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Camminare per Conoscersi Fontane e Lavatoi di Baldasseria Le Fontane Della quattro fontane esistenti un tempo, ne sono rimaste solo due per la ferma opposizione del vicinato al loro smantellamento. Una è posta in via Baldasseria Bassa, dove il Ledra svolta in via Lauzacco, l’altra è situata in via Baldasseria Alta, vicino a Casa Vidussi e ai Casali Franzolini, in fondo alla stessa via. La due ancora esistenti sono state, però l’uso dissennato d’acqua che se ne faceva, sia per ragioni igienico sanitarie. Le altre due furono rimosse negli anni ’50, quando via via le rete idrica cittadina veniva estesa, fra il 1932 e il 1966, anche in periferia per fornire l’acqua potabile in tutte le case. Le fontane erano alimentate dalle tubature dell’acquedotto cittadino e sostituirono i tradizionali pozzi che pochi avevano il privilegio di possedere, ma che erano per sempre a disposizione dei vicini. Furono installate nel 1893 (quando l’acquedotto cittadino veniva ancora alimentato dalle fonti di Lauzacco) con gran sollievo della popolazione che vedeva soddisfatta finalmente questa primaria e indispensabile esigenza di vita. Funzionavano a pulsante per evitare dispersioni d’acqua. Esteticamente, delle rimaste, una sola (via Baldasseria Alta) si erge con l’austerità monumentale dello stile liberty, in auge agli inizi del secolo scorso. Ha la colonna di ghisa, fusa a stampo dalle Fonderia Udinesi, con lo stemma comunale. L’altra (via Baldasseria Bassa) rimossa, poi rimessa e spostata, è una raffazzonatura di magazzino. Un vero peccato perché l’originale era alta, solenne, artistica e protetta da quattro piastrini di pietra. Ad esse, comunque, per quasi mezzo secolo, vi hanno attinto acqua i nostri borghigiani. Le nostre donzellette vi si recavano a prelevarla col “buinz” (arconcello) a spalla e i secchi di rame stagnati, cesellati a sbalzo o incisione con motivi floreali stilizzati da abiti battirame, che poi venivano appesi ai ganci della grata sopra l’acquaio e dai quali si attingeva col “cop” (ramaiolo). Ovviamente le più sbarazzine, con qualche scusa, compivano più di una uscita per incontrare l’anima gemella, sempre alla posta nei paraggi e scambiare con lei qualche occhiata o parola. Un’alternativa dell’attuale “fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”, ma un invito allora anacronistico perché in campagna il latte ce l’avevano tutti in casa. Se per la cucina erano sufficienti un paio giornaliero di secchiate ben diverso era l’approvvigionamento per il bestiame, lavarsi, fare il bucato e bagnare l’orto. Esso veniva fatto col cigolante “cariolòn”, un pesante mazzo a due ruote di ferro portante una botte che era faticosissimo da trainare a braccia. Eppure c’era chi effettuava parecchi trasporti al giorno!

Fontane e lavatoi - UISP Nazionale · Un’alternativa dell’attuale “fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”, ma un invito allora anacronistico perché in

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Camminare per Conoscersi

Fontane e Lavato i d i Ba ldasser ia Le Fontane

Della quattro fontane esistenti un tempo, ne sono rimaste solo due per la ferma opposizione del vicinato al loro smantellamento. Una è posta in via Baldasseria Bassa, dove il Ledra svolta in via Lauzacco, l’altra è situata in via Baldasseria Alta, vicino a Casa Vidussi e ai Casali Franzolini, in fondo alla stessa via. La due ancora esistenti sono state, però l’uso dissennato d’acqua che se ne faceva, sia per ragioni igienico sanitarie.

Le altre due furono rimosse negli anni ’50, quando via via le rete idrica cittadina veniva estesa, fra il 1932 e il 1966, anche in periferia per fornire l’acqua potabile in tutte le case. Le fontane

erano alimentate dalle tubature dell’acquedotto cittadino e sostituirono i tradizionali pozzi che pochi avevano il privilegio di possedere, ma che erano per sempre a disposizione dei vicini.

Furono installate nel 1893 (quando l’acquedotto cittadino veniva ancora alimentato dalle fonti di Lauzacco) con gran sollievo della popolazione che vedeva soddisfatta finalmente questa primaria e indispensabile esigenza di vita. Funzionavano a pulsante per evitare dispersioni d’acqua.

Esteticamente, delle rimaste, una sola (via Baldasseria Alta) si erge con l’austerità monumentale dello stile liberty, in auge agli inizi del secolo scorso. Ha la colonna di ghisa, fusa a stampo dalle Fonderia Udinesi, con lo stemma comunale. L’altra (via Baldasseria Bassa) rimossa, poi rimessa e spostata, è una raffazzonatura di magazzino. Un vero peccato perché l’originale era alta, solenne, artistica e protetta da quattro piastrini di pietra. Ad esse, comunque, per quasi mezzo secolo, vi hanno attinto acqua i nostri borghigiani.

Le nostre donzellette vi si recavano a prelevarla col “buinz” (arconcello) a spalla e i secchi di rame stagnati, cesellati a sbalzo o incisione con motivi floreali stilizzati da abiti battirame, che poi venivano appesi ai ganci della grata sopra l’acquaio e dai quali si attingeva col “cop” (ramaiolo).

Ovviamente le più sbarazzine, con qualche scusa, compivano più di una uscita per incontrare l’anima gemella, sempre alla posta nei paraggi e scambiare con lei qualche occhiata o parola.

Un’alternativa dell’attuale “fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”, ma un invito allora anacronistico perché in campagna il latte ce l’avevano tutti in casa.

Se per la cucina erano sufficienti un paio giornaliero di secchiate ben diverso era l’approvvigionamento per il bestiame, lavarsi, fare il bucato e bagnare l’orto.

Esso veniva fatto col cigolante “cariolòn”, un pesante mazzo a due ruote di ferro portante una botte che era faticosissimo da trainare a braccia. Eppure c’era chi effettuava parecchi trasporti al giorno!

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Particolarmente animato vicino alle fontane era il periodo prevendemmiale quando i

contadini si allineavano a “stonfâ” (impregnare d’acqua per saldare le doghe sconnesse) “tinàs”, “pòdins”, “brentis”, “caratei”: tini, mastelli, bigonce, botti e ne risaldaavano con battiture e cerchioni allentati.

Ma le fontane non erano solo fonte di lavoro e di fatica ma anche di divertimento e ristoro. D’inverno e ragazzi vi spargevano intorno secchi d’acqua per creare plaghe ghiacciate sulle quali slittar con gli zoccoli ferrati e con le inevitabili cadute e ammaccature. Se le fontane erano gelate le schiacciavano scaldandole col fuoco di culmi di granturco.

D’estate le fontane abbeveravano i cavalli dei carrettieri di passaggio, dissetavano e rinfrescavano i viandanti, i contadini di ritorno dai campi, le sudate e affardellate donne che dai paesi vicini venivano a piedi in città per gli acquisti e quivi facevanola rituale sosta per ritemprarsi prima di riprendere il cammino.

Non di raso si fermava anche qualche rappresentante di commercio a rabboccare il radiatore del suo fumante trabiccolo e darci una pulitina alla carrozzeria. Fortunato il ragazzo che l’aiutava perché con la ricompensa si assicurava il cinema domenicale e una manciata di arachidi o carrube.

Così si svolgeva la vita un tempo intorno alle fontane. Oggi, a compensazione della demolite, ne sono state poste tre nel parco-giochi di via Piutti. Ma sarebbe opportuno collocarne almeno qualcuna a zampillo anche all’estrema periferia di Udine-Sud per soddisfare le esigenze dei numerosi ciclisti e podisti che nella nella stagione percorrono la nostra periferia e la compagna vicina per diporto.

I Lavatoi

Oltre alle fontane pubbliche, numerosi lavatoi, ora demoliti o abbandonati dopo il disuso, sorgevano lungo il canale Ledra e il rovello derivato che scorreva in via Baldasseria Media e interrato pochi anni or sono per allargare la strada.

Erano tutti situati, per comodità d’uso, davanti agli agglomerati abitativi. Alcuni, che si trovavano lungo il rovello, e di cui nessuno si è preso la briga di conservare per la mania invasiva del

modernismo, erano dei piccoli capolavori in pietra lavorata. Altri in cemento, mascherati da sterpaglie ed erbacce, sono tuttora esistenti e visibili

accanto alla chiesetta e in fondo a via Baldasseria Media vicino ai Casali Franzolini. L’avvento in casa dell’acqua potabile e della lavatrice li ha ormai relegati all’oblio e

abbandonati per sempre. Ma meritano un rispettoso ricordo perché su questi freddi “taulis” (spianatoie) rattrappite le mani e rotta la schiena le nostre bisnonne per risciacquare il bucato, allora fatto a mano in casa con sapone, soda e acqua filtrata nella cenere, nota per il suo contenuto potassico sgrassante. Portavano i panni ai lavatoi con il mastello sulla carriola o con il cesto sulla testa posato sul cercine.

Nel loro improbo lavoro d’inverno erano rincuorate da qualche bevanda calda e dalla compagnia dei corteggiatori che approfittavano di questa occasione per i loro approcci amorosi perché le donne allora conducevano una vita quasi monastica (casa, chiesa e lavoro).

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Comunque la presenza di questi spasimanti era provvidenziale perché nella foga dello

sbattere alle lavandaie spesso sfuggiva di mano qualche panno che la corrente trascinava a valle dove si impigliava nella vegetazione spondale o si fermava alla prima griglia.

Ma veniva, non senza peripezie, ripescato con un raffio improvvisato dai nostri giovanotti ripagati dalla bella con un sorriso o qualche soffusa promessa manifestata sempre con un certo velato pudore.

Oltre alle periodiche risciacquature del bucato una volta all’anno (Settimana Santa), le donne portavano dei lavatoi a lavare e lucidare il pentolame di rame con strofinate di aceto, farina e cenere. In quei giorni si traeva dai ripostigli anche la biancheria delle grandi occasioni, poco usata e ingiallita, per ravvivarla e imbiancarla con ripetute sciacquature.

Il lavoro più ingrato, però, era la sfilacciatura (giugno-luglio) e il lavaggio (dopo cottura) dei bozzoli, scarti e invenduti, del baco da seta (spelajè) per confezionare imbottite. In tanfo che emanavano le crisalidi sprigionate mozzava il fiato e ammorbava l’aria per giorni. Ma allora era una cosa usuale e nessuno si turava il naso.

Questo il fervore ai lavatoi negli anni verdi delle nostre nonne. Una vita, se rapportata all’attuale, di fatiche e sacrifici che oggi nessuna donna compirebbe più. Rivive solo nella memoria degli anziani l’accorato rimpianto di quei tempi legato alla loro giovinezza, alla sobrietà, a un mondo pulito e ai grandi valori ora scomparsi o riposti in naftalina e riesumati solo nelle grandi emergenze.

A ricordare questo passato è ormai rimasto soltanto qualche trascurato cimelio. Troppo poco.

Alfredo Orzan