poiché ogni criminale che ha commesso azioni orribili potrebbe essere la persona più innocente della storia, in quanto la sua mente potrebbe essere affetta da grave schizofrenia, anche noi possiamo e dobbiamo dire: Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno. Probabilmente nessun turco ha “fatto ciò che ha fatto” sapendo realmente ciò che faceva. Nelle situazioni di guerra, si possono scatenare schizofrenie collettive, che travolgono il pensiero, la mente, e la ragione. Padre, perdona perché non sanno che cosa fanno". Di fronte al più grande crimine della storia (e non ne conosco di più gravi) come quello di inchiodare e uccidere un Figlio di Dio, Gesù dice che quel crimine è pazzia e proprio per questo merita molta misericordia, tutta la misericordia, molto perdono, tutto il perdono. Ora puoi ritornare a contemplare le immagini, ma non dimenticare di pronunciare la parola "perdono" (richiesto agli Armeni e donato ai Turchi) e ripeterai questa preghiera di fronte a ogni immagine.