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FONDAMENTI DI MECCANICA QUANTISTICA Appunti raccolti nel Dipartimento di Fisica dell’Università “La Sapienza” di Roma a cura di Stefano Patrì. Indirizzo e-mail dell’autore: [email protected] 25 ottobre 2008

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FONDAMENTI DIMECCANICA QUANTISTICA

Appunti raccolti nel Dipartimento di Fisicadell’Università “La Sapienza” di Roma

a cura di Stefano Patrì.Indirizzo e-mail dell’autore:[email protected]

25 ottobre 2008

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PREFAZIONE

Queste note sono gli appunti che ho raccolto frequentando lelezioni di Meccanica Quan-tistica del Prof. Massimo Testa. Io avevo già superato l’esame di Istituzioni di FisicaTeorica della laurea quadriennale molti anni prima, non avendo però purtroppo potutoapprendere la materia a quell’epoca dal Prof. Massimo Testaperché egli era impegnatoallora con altri corsi.

Non è mai bello far confronti fra docenti, soprattutto se poiè trascorso un così lungoperiodo come fra quella prima volta e la seconda con il Prof. Testa.

Mi limito pertanto ad esprimere viva ed immensa gratitudineal Prof. Massimo Testaperché soltanto dopo aver frequentato le sue ineguagliabili lezioni, ho potuto dire di avercompreso finalmente un pochino i fondamenti di quell’affascinante costruzione teoricache è la Meccanica Quantistica.

Sebbene io mi consideri oggi pienamente ed estremamente contento, felice, soddi-sfatto e realizzato nella mia vita, tuttavia mi capita ogni tanto di domandarmi, senzache possa mai più esservi una risposta, come sarebbe stata lamia vita se, quando avevovent’anni, avessi potuto apprendere la Meccanica Quantistica da un docente dai modi edallo stile del Prof. Massimo Testa.

Sperando che il lavoro di raccolta degli appunti delle lezioni del Prof. Testa possaessere di qualche giovamento per qualcuno, invito chiunqueleggesse queste mie paginead inviarmi un qualsiasi suo commento personale di ogni tipo, nonché a segnalarmiqualunque errore, svista, imprecisione che venissero trovati. Grazie

Stefano Patrì

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Indice

1 Dalla fisica classica alla fisica quantistica 51.1 Radiazione di corpo nero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51.2 Effetto fotoelettrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71.3 Interferenza ottica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

2 Formalismo generale nella notazione di Dirac 112.1 Considerazioni preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 112.2 Spazio degli stati possibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 122.3 Osservabili e operatori lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . 142.4 Misura di un’osservabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

2.4.1 Caso degli operatori continui in dimensione infinita .. . . . . . 192.4.2 Misura simultanea di osservabili . . . . . . . . . . . . . . . . .21

2.5 Rappresentazione di operatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 252.6 Legame fra osservabili classiche e operatori quantistici . . . . . . . . . 27

2.6.1 Trasformazioni unitarie e operatore impulso . . . . . . .. . . . 302.7 Autostati dell’operatore impulso . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . 36

2.7.1 Trasformate di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372.7.2 Operatore posizione nella base degli autostati dell’impulso . . . 39

2.8 Impulso e traslazioni spaziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . 392.9 Principio di indeterminazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . 44

2.9.1 Pacchetti d’onda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46

3 Evoluzione temporale degli stati 493.1 L’equazione di Schrödinger e propagatore quantistico .. . . . . . . . . 50

3.1.1 Evoluzione temporale e misura di due osservabili . . . .. . . . 553.2 Rappresentazione di Heisenberg . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 573.3 Densità di corrente di probabiltà . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . 593.4 OperatoreDensità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

3.4.1 Velocità di trasmissione dell’informazione . . . . . . .. . . . . 613.5 Prodotto tensoriale di spazi di Hilbert . . . . . . . . . . . . . .. . . . 633.6 Interazione tra sistema fisico e apparato di misura . . . . .. . . . . . . 64

3

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4 INDICE

3.6.1 Difficoltà nell’osservazione della meccanica quantistica . . . . 65

4 Soluzioni dell’equazione di Schrödinger 694.1 Equazione di Schrödinger per la particella libera . . . . .. . . . . . . . 694.2 Analisi qualitativa delle soluzioni . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . 714.3 Potenziali costanti a tratti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . 76

4.3.1 Buca di potenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 784.3.2 Particella nel segmento: buca di potenziale con pareti infinite . . 79

4.4 L’oscillatore armonico in una dimensione . . . . . . . . . . . .. . . . 824.4.1 Rappresentazione matriciale degli operatori . . . . . .. . . . . 864.4.2 Oscillatore armonico asimmetrico . . . . . . . . . . . . . . . .874.4.3 L’oscillatore armonico isotropo in due dimensioni . .. . . . . . 874.4.4 Livelli di Landau . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90

5 Formulazione mediante integrali di cammino 935.1 Integrali di cammino e fenomeno dell’interferenza . . . .. . . . . . . . 975.2 Effetto Aharonov-Bohm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99

6 Momento angolare 1036.1 Momento angolare di spin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111

6.1.1 L’equazione di Pauli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1136.2 Composizione di momenti angolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 1176.3 Covarianza per rotazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125

6.3.1 Covarianza dell’equazione di Schrödinger . . . . . . . . .. . . 1266.3.2 Covarianza dell’equazione di Pauli . . . . . . . . . . . . . . .. 130

7 Sistemi in tre dimensioni 1357.1 L’atomo d’idrogeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1357.2 L’oscillatore armonico isotropo . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . 141

8 Particelle identiche 1438.1 Località della fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147

9 Teoria delle perturbazioni 1499.1 Teoria indipendente dal tempo: caso non degenere . . . . . .. . . . . . 1499.2 Teoria indipendente dal tempo: caso degenere . . . . . . . . .. . . . . 1529.3 Metodo variazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1539.4 Teoria dipendente dal tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154

10 Formalismo di seconda quantizzazione 157

11 Qualche esercizio 163

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Capitolo 1

Dalla fisica classica alla fisicaquantistica

Come afferma Thomas Kuhn a proposito delle rivoluzioni scientifiche, una rivoluzio-ne scientifica viene sempre preceduta da un accumularsi di risultati sperimentali cheinduce a dubitare della validità della teoria consolidata relativamente a quell’ambitodi osservazione e a costruire quindi una nuova teoria che meglio si accordi con queirisultati.

Verso la fine del diciannovesimo secolo si erano accumulate una serie di evidenzeempiriche in virtù delle quali si cominciò a dubitare della validità della meccanica new-toniana quando si cercava di studiare fenomeni che avvenivano su scala microscopica.

Limitandoci soltanto ad una breve analisi di pochi fenomeniche evidenziarono certilimiti della fisica classica, rimandiamo a testi della letteratura più ampi per una piùesauriente trattazione di questi e di altri fenomeni che rappresentarono una sorta dicrisidella fisica newtoniana.

1.1 Radiazione di corpo nero

Fra questi fenomeni, in ambito termodinamico, c’era il problema della cosiddettaradia-zione di corpo nero, o radiazione termica.

Nella seconda metà del XIX secolo Kirchhoff aveva condotto una serie di esperimen-ti sull’emissione e sull’assorbimento della luce. L’osservazione empirica mostra che uncorpocaldoemette radiazione elettromagnetica sotto forma di calore la cui distribuzionein lunghezza d’onda (chiamatadistribuzione spettrale) dipende dalla temperatura.

Se un corpo è in equilibrio termico con l’ambiente circostante e si trova quindia temperatura costanteT , allora esso deve emettere e assorbire la medesima quantitàdi energia nell’unità di tempo sotto forma di radiazione, altrimenti la sua temperaturasubirebbe variazioni.

5

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6 CAPITOLO 1. DALLA FISICA CLASSICA ALLA FISICA QUANTISTICA

La radiazione emessa o assorbita in queste condizioni vienedenominataradiazionetermica e si definisconopotere emissivo, indicato conE, e potere assorbitivodi uncorpo le quantità di energia che nell’unità di tempo e per unità di superficie tale corporispettivamente emette e assorbe. Si definisce quindicorpo neroun corpo che assorbetutta l’energia prodotta dalla radiazione incidente su di esso.

L’espressioneradiazione di corpo nero, coniata da Kirchhoff, deriva dal fatto che laradiazione prodotta da un corpo riscaldato può essere osservata chiudendo il corpo inun forno e guardando quindi la luce emessa attraverso un piccolo foroappositamentepraticato nella parete del forno stesso al cui interno vi è ovviamente oscurità.

Possiamo allora fare a meno del forno e utilizzare una cavitàmantenuta a tempe-ratura costante, al cui interno sia fatto il vuoto, che abbiaun piccolo foro attraverso ilquale possa entrare o uscire un raggio di luce.

Tale foro si comporta come un corpo nero perché tutta la radiazione che entra dall’e-sterno attraverso di esso viene effettivamente assorbita dopo varie riflessioni sulle paretiall’interno della cavità.

Se la temperatura della cavità viene poi fatta variare, si osserverà che la radiazioneuscente dal foro all’esterno sarà, al crescere della temperatura, via via più splendentefino a cambiare colore dal rosso scuro al giallo e infine al bianco intenso.

Ciò accade perchè gli elettroni del metallo delle pareti della cavità si comportano co-me degli oscillatori i quali, appunto oscillando per effetto del riscaldamento, subisconouna variazione dello stato di moto ed emettono in tal modo radiazione elettromagnetica.

Questa radiazione può essere assorbita dagli stessi elettroni ed essere irradiata dinuovo. Il processo va avanti indefinitamente benché vi sia ovviamente una perditadi radiazione attraverso il piccolo foro che ce ne consente l’osservazione e la misu-ra. Alla distribuzione dei colori corrisponde il dispiegamento delle lunghezze d’onda,indipendentemente dal tipo di materiale di cui è costituitala cavità.

Considerando l’equilibrio termico fra oggetti di materiali differenti e utilizzandosolo le leggi della termodinamica, Kirchhoff era giunto alla conclusione che il pote-re assorbitivo e il potere emissivo di un corpo sono uguali indipendentemente dallatemperatura del corpo stesso e per radiazione di qualsiasi lunghezza d’onda.

La densità di energia e la composizione della radiazione emessa all’interno di uncorpo cavo, delimitato da pareti impenetrabili a temperatura T , dovevano essere indi-pendenti dalla natura delle pareti stesse. In altre parole la densitàρ di energia dellaradiazione è una funzione universale della frequenzaν e della temperatura assolutaT ;la potenza emessa per unità di area da un corpo nero a frequenze comprese fraν e dν,indicata conρ(ν, T ) dν, deve fornire una potenza totaleR emessa per unità di area datada

R =∫ +∞

0ρ(ν, T ) dν

Per determinare la forma della funzioneρ, si utilizzarono esclusivamente argomen-tazioni di natura termodinamica: in particolare la legge diproporzionalià, trovata dai

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1.2. EFFETTO FOTOELETTRICO 7

fisici austriaci J. Stefan e L. Boltzmann, fra il potere emissivo di un corpo e la quartapotenza della sua temperatura assolutaT (E = σT 4) e la legge per la quale il prodottodella temperatura per la lunghezza d’onda che fornisce il valore massimo dell’emissione(legge dello spostamento di Wien) risulta costante (λmax T = k).

La forma della funzioneρ, proposta dal fisico tedesco W. Wien in accordo con questedue leggi, fu dunque

ρ(ν, T ) = a ν3 e−bνT (1.1)

dovea e b sono due costanti positive, ma ulteriori esperimenti evidenziarono che questaespressione dellaρ(ν, T ) non vale per le basse frequenze per le quali i fisici Rayleigh eJeans trovarono l’espressione

ρ(ν, T ) = aTν2 (1.2)

Il fisico M. Planck risolse allora il problema della radiazione di corpo nero ipotiz-zando che gli oscillatori ai quali è dovuta l’emissione della radiazione di frequenzaν,scambino energia con le pareti non in modo continuo, bensìa pacchetti, in modo che leenergie siano dunque multiple delpacchetto(denominatoquanto) hν e, sulla base deiprincipi di meccanica statistica, pervenne alla relazione, assolutamente non deducibileda argomentazioni di fisica classica

ρ(ν, T ) =8πh

c3ν3

ehνKT − 1

doveh è la famosa costante di Planck avente le dimensioni fisiche diun’azione, c è lavelocità della luce nel vuoto eK è la costante di Boltzmann.

Si verifica facilmente che laρ(ν, T ) di Planck si riduce alla (1.1) nell’approssima-zione di alte frequenze e si riduce alla (1.2) nell’approssimazione di basse frequenze.

1.2 Effetto fotoelettrico

L’importanza del ruolo della costanteh fu chiarito in seguito da Einstein attraverso lostudio dell’effetto fotoelettrico. Con questo nome si intende quel fenomeno per il qualedegli elettroni fuoriescono da un metallo quando su di esso si invia una radiazione in-cidente avente un’energia maggiore di un’energia di sogliaU . Nel corso di esperimentifinalizzati all’indagine delle proprietà delle onde elettromagnetiche, H. Hertz scoprì nel1887 che quando della radiazione ultravioletta incide su elettrodi metallici facilita ilpassaggio di una scintilla. Successivi esperimenti mostrarono che le particelle carichesono emesse dalle superfici metalliche quando queste ultimevengono irradiate da ondeelettromagnetiche di alta frequenza. Gli aspetti più importanti che emersero dai datisperimentali furono il fatto che vi è una frequenza di sogliadella radiazione incidentesotto la quale, qualunque sia l’intensità, non si verifica nessuna emissione di elettroni;gli elettroni fuoriescono con valori del modulo della velocità che vanno da zero fino ad

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8 CAPITOLO 1. DALLA FISICA CLASSICA ALLA FISICA QUANTISTICA

un valorevmax tale che l’energia cinetica corrispondente alla stessavmax dipende linear-mente dalla frequenza della radiazione incidente e non dipende dalla sua intensità, che èproporzionale al valor medio del modulo del quadrato del campo elettrico~E; il numerodi elettroni emessi per unità di tempo risulta essere, per una data frequenza della radia-zione incidente, proporzionale all’intensità della radiazione; l’emissione di elettroni siverifica immediatamente non appena la radiazione comincia ad incidere sulla superficie,senza che trascorra nessun intervallo di tempo.

Secondo la fisica classica ci si poteva attendere che l’energia cinetica massima deglielettroni emessi sarebe aumentata con la densità di energia(o intensità) della radiazioneincidente, indipendentemente dalla frequenza, ma questo non si acccorda con l’osserva-zione. Inoltre secondo la teoria classica l’energia incidente è distribuita uniformementesu tutta la superficie illuminata e poiché per estrarre un elettrone da un atomo occorreche la radiazione sia concentrata su un’area delle dimensioni atomiche, allora dovre-be trascorrere un intervallo di tempo prima che la radiazione possa arrivare ad incideresulla regione con le dimensioni opportune.

Einstein fornì nel 1905 una spiegazione per questi strani aspetti dell’effetto fotoe-lettrico basata sull’estensione della teoria di Planck della quantizzazione della radiazio-ne di corpo nero. Nella teoria di Planck gli oscillatori che rappresentano la sorgentedel campo elettromagnetico possono vibrare con energieE = nhν, mentre Einsteinformulò l’ipotesi che il campo elettromagnetico stesso fosse quantizzato e che la lucefosse costituita da corpuscoli denominatiquanti di luceo fotoni che si muovono con lavelocitàc della luce e trasportano un quanto di energiaE = hν.

I fotoni sono sufficientemente localizzati, in modo tale chel’intero quanto di energiapossa essere assorbito da un atomo istantaneamente e possa essere pertanto usato perestrarre un elettrone dall’atomo. A causa delle interazioni dell’elettrone emesso con glialtri atomi, occorre che la radiazione incidente abbia una certa energia minimaU perestrarre l’elettrone, da cui segue che l’energia cinetica massima di unfotoelettroneèdata da

1

2mv2

max = hν − U (1.3)

e la frequenza di sogliaνs assume il valore

νs =U

hottenuto pervmax = 0.

Pertanto per innalzare l’energia degli elettroni fuoriusciti, occorre aumentare la fre-quenza della radiazione incidente, perché dalla(1.3) si ha che piùpacchettisi inviano,maggiore è l’energia che gli elettroni ricevono.

Queste osservazioni sembravano confermare l’idea deipacchettidi Planck, ovverola visione corpuscolare della radiazione. Tale visione corpuscolare, in realtà, risaliva aNewton che faceva notare come la riflessione della luce ad un angolo pari a quello diincidenza “assomigliasse” al rimbalzo di una pallina (corpuscolo) su una parete.

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1.3. INTERFERENZA OTTICA 9

1.3 Interferenza ottica

A far abbandonare l’idea corpuscolare della luce era stata,dopo Newton, l’osservazio-ne del fenomeno dell’interferenza ottica. Data una radiazione che passa attraverso duefenditure, si ha che nel punto di osservazioneP (fig. 1.1) le due onde (passanti per ledue fenditure) si sommano in fase (fig. 1.3) perché hanno percorso uguale camminoottico. Nel punto di osservazioneQ invece le due onde giungono dopo aver percorsodue differenti cammini ottici sfasati di una quantità∆ (fig. 1.2). Se vale∆ = nλ, conλlunghezza d’onda della radiazione, allora le due onde si sommano ancora in fase, comeper il puntoP . Se invece risulta∆ = nλ/2, allora segue che le due onde, interferendo,si annichilano(fig. 1.4). Se teniamo aperta soltanto una delle due fenditure, allora si ot-tiene uno spettro simmetrico centrato sulla fenditura aperta (fig. 1.5); mentre se teniamoaperte entrambe le fenditure, non si ottiene la sovrapposizione dei due spettri relativi al-le fenditure aperte separatamente (fig. 1.6), come ci si potrebbe attendere, ma poiché inalcuni punti di osservazione si ha∆ = nλ e in altri∆ = nλ/2, si ottiene l’immagine diinterferenza riprodotta nella figura 1.7. La radiazione, dunque, per l’elettromagnetismoclassico possiede natura ondulatoria. Come vedremo nel prossimo capitolo, gli elettroni,che pure sono particelle (cioècorpuscoli), quando vengono inviati contro una barrieraavente due fenditura, dànno luogo a fenomeni di interferenza analoghi ai fenomeni diinterferenza appena discussi che sono tipici della natura ondulatoria della radiazione.

La meccanica quantisticache nacque perspiegare, fra gli altri, i fenomeni dellaradiazione di corpo nero e dell’effetto fotoelettrico, venne sviluppata dunque per conci-liare la natura corpuscolare delle particelle (elettroni)con il loro comportamento ondu-latorio che si manifesta quando esse vengono inviate controdue fenditure di una lastrae dànno luogo al fenomeno dell’interferenza del tutto analogo a quello che si osservaquando contro le medesime due fenditure viene inviata una radiazione elettromagnetica.

P

F1

F2

fig. 1.1

Q

∆F1

F2

fig. 1.2

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10 CAPITOLO 1. DALLA FISICA CLASSICA ALLA FISICA QUANTISTICA

Fig. 1.3 Fig. 1.4

F1

F2

Fig. 1.5

F1 F2

Fig. 1.6

F1 F2

Fig. 1.7

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Capitolo 2

Formalismo generale nella notazione diDirac

2.1 Considerazioni preliminari

Secondo Feynman, ciò che diede l’ispirazione per lo sviluppo matematico della mec-canica quantistica, ovvero la chiave per capire come è nata la meccanica quantistica, èstato il fenomeno dell’interferenza ottica.

Inviando infatti degli elettroni attraverso due fenditure, non si osserva uno spettro da-to dalla sovrapposizione dei due spettri ottenuti inviandogli elettroni attraverso una solafenditura tenendo chiusa l’altra (fig. 1.6); si osserva piuttosto una figura di interferenzaanaloga a quella appena illustrata per la radiazione (fig. 1.7).

Questa interferenza vale inoltreelettrone per elettrone, cioè se inviamo elettroni unoalla volta e attendiamo che ne giunga uno sulla lastra prima che parta il successivo, dopoche siano stati inviati un certo numero di elettroni, si osserva comunque la stessa figuradi interferenza di prima. Allora occorre introdurre una probabilità che l’elettrone cadain un certo punto della lastra. Questa probabilità èteoricae nonpratica, come è invecein teoria cinetica dei gas e in meccanica statistica.

In teoria cinetica dei gas e in meccanica statistica la necessità di descrivere la di-namica microscopica in termini probabilistici derivava dal problema pratico che cè ingioco una gran quantità di particelle delle quali è incontrollabile lo stato dinamico.

Nell’interferenza di elettroni la probabilità è teorica perché in realtà la loro dinamicaè completamente sotto controllo senza che vi siano variabili nascoste non controllabili.

Nel caso dell’interferenza ottica si aveva che essa derivava dal valor medio dell’in-tensità〈( ~E1 + ~E2)

2〉, dove~E1 e ~E2 sono i campi elettrici associati alle due onde: quindiil concetto di probabiltà quantistica non risiede tanto in una densità di probabiltà in sé,bensì in una funzioneψ(x) il cui quadrato (o per meglio dire, il cui modulo quadro)dia la probabiltà che la particella si trovi nella posizionex, in tutta analogia con il caso

11

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12 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

ottico

〈( ~E1 + ~E2)2〉 = I1 + I2 + 2 〈I1I2〉 ∼ ψ(x) = ψ1(x) + ψ2(x)

2.2 Spazio degli stati possibili

Dunque dall’ottica siamo indotti (dire “siamo indotti” è più corretto che dire “abbiamodedotto”) a introdurre il concetto distatodella particella: lo stato 1 rappresenta la situa-zione in cui solo la fenditura 1 è aperta, lo stato 2 rappresenta la situazione in cui solola fenditura 2 è aperta e lo stato dato dalla combinazione lineare dei due rappresenta lasituazione in cui entrambe le fenditure sono aperte.

Mentre in meccanica classica, dati due stati possibili, il verificarsi di uno di essiesclude il verificarsi dell’altro, in fisica quantistica, dati due stati possibili, si può avereanche uno stato che sia combinazione lineare dei due il quale, utilizzando sempre l’ana-logia ottica, corrisponde al passaggio della particella attraverso le due fenditure. Questaè la metodologia di descrizione che meglio si addice all’interferenza di elettroni.

Poiché questa probabilità quantistica èsensibilealle combinazioni lineari, cioè, datedue funzioniψ1(x) eψ2(x) si deve poter esprimereψ(x) = ψ1(x)+ψ2(x), allora segueche leψj(x) formano uno spazio lineare generalmente complesso dotato di prodottoscalare, indicato con(·, ·) e, se lo spazio ha dimensione finita, dato da

(w, v) :=n∑

i=1

w∗i vi, per ogni w = (w1, w2, ..., wn), v = (v1, v2, ..., vn)

Se la dimensione dello stato è invece infinita, allora si definisce il prodotto scalareper ogniϕ eψ dato da

(ϕ, ψ) :=∫ +∞

−∞ϕ∗(x)ψ(x) d3x

Come notazione abbiamo nel caso di dimensione finitav = (v1, v2, ..., vn) e nelcaso di dimensione infinitaψ = ψ(x). A questo punto introduciamo allora la notazionedi Dirac che consiste nell’indicare i vettori di stato, indipendentemente dalla dimensionedello spazio, con il simbolo

v = |v〉 e ψ = |ψ〉

dove| ·〉 viene chiamatovettore keto semplicementeket.I ket formano dunque quello che chiamiamospazio degli stati possibiliche risulta

dunque essere unospazio di Hilbert.Formuliamo poi l’ipotesi che ad ogni situazione fisica concreta corrisponde unket

dello spazio degli stati possibilie che, viceversa, ad ogniket dello spazio degli statipossibilicorrisponde una situazione fisica concreta.

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2.2. SPAZIO DEGLI STATI POSSIBILI 13

In questo spazio il ket|ψ〉 è un oggetto astratto che prende forma concreta solo quan-do lo esprimiamo rispetto ad una fissata base: scrivere|ψ〉 = ψ(x) significa esprimereil ket nella base delle funzioni dix.

Nella notazione di Dirac abbiamo poi che il vettore coniugato del generico ket|a〉 èil vettorebra 〈a|.

Abbiamo detto che la densità di probabilità dellax (in una dimensione) è data dal-l’espressione|ψ(x)|2 da cui segue che il valor medio dix, indicando d’ora in poi il valormedio con il simbolo〈·〉, è dato da

〈x〉 =∫ +∞

−∞x |ψ(x)|2 dx

Allora se laψ(x) descrive tutto lo stato della particella, si debbono poter calco-lare i valori medi di ogni altra osservabile fisica (oltre alla posizione), per esempiodell’impulsopx, dato da〈px〉.

Per capire come si calcolano i valori medi delle osservabili, scriviamo

〈x〉 =∫ +∞

−∞x |ψ(x)|2 dx =

∫ +∞

−∞ψ∗(x) xψ(x) dx

da cui segue che nella notazione di Dirac tale valor medio si esprime nella forma, dettabracket

〈x〉 = 〈ψ|x|ψ〉

dove con la scritturax|ψ〉 intendiamo l’azione dell’operatore linearex sul ket |ψ〉 de-finita appunto, nella base delle funzioni dix, come prodottoxψ(x) del valorex per lafunzioneψ(x). Per l’analogia fra la meccanica quantistica e il fenomeno dell’interfe-renza ottica, la funzioneψ(x) che rappresenta lo stato della particella, viene chiamatafunzione d’onda.

Allora deduciamo che per calcolare il valor medio di una generica osservabile fisicain un dato stato|ψ〉, basta sostituire l’operatore lineare corrispondente a quell’osserva-bile al posto dix in 〈ψ|x|ψ〉. Per la grandezza impulsopx si ha dunque

〈ψ|px|ψ〉 =∫ +∞

−∞ψ∗(x) px ψ(x) dx

Quello che dovremo fare sarà allora trovare il modo di esprimere, rispetto ad unafissata base, gli operatori lineari corrispondenti alle osservabili fisiche.

Poiché il valor medio di una serie di misure effettuate per una certa grandezza fisicaè ovviamente un numero reale, allora concludiamo che, se vogliamo che la teoria abbiaunsenso, l’operatore lineare corrispondente ad un’osservabile fisica deve essere tale cheil suo valor medio calcolato su qualunque ket di stato sia sempre un numero reale.

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14 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

2.3 Osservabili e operatori lineari

In meccanica quantistica dunque per calcolare il valor medio della misura di un’osser-vabileA su uno stato, occorre trovare l’operatore lineare corrispondente all’osservabilee calcolare il suo bracket rispetto allo stato assegnato. Nel seguito utilizzeremo i termini“osservabili” e “operatori lineari” come sinonimi.

Anticipando che, come dimostreremo in seguito, nella base delle funzioni di xl’operatore impulso è dato da

px := −ih ddx

verifichiamo che il valor medio

〈ψ|px|ψ〉 = −ih∫ +∞

−∞ψ∗(x)

d

dxψ(x) dx

sia effettivamente un numero reale. Si ha integrando per parti

〈ψ|px|ψ〉 = ih∫ +∞

−∞ψ(x)

d

dxψ∗(x) dx =

= −ih∫ +∞

−∞ψ∗(x)

d

dxψ(x) dx = 〈ψ|px|ψ〉

dove l’addendo del metodo per parti dato dal prodottoψ∗ψ risulta pari a zero nei dueestremi±∞ per le proprietà asintotiche dellaψ(x). Poiché vale

〈ψ|px|ψ〉 = 〈ψ|px|ψ〉

concludiamo che il valor medio〈ψ|px|ψ〉 è dunque un numero reale puro.Quindi se l’espressione dipx non avesse l’unità immaginariai, allora il valor medio

dell’operatorepx dato da〈ψ|px|ψ〉 sarebbe immaginario puro; inoltre se lo spazio deglistati non fosse complesso, allora il valor medio dipx sarebbe sempre nullo perché

∫ +∞

−∞ψ(x)

d

dxψ(x) dx =

1

2

∫ +∞

−∞

d

dx[ψ(x)]2 dx =

1

2[ψ(x)]2 |+∞

−∞ = 0

Dati allora due operatori lineariA eB sullo spazio degli stati possibili, dimostriamoche se vale(v, Aw) = (v, Bw) per ogniv, w, allora segue l’uguaglianzaA = B.

Infatti si ha per ogniv, w e ponendo ad un certo puntov = (A−B)w

(v, Aw) = (v, Bw) ⇒ ( v, (A− B)w ) = 0 ⇒ ( (A− B)w, (A−B)w ) = 0 ⇒

⇒ |(A− B)w|2 = 0 ⇒ (A− B)w = 0 ⇒ A− B = 0

Dato un operatoreA, si chiama operatoreaggiuntoo operatorehermitiano coniugatodi A l’operatoreB tale che valga

(Bw, v) = (w,Av)

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2.3. OSSERVABILI E OPERATORI LINEARI 15

Se sviluppiamo le forme bilineari dei prodotti scalari (in dimensione finita)

(Bw, v) = (wT

BT

)∗v

(w,Av) = (wT

)∗Av = (wT

A∗)∗v

e confrontiamo i risultati ottenuti, perveniamo all’uguaglianza

BT

= A∗

da cui ricaviamo la relazione fra l’operatoreA e il suo hermitiano coniugatoB data da

B = (AT

)∗ := A+

Un operatoreA si diceautoaggiuntoo hermitianose vale la relazione

A = A+

In realtà nell’Analisi Funzionale i due concetti di operatore aggiunto e di operatorehermitiano coniugato, così come i due concetti di operatoreautoaggiunto e di opera-tore hermitiano, non sono proprio sinonimi e la differenza sta nel dominio in cui essiagiscono perché in uno spazio di dimensione infinita debbonoessere tenuti in conside-razione anche eventuali problemi di convergenza degli integrali che esprimono le formebilineari dei prodotti scalari.

Non preoccupandoci per il momento di tali problemi e assumendo come equivalentii due concetti, dimostriamo che seA è un operatore hermitiano, allora si ha che il suovalor medio(ψ,Aψ) è sempre reale.

Si ha infatti(ψ,Aψ) = (Aψ, ψ) = (ψ,Aψ)

cioè(ψ,Aψ) = (ψ,Aψ)

e dunque(ψ,Aψ) è sempre reale.Nella notazione di Dirac poniamo quindi

(ψ,Aφ) ≡ 〈ψ|A|φ〉

e(A+ψ, φ) = (φ,A+ψ) ≡ 〈φ|A+|ψ〉

da cui segue che la relazione che definisce l’operatore aggiunto diventa

〈φ|A+|ψ〉 = 〈ψ|A|φ〉

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16 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

Infine si ha

〈ψ|φ〉 = 〈φ|ψ〉, A|φ〉 = |φ1〉, 〈φ|A+ = 〈φ1|

Nello spazio degli stati possibili〈ψ|φ〉 è un prodotto scalare astratto che nella basedelle funzioni dix si esprime rispetto alle componenti dei vettori

〈ψ|φ〉 =∫ +∞

−∞ψ∗(x)φ(x) dx

In meccanica quantististica la misura di un’osservabile inuno stato si effettua imma-ginando di avere infinitereplichedel sistema in modo che si possa eseguire tale misurasu ogni replica e si pervenga al valor medio finale. Poiché dunque il valor medio diun’osservabile è la quantità reale misurata, gli operatoriassociati alle osservabili sonosoltanto gli operatori hermitiani nello spazio degli statipossibili perché questa classe dioperatori, come dimostrato, fornisce sempre valor medio reale su ogni stato.

Dimostriamo ora l’altra importante proprietà di un operatore hermitianoA per laquale esso possiede soltanto autovalori reali e gli autovettori relativi ad autovalori di-stinti sono ortogonali.

Data infatti l’equazione agli autovalori (detta ancheequazione secolare) di A e lasua coniugata

A|λ1〉 = λ1|λ1〉 e 〈λ1|A = λ∗1〈λ1| ,moltiplicando la prima per il bra〈λ1| e la seconda per il ket|λ1〉, otteniamo

〈λ1|A|λ1〉 = λ1〈λ1|λ1〉 e 〈λ1|A|λ1〉 = λ∗1〈λ1|λ1〉

da cui, sottraendo membro a membro, segue(λ1 − λ∗1)〈λ1|λ1〉 = 0 e dunqueλ1 = λ∗1,ovvero che l’autovaloreλ1 è un numero reale.

Moltiplicando poi l’equazione secolareA|λ1〉 = λ1|λ1〉 per il bra〈λ2| e l’equazionesecolare〈λ2|A = λ2〈λ2| per il ket|λ1〉 (l’autovaloreλ2 nell’equazione coniugata è statoscritto senza complesso coniugato perché gli autovalori sono reali), otteniamo

〈λ2|A|λ1〉 = λ1〈λ2|λ1〉

〈λ2|A|λ1〉 = λ2〈λ2|λ1〉da cui, sottraendo membro a membro, segue(λ1 − λ2)〈λ2|λ1〉 = 0 e dunque l’ortogo-nalità data da〈λ2|λ1〉 = 0 seλ1 6= λ2.

Scegliendo nell’autospazio relativo ad un eventuale autovalore degenere gli autovet-tori in modo che siano a due a due ortogonali, concludiamo chegli autovettori di unoperatore hermitianoA formano una base completa ortogonale dello spazio degli statipossibili. Prendendo poi tutti gli autovettori con norma unitaria, otteniamo una basecompleta ortonormale formata dagli autovettori normalizzati |λi〉 dell’operatoreA, peri quali vale la relazione di ortonormalità〈λi|λj〉 = δij , conδij dettadelta di Kronecker.

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2.4. MISURA DI UN’OSSERVABILE 17

Dato allora un generico stato (ket)|ψ〉, possiamo svilupparlo come combinazionelineare dei vettori di tale base ortonormale scrivendo

|ψ〉 =∑

i

ci|λi〉

in cui i coefficientici della combinazione si ottengono moltiplicando scalarmente amboi membri per il bra〈λj|

〈λj|ψ〉 =∑

i

ci〈λj|λi〉 =∑

i

ciδji = cj

in modo da ottenere in conclusione

cj = 〈λj|ψ〉

Allora per ogni generico ket|ψ〉 abbiamo lo sviluppo

|ψ〉 =∑

j

|λj〉〈λj|ψ〉

da cui ricaviamo che∑

j

|λj〉〈λj|

è l’operatore identitàI perché quando esso agisce sul ket|ψ〉 lo lascia invariato. Allorail singolo operatorePj = |λj〉〈λj| è un proiettore sulla direzione|λj〉 perchéPj |ψ〉 èun vettore avente la direzione dell’autovettore|λj〉 e inoltre si verifica immediatamentela proprietà degli operatori di proiezione

P2j = |λj〉〈λj|λi〉〈λi| = |λj〉δij〈λi| = |λj〉〈λj| = Pj

2.4 Misura di un’osservabile

Data un’osservabileA avente equazione agli autovaloriA|λi〉 = λi|λi〉, se calcolia-mo il suo valor medio nell’autostato|λi〉, otteniamo come risultato l’autovaloreλicorrispondente, cioè

〈λi|A|λi〉 = 〈λi|λi|λi〉 = λi〈λi|λi〉 = λi

Se misuriamo l’osservabileA2 nell’autostato|λi〉, otteniamo valor medio

〈λi|A2|λi〉 = 〈λi|AA|λi〉 = λi〈λi|A|λi〉 = λ2i 〈λi|λi〉 = λ2

i

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18 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

Da questi risultati deduciamo che nell’autostato|λi〉 il valore della misura dell’os-servabileA è con certezza, cioè con probabilità 1, l’autovaloreλi corrispondente al-l’autostato in cui si è misurataA perché la varianza di tale misura è zero, come si vedecalcolando

σ2 = 〈(A− 〈A〉)2〉 = 〈A2 − 2A〈A〉 + (〈A〉)2〉 =

= 〈A2〉 − 2〈A〉〈A〉 + (〈A〉)2 = 〈A2〉 − (〈A〉)2 = λ2i − λ2

i = 0

La nostra interpretazione è allora che la misura di un’osservabileA dà sempre comerisultato uno dei suoi autovalori. Se misuriamoA su un generico stato|ψ〉, il valormedio diA su |ψ〉 è

〈A〉ψ

:= 〈ψ|A|ψ〉 =∑

i

〈ψ|A|λi〉〈λi|ψ〉 =∑

i

λi〈ψ|λi〉〈λi|ψ〉 =

=∑

i

λi〈ψ|λi〉〈ψ|λi〉 =∑

i

λi |〈ψ|λi〉|2

Il risultato ottenuto

〈A〉ψ

:= 〈ψ|A|ψ〉 =∑

i

λi |〈ψ|λi〉|2 (2.1)

è la relazione fondamentale per l’interpretazione probabilistica della meccanica quanti-stica: se il sistema si trova in un autostato dell’osservabile A, allora la misura diA dàcon probabilità 1 come risultato l’autovalore corrispondente all’autostato; se il sistemasi trova in un generico stato|ψ〉, allora la misura diA dà come risultato uno dei suoiautovalori, diciamoλi, con probabilità data da|〈ψ|λi〉|2.

Si verifica immediatamente che i valori|〈ψ|λi〉|2 sono delle probabilità perché si ha

i

|〈ψ|λi〉|2 =∑

i

〈ψ|λi〉〈λi|ψ〉 =

= 〈ψ|(∑

i

|λi〉〈λi|)

|ψ〉 = 〈ψ|ψ〉 = 1

Sottolineiamo che tale interpretazione probabilistica della meccanica quantistica de-riva dalla struttura della relazione(2.1) in cui si ha la sommatoria di addendi ognunodei quali è il prodotto di un numeroλi per unpeso|〈ψ|λi〉|2: poiché, come visto, lasomma dei pesi è 1, allora interpretiamo appunto iλi come i risultati della misura e ipesi|〈ψ|λi〉|2 come probabilità che esca quel valore della misura, in tuttaanalogia conla definizione di valor medio della teoria della probabiltà.

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2.4. MISURA DI UN’OSSERVABILE 19

2.4.1 Caso degli operatori continui in dimensione infinita

Dato un operatore hermitianoA in dimensione finita, abbiamo visto che dalla sua equa-zione secolareA|λi〉 = λi|λi〉 segue la relazione di ortonormalità〈λi|λj〉 = δij .

Se abbiamo in dimensione infinita un operatore continuo, come per esempio l’ope-ratorex della posizione che nella base delle funzioni di variabilex agisce come prodottoper la funzione d’ondaψ(x), allora si presenta un problema sugli autovalori e sulla loronormalizzazione.

Se consideriamo l’esempio dell’operatore di posizione la cui equazione secolare è

xψλ(x) = λψλ(x) (2.2)

riscrivibile nella forma(x− λ)ψλ(x) = 0, abbiamo che le autofunzioni sono

ψλ(x) =

0 se x 6= λc se x = λ

(2.3)

Nella teoria degli spaziLp (ricordiamo che tra tutti gli spaziLp, conp ≥ 1, sol-tanto lo spazioL2 è uno spazio di Hilbert) le funzioni sono definiteuguali fra loro sedifferiscono al più in un insieme di misura nulla. L’autofunzioneψλ(x) in (2.3) è allorauna funzione equivalente alla funzione identicamente nulla su tutto l’asse reale perchédifferisce da questa soltanto inx = λ, cioè appunto in un insieme di misura nulla.

Poiché quando scriviamo un’equazione secolare cerchiamo autofunzioni non nul-le, allora laψλ(x) data dalla(2.3) è una soluzione inadeguata dell’equazione secolaredell’operatore di posizione.

La soluzione va cercata allora non nella classe delle funzioni ordinarie, bensì inquella delledistribuzioni: poniamo cioè

ψλ(x) = δ(x− λ) (2.4)

doveδ(·) è la distribuzione dettadelta di Dirac. Nell’ambito della teoria delle distribu-zioni, laψλ(x) in (2.4) è una soluzione di(2.2) perché per ogni funzionedi provaf(x)si ha ∫ +∞

−∞(x− λ)ψλ(x) f(x) dx =

∫ +∞

−∞(x− λ) δ(x− λ) f(x) dx = 0

Abbiamo poi, in base al teorema spettrale, l’ortogonalità delle autofunzioni relativead autovalori distinti perché il prodotto scalare diψλ(x) eψλ′(x), conλ 6= λ′, è

〈ψλ|ψλ′〉 =∫ +∞

−∞ψ∗λ(x)ψλ′(x) dx =

∫ +∞

−∞δ(x− λ) δ(x− λ′) dx = δ(λ− λ′) = 0

Rimane comunque il problema della norma di un’autofunzioneperché se si esegueil prodotto scalare di un’autofunzione con se stessa si ottiene

〈ψλ|ψλ〉 =∫ +∞

−∞ψ∗λ(x)ψλ(x) dx =

∫ +∞

−∞δ(x− λ) δ(x− λ) dx = δ(0) = ∞

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20 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

Considerando spettri discreti e continui, la relazione di completezza si scrive nellaforma

I =∑

λ∈discreto|λ〉〈λ| +

λ∈continuo|λ〉〈λ| dλ

dove, per ipotesi, consideriamo disgiunti il sottoinsiemedegli autovalori discreti e ilsottoinsieme degli autovalori continui.

Ogni ket corrispondente ad un autovalore del sottoinsieme discreto è allora ortogo-nale a tutti i ket corrispondenti ad autovalori continui e ogni ket corrispondente ad unautovalore del sottoinsieme continuo è ortogonale a tutti iket con autovalore discreto.

Così come se applichiamo l’identità al ket|λ′〉 di autovalore discretoλ′, otteniamocome risultato|λ′〉 perché

λ∈discreto|λ〉〈λ|λ′〉 +

λ∈continuo|λ〉〈λ|λ′〉 dλ =

=∑

λ∈discreto|λ〉〈λ|λ′〉 = |λ′〉

analogamente se applichiamo l’identità al ket|λ′〉 di autovalore continuoλ′, dobbiamoottenere ugualmente il ket|λ′〉 inalterato, ovvero

λ∈discreto|λ〉〈λ|λ′〉 +

λ∈continuo|λ〉〈λ|λ′〉 dλ =

=∫

λ∈continuo|λ〉〈λ|λ′〉 dλ = |λ′〉 (2.5)

Poiché vale la relazione∫

λ∈continuoδ(λ− λ′) |λ〉 dλ = |λ′〉 (2.6)

segue, confrontando la(2.5) con la(2.6), che deve valere

〈λ|λ′〉 = δ(λ− λ′)

Il valor medio di un’osservabile in uno stato|ψ〉 si generalizza nella forma

〈ψ|A|ψ〉 =∑

λ∈discretoλ |〈λ|ψ〉|2 +

λ∈continuoλ |〈λ|ψ〉|2 dλ

con il medesimo significato probabilistico deipesi|〈λ|ψ〉|2 già introdotto.Se lo stato|ψ〉 non fosse normalizzato, nel senso che la sua norma〈ψ|ψ〉 fosse finita

diversa da 1 o infinita, allora|〈λ|ψ〉|2 è proporzionale alla probabilità (nel discreto) odensità di probabilità (nel continuo): quindi se|〈λ|ψ〉|2 non fosse ben definito perché,per esempio, pari a infinito, allora si ha che è ben definita la quantità

|〈λ|ψ〉|2|〈λ′|ψ〉|2

perché le costanti di proporzionalità (anche eventualmente di valore infinito) si sempli-ficano.

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2.4. MISURA DI UN’OSSERVABILE 21

2.4.2 Misura simultanea di osservabili

Facciamo l’ipotesi (postulato) che se ripetiamo la misura di un’osservabileA in un certostato|ψ〉 un istante dopo averla già eseguita, si ottenga di nuovo comerisultato lo stessovaloreλ già ottenuto nella prima misura.

Se la prima misura ha dato come risultato l’autovaloreλ con probabilità|〈λ|ψ〉|2,allora affinché con certezza si ottenga di nuovo il valoreλ nella misuraistantaneamentesuccessiva, deve accadere che lo stato|ψ〉, dopo la prima misura,collassi(ovveropre-cipiti) nello stato|λ〉 corrispondente all’autovalore ottenuto con la prima misura, per-ché soltanto in un suo autostato|λ〉 l’osservabileA darà dunque nella seconda misural’autovaloreλ con probabilità 1.

Questo problema delcollassoistantaneo del sistema in un autostato sembrerebbe incontraddizione i postulati della relatività ristretta e per questo Einstein nonaccettòmaila meccanica quantistica (Gott würfelt nicht, ovveroDio non gioca a dadi).

Dato un operatoreA e la sua decomposizione, dettadecomposizione spettrale

A = AI =∑

n

λn |λn〉〈λn|

definiamo operatorecompostodi A, indicato conf(A), l’operatore

f(A) =∑

n

f(λn) |λn〉〈λn|

Dal confronto fra primo e ultimo membro della catena di uguaglianze

((AB)+ψ, φ) = (ψ,ABφ) = (A+ψ,Bφ) = (B+A+ψ, φ)

si deduce che l’operatore hermitiano coniugato dell’operatore prodottoAB è dato dallarelazione(AB)+ = B+A+. SeA eB sono operatori hermitiani, allora si ha

(AB)+ = B+A+ = BA 6= AB

cioè l’operatoreAB, prodotto di due operatori hermitiani, non è in generale un operatorehermitiano. Dopo aver definito ilcommutatoredi due operatoriA eB come l’operatore,indicato con[A,B], dato da[A,B] = AB − BA, dimostriamo il teorema che affermache due operatoriA eB commutano (cioè il loro commutatore è zero) se e solo se essihanno gli stessi autovettori (relativi eventualmente ad autovalori diversi).

Supponiamo cheA eB abbiano gli stessi autovettori (con autovalori diversi)

A|i〉 = λi|i〉 e B|i〉 = µi|i〉allora segue che moltiplicando la prima relazione perB e la seconda perA, si ottiene

(BA) |i〉 = λiB|i〉 = (λiµi) |i〉 e (AB) |i〉 = µiA|i〉 = (µiλi) |i〉Poiché dunque i due operatoriAB eBA forniscono lo stesso risultato quando agi-

scono sui vettori della base costituita dai loro autovettori, allora essi daranno lo stessorisultato su ogni vettore dello spazio, ovvero valeAB = BA, cioè[A,B] = 0.

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22 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

Supponiamo ora, viceversa, che valga[A,B] = 0 conA|λ〉 = λ|λ〉. MoltiplicandoperB ambo i membri dell’equazione secolare diA, otteniamo(BA) |λ〉 = λB|λ〉, equindi, per la commutatività diA eB, la relazione

A (B|λ〉) = λ (B|λ〉) (2.7)

dalla quale ricaviamo che il vettoreB|λ〉 è ancora autovettore diA con autovaloreλ.La relazione(2.7) è compatibile con due possibiltà: il vettoreB|λ〉 potrebbe essere

il vettore nullo, nel qual caso diremmo che|λ〉 è autovettore diA con autovaloreλe autovettore diB con autovalore zero; se invece risultaB|λ〉 6= 0 e λ è autovaloredi A non degenere, allora segue cheB|λ〉 è un vettore avente la medesima direzionedell’autovettore|λ〉 di A, cioè vale la relazioneB|λ〉 = c |λ〉 che esprime|λ〉 comeautovettore diB con autovalorec.

Se invece l’autovaloreλ di A fosse degenere, diciamo, senza perdita di generalità,con molteplicità algebrica 2, alloraA possiede un autospazio bidimensionale, indica-to conS2, costituito da tutti autovettori relativi al medesimo autovaloreλ. Abbiamoquindi, scegliendo|λ〉1 e |λ〉2 come vettori di base ortonormali in questo autospaziobidimensionaleS2,

A|λ〉1 = λ|λ〉1 e A|λ〉2 = λ|λ〉2

In questo caso la relazione(2.7) diventa

A (B|λ〉i) = λ (B|λ〉

i)

dalla quale non discende più che il vettoreB|λ〉i

è parallelo all’autovettore|λ〉i, ma

soltanto che il vettoreB|λ〉iappartiene al sottospazio bidimensionaleS2, ovvero

B |λ〉i=∑

j

cji |λ〉j (2.8)

Per determinare i coefficienticji, moltiplichiamo ambo i membri della(2.8) per ilbra

k〈λ| e otteniamo

k〈λ|B|λ〉

i=∑

j

cji (k〈λ|λ〉

j) =

j

cji δkj = cki

Abbiamo infine che i coefficienticji sono elementi di una matrice hermitiana perchévale la relazione

c∗ji =j〈λ|B|λ〉

i=

i〈λ|B+|λ〉

j=

i〈λ|B|λ〉

j= cij

Dimostriamo allora che inS2 esistono sempre due autovettori diA, |µ1〉 e |µ2〉, chesiano anche autovettori diB: riferendoci soltanto ad uno di essi, per esempio all’au-tovettore|µ1〉, avremo che|µ1〉 è esprimibile come combinazione lineare dei vettori dibase dell’autospazioS2

|µ1〉 = α1|λ〉1+ α2|λ〉2

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2.4. MISURA DI UN’OSSERVABILE 23

e dovremo allora determinare i coefficientiα1 e α2 in modo che valga l’equazionesecolareB|µ1〉 = µ |µ1〉, cioè

B (α1|λ〉1 + α2|λ〉2) = µ (α1|λ〉1 + α2|λ〉2) (2.9)

Sviluppando il primo membro della(2.9) si ha

B

(∑

i

αi |λ〉i)

=∑

i

αiB |λ〉i=∑

j

(∑

i

cjiαi

)

|λ〉j

La (2.9) può allora essere riscritta nella forma

j

(∑

i

cjiαi

)

|λ〉j= µ (α1|λ〉1 + α2|λ〉2) =

j

(µαj) |λ〉j

dalla quale discende che gliαi verificano la relazione∑

i

cjiαi = µαj

che è un’equazione agli autovalori per la matrice hermitiana di elementicji.Tale equazione agli autovalori fornisce due autovettori bidimensionaliu = (α1

1, α12)

e v = (α21, α

22): le due componenti diu rappresentano i coefficientiαi per ottenere

l’autovettore|µ1〉 e le due componenti div rappresentano i coefficientiαi per ottenerel’autovettore|µ2〉.

Allora dopo che si è risolto l’equazione secolare diA, seλ è un autovalore degeneredi A che dà luogo ad unalibertà nella scelta degli autovettori|λ〉 nell’autospazio corri-spondente, ovvero ad una non univocità nella scelta di tali autovettori, allora si cerca unaltro operatoreB che commuti conA tale che

A |λ, µ〉 = λ |λ, µ〉 e B |λ, µ〉 = µ |λ, µ〉

In questo modo, come si dice, sirimuovela degenerazione dell’autovaloreλ di Anel senso che tra tutti gli autovettori|λ〉 corrispondenti all’autovaloreλ, ce n’è soltantouno, che chiamiamo|λ, µ〉, che sia simultaneamente autovettore diA e diB. In altreparole, la richiesta che l’autovettore diA corrispondente all’autovalore degenere sia si-multaneamente anche autovettore diB, seleziona una direzione (ovvero un autovettore)in modo univoco nell’autospazio dell’autovalore degeneredi A, rimuovendo appunto lalibertà nella scelta di tali autovettori.

Per chiarire il concetto della rimozione della degenerazione di un autovalore, consi-deriamo il seguente esempio in cui siano date le due osservabili

A =

1 0 00 0 10 1 0

e B =

0 1 11 0 11 1 0

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24 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

Gli autovalori diA sonoλ = −1, a cui corrisponde l’autovettoreu = (0,−1, 1) el’autovalore doppioλ = 1, a cui corrisponde l’autospazio bidimensionaleS2 dato dalletriple (x, y, z) tali chey − z = 0.

Gli autovalori diB sonoλ = 2, a cui corrisponde l’autovettorev = (1, 1, 1) el’autovalore doppioλ = −1, a cui corrisponde autospazio di dimensione 2 dato dalletriple (x, y, z) tali chex+ y + z = 0.

Per rimuovere la degenerazione dell’autovalore doppio diA, scegliamo come coppiadi autovettori nel suo autospazio degenereS2 l’autovettorev = (1, 1, 1) di B e il vettorew = (−2, 1, 1) ortogonale av ancora inS2, che si può ottenere analiticamente impo-nendo l’appartenenza del vettorew aS2 data dall’equazioney − z = 0 e l’ortogonalitàdi w a v data dax+ y + z = 0.

In conclusione abbiamo che i tre vettoriu, v, w sono gli unici tre autovettori simulta-nei diA e diB e possiamo concludere pertanto che la richiesta che gli autovettori sianosimultaneamente autovettori diA e diB rimuove l’indeterminazionedella scelta degliautovettori nei sottospazi bidimensionali degeneri corrispondenti agli autovalori doppidi A e diB.

SeB ancora non rimuove tutte le degenerazioni, allora si cerca un terzo operatore,indicato conC, che commuti conA e B tale che quando vi sia un’indeterminazionenella scelta di autovettori in un autospazio degenere, la richiesta che tale autovettore siaautovettore anche diC selezioni la direzione nell’autospazio.

Un insieme di operatori che commutino a due a due e tali che gliautostati simul-tanei di tutti quanti siano univocamente determinati, viene dettoinsieme completo dioperatori.

Se sviluppiamo un generico stato|ψ〉 come combinazione lineare degli autovettorisimultanei|λ, µ〉, cioè

|ψ〉 =∑

λ,µ

cλ,µ |λ, µ〉

otteniamo che il generico coefficientecλ,µ della combinazione è dato, come già visto,dalla proiezione〈λ, µ|ψ〉 dello stato|ψ〉 sull’autostato|λ, µ〉 simultaneo diA e di B(considerati come insieme completo di operatori).

Il quadrato del modulo dicλ,µ, |〈λ, µ|ψ〉|2, fornisce la probabilità di avere in unamisura simultanea diA e diB, come già visto, i valoriλ perA eµ perB.

Consideriamo quindi un operatoreA e un suo autovalore degenereλ al quale corri-sponde un autospazio (per fissare le idee, senza perdita di generalità, di dimensione 2)in cui un operatoreB, che commuti conA, fissi gli autovettori attraverso la condizioneche gli autovettori diA in questo sottospazio siano anche autovettori diB. Poichéλ èl’autovalore degenere relativo ai due autovettori|λ, µ1〉 e |λ, µ2〉 simultanei diA eB,con autovaloriµ1 eµ2 rispetto aB, poniamo

A |λ, µ1〉 = λ |λ, µ1〉 e B |λ, µ1〉 = µ1 |λ, µ1〉

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2.5. RAPPRESENTAZIONE DI OPERATORI 25

per il primo autovettore|λ1, µ1〉 simultaneo diA eB e

A |λ, µ2〉 = λ |λ, µ2〉 e B |λ, µ2〉 = µ2 |λ, µ2〉

per il secondo autovettore|λ, µ2〉 simultaneo diA eB.A questo punto la probabiltà di ottenere nello stato|ψ〉 mediante una misura diA il

valoreλ è data dall’espressione

Pλ = |〈λ, µ1|ψ〉|2 + |〈λ, µ2|ψ〉|2

che, come si dice in teoria della probabilità, è laprobabilità marginaledi λ.In generale, dato un autospazio diA relativo ad un suo autovalore degenereλ, la

probabilità totale di ottenereλ con una misura diA è

Pλ =∑

i

|〈λ, µi|ψ〉|2

Verifichiamo allora chePλ =∑

i |λ, µi〉〈λ, µi| è un operatore di proiezione: si ha

PλPλ =∑

i,j

|λ, µi〉〈λ, µi|λ, µj〉〈λ, µj| =∑

i,j

|λ, µi〉〈λ, µj| δij =

=∑

i

|λ, µi〉〈λ, µi| = Pλ

Se ora proiettiamo lo stato|ψ〉 sul sottospazio diA con autovaloreλ e calcoliamo lanorma dello statoPλ|ψ〉, abbiamo

〈ψ|PλPλ|ψ〉 = 〈ψ|Pλ|ψ〉 =∑

i

〈ψ|λ, µi〉〈λ, µi|ψ〉 =∑

i

|〈λ, µi|ψ〉|2

Quindi la misura diA sullo stato|ψ〉 fa collassareil sistema in un autostato|λ, µi〉di A e la probabilità che la misura diA su |ψ〉 dia valoreλ è data dalla regola già vistain precedenza

Pλ =∑

i

|〈λ, µi|ψ〉|2

2.5 Rappresentazione di operatori

Dato un operatoreA, un modo banale di trovare un operatoreB che commuti conA èquello di prendereB come funzione diA, ovveroB = 2A, B = A2 e così via.

Un caso non banale di operatori che commutano è quello in cui essi agiscono sugradi di libertà diversi. Se abbiamo ad esempio i tre operatori di posizione relativi ai treassi cartesianix, y, z, possiamo scrivere

x |x′, y′, z′〉 = x′ |x′, y′, z′〉, y |x′, y′, z′〉 = y′ |x′, y′, z′〉

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26 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

z |x′, y′, z′〉 = z′ |x′, y′, z′〉da cui si deduce che il ket|x′, y′, z′〉 è autostato simultaneo dei tre operatorix, y, z (senzaconsiderare lo spin, questi tre operatori formano un insieme completo) e rappresenta lostato di una particella localizzata nel punto(x′, y′, z′).

Quindi se abbiamo uno stato|ψ〉, possiamo svilupparlo come combinazione lineare

|ψ〉 =∑

x′,y′,z′cx′,y′,z′ |x′, y′, z′〉

o nella forma integrale perché gli operatori di posizione sono continui. Allora il quadratodel modulo dei coefficienti,|cx′,y′,z′|2, rappresenta la densità di probabilità di avere comerisultati nella misura delle coordinate della particella ivalori x′, y′, z′.

Ricordando che la densità di probabilità che una particellasi trovi nel punto(x′, y′, z′)è per definizione il quadrato del modulo della funzione d’onda, concludiamo che valel’uguaglianzacx′,y′,z′ = ψ(x′, y′, z′) da cui segue

|ψ〉 =∫

ψ(x′, y′, z′) |x′, y′, z′〉 dx′dy′dz′ (2.10)

Poiché i coefficientiψ(x′, y′, z′) dello sviluppo sono, come al solito, le proiezionidello stato sul corrispondente autovettore, abbiamo

ψ(x′, y′, z′) = 〈x′, y′, z′|ψ〉

che è la relazione che mostra l’equivalenza fra il formalismo delle funzioni d’onda(storicamente sviluppatosi per primo con Schrödinger circa negli anni 1924/1925) eil formalismo di Dirac dei bra e dei ket (circa degli anni 1926/1927).

La relazione(2.10) rappresenta lo sviluppo del generico stato|ψ〉 nella base degliautostati delle posizionix, y, z.

Vediamo ora come si esprime l’azione di un operatoreA sullo stato|ψ〉 rispetto aduna certa fissata base.

Se la base è quella degli autostati diA stesso, allora

|ψ〉 =∑

λ

|λ〉〈λ|ψ〉 =∑

λ

ψ(λ)|λ〉

da cui segueA |ψ〉 =

λ

ψ(λ)A |λ〉 =∑

λ

λψ(λ)|λ〉 (2.11)

La grande importanza della relazione(2.11) risiede nel fatto che essa ci dice chequando si considera la base degli autoket|λ〉 di un operatoreA, l’azione diA su unostato|ψ〉 è un vettore le cui componenti sono il prodotto dell’autovalore corrispondenteper la funzione d’onda.

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2.6. LEGAME FRA OSSERVABILI CLASSICHE E OPERATORI QUANTISTICI 27

Se consideriamo ora una base di vettori|n〉 non autostati diA, allora abbiamo larelazione

〈n|A|ψ〉 =∑

m

〈n|A|m〉〈m|ψ〉 =∑

m

Anm ψm (2.12)

che ci dice che la componente del vettoreA |ψ〉 nella direzione|n〉 è data da

(A|ψ〉)n =∑

m

Anm ψm

Si riconosce subito che se i ket|n〉 di base fossero gli autoket|λ〉 di A, allora larelazione(2.12) si ridurrebbe alla(2.11), perché

(A|ψ〉)λ =∑

λ′Aλλ′ψλ′ =

λ′〈λ|A|λ′〉ψλ′ =

λ′λ′ δλλ′ ψλ′ = λψ(λ)

Storicamente la meccanica quantistica si è sviluppata contemporaneamente dal pun-to di vista ondulatorio (Schrödinger) e dal punto di vista delle matrici (meccanica del-le matrici di Heisenberg): il formalismo di Dirac mostrò l’equivalenza di questi dueaspetti.

2.6 Legame fra osservabili classiche e operatori quanti-stici

Dalla sorprendente somiglianza che intercorre fra le parentesi di Poisson classiche e icommutatori quantistici, particolarmente evidente nell’identità di Jacobi, Dirac derivòla regola per associare gli operatori quantistici alle osservabili classiche.

Poiché, dati due operatoriF eG, vale

[F,G]+ = (FG−GF )+ = G+F+ − F+G+ = GF − FG = −[F,G]

segue che il commutatore[F,G] non è un operatore hermitiano, bensì, come si dice, unoperatoreantihermitiano.

Dal momento, poi, che la meccanica quantistica deve tenderealla meccanica classicanel limite di h tendente a zero, allora utilizziamo (per corrispondenza) come criterio perassociare un operatore alla corrispondente osservabile classica la relazione

[F,G] = ih F,G (2.13)

dove il simboloF,G rappresenta la parentesi di Poisson classica delle osservabiliclassicheF eG e [F,G] indica il commutatore degli operatori associati alle osserva-bili. Nella (2.13) la presenza dell’unità immaginaria rende hermitiano il commutatore,la presenza della costante di Planckh assicura l’uguaglianza dimensionale perché la

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28 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

parentesi di Poisson ha le dimensioni date dal rapporto fra le dimensioni del prodottodelle osservabili diviso le dimensioni dell’azione, mentre il commutatore ha le dimen-sioni del prodotto degli operatori. Infine si osserva immediatamente che nella(2.13) ilcommutatore tende a zero perh tendente a zero, ovvero quando la meccanica quanti-stica si riconduce alla meccanica classica, il commutatore, come in effetti deve essere,tende a zero. In questo modo abbiamo che l’associazione degli operatori alle parentesidi Poisson, come si dice con il linguaggio della teoria dei gruppi, trasferisce l’algebradelle parentesi di Poisson ai commutatori.

Poiché in meccanica analitica si ha

qi, qj =∑

k

(

∂qi∂qk

∂qj∂pk

− ∂qj∂qk

∂qi∂pk

)

= 0

pi, pj =∑

k

(

∂pi∂qk

∂pj∂pk

− ∂pj∂qk

∂pi∂pk

)

= 0

qi, pj =∑

k

(

∂qi∂qk

∂pj∂pk

− ∂pj∂qk

∂qi∂pk

)

=∑

k

δik δjk = δij

seguono dalla(2.13) le relazioni fra operatori

[qi, qj ] = [pi, pj] = 0 e [qi, pj] = ih δij (2.14)

La presenza dunque dell’unità immaginaria ci conferma che lo spazio degli stati inmeccanica quantistica è uno spazio complesso.

Le relazioni(2.14) sui commutatori fra gli operatoriq ep non sono sufficienti a de-terminare in modo univoco gli operatori. Tale impossibilità è analoga all’impossibilitàdi risalire ai vettori a partire dalla misura di un prodotto scalare〈ψ1|ψ2〉 o di un’ampiez-za di probabilità: il prodotto scalare di due vettori è invariante se applichiamo ai vettoristessi una trasformazioneU che sia unitaria, cioè tale cheU+U = 1.

Dimostriamo che se trasformiamo i vettori e gli operatori mediante trasformazioniunitarieU secondo le regole

|ψ〉 → U |ψ〉 e O → UOU+

la fisica rimane invariata, ovvero il prodotto scalare di due vettori, il valor medio e lospettro degli operatori non cambiano e i commutatori si trasformano anch’essi come glioperatori.

Sviluppando il prodotto scalare si ha infatti

〈ψ′1|ψ′

2〉 = 〈ψ1|U+U |ψ2〉 = 〈ψ1|ψ2〉

Sviluppando il valor medio di un’osservabileO, si ha poi

〈ψ′|O′|ψ′〉 = (〈ψ|U+) (UOU+) (U |ψ〉) = 〈ψ|U+UOU+U |ψ〉) = 〈ψ|O|ψ〉

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2.6. LEGAME FRA OSSERVABILI CLASSICHE E OPERATORI QUANTISTICI 29

e trasformando l’equazione secolareO |ψ〉 = λ|ψ〉, segue anche

O′ |ψ′〉 = (UOU+)U |ψ〉 = U (O |ψ〉) = U (λ |ψ〉) = λU |ψ〉 = λ|ψ′〉

ovveroO eO′ hanno lo stesso spettro di autovalori perchéλ è autovalore sia dell’ope-ratoreO che dell’operatoreO′.

Si verifica infine che sotto trasformazioni unitarie anche ilcommutatore si trasformacome un operatore perché si ha

[A′, B′] = [UAU+, UBU+] = UAU+UBU+ − UBU+UAU+ =

= UABU+ − UBAU+ = U [A,B]U+

ovvero il commutatore delle osservabili trasformate è uguale al trasformato del commu-tatore delle osservabili.

Si ha inoltre cheUOU+ è un operatore hermitiano perché vale la la condizione dihermitianità (UOU+)+ = UO+U+ = UOU+.

Riassumendo, abbiamo allora che con le trasformazioni

|ψ〉 −→ U |ψ〉 e O −→ UOU+

i prodotti scalari di vettori, i valori medi e lo spettro degli operatori rimangono invariatie anche i commutatori si trasformano come operatori.

Quindi gli operatori con l’algebra richiesta sono definiti ameno di trasformazioniunitarie.

Le regole(2.14) ci dicono anche che due coordinate diverseqi e qj possono esse-re misurate simultaneamente, due componenti diversepi e pj possono essere misuratesimultaneamente, la coordinata secondo un asse e la componente d’impulso secondoun altro asse possono essere misurate simultaneamente, ma la coordinata secondo unasse e la componente d’impulso secondo lo stesso asse non possono essere misuratesimultaneamente.

La terza delle(2.14) permette poi anche di stabilire in generale la dimensione dellospazio degli stati. In dimensione finitan la (2.14) non sarebbe coerente perché si ha

Tr [qi, pi] = Tr (qipi) − Tr (piqi) = 0

mentre valeTr (I) = n.In dimensione infinita abbiamo invece che entrambe le traccevalgono

Tr [qi, pi] = Tr (I) = ∞

Quindi concludiamo che lo spazio della meccanica quantistica deve essere uno spa-zio complesso e generalmente di dimensione infinita.

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30 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

Senza considerare lo spin, gli operatoriqi e qj formano un insieme completo dioperatori, così come gli operatoripi epj. L’elettrone che ha spin imporrà che si consideriun altro operatore che commuti con la posizione.

In rappresentazione cartesiana e nella base degli autostati della posizione si ha, comegià visto,ψ(x′, y′, z′) = 〈x′, y′, z′|ψ〉 e〈x′, y′, z′|x|ψ〉 = x′ψ(x′, y′, z′) che è la relazioneche esprime la componente dix|ψ〉 nella direzione dell’autostato|x′, y′, z′〉 di x stessonella forma di prodotto dell’autovalore per la funzione d’onda.

Per determinare l’espressione dell’operatorep nella base degli autostati della posi-zione in dimensione 1, utilizziamo la terza delle regole di commutazione(2.14). Con-sideriamo l’operatore

p = −ih d

dx(2.15)

e calcoliamo quindi il commutatore dix ep, pensato, al pari di ogni operatore differen-ziale, come agente su una funzione appartenente ad un opportuno spazio di funzioni

[

x,−ih d

dx

]

ψ(x) = −ih x dψ(x)

dx+ ih

d

dx[xψ(x)] = ih ψ(x)

da cui si deduce che per ogni funzioneψ(x) vale

[

x,−ih d

dx

]

= ih

Concludiamo allora che se utilizziamo per l’operatorep l’espressione(2.15), valedunque la regola di commutazione frax ep espressa dalla(2.14).

La relazione(2.15) è pertanto uncandidatoa rappresentare l’operatorep nella basedegli autostati della posizione; ma se ci basiamo sulla regola (2.14), allora dovremmodire che anche il commutatore dix con l’operatore

p = −ih d

dx+ F (x)

conF (x) reale per l’hermitianità, fornisce risultatoih perchéx commuta conF (x).

2.6.1 Trasformazioni unitarie e operatore impulso

A questo punto allora ricorriamo ad una trasformazione unitaria (analoga alla trasforma-zione di gauge dell’elettromagnetismo per il potenziale scalare e il potenziale vettore),rispetto alla quale la fisica rimane invariata, ma che permetta di scegliere una volta pertutteF (x) = 0 e dunque la rappresentazione dell’operatore impulso data semplicementedalla relazione(2.15).

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2.6. LEGAME FRA OSSERVABILI CLASSICHE E OPERATORI QUANTISTICI 31

In generale se un operatoreA è diagonale con spettro non degenere (cioè rappresen-tato nella base dei suoi autostati), allora un altro operatoreB commuta conA se e solose ancheB è diagonale nella stessa base. Infatti, essendoAij = λi δij , si ha perλi 6= λk

[A,B]ik = 0 ⇐⇒∑

l

(AilBlk − BilAlk) =∑

l

(λiδilBlk − Bilλlδlk) =

= λiBik − Bikλk = (λi − λk)Bik = 0 ⇐⇒ Bik = 0 se i 6= k

ovvero, datoA operatore diagonale,B commuta conA se e solo se i suoi elementi fuoridalla diagonale sono nulli, cioè appunto se e solo se ancheB è diagonale.

Poiché vogliamo che l’operatore di posizioneq che agisce come moltiplicazione peril valore q, rimanga invariato, scegliamo la trasformazione unitariaU in modo che essalasci tale operatore invariato, ovvero in modo che si abbia la relazione

UqU+ = q

equivalente alla relazioneUq = qU . Affinché l’operatoreq rimanga invariato, la tra-sformazione unitariaU deve allora commutare conq stesso e siccomeq è diagonalenella base dei suoi autovettori, per quanto detto precedentemente, ancheU , per potercommutare conq, deve essere diagonale nella stessa base.

Ricordando che rispetto alla base in cui esso si diagonalizza, un operatore agiscecome moltiplicazione di una funzione diq per la funzione d’onda, allora poniamo

Uψ(q) = u(q)ψ(q)

conUU+ = 1 eU+(q) = u+(q). Nel caso di dimensione 1 si ha in particolare

u(q) = eiϕ(q)

Con questa trasformazione gli stati e gli operatori si trasformano rispettivamentesecondo le regole

ψ(q) = Uψ(q) = eiϕ(q) ψ(q),

q = eiϕ(q)qe−iϕ(q) = q, p = eiϕ(q)pe−iϕ(q)

Vediamo dunque come si trasforma l’operatorep avente espressione

p = −ih d

dq+ F (q)

doveF (q) rappresenta una generica funzione diq.Ricordando che per analizzare il comportamento di un operatore differenziale oc-

corre sempre immaginare che esso agisca alla sua destra su una funzione appartenentead uno spazio di funzioni su cui tale operatore è definito, allora esaminiamo la strutturadell’operatorep considerandolo come agente su una generica funzioneg(q).

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32 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

Se a questo punto sviluppiamo

p g(q) = [eiϕ(q)pe−iϕ(q)] g(q) =

[

eiϕ(q)

(

−ih d

dq+ F (q)

)

e−iϕ(q)

]

g(q) =

= −hϕ′(q) g(q)− ihg′(q) + F (q) g(q) =

[

−ih ddq

+ F (q) − hϕ′(q)

]

g(q)

posssiamo concludere che per ogni funzioneg(q) vale

p = −ih ddq

+ F (q) − hϕ′(q) (2.16)

Quindi affinché l’espressione

p = −ih d

dq+ F (q)

diventi

p = −ih d

dq

basta porreF (q) − hϕ′(q) = 0 nella relazione(2.16) per ottenere dunque

ϕ(q) =1

h

F (q) dq + k

e poter scrivere così, con laϕ(q) trovata, la trsformazione unitaria

u(q) = eiϕ(q)

in cui la costante d’integrazionek rappresenta semplicemente una fase arbitraria (inno-cua!) eliminabile con un’ulteriore trasformazione unitaria.

Alla luce di questo risultato dunque, se l’espressione dell’operatorep contiene un ad-dendo aggiuntivoF (q), questo addendo può sempre essere annullato attraverso un’op-portuna trasformazione unitaria; allora si può porre sin dall’inizio F (q) = 0 e utilizzarel’espressione dell’operatore impulso nella base degli autostati della posizione

p = −ih d

dq

Nel caso di dimensione 3 la generalizzazione dip è

pj = −ih ∂

∂qj

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2.6. LEGAME FRA OSSERVABILI CLASSICHE E OPERATORI QUANTISTICI 33

e questa espressione verifica le regole di commutazione(2.14) perché vale[

qi,−ih∂

∂qj

]

= −ihqi∂

∂qj+ ihδij + ihqi

∂qj= ihδij

[pi, pj] =

[

−ih ∂

∂qi, −ih ∂

∂qj

]

= 0 per il teorema di Schwartz

Analogamente al caso unidimensionale, anche l’espressione dell’impulso

pj = −ih ∂

∂qj+ Fj(q) (2.17)

verifica la regola di commutazione

[qi, pj] = ihδij

e vediamo allora che conseguenza ha la(2.17) sulla regola di commutazione[pi, pj].Sviluppando tale commutatore applicato, come spiegato in precedenza, ad una fun-

zione genericag(q), si ottiene

[pi, pj] g(q) =

(

−ih ∂

∂qi+ Fi(q)

)(

−ih ∂

∂qj+ Fj(q)

)

g(q)+

−(

−ih ∂

∂qj+ Fj(q)

)(

−ih ∂

∂qi+ Fi(q)

)

g(q) =

= ih

(

∂Fi(q)

∂qj− ∂Fj(q)

∂qi

)

g(q)

cioè

[pi, pj] = ih

(

∂Fi(q)

∂qj− ∂Fj(q)

∂qi

)

(2.18)

Quindi, affinché valga la regola di commutazione[pi, pj] = 0 nel caso tridimensio-nale, non si può aggiungere qualunque funzioneFi(q) alla componentepi dell’impulso,perché se è vero da una parte che qualunque funzioneFi(q) aggiunta api fornisce laregola di commutazione giusta[qi, pj] = ihδij , d’altra parte la regola[pi, pj] = 0 risultainvece violata, come si vede dalla(2.18).

Se però aggiungiamo ap una funzioneF (q) avente rotore nullo, ovvero che sia ilgradiente di un’unica funzione primitiva scalareG(q), allora, come mostra la(2.18),

pi = −ih ∂

∂qi+∂G(q)

∂qi(2.19)

verifica la regola di commutazione[pi, pj] = 0.

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34 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

Se ora effettuiamo una trasformazione unitaria che trasforma gli operatori nel modo

qi = eiϕ(q)qie−iϕ(q) = qi

pi = eiϕ(q)pie−iϕ(q)

e sviluppiamopi conpi dato dalla(2.19), otteniamo

pi f(q) =

[

eiϕ(q)

(

−ih ∂

∂qi+∂G(q)

∂qi

)

e−iϕ(q)

]

f(q) =

=

[

−ih ∂

∂qi+∂G(q)

∂qi− h

∂ϕ(q)

∂qi

]

f(q)

Scegliendo la funzioneϕ(q) per la trasformazione unitaria in modo che valga

∂G(q)

∂qi− h

∂ϕ(q)

∂qi= 0

segue che sepi è dato dalla(2.19), allorapi diventa

pi = −ih ∂

∂qi

Quindi, se il termine∂G(q)/∂qi nella (2.19) è un addendo che con un’opportu-na trasformazione unitaria può essere annullato, allora scegliamo sin dall’inizio perl’operatore impulsopi l’espressione

pi = −ih ∂

∂qi

che in letteratura è equivalente alla scrittura

p = −ih∇

Nella base in cuiq è diagonale (in dimensione 1) si ha

〈q|p|ψ〉 = −ih ddq

〈q|ψ〉 (2.20)

e in generale il trasformatof(p)|ψ〉 di uno stato generico astratto|ψ〉 attraverso unafunzione dell’operatorep ha componenti sulla base degli autoket|q〉 della posizioneottenute facendo agire l’operatore

f

(

−ih ddq

)

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2.6. LEGAME FRA OSSERVABILI CLASSICHE E OPERATORI QUANTISTICI 35

sulle componenti di|ψ〉 rispetto alla base|q〉, ovvero

〈q|f(p)|ψ〉 = f

(

−ih ddq

)

〈q|ψ〉 = f

(

−ih ddq

)

ψ(q)

A questo punto, conoscendo l’espressione degli operatoriq e p, possiamo scri-vere allora per esempio anche l’operatoreenergia (o hamiltoniano) perché esso haun’espressione contenente soltantoq ep

H(p, q) =p2

2m+ V (q)

dove nella base in cuiq è diagonale si ha

〈q|V |ψ〉 = V (q)〈q|ψ〉 = V (q)ψ(q)

Nel trasformare in operatori le osservabili classiche si pone un problema di ordina-mento degli operatori per la non commutazione degli operatori stessi. Per l’operato-re di energiaH(p, q) tale problema non si presenta perché in esso gli operatorip e qcompaiono in addendi diversi senza essere moltiplicati fraloro. Poiché però vale

[

p2

2m, V (q)

]

6= 0

non si possono misurare simultaneamente l’energia cinetica e l’energia potenziale equindi lo spettro dell’energia non è la somma degli autovalori dell’energia cinetica edell’energia potenziale.

Verifichiamo ancora l’uguaglianza data dalla relazione generale(2.13) considerandocome osservabilip eH. Abbiamo la parentesi di Poisson classica

p,H =∂p

∂q

∂H

∂p− ∂H

∂q

∂p

∂p= − ∂H(p, q)

∂q= − dV (q)

dq

e il commutatore quantistico

[p,H ] =

[

−ih ddq,− h2

2m

d2

dq2+ V (q)

]

=

[

−ih ddq,− h2

2m

d2

dq2

]

+

[

−ih ddq, V (q)

]

=

= −ihV (q)d

dq− ih

dV (q)

dq+ ihV (q)

d

dq= −ihdV (q)

dq

da cui segue appunto l’uguaglianza(2.13).Se analogamente consideriamo le osservabiliq eH, allora abbiamo la parentesi di

Poisson classica

q,H =∂q

∂q

∂H

∂p− ∂H

∂q

∂q

∂p=∂H

∂p=

p

m

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36 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

e il commutatore quantistico

[q,H ] =

[

q ,− h2

2m

d2

dq2+ V (q)

]

=

[

q ,− h2

2m

d2

dq2

]

=

= − h2

2m

(

qd2

dq2− q

d2

dq2− 2

d

dq

)

=h2

m

d

dq= ih

1

m

(

−ih ddx

)

= ihp

m

da cui segue anche in questo caso l’uguaglianza(2.13).

2.7 Autostati dell’operatore impulso

L’operatore astrattop dell’impulso ha equazione secolare

p |p′〉 = p′|p′〉

che, proiettata nella base degli autostati della posizione, fornisce

〈x′|p|p′〉 = 〈x′|p′|p′〉 = p′〈x′|p′〉 (2.21)

Dal confronto della(2.21) con la(2.20), si ottiene l’equazione secolare dell’opera-tore impulso nella base degli autostati della posizione

−ih ddx

〈x′|p′〉 = p′〈x′|p′〉

la cui soluzione è data dalla funzione d’onda

〈x′|p′〉 = Aeip′x′

h (2.22)

Sep′ fosse complesso e non reale, cioèp′ = a + ib, allora si ha che l’esponenzialenella(2.22) diventa

eip′x′

h = eiax′

h e−bx′

h

Con questo esponenziale, la funzione d’onda(2.22) presenta il problema che conqualunque segno del coefficienteb, essa tende sempre ad infinito perx che tende a+∞o a−∞. Una funzione d’onda che o a+∞ o a−∞ tende all’infinito crea problemidi normalizzazione. Allora l’hermitianità dell’operatore impulso seleziona gli autova-lori reali puri (conb = 0) che appartengono a tutto l’asse reale e formano pertantouno spettro continuo. Come già detto, la singola autofunzione di un operatore con-tinuo non è normalizzabile per due autofunzioni relative adautovalori distinti vale lanormalizzazione nel senso dellaδ di Dirac

〈x′|x′′〉 = δ(x′ − x′′)

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2.7. AUTOSTATI DELL’OPERATORE IMPULSO 37

Ora, l’autofunzione dell’impulsoeip′x′

h presenta il problema che il suo modulo qua-dro è sempre 1 per ognix′, ovvero, poiché il suo modulo quadro rappresenta la densitàdi probabiltà di avere la particella localizzata esattamente in una certa posizionex′, siha che tale probabiltà è sempre 1 in tutto l’universo. Alloradiciamo che, consapevolidi questo problema, utilizziamo le autofunzioni dell’impulso solo per poter usare an-che negli spazi di dimensione infinita il formalismo degli spazi di dimensione finita edevitare così una trattazione matematica più complicata.

Per la normalizzazione delle autofunzioni dell’impulso nel senso dellaδ di Di-rac, dobbiamo imporre che valga〈p2|p1〉 = δ(p1 − p2). Utilizzando l’espressionedell’autofunzione〈x|p〉 = Ae

ipx

h , si ricava

〈p2|p1〉 =∫ +∞

−∞dx 〈p2|x〉〈x|p1〉 =

∫ +∞

−∞dx 〈x|p2〉〈x|p1〉 =

=∫ +∞

−∞A∗e

−ip2x

h Aeip1x

h dx = |A|2∫ +∞

−∞ei(p1−p2)x

h dx

2.7.1 Trasformate di Fourier

Data una funzionef(x), la suatrasformata di Fourierè la funzionef(q) data da

f(q) =1√2π

∫ +∞

−∞f(x) e−iqx dx

nel caso che l’integrale sia convergente. Senza dimostrarla, assumiamo verificate lecondizioni che assicurano l’invertibilità della trasformata di Fourier in modo che valgaanche

f(x) =1√2π

∫ +∞

−∞f(q) eiqx dq

Sostituendof(q) in f(x), si ha

f(x) =1√2π

∫ +∞

−∞

[

1√2π

∫ +∞

−∞f(y) e−iqy dy

]

eiqx dq =

=∫ +∞

−∞f(y)

[1

∫ +∞

−∞eiq(x−y) dq

]

dy

Confrontando il primo e l’ultimo membro di questa catena di uguaglianze, ricaviamoche vale

1

∫ +∞

−∞eiq(x−y) dq = δ(x− y) (2.23)

Alternativamente si poteva dimostrare la(2.23) anche considerando direttamente latrasformata di Fourier dellaδ di Dirac

δ(q) =1√2π

∫ +∞

−∞δ(y) e−iqy dy =

1√2π

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38 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

da cui segue appunto la(2.23) perché si ha

δ(x− y) =1√2π

∫ +∞

−∞δ(q) eiq(x−y) dq =

1√2π

∫ +∞

−∞

1√2π

eiq(x−y) dq =

=1

∫ +∞

−∞eiq(x−y) dq

Applicando ora la(2.23) agli autostati dell’impulso, otteniamo

〈p2|p1〉 = |A|2∫ +∞

−∞ei(p1−p2)x

h dx = 2π|A|2 δ(p1 − p2

h

)

= 2πh|A|2 δ(p1 − p2)

e poiché deve valere la condizione di normalizzazione〈p2|p1〉 = δ(p1−p2), si concludeper confronto che il coefficienteA dell’autofunzione dell’impulso deve essere

A =1√2πh

e che l’autofunzione dell’impulso nella base in cui è diagonale la posizione ha alloraespressione

〈x|p〉 =1√2πh

eipxh

Ora, così come|ψ(x)|2 = |〈x|ψ〉|2 è la densità di probabilità che la particella sialocalizzata inx, analogamente la densità di probabilità che la particella abbia impulsopari ap, sarà data da|〈p|φ〉|2 dove

〈p|φ〉 = φ(p) =∫ +∞

−∞〈p|x〉〈x|ψ〉dx =

1√2πh

∫ +∞

−∞ψ(x) e

−ipxh dx (2.24)

Se è data invece la funzione d’ondaφ(p) dell’impulso, allora si ottiene la funzioned’onda dix

〈x|ψ〉 = ψ(x) =∫ +∞

−∞〈x|p〉〈p|ψ〉dp =

1√2πh

∫ +∞

−∞φ(p) e

ipx

h dp (2.25)

Abbiamo ottenuto dunque che laφ(p) è la trasformata di Fourier dellaψ(x) e che,viceversa, laψ(x) è, come viene denominata, l’antitrasformata di Fourierdellaφ(p).

Nel caso tridimensionale l’operatore impulso, avente espressionep = −ih∇, haequazione secolare

−ih ∂

∂qi〈q|p〉 = pi〈q|p〉

da cui discende

〈q|p〉 =1

(2πh)3/2eiq·p

h

e

φ(p) = 〈p|φ〉 =1

(2πh)3/2

ψ(x) e−ip·x

h d3x

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2.8. IMPULSO E TRASLAZIONI SPAZIALI 39

2.7.2 Operatore posizione nella base degli autostati dell’impulso

Nella base in cui è diagonale l’impulso, la densità di probabilità che una particella abbiaimpulsop è data da

〈p|ψ〉 = φ(p)

In questa base abbiamo quindi

〈p|px|ψ〉 = 〈p|px|ψ〉 = px 〈p|ψ〉 = pxφ(p)

ovvero, come più volte già trovato, la componente dipx|ψ〉 sulla direzione di un auto-stato dipx è data dall’autovalore corrispondente per la funzione d’onda.

Calcoliamo ora la componente dix|ψ〉 sulla direzione di un autostato dipx

〈p|x|ψ〉 =∫ +∞

−∞〈p|x〉〈x|x|ψ〉 dx =

∫ +∞

−∞x 〈p|x〉〈x|ψ〉 dx =

=∫ +∞

−∞xψ(x)

1

(2πh)3/2e

−ip·x

h d3x = ih∂

∂px

[

1

(2πh)3/2

∫ +∞

−∞ψ(x)e

−ip·x

h d3x

]

=

= ih∂

∂pxφ(p)

Riassumendo abbiamo dunque che nella base degli autostati della posizione l’ope-ratore di posizionex agisce come moltiplicazione perx e l’operatore impulsopx agiscecome

px = −ih ∂∂x

Viceversa, nella base degli autostati dell’impulso l’operatore posizionex agiscecome

x = ih∂

∂px

e l’operatore impulsopx agisce come moltiplicazione perpx.

2.8 Impulso e traslazioni spaziali

Prima di introdurre l’operatore di traslazione spaziale, consideriamo in generale il con-cetto di simmetria. Il teorema di Wigner afferma che una simmetria in meccanica quan-tistica si materializza sempre mediante un operatoreT unitario o antiunitario, dove conantiunitario si intende unitario e antilineare, ovvero tale che

T (c1|ψ1〉 + c2|ψ2〉) = c∗1 T |ψ1〉 + c∗2 T |ψ2〉

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40 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

Una simmetria si dicediscretase è tale che o viene effettuata o non viene effettuata,senza che vi sia la possibilità di effettuarla di più o di meno. Ad esempio l’inversionedegli assi cartesiani è una simmetria discreta.

Una simmetria si dice invececontinuase può essere effettuata anche in modo infi-nitesimo, come appunto latraslazione.

Consideriamo un’hamiltoniana

H =p2

1

2m1

+p2

2

2m2

+ V (x1,x2)

e l’operazione di simmetria traslazione data da

p′1 = p1, p′

2 = p2, x′1 = x1 + a, x′

2 = x2 + a

L’hamiltoniana si trasforma allora in

H ′ =p′2

1

2m1+

p′22

2m2+ V (x′

1,x′2) =

p21

2m1+

p22

2m2+ V (x1 + a , x2 + a)

e avremo l’uguaglianzaH = H ′ se valeV (x1,x2) = V (x1 + a , x2 + a), cioè se ilpotenziale dipende solo dalla differenzax1−x2, ovvero se valeV (x1,x2) = V (x1−x2).

Se dopo aver applicato l’operazione di traslazione si ha l’uguaglianza delle ha-miltoniane, allora diremo che l’hamiltoniana è invarianteper traslazioni. Quando c’èinvarianza per traslazioni, le forze sono

F1 = − ∂V (x1 − x2)

∂x1

e F2 = − ∂V (x1 − x2)

∂x2

= −F1

ovvero l’invarianza per traslazioni si ha solo se sul sistema agiscono esclusivamenteforze interne e vale il principio di azione e reazione.

In questo caso c’è la conservazione dell’impulso totalep, ovvero le tre componentidell’impulso spaziale si conservano.

In meccanica quantistica un sistema si costruisce esguendouna misura di una certaosservabileA e isolando quindi il sistema non appena si ottiene il valore della misurapari all’autovalore diA corrispondente all’autostato desiderato diA:allora possiamodire che il sistema è nell’autostato diA desiderato|λ〉.

A questo punto la traslazione è un operatoreT (a) tale che quando venga applicatoallo stato|x〉, dia

T (a) |x〉 = |x + a〉ovvero dia lo stato in cui lo strumento di misura è traslato dia.

L’azione diT (a) sugli impulsi è tale da non modificare gli impulsi stessi e quindi lanorma del ket|p〉 si conserverà sotto azione dell’operatoreT (a).

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2.8. IMPULSO E TRASLAZIONI SPAZIALI 41

Per due particelle si ha pertanto

T (a) |x1,x2〉 = |x1 + a,x2 + a〉

eT (a) |p1,p2〉 = eiφ |p1,p2〉

dove, per quanto detto a proposito della conservazione della norma del ket impulso, taleket si modifica soltanto per un fattore di fase.

Poiché l’operatoreT (a) è unitario, esso si rappresenta con l’espressione

T (a) = ei(A1a1+A2a2+A3a3) (2.26)

dove a1, a2, a3 sono le componenti dia lungo i tre assi cartesiani eA1, A2, A3 sonooperatori hermitiani che debbono commutare a due a due affinché valga la relazionegeometrica fra le traslazioniT (a1)T (a2) = T (a1 + a2) = T (a2)T (a1).

Consideriamo l’operatore di traslazione infinitesima (approssimazione di Taylor alprim’ordine dell’espressione(2.26) dell’operatore)

T (a) ≈ I + i(A1a1 + A2a2 + A3a3)

e, per semplicità, due particelle unidimensionali tali che

x1|x1, x2〉 = x1|x1, x2〉, x2|x1, x2〉 = x2|x1, x2〉, (2.27)

Se applichiamoT (a) (cona scalare perché unidimensionale) alla prima delle(2.27),otteniamo

T (a)x1|x1, x2〉 = x1T (a)|x1, x2〉 = x1|x1 + a, x2 + a〉da cui segue

[T (a)x1T+(a)]T (a)|x1, x2〉 = [T (a)x1T

+(a)] |x1 + a, x2 + a〉

e per confronto

[T (a)x1T+(a)] |x1 + a, x2 + a〉 = x1|x1 + a, x2 + a〉 (2.28)

Se effettuiamo il cambio di variabilex1 + a = x′1 , l’equazione(2.28) diventa

[T (a)x1T+(a)] |x′1, x′2〉 = (x′1 − a)|x′1, x′2〉

da cui ricaviamo l’informazione per cui l’operatoreT (a)x1T+(a) è diagonale nella base

costituita dagli|x′1, x′2〉 e possiede autovalorex′1 − a.Togliendo gli apici nella notazione, si ottiene

[T (a)x1T+(a)] |x1, x2〉 = (x1 − a)|x1, x2〉

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42 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

da cui si ricava la relazione operatoriale

T (a)x1T+(a) = x1 − a (2.29)

avente l’analoga conx2.Vogliamo inoltre, come detto, che l’operatoreT (a) non alteri gli impulsi, cioè vo-

gliamo che valga la relazione (riportata solo con l’impulsop avente indice 1, ma validaanche con l’impulsop avente indice 2)

p1T (a)|p1, p2〉 = p1T (a)|p1, p2〉

da cui segue

T+(a)p1T (a)|p1, p2〉 = T+(a)p1T (a)|p1, p2〉 = p1|p1, p2〉

ovvero la relazione operatoriale

T+(a)p1T (a) = p1 (2.30)

che esprime la commutazione[p1, T (a)] = 0 di T (a) con p1.Sostituendo lo sviluppo cona infinitesimo T (a) ≈ I + iaA nella relazione(2.29)

e nella relazione(2.30), si ottiene

(I + iaA)xi(I − iaA) = xi − a e (I − iaA)pj(I + iaA) = pj

da cui seguono i commutatori

[xi, A] = −i e [pj, A] = 0

Da queste regole di commutazione diA con gli operatorixi e pj, segue che l’opera-toreA, generatore delle traslazioni, è dato dall’espressione

A = − p1

h− p2

h

che appunto verifica le regole di commutazione conxi e pj richieste.Abbiamo dunque ottenuto

T (a) ≈ I − i

h(p1 + p2) a

che fornisce l’espressione dell’operatore di traslazionefinita

T (a) = e−ih

(p1+p2) a

Consideriamo ora una particella e calcoliamo il rappresentativo (cioè le componenti)dello stato traslato di un generico stato|ψ〉 sulla base degli autostati della posizione.

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2.8. IMPULSO E TRASLAZIONI SPAZIALI 43

Dovendo calcolare dunque〈x| (T (a)|ψ〉), sviluppiamo

〈a|T (a) = (T+(a)|x〉)+ = (|x− a〉)+ = 〈x− a|

da cui segue〈x| (T (a)|ψ〉) = 〈x− a|ψ〉 = ψ(x− a)

ovvero〈x|e−i ph a|ψ〉 = e−a

ddx 〈x|ψ〉 = e−a

ddx ψ(x) = ψ(x− a)

Non è sorprendente che valga〈x|T (a)|ψ〉 = ψ(x − a) perché, per confronto, taleuguaglianza è coerente con lo sviluppo di Taylor

e−addx ψ(x) =

+∞∑

n=0

1

n!(−a)n d

n

dxnψ(x) = ψ(x− a)

In meccanica quantistica la dinamica è invariante per traslazioni se[T (a), H ] = 0che è equivalente a

[

p1 + p2 ,p2

1

2m1+

p22

2m2+ V (x1, x2)

]

= 0

e si riduce quindi a[p1 + p2 , V (x1, x2)] = 0

Poiché si ha [

∂x1

, V (x1, x2)

]

ψ(x1, x2) =

=∂

∂x1

[V (x1, x2)ψ(x1, x2)] − V (x1, x2)∂

∂x1

ψ(x1, x2) = ψ(x1, x2)∂V (x1, x2)

∂x1

segue quindi[

∂x1

+∂

∂x2

, V (x1, x2)

]

=∂V (x1, x2)

∂x1

+∂V (x1, x2)

∂x2

Possiamo concludere allora che anche in meccanica quantistica, analogamente allameccanica classica, la dinamica è invariante per traslazioni se il potenziale dipende solodalla differenzax1 − x2, cioè seV (x1, x2) = V (x1 − x2), perchè con tale espressionedel potenziale si ha

[T (a), H ] =

[

∂x1+

∂x2, V (x1, x2)

]

=∂V (x1, x2)

∂x1+∂V (x1, x2)

∂x2= 0

Quando il potenziale dipende soltanto dax1 − x2 e la dinamica è dunque invariante,si ha che solo le condizioni iniziali distinguono una posizione o la sua traslata.

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44 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

2.9 Principio di indeterminazione

Il quadrato del modulo dell’autofunzione dell’impulso〈p|x〉 nel caso unidimensionalerappresenta la densità di probabiltà che una particella localizzata inx abbia impulsoped ha valore costante

|〈p|x〉|2 =1

2πh

Abbiamo allora che c’è sempre la stessa probabiltà per una particella localizzatanella posizionex di avere un qualsiasi impulsop, ovvero che se per una particella èstata misurata esattamente la posizionex, allora non è possibile avere una misuraprecisadell’impulsop.

Viceversa, se una particella ha impulsop, allora la densità di probabiltà che essaabbia posizionex è data da〈x|p〉 e vale

|〈x|p〉|2 =1

2πh

Quindi se una particella ha impulsop, c’è sempre la stessa probabilità che essasia localizzata in una qualunque posizionex, ovvero se è stato misurato esattamentel’impulso p, non si può misurare esattamente la posizionex.

Questo risultato relativo alle osservabilix ep, è un caso particolare di quello che sichiamaprincipio di indeterminazionedi Heisenberg.

Le indeterminazioni quantistiche non dipendono dalle imprecisioni degli strumentidi misura, ma sono insite nella natura. Se si usano strumentiche hanno imprecisionigrandi (rispetto all’ordine di grandezza dih), allora non si percepisce l’incertezza quan-tistica; se però si raffina la misura fino ad apprezzare dispersioni dell’ordine dih, allorasi constaterebbe che cè un limite posto dalla natura sulla precisione con cui può essereraggiunto il valore della misura di una grandezza.

Per dimostrare il principio di indeterminazione, immaginiamo di avere due genericioperatoriA eB e i loro valori medi su un generico stato|ψ〉.

Dai valori medi dei due operatori su tale stato

〈A〉ψ = 〈ψ|A|ψ〉 e 〈B〉ψ = 〈ψ|B|ψ〉

seguono le dispersioni, o varianze, degli stessi operatori

(∆A)2 = 〈ψ|(A− 〈A〉)2|ψ〉 e (∆B)2 = 〈ψ|(B − 〈B〉)2|ψ〉

Sia(∆A)2 che(∆A)2 sono definiti positivi perché (riferendoci soltanto adA) si ha

(∆A)2 = 〈ψ|(A− 〈A〉)(A− 〈A〉)|ψ〉 = |(A− 〈A〉)|ψ〉|2 ≥ 0

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2.9. PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE 45

Ora, dato il vettore[(A− 〈A〉) + iλ(B − 〈B〉)]|ψ〉, conλ parametro reale generico,la sua norma, sempre non negativa, sarà il polinomio di secondo grado nella variabileλdato da

〈ψ|[(A− 〈A〉) + iλ(B − 〈B〉)][(A− 〈A〉) + iλ(B − 〈B〉)]|ψ〉 =

= 〈ψ|(B − 〈B〉)2|ψ〉λ2 − i〈ψ|[B,A]|ψ〉λ+ 〈ψ|(A− 〈A〉)2|ψ〉 =

= (∆B)2 λ2 − i〈ψ|[B,A]|ψ〉λ+ (∆A)2 = (∆B)2 λ2 + Cλ+ (∆A)2 ≥ 0

dove conC è stato indicato l’operatore hermitianoC = −i [B,A].Affinché questo polinomio di secondo grado sia sempre positivo o nullo per ogni

valore della variabileλ, tenendo presente che il coefficiente diλ2 è positivo, deveverificarsi la condizione

C2 − 4(∆B)2(∆A)2 ≤ 0

da cui segue in conclusione il principio di indeterminazione nella forma

(∆A)(∆B) ≥ |C|2

In particolare seA eB sono gli operatori di posizione e di impulso in dimensione 1,allora si ha[x, p] = ih e dunque|C| = h, da cui segue

∆x∆p ≥ h

2(2.31)

Per le osservabilix e p in dimensione 1 nel caso in cui si abbia〈x〉 = 〈p〉 = 0, larelazione(2.31) può essere ricavata anche calcolando inL2(R) il quadrato della normadella funzione

g(x) = αxψ(x) +dψ(x)

dx

Il quadrato della normaL2 dellag(x) è dato dal polinomio di secondo grado nellavariabileα

∫ +∞

−∞

∣∣∣∣∣αxψ(x) +

dψ(x)

dx

∣∣∣∣∣

2

dx = (2.32)

=∫ +∞

−∞

(

αxψ∗(x) +dψ∗(x)

dx

)(

αxψ(x) +dψ(x)

dx

)

dx =

= α2∫ +∞

−∞x2|ψ(x)|2 dx+ α

∫ +∞

−∞

[

xψ∗(x)dψ(x)

dx+ xψ(x)

dψ∗(x)

dx

]

dx+

+∫ +∞

−∞

∣∣∣∣∣

dψ(x)

dx

∣∣∣∣∣

2

dx ≥ 0

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46 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

Integrando per parti il coefficiente diα in (2.32) e ricordando che leψ(x) sono fun-zioni d’onda che tedono a zero all’infinito più velocemente di qualsiasi potenza inversadi x, si ottiene

∫ +∞

−∞

[

xψ∗(x)dψ(x)

dx+ xψ(x)

dψ∗(x)

dx

]

dx =

=∫ +∞

−∞xd

dx|ψ(x)|2 dx = −

∫ +∞

−∞|ψ(x)|2 dx = −1

Per capire il significato del termine noto in(2.32), calcoliamo integrando per parti

〈p2〉 = 〈ψ|p2|ψ〉 = −h2∫ +∞

−∞ψ∗(x)

d2

dxψ(x) dx = h2

∫ +∞

−∞

∣∣∣∣∣

dψ(x)

dx

∣∣∣∣∣

2

dx

da cui segue∫ +∞

−∞

∣∣∣∣∣

dψ(x)

dx

∣∣∣∣∣

2

dx =〈p2〉h2

Si riconosce infine che il coefficiente diα2 in (2.32) è il valor medio〈x2〉. Sosti-tuendo questi sviluppi nella(2.32) e considerando che dalla condizione assegnata comeipotesi〈x〉 = 〈p〉 = 0 segue(∆x)2 = 〈x2〉 e (∆p)2 = 〈p2〉, si ottiene in conclusione

∫ +∞

−∞

∣∣∣∣∣αxψ(x) +

dψ(x)

dx

∣∣∣∣∣

2

dx = (∆x)2 α2 − α +(∆p)2

h2 ≥ 0

Affinché tale polinomio di secondo grado sia sempre non negativo per ogni valoredella variabileα, deve verificarsi la condizione

1 − 4 (∆x)2 (∆p)2

h2 ≤ 0

da cui si ottiene di nuovo la relazione(2.31).

2.9.1 Pacchetti d’onda

Nel caso delle osservabilix e p, lo stato|ψ〉 nel quale si ottiene il valore minimo delprodotto delle indeterminazioni (cioè con il segno di uguaglianza)∆x∆px = h/2 vienechiamatopacchetto d’ondee verifichiamo allora che lo stato (espresso nella base degliautostati della posizione e già normalizzato)

ψ(x) =1√

∆ 4√

2πe−

x2

4∆2 + ipx

h

è un pacchetto d’onda.

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2.9. PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE 47

Per calcolare gli integrali necessari, utilizzeremo la bennota identità dei polinomidi secondo grado in cui consideriamo il coefficientea reale positivo

−ax2 + bx ≡ −a(

x− b

2a

)2

+b2

4a(2.33)

e i risultati degli integrali gaussiani cona > 0∫ +∞

−∞e−ax

2

dx =

√π

ae

∫ +∞

−∞x2n e−ax

2

dx = − dn

dan

(√π

a

)

Nello statoψ(x) assegnato abbiamo

〈x〉 =∫ +∞

−∞x|ψ(x)|2 dx =

1

∆√

∫ +∞

−∞x e−

x2

2∆2 dx = 0

〈x2〉 =∫ +∞

−∞x2|ψ(x)|2 dx =

1

∆√

∫ +∞

−∞x2 e−

x2

2∆2 dx = ∆2

da cui segue(∆x)2 = 〈x2〉 − (〈x〉)2 = ∆2.Per ricavare〈p〉 e 〈p2〉, calcoliamo la funzione d’onda nella base degli autostati

dell’impulso

φ(p) =1√2π h

∫ +∞

−∞ψ(x) e−i

phx dx =

1√2π h

1√∆ 4

√2π

∫ +∞

−∞e−

x2

4∆2 +i(p−p)x

h dx =

=1√2π h

1√∆ 4

√2π

e−∆2 (p−p)2

h2

∫ +∞

−∞e−

x2

4∆2 dx =1√2π h

2√π∆

4√

2πe−

∆2 (p−p)2

h2

Per ottenere〈p〉 e 〈p2〉 calcoliamo i relativi integrali nei quali eseguiamo il cambiodi variabilep− p = y

〈p〉 =∫ +∞

−∞p |φ(p)|2 dp =

4π∆

2π h√

∫ +∞

−∞p e−

2∆2 (p−p)2

h2 dp =

=4π∆

2π h√

∫ +∞

−∞(y + p) e−

2∆2 y2

h2 dy =4πp∆

2π h√

h√π

∆√

2= p

e

〈p2〉 =∫ +∞

−∞p2 |φ(p)|2 dp =

4π∆

2π h√

∫ +∞

−∞p2 e−

2∆2 (p−p)2

h2 dp =

=4π∆

2π h√

∫ +∞

−∞(y2 + p2) e−

2∆2 y2

h2 dy = p2 +h2

4∆2

da cui segue

(∆p)2 = 〈p2〉 − (〈p〉)2 =h2

4∆2

e dunque il prodotto minimo delle dispersioni

∆p∆x =h

2

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48 CAPITOLO 2. FORMALISMO GENERALE NELLA NOTAZIONE DI DIRAC

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Capitolo 3

Evoluzione temporale degli stati

Come detto, il valore della misura di un’osservabileA in meccanica quantistica si ot-tiene calcolando la media statistica dei valori ottenuti ripetendo la misura su un certostatoS del sistema; ma poiché ogni volta che si esegue la misura diA, il sistemapre-cipita irreversibilmente in un autostato dell’operatoreA e si perde informazione sullostato iniziale del sistema, allora quando si effettua la misura dell’osservabileA la voltasuccessiva, il sistema non si trova più nello stato inizialeS. Quindi per avere una seriedi risultati della misura dell’osservabileA ottenuti tutti avendo effettuato la misura sulmedesimo statoS del sistema, occorrepreparareinfinite copie (tutte uguali) del sistemain questione, in modo tale che, non appena la misura precedente ha fattoprecipitareilsistema in un autostato diA, la misura successiva possa essere eseguita di nuovo su unsistema identico al precedente che si trova dunque nel medesimo statoS su cui avevaavuto luogo la misura precedente. Questa caratteristica dei sistemi quantistici di passarein modo irreversibile da uno stato ad un altro per effetto di una misura, è già di per séuna sorta di evoluzione temporale del sistema.

In meccanica quantistica abbiamo allora due tipi di evoluzione dei sistemi. Il primoè appunto quello probabilistico irreversibile indotto da una misura che si esegue dall’e-sterno sul sistema ed è quello più controverso e oscuro dellateoria dal punto di vistainterpretativo; a causa dell’irreversibilità (ovvero della non invertibilità), questo tipo dievoluzione non può essere descritta da un operatore unitario perché un operatore unita-rio è invece invertibile. Tale evoluzione, pertanto, non haanalogo nella fisica classica. Ilsecondo tipo di evoluzione è quello che potremmo chiamaredeterministicoe che si haquando il sistema varia nel tempo per effetto della dinamicaa cui è sottoposto il sistemastesso, senza che ci sia un’osservazione o una misura dall’esterno. Tale evoluzione, chepotremmo chiamare ancheevoluzione naturale, è quella che il sistema subisce quandoè lasciato a se stesso ed evolve solo per effetto delle sole forze agenti su di esso, senzache vi sia intervento sul sistema dall’esterno.

Questo secondo tipo di evoluzione è analogo a quello che si hanella fisica classicain cui si ha soltanto un tipo di evoluzione che è appunto quello lungo le leggi del moto.

49

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50 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI

3.1 L’equazione di Schrödinger e propagatore quanti-stico

Per determinare completamente l’evoluzione temporale delsistema assegnato, quan-do essa è di questo secondo tipo deterministico (o naturale), ricorriamo di nuovo allacorrispondenza della meccanica quantistica con il formalismo canonico hamiltoniano.Ricordiamo in particolare le equazioni di Hamilton della meccanica analitica e il ruolocruciale che l’hamiltoniana svolge per l’evoluzione temporale di un’osservabilef(p, q):

q = qi, H =∂H

∂pi

p = pi, H = − ∂H

∂qie

f(p, q) = f(p, q) , H (3.1)

Quantisticamente avremo che uno stato|ψ〉 evolve in uno stato|ψ, t〉 e che l’equa-zione differenziale della dinamica dello stato dovrà essere del primo ordine rispetto altempot perché si ha a disposizione una sola condizione iniziale, che è lo stato inizialedel sistema, e non anche la sua derivata.

Inoltre l’equazione differenziale dovrà essere lineare perché sia valido il principiodi sovrapposizione e allora postuliamo che essa sia del tipo

id

dt|ψ, t〉 = A(t) |ψ, t〉 (3.2)

doveA è un operatore da determinare in base a proprietà fisiche e la derivata è intesasolo rispetto al tempo perché il tempo è ancora, a questo livello, l’unica variabile da cuidipende lo stato.

Imponiamo che se vale〈ψ, t0|ψ, t0〉 = 1, allora valga anche per ogni istante di tempol’uguaglianza〈ψ, t|ψ, t〉 = 1, ovvero〈ψ, t0|ψ, t0〉 = 〈ψ, t|ψ, t〉 = 1.

Se chiamiamoT (t0, t) l’operatore di evoluzione temporale applicato allo stato ini-ziale tale che si abbia|ψ, t〉 = T (t0, t) |ψ, t0〉, imponiamo cheT (t0, t) sia invertibile inmodo che, come in meccanica classica, si possa risalire allostato iniziale|ψ, t0〉 dallasua evoluzione in|ψ, t〉.

Imponendo che un ket sia normalizzato in ogni istantet, otteniamo l’uguaglianza

〈ψ, t0|ψ, t0〉 = 〈ψ, t|ψ, t〉 = 〈ψ, t0|T+(t0, t)T (t0, t)|ψ, t0〉da cui si deduce che valeT+(t0, t)T (t0, t) = 1, cioè che l’operatoreT (t0, t) è unitarioe quindi invertibile perchédetT = 1. Sostituendo|ψ, t〉 = T (t0, t) |ψ, t0〉 nella(3.2),si ottiene

id

dtT (t0, t) |ψ, t0〉 = A(t)T (t0, t) |ψ, t0〉

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3.1. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER E PROPAGATORE QUANTISTICO 51

da cui segue l’equazione fra operatori

A = i

(

dT

dt

)

T+

avendo omesso la scrittura dei ket su cui essi agiscono e avendo moltiplicato ambo imembri perT+ da destra. PoichéT è unitario, si ha

(

dT

dt

)

T+ + T

(

dT+

dt

)

= 0

e quindi

T

(

dT+

dt

)

= −(

dT

dt

)

T+

da cui segue

A+ = −i T(

dT+

dt

)

= −i[

−(

dT

dt

)

T+

]

= i

(

dT

dt

)

T+ = A

cioè cheA deve essere un operatore hermitiano.Per determinare l’espressione diA ricorriamo al limite classico. Poiché|ψ(x, t)|2

rappresenta la densità di probabilità che la particella sianella posizionex all’istantete classicamente invece una particella è sempre esattamentelocalizzata in un puntox,allora lo stato quantistico deve avere una dispersione che sia tanto più “piccola” quantopiù sia piccolah. E poiché quanto più “piccola” è la dispersione di una misura, tanto“più vicino” al valor medio è il risultato della misura stessa, avremo che il “punto dicontatto” e la corrispondenza fra limite della meccanica quantistica e meccanica clas-sica si realizza imponendo che i valori medi quantistici evolvano secondo le equazioniclassiche.

In altre parole, un sistema quantistico diventa classico quando diventano “piccole”le dispersioni dellap e dellaq. Quindi indicando conF (p, q) l’operatore associatoall’osservabile classicaf(p, q), abbiamo che se tali dispersioni sono “piccole”, allora ilvalor medio〈ψ, t|F (p, q)|ψ, t〉 è circa il valore dellaf(p, q) calcolato sui valori medidellap e dellaq.

In conseguenza di queste considerazioni, dobbiamo imporreallora che in media glioperatori quantistici obbediscano alle leggi classiche, ovvero che valga

f(p, q) =d

dt(〈ψ, t|F |ψ, t〉)

da cui, sviluppando la derivata temporale e utilizzando l’equazione(3.2) con la suaconiugata, si ottiene

f(p, q) =d〈ψ, t|dt

F |ψ, t〉 + 〈ψ, t|F d|ψ, t〉dt

=

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52 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI

= i 〈ψ, t|AF |ψ, t〉+ 〈ψ, t|F (−i)A|ψ, t〉 = −i 〈ψ, t|[F,A]|ψ, t〉 =

= h〈ψ, t|F,A|ψ, t〉 = 〈ψ, t|F, hA|ψ, t〉dove alla fine è stata utilizzata la relazione di corrispondenza espressa dalla regola diquantizzazione(2.13).

Affinché dunque l’equazione quantistica del moto che abbiamo ottenuto

f(p, q) = 〈ψ, t|F, hA|ψ, t〉 (3.3)

tenda in media all’equazione classica data dalla(3.1), nella relazione(3.3) dobbiamoidentificarehA = H, equivalente a

A =H

h

da cui, sostituendo nella(3.2), discende in conclusione l’equazione di Schrödinger

ihd

dt|ψ, t〉 = H |ψ, t〉 (3.4)

Dall’equazione(3.3) ricaviamo che quando un’osservabile classicaf(p, q) è un in-tegrale primo (o costante del moto), cioè valef(p, q) = f,H = 0, allora l’operatorequantisticoF , corrispondente adf , commuta conH in quanto[F,H ] = ihf,H = 0.

In questo caso, allora, dalla relazione

d

dt〈ψ, t|F |ψ, t〉 = 〈ψ, t|[F,H ]|ψ, t〉 = 0

segue che ad un integrale primof(p, q) classico, costante sulle traiettorie del moto clas-sico, corrisponde un operatore quantistico il cui valor medio, calcolato sull’evoluzionetemporale indotta dall’equazione di Schrödinger, non dipende dal tempo perché la suaderivata temporale totale è nulla.

Se l’operatore hamiltonianoH non dipende esplicitamente dal tempo, allora, indi-cati con|En〉 i suoi autostati anch’essi indipendenti dal tempo, abbiamoche gli |En〉formano una base completa ortonormale normalizzata con unaδ di Kronecker nel ca-so discreto, o con unaδ di Dirac nel caso continuo. L’equazione secolare dell’ope-ratore hamiltoniano,H|En〉 = En |En〉, prende il nome diequazione di Schrödingerindipendente dal tempo.

Proiettando l’equazione di Schrödinger(3.4) sulla base degli|En〉, si ottiene

ihd

dt〈En|ψ, t〉 = En 〈En|ψ, t〉 (3.5)

avendo utilizzato l’uguaglianza〈En|H|ψ, t〉 = En 〈En|ψ, t〉. La soluzione dell’equa-zione differenziale ordinaria(3.5) è data dall’espressione

〈En|ψ, t〉 = 〈En|ψ, t0〉 e−iEnh

(t−t0)

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3.1. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER E PROPAGATORE QUANTISTICO 53

attraverso la quale possiamo ricostruire lo stato al tempot

|ψ, t〉 =∑

n

|En〉〈En|ψ, t〉 =∑

n

〈En|ψ, t0〉 e−iEnh

(t−t0) |En〉 =

=∑

n

〈En|ψ, t0〉 e−iHh

(t−t0) |En〉 = e−iHh

(t−t0)∑

n

|En〉〈En|ψ, t0〉 =

= e−iHh

(t−t0) |ψ, t0〉Uguagliando il primo e l’ultimo membro di questa sequenza diuguaglianze, abbia-

mo la relazione|ψ, t〉 = e−i

Hh

(t−t0) |ψ, t0〉 (3.6)

in cui possiamo interpretare l’operatore esponenziale come l’operatore di evoluzionetemporale introdotto in precedenza

T (t0, t) = e−iHh

(t−t0)

Sviluppando tale operatore di evoluzione temporaleT (t0, t) in serie di Taylor

T = e−iHh

(t−t0) =+∞∑

n

1

n![−i(t − t0)]

nHn

si ottiene, sfruttando l’hermitianità diH,

T+ =[

e−iHh

(t−t0)]+

=+∞∑

n

1

n![i(t− t0)]

nHn = eiHh

(t−t0)

da cui segueT+T = 1 perché gli esponenti negli operatoriT e T+ commutano e ingenerale si ha appunto che la relazioneeA eB = eA+B è valida solo per coppieA eB dioperatori che commutano.

Gli autostati dell’energiaH si chiamanostati stazionariperché se abbiamo comestato iniziale|ψ, 0〉 di un sistema proprio un autostato|En〉 di H, cioè |ψ, 0〉 = |En〉,allora segue che lo stato del sistema al tempot è dato da

|ψ, t〉 = e−iHht |ψ, 0〉 = e−i

Hht |En〉 = e−i

Enht |En〉

ovvero l’evoluzione naturale del sistema secondo l’equazione di Schrödinger (senzaosservazione esterna) lascia un autostato diH ancora autostato diH, moltiplicato perun fattore di fase.

Invece se lo stato iniziale del sistema non è un autostato diH, ma una combinazionelineare di almeno due autostati diH, allora dallo sviluppo|ψ, 0〉 =

n cn|En〉, segue

|ψ, t〉 = e−iHht |ψ, 0〉 =

n

cne−iEn

ht |En〉

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54 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI

ovvero per effetto dell’evoluzione temporale naturale unostato iniziale che non siaautostato diH non sarà mai in nessun istante di tempo successivo un autostato diH.

Dimostriamo quindi che il valor medio su un generico stato|ψ〉 di una qualsiasiosservabileA che commuti con l’hamiltonianaH, è indipendente dal tempo. Si hainfatti

〈ψ, t|A|ψ, t〉 = 〈ψ, 0|eiHh tAe−iHh t|ψ, 0〉 = 〈ψ, 0|AeiHh t e−iHh t|ψ, 0〉 = 〈ψ, 0|A|ψ, 0〉

ovvero il valor medio diA su un generico stato|ψ〉 in qualsiasi istante di tempotcoincide con il valor medio diA su|ψ〉 all’istante iniziale.

SeH = H(t) dipende dal tempo, allora la soluzione dell’equazione operatoriale diSchrödinger introdotta precedentemente

ihdT

dt= HT

non può essere scritta, in analogia con l’equazione scalare, nella forma

T = T (t0) e−ih

∫ t

t0H(t′)dt′

perché il metodo della separazione delle variabili non è piùvalido quando gli esponentiin operatori esponenziali non commutano.

Se proiettiamo ora l’equazione di Schrödinger nella base degli autostati della posi-zione, il primo membro della(3.4) diventa

ihd

dt〈x|ψ, t〉 = ih

d

dtψ(x, t)

che riscriviamo nella forma

ih∂

∂tψ(x, t)

con il simbolo di derivata parziale perché nella notazione delle funzioni d’onda laψ(x, t)è funzione di due variabili e la derivata è solo rispetto al tempo.

Analogamente il secondo membro dell’equazione(3.4) diventa

〈x|(

p2

2m+ V (x)

)

|ψ, t〉 =1

2m(−ih)2 ∂

∂x

∂x〈x|ψ, t〉 + V (x) 〈x|ψ, t〉 =

=−h2

2m

∂2

∂x2ψ(x, t) + V (x)ψ(x, t)

Uguagliando primo e secondo membro, otteniamo la proiezione dell’equazione diSchrödinger nella base degli autostati della posizione, che prende il nome diequazionedi Schrödinger dipendente dal tempoavente la forma

ih∂

∂tψ(x, t) =

−h2

2m

∂2

∂x2ψ(x, t) + V (x)ψ(x, t)

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3.1. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER E PROPAGATORE QUANTISTICO 55

Si riconosce immediatamente che, a parte il fattore unità immaginaria, l’equazionedi Schrödinger dipendente dal tempo ha la stessa struttura dell’equazione parabolica delcalore.

Poiché i sistemi in cui l’energia è conservata godono della proprietà di essere in-varianti per traslazioni temporali, allora, per semplicità e senza perdita di generalità,poniamo il tempo inizialet0 uguale a zero.

Se proiettiamo l’equazione(3.6) sulla base degli autostati della posizione, otteniamola relazione

〈x|ψ, t〉 = 〈x|e−iHh t|ψ, 0〉 =∫

dy 〈x|e−iHh t|y〉〈y|ψ, 0〉

che equivale alla relazione

ψ(x, t) =∫

〈x|e−iHh t|y〉ψ0(y) dy

L’espressione

K(x, y; t) := 〈x|e−iHh t|y〉prende il nome dipropagatoreo nucleo di propagazionedi Feynman. Il significatodel propagatore è quello per cui il quadrato del suo modulo rappresenta la probabilitàche la particella localizzata nella posizioney nell’istantet = 0 sia localizzata nellaposizionex nell’istantet perché il propagatore rappresenta la proiezione su〈x| dellostatoT (0, t) |y〉.

In termini di propagatore, la funzione d’onda al tempot si ottiene dunque eseguendol’integrale

ψ(x, t) =∫

K(x, y; t)ψ0(y) dy (3.7)

Pert = 0 si ha ovviamenteK(x, y; 0) = 〈x|y〉 = δ(x− y).

3.1.1 Evoluzione temporale e misura di due osservabili

Quando due operatoriA eB commutano, allora hanno gli stessi autovettori, cioè

A |λ, µ〉 = λ |λ, µ〉 e B |λ, µ〉 = µ |λ, µ〉

e abbiamo le decomposizioni spettrali

A =∑

λ

λP(A)λ e B =

µ

µP(B)µ

conP(A)λ =

µ

|λ, µ〉〈λ, µ| e P(B)µ =

λ

|λ, µ〉〈λ, µ|

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56 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI

A questo punto eseguire simultaneamente la misura diA e diB significa far agire iproiettoriP(B)

µ eP(A)λ uno dopo l’altro sullo stato|ψ〉, ovvero

P(B)µ P(A)

λ |ψ〉

perché seA e B commutano, il prodotto dei due proiettoriP(A) e P(B) è ancora unoperatore hermitiano di proiezione, come si vede eseguendo

(P(A)P(B))+ = P(B)P(A) = P(A)P(B)

Affinché la misura della seconda osservabileB abbia senso, è importante che l’a-zione del secondo proiettoreP(B)

µ , compatibile appunto conP(A)λ , abbia luogo prima

che l’evoluzione temporale naturale (indotta dall’equazione di Schrödinger) possamo-dificare sostanzialmenteil risultatoP(A)

λ |ψ〉 ottenuto con la misura dell’osservabileA,ovvero con l’azione del primo proiettoreP(A)

λ .Se ad esempio misuriamo in una dimensione la posizionex (analogo discorso vale

anche per l’impulsop), avremo che i rivelatori della posizione non daranno risultatomigliore dell’appartenenza della particella ad un certointervallinodi ampiezza∆.

Quindi non si misurerà mai la posizione esatta

x =∫

x |x〉〈x| dx

data da un numero reale con infinite cifre decimali periodiche o addirittura non periodi-che, ma piuttosto si misurerà l’operatore discretoxdisc definito come

xdisc =∑

i

xi

∫ xi+∆2

xi−∆2

|x〉〈x| dx =∑

i

xi P(x)i

con∆ pari all’ampiezza di ciascun intervallino exi pari al valore che l’i-esimo rivelatorefornisce relativamente all’i-esimo intervallino discreto.

Una misura classica è quella in cui l’incertezza di misura risulta maggiore dell’am-piezza∆ degli intervallini, ovvero

(∆x)class ≫√

〈ψ|(x− 〈x〉)2|ψ〉

Se abbiamo un pacchetto d’onde con supporto tutto all’interno di un unico interval-lino I, allora vale

P(x)i |ψ〉 =

∫ xi+∆2

xi−∆2

|x〉〈x|ψ〉 dx = |ψ〉

perché l’operatoreP(x)i coincide con l’identità se v’è certezza che la particella stia

nell’intervallinoI.

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3.2. RAPPRESENTAZIONE DI HEISENBERG 57

Quindi se gli strumenti di misura nonrisolvonoal di sotto del valore∆, una misuraclassica non perturba lo stato|ψ〉 su cui avviene la misura stessa e si può ripetere lamisura senza avere repliche del sistema in quanto lo stato|ψ〉, attraverso la proiezionedata daP(x)

i |ψ〉 = |ψ〉, precipita in se stesso.Se invece una misura diventa tale che sivedadentro l’intervallino di ampiezza∆,

allora si comincia a rivelare l’incertezza quantistica.

3.2 Rappresentazione di Heisenberg

In meccanica classica il fatto che un’osservabile non dipenda esplicitamente dal temposignifica che la sua dipendenza dal tempo è dovuta alla dipendenza dal tempo delleosservabili fondamentali che sono la posizioneq e l’impulsop.

Se si ha ad esempio una funzionef(q, p) che non dipende esplicitamente dal tempo,essa dipende dal tempo attraverso le funzioniq = q(t) ep = p(t).

Consideriamo anche in mecanica quantistica un operatoreO non dipendente espli-citamente dal tempo e la trasformazione unitaria

U = eiHht

Trasformando i vettori e gli operatori mediante trasformazioni unitarie con le usualiregole che sono

|α〉 → U |α〉 e A→ UAU+

si ha|ψ, t〉 → ei

Hht |ψ, t〉 = ei

Hht(

e−iHht |ψ, 0〉

)

= |ψ, 0〉

A→ A(t) = eiHhtAe−i

Hht

ovvero lo stato iniziale rimane invariato e gli operatori dipendono dal tempo.La derivata temporale diA(t) è

dA(t)

dt=i

hei

HhtHAe−i

Hht − i

hei

HhtAH e−i

Hht =

=i

hei

Hht [H,A] e−i

Hht =

i

h[H,A(t)] = A(t), H (3.8)

avendo utilizzato la relazione fra parentesi di Poisson classiche e operatori quantistici

[H,A(t)] = ih H,A(t)

L’equazione(3.8) prende il nome diequazione di Heisenberge lo schema nel qualegli stati sono indipendenti dal tempo mentre gli operatori dipendono dal tempo, vienedenominatoschema di Heisenberg.

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58 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI

Il calcolo di un’evoluzione temporale secondo l’equazionedi Schrödinger contieneespressioni intermedie non relativisticamente invarianti perché il tempo relativistico nonè una grandezza assoluta.

Eseguendo gli stessi calcoli nello schema di Heisenberg, siottengono sempre espres-sioni intermedie relativisticamente invarianti e per questo motivo lo schema di Heisen-berg è indispensabile in meccanica quantistica relativistica.

Il vantaggio di usare lo schema di Heisenberg risiede nel fatto che talvolta è possibilecalcolare l’evoluzione temporale del valor medio di un operatore anche nel caso in cuinon sia stata risolta l’equazione secolare dell’operatorehamiltoniano.

Consideriamo a tal proposito un sistema descritto dall’hamiltoniana

H =p2

2m− Fx

della quale non possiamo risolvere l’equazione secolare e supponiamo di voler calcolarel’evoluzione temporale dei valori medi〈x(t)〉 e 〈p(t)〉 su uno statoψ(x).

Applicando l’equazione(3.8) otteniamo

dx

dt=i

h[H, x] =

p

me

dp

dt=i

h[H, p] = F

da cui, considerandox ep come variabili e non come operatori, seguono per integrazio-ne le relazioni

x(H)(t) = x(t) = x0 +p0

mt+

F

2mt2 e p(H)(t) = p(t) = p0 + Ft

dove conx(H)(t) ep(H)(t) si intendono gli operatorix(t) ep(t) nello schema di Heisen-berg in cui, come detto, gli operatori dipendono dal tempo.

Considerando ora di nuovox e p come operatori e assegnando lo statoψ(x) su cuicalcolare i valori medi

ψ(x) =14√πe−x

2/2

otteniamo〈x(t)〉 = 〈ψ, t|x(S)|ψ, t〉 = 〈ψ, 0|x(H)(t)|ψ, 0〉 =

= 〈ψ, 0| x0 |ψ, 0〉 +⟨

ψ, 0

∣∣∣∣

p0

mt

∣∣∣∣ψ, 0

+⟨

ψ, 0

∣∣∣∣

F

2mt2∣∣∣∣ψ, 0

=F

2mt2

e〈p(t)〉 = 〈ψ, t|p(S)|ψ, t〉 = 〈ψ, 0|p(H)(t)|ψ, 0〉 =

= 〈ψ, 0| p0 |ψ, 0〉 + 〈ψ, 0|Ft |ψ, 0〉 = Ft

dove conx(S) ep(S) si intendono gli operatorix ep nello schema di Schrödinger in cuigli operatori non dipendono dal tempo.

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3.3. DENSITÀ DI CORRENTE DI PROBABILTÀ 59

Nel calcolo di tali valori medi si sono utilizzati gli integrali, peraltro deducibili daconsiderazioni sulla parità degli integrandi

〈ψ, 0| x |ψ, 0〉 =∫ +∞

−∞x e−x

2

dx = 0

e

〈ψ, 0| p |ψ, 0〉 =∫ +∞

−∞e−x

2/2 d

dxe−x

2/2dx = 0

3.3 Densità di corrente di probabiltà

Data l’equazione di Schrödinger dipendente dal tempo

ih∂

∂tψ(x, t) = − h2

2m∇2ψ(x, t) + V (x)ψ(x, t)

la soluzioneψ(x, t) è normalizzata comeψ(x, 0) perché si ha|ψ, t〉 = T (t0, t) |ψ〉 el’operatore di evoluzione temporaleT (t0, t) è unitario.

Dall’equazione di normalizzazione∫

R3ψ∗(x, t)ψ(x, t) d3x = 1

segue∂

∂t

R3ψ∗(x, t)ψ(x, t) d3x =

∂t

R3|ψ(x, t)|2 d3x = 0

Sviluppiamo ora, sostituendo il secondo membro dell’equazione di Schrödinger

∂|ψ|2∂t

=∂(ψ∗ψ)

∂t=∂ψ∗

∂tψ + ψ∗ ∂ψ

∂t=

= ψ∗[

− i

h

(

− h2

2m∇2ψ + V ψ

)]

+

[

i

h

(

− h2

2m∇2ψ∗ + V ψ∗

)]

ψ =

=ih

2m(ψ∗∇2ψ − ψ∇2ψ∗) =

ih

2m∇ · (ψ∗∇ψ − ψ∇ψ∗)

che può essere scritta nella forma

∂ρ

∂t= −∇ · J (3.9)

definendoρ := ψ∗ψ e J := ψ∇ψ∗ − ψ∗∇ψ .Dalla (3.9) segue

∂t

Ω⊂R3ρ(x, t) dV = −

Ω⊂R3∇ · J d3x = −

ΣΩ

J · n dσ

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60 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI

3.4 OperatoreDensità

Quando in termodinamica è data una situazione macroscopicadefinita dalle variabilipressione, volume, temperatura, non si conosce esattamente la configurazione microsco-pica corrispondente, ma soltanto la probabiltà che le molecole abbiano certe posizionie velocità. Si è già detto che per misurare un’osservabileA in meccanica quantisticaoccorrono infinite repliche del vettore di stato perché dopoogni misura c’è il collassodel sistema in un autostato diA e non avrebbe senso ripetere la misura senza una nuovareplica dello stesso stato.

Ora invece consideriamo un’incertezza nella preparazionedelle repliche: ammettia-mo cioè di aver preparato uno stato|ψi〉 con probabiltàpi tale che la somma di tutte leprobabilitàpj sia uguale a 1.

Il valor medio〈A〉 = 〈ψ|A|ψ〉 calcolato sullo stato|ψ〉 diventa allora

〈A〉 =N∑

i=1

pi 〈ψi|A|ψi〉

dove gli stati|ψi〉 sono considerati normalizzati, ma non necessariamente ortonormali.Lo stato|ψ〉 viene denominatostato puro, mentre i ket|ψi〉 formano quella che viene

denominatamiscela statistica. Definiamo alloramatrice densitàl’operatore, indicatoconρ, tale che

ρ =N∑

i=1

pi |ψi〉〈ψi| (3.10)

Se abbiamo uno stato puro, cioè un solo stato|ψ〉 con probabiltà 1, allora la matricedensità assume l’espressioneρ = |ψ〉〈ψ|.

Dopo aver definito latraccia di un operatoreA comeTr(A) =∑

n 〈n|A|n〉, dimo-striamo che essa è invariante per cambiamento di base: si ha infatti

Tr(A) =∑

n

〈n|A|n〉 =∑

n,α

〈n|A|α〉〈α|n〉 =∑

n,α

〈α|n〉〈n|A|α〉 =∑

α

〈α|A|α〉

In generale, data la non ortonormalità dei|ψi〉, è vero chePi = |ψi〉〈ψi| è unproiettore su|ψi〉, maPiPj non lo è perché〈ψi|ψi〉 6= 0.

Verifichiamo ora che valeTr(ρ) = 1: si ha infatti

Tr(ρ) =∑

n,i

pi 〈n|ψi〉〈ψi|n〉 =∑

n,i

pi 〈ψi|n〉〈n|ψi〉 =∑

n,i

pi〈ψi|ψi〉 = 1

dove gli|n〉 formano una base ortonormale e non è servita l’ortonormalità dei|ψi〉.Vogliamo ora collegare l’operatore densità al valor medio di un operatoreA: dimo-

striamo che vale〈A〉 = Tr(ρA). Si ha infatti

Tr(ρA) =∑

n

〈n|ρA|n〉 =∑

n,i

pi 〈n|ψi〉〈ψi|A|n〉 =

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3.4. OPERATOREDENSITÀ 61

=∑

n,i

pi 〈ψi|A|n〉〈n|ψi〉 =∑

i

pi 〈ψi|A|ψi〉 = 〈A〉 (3.11)

Dato un operatoreA con autovettori |λ〉, ricordiamo che il valor medio su unostato|ψ〉 dell’operatore di proiezione|λ〉〈λ| rappresenta la probabilità che effettuandola misura diA su |ψ〉 si ottengaλ come valore. Infatti con il formalismo della matricedensità possiamo considerare uno stato puro|ψ〉 e applicare la(3.11) all’operatore diproiezione|λ〉〈λ|: in tal modo otteniamo

Tr(ρ|λ〉〈λ|) =∑

n

〈n|ρ|λ〉〈λ|n〉 =∑

n

〈n|ψ〉〈ψ|λ〉〈λ|n〉 =

=∑

n

〈λ|n〉〈n|ψ〉〈ψ|λ〉 = 〈λ|ψ〉〈ψ|λ〉 = |〈λ|ψ〉|2

Ripetendo allora una misura diA sulle repliche di uno stato puro|ψ〉, si ha che levarie misure forniscono una miscela statistica|〈λ|ψ〉|2 e quindi, ricordando la(3.10),ricaviamo la matrice densità finale (cioè dopo le misure)ρfin data dallaregola

ρfin =∑

λ

|〈λ|ψ〉|2 |λ〉〈λ| =∑

λ

|λ〉〈λ|ψ〉〈ψ|λ〉〈λ| =∑

λ

Pλ ρin Pλ (3.12)

dovePλ rappresenta il proiettore sull’autoket|λ〉 di A e ρin indica la matrice densitàinizialeρin = |ψ〉〈ψ|.

Se invece si ha inizialmente una miscela statistica di stati, allora il valor mediodell’operatore di proiezione|λ〉〈λ| su l’autoket|λ〉 di A è dato da

〈A〉 =∑

n

〈n|ρ|λ〉〈λ|n〉 =∑

n

〈λ|n〉〈n|ρ|λ〉 =∑

i

pi 〈λ|ψi〉〈ψi|λ〉 =∑

i

pi |〈λ|ψi〉|2

Tale valor medio dipende congiuntamente dai due tipi di incertezza che sono l’in-certezza di tipo classico data dapi e l’incertezza di tipo quantistico data da|〈λ|ψi〉|2: ladispersione dovuta api è analoga a quella classica controllabile attraverso il migliora-mento della preparazione dei sistemi; le frequenze|〈λ|ψi〉|2 sono invece un’incertezzaintrinseca fondamentale.

Ripetendo la misura su una miscela statistica di stati, si ottiene un’altra miscelastatistica “ancora più strana” tale che la densità finale si ottiene ancora con una regolaanaloga alla(3.12).

3.4.1 Velocità di trasmissione dell’informazione

Se due osservatoriA eB debbono eseguire una misura rispettivamente delle osservabiliA eB (ovvero confondiamo l’osservatore con la grandezza da lui misurata) su un me-desimo stato|ψ〉, l’osservatoreB, che esegue la propria misura immediatamente dopol’osservatoreA, eseguirà la propria misura non più su|ψ〉, bensì sullo stato in cui|ψ〉 ècollassato per effetto della misura effettuata daA.

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62 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI

Questa circostanza costituisce un problema grave della teoria perché il collasso cheavviene istantaneamente dopo la misura diA verrebbe captato istantaneamente dall’os-servatoreB, anche se questi si trova a distanza di tipo spazio daA. D’altra parte, secon-do la teoria della relatività ristretta, un segnale non si può propagare dall’osservatoreAall’osservatoreB se questi sono separati da una distanza di tipo spazio.

Comunque, si può “recuperare” la coerenza con la relativitàristretta dimostrandoche l’osservatoreB non si “accorge” della misura effettuata daA, ovvero che all’osser-vatoreB non giunge “notizia” della misura diA. Dimostriamo cioè che, sebbene vi siaun collasso istantaneo dello stato|ψ〉 in un autostato diA subito dopo la misura diA,non vi è comunque trasmissione di informazione daA aB nel senso che il valor mediodell’osservabileB sullo stato|ψ〉 misurato dall’osservatoreB dopo cheA abbia esegui-to la propria misura, coincide con il valor medio dell’osservabileB che l’osservatoreBmisura prima che l’osservatoreA esegua la propria misura.

Riferendoci infatti ad uno stato puro|ψ〉, abbiamo che il valor medio diB su |ψ〉prima cheA abbia eseguito la propria misura è dato da〈B〉 = 〈ψ|B|ψ〉.

Dopo che l’osservatoreA ha eseguito la propria misura dell’osservabileA su|ψ〉, siha, dalla(3.12), la densità finale diA data da

ρ(A)fin =

λ

P(A)λ ρinP(A)

λ

A questo punto consideriamo i due osservatoriA eB separati da distanza di tipospazio da cui segue che il commutatore fra le osservabiliA eB è nullo, cioè[A,B] = 0.

Utilizzando tale regola di commutazione, otteniamo il valor medio della grandezzaB misurato dall’osservatoreB dopo che l’osservatoreA ha eseguito la propria misura

〈B〉 = Tr(

ρ(A)finB

)

= Tr

(∑

λ

P(A)λ |ψ〉〈ψ|P(A)

λ B

)

=∑

n,λ

〈n|P(A)λ |ψ〉〈ψ|P(A)

λ B|n〉 =

=∑

n,λ

〈ψ|P(A)λ B|n〉〈n|P(A)

λ |ψ〉 =∑

λ

〈ψ|P(A)λ B P(A)

λ |ψ〉 =

=∑

λ

〈ψ|P(A)λ P(A)

λ B|ψ〉 =∑

λ

〈ψ|P(A)λ B|ψ〉 = 〈ψ|B|ψ〉

dove sono state usate le relazioni

P(A)λ B P(A)

λ = P(A)λ P(A)

λ B

perché[A,B] = 0,P(A)λ P(A)

λ = P(A)λ

perchéP(A)λ è un proiettore e

λ

〈ψ|P(A)λ B|ψ〉 = 〈ψ|B|ψ〉

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3.5. PRODOTTO TENSORIALE DI SPAZI DI HILBERT 63

in virtú dell’equazione di completezza∑

λ P(A)λ = 1.

In tal modo possiamo allora concludere che, data l’uguaglianza dei valori medi mi-surati daB sullo stato|ψ〉 prima e dopo cheA esegua la propria misura sempre sullostato|ψ〉, è come seB non avesse “coscienza” della misura effettuata daA, ovvero è co-me se all’osservatoreB non fosse arrivata informazione cheA abbia eseguito la propriamisura.

3.5 Prodotto tensoriale di spazi di Hilbert

Se abbiamo due spazi di Hilbert che sono lo spazio dei ket|α〉 e lo spazio dei ket|β〉,possiamo costruire lospazio tensorialedegli elementi|αi〉|βj〉 prodotto tensorialedeidue ket. Un elemento|ψ〉 in tale spazio tensoriale è dato dalla combinazione lineare

|ψ〉 =∑

i,j

cij |αi〉|βj〉

Se un operatore lineareA agisce sullo spazio degli|α〉 e un operatore lineareBagisce sullo spazio dei|β〉, allora gli operatori lineariA eB, indicando conI1 eI2 glioperatori identità rispettivamente degli spazi degli|α〉 e dei|β〉, vengono riscritti nellaforma

A→ A⊗ I2 e B → I1 ⊗ B

in modo che essi agiscano sullo spazio tensoriale nel seguente modo

A∑

i,j

cij |αi〉|βj〉 =∑

i,j

cij (A |αi〉) |βj〉

B∑

i,j

cij |αi〉|βj〉 =∑

i,j

cij |αi〉 (B |βj〉)

Quindi gli operatoriA eB commutano automaticamente perché agiscono su spaziche non interferiscono nel prodotto tensoriale.

Se consideriamo due hamiltoniane

Hα =p2α

2mα+ Vα(xα) e Hβ =

p2β

2mβ+ Vβ(xβ)

avremo i commutatori

[pα , pβ] = [pα , xβ ] = [pβ , xα] = 0 e [xiα , pjα] = [xiβ , p

jβ] = ih δij

Dato uno stato|ψα〉|ψβ〉, il suo rappresentativo nella base dei prodotti tensoriali diautostati|x1〉|x2〉 diventa

(〈x1|〈x2|) (|ψα〉|ψβ〉) = 〈x1|ψα〉〈x2|ψβ〉

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64 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI

dove il prodotto scalare si esegueaccoppiandobra e ket corrispondenti dello stessospazio.

Lo stato più generale è allora

|Ψ〉 =∑

α,β

cαβ 〈x1|ψα〉〈x2|ψβ〉

Se abbiamo un’hamiltonianaH = H1 +H2 +H12, doveH12 può essere interpretatocome termine di interazione, allora vale sempre l’equazione di Schrödinger

ih∂

∂t|ψ〉 = H |ψ〉

dove|ψ〉 in questo caso è una combinazione lineare di prodotti tensoriali.Denominando la proiezione(〈x1|〈x2|) |ψ〉, l’equazione di Schrödinger assume la

forma

ih∂ ψ(x1,x2)

∂t= H ψ(x1,x2)

con

H = − h2

2m1∇2

1 −h2

2m2∇2

2 + V (x1,x2)

e lo stato iniziale(〈x1|〈x2|) |ψ, 0〉 = ψ1(x1)ψ2(x2).Anche se lo stato iniziale viene preparato in modo che abbia la forma fattorizza-

ta ψ1(x1)ψ2(x2), seH12 rappresenta un’interazione “non banale”, allora l’evoluzionetemporale dello statoψ1(x1)ψ2(x2) non èψ1(x1, t)ψ2(x2, t).

3.6 Interazione tra sistema fisico e apparato di misura

Consideriamo lo spazio di Hilbert ottenuto dal prodotto tensoriale|S〉|M〉, dove|S〉è l’insieme dei ket che rappresentano gli stati del sistema fisico in esame e|M〉 èl’insieme dei ket che rappresentano i valori rilevati dall’apparato di misura.

L’apparato di misura è tale da selezionare di volta in volta il valoreλi assunto dallagrandezza in questione. Se lo stato iniziale del sistema considerato è l’autostato|λi〉dell’osservabileA da misurare, allora l’evoluzione temporaleT (t) applicata al sistemafornirà risultato

T (tfin) |λi〉|M0〉 = |λi〉|Mi〉dove|Mi〉 indica che il risultato della misura è stato appunto l’autovaloreλi corrispon-dente all’autostato|λi〉 che è lo stato in cui è stata eseguita la misura dell’osservabileA.Osserviamo anche che l’operazione di misura non altera lo stato del sistema perché nelprodotto tensoriale rimane|λi〉.

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3.6. INTERAZIONE TRA SISTEMA FISICO E APPARATO DI MISURA 65

Se lo stato iniziale del sistema fosse una sovrapposizione∑

i ci |λi〉 di autostatidell’osservabileA, allora l’evoluzione temporaleT (t) darebbe risultato

T (tfin)∑

i

ci |λi〉|M0〉 =∑

i

ci T (tfin) |λi〉|M0〉 =∑

i

ci |λi〉|Mi〉

Questa relazione ci dice che ad un certo punto nel processo dimisura si deve ve-rificare uncollassodurante la sequenza: fotone che colpisce la retina, segnaliche sitrasmettono al cervello, ecc. (tale sequenza può essere resa infinitamente lunga).

Tale collasso può essere conseguenza dell’autocoscienza dell’osservatore oppurepotrebbe essere spiegato con un’interpretazione (dal punto di vista logico altrettantovalida) per cui l’universo viene descritto da una funzione d’onda costituita da infiniteramificazioni(universi paralleli) tali che noi viviamo contemporaneamente in tutte leramificazioni.

Tale visione è analoga alla descrizione del fenomeno dell’interferenza per cui unaparticella si trova nello stato sovrapposizione di due stati e passa contemporaneamenteattraverso due fenditure.

3.6.1 Difficoltà nell’osservazione della meccanica quantistica

Nel fenomeno dell’interferenza di particelle che passano attraverso due fenditureF1 eF2 si ha, come già detto, una figura di diffrazione profondamente diversa dalla figura chesi otterrebbe con la sovrapposizione delle due figure date dall’apertura di una soltantodelle due fenditure.

Tale figura di interferenza rimane la stessa anche se la particelle vengono inviateuna alla volta, cioè attendendo che ognuna sia giunta sulla lastra prima di inviare lasuccessiva.

Nel formalismo della meccanica quantistica abbiamo che ogni particella è descrittada una funzione d’onda che verifica l’equazione di Schrödinger e a cui si impongonole condizioni al bordo per cui, per esempio, essa valga zero sulla parte in cui non c’èpassaggio di particelle e assuma valoreψ1(x) eψ2(x) rispettivamente inF1 eF2.

Il significato delle condizioni al bordo è deriva dall’approssimazione secondo laquale laψ1(x) è la funzione d’onda che sostanzialmente si avrebbe se fossechiusa lafendituraF2 e laψ2(x) è la funzione d’onda che sostanzialmente si avrebbe se fossechiusa la fendituraF1.

La soluzione totale dell’equazione di Schrödinger dopo il passaggio attraverso ledue fenditure è la funzione d’onda

ψ(x) ∝ ψ1(x) + ψ2(x)

dove consideriamo normalizzate a 1 le funzioni d’ondaψ1(x) eψ2(x).

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66 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI

Affinché anche laψ(x) sia normalizzata a 1, deve valere∫

|ψ(x)|2 dx =∫

|ψ1(x) + ψ2(x)|2 dx =

=∫

|ψ1(x)|2 + |ψ2(x)|2 + 2Re [ψ∗1(x)ψ2(x)] dx = 1 + 1 = 2

perchéRe [ψ∗1(x)ψ2(x)] = 0 in quanto assumiamo laψ1(x) pari a zerolontanodaF1 e

la ψ2(x) pari a zerolontanodaF2.Quindi quando è diversa da zero laψ1(x), è zero laψ2(x) e viceversa, o sono en-

trambe zero. C’è dunque un guscio sferico (onda) emesso dalla sorgente che si separain corrispondenza delle due fenditure in due gusci indipendenti dati daψ1(x) e ψ2(x)coincidenti con quelli che si avrebbero in ciascuna fenditura se l’altra fenditura fossechiusa.

Quest’analogia con le onde è solo terminologica perché l’equazione di Schrödingernon è un’equazione delle onde come si ottiene invece dalle equazioni di Maxwell.

Se consideriamo come istante iniziale l’istante immediatamente successivo al pas-saggio attraverso le fenditure entrambe aperte, abbiamo lafunzione d’onda iniziale

|ψ, 0〉 =|ψ1, 0〉 + |ψ2, 0〉√

2

da cui, attraverso l’evoluzione temporale, si ricava il ketall’istante di tempotL in cui leparticelle arrivano sulla lastra

|ψ, tL〉 = e−iHhtL |ψ, 0〉 =

e−iHhtL |ψ1, 0〉 + e−i

HhtL |ψ2, 0〉√

2=

|ψ1, tL〉 + |ψ2, tL〉√2

ovvero la funzione d’onda

ψ(x, tL) =ψ1(x, tL) + ψ2(x, tL)√

2

A questo punto la densità di probabilità di avere la particella in un puntox al tempotL è data da

|ψ(x, tL)|2 =1

2|ψ1(x, tL)|2 + |ψ2(x, tL)|2 + 2Re [ψ∗

2(x, tL)ψ1(x, tL)]

e l’integrale dell’addendo di interferenza è∫

ψ∗2(x, tL)ψ1(x, tL) dx = 〈ψ2, tL|ψ1, tL〉 = 〈ψ2|ei

HhtL e−i

HhtL |ψ1〉 = 〈ψ2|ψ1〉 = 0

Quindi l’unitarietà dell’operatore di evoluzione temporale rende l’integrale dell’ad-dendo di interferenza al tempotL uguale al prodotto〈ψ2|ψ1〉 che è nullo perchéψ1 eψ2

sono, al passaggio attraverso le fenditure, diverse da zeroin regioni diverse.

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3.6. INTERAZIONE TRA SISTEMA FISICO E APPARATO DI MISURA 67

L’interferenza ha dunque integrale nullo per ogni istante di tempo perché si deveconservare il numero di particelle, ovvero l’intensità delfascio di particelle emesso; malocalmente il termine di interferenza è una combinazionecomplicatadelle due funzionid’ondaψ1(x, t) eψ2(x, t) che sulla lastra (pert = tL) si sono diffuse e sono diverse dazero anchelontanodalle fenditureF1 eF2.

Se consideriamo adesso l’inserzione di un apparato di misura al fine di stabilire sela particella è passata attraverso la fendituraF1 o la fendituraF2, si ha lo stato|ψ〉|M0〉alla sorgente e gli stati|ψ1〉|M1〉 se la particella è passata attraversoF1 e |ψ2〉|M2〉 se laparticella è passata attraversoF2.

In realtà, chiamato∆ l’intervallo di tempopiccolissimofra la fenditura e lo stru-mento che rileva il passaggio, abbiamo che esattamente sulle fenditure gli stati inizialisono rispettivamente|ψ1, 0〉|M0〉 e |ψ2, 0〉|M0〉 da cui seguono le evoluzioni temporali

T (∆) |ψ1, 0〉|M0〉 = |ψ1,∆〉|M1〉 e T (∆) |ψ2, 0〉|M0〉 = |ψ2,∆〉|M2〉

a seconda che all’istante∆ la particella giunga allo strumento posto rispettivamentesulla fendituraF1 o F2.

All’istante tL in cui la particella giunge sulla lastra, avremo allora

|ψ, tL〉 = T (tL − ∆)T (∆) |ψ, 0〉 = T (tL − ∆)T (∆)

[

|ψ1, 0〉|M0〉 + |ψ2, 0〉|M0〉√2

]

=

=|ψ1, tL〉|M1〉 + |ψ2, tL〉|M2〉√

2

e la densità di probabiltà di trovare allora sullo schermo laparticella nella posizionex èdata da

P (x) =1

2[ 〈ψ1, tL|〈M1| + 〈ψ2, tL|〈M2| ] |x〉〈x| [ |ψ1, tL〉|M1〉 + |ψ2, tL〉|M2〉 ] =

=1

2〈ψ1, tL| |x〉〈x| |ψ1, tL〉 + 〈ψ2, tL| |x〉〈x| |ψ2, tL〉+

+〈ψ1, tL| |x〉〈x| |ψ2, tL〉〈M1|M2〉 + 〈ψ2, tL| |x〉〈x| |ψ1, tL〉〈M2|M1〉Il prodotto scalare〈M1|M2〉 rappresenta la probabiltà che un atomo della lancetta

dello strumento di misura puntata sul valore 1 della misura si trovi anche sulla lancettapuntata sul valore 2.

Tale probabiltà è praticamente zero e inoltre va moltiplicata per il numero di Avoga-dro di atomi: dunque nel momento in cui si effettuano le proiezioni sui ket|x〉 avvieneil collasso in conseguenza del quale la densità di probabilità di trovare sullo schermo laparticella nella posizionex è data da

P (x) =|ψ1(x, tL)|2 + |ψ2(x, tL)|2

2

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68 CAPITOLO 3. EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI

ovvero è data dalla somma delle probabilità che la particella passi solo attraversoF1 esolo attraversoF2.

Quindi l’interazione del sistema con uno strumento di misura che stabilisca attra-verso quale delle due fenditure passi la particella, distrugge l’interferenza e fornisce ilrisultato classico. Il collasso avviene allora sulla lastra finale a causa dell’applicazionedel proiettore|x〉〈x|, ma ha conseguenze diverse a seconda che si esegua o non si eseguauna misura macroscopica.

Il collasso è dunque un postulato aggiuntivo della meccanica quantistica indottodal principio della misura ripetuta, ma esso non è deducibile dagli altri principi dellameccanica quantistica.

L’interferenza è un fenomeno molto delicato correlato al grado di isolamento delsistema fisico con il resto del mondo: infatti, come abbiamo visto, nella densità diprobabilità compaiono i prodotti scalari〈M1|M2〉 e 〈M2|M1〉 che rappresentano lesovrapposizioni dei vari stati dell’apparato di misura.

La meccanica quantistica non spiega il collasso del sistemain un autostato (cioè la ri-duzione del pacchetto d’onda), ma se si ammette questo fenomeno, allora il formalismospiega perché l’interazione del sistema con l’apparato di misura distrugge l’interferenza.

Questa interferenza è tanto minore quanto maggiore è l’interazione delle particellecon il resto dell’ambiente: se si usano delle pallinegrandie in qualche modo distingui-bili, il loro passaggio è rivelato macroscopicamente e allora i due prodotti scalari datida〈M1|M2〉 e 〈M2|M1〉 eliminano l’interferenza.

Se lo strumento di misura rimanesse spento (o non vi fosse), ovvero se

T (∆) |ψ1, 0〉|M0〉 = |ψ1,∆〉|M0〉 e T (∆) |ψ2, 0〉|M0〉 = |ψ2,∆〉|M0〉

allora in effetti l’interferenza si manifesterebbe perchél’addendo aggiuntivo di interfe-renza nella densità di probabilità conterrebbe solo i prodotti scalari〈M0|M0〉 = 1.

Se lo strumento stesse soltanto su una fenditura (per esempio suF1), allora si avreb-be

T (∆) |ψ1, 0〉|M0〉 = |ψ1,∆〉|M1〉 e T (∆) |ψ2, 0〉|M0〉 = |ψ2,∆〉|M0〉

e il prodotto scalare〈M1|M0〉 = 0 fa scomparire l’interferenza.Possiamo dire quindi che quando si sa con certezza (ovvero quando non v’è dubbio)

attraverso quale fenditura è passata una particella, allora l’interferenza scompare.L’interferenza c’è pertanto solo se non si eseguono misure,ovvero se non vi è osser-

vazione: in altre parole, se nessun osservatore assiste ad essa, l’interferenza avviene; seinvecequalcunoprova ad osservarla, allora tale osservazione la distrugge. Interferenzae osservazione della medesima sono dunque due aspetti che siescludono reciprocamen-te ed è per questo che nelle osservazioni macroscopichequotidianenon si può rilevarela meccanica quantistica.

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Capitolo 4

Soluzioni dell’equazione diSchrödinger

Quello che vogliamo ora fare è risolvere l’equazione di Schrödinger indipendente daltempo unidimensionale in presenza di alcuni tipi di potenziale. Dopo aver trattato il casodella particella libera e della particella soggetta al potenziale armonico, discuteremoin generale le proprietà delle soluzioni dell’equazione diSchrödinger indipendente daltempo nel caso di particella in dimensione 1.

Applicheremo dunque quest’analisi qualitativa al caso di particella soggetta ad unabuca di potenziale e a potenziali infiniti che la vincolano suun segmento.

4.1 Equazione di Schrödinger per la particella libera

Nel caso in cui si abbia una particella libera, ovveroV (x) = 0, l’hamiltoniana assumela forma

H =p2

2m=

−h2

2m

d2

dx2

la cui equazione secolare è

−h2

2m

d2

dx2ψ(x) = Ep ψ(x)

dove si è scritto il simbolo di derivata totale perché nell’equazione di Schrödingerindipendente dal tempo, lax è l’unica variabile da cui dipende la funzione d’onda.

In realtà per determinare gli autostati diH nel caso di particella libera, non risolvia-mo direttamente la sua equazione secolare, ma utilizziamo il fatto che perV (x) = 0 siha[H, p] = 0 e ricorriamo dunque al teorema per cui gli autostati diH sono simultanea-mente anche quelli già trovati per l’operatore impulsop. Si verifica comunque in modo

69

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70 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER

facile e immediato anche direttamente che vale

H

(

1√2πh

eiphx

)

=−h2

2m

d2

dx2

(

1√2πh

eiphx

)

=p2

2m

(

1√2πh

eiphx

)

da cui si vede che gli autostati diH sono gli stessi autostati dell’impulso relativi agliautovalori

Ep =p2

2m

Il vantaggio di prendere come autostati diH gli autostati dell’impulso risiede nelfatto che in questo modo si rimuove la degenerazione degli autovalori dell’energia adognuno dei quali corrispondono due autostati linearmente indipendenti aventi impulsiopposti.

Poiché gli autovalori dell’impulso sono non degeneri, cioèad ogni autovalorepdell’operatore impulso corrisponde un solo autostato, allora prendere come autostatidell’operatoreH gli autostati dip significa scegliere un autostato diH con un benpreciso impulso tra i due autostati aventi impulso+p e −p entrambi corrispondentiall’autovalore degenerep2 dell’operatore hamiltonianoH.

Dato lo stato iniziale della particella libera,ψ(x, 0) = ψ0(x), abbiamo le due rela-zioni

ψ0(x) =∫ +∞

−∞φ0(p)

eip

hx

√2πh

dp (4.1)

e

φ0(p) =∫ +∞

−∞ψ0(x)

e−iphx

√2πh

dx (4.2)

Applicando l’operatore di evoluzione temporale allo statoinizialeψ0(x), si ottienelo stato della particella libera al tempot dato dalla relazione

ψ(x, t) = e−iHh

(t−t0)∫ +∞

−∞φ0(p)

eiphx

√2πh

dp =∫ +∞

−∞φ0(p)

eiphx

√2πh

e−ih

p2

2mt dp

la quale, con la sostituzione della(4.2) perφ0(p), diventa

ψ(x, t) =∫ +∞

−∞φ0(p)

eiphx

√2πh

e−ih

p2

2mt dp =

1

2πh

∫ +∞

−∞ψ0(y) e

i ph(x−y)− i

hp2

2mt dp dy =

=∫ +∞

−∞ψ0(y)

[1

2πh

∫ +∞

−∞eip

h(x−y)− i

h

p2

2mt dp

]

dy

da cui, per confronto con la(3.7), si ricava il propagatore per la particella libera

K(x, y; t) =1

2πh

∫ +∞

−∞eip

h(x−y)− i

h

p2

2mt dp

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4.2. ANALISI QUALITATIVA DELLE SOLUZIONI 71

Utilizzando di nuovo l’idenità(2.33) e i noti integrali di Fresnel

∫ +∞

−∞cos(ax2) dx =

∫ +∞

−∞sin(ax2) dx =

√π

2a

possiamo ottenere l’espressione esplicita del propagatore per la particella libera

K(x, y; t) =1

2πheim(x−y)2

2ht

∫ +∞

−∞e

−it2mh [p−

m(x−y)t ]

2

dp =1

2πheim(x−y)2

2ht

∫ +∞

−∞e

−it2mh

p2 dp =

=1

2πheim(x−y)2

2ht

∫ +∞

−∞

[

cos(

t

2mhp2)

− i sin(

t

2mhp2)]

dp =

=eim(x−y)2

2ht

2πh

2πhm

t

(

1√2− i√

2

)

e lo stato evoluto nel tempo

ψ(x, t) =

√m

2πht

(

1√2− i√

2

)∫ +∞

−∞ψ0(y) e

im(x−y)2

2ht dy

4.2 Analisi qualitativa delle soluzioni

Dal momento che i sistemi fisici reali sono sempresituati in tre dimensioni e quindinon possono essere descritti attraverso le soluzioni di equazioni di Schrödinger unidi-mensionali, tuttavia lo studio delle equazioni di Schrödinger unidimensionali riveste pursempre un certo interesse per varie ragioni.

In primo luogo dalle equazioni di Schrödinger unidimensionali si possono ricavareinformazioni qualitative che restano valide anche in tre dimensioni (ove non si potreb-bero ottenere oppure si otterrebbero con calcoli molto più complicati); in secondo luogosi ha che la soluzione di un problema tridimensionale in alcuni casi si può ricondurrealla soluzione di uno o più problemi unidimensionali, in analogia con quanto accade inmeccanica classica quando i gradi di libertà sono separati.

Data l’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo scritta nella forma

u′′(x) +2m

h2 [E − V (x)] u(x) = 0 (4.3)

se i coefficienti sono reali, allora non c’è perdita di generalità a considerare le soluzionireali. Le condizioni al contorno si dànno di volta in volta a seconda dei casi: se si vuoleche la funzione d’onda sia normalizzabile, ovvero che la particella stia in quello cheviene denominatostato legato, allora si deve avere

limx→±∞

u(x) = 0 (4.4)

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72 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER

Si osserva subito che con le condizioni(4.4) l’equazione(4.3) possiede sempre lasoluzione banaleu(x) = 0 che in generale sarà anche l’unica soluzione.

Poichéu(x) = 0 non è un’autofunzione, dovremo cercare allora dei particolari va-lori di E (che sono gli autovalori) per i quali si potranno avere soluzioni della(4.3) chesiano normalizzabili e non identicamente nulle.

Tali particolari valori diE costituiscono uno spettro discreto e rappresentano allorale energie degli stati legati che risultano quindi essere quantizzate.

Considerando fissato il valore diE, analizzeremo soltanto il caso di potenzialiV (x)tali che l’equazioneE−V (x) = 0 abbia un numero finito di soluzioni, trascurando cioèil caso dei potenziali periodici.

Per fissare le idee e comunque, come ci si può facilmente render conto, senza perditadi generalità, consideriamo il caso in cui l’equazioneE − V (x) = 0 abbia, per alcunivalori diE, soltanto due soluzioni denominatex1 ex2.

Consideriamo dunque un potenziale il cui grafico sia quello riportato nella seguentefigura 4.1, ovveroV (x) = 0 perx /∈ [xm , xM ] e V (x) uguale ad una funzione aventeper grafico la curvaC perx ∈ [xm , xM ]

V (x)

x

Oxm xM

Vmin

E < Vmin

Vmin

< E < 0

x1 x2

E < Vmin

Vmin

< E < 0

C

fig. 4.1

Affinché la funzione d’onda sia normalizzabile è necessarioche valgano le condi-zioni (4.4) e affinché possano valere tali condizioni deve verificarsi larelazione di di-suguaglianzaE < V (x) perx → ±∞. Se infatti in una delle due semirette asintotiche(verso−∞ o +∞) si avesseE > V (x), allora la particella avrebbe anche classicamentela possibilità diandare all’infinito, ovvero avrebbe una probabilità non trascurabile ditrovarsi a distanza grande quanto si vuole e non potrebbe essere quindi rappresentatada una funzione d’onda normalizzabile. Matematicamente, indicando conV∞ il limiteasintotico del potenziale all’infinito, si vede che se fosseE > V∞, allora la(4.3) avreb-be come soluzione perx → ±∞ una combinazione di seni e coseni che non possonodar luogo, all’infinito, ad una funzione d’onda rinormalizzabile.

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4.2. ANALISI QUALITATIVA DELLE SOLUZIONI 73

Con riferimento alla figura 4.1, concludiamo dunque che perE > 0 non si possonoavere funzioni d’onda rinormalizzabili, ovvero non si possono avere stati legati.

Consideriamo allora i valoriE < 0 distinguendo i due casi

E < Vmin

e Vmin

< E < 0

Nel primo caso non ci sono autovalori a cui corrispondono autofunzioni normaliz-zabili perché seE < V

min, allora dall’equazione(4.3) risulta

u′′(x)

u(x)> 0, ∀x ∈ R

Se dunque la funzione d’ondau(x) fosse positiva, allorau sarebbe sempre convessae quindi non normalizzabile in una delle due semirette asintotiche (analogo discorsovale seu(x) fosse negativa).

Nel secondo caso (Vmin

< E < 0) abbiamo

u′′(x)

u(x)> 0, ∀x /∈ [x1 , x2] e

u′′(x)

u(x)< 0, ∀x ∈ [x1 , x2]

Considerando ad esempio lau(x) positiva, si ha quindi che la funzione d’ondau èconvessa perx /∈ [x1 , x2] e concava perx ∈ [x1 , x2], risultando quindi normalizzabile,come si può vedere graficamente nella seguente figura 4.2

u(x)

xOxm xMx1 x2

u′′

u> 0

u′′

u> 0

u′′

u< 0

fig. 4.2

L’andamento dellau(x) per x ∈ [x1 , x2] può presentare anche delle oscillazioni(come mostrato in figura 4.3), purché compatibili con la condizione

u′′(x)

u(x)< 0, ∀x ∈ [x1 , x2]

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74 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER

u(x)

xOx1 x2

u′′

u> 0 u′′

u> 0

u′′

u< 0

u′′ < 0 u′′ < 0

u′′ > 0

fig. 4.3

Come si vede, c’è probabilità non nulla anche per il caso in cui la particella sia fuoridall’intervallo [x1 , x2], ovvero stia nella regione classicamente proibita. Nel caso clas-sico non c’è moto nellex tali cheE < V perché l’energia si conserva; quantisticamente,anche se l’energia è conservata, se si effettua una misura della posizione della particella,è possibile trovare la particella fuori da[x1 , x2], sebbene in questo caso l’energia nonsia conservata.

Infine, perE > 0 si hau′′(x)

u(x)< 0, ∀x ∈ R

cioè la soluzioneu(x) è oscillante su tutto l’assex. Perx /∈ [xm , xM ], ovvero quandoV (x) = 0, lau(x) è una combinazione di esponenziali complessi e la particella si com-porta come la particella libera (onda piana) con impulsop =

√2mE. Ovviamente la

soluzione globale non è un’onda piana perché la presenza diV (x) rende complicata lasoluzione nell’intervallo[xm , xM ] nonostante rimanga anche in tale intervallo il com-portamento oscillatorio dellau(x) dovuto al diverso segno della derivata secondau′′(x)rispetto alla funzioneu(x).

Mostriamo ora che gli stati legati (o autofunzioni normalizzabili) corrispondono avalori dell’energiaE (autovalori) discreti.

Se un potenziale possiede andamento come in figura 4.1 (con due soli puntix1 ex2

in cui valeV (x) = E), abbiamo che la condizione di normalizzabilità (a sinistra)

limx→−∞

u(x) = limx→−∞

u′(x) = 0

determina univocamente la soluzione nella semirettax < x1 ed in particolare (per lacontinuità, discussa più avanti, della funzione d’onda e della sua derivata prima) deter-mina il valore dellau(x) e dellau′(x) nel puntox1. Analogamente risulterà univoca-mente determinata la funzione d’onda (oscillante) nell’intervallo[x1 , x2] ed in partico-lare risulteranno individuati i valori della funzione d’onda e della sua derivata prima nelpuntox2.

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4.2. ANALISI QUALITATIVA DELLE SOLUZIONI 75

u(x)

xOx1 x2

u′′

u> 0

u′′

u< 0

u′′ < 0 u′′ < 0

u′′ > 0

fig. 4.4 (1)

(2)

(3)

Per la semirettax > x2 si può ripetere lo stesso ragionamento e concludere chel’andamento della funzione d’onda in tale semiretta è univocamente determinato dallacontinuità inx2 dellau(x) e dellau′(x).

Tuttavia per un valore diE qualsiasi non c’è nessun motivo per cui l’andamentodella funzione d’onda inx > x2 debba tendere asintoticamente a zero.

Con riferimento alla figura 4.4, abbiamo che l’andamento convesso della funzio-ne d’onda inx > x2 non è detto che sia rappresentato dalla curva (3) (che tendeasintoticamente a zero), ma potrebbe essere rappresentatobenissimo dalla curva (1)asintoticamente divergente e quindi non normalizzabile.

Facendo variare nell’equazione(4.3) l’energiaE con continuità, si avrà che anchela soluzione varierà con continuità e passerà, per esempio,dalla curva (1) alla curva (2),ancora asintoticamente divergente.

Continuando a far variareE nella (4.3) con la stessa “direzione”, èragionevoleaspettarsi di trovare un valoreE0 dell’energia per il quale la componente divergentedella soluzione si annulla e la funzione d’onda si comporta asintoticamente come lacurva (3) tendente a zero. Tale valoreE0 è un possibile valore dell’energia del sistemain esame ed è “chiaro” che le possibili energie debbono costituire uno spettro discretoperché variando l’energia anche di “pochissimo” intorno alvaloreE0, si “inserisce”nell’equazione(4.3) un termine che renderà divergente la soluzione e ne “rovinerà”il buon comportamentoasintotico. Dal confronto delle figure 4.1, 4.3, 4.4 segue cheil numero delle oscillazioni e degli zeri della funzione d’onda nell’intervallo[x1 , x2]tendono ad aumentare al crescere diE.

Esiste allora un valore diE, dettostato fondamentale, tale che la funzione d’ondacorrispondente non abbia né zeri né oscillazioni nell’intervallo [x1 , x2].

Concludiamo quest’analisi qualitativa delle soluzioni dell’equazione di Schrödingerdimostrando che in una dimensione gli autovalori discreti dell’energia sono sempre nondegeneri (così come gli autovalori di quella parte di spettro continuo eventualmentesoddisfacente la condizioneV−∞ < E < V+∞).

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76 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER

Supponiamo infatti per assurdo che esistano due funzioniu1(x) eu2(x) linearmenteindipendenti che siano soluzioni della(4.3) relativamente al medesimo valore diE.

Segue allora la relazione

u′′2(x)

u2(x)=u′′1(x)

u1(x)= − 2m

h2 (E − V )

da cui si ottiene che ilwronskjanoW (x) di u1(x) e u2(x) ha derivata nulla, come sivede eseguendo

dW (x)

dx=

d

dx[u1(x) u

′2(x) − u′1(x) u2(x)] = u1(x) u

′′2(x) − u′′1(x) u2(x) =

= u1(x) u2(x)

[

u′′2(x)

u2(x)− u′′1(x)

u1(x)

]

= 0

Poiché il wronskjano delle soluzioni normalizzabiliu1(x) e u2(x) vale zero perxtendente a±∞ ed è costante in quanto avente derivata prima nulla, si conclude che valela relazioneW (x) = 0 per ognix, ovvero

u1(x) u′2(x) = u′1(x) u2(x)

equivalente au′2(x)

u2(x)=u′1(x)

u1(x)

Integrando quest’ultima relazione, si ottiene

log[u2(x)] = log[k u1(x)]

da cui segue

u2(x) = k u1(x)

che contraddice l’ipotesi di indipendenza lineare trau1(x) eu2(x).

4.3 Potenziali costanti a tratti

Consideriamo l’equazione di Schrödinger indipendente daltempo nel caso in cui ilptenzialeV (x) sia costante a tratti, come mostrato nella seguente figura 4.5

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4.3. POTENZIALI COSTANTI A TRATTI 77

V (x)

xI1

I2I3 I4 I5x

fig. 4.5

DettoVj il valore del potenziale nel j-esimo intervalloIj , l’equazione di Schrödingerindipendente dal tempo relativa a tale intervallo assume laforma

u′′(x) =2m

h2 (Vj −E) u(x) (4.5)

A seconda che si abbiaVj > E oppure Vj < E, si hanno le soluzioni rispettiva-mente

u(x) = Ae

√2m(Vj−E)

hx +B e−

√2m(Vj−E)

hx

oppure

u(x) = C cos

2m(E − Vj)

hx

+D sin

2m(E − Vj)

hx

e dimostriamo allora che lau(x) e la u′(x) debbono essere continue in tutti i pun-ti di discontinuità del potenzialeV (x) (purché non siano discontinuitàstrane). Ladimostrazione resta valida anche nei casi di potenziali noncostanti a tratti.

Integrando la(4.5) per esempio frax− ǫ e x+ ǫ , si ha, in base alla figura 4.5∫ x+ǫ

x−ǫu′′(x) dx =

2m

h2

∫ x+ǫ

x−ǫ[V (x) − E] dx

Al primo membro si ottieneu′(x+ ǫ) − u′(x − ǫ) e al secondo membro, sebbenel’integrando abbia una discontinuità, l’integrale tende azero perǫ tendente a zero, per-ché l’integrale rappresenta un’area la quale, come si vede dalla figura 4.5 intorno ax,nonostante la discontinuità, tende appunto a zero perǫ tendente a zero.

Quindi dalla relazione

limǫ→0

u′(x+ ǫ) − u′(x− ǫ) = 0

concludiamo che lau′(x) è continua insieme allau(x) stessa.

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78 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER

4.3.1 Buca di potenziale

Consideriamo come esempio di potenziale costante a tratti il caso della buca di poten-ziale in cui si ha

V (x) =

0 se x ∈[

− L

2,L

2

]

V0 > 0 se |x| > L

2

Considerando0 < E < V0 e indicando conu1(x), u2(x), u3(x) le soluzioni del-l’equazione(4.5) rispettivamente nella semiretta a sinistrax < L/2, nell’intervallointerno−L/2 < x < L/2 e nella semiretta a destrax > L/2, si ha

u1(x) = Ae

√2m(V0−E)

hx u3(x) = B e−

√2m(V0−E)

hx (4.6)

u2(x) = C cos

2m(E − V0)

hx

+D sin

2m(E − V0)

hx

avendo posto uguale a zero peru1(x) e u3(x) il coefficiente dell’altro esponenziale inmodo che la funzione d’onda sia normalizzabile perx tendente a−∞ e a +∞ .

Imponendo le quattro condizioni di continuità dellau(x) e dellau′(x) nei due pun-ti di discontinuità del potenziale aventi ascissa±L/2, si ha il sistema delle quattroequazioni algebriche

u1

(

− L

2

)

= u2

(

− L

2

)

, u′1

(

− L

2

)

= u′2

(

− L

2

)

,

u2

(L

2

)

= u3

(L

2

)

, u′2

(L

2

)

= u′3

(L

2

)

nelle quattro incogniteA,B,C,D.Poiché tale sistema è omogeneo, se il determinante della matrice dei suoi coefficienti

è diverso da zero, allora il sistema avrà l’unica soluzioneA = B = C = D = 0 a cuicorrisponde l’unica soluzione della(4.5) data dau(x) = 0 che però non può essereconsiderata un’autofunzione.

L’equazione ottenuta invece uguagliando a zero l’espressione di tale determinanteè un’equazione nell’unica incognitaE le cui radici sono gli autovalori dell’energia acui corrispondono le autofunzioni non identicamente nulleaventi espresssione nei variintervalli u1(x), u2(x), u3(x).

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4.3. POTENZIALI COSTANTI A TRATTI 79

4.3.2 Particella nel segmento: buca di potenziale con pareti infinite

Se nell’espressione diV (x) della buca di potenziale si poneV0 = +∞ per |x| > L/2,si ottiene il confinamento della particella nel segmento[−L/2 , L/2], ovvero la buca dipotenziale con pareti infinite a cui corrisponde l’equazione di Schrödinger indipendentedal tempo

u′′(x) = − 2mE

h2 u(x) (4.7)

Si vede immediatamente che perE < 0 la soluzione di tale equazione assume laforma

u(x) = Aekx +B e−kx, con k :=2m |E|h2

la quale, in virtù della presenza degli esponenziali reali,non può valere zero contem-poraneamente in−L/2 e in L/2. Concludiamo quindi che perE < 0 non ci sonoautovalori né autofunzioni.

Se consideriamo i valoriE > 0, allora l’equazione di Schrödinger ha soluzione

u(x) = C cos

[√2mE

hx

]

+D sin

[√2mE

hx

]

da cui segue il sistema delle condizioniu(−L/2) = u(L/2) = 0 (continuità dellau(x)nei puntix = ±L/2)

C cos

[√2mE

h

L

2

]

−D sin

[√2mE

h

L

2

]

= 0

C cos

[√2mE

h

L

2

]

+D sin

[√2mE

h

L

2

]

= 0

Poiché conV0 = +∞ la soluzioneu(x) è identicamente nulla per|x| > L/2, comesi deduce facilmente sostituendox = −∞ ex = +∞ rispettivamente au1(x) e au3(x)in (4.6), allora non si pone il problema della normalizzabilità a±∞ e per la presenza deidue soli coefficientiC,D in u(x), è sufficiente imporre solo la continuità della funzioned’onda in±L/2.

Imponendo che nel sistema dato dalle equazioniu(−L/2) = u(L/2) = 0 il determi-nante dei coefficienti diC,D sia uguale a zero, si ricava che tale sistema è equivalentealle due equazioni separate

cos

[√2mE

h

L

2

]

= 0, sin

[√2mE

h

L

2

]

= 0 (4.8)

per discutere le quali introduciamo l’operatoreP, dettooperatore di parità, che agiscesecondo la regola

P ψ(x) = ψ(−x)

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80 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER

o in forma astratta sui ketP |x〉 = | − x〉

Nel caso della particella nel segmento, l’hamiltoniana è

H = − h2

2m

d2

dx2

come per la particella libera: la differenza fra i due casi è che all’hamiltoniana dellaparticella nel segmento vanno aggiunte le condizioni al bordou(−L/2) = u(L/2) = 0che invece mancano per la particella libera.

Sviluppando

P[Hψ(x)] = P[

− h2

2mψ′′(x)

]

= − h2

2mψ′′(−x)

e

H [P ψ(x)] = H ψ(−x) = − h2

2m

d2

dx2ψ(−x) = − h2

2m

d

dx[−ψ(−x)] = − h2

2mψ′′(−x)

si conclude, per confronto, che l’operatore di paritàP commuta conH, cioè[P, H ] = 0.Dimostriamo che l’operatore di paritàP è anche un operatore hermitiano: si ha

infatti∫ L/2

−L/2φ∗(x)[Pψ(x)] dx =

∫ L/2

−L/2φ∗(x)ψ(−x) dx = −

∫ −L/2

L/2φ∗(−y)ψ(y) dy =

=∫ L/2

−L/2φ∗(−y)ψ(y) dy =

∫ L/2

−L/2[Pφ∗(x)]ψ(x) dx

Poiché dunque l’operatoreP è hermitiano e commuta conH, si ha che le autofun-zioni diH coincidono con quelle diP.

Applicando l’operatoreP ad ambo i membri dell’equazione secolare diP stesso, siottiene

P [P ψλ(x)] = λP ψλ(x)

ovvero, sviluppando primo e secondo membro

ψλ(x) = λ[λψλ(x)] = λ2 ψλ(x)

Dal confronto fra primo e terzo membro di quest’ultima uguaglianza, si deduce chegli autovalori diP sono i valoriλ = ±1 (essendoψλ(x) 6= 0).

Dall’equazione secolareP ψλ(x) = ±ψλ(x), riscritta nella forma

ψλ(−x) = ±ψλ(x)

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4.3. POTENZIALI COSTANTI A TRATTI 81

si conclude che le classi delle autofunzioni diP, e dunque anche diH, sono la classedelle funzioni pari (corrispondenti all’autovaloreλ = 1) e la classe delle funzioni dispari(corrispondenti all’autovaloreλ = −1).

Tornando ora alla particella nel segmento[−L/2 , L/2], simmetrico rispetto ax = 0,abbiamo che le autofunzioni pari e dispari discendono rispettivamente dalla prima edalla seconda equazione(4.8).

La soluzione della prima equazione delle(4.8) è data dalla relazione√

2mE

h

L

2= (2n+ 1)

π

2, con n ∈ N

da cui segue, indicando conup(x) le autofunzioni pari

E =h2π2

2mL2(2n+ 1)2 e up(x) = A cos

[

(2n+ 1) π

Lx

]

La soluzione della seconda equazione delle(4.8) è data dalla relazione√

2mE

h

L

2= nπ, con n ∈ N

da cui segue, indicando conud(x) le autofunzioni dispari

E =h2π2

2mL2(2n)2 e ud(x) = B sin

[2nπ

Lx]

Sia per le autofunzioni pari che per quelle dispari, non occorrono i valori interi ne-gativi perché il coseno e il seno rimangono inalterati o al più cambiano il segno quandocambia il segno del loro argomento.

Se il segmento fosse[0, L] (e non il simmetrico[−L/2 , L/2]), allora alla soluzione

u(x) = A cos

[√2mE

hx

]

+B sin

[√2mE

hx

]

dell’equazione(4.7) si aggiungono le condizioni al bordou(0) = u(L) = 0 checonducono al sistema

A = 0 e

√2mE

hL = nπ

Otteniamo infine dunque

E =h2π2n2

2mL2e u(x) =

2

Lsin

(nπ

Lx)

dove il coefficienteB della funzione seno è stato scelto in modo tale cheu(x) sia realee valga la condizione di normalizzazione

∫ L

0|u(x)|2 dx = 1

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82 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER

4.4 L’oscillatore armonico in una dimensione

L’hamiltoniana dell’oscillatore armonico classico è datadall’espressione

H(p, q) =p2

2m+mω2x2

2

da cui discendono le equazioni di Hamilton

x =∂H

∂p=

p

mp = − ∂H

∂q= −mω2x

Trasformando l’hamiltoniana classica in operatore hermitiano, si ottiene l’equazionedi Schrödinger indipendente dal tempo dell’oscillatore armonico quantistico

(

− h2

2m

d2

dx2+mω2x2

2

)

ψ(x) = Eψ(x)

Per ottenere gli autovaloriE e le autofunzioniψ(x) non risolviamo però direttamen-te questa equazione differenziale, ma utilizziamo ilmetodo algebricodi Dirac.

A tale scopo definiamo gli operatori

a :=

√mω

2h

(

x+ip

)

, a+ :=

√mω

2h

(

x− ip

)

(4.9)

e calcoliamone il commutatore usando la regola di quantizzazione[x, p] = ih

[a, a+] =mω

2h

(

− i

mω[x, p] +

i

mω[p, x]

)

=mω

2h

(

− 2i

mω[x, p]

)

= 1

Osserviamo che l’operatorea+a è hermitiano perché si ha(a+a)+ = a+a ed èsemidefinito positivoperché per ogni stato|ψ〉 si ha〈ψ|a+a|ψ〉 = | a|ψ〉|2 ≥ 0.

Un operatore semidefinito positivo ha autovalori tutti non negativi perché sui suoiautostati|λ〉 si ha〈λ|a+a|λ〉 = λ ≥ 0.

Dall’espressione dell’operatorea+a che è

a+a =mω

2h

(

x− ip

) (

x+ip

)

=mω

2h

(

x2 +p2

m2ω2+

i

mω[x, p]

)

=

=1

(

p2

2m+mω2x2

2

)

− 1

2=

H

hω− 1

2

ricaviamo l’espressione dell’hamiltoniana in termini di tale operatore

H = hω(

a+a+1

2

)

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4.4. L’OSCILLATORE ARMONICO IN UNA DIMENSIONE 83

in modo che gli autovettori diH coincidano con quelli dia+a.Il calcolo degli autovettori diH è dunque ricondotto al calcolo degli autovettori

dell’operatorea+a, ovvero alla soluzione dell’equazione secolarea+a|λ〉 = λ|λ〉.Per risolvere l’equazione secolare dia+a, calcoliamo il commutatore

[a+a, a] = a+aa− aa+a = a+aa− (1 + a+a) a = − a

da cui, considerando l’aggiunto nel primo e nell’ultimo membro, ricaviamo anche

− a+ = [a+a, a]+ = [(a+a)a]+ − [a(a+a)]+ = a+(a+a) − (a+a)a+ = −[a+a, a+]

ovvero, uguagliando primo e ultimo membro,[a+a, a+] = a+.A questo punto dimostriamo che se|λ〉 è autovettore dia+a con autovaloreλ, allora

il vettore a+|λ〉 è ancora autovettore dia+a con autovaloreλ + 1 e il vettorea|λ〉 èancora autovettore dia+a con autovaloreλ− 1.

Abbiamo infatti, utilizzando le regole di commutazione dia+a cona e cona+

(a+a) (a+|λ〉) = [a+a, a+]|λ〉 + a+(a+a)|λ〉 =

= a+|λ〉 + λ a+|λ〉 = (λ+ 1) (a+|λ〉)e analogamente

(a+a) (a|λ〉) = [a+a, a]|λ〉 + a(a+a)|λ〉 =

= − a|λ〉 + λ a|λ〉 = (λ− 1) (a|λ〉)Poiché dunquea+|λ〉 e a|λ〉 sono ancora autovettori dia+a con autovalori rispetti-

vamenteλ+ 1 eλ− 1, poniamo

a+|λ〉 = c1|λ+ 1〉 a|λ〉 = c2|λ− 1〉

e chiamiamo gli operatoria+ e a rispettivamente operatori dicreazionee di annichi-lazioneperchéa+ crea unsaltodi una unità verso l’alto ea crea unsaltodi una unitàverso il basso negli autovettori dia+a e dunque dell’energiaH.

Poiché, come detto, l’operatorea+a possiede autovalori non negativi, allora deveesistere un autovettore|λ0〉 di a+a, dettostato fondamentaleo vuoto, corrispondenteall’autovaloreλ = 0, cioè tale che valga

a+a|λ0〉 = 0|λ0〉 = 0

e identifichiamo quindi|λ0〉 = |0〉. Per quanto riguarda l’azione dell’operatorea, senon valesse anchea|λ0〉 = a|0〉 = 0, allora si avrebbe che il vettorea|0〉 è autovettoredell’operatorea+a con autovaloreλ = −1, che è assurdo.

Essendo dunque gli autovalori dia+a numeri interi non negativiλ ∈ Z conλ ≥ 0,non resta che dimostrare che lo spettro dia+a è illimitato superiormente.

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84 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER

Se esistesse un autovettore|λm〉 di a+a con autovalore massimoλm, cioè tale chevalgaa+|λm〉 = 0, allora arriveremmo al risultato assurdo che un valor mediodell’ope-ratorea+a deve essere negativo, come si ricava confrontando primo e ultimo membrodella seguente uguaglianza

0 = 〈λm|aa+|λm〉 = 〈λm|[a, a+]|λm〉 + 〈λm|a+a|λm〉 = 1 + 〈λm|a+a|λm〉Quindi ogni autovettore|λ〉 di a+a relativo all’autovaloreλ è tale che sotto azione

dell’operatorea+ esso si trasforma nell’autovettore dia+a con autovaloreλ + 1 senzache ci sia limite superiore all’insieme degli autovalori.

Concludiamo pertanto che lo spettro dia+a è non degenere ed è costituito da tuttie soli gli interin ≥ 0 a cui corrispondono biunivocamente gli autovettori, indicati conil simbolo |n〉, che assumeremo verificare la relazione di ortonormalità〈n|m〉 = δnm eche pern > 0 chiameremostati eccitati.

Essendo interi non negativi gli autovalori dell’operatorea+a, ridenominiamoa+aoperatorenumero di occupazionee riscriviamo allora l’equazione secolare dia+a nellaformaa+a|n〉 = n|n〉.

Poiché l’operatore hamiltonianoH è funzione dia+a, allora gli autovettori diHsono gli stessi autovettori|n > dell’operatorea+a, da cui segue che l’equazione secolaredi H si scrive nella formaH|n〉 = En|n〉 con spettro dato da

En = hω(

n +1

2

)

Calcoliamo ora l’azione esatta degli operatoria+ e a sugli autovettori|n〉 in modoche anche gli autovettoria+|n〉 ea|n〉 siano ancora autovettori normalizzati.

Ponendoa|n〉 = c−|n− 1〉, si ha

|c−|2 = |c−|2〈n− 1|n− 1〉 = 〈n|a+a|n〉 = n 〈n|n〉 = n

da cui ricaviamo il valore del coefficientec− =√n.

Ponendoa+|n〉 = c+ |n + 1〉, con |c+ |2 = |c+ |2〈n + 1|n + 1〉 = 〈n|aa+|n〉, si haanalogamente

|c+ |2 = 〈n|aa+|n〉 = 〈n|[a, a+]|n〉 + 〈n|a+a|n〉 = 1 + n

da cui ricaviamo il valore del coefficientec+ =√n + 1.

Abbiamo allora le uguaglianze fra autovettori normalizzati date da

|n+ 1〉 =a+|n〉√n+ 1

e |n− 1〉 =a|n〉√n

da cui per induzione segue che applicandon volte l’oeratorea+ allo stato fondamentale,si ricava l’autovettore

|n〉 =(a+)n|0〉√

(n)!

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4.4. L’OSCILLATORE ARMONICO IN UNA DIMENSIONE 85

Per ottenere le componenti degli autovettori|n〉 sulla base degli autostati della posi-zione, ovvero le autofuzioni dell’oscillatore armonico, equindi per sapere se lo spettroè degenere o meno, risolviamo l’equazione differenziale〈x|a|0〉 = 0 che, utilizzandol’espressione dia e ponendo〈x|0〉 = ψ0(x), assume la forma

0 = 〈x|mωx+ ip|0〉 = mωx〈x|0〉 + hd

dx〈x|0〉 = mωxψ0(x) + h

d

dxψ0(x)

da cui segue la soluzione

〈x|0〉 = ψ0(x) = 4

√mω

πhe−

mωx2

2h

in cui la costante di integrazione è stata determinata imponendo che valga la condizionedi normalizzazione probabilistica

∫ +∞

−∞|ψ0(x)|2 dx = 1

Dall’unicità della soluzione del problema differenziale〈x|mωx + ip|0〉 = 0, con-cludiamo dunque che lo spettro dell’oscillatore armonico ènon degenere.

Per ottenere infine gli stati eccitati, si applican volte l’operatorea+: ad esempio perottenere il primo stato eccitato eseguiamo

ψ1(x) = 〈x|1〉 = 〈x|a+|0〉 = 〈x|√mω

2h

(

x− h

d

dx

)

|0〉 =

=

√mω

2h4

√mω

πh

(

x− h

d

dx

)

e−mωx2

2h =4

4m3ω3

πh3 x e−mωx2

2h

e si verifica facilmente che tale stato è già normalizzato perché si ha∫ +∞

−∞|ψ1(x)|2 dx =

4m3ω3

πh3

∫ +∞

−∞x2 e−

mωx2

h dx = 1

In generale, se si pone

ξ :=

√mω

hx

allora le autofunzioniψn(x) dell’oscillatore armonico unidimensionale sono date dal-l’espressione

ψn(x) =4√mω

4√hπ

√2n n!

Hn(ξ) e−ξ2/2

dove

Hn(ξ) := (−1)n eξ2 dn

dξne−ξ

2

rappresenta quello che viene denominatopolinomio di Hermite di grado n, che per ivalori n = 0, 1, 2, 3 assume la forma

H0(ξ) = 1, H1(ξ) = 2ξ, H2(ξ) = 4ξ2 − 2, H3(ξ) = 8ξ3 − 12ξ

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86 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER

4.4.1 Rappresentazione matriciale degli operatori

Dato uno spazio vettorialeV e una sua basee1, e2, e3, ..., ek, si ha che la matriceAche rappresenta un operatore lineareA : V −→ V relativamente alla fissata base assumela formaA = (aij), avendo definito l’azione dell’operatore lineareA sui vettori di basecome

A ej =∑

i

aij ei (4.10)

In altre parole laj-esima colonna della matriceA contiene i coefficienti della com-binazione lineare dei vettori di base che esprime il trasformato, medianteA, delj-esimovettore di base.

Invertendo le relazioni(4.9), si ottengono le espressioni degli operatori

x =

h

2mω(a+ + a) e p = i

hmω

2(a+ − a)

la cui azione sui vettori|n〉 di base è data da

x |n〉 =

h

2mω(√n+ 1 |n+ 1〉 +

√n |n− 1〉)

e

p |n〉 = i

hmω

2(√n+ 1 |n+ 1〉 − √

n |n− 1〉)

In virtù della (4.10) segue allora che le matrici, indicate ancora conx e p, cherappresentano nella base|n〉 gli operatori linearix ep assumono la forma

x =

h

2mω

0√

1 0 0 · · ·√1 0

√2 0 · · ·

0√

2 0√

3 · · ·0 0

√3 0 · · ·

......

......

. . .

p = i

hmω

2

0 −√

1 0 0 · · ·√1 0 −

√2 0 · · ·

0√

2 0 −√

3 · · ·0 0

√3 0 · · ·

......

......

. . .

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4.4. L’OSCILLATORE ARMONICO IN UNA DIMENSIONE 87

Dalle matrici dix ep ricaviamo quindi la matriceH dell’operatore hamiltoniano

H =p2

2m+mω2x2

2= hω

1/2 0 0 0 · · ·0 3/2 0 0 · · ·0 0 5/2 0 · · ·0 0 0 7/2 · · ·...

......

.... . .

che poteva essere ricavata ovviamente anche dall’azione stessa diH sui vettori|n〉

H |n〉 =(

n+1

2

)

hω |n〉

4.4.2 Oscillatore armonico asimmetrico

Se il potenzialeV (x) di una particella in dimensione 1 fosse quello che si chiamapotenziale armonico asimmetrico

V (x) =

12mω2x2 per x ≥ 0

+∞ per x < 0

ovvero fosse un potenziale armonico soltanto sullex positive, allora la funzione d’ondatotaleψ(x), in base alle considerazioni qualitative illustrate in precedenza, deve annul-larsi in x = 0 in modo che la parte di funzione d’onda definita sullex positive possaraccordarsi inx = 0 con la parte identicamente nulla di funzione d’onda definitasullasemiretta dellex < 0.

Possiamo quindi ottenere le autofunzioniψ(x) dell’oscillatore armonicoasimmetri-co selezionando tra le autofunzioniu(x) dell’oscillatore armonicosimmetricosoltantoquelle che si annullano inx = 0.

Pertanto i livelli di energia dell’oscillatore armonicoasimmetricocoincidono con ilivelli del corrispondente oscillatore armonicosimmetricoaventi indicen dispari.

4.4.3 L’oscillatore armonico isotropo in due dimensioni

L’oscillatore armonico in due dimensioni si diceisotropoquando le due costanti elasti-chek1 ek2 relative ai due assi cartesiani sono uguali, ovvero se valek1 = k2.

Da questa uguaglianza segue che l’hamiltoniana dell’oscillatore armonico isotroposi può scrivere nella formaH = Hx +Hy (cioè con le variabili separate) data da

H =p2x + p2

y

2m+mω2

2(x2 + y2) =

(

p2x

2m+mω2x2

2

)

+

(

p2y

2m+mω2y2

2

)

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88 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER

Per risolvere l’equazione di Schrödinger indipendente daltempo dell’oscillatore ar-monico isotropo bidimensionale, data daHΨ(x, y) = EΨ(x, y), sostituiamo in essal’espressione della funzione d’ondaΨ(x, y) scritta nella forma separata in cui essa sia ilprodotto di tre funzioni di una sola variabileΨ(x, y) := φ(x)χ(y).

Con tale sostituzione l’equazione di Schrödinger diventa

(Hx +Hy)φ(x)χ(y) = E φ(x)χ(y)

ovveroχ(y)Hx φ(x) + φ(x)Hy χ(y) = E φ(x)χ(y)

da cui, dividendo ambo i membri perΨ, segue

Hx φ(x)

φ(x)+Hy χ(y)

χ(y)= E (4.11)

Poiché i due addendi al primo membro nella(4.11) dipendono ciascuno da una solavariabile, allora tutti e due debbono essere necessariamente uguali ad una costante, cioèpossiamo porre

Hx φ(x)

φ(x)= Ex,

Hy χ(y)

χ(y)= Ey

che sono due equazioni di Schrödinger indipendenti dal tempo di oscillatore armonicounidimensionale relative ciascuna al corrispondente assecartesiano.

Utilizzando allora la soluzione del problema dell’oscillatore armonico unidimensio-nale, otteniamo dalla(4.11) gli autovaloriE = En dell’oscillatore armonico isotropo indue dimensioni

En = Ex,nx + Ey,ny = hω (nx + ny + 1) = hω (n+ 1)

dove si è poston := nx + ny e quindi le corrispondenti autofunzioni che possiamorappresentare con la notazione di Dirac|Ψn〉 = |nx, ny〉 oppure mediante prodotto diautofunzioni unidimensionali separateΨn(x, y) = φnx(x)χny(y).

Poiché, come si verifica immediatamente contando gli autostati, la degenerazione,indicata condn, del livello di energiaEn è pari adn = n+1, allora per poter individua-re univocamente un autostato relativo all’autovaloreEn, occorre considerare l’insiemecompletoI di operatori che commutano fra loro e con l’hamiltoniana dell’oscillatorearmonico isotropo bidimensionale per selezionare, quindi, nel sottospazio di degenera-zione quell’autovettore corrispondente all’autovaloreEn che sia autovettore anche ditutti gli altri operatori dell’insiemeI.

Si dimostra immediatamente che l’operatore lineareLz := xpy − ypx, coincidentecon quella che più avanti risulterà essere la terza componente del momento angolareorbitaleL, commuta con l’hamiltoniana dell’oscillatore armonico isotropo bidimensio-nale: allora per rimuovere la degenerazione nell’autospazio corrispondente all’autova-loreEn ed individuare dunque un autostato univoco, basta aggiungere la condizione che

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4.4. L’OSCILLATORE ARMONICO IN UNA DIMENSIONE 89

in tale autostato una misura dell’osservabileLz dia come risultato uno degli autovaloridell’operatore lineare corrispondenteLz.

La restrizione diLz all’autospazio relativo all’autovaloreEn è un endomorfismoavente per autovalori i multipli dih secondo tutti glin + 1 numeri interim che han-no la stessa parità din e tali che valga−n ≤ m ≤ n: poiché lo spettro diLz è nondegenere e i suoi autospazi sono tanti quanti è la dimensionedn dell’autospazio corri-spondente all’autovaloreEn, allora la richiesta che uno stato sia autostato simultaneodell’hamiltoniana dell’oscillatore armonico isotropo bidimensionale e diLz rimuove ladegenerazione dell’autovaloreEn.

Illustriamo la procedura con cui si rimuove tale degenerazione attraverso i dueseguenti esempi: la degenerazione diE1 e la degenerazione diE2.

Il livello di energiaE1 possiede i due autostati degeneri normalizzati dati da

|1, 0〉, |0, 1〉

e quindi abbiamo che la sola conoscenza dell’energiaE1 non permette di individuarein maniera univoca l’autostato dell’oscillatore armonicoisotropo bidimensionale cheabbia appunto la data energiaE1.

Nella base|1, 0〉, |0, 1〉 dell’autospazio corrispondente aE1 l’azione dell’opera-tore lineareLz è data da

Lz |1, 0〉 = ih|0, 1〉Lz |0, 1〉 = −ih|1, 0〉

da cui, in virtù della(4.10), si ricava la rappresentazione matriciale diLz data da

Lz =

(

0 −ihih 0

)

Gli autovalori della matriceLz sonoh, −h, cioè i multipli di h secondo i due numeriinterim che hanno la stessa parità dell’1 e tali che valga−1 ≤ m ≤ 1: segue che talinumerim sono appunto1,−1.

Gli autostati normalizzati diLz, indicati con|η1〉, |η−1〉, sono

|η1〉 =1√2

(i |1, 0〉 − |0, 1〉), |η−1〉 =1√2

(i |1, 0〉 + |0, 1〉)

corrispondenti agli autovalori rispettivamenteh,−h.La richiesta, dunque, che gli autostati dell’oscillatore armonico isotropo bidimen-

sionale relativi all’autovaloreE1 siano anche simultaneamente autostati diLz ci per-mette di rimuovere la degenerazione diE1 perché nel suo autospazio seleziona le duecombinazioni lineari|η1〉, |η−1〉.

Il livello di energiaE2 possiede i tre autostati degeneri normalizzati dati da

|2, 0〉, |1, 1〉, |0, 2〉

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90 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER

e quindi abbiamo che la sola conoscenza dell’energiaE2 non permette di individuarein maniera univoca l’autostato dell’oscillatore armonicoisotropo bidimensionale cheabbia appunto la data energiaE2.

Nella base|2, 0〉, |1, 1〉, |0, 2〉 dell’autospazio corrispondente aE2 l’azione del-l’operatore lineareLz è data da

Lz |2, 0〉 = ih√

2 |1, 1〉Lz |1, 1〉 = ih

√2 (|0, 2〉 − |2, 0〉)

Lz |0, 2〉 = −ih√

2 |1, 1〉

da cui, in virtù della(4.10), si ricava la rappresentazione matriciale diLz data da

Lz =

0 −ih√

2 0

ih√

2 0 −ih√

2

0 ih√

2 0

Gli autovalori della matriceLz sono2h, 0, −2h, cioè i multipli di h secondo i trenumeri interim che hanno la stessa parità del 2 e tali che valga−2 ≤ m ≤ 2: segue chetali numerim sono appunto2, 0,−2.

Gli autostati normalizzati diLz, indicati con|η2〉, |η0〉, |η−2〉, sono

|η2〉 =1

2(|2, 0〉+ ih

√2 |1, 1〉 − |0, 2〉), |η0〉 =

1√2

(|2, 0〉 + |0, 2〉),

|η−2〉 =1

2(|2, 0〉 − ih

√2 |1, 1〉 − |0, 2〉)

corrispondenti agli autovalori rispettivamente2h, 0,−2h.La richiesta, dunque, che gli autostati dell’oscillatore armonico isotropo bidimen-

sionale relativi all’autovaloreE2 siano anche simultaneamente autostati diLz ci per-mette di rimuovere la degenerazione diE2 perché nel suo autospazio seleziona le trecombinazioni lineari|η2〉, |η0〉, |η−2〉.

4.4.4 Livelli di Landau

La dinamica di una particella carica immersa in un campo elettromagnetico è descrittada un’equazione di Newton in cui la risultante delle forze è la forza di Lorentz.

L’hamiltoniana

H =1

2m

(

p − e

cA

)2

+ eΦ(r) (4.12)

conr = (x1, x2, x3), è quella che attraverso le seguenti equazioni di Hamilton

xi =∂H

∂pi=

1

m

(

pi −e

cAi

)

(4.13)

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4.4. L’OSCILLATORE ARMONICO IN UNA DIMENSIONE 91

pi = − ∂H

∂xi= −e ∂Φ

∂xi+

1

m

(

pj −e

cAj

)e

c

∂Aj∂xi

(4.14)

riproduce la giusta equazione di Newton in cui la forza coincide con la forza di Lorentz.Infatti dalla(4.13) segue

mxi +e

cAi = pi

che, sostituito nella(4.14) con l’indice opportunamente adattato, fornisce l’equazione

pi = −e ∂Φ∂xi

+e

c

∂Aj∂xi

xj (4.15)

Derivando rispetto al tempo la(4.13) e utilizzando quindi la(4.15) perpi, otteniamo

mxi +e

c

(

∂Ai∂t

+∂Ai∂xj

xj

)

= pi = −e ∂Φ∂xi

+e

c

∂Aj∂xi

xj

da cui, eliminandopi, segue l’equazione finale

mxi = −e ∂Φ∂xi

− e

c

∂Ai∂t

+e

cxj

(

∂Aj∂xi

− ∂Ai∂xj

)

che è un’equazione di Newton il cui secondo membro coincide appunto con la compo-nentei-esima della forza di Lorentz

Fi = eEi +e

c(~v × ~B)i

Se vogliamo ottenere un campo magnetico costante e orientato secondo l’assez, rap-presentato cioè nella formaB = (0, 0, B), allora il potenziale vettore da cui scaturiscetale campo magnetico può avere la formaA = (−By, 0, 0), come si verifica immedia-tamente calcolando il suo rotore. Ovviamente tale scelta del potenziale vettore non èunica perché con una trasformazione digauge, si può sempre trovare un altro potenzialevettore che dia luogo al medesimo campo magnetico: si verifica immediatamente chei due potenziali vettoriA = (−By, 0, 0) e A = (−By/2, Bx/2, 0) conducono allostesso campo magnetico.

Considerando, per semplicità, nullo il potenziale scalareΦ(r), l’hamiltoniana(4.12)assume allora la forma

H =1

2m

(

px +e

cBy)2

+p2y

2m+

p2z

2m

In virtù dell’equazione di Heisenberg, si ha chepx e pz si conservano in quantooperatori che commutano conH.

Per l’equazioneH |ψ〉 = E |ψ〉 Landau propose come soluzione la funzione d’onda

ψ = eih

(pxx+pzz) χ(y)

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92 CAPITOLO 4. SOLUZIONI DELL’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER

Inserendo tale funzione d’onda nell’equazione secolare diH, si ottiene l’equazionedifferenziale

χ′′(y) +

[

E − p2z

2m− 1

2mω2

L (y − y0)2

]

χ(y) = 0 (4.16)

dove la frequenza di LarmorωL ey0 sono stati definiti come

ωL :=eB

mce y0 := − cpx

eB

Come si vede, l’equazione(4.16) è l’equazione di un oscillatore armonico con ilivelli energetici e l’argomento delle autofunzioni traslati: si ha dunque

En = hωL

(

n+1

2

)

+p2z

2m

Quindi in meccanica quantistica il moto di una particella carica in campo magneticoha livelli discreti, denominatilivelli di Landau; in altre parole, è come se il campomagnetico vincolasse il moto di tale particella ad appartenere a livelli quantizzati.

Questi livelli sono infinitamente degeneri perché per ogni livello vi sono infiniti va-lori di px. Per rimuovere tale degenerazione, si può porre la particella in unascatolaperché, come abbbiamo visto, mentre la particella libera haspettro continuo, la parti-cella confinata in unsegmentopossiede spettro quantizzato attraverso le condizioni albordo del segmento.

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Capitolo 5

Formulazione mediante integrali dicammino

Dato un operatore lineareA in una base|n〉, vale a dire rappresentato da una ma-trice avente elementi〈n|A|m〉, si ha, come dimostrato in precedenza, cheA è l’unicooperatore avente tali elementi di matrice.

Consideriamo allora l’operatore

A = e−iHht

di evoluzione temporale e scegliamo come base quella degli autostati della posizione dacui seguono gli elementi di matrice

〈y|e−i Hh t|x〉

il cui modulo quadrato rappresenta la probabilità che una particella, localizzata inizial-mente inx, si trovi nella posizioney al tempot.

Gli stati |x〉 e |y〉 non sono normalizzati e l’impossibilità di normalizzarli èdovutaal fatto che non si può costruire uno stato esattamente localizzato inx ∈ R (con infinitecifre irrazionali). Allora le probabilità sono probabilità relative, ovvero probabilità chela particella si trovi iny relativa alla probabilità che essa si trovi in un’altra regione.

Abbiamo allora

ψ(y, t) = 〈y|ψ, t〉 = 〈y|e−i Hh t|ψ〉 =∫

Rdx 〈y|e−i Hh t|x〉〈x|ψ〉 =

=∫

RdxK(y, x; t)ψ0(x)

conK(y, x; t) = 〈y|e−i Hh t|x〉

93

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94 CAPITOLO 5. FORMULAZIONE MEDIANTE INTEGRALI DI CAMMINO

Sviluppiamo allora

K(y, x; t) =∑

n

〈y|e−i Hh t|En〉〈En|x〉 =∑

n

e−iEnht 〈y|En〉〈En|x〉 =

=∑

n

e−iEnht ψ

En(y)ψ∗

En(x)

La trasformata di Fourier del nucleo di FeynmanK(y, x; t) sarà allora

F (y, x;ω) =1

eiωtK(y, x; t) dt =1

n

ψEn

(y)ψ∗En(x)

ei(ω−Enh ) t dt =

=∑

n

ψEn

(y)ψ∗En(x) δ

(

ω − Enh

)

(5.1)

La conoscenza dunque diK(y, x; y) fornisce la soluzione completa del problemaquantistico perché dall’uguaglianza fra primo e ultimo membro della(5.1) si ricavanogli autovaloriEn e le autofunzioniψn(x).

Il problema da risolvere consiste dunque nel calcolare

K(y, x; t) = 〈y|e−i Hh t|x〉

e a tale scopo allora consideriamon sottointervalli di ampiezza∆ = t/n dell’intervallodi tempo(0, t). Possiamo scrivere in tal modo

〈y|e−i Hh t|x〉 = 〈y|e(−i Hh tn)n|x〉 = 〈y|

n volte︷ ︸︸ ︷

e−iHh

tn e−i

Hh

tn · · · e−i Hh t

n |x〉 =

=∫

dx1 dx2 · · · dxn−1 〈y|e−i Hh ∆|xn−1〉〈xn−1|e−iHh

∆|xn−2〉〈xn−2|e−iHh

∆ · · ·

· · · e−i Hh ∆|x1〉〈x1|e−iHh

∆|x〉 (5.2)

dove l’indice deidxi va da 1 an − 1 perché l’intervallo(0, t) con n sottointervallipossiede appunton− 1 punti di separazione.

Pern grande, approssimiamo

e−iHh

∆ ≈ I − iH

h∆

e calcoliamo l’elemento di matrice fraxi e xi+1 (cioè fra due punti di separazioneconsecutivi)

〈xi+1|e−iHh

∆|xi〉 =⟨

xi+1

∣∣∣∣I − i

H

h∆

∣∣∣∣ xi

=∫

dpi

xi+1

∣∣∣∣I − i

H

h∆

∣∣∣∣ pi

〈pi|xi〉 =

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95

=∫

dpi

[

〈xi+1|pi〉 −i∆

h〈xi+1|H|pi〉

]

〈pi|xi〉 =

=∫

dpi

[

〈xi+1|pi〉 −i∆

h

xi+1

∣∣∣∣∣

(

p2

2m+ V (x)

)∣∣∣∣∣pi

⟩]

〈pi|xi〉 =

=∫

dpi

[

〈xi+1|pi〉 −i∆

h

xi+1

∣∣∣∣∣

p2

2m

∣∣∣∣∣pi

− i∆

h〈xi+1|V (x)|pi〉

]

〈pi|xi〉 =

=∫

dpi

[

〈xi+1|pi〉 −i∆

h

p2i

2m〈xi+1|pi〉 −

i∆

hV (xi)〈xi+1|pi〉

]

〈pi|xi〉 =

=∫

dpi

[

〈xi+1|pi〉 −(i∆)H(pi , xi+1)

h〈xi+1|pi〉

]

〈pi|xi〉 =

=∫

dpi

[

1 − (i∆)H(pi , xi+1)

h

]

〈xi+1|pi〉 〈pi|xi〉 =

=∫

dpi2πh

[

1 − (i∆)H(pi , xi+1)

h

]

eipi(xi+1−xi)

h =

=∫ dpi

2πhe

−i∆H(pi,xi+1)

h ei pi(xi+1−xi)

h (5.3)

doveH(pi, xi+1) non è l’operatore hamiltoniano ma è la funzione hamiltoniana di pi exi+1 perché risulta

H(pi , xi+1) =p2i

2m+ V (xi+1)

Se inseriamo nello sviluppo(5.2) il risultato (5.3) ricavato da〈xi+1|e−iHh

∆|xi〉,otteniamo

〈y|e−i Hh t|x〉 = 〈y|e(−i Hh tn)n|x〉 =

=∫dx1 dx2 · · · dxn−1 dp1 dp2 · · · dpn−1

(2πh)n−1e

i

h

i

[pi (xi+1 − xi) −H(pi, xi+1) ∆]=

=∫dx1 dx2 · · · dxn−1 dp1 dp2 · · · dpn−1

(2πh)n−1e

i

h

i

[

pixi+1 − xi

∆−H(pi, xi+1)

]

∆=

=∫dx1 dx2 · · · dxn−1 dp1 dp2 · · · dpn−1

(2πh)n−1e(i/h)

∫ t

0dt [px−H(p, x)]

(5.4)

conp = p(t) ex = x(t).L’integrale all’esponente si calcola su un camminox(t) e p(t) tali chep(t) non ha

vincoli, mentrex(t) valex in t = 0 e valey in t.

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96 CAPITOLO 5. FORMULAZIONE MEDIANTE INTEGRALI DI CAMMINO

Il ruolo dei differenziali inizialidxi e dpi è quello di dare all’integrale complessivoil significato di somma di tutti i possibili risultati dell’esponenziale calcolato su tutti ipossibili camminix(t) ep(t).

Mentre classicamente la traiettoria percorsa dalla particella è solo quella che mini-mizza l’azione, quantisticamente la particellavisita tutti i cammini possibili che con-giungonox ay.

Questo aspetto è in accordo con il fatto che in meccanica quantistica esiste lo statodella particella in virtù del quale essa passa attraverso due fenditure contemporanea-mente se le fenditure sono due, oppure attraverso le tre fenditure se esse sono tre, e cosìvia.

Quindi dire che per conoscere l’evoluzione temporale di unostato occorre consi-derare infiniti cammini, equivale alla situazione per cui laparticella passa contempora-neamente attraverso infinite fenditure, come la meccanica quantistica, in base ai propriprincipi, permette che avvenga.

La meccanica classica si deve ottenere come limite della meccanica quantisticaquandoh tende a zero. Dato allora un integrale del tipo

eiλf(x) dx

seλ tende a+∞ (situazione equivalente ah che tende a zero), allora la fase dell’espo-nenziale varia molto rapidamente e tutte le oscillazioni forniscono in media area totalenulla con l’integrale.

Se consideriamo invece il minimo dellaf(x) all’esponente, ovvero il punto in cuil’esponente variadi meno, allora si ha un integralesostanzialmentediverso da zero.

La meccanica classica è data dunque dal minimo dell’azione

S =∫ t2

t1L(x, p) dt

e tale minimo fornisce le equazioni del moto classiche.In meccanica quantistica si è ottenuto quindi, conx(0) = x, x(T ) = y e senza

nessun vincolo per i camminip(t), la relazione generale

〈y|e−i Hh t|x〉 = K(y, x; t) =∫

δx δp e(i/h)∫ t

0[px−H(x,p)] dt =

δx δp eiSh

che rappresenta la soluzione esatta di qualunque problema quantistico, doveS rappre-senta l’azione classica. Mentre in meccanica classica occorre di volta in volta risolverele equazioni di Hamilton, sorprendentemente in meccanica quantistica si ha unaformulafissain base alla quale per risolvere un problema bastasoltantocalcolare un integrale,l’integrale(5.4) (che comunque risulta di grande difficoltà in dimensione infinita).

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5.1. INTEGRALI DI CAMMINO E FENOMENO DELL’INTERFERENZA 97

5.1 Integrali di cammino e fenomeno dell’interferenza

Calcoliamo la parte inp, che è gaussiana, dell’integrale(5.4) esplicitato nella forma

K(y, x; t) =∫ x(T )=y

x(0)=xδx δp e

(i/h)∫ t

0

[

px− p2

2m−V (x)

]

dt

in cui si ha

δ∫(

px− p2

2m

)

dt =∫ (

x− p

m

)

δp dt = 0 per p = mx

Definendop(t) = mx(t) + p(t), si ha δp = δp da cui segue

K(y, x; t) =∫ x(T )=y

x(0)=xδx δp e

(i/h)∫ t

0

[

px− p2

2m−V (x)

]

dt=

=∫ x(T )=y

x(0)=xδx δp e

(i/h)∫ t

0

[

mx2+px−mx2

2− p2

2m−px−V (x)

]

dt=

=∫ x(T )=y

x(0)=xδx e

(i/h)∫ t

0

[mx2

2−V (x)

]

dt∫

e−(i/h)∫ t

0

p2

2mdt δp (5.5)

L’integrale di dimensione infinita inδp sarà una funzionef(t) soltanto della varia-bile t a potrà essere inglobata nella definizione diδx in modo che rimanga da calcolaresolo l’integrale inδx.

Calcoliamo allora il propagatore della particella libera mediante l’integrale di cam-mino (5.5) in cui si haV (x) = 0

K(y, x; t) =∫ x(T )=y

x(0)=xδx e(i/h)

∫ t

0mx2

2dt′

in cui si è postoV (x) = 0Se eseguiamo la variazione dell’esponente per determinarne il minimo, otteniamo

δ∫ t

0

mx2

2dt′ = m

x δxdt′ = m[

x δx|T0 −∫ t

0x′′δxdt′

]

= m[

−∫ t

0x′′δxdt′

]

= 0

perx′′(t′) = 0, avendo utilizzatoδx(0) = δx(T ) = 0.Ponendo allora

x(t′) =[y − x

tt′ + x

]

+ x(t′) con x(0) = x(t) = 0

si ottiene, non confondendot cont′

K(y, x; t) =∫ x(T )=y

x(0)=xδx e(i/h)

∫ t

0mx2

2dt′ =

∫ x(t)=0

x(0)=0δx e

im

2h

∫ t

0

(y − x

t+ ˙x

)2

dt′

=

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98 CAPITOLO 5. FORMULAZIONE MEDIANTE INTEGRALI DI CAMMINO

=∫

δx e

im

2h

∫ t

0

[(y − x

t

)2

+ ˙x2+ 2

(y − x

t

)

˙x

]

dt′

=

=∫

δx

e

im

2h

(y − x

t

)2

t

e

im

2h

∫ t

0

˙x2dt′

e

im

h

(y − x

t

) ∫ t

0

˙x dt′

=

= h(t) e

im (y − x)2

2ht

conh(t) funzione soltanto del tempo perché

δx e

im

2h

∫ t

0

˙x2dt′

= h(t)

e

e

im

h

(y − x

t

) ∫ t

0

˙x dt′

= e

im

h

(y − x

t

)

[ ˙x(t) − ˙x(0)] dt′

= e0 = 1

Utilizziamo ora il propagatore della particella libera, coincidente con quello già rica-vato in precedenza, per ritrovare le frange di interferenzanel passaggio della particellaattraverso due fenditureF1 eF2.

Con riferimento alla seguente figura 5.1, consideriamo le fenditure come puntiformiin modo che siano solo due i cammini rilevanti; indichiamo con a il camminoPF1Q econb il camminoPF2Q, doveP rappresenta la sorgente delle particelle eQ il punto incui la particella incide sulla lastraL.

x = 0

Q (x0, y)

y = 0P

F1

F2L

fig. 5.1

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5.2. EFFETTO AHARONOV-BOHM 99

Il propagatore della particella libera dalla sorgente al punto Q sulla lastra è datoallora dalla somma dei due termini relativi ai due cammini possibili a e b

K(Q,P ; t) = e(i/h)S(a) + e(i/h)S(b)

doveS(a) eS(b) sono l’azione classica calcolate rispettivamente lungo ilcamminoa elungo il camminob.

Essendo la sorgenteP equidistante dalle due fenditure, si ha l’uguaglianza

e(i/h)S(P,F1) = e(i/h)S(P,F2)

in virtù della quale cè una fase irrilevante (ai fini del quadrato del modulo) nell’espres-sione del propagatoreK(Q,P ; t) che pertanto diventa

K(Q,P ; t) = eiφ[

e(i/h)S(F1,Q) + e(i/h)S(F2,Q)]

= eiφ[

eim |

−→F1Q|2

2ht + eim |

−→F2Q|2

2ht

]

La probabiltàP (Q) di rivelare la particella nella posizioneQ è data dunque da

P (Q) =

∣∣∣∣∣eim |

−→F1Q|2

2ht + eim |

−→F2Q|2

2ht

∣∣∣∣∣

2

= 1 + 1 + 2Re

eim |

−→F1Q|2

2ht e−im |

−→F2Q|2

2ht

=

= 2 + 2 cos[m

2ht(|

−→F1Q|2 − |

−→F2Q|2)

]

dove il termine con il coseno rappresenta le frange di interferenza.La formulazione di Feynmann della meccanica quantistica mediante integrali di

cammino permette dunque di ritrovare più rapidamente il fenomeno fondamentale del-l’interferenza, ma nongettanessuna luce nuova sul problema della riduzione del pac-chetto d’onda (collasso di uno stato su di un autostato). Continua pertanto a non esserespiegato il motivo per cui l’interazione del sistema con un apparato di misura sembranon obbedire all’equazione di Schrödinger.

5.2 Effetto Aharonov-Bohm

Consideriamo ora un solenoide infinito tale che al suo interno vi sia un campo magneticorappresentato dal vettoreB diverso da zero e all’esterno vi sia campo nullo.

Verifichiamo che all’esterno del solenoide il potenziale vettoreA è diverso da zerosebbene si abbiaB = 0.

Infatti si ha∫

γA · dl =

Σ∇×A · n dΣ =

B · n dΣ = ΦΣ(B) 6= 0

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100 CAPITOLO 5. FORMULAZIONE MEDIANTE INTEGRALI DI CAMMINO

da cui discende che il potenziale vettoreA è diverso dal vettore nullo.Quantisticamente con un esperimento di interferenza si puòstabilire se nel solenoide

circola o no corrente che genera un campo magnetico all’interno che altrimenti non èaccessibile.

Dato un solenoideS perpendicolare al foglio immerso nell’apparato di figura 5.2,vediamo che differenza c’è fra le frange di interferenza neicasi in cui il solenoideS èacceso o spento.

Poiché la presenza delle due fenditureF1 eF2 rende possibili i due camminiα e βfra la sorgente 1 di elettroni e il punto 2 sulla lastra, allora analizziamo tale problemamediante il formalismo degli integrali di cammino.

x = 0

2S

camminoα

camminoβ

1

F1

F2L

fig. 5.2

Per costruire l’integrale d’azione, occorre scrivere la lagrangiana associata all’ha-miltoniana(4.12): eseguendo la trasformata di Legendre sulla(4.12) si ottiene la fun-zione lagrangiana

L(x, x) =1

2mx2 + eA · x

da cui segue l’azione

S =∫

L(x, x) dt =∫

1

2mx2 dt+ e

A · dx

Utilizzando l’integrale di cammino, si ha∫

δx e−iS/h =∫

δx[

e(−i/h)∫ T

012mx2 dt

] [

e(−ie/h)∫ 2

1A·dx

]

=

=∫

δx e−iS0/h[

e(−ie/h)∫ 2

1A·dx

]

=

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5.2. EFFETTO AHARONOV-BOHM 101

=∫

δx e−iS0(α)/h[

e(−ie/h)

∫ 2

1,αA·dx

]

+∫

δx e−iS0(β)/h[

e(−ie/h)

∫ 2

1,βA·dx

]

doveS0(α) eS0(β) sono la parte libera dell’azione dovuta soltanto al terminedi energiacinetica(1/2)mx2 calcolata lungo il camminoα e il camminoβ.

Per avere l’interferenza, calcoliamo il quadrato del modulo

∣∣∣∣

δx e−iS/h∣∣∣∣

2

= 1 + 1 + 2Re[

eiS0(α)/he(ie/h)

∫ 2

1,αA·dx

e−iS0(β)/h e(−ie/h)

∫ 2

1,βA·dx

]

=

= 2 + 2Re

e(i/h) [S0(α)−S0(β)] e(ie/h)

[∫ 2

1,αA·dx−

∫ 2

1,βA·dx

]

Ora l’espressione∫ 2

1,αA · dx −

∫ 2

1,βA · dx

è un integrale di linea chiuso dal punto 1 al punto 2 (lungo il camminoα) e poi,cambiando segno al secondo integrale, dal punto 2 al punto 1 (lungo il camminoβ).

Quindi si ha

∫ 2

1,αA · dx −

∫ 2

1,βA · dx =

∫ 2

1,αA · dx +

∫ 1

2,βA · dx =

=∫

γA · dl =

Σ∇× A · n dΣ =

B · n dΣ = ΦΣ(B)

Dunque la variazione di fase∆φ è pari a

∆φ = ∆φ0 +e

hΦΣ(B)

cioè allo spostamento delle frange di interferenza contribuisce non solo la parte liberadell’azione, ma anche il flusso diB attraverso una superficie avente bordo coincidentecon una linea chiusaγ che avvolge il solenoide.

Quindi sembra paradossale che, sebbene l’interno del solenoide sia inaccessibile, cisi possa poi accorgere con questo esperimento di ciò che accade al suo interno.

Tale esperimento dimostra dunque che la meccanica quantistica basata sul funziona-le d’azione richiede come grandezze fondamentali i potenziali A eΦ perché non si puòscrivere un’azione con i campiE eB.

La considerazione che rende l’effetto di Aharonov-Bohm meno paradossale è chedurante l’intervallo di tempo di accensione del solenoide il campo magnetico passa dalvalore nullo al valore massimo e nasce così un campo elettrico attraverso l’equazione diMaxwell

∇×E = ∂B/∂t

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102 CAPITOLO 5. FORMULAZIONE MEDIANTE INTEGRALI DI CAMMINO

In tal modo anche un osservatore classico con un rivelatore classicosentel’accen-sione del campo magnetico perchè osserva l’effetto esercitato su un elettrone da partedella forza dovuta al campo elettrico.

Quando infine il campo magneticoB diventa costante pari al valore massimo, allo-ra dall’equazione di Maxwell si ricava che il rotore del campo elettrico diventa nullo.Poiché la presenza di tale campo elettrico nell’intervallodi tempo precedente ha fattovariare l’energia all’esterno del solenoide e ha prodotto di conseguenza una modificadelle orbite quantizzate (discrete) da un livello ad un altro, allora rimane ugualmentememoriadel campo elettrico in un intervallo di tempo precedente.

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Capitolo 6

Momento angolare

In meccanica classica il momento angolare è un vettore, indicato conL definito comeL = x × p, o con il formalismo delle componentiLi = εijk xipk, avendo utilizzato laconvenzione di Einstein sugli indici ripetuti e il simboloεijk che vale zero se due indicisono uguali e±1 a seconda cheijk sia una permutazione pari o dispari di1, 2, 3.

L’operatore quantisticoL è allora hermitiano e le sue componenti sono

L1 = x2p3 − x3p2 , L2 = x3p1 − x1p3 , L3 = x1p2 − x2p1

Abbiamo quindi le regole di commutazione fra componenti diverse del momentoangolare

[Li , Lj ] = ihεijk Lk

delle quali dimostriamo soltanto la prima, essendo la dimostrazione delle altre due deltutto identica

[L1 , L2] = (x2p3 − x3p2)(x3p1 − x1p3) − (x3p1 − x1p3)(x2p3 − x3p2) =

= ih(x1p2 − x2p1) = ihL3

DefinendoL2 = L21 + L2

2 + L23, si hanno i commutatori[L2 , Li] = 0 dei quali

dimostriamo soltanto il terzo, essendo identica la dimostrazione degli altri due

[L2 , L3] = [L21 + L2

2 + L23 , L3] = [L1L1 , L3] + [L2L2 , L3] =

= L1L1L3 − L3L1L1 + L2L2L3 − L3L2L2 =

= L1 (L3L1 − ihL2) − L3L1L1 + L2 (L3L2 + ihL1) − L3L2L2 =

= L1L3L1 − L3L1L1 + L2L3L2 − L3L2L2 − ih[L1 , L2] =

= [L1 , L3]L1 + [L2 , L3]L2 − ih[L1 , L2] =

= −ihL2L1 + ihL1L2 − ih[L1 , L2] = ih[L1 , L2] − ih[L1 , L2] = 0

103

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104 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

Scriviamo infine le due regole di commutazione

[Li, xk] = ihεikjxj e [Li, pk] = ihεikjpj

di cui dimostriamo soltanto la prima, essendo identica la dimostrazione della seconda

[Li, xk] = [εijhxjph, xk] = εijh (xjphxk − xkxjph) =

= εijh[xj (xkph − ihδkh) − xkxjph] = −ihεijh xjδkh = ihεikjxj

Poiché non ci sono altri operatori non banali (cioè che non siano funzione diL3)che commutano conL3, allora cerchiamo gli autovettori comuni dei due operatorichecommutanoL2 e L3 procedendo in modo astratto con il formalismo vettoriale diunospazio di Hilbert.

Scritte le equazioni secolari degli operatoriL2 eL3

L2 |λ,m〉 = h2λ |λ,m〉 e L3 |λ,m〉 = hm |λ,m〉

conλ em numeri puri, poniamoKi := Li/h per avere le equazioni normalizzate (senzala costanteh) nella forma

K2 |λ,m〉 = λ |λ,m〉 e K3 |λ,m〉 = m |λ,m〉

Definendo i due operatoriK+ eK− (che vengono denominati rispettivamente ope-ratori di innalzamentoeabbassamento)

K+ := K1 + iK2 e K− := K1 − iK2 = (K+)+

si ottengono i quadrati delle norme dei vettoriK± |λ,m〉

〈λ,m|K+K−|λ,m〉 = 〈λ,m|(K2 −K23 +K3)|λ,m〉 = λ−m2 +m ≥ 0 (6.1)

〈λ,m|K−K+|λ,m〉 = 〈λ,m|(K2 −K23 −K3)|λ,m〉 = λ−m2 −m ≥ 0 (6.2)

Dall’algebra dei commutatori

[K2 , K±] = 0 , [K3 , K+] = K+ , [K3 , K−] = −K−

si ottengono infine le equazioni secolari

K2K± |λ,m〉 = λK± |λ,m〉 ,

K3K+ |λ,m〉 = (m+ 1)K+ |λ,m〉 , K3K− |λ,m〉 = (m− 1)K− |λ,m〉 (6.3)

che mostrano che i vettoriK+ |λ,m〉 e K− |λ,m〉 sono ancora autoket diK2 relativiall’autovaloreλ e autoket diK3 con autovalori rispettivamentem+ 1 em− 1.

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105

Quindi gli operatoriK+ eK− trasformano un autoket|λ,m〉 diK3 relativo all’auto-valorem in un altro autoket diK3 relativo all’autovalore rispettivamentem+1 em−1:per questoK+ eK− vengono denominati rispettivamenteoperatori di innalzamento edi abbassamento.

Dalle disuguaglianze(6.1) e(6.2) si deduce che debbono esistere un valore massimoe un valore minimo perm oltre i quali tali disuguaglianze non valgono più.

Quindi dopo un numero finito di applicazioni degli operatoriK+ e K− all’auto-vettore|λ,m〉, si dovrà ottenere l’autovalore zero in modo che, come si deduce dallarelazione(6.3), non si possano continuare ad applicare tali operatori.

Avremo dunqueK+ |λ,mmax〉 = 0 da cui segueλ −m2max

−mmax = 0 e analoga-menteK− |λ,m

min〉 = 0 da cui segueλ−m2

min+m

min= 0.

Parametrizzandoλ nella formaλ = l(l + 1), si ha allora

l(l + 1) −mmax (mmax + 1) = 0 e l(l + 1) −mmin

(mmin

− 1) = 0

da cui discendono i valori massimo e minimo dim dati da

mmax = l e mmin

= −lA questo punto deve essere possibile poter passare dal valore minimom = −l al

valore massimom = l con un numero intero dipassi, aumentando quindim di unaunità ogni volta che si applica l’operatoreK+ o l’operatoreK− a seconda che si partarispettivamente dam = −l o dam = l.

Ma questo è possibile soltanto se l’ampiezza2l dell’intervallo [−l, l] è un numerointero positivon. Da n = 2l discende chel = n/2 è un numero intero sen è pari, èsemintero sen è dispari.

Abbiamo allora risolto il problema dello spettro del momento angolare e abbiamoscoperto che datol intero o semintero positivo, ci sono2l + 1 valori di m, ovvero ladegenerazione di un certo valorel è 2l + 1. Dunque il valorel fissa l’autovalore diK2

che risulta essereλ = l(l + 1) e i valori di m compresi fra−l e l rappresentano gliautovalori diK3.

Utilizzando di nuovo gli operatoriL2 eL3 con le relative dimensioni fisiche, abbia-mo le equazioni secolari

L2 |l,m〉 = h2 l(l + 1) |l,m〉 e L3 |l,m〉 = hm |l,m〉

Riscrivendo le(6.1) e (6.2) nella forma

〈λ,m|L+L−|l,m〉 = h2 [l(l + 1) −m(m− 1)]

〈λ,m|L−L+|l,m〉 = h2 [l(l + 1) −m(m+ 1)]

otteniamo i coefficienti tali che i vettoriL− |l,m〉 eL+ |l,m〉 siano di norma unitaria

L− |l,m〉 = h√

l(l + 1) −m(m− 1) |l,m− 1〉

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106 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

L+ |l,m〉 = h√

l(l + 1) −m(m+ 1) |l,m+ 1〉Utilizzando la(4.10), costruiamo ora le matrici che rappresentino i vari operatori

del momento angolare nella base|l,m〉, rispetto alla qualeL2 eL3 sono diagonali.Se l = 0, allora c’è un solo valore dim che èm = 0: in questo caso non vi

è degenerazione e indichiamo con|0, 0〉 il ket |l = 0, m = 0〉 che è l’unico autoketsimultaneo diL2 eL3. In questo caso la base|l,m〉 contiene l’unico elemento|0, 0〉e le matrici diL2, Li eL± sono costituite da un solo numero.

Per l = 1/2 abbiamo i due valorim = ±1/2 e la base|l,m〉 contiene i dueautostati simultanei diL2 eL3

∣∣∣∣

1

2,

1

2

e∣∣∣∣

1

2, − 1

2

Dalle relazioni

L2∣∣∣∣

1

2, ± 1

2

=3

4h2∣∣∣∣

1

2, ± 1

2

, L3

∣∣∣∣

1

2, ± 1

2

= ±1

2h∣∣∣∣

1

2, ± 1

2

L+

∣∣∣∣

1

2,

1

2

= 0 , L+

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

=

∣∣∣∣

1

2,

1

2

L−

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

= 0 , L−

∣∣∣∣

1

2,

1

2

=

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

si ottengono le matrici

L2 =3

4h2

(

1 00 1

)

, L3 =1

2h

(

1 00 −1

)

L+ =1

2h

(

0 10 0

)

, L− =1

2h

(

0 01 0

)

Per gli operatoriL1 eL2, si ha

L1 =L+ + L−

2=

1

2h

(

0 11 0

)

e L2 =L+ − L−

2i=

1

2h

(

0 −ii 0

)

Introducendo le tre matrici, dettematrici di Pauli,

σ1 =

(

0 11 0

)

, σ2 =

(

0 −ii 0

)

, σ3 =

(

1 00 −1

)

abbiamo che perl = 1/2 le tre matrici che rappresentano le tre componenti del momentoangolare sono

Lj =1

2hσj

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107

Le matrici di Pauli possiedono le seguenti proprietà

Trσi = 0 , σ2i = I , σh σk = iεhkj σj , [σh, σk] = 2iεhkj σj

Per concludere, nel casol = 1 si hanno i tre valorim = 1, 0,−1 e i tre autoketsimultanei diL2 eL3

|1, 1〉 , |1, 0〉 , |1,−1〉che formano una base rispetto alla quale, in modo del tutto analogo al caso precedente,si determinano le matrici diL2 eLi.

Per stabilire la molteplicità degli autovalori del momentoangolare, dobbiamo pro-cedere come per l’oscillatore armonico, ovvero dobbiamo analizzare il problema diffe-renziale corrispondente all’equazione secolare del momento angolare.

Quando il momento angolare è una grandezza conservata, il problema può esserestudiato più facilmente se viene espresso nelle coordinatepolarir, θ, φ definite come

x = r sin θ cos φy = r sin θ sin φ con θ ∈ [0, π] , φ ∈ [0, 2π]z = r cos θ

le cui inverse sono

r =√

x2 + y2 + z2 , θ = arccos(z

r

)

, φ = arctan(y

x

)

In coordinate polari, le derivate parziali rispetto ax, y, z assumono la forma

∂x=∂r

∂x

∂r+∂θ

∂x

∂θ+∂φ

∂x

∂φ= sin θ cosφ

∂r+

cos θ cosφ

r

∂θ− sin φ

r sin θ

∂φ

∂y=∂r

∂y

∂r+∂θ

∂y

∂θ+∂φ

∂y

∂φ= sin θ sinφ

∂r+

cos θ sin φ

r

∂θ+

cosφ

r sin θ

∂φ

∂z=∂r

∂z

∂r+∂θ

∂z

∂θ+∂φ

∂z

∂φ= cos θ

∂r− sin θ

r

∂θ

da cui seguono le relazioni

L+ = L1 + iL2 = h

[

i

(

z∂

∂y− y

∂z

)

+ z∂

∂x− x

∂z

]

= h eiφ(

∂θ+i cos θ

sin θ

∂φ

)

L− = L1 − iL2 = h

[

i

(

z∂

∂y− y

∂z

)

− z∂

∂x+ x

∂z

]

= h e−iφ(

i cos θ

sin θ

∂φ− ∂

∂θ

)

L3 = −ih(

x∂

∂y− y

∂x

)

= −ih ∂∂φ

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108 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

Dall’equazione secolareL3 |l,m〉 = hm |l,m〉 segue l’equazione differenziale

−ih ∂∂φ

ψ(r, θ, φ) = hmψ(r, θ, φ)

la cui soluzioneψ(r, θ, φ) = F (r, θ) eimφ (6.4)

rappresenta le autofunzioni diL3 e dunque anche diL2

Dalla condizione di periodicità che la soluzioneψ(r, θ, φ) deve soddisfare, si ottienela relazione

eimφ = eim(φ+2π)

dalla quale deduciamo che la soluzioneψ(r, θ, φ) è periodica solo se l’autovaloremdell’operatoreL3 è un numero intero.

Quindi mentre il problema algebrico ci ha fornito perL2 edL3 gli autovaloril ementrambi interi o seminteri (conl non negativo), il problema differenziale ci selezionasolo i valori interi dim da cui segue che gli autostati simultanei diL2 edL3 sono soloquelli corrispondenti ai valori interi dil em. Dunque i valori seminteri dil sono abbinatiagli autovalori di operatori non rappresentabili con l’espressioneL = x × p.

Allora il momento angolareL = x×p tale cheL2 edL3 hanno spettro dato da valoriinteri di l em, viene denominatomomento angolare orbitale; il momento angolare talecheL2 edL3 hanno spettro dato da valori seminteri dil em, non deriva dall’espressioneclassicaL = x × p ed è denominatomomento angolare di spin, o semplicementespin.

In particolare le matrici di Pauli non sono esprimibili comex× p. Dopo aver intro-dotto lo spin perrecuperarela parte di spettro costituita da autovalori seminteri, osser-viamo che, essendo i due tipi di momento angolare in ogni casodistinti, anche lo spinpuò avere valori interi.

Dall’espressione diL2 data da

L2 = L+L− + L23 − hL3 =

= h2 eiφ(

∂θ+i cos θ

sin θ

∂φ

)[

e−iφ(

i cos θ

sin θ

∂φ− ∂

∂θ

)]

− h2 ∂2

∂φ2+ ih2 ∂

∂φ=

= −h2

(

∂2

∂θ2+

cos θ

sin θ

∂θ+

1

sin2 θ

∂2

∂φ2

)

ricaviamo che in coordinate polari ancheL2 è indipendente dalla coordinatar, da cuisegue che le autofunzioni(6.4) di L2 eL3 possono essere riscritte nella forma separatadi prodotto di funzioni di singola variabile

ψ(r, θ, φ) = G(r)Alm(θ) eimφ

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109

Dall’equazioneL+ |l, l〉 = 0 ricaviamo l’equazione differenziale

h eiφ(

∂θ+i cos θ

sin θ

∂φ

)

[All(θ) eilφ] = 0

la cui soluzione èAll(θ) = h sinl θ

conh costante di integrazione.L’autofunzione diL2 eL3, corrispondente agli autovaloril, l e indicata conYll(θ, φ),

è data dunque dal prodotto separato di funzioni di singola variabile

Yll(θ, φ) = All(θ) eilφ = h sinl θ eilφ

e tutte le altre autofunzioniYlm(θ, φ) di L2 e L3, corrispondenti agli autovaloril,m,si ottengono applicando successivamente l’operatore di abbassamentoL− finché non sigiunge aL− Yl,−l(θ, φ) = 0.

Poiché l’equazione differenziale che ci ha dato la soluzioneAll(θ) ha soluzione uni-ca, concludiamo che non c’è degenerazione inl, ovvero non esistono due autofunzionilinearmente indipendenti diL2 corrispondenti al medesimo valore dil.

Per la determinare il valore della costanteh di integrazione, scegliamo la condizionedi normalizzazione

|Ylm(θ, φ)|2 dΩ =∫

Y ∗lm(θ, φ) Ylm(θ, φ) sin θ dθ dφ = 1

Le autofunzioniYlm(θ, φ) simultanee diL2 e L3 vengono denominatearmonichesferichee intervengono in ogni problema a simmetria sferica.

Perm ≥ 0 l’espressione generale delle armoniche sferiche è data da

Ylm(θ, φ) = N (−1)m eimφ Pml (cos θ) e Yl,−m(θ, φ) = (−1)mY ∗

lm(θ, φ)

doveN è una costante positiva di normalizzazione e il simboloPml (u) rappresenta i

cosiddettipolinomi associati di Legendre, già noti ai matematici prima della nascitadella meccanica quantistica, i quali, a meno di una costantedi normalizzazione, sonodati da

Pml (u) = (1 − u2)−m/2

(

d

du

)l−m(1 − u2)l con m ≥ 0

Se applichiamo l’operatore di parità, indicato conP, alle armoniche sferiche (cioèse invertiamo i tre assi cartesiani), otteniamo

P Yl,m(θ, φ) = (−1)l Yl,m(θ, φ)

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110 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

ovvero ricaviamo la proprietà per cui le armoniche sferichepossiedono la parità delnumero quanticol.

Riportiamo per comodità le armoniche sferiche corrispondenti ai valori l = 0, 1, 2

Y0,0 =1√4π, Y1,1 = −

3

8πeiφ sin θ, Y1,0 =

3

4πcos θ,

Y2,2 =

15

32πe2iφ sin2 θ, Y2,1 = −

15

8πeiφ sin θ cos θ, Y2,0 =

5

16π(3 cos2 θ−1)

Talvolta comunque, come ad esempio per scrivere in coordinate polari l’equazionedi Schrödinger di un atomo idrogenoide, può essere utile esprimereL2 in funzione dipe dir che sono rispettivamente il modulo dell’impulsop e della posizioner.

Utilizzando la notazione(x, y, z) = (q1, q2, q3) e le relazioni

pjqj = qjpj − ih , x∂

∂x+ y

∂y+ z

∂z= r

∂r

(xpx + ypy + zpz)2 = −h2

(

r∂

∂r

)(

r∂

∂r

)

= −h2r∂

∂r− h2r2 ∂2

∂r2

(xpx + ypy + zpz)2 = (xpx + ypy + zpz) (xpx + ypy + zpz) =

= x2p2x + y2p2

y + z2p2z + 2xypxpy + 2xzpxpz + 2yzpypz − ih (xpx + ypy + zpz)

otteniamoL2 = (r × p)2 =

= (ypz − zpy)(ypz − zpy) + (zpx − xpz)(zpx − xpz) + (xpy − ypx)(xpy − ypx) =

= (y2p2z − ypzzpy − zpyypz + z2p2

y) + (z2p2x − zpxxpz − xpzzpx + x2p2

z)+

+(x2p2y − xpyypx − ypxxpy + y2p2

x) =

= x2 (p2y + p2

z) + y2 (p2x + p2

z) + z2 (p2x + p2

y) − ypy (zpz − ih) − zpz (ypy − ih)+

−zpz (xpx − ih) − xpx (zpz − ih) − xpx (ypy − ih) − ypy (xpx − ih) =

= x2 (p2 − p2x) + y2 (p2 − p2

y) + z2 (p2 − p2z)+

−2xypxpy − 2xzpxpz − 2yzpypz + 2ih (xpx + ypy + zpz) =

= (x2 + y2 + z2) p2 − (xpx + ypy + zpz)2 + ih (xpx + ypy + zpz) =

= r2 p2 + 2h2r∂

∂r+ h2r2 ∂2

∂r2

da cui segue l’espressione dip2 in coordinate polari

p2 =L2

r2− 2h2

r

∂r− h2 ∂2

∂r2(6.5)

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6.1. MOMENTO ANGOLARE DI SPIN 111

Se, come in meccanica classica, esprimiamo

p2 =L2

r2+ p2

r

dove conpr si indichi la componente dell’impulso lungo la direzione radiale, allora dalconfronto con la(6.5) si ricava l’espressione dip2

r data da

p2r = −2h2

r

∂r− h2 ∂2

∂r2

A questo punto per ottenere l’espressione dell’operatorepr utilizziamo l’identità[

−ih(

1

r+

∂r

)] [

−ih(

1

r+

∂r

)]

ψ(r) =

[

−2h2

r

∂r− h2 ∂2

∂r2

]

ψ(r)

la quale, riscritta nella formaprprψ(r) = p2rψ(r), permette di dedurre l’espressione

dell’operatorepr

pr = −ih(

1

r+

∂r

)

E’ poi di immediata verifica la relazione del commutatore canonico [r, pr] = ih chepossiede la stessa forma dei commutatori canonici degli operatori componenti cartesianedella posizione e dei relativi impulsi coniugati.

Quindi possiamo dire che la relazione del commutatore canonico di una coordinataspaziale e del corrispondente impulso coniugato resta valida anche in coordinate polari,sebbene l’operatorepr non sia proporzionale alla derivata lungo la direzioner.

6.1 Momento angolare di spin

Poiché, come detto, la parte di spettro del momento angolarecorrispondente a valoriseminteri dil e dim non può essere associata alla grandezzaL = x×p, allora introdu-ciamo un nuovo grado di libertàinternodella particella, dettospine indicato conS, taleche verifichi le stesse regole di commutazione del momento angolare orbitale, ovvero

[Sh, Sk] = iεhkjSj e [Sh, xk] = [Sh, pk] = [S2, Sh] = 0

Indicando ancora gli autovalori diS2 conl, consideriamo una rappresentazione del-l’operatoreS2 data da una matrice contenente una sola volta un solo blocco corrispon-dente ad un certo valore dil, in modo che tale matrice risulti essere il prodotto dil(l+1)con la matrice identità. Dalle regole di commutazione deglioperatori di spin

[Sh, Sk] = iεhkjSj e [S2, Sh] = 0

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112 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

segue, in analogia con quanto abiamo ottenuto per il momentoangolare orbitale, chegli operatoriS2 eS3 sono diagonalizzabili attraverso una base di autovettori comuni ehanno autovalori rispettivamenteS2 = s(s + 1) h2 eS3 = hm cons intero o seminteroem intero o semintero avente valori compresi fra−s es.

A questo punto, unendo lo spazio del momento angolare di spincon lo spazio delmomento angolare orbitale mediante il prodotto tensorialedei relativi ket, otteniamo

chk |αh〉 ⊗ |βk〉

Se scegliamo dunque come elementi di base nello spazio dellospin1/2 i due auto-stati dell’operatoreS3

(

10

)

e

(

01

)

allora il generico statoΨ(r) assume la forma

Ψ(r) = ψ1(r)

(

10

)

+ ψ2(r)

(

01

)

=

(

ψ1(r)ψ2(r)

)

dove|ψ1(r)|2 rappresenta la densità di probabilità che la particella sialocalizzata inrcon terza componente dello spin pari a1/2 e |ψ2(r)|2 è la densità di probabilità che laparticella sia localizzata inr con terza componente dello spin pari a−1/2.

Verifichiamo ora che, come deve essere, risulta[px, Sx] = 0. Si ha infatti

[px, Sx]

(

ψ1(r)ψ2(r)

)

= ihh

2

[(

0 11 0

)

∂x

(

ψ1(r)ψ2(r)

)

− ∂

∂x

(

0 11 0

) (

ψ1(r)ψ2(r)

)]

=

=ih2

2

(

0 11 0

)

∂ψ1(r)

∂x

∂ψ2(r)

∂x

− ∂

∂x

(

ψ2(r)ψ1(r)

)

= 0

Lo spin è un vero momento angolare perché la somma dello spin con il momentoangolare orbitale si conserva.

Dopo aver introdotto lo spin, utilizziamo come elementi di base dello spazio piùgenerale i ket|x, y, z;m〉 sui quali abbiamo le seguenti azioni degli operatori

x |x, y, z;m〉 = x |x, y, z;m〉 e S3 |x, y, z;m〉 = hm |x, y, z;m〉

avendo trascurato l’operatoreS2 in quanto prodotto dell’identità per il fattorel(l + 1)conl fissato.

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6.1. MOMENTO ANGOLARE DI SPIN 113

Relativamente alla base|x, y, z;m〉, la generica funzione d’onda assume dunquela formaψ±(x, y, z) = 〈x, y, z|ψ〉 e il rappresentativo del trasformato di un genericostato|α〉 mediante azione di un operatore di spin, come per esempioSx, è dato da

〈x, y, z;m|Sx|α〉 = (Sx)mm′ 〈x, y, z;m′|α〉 = (Sx)mm′ ψα (r, m′)

dove la funzioneψα (r, m′) viene denominataspinore, riscrivibile nella forma

ψ−s(r)ψ−s+1(r)ψ−s+2(r)··ψs(r)

Nel caso dell’elettrone, si osserva empiricamente che il suo spin vales = 1/2 da cuisegue chem assume i valori−1/2 , 1/2. Per osservare sperimentalmente lo spin occorreconsiderare una particella carica immersa in un campo magnetico la cui dinamica èdescritta da quella che si chiamaequazione di Pauli magnetostatica.

6.1.1 L’equazione di Pauli

Una particella carica ha un momento magnetico che interagisce con il campo elettro-magnetico, ma trascuriamo la trattazione quantistica del campo. Inoltre il momen-to magnetico della particella genera a sua volta un campo elettromagnetico che puretrascuriamo.

Utilizzando l’hamiltoniana(4.12) e considerando il contributo all’energia del mo-mento magnetico della particella proporzionale allo spin,si ottiene l’equazione di Paulidella particella carica in campo magnetico

ih∂

∂t

(

ψ+(x)ψ−(x)

)

=

[

1

2m

(

p− e

cA

)2

+ eΦ(x) − eh

2mc~σ · ~B

] (

ψ+(x)ψ−(x)

)

dove l’espressione in parentesi quadra a secondo membro rappresenta l’hamiltoniana diPauli e il simbolo~σ = (σ1, σ2, σ3) rappresenta il vettore formale avente per componentiformali le tre matrici di Pauli.

Consideriamo ora il caso di potenziale scalareΦ = 0 e di potenziale vettoreA(x, t)

tale che il campo magnetico~B sia un vettore costante.Un campo magnetico~B = (Bx, By, Bz) costante (e orientato in modo generico) può

essere ottenuto come rotore del potenziale vettore

A =1

2B × r

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114 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

conr = (x1, x2, x3), da cui in effetti discende

(∇× A)i = εijk ∂jAk =1

2εijk ∂j (εkhqBhxq) =

1

2εkij εkhqBh ∂j xq =

=1

2εkij εkhqBh δjq =

1

2εkji εkjhBh =

1

22 δihBh = Bi

avendo usato le relazioni, di facile dimostrazione,

εkij εkhq = δihδjq − δiqδjh e εkji εkjh = 2 δih

Sviluppando l’hamiltoniana di Pauli nel caso di campo~B debole, in modo quindicheB2 possa essere trascurato rispetto aB, si ottiene

(

p− e

cA

)2

=(

p− e

2cB × r

)2

≈ p2 − e

2cp · (B × r) − e

2c(B × r) · p =

= p2 − e

2cεijk (piBjxk +Bjxkpi) = p2 − e

cεijk piBjxk = p2 − e

cBj εjki xkpi =

= p2 − e

cBjLj = p2 − e

cB · L

dovexk epi sono stati considerati commutanti perché per la presenza del fattoreεjki glioperatori posizione e impulso non hanno mai lo stesso indice.

Nel caso dunque di campo magneticoB debole e costante eΦ = 0, l’hamiltonianamagnetostatica di Pauli diventa

1

2m

(

p− e

cA

)2

+ eΦ(x) − eh

2mc~σ · ~B ≈ p2

2m− e

2mc~B · ~L− e

2mc~B · h~σ

22

da cui otteniamo l’equazione di Pauli

ih∂

∂t

(

ψ+(x)ψ−(x)

)

=

[

p2

2m− e

2mc~B · (~L+ 2~S)

] (

ψ+(x)ψ−(x)

)

avendo trascurato la controreazione della particella sul campo elettromagnetico esterno.Per osservare lo spin consideriamo la seguente situazione:si abbia una particella

abbastanzapesante da muoversi “poco” nel tempo di osservazione e tale che, partendodalla sorgenteS, possa passare attraverso due fenditureF1 eF2.

Se la particella è “ferma”, ovvero valep2 ≈ 0, allora si ha ancheΦ(x) ≈ 0 perchécon una particella ferma non si forma il gradiente∇Φ(x) = ~E (∇ ≈ p) che rappresentaappunto il campo elettrico.

In questo modo con le approssimazioni considerate l’equazione di Pauli assume laforma

ih∂ψ

∂t= −µ0

~B · ~σ ψ (6.6)

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6.1. MOMENTO ANGOLARE DI SPIN 115

Supponiamo quindi che il campo~B sia costante lungo l’assex con le due orientazio-ni date da~B = (B, 0, 0) sulla fendituraF1 e ~B = (−B, 0, 0) sulla fendituraF2 (comenella seguente figura 6.1), in modo tale che l’equazione di Pauli assuma le due forme

ih∂ψ

∂t= −µ0Bσx ψ e ih

∂ψ

∂t= µ0Bσx ψ

in corrispondenza rispettivamente della fendituraF1 e della fendituraF2.

x

~B

~B

ψ(x)χ0

ψ1(x)χ1

ψ2(x)χ2

S

F1

F2fig. 6.1

Dato lo spinore inizialeχ0 = (1, 0), possiamo scrivere lo stato iniziale

Ψ0 (x) = ψ(x)χ0 = ψ(x)

(

10

)

delle particelle neutre, avremo la separazione di tale stato nelle due componenti relativealle due fenditure

ψ1(x)χ1(t) = ψ1(x)

(

α1(t)β1(t)

)

e ψ2(x)χ2(t) = ψ2(x)

(

α2(t)β2(t)

)

che poi vengono sovrapposte coerentemente a dare

Ψ(x, t) =1√2ψ1(x)

(

α1(t)β1(t)

)

+1√2ψ2(x)

(

α2(t)β2(t)

)

In tal modo le frange di interferenza sono prodotte dal modulo quadro della sovrap-posizione

|Ψ(x, t)|2 =1

2

∣∣∣∣∣ψ1(x)

(

α1(t)β1(t)

)

+ ψ2(x)

(

α2(t)β2(t)

)∣∣∣∣∣

2

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116 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

Poiché la presenza del campo magnetico intorno alla posizione delle due fendi-ture incide soltanto sulla parte spinoriale della funzioned’onda complessiva, quelloche dovremo calcolare è l’evoluzione temporale dello spinore iniziale per effetto dellehamiltoniane d’interazione

H1 = −µ0Bσx e H2 = µ0Bσx

rispettivamente agenti sulla fenditura 1 (H1) e sulla fenditura 2 (H2).Gli autostati diHi sono dunque gli autostati della matrice di Pauliσx.PerH1 abbiamo gli autovettori normalizzati

u1 =

(

1/√

2

1/√

2

)

e u2 =

(

1/√

2

−1/√

2

)

corrispondenti rispettivamente agli autovalori−µ0B e µ0B; perH2 abbiamo gli stessiautovettori normalizzati

u1 =

(

1/√

2

1/√

2

)

e u2 =

(

1/√

2

−1/√

2

)

corrispondenti in questo caso rispettivamente agli autovalori µ0B e−µ0B.Poiché lo spinore iniziale si esprime nella base degli autostati diH con la relazione

(

10

)

=1√2

(

1/√

2

1/√

2

)

+1√2

(

1/√

2

−1/√

2

)

avremo che, indicando conB′ il rapportoB/h, l’evoluzione temporale dello spinoreiniziale attraverso la fenditura 1 è data dallo spinore

(

α1(t)β1(t)

)

=eiµ0B′t

√2

(

1/√

2

1/√

2

)

+e−iµ0B′t

√2

(

1/√

2

−1/√

2

)

=

(

cos(µ0B′t)

i sin(µ0B′t)

)

mentre l’evoluzione temporale dello spinore iniziale attraverso la fenditura 2 è data dallospinore(

α2(t)β2(t)

)

=e−iµ0B′t

√2

(

1/√

2

1/√

2

)

+eiµ0B′t

√2

(

1/√

2

−1/√

2

)

=

(

cos(µ0B′t)

−i sin(µ0B′t)

)

A questo punto possiamo scrivere lo stato sovrapposizione nella forma

Ψ(x, t) =1√2

(

(ψ1 + ψ2) cos(µ0B′t)

i (ψ1 − ψ2) sin(µ0B′t)

)

e ottenere la densità di probabilità calcolando

|Ψ(x, t)|2 =1

2[(ψ2

1 + ψ22 + 2ψ1ψ2) cos2(µ0B

′t) + (ψ21 + ψ2

2 − 2ψ1ψ2) sin2(µ0B′t)] =

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6.2. COMPOSIZIONE DI MOMENTI ANGOLARI 117

=1

2[ψ2

1 + ψ22 + 2ψ1ψ2 cos(2µ0B

′t)]

da cui si ricava il termine d’interferenza, indicato conE(t), dato dunque da

E(t) = 2ψ1ψ2 cos(2µ0B′t)

Il fenomeno dell’interferenza permette di osservare lo spin della particella perché sipossono osservare frange di interferenza di diversa forma in conseguenza dell’accensio-ne dei campi magnetici dietro le due fenditure.

Indicati quindi cont1 l’intervallo di tempo tale che2µ0B′t1 = π e cont2 l’intervallo

di tempo tale che2µ0B′t2 = 2π, abbiamo allora che lo spinore inizialeχ0 = (1, 0),

dopo il passaggio delle particelle attraverso le due fenditure, si separa nei due spinoridistinti dati daχ(t1) = (−1, 0), corrispondente alla fendituraF1, e χ(t2) = (1, 0),corrispondente alla fendituraF2.

Si ottiene dunque una diversa forma delle frange di interferenza perché dopo untempot1 il termine di interferenzaE(t) è un doppio prodotto negativo, mentre dopo untempot2 il termine di interferenzaE(t) è un doppio prodotto positivo.

6.2 Composizione di momenti angolari

Per evitare di scrivere indici, indichiamo i due generici momenti angolari con i simboliLeS senza fare necessariamente riferimento al momento angolare orbitale e al momentoangolare di spin.

Considerandoh riscalata, indichiamo con il simbolo

|l, lz〉

l’autoket simultaneo degli operatoriL2 eLz e con il simbolo

|s, sz〉

l’autoket simultaneo degli operatoriS2 eSz.SianoL− eL+ i due operatori rispettivamente diabbassamentoe di innalzamento

della terza componente del momento angolareL che, come noto, agiscono con le regole

L−|l, lz〉 =√

l(l + 1) − lz(lz − 1) |l, lz − 1〉

L+|l, lz〉 =√

l(l + 1) − lz(lz + 1) |l, lz + 1〉Analogamente sianoS− eS+ i due operatori rispettivamente diabbassamentoe di

innalzamentodella terza componente del momento angolareS che, come noto, agisconocon le regole

S−|s, sz〉 =√

s(s+ 1) − sz(sz − 1) |s, sz − 1〉

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118 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

S+|s, sz〉 =√

s(s+ 1) − sz(sz + 1) |s, sz + 1〉Definiamo ora l’operatoremomento angolare totaleJ , ottenuto dallacomposizione

dei due momenti angolariL eS,

J := L+ S

che agisce sullo spazio vettoriale dato dal prodotto tensoriale

|l, lz〉 |s, sz〉

dello spazio vettoriale diL con lo spazio vettoriale diS in modo cheL agisca solo sulket |l, lz〉 eS agisca solo sul ket|s, sz〉.

Per indicare il prodotto tensoriale di due ket, scriviamo per semplicità i due ket unodi seguito all’altro,|l, lz〉 |s, sz〉, senza porre fra i due, come si trova su alcuni testi, ilsimbolo⊗, ovvero|l, lz〉⊗|s, sz〉.

Dalle regole di commutazione degli operatoriL eS seguono facilmente le regole dicommutazione relative alle componenti dell’operatoreJ

[J2, Jx] = [J2, Jy] = [J2, Jz] = 0 e [Jα, Jβ] = iεαβγ Jγ

Dallo sviluppo dell’operatoreJ2 dato da

J2 = L2 + S2 + 2L · S = L2 + S2 + 2LzSz + L−S+ + L+S− (6.7)

segue che l’operatoreJ2 commuta sia con l’operatoreL2 che con l’operatoreS2.Abbiamo pertanto due insiemi completi di operatori che commutano fra loro che

sono l’insieme degli operatori

L2, S2 Lz, Sz,

e l’insieme degli operatoriL2, S2 J2, Jz,

Sullo spazio prodotto tensoriale abbiamo allora una baseB1 costituita da autoketsimultanei degli operatoriL2, S2, Lz eSz

B1 = |l, lz〉 |s, sz〉

e una baseB2 costituita da autoket simultanei degli operatoriL2, S2, J2 eJz

B2 = |l, s; j, jz〉

La dimensioned1 dello spazio vettoriale di baseB1 è data, come è ben noto, dallarelazioned1 = (2l + 1)(2s + 1); affinché anche lo spazio vettoriale di baseB2 abbiadimensioned1, i valori di j debbono variare di una unità nell’intervallo dato da

|l − s| ≤ j ≤ l + s

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6.2. COMPOSIZIONE DI MOMENTI ANGOLARI 119

Indicando cond2 la dimensione dello spazio vettoriale di baseB2 e considerando,senza perdita di generalità,l ≥ s, verifichiamo l’uguaglianzad1 = d2: si ha infatti,cambiando indice di sommatoriai := j − l + s

d2 =l+s∑

j=l−s(2j + 1) =

2s∑

i=0

(2i+ 2l − 2s+ 1) = (2l + 1)(2s+ 1) = d1

Definendo gli operatoriJ− := L− + S− e J+ := L+ + S+ rispettivamente diab-bassamentoe di innalzamentodella terza componente del momento angolare totaleJ ,la loro azione risulta essere

J− |j, jz〉 =√

j(j + 1) − jz(jz − 1) |j, jz − 1〉

J+ |j, jz〉 =√

j(j + 1) − jz(jz + 1) |j, jz + 1〉

Quello che vogliamo ora fare è esprimere un autoket simultaneo degli operatoriJ2

e Jz, indicato con|j, jz〉, come combinazione lineare degli autoket simultanei deglioperatoriLz eSz, indicati con|l, lz〉 |s, sz〉.

Chiamiamocoefficienti di Clebsch-Gordani coefficienti di tale combinazione li-neare che rappresenta un cambiamento di base dalla baseB1 formata da autoket deglioperatoriLz eSz alla baseB2 formata da autoket degli operatoriJ2 eJz.

La procedura si baserà sul seguente ragionamento. Poiché lostato|l, lz〉 |s, sz〉 è giàper costruzione autostato dell’operatoreJz con autovalore pari ajz = lz + sz, allora secombiniamo linearmente tutti gli stati aventilz esz che sommati forniscono il medesimovalorejz, tale combinazione lineare risulterà essere automaticamente per costruzioneancora autostato dell’operatoreJz: dovremo pertanto determinare i coefficienti in modoche tale combinazione sia anche autostato dell’operatoreJ2.

Per mostrare come si calcolano i coefficienti di Clebsch-Gordan, applichiamo laprocedura direttamente ad esempi concreti di composizionedi due momenti angolari.

Composizione dil = 1/2 es = 1/2

Gli stati di momento angolarel = 1/2, come noto, sono due e precisamente gli stati

∣∣∣∣

1

2,

1

2

e∣∣∣∣

1

2, − 1

2

Analogamente anche gli stati di momento angolares = 1/2 sono due e precisamentegli stati

∣∣∣∣

1

2,

1

2

e∣∣∣∣

1

2, − 1

2

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120 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

Combinando questi stati mediante prodotto tensoriale, otteniamo la base nello spazioprodotto tensoriale data dai(2l + 1)(2s+ 1) = 4 stati autoket degli operatoriLz eSz∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

,∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

,∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

,∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

Cerchiamo ora di costruire opportune combinazioni lineariper ottenere stati chesiano autoket diJ2 eJz.

Gli autovalorij dell’operatoreJ2 che si possono ottenere dalla composizione di unmomento angolareL con un momento angolareS, sono tutti i valori che vanno da|l−s|fino a l + s aggiungendo o sottraendo sempre una unità. Nel caso in questione i valoridi j vanno dunque da0 a1, cioè sono i valorij = 0, 1.

Abbiamo allora i quattro autoket simultanei diJ2 eJz che sono

∣∣∣∣

1

2,1

2; 1, 1

,∣∣∣∣

1

2,1

2; 1, 0

,∣∣∣∣

1

2,1

2; 1,−1

,∣∣∣∣

1

2,1

2; 0, 0

e li vogliamo esprimere come combinazione lineare degli autoket simultanei dei dueoperatoriLz eSz.

Applicando l’operatore(6.7) al ket

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

(6.8)

si ottiene

J2∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

= (L2 + S2 + 2LzSz + L−S+ + L+S−)∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

=

=3

4

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

+3

4

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

+ 21

2

1

2

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

=

= 2∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

ovvero si ottiene che lo stato ∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

è anche autostato diJ2 con autovalore2 corrispondente al valorej = 1.Poiché vale

J2∣∣∣∣

1

2,1

2; 1, 1

= 2∣∣∣∣

1

2,1

2; 1, 1

e il ket (6.8) è l’unico avente i valori dilz e sz che diano per somma 1, allora identifi-chiamo ∣

∣∣∣

1

2,1

2; 1, 1

=

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

(6.9)

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6.2. COMPOSIZIONE DI MOMENTI ANGOLARI 121

Applicando ora l’operatoreJ− ai due membri della(6.9), otteniamo

J−

∣∣∣∣

1

2,1

2; 1, 1

=√

2∣∣∣∣

1

2,1

2; 1, 0

= (L− + S−)∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

=

= L−

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

+ S−

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

=

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

+

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

Uguagliando il secondo e l’ultimo membro di questa uguaglianza, risulta∣∣∣∣

1

2,1

2; 1, 0

=1√2

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

+1√2

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

(6.10)

Lo stato ∣∣∣∣

1

2,1

2; 1,−1

si può scrivere subito ponendo∣∣∣∣

1

2,1

2; 1,−1

=

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

oppure applicando l’operatoreJ− ad entrambi i membri della(6.10). In questo modo siottiene

J−

∣∣∣∣

1

2,1

2; 1, 0

=√

2∣∣∣∣

1

2,1

2; 1,−1

=

= (L− + S−)

[

1√2

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

+1√2

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩]

=

=1√2

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

+1√2

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

=√

2

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

e uguagliando in questa catena di uguaglianze il secondo e l’ultimo membro, si ritrovaappunto

∣∣∣∣

1

2,1

2; 1,−1

=

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

Infine otteniamo lo stato ∣∣∣∣

1

2,1

2; 0, 0

costruendo lo stato ortogonale all’altro stato con autovalorejz = 0 che è∣∣∣∣

1

2,1

2; 1, 0

Abbiamo allora lo stato∣∣∣∣

1

2,1

2; 0, 0

=1√2

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

− 1√2

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

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122 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

e verifichiamo per concludere che esso è effettivamente autostato diJ2 relativo all’autovalorej = 0. A tale scopo applichiamo lo sviluppo(6.7) e calcoliamo

J2∣∣∣∣

1

2,1

2; 0, 0

= J2

[

1√2

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

− 1√2

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩]

=

=[3

4+

3

4+ 2

(1

2

)(

− 1

2

)

− 1] [

1√2

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

− 1√2

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩]

=

= 0

[

1√2

∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2, − 1

2

− 1√2

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩]

= 0

∣∣∣∣

1

2,1

2, 0, 0

Composizione dil = 1 es = 1/2

I valori di j vanno in questo caso daj = 1/2 fino aj = 3/2 e sono dunque soltanto ivalori j = 1/2 , 3/2.

Combinando gli stati aventi momento angolarel = 1 e gli stati aventi momentoangolares = 1/2 mediante prodotto tensoriale otteniamo i(2l + 1)(2s + 1) = 6 statiche sono autoket degli operatoriLz eSz

|1, 1〉∣∣∣∣

1

2,

1

2

, |1, 0〉∣∣∣∣

1

2,

1

2

, |1,−1〉∣∣∣∣

1

2,

1

2

|1, 1〉∣∣∣∣

1

2, − 1

2

, |1, 0〉∣∣∣∣

1

2, − 1

2

, |1,−1〉∣∣∣∣

1

2, − 1

2

Come nel caso precedente, lo stato con i valori massimi dij ejz è uguale al prodottotensoriale dei ket con i valori massimi dilz esz e quindi poniamo

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2,

3

2

= |1, 1〉∣∣∣∣

1

2,

1

2

(6.11)

Applicando l’operatore(6.7) si può verificare che il ket(6.11) è effettivamenteautoket dell’operatoreJ2 con autovalorej = 3/2.

Applicando l’operatoreJ− ad ambo i membri della(6.11), si ha

J−

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2,

3

2

=√

3

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2,

1

2

= (L− + S−) |1, 1〉∣∣∣∣

1

2,

1

2

=

=√

2 |1, 0〉∣∣∣∣

1

2,

1

2

+ |1, 1〉∣∣∣∣

1

2, − 1

2

e uguagliando il secondo e l’ultimo membro di questa catena di uguaglianze si ottiene

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2,

1

2

=

2

3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

+1√3|1, 1〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

(6.12)

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6.2. COMPOSIZIONE DI MOMENTI ANGOLARI 123

Applicando analogamente l’operatoreJ− ad ambo i membri della(6.12), si ha

J−

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2,

1

2

= 2∣∣∣∣1,

1

2;

3

2, − 1

2

=

= (L− + S−)

2

3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

+1√3|1, 1〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

=

=2√3|1,−1〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

+ 2

2

3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

e uguagliando il secondo e l’ultimo membro di questa catena di uguaglianze si ottiene

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2, − 1

2

=1√3|1,−1〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

+

2

3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

(6.13)

Si lascia come esercizio di verificare che applicando l’operatoreJ− ad ambo i mem-bri della (6.13), si ottiene il ket conjz minimo uguale al prodotto tensoriale dei ketaventilz esz minimi, ovvero

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2, − 3

2

= |1,−1〉∣∣∣∣

1

2, − 1

2

Per quanto riguarda i due ket conj = 1/2, questi debbono essere ortogonali a quelliche hanno lo stessojz e j = 3/2. Si hanno pertanto gli stati conj = 1/2

∣∣∣∣1,

1

2;

1

2,

1

2

=1√3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

−√

2

3|1, 1〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

(6.14)

∣∣∣∣1,

1

2;

1

2, − 1

2

=

2

3|1,−1〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

− 1√3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

(6.15)

Si osserva immediatamente che questi due stati sono ortogonali rispettivamente aglistati ∣

∣∣∣1,

1

2;

3

2,

1

2

e∣∣∣∣1,

1

2;

3

2, − 1

2

e si lascia come esercizio di verificare mediante applicazione della relazione(6.7) chegli stati (6.14) e (6.15) sono effettivamente autostati diJ2 con autovalorej = 1/2.

Composizione dil = 1 es = 1

In questo caso avremo(2l + 1)(2s + 1) = 9 stati e i valori dij sonoj = 0, 1, 2.Procedendo come in precedenza poniamo subito

|1, 1; 2, 2〉 = |1, 1〉|1, 1〉 (6.16)

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124 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

e si lascia come esercizio di verificare che lo stato|1, 1; 2, 2〉 è autoket diJ2 relativoall’autovalorej = 2.

Applicando l’operatore di abbassamentoJ− alla (6.16) otteniamo

J−|1, 1; 2, 2〉 = 2|1, 1; 2, 1〉 =√

2|1, 0〉|1, 1〉+√

2|1, 1〉|1, 0〉

da cui segue

|1, 1; 2, 1〉 =1√2|1, 0〉|1, 1〉+

1√2|1, 1〉|1, 0〉

Procedendo in modo analogo otteniamo

|1, 1; 2, 0〉 =1√6|1,−1〉|1, 1〉+

2√6|1, 0〉|1, 0〉+

1√6|1, 1〉|1,−1〉

|1, 1; 2,−1〉 =1√2|1,−1〉|1, 0〉+

1√2|1, 0〉|1,−1〉

|1, 1; 2,−2〉 = |1,−1〉|1,−1〉Per ottenere lo stato|1, 1; 1, 1〉, costruiamo lo stato ortogonale a|1, 1; 2, 1〉, ovvero

|1, 1; 1, 1〉 =1√2|1, 0〉|1, 1〉 − 1√

2|1, 1〉|1, 0〉

e si lascia come semplice esercizio di verificare che il ket|1, 1; 1, 1〉 così costruito èautoket dell’operatoreJ2 con autovalorej = 1. Seguono quindi gli stati

|1, 1; 1, 0〉 =1√2|1, 1〉|1,−1〉 − 1√

2|1,−1〉|1, 1〉

che risulta immediatamente essere ortogonale allo stato|1, 1; 2, 0〉 e

|1, 1; 1,−1〉 =1√2|1, 0〉|1,−1〉 − 1√

2|1,−1〉|1, 0〉

che risulta immediatamente essere ortogonale allo stato|1, 1; 2,−1〉.Per ottenere l’ultimo stato|1, 1; 0, 0〉, scriviamo la combinazione lineare di tutti gli

autoket diLz e Sz in cui la sommalz + sz sia zero e imponiamo che tale stato siaortogonale agli stati|1, 1; 2, 0〉 e |1, 1; 1, 0〉. Abbiamo

|1, 1; 0, 0〉 = a|1,−1〉|1, 1〉+ b|1, 0〉|1, 0〉+ c|1, 1〉|1,−1〉

da cui otteniamo la condizione di ortogonalità con lo stato|1, 1; 2, 0〉 che è

a+ 2b+ c = 0

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6.3. COVARIANZA PER ROTAZIONI 125

e la condizione di ortogonalità con lo stato|1, 1; 1, 0〉 che è

a− c = 0

Mettendo a sistema queste due condizioni otteniamo ovviamente∞1 soluzioni dacui possiamo ricavare soltanto i rapporti relativi fra i coefficienti a meno di una faseglobale irrilevante. Scegliendo per convenzione i valori reali della soluzione e norma-lizzando lo stato così ottenuto, abbiamo

|1, 1; 0, 0〉 =1√3|1,−1〉|1, 1〉 − 1√

3|1, 0〉|1, 0〉+

1√3|1, 1〉|1,−1〉

6.3 Covarianza per rotazioni

Dato un riferimento ortogonale di origineO e assix, y, z, se si effettua un cambiamentodi riferimento tale che i nuovi assix′, y′, z′ siano ancora ortogonali e la nuova origine,indicata conO′, coincida con l’origineO, allora la matriceR che trasforma vettoriespressi rispetto ad un sistema di riferimento in vettori espressi rispetto all’altro sistemadi riferimento, ovverox′i =

k Rikxk, viene dettamatrice ortogonale, o trasformazioneortogonale, o ancherotazione.

Consideriamo un punto assolutoP dello spazio che abbia coordinate(x, y, z) ri-spetto ad un sistema di riferimento e coordinate(x′, y′, z′) rispetto ad un altro sistemadi riferimento. Se, come detto, i due riferimenti sono entrambi ortogonali e le originicoincidono, allora le distanzeOP e O′P del puntoP dalle origini sono uguali e hannole stesse espressioni, date dal teorema di Pitagora,

O′P2

=∑

i

x′ix′i =

j

xjxj = OP2

Sostituendo in tale relazione il legame fraxi e x′j dato dall’azione della trasforma-zione ortogonaleR, si ha, a meno di un’opportuna riscrittura degli indici

i

x′ix′i =

i

(∑

k

Rikxk

) (∑

h

Rihxh

)

=∑

k,h

(∑

i

RT

kiRih

)

xkxh =∑

j

xjxj

da cui deduciamo che una matrice ortogonaleR deve verificare la relazione∑

i

RT

kiRih = δkh

ovveroRTR = RRT = I, in conseguenza della quale si ha(detR)2 = 1.Le rotazioni aventi determinante pari a 1 possono essere ottenute con continuità

dall’identità I attraverso trasformazioni infinitesime e vengono denominate rotazioni

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126 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

proprie. Le rotazioni aventi determinante pari a−1 non possono essere ottenute concontinuità dall’identitàI attraverso trasformazioni infinitesime e vengono denominateriflessioni.

Dimostriamo ora l’importante proprietà per cui ogni rotazioneR possiede semprel’autovaloreλ = 1 e, dettou l’autovettore diR corrispondente a tale autovalore, valesempreRv ⊥ u per ogni vettorev ⊥ u.

Per dimostrare cheλ = 1 sia autovalore diR, dobbiamo verificare che valga larelazionedet(R− I) = 0 e allora sviluppiamo

det(R− I) = det(R−RRT ) = detR · det(I − RT ) =

= det(I −RT ) = det(I −R) = det(−I) · det(R− I) = − det(R − I)

perché in tre dimensioni si hadet(−I) = −1. Detto allorau l’autovettore diR cheverifica la relazioneRu = u, si ha quindi, moltiplicando da sinistra perRT ambo imembri, la relazioneRTRu = RTu, ovveroRTu = u.

Ora, sev è un vettore ortogonale au, allora si ha

(Rv,u) = (Rv, RRTu) = (v, RTu) = (v,u) = 0

In virtù di questa proprietà, ogni rotazioneR può essere considerata sempre comerotazione effettuata intorno ad un asse, coincidente con l’autovettoreu corrispondenteall’autovaloreλ = 1 e può dunque essere sempre rappresentata mediante successione dirotazioni infinitesime intorno a tale asse, con il vantaggioche le rotazioni intorno ad unasse commutano e sono più semplici da trattare.

6.3.1 Covarianza dell’equazione di Schrödinger

Consideriamo ora le due equazioni di Schrödinger per la particella libera

ih∂ψ(r, t)

∂t= − h2

2m∇2

rψ(r, t) e ih∂ψ′(r′, t)

∂t= − h2

2m∇2

r′ψ′(r′, t)

relative a due osservatoriO eO′: affinché non vi sia differenza fra stare in un sistema diriferimento o in un altro ruotato rispetto al primo, dovremocollegare le funzioni d’ondain modo che le due equazioni di Schrödinger abbiano la stessastruttura.

Come esempio di grandezza scalare possiamo considerare la densità di un fluidoin un puntoP , indicata con (P ): se si passa dalle coordinater = (x, y, z) rispettoall’osservatoreO alle coordinater′ = (x′, y′, z′) rispetto all’osservatoreO′, allora valel’uguaglianza (r) = ′(r′) perché, per l’assolutezzadella funzione (P ), si ha

(r) = (R−1 r′) = ′(r′)

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6.3. COVARIANZA PER ROTAZIONI 127

Invece quando una grandezza vettoriale (che potremmo pensare ad esempio esserela densitàv(P ) di un fluido in un puntoP ) viene proiettata su assi diversi dai dueosservatori, si ha che lo stesso vettore fisico oggettivo e assolutov possiede, rispetto aidue osservatori, le due rappresentazioniv(r) e v′(r′) che per l’assolutezza del vettorefisico debbono essere collegate dalla relazione

v′(r′) = R v(r)

In meccanica quantistica due osservatori avranno funzionid’onda diverse in quantofunzioni di coordinate diverse, ma dovrà essere uguale per entrambi, cioè oggettiva, laprobabilità di trovare la particella in un puntoP individuato con coordinater e r′ neidue riferimenti.

Estendiamo quindi l’oggettività delle grandezze fisiche alle funzioni d’onda e dallarelazione|ψ(r, t)|2 = |ψ′(r′, t)|2 segue, uguagliando le basi,ψ(r, t) = ψ′(r′, t), ovverola relazioneψ′(r′, t) = ψ(R−1 r′, t).

In meccanica quantistica un osservatore non ha soltanto un suo sistema di riferi-mento, ma ha anche un suo spazio di Hilbert: quindi l’osservatoreO attribuisce allaparticella un ket|α〉 e l’osservatoreO′ un ket|β〉, ciascuno nel proprio spazio di Hilbert.

Poiché per il principio di covarianza tutte le leggi debbonoavere la stessa forma,consideriamo un solo spazio di Hilbert al quale appartengano i ket |α〉 e |β〉 attribuitialla particella rispettivamente dagli osservatoriO eO′.

Gli stati osservati dai due osservatori debbono essere collegati da una trasformazioneunitariaU(R), ovvero si deve avere|α〉 = U(R) |β〉 conU+(R)U(R) = I eU(I) = I.

Ci aspettiamo poi che l’osservatore che attribuisce alla particella lo stato|α〉, ripe-tendo le misure sulle repliche del sistema, ottenga la mediadella coordinataxi dellaparticella data da〈α|xi|α〉 e che analogamente l’altro osservatore ottenga la media dellacoordinataxi della particella data da〈β|xi|β〉 = 〈α|U+(R) xi U(R)|α〉.

Tali valori medi sono ovviamente diversi perché i punti medimisurati dai due osser-vatori coincidono ma sono rappresentati con coordinate diverse collegate fra loro dallarotazioneR: tali valori medi verificano pertanto la relazione

〈α|U+(R) xi U(R)|α〉 = Rij〈α|xj|α〉

da cui otteniamo la relazione operatoriale, valida per qualunque grandezza vettoriale

U+(R) xi U(R) = Rij xj (6.17)

Vediamo ora come si trasforma la funzione d’onda quando si effettua un cambiamen-to di riferimento. Essendo la funzione d’onda il rappresentativo dell’assegnato vettoredi stato|ψ〉 nella base degli autostati|x〉 della posizione, abbiamo allora la funzioned’ondaψ(x) = 〈x|α〉 per l’osservatoreO e la funzione d’ondaψ′(y) = 〈y|β〉 perl’osservatoreO′, con

ψ′(y) = 〈y|β〉 = 〈y|U(R)|α〉 (6.18)

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128 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

Dalla (6.17) segue

U+(R) xi U(R) |x〉 = Rij xj |x〉 = Rij xj |x〉

da cui, moltiplicando a sinistra perU(R) e ricordando chexj è un operatore exj unnumero, si ottiene

xi [U(R) |x〉] = Rij xj [U(R) |x〉] (6.19)

Poiché|x〉 non è il vettore nullo eU(R) è invertibile, segue che nemmenoU(R) |x〉è il vettore nullo e dunque con la(6.19) abbiamo ottenuto cheU(R) |x〉 è autostato dellaposizione relativo all’autovalore non degenereRij xj .

QuindiU(R) |x〉 è il ket ruotato di|x〉 e vale allora la relazione

U(R) |x〉 = |Rx〉

con la coniugata〈x|U+(R) = 〈Rx| (6.20)

Dalla relazioneU+(R) = U−1(R) = U(R−1) segue che la(6.20) può essere riscrittanella forma

〈x|U(R−1) = 〈R x|ovvero, scambiandoR conR−1,

〈x|U(R) = 〈R−1 x| (6.21)

Sostituendo la(6.21) nella(6.18), si ottiene infine il legame fra le funzioni d’ondadei due osservatori

ψ′(y) = 〈y|U(R)|α〉 = 〈R−1 y|α〉 = ψ(R−1 y) = ψ(x)

cony = R x.Con l’uguaglianza delle funzioni d’onda dei due osservatori, abbiamo ritrovato quin-

di l’oggettività della meccanica quantistica: essendo infatti l’operatore∇2 uno scalare,si ha∇2

r = ∇2r′ e dall’uguaglianzaψ′(y) = ψ(x) segue allora che l’equazione di Schrö-

dinger è covariante per rotazioni, ovvero la sua forma non cambia quando essa vienescritta rispetto a due sistemi di riferimento che siano l’uno il ruotato dell’altro.

A questo punto vogliamo trovare l’espressione dell’operatoreU(R) e allora utiliz-ziamo la relazione della meccanica classica

r′ = r − θ (n × r) (6.22)

che lega il vettorer = (x, y, z) al vettorer′ = (x′, y′, z′) attraverso la rotazione diangolo infinitesimoθ intorno all’assen coincidente con l’autovettoreu corrispondenteall’autovaloreλ = 1 dell’operatore di rotazioneR.

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6.3. COVARIANZA PER ROTAZIONI 129

Verifichiamo che nel caso in cuin sia il versore dell’assez, la (6.22) riproduceeffettivamente la rotazione intorno all’assez. In questo caso abbiamon = (0, 0, 1) dacui segue che nella(6.22) scritta nella forma per componenti

r′i = ri − θεijk njrk

l’indice j assume soltanto il valore3. Otteniamo allora

x′ = x− θε132y = x+ θy , y′ = y − θε231x = y − θx , z′ = z − θε333z = z

coincidente appunto con le equazioni della rotazione intorno all’assez.La formula(6.22) è quella che in meccanica classica fornisce la velocità di uncorpo

rigido vp = ω ×−→OP perché si havp dt = ω dt×−→

OP , ovverodr = r′ − r = θ n× r.Seθ è infinitesimo, alloraU(R) deve differire “di poco” dall’identità: cioè si deve

avereU(R) = I + iθnhAh dovenhAh indica il prodotto scalare fra il versoren e unoperatore hermitiano vettorialeA.

Sostituendo tale espressione diU(R) nella(6.17) e utilizzando la(6.22), si ottiene

(I − iθnhAh) xj (I + iθnhAh) = Rjqxq = x′j = xj − θεjhk nhxk (6.23)

da cui, sviluppando, segue la regola di commutazione[Aj , xh] = i εjhkxk .Ricordando le regole di commutazione del momento angolare

[Lj , xh] = ihεjhkxk , [Lj , ph] = ihεjhkpk

concludiamo che l’espressione dell’operatore vettorialeA èAj = Lj/h.Poiché tutte le rotazioni possono essere pensate come effettuate intorno ad un asse

di rotazionen, allora consideriamo una sequenza di rotazioni infinitesime intorno a taleasse: poiché la composizione di rotazioni intorno ad un soloasse è commutativa (comequella delle traslazioni), allora si ha l’espressione dell’operatoreU(R) conθ finito datada

U(R) = limN→+∞

(

I + iθ

N

n · Lh

)N

= eiθn·Lh (6.24)

Ponendo oraAj = Lj/h nella(6.23), si ricava anche la relazione, valida non soltantoperxj ma per ogni grandezza vettoriale

Rjqxq − xj =iθ

h[xj ,n · L]

il cui importante significato è che il commutatore di una grandezza vettoriale con unacomponente del momento angolare rappresenta la variazionedella grandezza stessa sot-to rotazioni. Avremo pertanto che il commutatore di una componente del momentoangolare con una grandezza scalare (invariante per rotazioni) sarà pari a zero.

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130 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

6.3.2 Covarianza dell’equazione di Pauli

Empiricamente si osserva in laboratorio che le componenti dello spin si comportanosotto rotazioni come le componenti di un vettore, cioè ruotano come un vettore.

Quindi utilizzando la stessa relazione fra i valori medi, possiamo riscrivere la(6.17)con l’operatore di spin al posto dell’operatore di posizione

U+(R) Si U(R) = Rij Sj

e possiamo poi introdurre il numero quanticos di spin nella(6.19) scrivendo

xi [U(R) |x, s〉] = Rij xj [U(R) |x, s〉]

da cui discende cheRij xj è autovalore degenere dixi perchéx e S sono gradi di libertàindipendenti e allora si ha che per valori diversi dis i ket U(R) |x, s〉 sono sempreautostati dixi.

Ricordiamo che quando si considera soltanto la posizione, il ketU(R) |x〉 è autostatonon degenere dixi; se si introduce lo spin1/2, allora il nuovo ket èU(R) |x, s〉 con ilnumero quanticos che assume i valoris = ±1/2.

PoichéU(R) |x, s〉 è autostato dixi con autovalore degenereRij xj , allora, in ana-logia con il caso precedente in cui si considerava soltanto la posizione, poniamo

U(R) |x, s〉 =∑

t

Cts(R) |Rx, t〉

da cui discende la proiezione

〈x′, s′|U(R) |x, s〉 =∑

t

Cts(R) 〈x′, s′|Rx, t〉 =

=∑

t

Cts(R) δts′ δ3(x′ − Rx) = Cs′s(R) δ3(x′ − Rx)

con la coniugata

〈x′, s′|U(R) |x, s〉 = 〈x, s|U+(R) |x′, s′〉 = C∗s′s(R) δ3(x′ −Rx)

Calcolando il generico elemento di matrice del prodottoU+(R)U(R) e imponendoche valgaU+(R)U(R) = δss′′ δ

3(x − Rx′′), condetR = 1, si ottiene

U+(R)U(R) =∑

s′〈x, s|U+(R) |x′, s′〉〈x′, s′|U(R) |x′′, s′′〉 dx′ =

=∑

s′C∗s′s(R) δ3(x′ −Rx)Cs′s′′(R) δ3(x′ −Rx′′) dx′ =

=∑

s′C∗s′s(R)Cs′s′′(R) δ3(Rx − Rx′′) =

s′C∗s′s(R)Cs′s′′(R)

δ3(x − x′′)

detR=

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6.3. COVARIANZA PER ROTAZIONI 131

=∑

s′C∗s′s(R)Cs′s′′(R) δ3(x − x′′)

da cui si ricava per confrontoC+(R)C(R) = I

ovvero, se i coefficientiCs′s(R) forniscono lo sviluppo dell’azione di un operatoreunitarioU(R), allora anch’essi debbono formare una matrice unitaria.

Sviluppiamo ora ambo i membri dell’equazione fondamentale

〈x′, s′|U+(R)SkU(R) |x, s〉 = Rkj 〈x′, s′|Sj|x, s〉Utilizzando la relazioneδ3(Rx′ − Rx) = δ3(x′ − x), il primo membro diventa

〈x′, s′|U+(R) Sk U(R) |x, s〉 =∑

t′,t

c∗t′,s′ 〈Rx′, t′|Skct,s|Rx, t〉 =

=∑

t′,t

ct,s c∗t′,s′ 〈Rx′, t′|Sk|Rx, t〉 =

t′,t

ct,s c∗t′,s′ δ

3(x′ − x) (Sk)t′,t

Separando i fattori del prodotto tensoriale, il secondo membro diventa

Rkj 〈x′, s′|Sj|x, s〉 = Rkj δ3(x′ − x) (Sj)s′,s

da cui, uguagliando, segue∑

t′,t

(c∗s′,t′)T ct,s (Sk)t′,t = Rkj (Sj)s′,s

ovveroC+SkC = Rkj Sj (6.25)

Quindi dalla relazioneU+(R)SkU(R) = Rkj Sj , doveU(R) è un operatore cheagisce sullo spazio di Hilbert dei ket di dimensione infinita, deriva la relazione formal-mente analogaC+SkC = Rkj Sj, doveC è un operatore che agisce sullo spazio dellospin (di dimensione 2 nel caso di spin1/2).

Dall’equazione(6.25), formalmente simile alla(6.17), segue la relazione fra lefunzioni d’onda nei due sistemi di riferimento data da

ψ′(x′) = C ψ(x) = eiθ2~σ·n ψ(x) (6.26)

che, come si vede, ha la stessa struttura della(6.24).Dall’equazione(6.25) si ottiene l’equazioneC+σkC = Rkj σj equivalente all’equa-

zioneC+σiRijRkjC = Rkj σj

da cui segue la relazioneC+σiRijC = σj

e quindiC+σiRijBjC = σjBj (6.27)

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132 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

La (6.27) può essere riscritta nella forma (senza indici)

C+~σ · ~RB C = ~σ · ~B (6.28)

Dalla (6.28) segue la covarianza dell’equazione di Pauli(6.6): se si effettua uncambio di sistema di riferimento, l’equazione di Pauli(6.6) diventa

ih∂(Cψ)

∂t= −µ0

~RB · ~σ Cψ

che, attraverso la moltiplicazione diC+ da sinistra in ambo i membri, conduce all’equa-zione

ih∂(ψ)

∂t= −µ0 C

+ ~RB · ~σ Cψ (6.29)

Sostituendo il secondo membro della(6.28) nella(6.29), l’equazione(6.29) diventa

ih∂ψ

∂t= −µ0

~B · ~σ ψ

coincidente appunto con l’equazione(6.6).Per determinare esplicitamente la matrice esponenzialeei

θ2~σ·n, calcoliamo

(~σ · n)2 =

[(

0 n1

n1 0

)

+

(

0 −in2

in2 0

)

+

(

n3 00 −n3

)]2

=

(

1 00 1

)

perchén è un versore e dunquen21 + n2

2 + n23 = 1. Si ha allora

(~σ · n)n =

I se n è pari~σ · n se n è dispari

da cui segue

eiθ2~σ·n = I + i

θ

2~σ · n− 1

2

(

θ

2

)2

− i

6

(

θ

2

)3

~σ · n + ... = cosθ

2+ i ~σ · n sin

θ

2=

=

cosθ

2− in3 sin

θ

2(−in1 − n2) sin

θ

2

(−in1 + n2) sinθ

2cos

θ

2+ in3 sin

θ

2

Come si vede immediatamente dalla relazione(6.26), la funzione d’onda cambiasegno quando si effettua una rotazione di angoloθ = 2π intorno all’asse~n. Poichéla probabilità è data dal quadrato del modulo della funzioned’onda, si potrebbe pen-sare che che tale cambiamento di segno sia irrilevante. In realtà con un esperimento

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6.3. COVARIANZA PER ROTAZIONI 133

di interferenza ottica si può mettere in evidenza il significato e l’importanza di talecambiamento di segno.

Consideriamo un elettrone polarizzato lungo l’assez, ovvero avente stato iniziale

Ψ0(x) = ψ0(x)

(

10

)

che passi attraverso due fenditure,F1 eF2, e distinguiamo i tre casi che sono il caso incui vi sia campo magnetico nullo in entrambe le fenditure, ilcaso in cui ci sia un campomagneticoB soltanto sulla fendituraF1 che inverte lo spin e il caso in cui il campomagneticoB presente solo suF1 agisca per un intervallo di tempo tale da produrre ilcambiamento dallo spinore(1, 0) allo spinore(−1, 0).

Indicando conΨtot

la funzione d’onda dopo il passaggio dell’elettrone attraverso ledue fenditure, calcoliamo la probabilità|Ψtot|2 nei tre casi.

Nel primo caso si ha

Ψtot =1√2

[

ψ1(x)

(

10

)

+ ψ2(x)

(

10

)]

=1√2

(

ψ1(x) + ψ2(x)0

)

e dunque la probabilità

|Ψtot|2 =|ψ1(x)|2 + |ψ2(x)|2 + 2Re ψ∗

2(x)ψ1(x)

2

da cui si ricava che vi sono delle frange di interferenza dovute all’indistinguibilità delledue fenditure senza campo magnetico e quindi all’incertezza sulla fenditura per la qualeè passata la particella.

Nel secondo caso si ha

Ψtot =1√2

[

ψ1(x)

(

01

)

+ ψ2(x)

(

10

)]

=1√2

(

ψ2(x)ψ1(x)

)

e dunque la probabilità

|Ψtot|2 =|ψ1(x)|2 + |ψ2(x)|2

2da cui si ricava che non vi sono frange di interferenza perchémisurando lo spin si puòindividuare senza incertezza la fenditura per la quale è passata la particella.

Nel terzo caso si ha

Ψtot =1√2

[

ψ1(x)

(

−10

)

+ ψ2(x)

(

10

)]

=1√2

(

−ψ1(x) + ψ2(x)0

)

e dunque la probabilità

|Ψtot|2 =|ψ1(x)|2 + |ψ2(x)|2 − 2Re ψ∗

2(x)ψ1(x)

2

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134 CAPITOLO 6. MOMENTO ANGOLARE

da cui si ricava che, come nel primo caso, vi sono delle frangedi interferenza dovuteall’indistinguibilità delle due fenditure senza campo magnetico.

Ma sebbene nel primo e nel terzo caso si abbiano due risultatiche possono essereconsiderati simili dal punto di vista qualitativo, ovvero vi è in entrambe le situazioni lapresenza di frange di interferenza, tuttavia il cambio di segno che il campo magneticoproduce sullo spinore si manifesta con un certo effetto ben visibile. In entrambi i casilo stato di spin rimane il medesimo perché i due spinori(1, 0) e (−1, 0) rappresentanolo stesso stato di spin lungo l’assez con valore1/2, ma il segno negativo nel doppioprodotto della probabilità|Ψ

tot|2 sposta in un caso le frange di interferenza rispetto

all’altro caso, ovvero scambia i massimi con i minimi.

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Capitolo 7

Sistemi in tre dimensioni

7.1 L’atomo d’idrogeno

Il modello planetario classico dell’atomo fallisce perchél’orbita circolare fa collassa-re l’elettrone sul protone a causa dell’emissione di radiazione elettromagnetica dovutaall’accelerazione per rotazione. La meccanica quantistica risolve tale problema dellastabilità dell’atomo di idrogeno perché in virtù del principio di indeterminazione se-condo il quale l’elettrone non può essere localizzato esattamente sul nucleo, si ha chel’orbita più vicina al nucleo (stato fondamentale) non può collassare sul nucleo stesso.

Il sistema (a due corpi) elettrone-protone viene risolto anche in meccanica quanti-stica, come in meccanica classica, considerando il sistemadi riferimento del baricentrorispetto al quale l’elettrone ha massa pari alla massa ridotta del sistema e il protone èfermo in quanto avente massa molto maggiore dell’elettrone.

Indicando con gli indicip, e le grandezze relative rispettivamente al protone e all’e-lettrone, abbiamo l’hamiltoniana dell’atomo di idrogeno

H =p2p

2mp+

p2e

2me− e2

|rp − re|

Effettuando il passaggio al sistema del baricentro, ovveroil cambio di variabili

r = rp − re

R =mprp +mere

mp +me

dover eR rappresentano rispettivamente la coordinata del moto relativo e la coordinata

135

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136 CAPITOLO 7. SISTEMI IN TRE DIMENSIONI

del baricentro del sistema, si ottiene

pp = mprp =mpP

mp +me+ p

pe = mere =me P

mp +me

− p

in cui p,P sono gli impulsi coniugati rispettivamente con la coordinata r del motorelativo e con la coordinataR del moto del baricentro.

In queste nuove variabili, indicando conP, p, R, r i moduli rispettivamente dei vet-tori P,p,R, r, l’hamiltoniana dell’atomo di idrogeno assume la nuova forma con levariabili separate

H = H1 (P,R) +H2(p, r) =P 2

2M+p2

2µ− e2

r

dove si è posto

M = mp +me, µ =mpme

mp +me, H1 (P,R) =

P 2

2M, H2(p, r) =

p2

2µ− e2

r

in cui, essendoR una variabile ciclica, il moto del baricentro è quello dellaparticellalibera di impulsoP, descritto dall’hamiltonianaH1.

Dalle due equazioni secolari (separate) diH1 eH2

P 2

2MU(P,R) = ER U(P,R) e

(

p2

2µ− e2

r

)

ψn(r) = En ψn(r) (7.1)

dove le autofunzioniU(P,R) del moto del baricentro sono le usuali onde piane dellaparticella libera

U(P,R) =1

(2πh)3/2ei(P·R)/h

si ricava l’equazione secolare diH data da

H [U(P,R)ψn(r)] = (ER + En) [U(P,R)ψn(r)]

in cui l’autofunzione totaleΨn,P := U(P,R)ψn(r) è il prodotto delle autofunzionidei due operatoriH1 eH2 e l’autovalore totaleEtot := ER + En è dato dalla sommadegli autovalori diH1 eH2. In virtù della separazione delle variabili, per determina-re lo spettro dell’atomo idrogenoide, dobbiamo dunque risolvere l’equazione secolaredell’hamiltoniana del moto relativoH2(p, r)ψn(r) = En ψn(r), ovvero

[

p2

2µ− Ze2

r

]

ψn(r) = En ψn(r) (7.2)

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7.1. L’ATOMO D’IDROGENO 137

Considerando quindi come hamiltoniana dell’atomo di idrogeno soltanto l’espres-sione del moto relativo

H(p, r) =p2

2µ+ V (r)

con V (r) potenziale centrale, abbiamo che tale hamiltoniana è funzione solo dellegrandezze invarianti per rotazionep2 e r da cui segue la regola[Li, H ] = 0.

Abbiamo allora cheL2, L3, H formano un insieme completo di operatori che com-mutano a due a due a possiedono pertanto autofunzioni comuniψn(r)

L2ψn(r) = aψn(r) , L3 ψn(r) = b ψn(r) , Hψn(r) = En ψn(r)

Lo studio già condotto dello spettro del momento angolare cipermette di riscrive-re tali autofunzioniψn(r), relative ad un problema a simmetria centrale, nella formaseparata più comodaψn(r) = Ylm(θ, φ)F (r) espressa nelle coordinate polari.

Sostituendo l’espressione dip2 data dalla(6.5) nell’equazione di Schrödinger(7.2)scritta in coordinate polari, tale equazione diventa

[

∂2

∂r2+

2

r

∂r+

h2

(

En +Ze2

r− L2

2µr2

)]

ψn(r) = 0 (7.3)

Attraverso la separazione nella funzione d’ondaψn(r) della parte radiale e dellaparte angolare, ovvero esprimendoψn(r) = Ylm(θ, φ)F (r), e con la sostituzione del-l’equazione secolare del momento angolareL2 Ylm(θ, φ) = h2 l(l+1)Ylm(θ, φ), la (7.3)assume la forma

d2F

dr2+

2

r

dF

dr+

h2

[

En +Ze2

r− h2 l(l + 1)

2µr2

]

F = 0 (7.4)

ovvero la formad2F

dρ2+

2

ρ

dF

dρ+

[

λ

ρ− 1

4− l(l + 1)

ρ2

]

F = 0 (7.5)

in cui si è posto

ρ =

8µ|E|h

r e λ =Ze2

h

µ

2|E|Se l’energia è negativa, si hanno stati legati nei quali la particella non può andare

all’infinito perché l’energia cinetica è positiva e il potenziale coulombianoV (r) tende azero perr tendente all’infinito. Se valeE = 0, allora le orbite sono paraboliche; infine,se valeE > 0, allora le orbite sono iperboliche e lo spettro è continuo.

Dimostriamo che asintoticamente, cioè perρ tendente all’infinito, la soluzione del-l’equazione(7.5) tende all’espressione

F (ρ) = ρne±ρ/2

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138 CAPITOLO 7. SISTEMI IN TRE DIMENSIONI

Considerando infatti nelle derivate diF (ρ) soltanto i termini dominanti dati dallepotenze più alte, ovvero

dF

dρ≈ ±1

2ρn e±ρ/2 e

d2F

dρ2≈ 1

4ρn e±ρ/2

e trascurando le potenze inverse diρ, si ha, sostituendo nella(7.5),

1

4ρn e±ρ/2 − 1

4ρn e±ρ/2 = 0

Affinché le autofunzioni siano normalizzbili, scegliamo l’esponente con il coeffi-ciente negativo e consideriamo una soluzione di prova del tipo

F (ρ) = Q(ρ) e−ρ/2

che inserita nella(7.5) conduce all’equazione perQ(ρ)

ρ2

[

d2Q(ρ)

dρ2

]

+ (2ρ− ρ2)dQ(ρ)

dρ+ [(λ− 1) ρ− l(l + 1)]Q(ρ) = 0 (7.6)

Poniamo oraQ(ρ) = ρs L(ρ), doveL(ρ) sia un’espressione tale cheL(0) 6= 0.Poiché vogliamo che laQ(ρ) sia non singolare, deve valere alloras ≥ 0 e sostituendoquindiQ(ρ) = ρs L(ρ) nella(7.6), si ottiene l’equazione perL(ρ)

ρ2L′′(ρ) + [2ρ (s+ 1) − ρ2]L′(ρ) + [ρ(λ− s− 1) + s(s+ 1) − l(l + 1)]L(ρ) = 0

Poiché valeL(0) 6= 0, allora da quest’ultima equazione (in cui si pongaρ = 0) sideduce l’equaziones(s + 1) = l(l + 1) che ha la soluzione accettabiles = l ≥ 0 equella non accettabile (perché negativa)s = −l − 1 < 0.

Abbiamo allora l’equazione finale perL(ρ) cons = l

ρL′′(ρ) + (2l + 2 − ρ)L′(ρ) + (λ− l − 1)L(ρ) = 0 (7.7)

Risolviamo ora tale equazione per serie sviluppandoL(ρ) nella serie di potenze diρ

L(ρ) =+∞∑

k=0

ak ρk

Inserendo questo sviluppo in serie nella(7.7), si ottiene la relazione ricorsiva fra icoefficientiak

ak+1 =−λ+ l + 1 + k

(k + 1) (k + 2l + 2)ak (7.8)

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7.1. L’ATOMO D’IDROGENO 139

dalla quale si ricava il comportamento asintotico

ak+1

ak≈ 1

k, per k → +∞

Poiché il comportamento asintotico di tale rapporto coincide con il comportamen-to asintotico dell’analogo rapporto fra i coefficienti della serie della funzioneeρ, allorapossiamo concludere che se lo sviluppo diL(ρ) fosse una serie infinita, allora si avrebbeasintoticamente l’espressioneL(ρ) = eρ che renderebbe l’autofunzioneF (ρ) non nor-malizzabile. Per impedire che si venga a creare questa situazione, dobbiamo imporreche per un certo valorek = k valgaak+1 = 0, in modo dunque cheL(ρ) sia un po-linomio e non una serie. Affinché lo sviluppo diL(ρ) non sia infinito, si deve alloraannullare il numeratore della(7.8), ovveroλ deve essere un numero intero positivo

λ = n = l + 1 + k (7.9)

Tale relazione(7.9) rappresenta dunque la condizione di quantizzazione da cui siricava

En = − Z2µ e4

2h2 n2

Per ottenere le autofunzioni dell’atomo idrogenoide, osserviamo che i polinomi de-finiti dalla relazione di ricorrenza(7.8) sono i cosiddettipolinomi associati di Laguerre,già noti ai matematici per le loro proprietà di ortogonalitàmolto tempo prima della na-scita della meccanica quantistica. Il generico polinomio associato di Laguerre, indicatoconL(α)

h (x), conα reale maggiore di−1, è dato dall’espressione

L(α)h (x) =

ex

xαdh

dxh(xh+αe−x)

Definendo il raggio di Bohra0 come

a0 =h

µcα=

h2

µe2

doveα indica lacostante di struttura fine, l’equazione(7.4) diventa

d2Fnl(r)

dr2+

2

r

dFnl(r)

dr+

[

2Z

a0r− Z2

n2a0− l(l + 1)

r2

]

Fnl(r) = 0

la cui soluzione è data da

Fnl(r) = Crl e−Zr/(na0) L(2l+1)n−l−1(x) con x =

2Zr

na0

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140 CAPITOLO 7. SISTEMI IN TRE DIMENSIONI

con la condizione di normalizzazione∫ +∞

0r2 [Fnl(r)]

2 dr = 1

In conclusione possiamo scrivere le autofunzioni dell’atomo idrogenoide, ovvero lesoluzioniψn(r) della(7.3), ponendo

ψnlm(r) = Fnl(r) Ylm(θ, φ) = N rl e−Zr/(na0) L(2l+1)n−l−1(x) Ylm(θ, φ) con x =

2Zr

na0

doveN è una costante di normalizzazione ottenuta attraverso la condizione∫

R3|ψnlm(r)|2 d3r =

∫ +∞

0r2 [Fnl(r)]

2 dr∫

Ylm(θ, φ) sin θ dθ dφ = 1

conθ ∈ [0, π] eφ ∈ [0, 2π].Per capire il significato del raggio di Bohr, consideriamo l’atomo d’idrogeno avente

numero atomicoZ = 1 e che sia nello stato fondamentale, ovvero che abbia i numeriquanticin = 1, l = m = 0. Si ottiene facilmente che la sua autofunzione è

ψ100(r) =1

πa30

e−r/a0

da cui possiamo ottenere la distribuzione radiale di probabilità, ovvero la probabilità,indicata conP (r) dr, di trovare l’elettrone in unabucciasferica di spessore infinitesimo,compresa fra i raggir e r + dr.

Dalla relazioneP (r) dr = r2 dr

|ψnlm(r)|2 dΩ

si ottiene immediatamente la densità di probabilità

P (r) =4

a30

r2 e−2r/a0

Si calcola immediatamente, mediante derivazione, che la probabilità di trovare l’e-lettrone è massima ad una distanza dal nucleo pari ada0. In questo senso allora, e nonin senso classico, il raggio di Bohra0 può essere interpretato comeraggiodell’atomo.

Dall’invarianza per rotazioni discende che quando è fissatoil momento angolare,ovvero il valore dil, allora c’è una degenerazione inlz perché stati con i medesiminumeri quanticin, l hanno lo stesso livello di energia, ovvero lo stesso autovaloreEn.Analiticamente infatti, per la regola di commutazione[H,L±] = 0, si ha

HL± |En, l, lz〉 = L±H |En, l, lz〉 = En L±|En, l, lz〉

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7.2. L’OSCILLATORE ARMONICO ISOTROPO 141

da cui, per confronto con l’equazione secolareH|En, l, lz〉 = En|En, l, lz〉, segue che glistati |En, l, lz〉 eL±|En, l, lz〉 = |En, l, lz ± 1〉 sono autostati diH relativi al medesimoautovaloreEn. Quindi gli operatoriL± forniscono tutti gli autostati degeneri inn conlo stesso valore dil e conlz che assume tutti i valori da−l a +l. Tale degenerazione,di ordine2l + 1, è dettadegenerazione naturaleperché presente anche in meccanicaclassica quando, in virtù della conservazione del momento angolare, vi è indipendenzadell’energia dalla terza componente del momento angolare.In meccanica quantisticac’è un’altra degenerazione, dettaaccidentale, dovuta al fatto che anche stati conl + kcostanti hanno stessa energia. La denerazione totaled di un livello energeticoEn vale

d =n−1∑

l=0

(2l + 1) = n2

7.2 L’oscillatore armonico isotropo

L’oscillatore armonico in tre dimensioni si diceisotropose le costanti elastichek1, k2, k3

relative ai tre assi cartesiani sono uguali, ovvero quando si hak1 = k2 = k3 = k.Da questa uguaglianza segue che l’hamiltoniana dell’oscillatore armonico isotropo

si può scrivere nella formaH = Hx +Hy +Hz (cioè con le variabili separate) data da

H =

(

p2x

2m+mω2x2

2

)

+

(

p2y

2m+mω2y2

2

)

+

(

p2z

2m+mω2z2

2

)

=p2

2m+mω2r2

2

Per risolvere l’equazione di Schrödinger indipendente daltempo dell’oscillatore ar-monico isotropo tridimensionale, data daHΨ(x, y, z) = EΨ(x, y, z), sostituiamo inessa l’espressione della funzione d’ondaΨ(x, y, z) scritta nella forma separata in cuiessa sia il prodotto di tre funzioni di una sola variabileΨ(x, y, z) := φ(x) η(y)χ(z).

Procedendo quindi come per l’oscillatore armonico isotropo bidimensionale, perve-niamo all’equazione di Schrödinger della forma

Hx φ(x)

φ(x)+Hy η(y)

η(y)+Hz χ(z)

χ(z)= E

in cui i tre addendi al primo membro dipendono ciascuno da unasola variabile e debbo-no pertanto essere necessariamente uguali ad una costante,cioè

Hx φ(x)

φ(x)= Ex,

Hy η(y)

η(y)= Ey,

Hz χ(z)

χ(z)= Ez (7.10)

Le equazioni(7.10) sono tre equazioni di Schrödinger indipendenti dal tempo re-lative ad oscillatori armonici unidimensionali riferiti ciascuno al corrispondente assecartesiano: possiamo quindi risolvere separatamente taliequazioni per ricostruire gliautovalori complessivi e le autofunzioni totali.

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142 CAPITOLO 7. SISTEMI IN TRE DIMENSIONI

Utilizzando allora la soluzione del problema dell’oscillatore armonico unidimensio-nale, otteniamo dalla(7.10) gli autovaloriE = En dell’oscillatore armonico isotropo intre dimensioni

En = Ex,nx + Ey,ny + Ez,nz = hω(

nx + ny + nz +3

2

)

= hω(

n+3

2

)

dove si è poston := nx+ny+nz e quindi le corrispondenti autofunzioni che possiamorappresentare con la notazione di Dirac|Ψn〉 = |nx, ny, nz〉 oppure mediante prodottodi autofunzioni unidimensionali separateΨn(x, y, z) = φnx(x) ηny(y)χnz(z).

E’ immediato osservare che la degenerazionedn del livello di energiaEn è pari a

dn = [(n + 1)(n+ 2)]/2

A questo punto per rimuovere tale degenerazione occorre considerare l’insiemecompletoI di operatori che commutano fra loro e con l’hamiltonianaH dell’oscillatorearmonico isotropo. Come è immediato verificare utilizzandola sua espressione scrittacon le variabilip, r, l’hamiltonianaH dell’oscillatore armonico isotropo commuta congli operatoriL2 eLz e allora con una scelta dell’autovalore di tali operatori è possibilerimuovere la degenerazione nell’autospazio diEn.

Chiariamo questa procedura con il seguente esempio. Il livello di energiaE1 pos-siede i tre autostati degeneri normalizzati dati da|1, 0, 0〉, |0, 1, 0〉, |0, 0, 1〉 e quindiabbiamo che la sola conoscenza dell’energiaE1 non permette di individuare in ma-niera univoca l’autostato dell’oscillatore armonico tridimensionale isotropo che abbiaappunto la data energiaE1. Ma se rappresentiamo gli autostati corrispondenti all’auto-valoreE1 con la notazione delle funzioni d’onda ed esprimiamo le variabili cartesianein termini di armoniche sferiche (ricordando che gli integrali gaussiani sulla variabilepolarer sono estesi solo ai valori positivi dir), possiamo ottenere nel sottospazio didegenerazione i tre nuovi autostati normalizzati dati da

1√2

(|0, 1, 0〉 − i|1, 0, 0〉) = i√

2 g(r) Y1,1 , |0, 0, 1〉 =√

2 g(r) Y1,0 ,

1√2

(|0, 1, 0〉+ i|1, 0, 0〉) = i√

2 g(r) Y1,−1 con g(r) :=4

16m5ω5

9πh5 r e−mωr2

2h

corrispondenti univocamente all’autovaloreE1 dell’energia, all’autovalorel = 1 delmomento angolare totaleL2 e rispettivamente agli autovalorilz = 1, 0,−1 di Lz.

Per concludere osserviamo che gli autostati diEn possiedono tutti i valori dil chehanno la stessa parità din e tali che valga0 ≤ l ≤ n. Infatti abbiamo

d2n = 2n2 + 3n+ 1 =n∑

k=0

[2 (2k) + 1]

e

d2n+1 = 2n2 + 5n+ 3 =n∑

k=0

[2 (2k + 1) + 1]

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Capitolo 8

Particelle identiche

La dinamica di un sistema di due particelle identiche è governata da un’hamiltonianasimmetrica per scambio delle due particelle. In meccanica classica l’identità delle par-ticelle e dunque la simmetria dell’hamiltoniana non hanno particolare rilevanza perchétali particelle possono esserericonosciute(o etichettate) attraverso le traiettorie che siottengono dalle condizioni iniziali.

In meccanica quantistica c’è invece un’identità di fondo dovuta alla proprietà percui quando le due funzioni d’onda, pur partite da regioni diverse dello spazio e quindidistinguibili, si sovrappongono per l’espansione dei pacchetti d’onda, non è più possi-bile riconoscere l’una e l’altra particella nemmeno se poi ipacchetti d’onda si separanodi nuovo.

Data allora l’hamiltoniana simmetrica per scambio delle particelle in cui compaionole masse uguali

H =p2

1

2m+

p22

2m+ V (r1, r2)

conr1 = (x1, y1, z1) e r2 = (x2, y2, z2), definiamo l’operatore di scambiodelle parti-celle (indicato conC) che agisce secondo le regole

C−1 r1 C = r2 e C−1 p1 C = p2 (8.1)

Data ora l’equazionex1 |r1, r2〉 = x1 |r1, r2〉 e le analoghe per le componentiy1, z1,segue

C−1 x1 |r1, r2〉 = x1 C−1 |r1, r2〉

ovvero, inserendo l’identità sotto forma diC C−1

[C−1 x1 C] C−1|r1, r2〉 = x1 C−1 |r1, r2〉

da cui, utilizzando la prima delle(8.1), otteniamo

x2 [C−1 |r1, r2〉] = x1 [C−1 |r1, r2〉]il cui significato è cheC−1 |r1, r2〉 è autostato dix2 con autovalorex1.

143

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144 CAPITOLO 8. PARTICELLE IDENTICHE

Poiché quindi|r1, r2〉 è autostato dix1 con autovalorex1 e C−1 |r1, r2〉 è autostatodi x2 con autovalorex1, possiamo porreC−1 |r1, r2〉 = |r2, r1〉: si ha infatti

x2 [C−1 |r1, r2〉] = x1 [C−1 |r1, r2〉] e x1 [C−1 |r1, r2〉] = x2 [C−1 |r1, r2〉]

da cui per confronto ricaviamo appuntoC−1 |r1, r2〉 = |r2, r1〉 con la relazione inversadata daC |r2, r1〉 = |r1, r2〉.

Sulla base|r1, r2〉 si ha il rappresentativo〈r1, r2|C|ψ〉 = 〈r2, r1|ψ〉, ovvero larelazione fra le funzioni d’ondaψ(r1, r2) eψ(r2, r1) data da(C ψ) (r1, r2) = ψ(r2, r1).

Poiché l’operatore di scambioC è tale che il suo quadrato coincide con l’identità,ovveroC2 = I, allora i suoi autovalori sonoλ = +1,−1 e le sue autofunzioni sonorispettivamente le funzioni pari e dispari per scambio delle due particelle.

Poiché il termine potenziale nell’hamiltoniana è simmetrico per scambio delle par-ticelle, ovveroV (r1, r2) = V (r2, r1), allora si haC−1H C = H, ovvero la regola dicommutazione[H, C] = 0.

Essendo dunqueH e C diagonalizzabili simultaneamente, segue che anche le au-tofunzioni dell’hamiltoniana di due particelle identichesono pari e dispari per scambiodelle particelle stesse.

Verifichiamo direttamente che, come si potrebbe dedurre peraltro dall’equazione diHeisenberg, l’operatoreC risulta essere costante del moto. Si ha infatti

C |ψ, t〉 = C e−iHht |ψ, 0〉 = e−i

Hht C |ψ, 0〉 = e−i

Hht (±|ψ, 0〉) = ±|ψ, t〉

ovvero l’evoluzione temporale di|ψ, 0〉 mantiene la stessa parità di|ψ, 0〉 stesso.Aggiungiamo che tutte le osservabiliO(i, j) relative a particelle identiche debbono

essere simmetriche sotto scambio delle particelle, ovveroO(i, j) = O(j, i).In natura esistono due tipi di sistemi di particelle: i sistemi di particelle con spin

intero hanno funzione d’onda pari per scambio delle particelle e le particelle di talesistema vengono chiamatebosoni; i sistemi di particelle con spin semintero hanno fun-zione d’onda dispari per scambio delle particelle e le particelle di tale sistema vengonochiamatefermioni.

Consideriamo come esempio l’hamiltoniana

H =p2

1

2m+

p22

2m+ V (r1) + V (r2)

con la stessa funzioneV (·) per entrambe le particelle, che può rappresentare un atomodi elio in cui siano presenti le sole interazioni elettrone-nucleo.

Poiché tale hamiltoniana è separata e risulta somma delle due parti

H1 =p2

1

2m+ V (r1) e H2 =

p22

2m+ V (r2)

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145

allora se sappiamo risolvere separatamente le due equazioni di Schrödinger indipendentidal tempo

H1 φn1(r1) = En1 φn1(r1) e H2 φn2(r2) = En2 φn2(r2)

possiamo scrivere l’autofunzioneψn(r1, r2) dell’hamiltoniana totaleH nella forma

ψn(r1, r2) = φn1(r1)φn2(r2)

con autovaloreEn = En1 + En2.Infatti si ha

H ψn(r1, r2) = (H1 +H2)φn1(r1)φn2(r2) =

= En1 φn1(r1)φn2(r2) + En2 φn1(r1)φn2(r2) = (En1 + En2)φn1(r1)φn2(r2) =

= En ψn(r1, r2)

Inoltre, seψn(r1, r2) è autostato diH con autovaloreEn, allora, con dimostrazio-ne analoga a quella appena svolta, anche la funzioneψn(r2, r1) = φn1(r2)φn2(r1) èautostato diH relativo sempre allo stesso autovalore (o livello)En.

Poiché l’operatore di scambio agisce secondo la regolaC ψ±(r1, r2) = ±ψ±(r1, r2)e le autofunzioni diH debbono coincidere con quelle diC, allora scriviamo l’autofun-zione diH relativa al livelloEn nella forma

Ψ±n (r1, r2) = N [ψn(r1, r2) ± ψn(r2, r1)] = N [φn1(r1)φn2(r2) ± φn1(r2)φn2(r1)]

conN costante di normalizzazione.Osserviamo che lo sviluppo eseguito fino a questo punto rimane del tutto identico se

il sistema possiede spin e lo stato fosseψn(r1, s1, r2, s2).Nel caso antisimmetrico dato dall’autofunzione

Ψ−n (r1, r2) = N [φn1(r1)φn2(r2) − φn1(r2)φn2(r1)]

abbiamo che se valeEn1 = En2, allora si haΨn(r1, r2) = 0.Questo è un modo per enunciare ilprincipio di esclusionedi Pauli per cui due fer-

mioni, la cui funzione d’onda è appunto antisimmetrica, nonpossono essere posti nellostesso livelloEn1 = En2 , perché la funzione d’ondaΨn(r1, r2) = 0 che essi avrebberonon è un’autofunzione.

Ad esempio un atomo di elio con hamiltoniana (rozza)H = H1 +H2 avrebbe statofondamentale

ψ0(r1, r2) = R10(r1) Y00(θ1, φ1)R10(r2) Y00(θ2, φ2)

ma poiché l’autofunzione di uno stato elettronico (cioè di un sistema di fermioni) de-ve essere antisimmetrica per scambio delle due particelle,allora scriviamo lo statofondamentale nella forma

Ψ0(r1, r2) =

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146 CAPITOLO 8. PARTICELLE IDENTICHE

= R10(r1) Y00(θ1, φ1)R10(r2) Y00(θ2, φ2) −R10(r2) Y00(θ2, φ2)R10(r1) Y00(θ1, φ1) = 0

da cui deduciamo che i due elettroni dell’atomo di elio non possono trovarsi entrambi nelproprio stato fondamentale perché una funzione nulla non può essere un’autofunzionedi un’hamiltoniana.

Se passiamo da un sistema con due particelle ad un sistema generale din particel-le avente autofunzioneφ(x1, x2, ..., xn), allora, indicata conPi una certa permutazio-ne delle coordinatex1, x2, ..., xn, possiamo costruire le autofunzioni simmetricheψs eantisimmetricheψa ponendo

ψs(x1, x2, ..., xn) =∑

i

Pi φ(x1, x2, ..., xn)

ψa(x1, x2, ..., xn) =∑

i

(−1)|Pi| Pi φ(x1, x2, ..., xn)

dove |Pi| vale +1 o −1 a seconda che la permutazionePi sia rispettivamente pari odispari.

Se il sistema avessen particelle indipendenti, allora la generica autofunzionesepa-rata assumerebbe la forma

ψEk(x1, x2, ..., xn) = φEk1 (x1) · φEk2 (x2) · ... · φEkn (xn)a partire dalla quale si ottiene l’autofunzione antisimmetricaψaEk data dal determinante,dettodeterminante di Slater

ψaEk(x1, x2, ..., xn) = det

φEk1 (x1) φEk1 (x2) ... φEk1 (xn)

φEk2 (x1) φEk2 (x2) ... φEk2 (xn)

... ... ... ...φEkn (x1) φEkn (x2) ... φEkn (xn)

In meccanica quantistica relativistica si dimostra che le particelle con spin inte-ro non possono avere funzione d’onda antisimmetrica e particelle con spin seminteronon possono avere funzione d’onda simmetrica, altrimenti risulta violato il principio dicausalità.

Tornando all’hamiltoniana (rozza perché non contenente iltermine di interazionedei due elettroni) dell’atomo di elio, abbiamo allora che senon consideriamo lo spin, lostato fondamentaleψaE1,2

è dato dall’autofunzione (quattro volte degenere)

ψaE1,2(x1,x2) = N [R10(r1)Y00(θ1, ϕ1)R2l(r2)Ylm(θ2, ϕ2) − indici scambiati]

Considerando ora lo spin dell’elettrone nell’atomo d’idrogeno, possiamo costruirel’autofunzione dello stato fondamentale dell’atomo di elio (rozzo) ponendo entrambi glielettroni nello stato conn = 1 perché si ottiene

ψaE1,2(x1,x2) = N

[

R10(r1)Y00(θ1, ϕ1)

(

10

)

R10(r2)Y00(θ2, ϕ2)

(

01

)

+

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8.1. LOCALITÀ DELLA FISICA 147

−R10(r2)Y00(θ2, ϕ2)

(

10

)

R10(r1)Y00(θ1, ϕ1)

(

01

)]

=

= R10(r1)Y00(θ1, ϕ1)R10(r2)Y00(θ2, ϕ2)

[(

10

)(

01

)

−(

01

)(

10

)]

dove i termini di spin sono autostati diS1z eS2z .Indicando con|0, 0〉 lo stato composizione di due momenti angolari

|0, 0〉 =1√2

[(

10

)(

01

)

−(

01

)(

10

)]

dettostato di singolettoperché unico stato antisimmetrico per scambio delle particel-le ottenuto componendo i due spins1 = s2 = 1/2, segue che lo stato fondamentaledell’atomo di elio (rozzo), scritto nella forma

ψaE1(x1,x2) = R10(r1)Y00(θ1, ϕ1)R10(r2)Y00(θ2, ϕ2) |0, 0〉

è dato dal prodotto di una parte spaziale simmetrica (con i due elettroni inn = 1) e diuna parte di spin antisimmetrica (perché data dal singoletto).

8.1 Località della fisica

Poiché gli elettroni sono presenti nell’universo in enormequantità, si potrebbe pensareche il determinante di Slater debba tener conto di tutti questi elettroni. Dimostriamoinvece che la fisica èlocale, ovvero, per ogni elettrone soltanto quelli “vicini” ad essohanno rilevanza.

Consideriamo infatti due elettroni separati aventi funzioni d’ondaψ1(x1) eψ2(x2) econ autofunzione totale antisimmetrica per scambio

Ψ(x1,x2) =1√2

[ψ1(x1)ψ2(x2) − ψ1(x2)ψ2(x1)]

Data un’osservabileO(1, 2), simmetrica per scambio delle due particelle identi-che, verifichiamo che per il calcolo del suo valor medio gli elettroni “lontani” fra loroforniscono contributo nullo. Sviluppando infatti il valormedio diO(1, 2)

〈O〉 =1

2

d3x1 d3x2 [Ψ∗(x1,x2)O(1, 2) Ψ(x1,x2)] (8.2)

si ottiene la somma dei due termini non misti uguali fra loro∫

d3x1 d3x2 [ψ∗

1(x1)ψ∗2(x2)O(1, 2)ψ1(x1)ψ2(x2)]

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148 CAPITOLO 8. PARTICELLE IDENTICHE

e due termini misti uno dei quali è

1

2

d3x1 d3x2 [ψ∗

1(x1)ψ∗2(x2)O(1, 2)ψ1(x2)ψ2(x1)]

Se i due elettroni sono “lontani” fra loro e i loro pacchetti d’onda non si sovrappon-gono, ovveroψ1(x1) , ψ2(x2) sono diversi da zero eψ1(x2) = ψ2(x1) = 0, allora i duetermini misti nello sviluppo del valor medio(8.2) sono nulli perchéx1 si trova nellaparte nulla della funzione d’ondaψ2 del secondo elettrone ex2 si trova nella parte nulladella funzione d’ondaψ1 del primo elettrone.

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Capitolo 9

Teoria delle perturbazioni

L’equazione di Schrödinger corrispondente all’hamiltoniana di un sistema fisico concre-to non èquasi mairisolubile in forma chiusa e quindi di conseguenza non si posssonoquasi maideterminare in modo esatto lo spettro di un’hamiltoniana e icorrispondentilivelli di energia (autovettori dell’hamiltoniana stessa).

Allora si presenta l’esigenza di approssimare in qualche modo gli autovalori e gliautovettori dell’hamiltoniana assegnata e il metodo di approssimazione che presentiamoconsiste nel considerare l’hamiltoniana data come scindibile nella somma di una partedella quale si possano determninare gli autovalori in modo esatto e di un’altra parte chepossa avere il ruolo dipiccola perturbazione.

I metodi di approssimazione avranno procedure diverse a seconda che l’hamiltonia-na sia indipendente dal tempo con spettro della parte risolubile esattamente degenere onon degenere, oppure l’hamiltoniana sia dipendente dal tempo.

9.1 Teoria indipendente dal tempo: caso non degenere

Data un’hamiltonianaH, tale che l’equazione secolare

H |E(k)〉 = E(k) |E(k)〉 (9.1)

non abbia soluzioni in forma chiusa, supponiamo che si possaesprimere l’operatoreHnella formaH = H0 + ǫV , con ǫ parametropiccolo e H0 tale che la sua equazionesecolare

H0 |E(k)0 〉 = E

(k)0 |E(k)

0 〉abbia soluzioni in forma chiusa.

Seǫ è parametropiccolo, allora sviluppiamo gli autovalori e gli autovettori diH inserie di potenze diǫ, ovvero

E(k)(ǫ) =+∞∑

n=0

ǫnE(k)n e |E(k), ǫ〉 =

+∞∑

n=0

ǫn |E(k)n 〉 (9.2)

149

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150 CAPITOLO 9. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI

in modo tale che per la non degenerazione dello spettro valga

limǫ→0

E(k)(ǫ) = E(k)0 e lim

ǫ→0|E(k), ǫ〉 = |E(k)

0 〉

Sostituendo dunque gli sviluppi(9.2) nell’equazione secolare(9.1), si ottiene l’e-quazione

[H0 + ǫV ] ( |E(k)0 〉 + ǫ |E(k)

1 〉 + ǫ2 |E(k)2 〉 + ... ) = (9.3)

= (E(k)0 + ǫE

(k)1 + ǫ2E

(k)2 + ... )( |E(k)

0 〉 + ǫ |E(k)1 〉 + ǫ2 |E(k)

2 〉 + ... )

nella quale debbono essere uguagliati i coefficienti delle potenze diǫ corrispondenti inambo i membri.

Uguagliando i termini di ordine zero, si ottiene ovviamentel’equazione agli autova-lori dell’operatoreH0

H0 |E(k)0 〉 = E

(k)0 |E(k)

0 〉che già conosciamo e sappiamo risolvere.

Uguagliando i termini di ordine 1, si ottiene l’equazione vettoriale

H0 |E(k)1 〉 + V |E(k)

0 〉 = E(k)0 |E(k)

1 〉 + E(k)1 |E(k)

0 〉 (9.4)

dalla quale, proiettando ambo i membri su〈E(k)0 |, si ricava l’equazione scalare

〈E(k)0 |H0 |E(k)

1 〉 + 〈E(k)0 | V |E(k)

0 〉 = 〈E(k)0 |E(k)

0 |E(k)1 〉 + E

(k)1 〈E(k)

0 |E(k)0 〉

che, dopo la semplificazione di〈E(k)0 |H0 |E(k)

1 〉 = 〈E(k)0 |E(k)

0 |E(k)1 〉 = E

(k)0 〈E(k)

0 |E(k)1 〉,

diventaE

(k)1 = 〈E(k)

0 | V |E(k)0 〉 (9.5)

La relazione(9.5) rappresenta lacorrezioneal primo ordine nella teria delle per-turbazioni che deve essere aggiunta all’autovaloreE

(k)0 per avere l’approssimazione al

primo ordine dell’autovaloreE(k) dell’hamiltonianaH: si ha cioè

E(k) = E(k)0 + ǫE

(k)1 = E

(k)0 + ǫ 〈E(k)

0 | V |E(k)0 〉

La perturbazione si considera piccola se le correzioni che essa induce sono più pic-cole della spaziatura fra i livelli consecutivi dati dagli autovaloriE(k)

0 eE(k+1)0 di H0,

ovvero se i livelli perturbati sonoriconoscibilida quelli non perturbati.Proiettando l’equazione vettoriale(9.4) all’ordine ǫ su〈E(h)

0 |, conh 6= k, si ottiene

E(h)0 〈E(h)

0 |E(k)1 〉 + 〈E(h)

0 | V |E(k)0 〉 = E

(k)0 〈E(h)

0 |E(k)1 〉

da cui segue

〈E(h)0 |E(k)

1 〉 =〈E(h)

0 | V |E(k)0 〉

E(k)0 − E

(h)0

con h 6= k (9.6)

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9.1. TEORIA INDIPENDENTE DAL TEMPO: CASO NON DEGENERE 151

Tale espressione rappresenta le proiezioni del ket|E(k)1 〉 su tutti i vettori|E(h)

0 〉 taliche valgah 6= k.

La mancanza di informazione relativa al bra〈E(k)0 |, ovvero la mancanza del prodotto

scalare〈E(k)0 |E(k)

1 〉, è collegata alla norma del livello esatto e alla possibilità di moltipli-care i ket per una fase irrilevante: in altre parole, imponendo che il ket corretto al primoordine |E(k)〉 = |E(k)

0 〉 + ǫ |E(k)1 〉 abbia norma unitaria e ridefinendo opportunamente

una fase per|E(k)0 〉, si possono annullare parte reale e parte immaginaria del prodotto

scalare〈E(k)0 |E(k)

1 〉, in modo tale che, senza quindi perdita di generalità, la proiezionedel ket|E(k)

1 〉 sul ket|E(k)0 〉 possa essere considerata sempre nulla.

Si ha infatti al primo ordine inǫ

∣∣∣|E(k)〉

∣∣∣

2=∣∣∣|E(k)

0 〉 + ǫ |E(k)1 〉

∣∣∣

2= 1 + ǫ ( 〈E(k)

1 |E(k)0 〉 + 〈E(k)

0 |E(k)1 〉 ) =

= 1 + Re〈E(k)0 |E(k)

1 〉da cui segue che la normalizzazione〈E(k)|E(k)〉 = 1 del ket corretto|E(k)〉 permette diannullare la parte reale della proiezione〈E(k)

0 |E(k)1 〉 mancante nella(9.6), cioè fornisce

la relazioneRe〈E(k)0 |E(k)

1 〉 = 0.Essendo quindi tale proiezione immaginaria pura, possiamoporre〈E(k)

0 |E(k)1 〉 = iα

e vogliamo dimostrare che anche la parte immaginariaα può essere considerata nulla.Moltiplicando il ket |E(k)

0 〉 per una fase irrilevante e sostituendo il ket

eiγǫ |E(k)0 〉 ≈ (1 + iγǫ) |E(k)

0 〉 = |E(k)0 〉 + iγǫ |E(k)

0 〉

nell’espressione di|E(k)〉, si ottiene

|E(k)〉 = |E(k)0 〉 + iγǫ |E(k)

0 〉 + ǫ |E(k)1 〉 = |E(k)

0 〉 + ǫ (iγ |E(k)0 〉 + |E(k)

1 〉)

ovvero|E(k)〉 = |E(k)

0 〉 + ǫ |E(k)1 〉

avendo posto|E(k)1 〉 = iγ |E(k)

0 〉 + |E(k)1 〉.

Osserviamo che le due relazioni

|E(k)〉 = |E(k)0 〉 + ǫ |E(k)

1 〉 e |E(k)〉 = |E(k)0 〉 + ǫ |E(k)

1 〉

sono equivalenti perché in esse i ket|E(k)0 〉 differiscono soltanto per una fase e allora

concludiamo che può sempre essere annullata anche la parte immaginaria del prodottoscalare〈E(k)

0 |E(k)1 〉 dimostrando che se non valesse giàIm 〈E(k)

0 |E(k)1 〉 = 0, allora si

può in ogni caso imporre sempreIm 〈E(k)0 |E(k)

1 〉 = 0. Infatti si ha

Im 〈E(k)0 |E(k)

1 〉 = Im 〈E(k)0 | (iγ |E(k)

0 〉 + |E(k)1 〉) = γ + α

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152 CAPITOLO 9. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI

da cui segue che se si sceglie la faseγ = −α per il ket |E(k)0 〉, allora si ottiene appunto

la relazioneIm 〈E(k)0 |E(k)

1 〉 = 0.Poiché dunque la normalizzazione del ket corretto|E(k)〉 e l’eventuale ridefinizione

della fase di|E(k)0 〉 permettono sempre di rendere nulla la parte reale e la parte imma-

ginaria del prodotto scalare〈E(k)0 |E(k)

1 〉, allora non è restrittivo considerare nulla sindall’inizio la proiezione〈E(k)

0 |E(k)1 〉, in modo tale che la sua mancanza nella(9.6) non

costituisca dunque nessuna perdita di informazione.Dalle proiezioni(9.6) si ottiene la correzione al primo ordine|E(k)

1 〉 data dallosviluppo

|E(k)1 〉 =

h 6=k〈E(h)

0 |E(k)1 〉 |E(h)

0 〉 =∑

h 6=k

〈E(h)0 | V |E(k)

0 〉E

(k)0 − E

(h)0

|E(h)0 〉

Considerando nell’equazione(9.3) soltanto i termini inǫ2, si ottiene la correzione alsecondo ordine.

In particolare riscriviamo l’equazione agli autovalori(9.3) nella forma

[H0 + ǫV ] ( |E(k)0 〉 + ǫ |E(k)

1 〉 + ǫ2 |E(k)2 〉) =

= (E(k)0 + ǫE

(k)1 + ǫ2E

(k)2 )( |E(k)

0 〉 + ǫ |E(k)1 〉 + ǫ2 |E(k)

2 〉)da cui per l’hermitianità diH0 che agisce a sinistra e per l’ortogonalità, ottenuta all’or-dineǫ, di |E(k)

1 〉 e |E(k)0 〉, si ricava con procedimento analogo a quello del prim’ordine

E(k)2 = 〈E(k)

0 | V |E(k)1 〉 =

n 6=k〈E(k)

0 | V |E(0)n 〉 〈E(n)

0 |E(k)1 〉 =

=∑

n 6=k

〈E(k)0 | V |E(n)

0 〉〈E(n)0 | V |E(k)

0 〉E

(k)0 − E

(n)0

=∑

n 6=k

VknVnk

E(k)0 −E

(n)0

9.2 Teoria indipendente dal tempo: caso degenere

Per introdurre il metodo di approssimazione nel caso in cui l’hamiltonianaH0 abbiaspettro degenere, consideriamo un magnete immerso in un campo magnetico debole:se tale campo è parallelo alla magnetizzazione del magnete,allora la magnetizzazionesubisce soltanto unapiccola variazione nella medesima direzione; se il campo non èparallelo alla magnetizzazione, allora il magnete prima siallinea al campo e poi varia lapropria intensità. In questo secondo caso, dopo lo spegnimento del campo si ha che ilmagnete permane nella direzione del campo stesso.

Sia ora|E(k)0 , d〉 uno deid autoket ortonormalizzati, esatti e noti diH0 relativi all’au-

tovaloreE(k)0 (avente degenerazioned). L’autoket esatto diH, indicato con|E(k), ǫ〉,

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9.3. METODO VARIAZIONALE 153

tenderà allora, perǫ tendente a zero, ad un certo autovettore diH0 appartenente alsottospazio di degenerazione, ovvero avremo

limǫ→0

|E(k), ǫ〉 =∑

d

Cd |E(k)0 , d〉

conCd che può essere anchegrandeperǫ tendente a zero.Sostituendo allora l’approssimazione al primo ordine

|E(k), ǫ〉 ≈∑

d

Cd |E(k)0 , d〉 + ǫ |E(k)

1 〉

nell’equazione[H0 + ǫV ] |E(k), ǫ〉 = (E

(k)0 + ǫE

(k)1 ) |E(k), ǫ〉

e moltiplicando ambo i membri per il bra〈E(k)0 , d′|, si ottiene l’equazione

d

Cd 〈E(k)0 , d′|V |E(k)

0 , d〉 = E(k)1 Cd (9.7)

che, come si vede immediatamente, risulta essere un’equazione agli autovalori per lamatriceVd′d = 〈E(k)

0 , d′|V |E(k)0 , d〉.

Tali autovaloriE(k)1 rappresentano led correzioni del livello degenereE(k)

0 imper-turbato la cui degenerazione quindi in tal modo, come si dice, viene rimossa. Gli au-tovettori ottenuti dalla(9.7) sono invece i nuovi vettori di base nel sottospazio dege-nere imperturbato ai quali, perǫ tendente a zero, tendono biunivocamente gli autovet-tori imperturbati|E(k)

0 , d〉 scelti inizialmente come autovettori di bese nel sottospaziodegenere.

In analogia con il magnete, abbiamo che, spegnendo la perturbazione, gli autovettoriottenuti dall’equazione(9.7) rimangono a formare la base nel sottospazio degenere.

Se la perturbazione rimuove già al primo ordine la degenerazione, allora per il se-condo ordine si può applicare la teoria non degenere. Se la perturbazione rimuove soloalcuni deid autoket, allora nel sottospazio degli autoket rimasti degeneri occorre dia-gonalizzare la matriceVk′nVnk′′ in modo che che gli autovalori diano le correzioni e gliautovettori siano i vettori di base nel sottospazio rimastodegenere ai quali tendono gliautovettori rimasti degeneri quando si spegne la perturbazione.

9.3 Metodo variazionale

Data un’hamiltonianaH aventeEn e |En〉 rispettivamente come autovalori e auto-vettori esatti, il valor medio diH su uno stato normalizzato|ψ〉 verifica la seguentedisuguaglianza

〈ψ|H|ψ〉 =∑

n

〈ψ|H|En〉〈En|ψ〉 =∑

n

〈ψ|En〉〈En|ψ〉En ≥

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154 CAPITOLO 9. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI

≥∑

n

〈ψ|En〉〈En|ψ〉E0 = E0 〈ψ|ψ〉 = E0

da cui, se〈ψ|ψ〉 = 1, scaturisce

E0 ≤ 〈ψ|H|ψ〉 (9.8)

In altre parole, il valor medio diH su uno stato normalizzato|ψ〉 rappresenta un’ap-prossimazione per eccesso del livello fondamentaleE0.

La disuguaglianza(9.8) può essere utilizzata allora per stimare il livello fondamen-tale di un’hamiltonianaH: se si considera un ket|ψ〉 di provadipendente dak parametri,ovvero un ket|ψ(a1, a2, ..., ak)〉, allora abbiamo

E0 ≤ 〈ψ|H|ψ〉 =∫

ψ∗(x, a1, a2, ..., ak)H ψ(x, a1, a2, ..., ak) dx := F (a1, a2, ..., ak)

e potremmo quindi minimizzare poi la funzioneF (a1, a2, ..., ak) rispetto ai parametri.Tale metodo, chiamatometodo variazionale, è completamente non perturbativo, ma

presenta il problema che non permette di stimare l’errore che si commette. Tale metodosi applica per esempio per stimare il livello fondamentale dell’atomo di elio.

9.4 Teoria dipendente dal tempo

Consideriamo ora un’hamiltoniana totaleH che possa essere scritta nella forma

H = H0 + ǫ V (t)

doveH0 è un’hamiltoniana di cui si conoscano lo spettro e gli autovettori |E(n)0 〉 e ǫ è

un parametropiccolo. In questo caso non cerchiamo gli autostati completi diH per-ché l’operatoreH dipende esplicitamente dal tempo e non esiste pertanto l’equazionedi Schrödinger indipendente dal tempoH|En〉 = En |En〉. L’hamiltonianaH è respon-sabiledelle transizioni del sistema da uno stato all’altro durante l’intervallo di tempo diazione della perturbazione.

Poiché gli autoket|E(n)0 〉 di H0 formano un insieme completo, allora espandiamo

l’autostato|ψ, t〉 di H nella forma

|ψ, t〉 =∑

n

an(t)e−i

E(n)0h

t |E(n)0 〉 (9.9)

in cui è stata evidenziata la dipendenza dal tempo di tipo esponenziale. Se lo stato|ψ, t〉è normalizzato, allora|an(t)|2 rappresenta la probabilità di trovare il sistema al tempotnello stato indicizzato conn.

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9.4. TEORIA DIPENDENTE DAL TEMPO 155

Inserendo la(9.9) nell’equazione di Schrödinger dipendente dal tempo

ih∂

∂t|ψ, t〉 = H |ψ, t〉

si ottiene l’equazione differenziale

ih∑

n

d

dtan(t) e

−iE

(n)0h

t |E(n)0 〉 =

n

an(t) ǫ V (t) e−iE

(n)0h

t |E(n)0 〉

Moltiplicando quindi scalarmente ambo i membri di tale equazione per il bra〈E(k)0 | e

tenendo presente la relazione di ortonormalità〈E(k)0 |E(n)

0 〉 = δkn verificata dagli autoketdell’operatoreH0, si ottiene

d

dtak(t) =

1

ih

n

an(t) ǫ 〈E(k)0 |V (t)|E(n)

0 〉 e−(i/h) [E(n)0 −E(k)

0 ] t (9.10)

Se inseriamo lo sviluppo in serie di potenze diak(t)

an(t) = a(0)n (t) + ǫ a(1)

n (t) + ǫ2 a(2)n (t) + ...

nella(9.10) e uguagliamo i coefficienti delle potenze omologhe diǫ, otteniamo

d

dta

(0)k (t) = 0 (9.11)

d

dta

(1)k (t) =

1

ih

n

a(0)n (t) 〈E(k)

0 |V (t)|E(n)0 〉 e−(i/h) [E

(n)0 −E(k)

0 ] t (9.12)

d

dta

(2)k (t) =

1

ih

n

a(1)n (t) 〈E(k)

0 |V (t)|E(n)0 〉 e−(i/h) [E

(n)0 −E(k)

0 ] t

...

d

dta

(m+1)k (t) =

1

ih

n

a(m)n (t) 〈E(k)

0 |V (t)|E(n)0 〉 e−(i/h) [E

(n)0 −E(k)

0 ] t

L’equazione(9.11) dimostra chea(0)k (t) non dipende dal tempo, come in effetti deve

essere quando la perturbazione è spenta.In virtù di questa conclusione, possiamo allora dire chea

(0)k definisce le condizioni

iniziali del problema e dunque possiamo assumere, per semplicità, che il sistema si trovainizialmente, cioè pert ≤ t0, in un autostatoψh ben definito.

Si ha cosìa(0)n = δnh, senza che questa posizione sia in contraddizione con il princi-

pio di indeterminazione∆E∆t ≥ h perché c’è una quantità di tempo pressoché infinitaper preparare lo stato iniziale.

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156 CAPITOLO 9. TEORIA DELLE PERTURBAZIONI

Sostituendo la relazionea(0)n = δnh nella(9.12), si ottiene

d

dta

(1)k (t) =

1

ih〈E(k)

0 |V (t)|E(h)0 〉 e−(i/h) [E

(h)0 −E(k)

0 ] t (9.13)

SupponendoV (t) diversa da zero soltanto nell’intervallo di tempo(0, t) nel quale sihaV (t) = V0, allora integrando la(9.13) si ottiene

a(1)k (t) = − 〈E(k)

0 |V0|E(h)0 〉

E(k)0 − E

(h)0

(

e−(i/h) [E(h)0 −E(k)

0 ] t − 1)

Al primo ordine nella teoria delle perturbazioni, abbiamo quindi che la probabilità ditransizione per la transizione dallo stato iniziale indicato conh allo stato finale indicatoconk è data da

Pkh(t) = |a(1)k (t)|2 =

2

h|〈E(k)

0 |V0|E(h)0 〉|2 F (t, ω

kh)

dove si è posto

ωkh

:=E

(k)0 −E

(h)0

he F (t, ω) =

1 − cosωt

ω2

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Capitolo 10

Formalismo di seconda quantizzazione

Date delle particelle identiche tutte di massam, consideriamo un’hamiltoniana dellaforma

H =∑

i

Hi

dove il termine

Hi =p2i

2m+ V (xi)

agisce soltanto sulle variabili della particellai− esima.In questo caso le particelle sono non interagenti esentonosoltanto un potenziale

esterno. Risolvendo l’equazione secolare di tutte leHi e date le autofunzioniuni(xi)della genericaHi, si costruisce lo stato (autofunzione) complessivo simmetricoψ

simmo

antisimmetricoψantisimm

eseguendo

ψsimm

=∑

π

[un1(x1) un2(x2) un3(x3)...unN (xN )]

eψantisimm

=∑

π

(−1)|π| [un1(x1) un2(x2) un3(x3)...unN (xN)]

dove la somma è calcolata su tutte le permutazioniπ di n1, n2, ..., nN e |π| rappresental’ordine pari o dispari di una certa permutazione.

La seconda quantizzazione si basa sul concetto dinumero di occupazionedel li-vello di energiaEk di singola particella: il numero di occupazionen

Ekè il numero di

particelle che stanno nel livello di energiaEk di singola particella.Se assegnamo per esempio i numeri di occupazione (riferiti aparticelle bosoniche)

nE0

= 2 e nEk

= 0, ∀k > 0

allora la funzione d’ondaψ(x1,x2) è data da

ψ(x1,x2) = uE0

(x1) uE0(x2)

che è già simmetrica.

157

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158 CAPITOLO 10. FORMALISMO DI SECONDA QUANTIZZAZIONE

Ai numeri di occupazione

nE0

= 1, nE1

= 1 e nEk

= 0, ∀k > 1

corrisponde la funzione d’ondaψ(x1,x2) data da

ψ(x1,x2) =1√2[u

E0(x1) uE1

(x2) ± uE0

(x2) uE1(x1)]

con il segno relativo positivo o negativo a seconda che i numeri quantici si riferiscano aparticelle bosoniche o fermioniche.

L’assegnazione dei numeri di occupazione dei livelli di singola particella non fissail numero totale di particelleN

T, che è dato da

NT

=∞∑

k=0

nEk

ma permette di ricostruire la funzione d’onda e di calcolareil valore delle osservabili,come per esempio il valoreE dell’energia dato da

E =∞∑

k=0

nEkEk

Possiamo allora considerare unsuperspaziodi Hilbert in cui agiscono infiniti opera-tori, denotati conn

Ek, dettioperatori numeri di occupazione, che commutano fra loro e

sono hermitiani perché i numeri di occupazione sono osservabili.Indichiamo i vettori in questo superspazio di Hilbert con ilket

|nE1, n

E2, n

E3, ...〉

in modo tale che l’azione degli operatori numeri di occupazione su tali vettori sia

nEi|n

E1, n

E2, n

E3, ...〉 = n

Ei|n

E1, n

E2, n

E3, ...〉

In questo spazio di Hilbert l’hamiltonianaH è data da

H =∞∑

k=0

Ek nEk

e definiamo il prodotto scalare nel seguente modo

1〈 | 〉2 := δn

(1)E1,n

(2)E1

· δn

(1)E2,n

(2)E2

· δn

(1)E3,n

(2)E3

· ...

ovvero tale prodotto scalare è pari a 1 se tutti i numeri di occupazione dei due ket sonocorrispondentemente uguali ed è pari a zero se almeno unn(1)

Ejè diverso dan(2)

Ej.

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159

Quindi gli elementi|nE1, n

E2, n

E3, ...〉 costituiscono una base ortonormale completa

del superspazio di Hilbert introdotto in modo tale che qualunque ket|ψ〉 dello spazio siesprima come combinazione lineare degli elementi di base

|ψ〉 =∑

CnE1,nE1,... |nE1

, nE2, n

E3, ...〉

Se l’hamiltoniana data è separata nella formaH = H1+H2+H3+...+HN con le sin-gole equazioni secolariHiuni = Eni

uni , allora si ha che per esempio allo stato indicatocon |1, 2, 0, 0, ...〉 corrisponde l’autofunzione (senza simmetria)u0(x1) u1(x2) u1(x3) .

Con questo formalismo abbiamo stati con zero particelle, indicati con|0, 0, 0, ...〉,stati con una particella o due o tre e così via. Per gli stati con una particella dobbia-mo ritrovare tutte le proprietà della meccanica quantistica già studiate appunto per unaparticella.

Se consideriamo il caso bosonico in cui ciascun numero di occupazione può assu-mere valori che vanno da zero a infinito (si noti l’analogia con l’oscillatore armonico),allora si può definire l’operatoren

Eiin analogia con l’oscillatore armonico ponendo

nEi

= a+EiaEi

dove gli operatoria+, a, pur non avendo nulla a che fare con l’oscillatore armonico,necondividono le regole algebriche di commutazione

[aEi, a+

Ej] = δij e [a

Ei, a

Ej] = [a+

Ei, a+

Ej] = 0

L’azione di tali operatori, conseguenza delle loro regole di commutazione, è dataallora da

a+Ej

|nE1, n

E2, ..., n

Ej, ...〉 =

nEj

+ 1 |nE1, n

E2, ..., n

Ej+ 1, ...〉

aEj

|nE1, n

E2, ..., n

Ej, ...〉 =

nEj

|nE1, n

E2, ..., n

Ej− 1, ...〉

che giustifica il nome di operatori dicreazionee annichilazionedi particelle per glioperatoria+

Eje a

Ejrispettivamente.

Per costruire uno stato, si applica dunque allo stato di vuoto, indicato con|0, 0, 0, ...〉,l’operatorea+

Ektante volte quante sono le particelle del sistema nei vari livelli Ek, es-

sendo irrilevante l’ordine con cui agisconoa+Ek

e a+Eh

perché tali operatori commutanofra loro.

Possiamo allora riesprimere gli operatorinumero totaledi particelle e hamiltonianomediante gli operatoria+

Eke a

Ekponendo

NT

=∞∑

k=0

nEk

=∞∑

k=0

a+EkaEk

e H =∞∑

k=0

Ek nEk =∞∑

k=0

Ek a+EkaEk

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160 CAPITOLO 10. FORMALISMO DI SECONDA QUANTIZZAZIONE

Per ritrovare la meccanica quantistica di singola particella con questo formalismo,costruiamo il più generale stato|ψ〉 di singola particella in questo spazio dato da

|ψ〉 =∞∑

k=0

ck a+Ek

|0〉

la cui norma al quadrato è data da

〈ψ|ψ〉 =∑

k,k′c∗kck′ 〈0| aE

k′a+Ek

|0〉 =∑

k,k′c∗kck′ 〈0| [aE

k′, a+

Ek] |0〉 =

=∑

k,k′c∗kck′ 〈0|0〉 δk,k′ =

∞∑

k=0

|ck|2

da cui segue che|ψ〉 ha norma unitaria se, come già ricavato con il formalismo prece-dente, vale

∞∑

k=0

|ck|2 = 1

Allora possiamo concludere che il singolo addendo|ck|2 rappresenta la probabilitàche una misura dell’energia sullo stato|ψ〉 dia valoreEk.

Vediamo come costruire uno stato di singola particella in cui la particella stessa sialocalizzata inx. Nel formalismo precedente è stata utilizzata la base degliautostatidell’energia per ottenere lo sviluppo|x〉 =

k ck |Ek〉 in cui si ha poi

ck = 〈Ek|x〉 = 〈x|Ek〉 = u∗Ek(x)

Affinché il nuovo formalismo fornisca la stessa interpretazione della meccanicaquantistica di singola particella, deve valere allora|x〉 =

k u∗Ek

(x) a+Ek

|0〉, dove ilket |x〉 appartiene ora al nuovo superspazio di Hilbert dei numeri dioccupazione.

Per verificare se tale uguaglianza è valida oppure no, si deveverificare se vale oppureno la relazione〈x′|x〉 = δ(x′ − x).

Sviluppando si ha il prodotto scalare

〈x′|x〉 =∑

k′,k

uEk′ (x′) u∗Ek(x) 〈0| a

Ek′a+Ek

|0〉 =

=∑

k′,k

uEk′ (x′) u∗Ek(x) 〈0| [a

Ek′, a+

Ek] |0〉 =

=∑

k

uEk′ (x′) u∗Ek(x) =

k

〈x|Ek〉〈Ek|x′〉 = δ(x′ − x)

Ponendo quindi

ψ(x) :=∞∑

k=0

uEk(x) aEk

(10.1)

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161

in cui, come si vede,ψ(x) è un operatore, abbiamo che nel nuovo formalismo l’operato-re coniugatoψ+(x) crea una particella localizzata inx quando agisce sul ket|0〉, dettostato di vuoto, ovvero si ha

|x〉 = ψ+(x) |0〉Analogamente l’operatoreψ+(x)ψ+(y) crea due particelle di cui una localizzata

nella posizionex e una localizzata nella posizioney.Invertendo la relazione(10.1) si ottiene

u∗Eh(x)ψ(x) d3x =∞∑

k=0

u∗Eh(x) uEk(x) aEk

=∞∑

k=0

δhk aEk = aEh

ovvero

aEk

=∫

u∗Ek(x)ψ(x) d3x e a+Ek

=∫

uEk(x)ψ+(x)d3x (10.2)

Con le relazioni(10.2) si possono esplicitare gli operatori numero totale di particellee hamiltoniano.

Per l’operatore numero totale di particelle si ha

NT

=∞∑

k=0

nEk

=∞∑

k=0

a+EkaEk

=∞∑

k=0

uEk(y)ψ+(y) d3x

u∗Ek(x)ψ(x) d3x =

=∫

d3x d3yψ+(y)ψ(x)∞∑

k=0

uEk(y) u∗Ek(x) =∫

d3x d3yψ+(y)ψ(x) δ(x− y) =

=∫

d3xψ+(x)ψ(x)

Utilizzando la stessa procedura e sostituendo

[

− h2

2m∇2

y + V (y)

]

uEk(y) = Ek uEk(y)

otteniamo per l’operatore hamiltoniano

H =∞∑

k=0

Ek nEk =∞∑

k=0

Ek a+EkaEk

=∫

d3x d3yψ+(y)ψ(x)∞∑

k=0

[Ek uEk(y)] u∗Ek(x) =

=∫

d3x d3yψ+(y)ψ(x)∞∑

k=0

[

− h2

2m∇2

y + V (y)

]

uEk(y) u∗Ek(x) =

=∫

d3x d3yψ+(y)ψ(x)

[

− h2

2m∇2

y + V (y)

] ∞∑

k=0

uEk(y) u∗Ek(x) =

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162 CAPITOLO 10. FORMALISMO DI SECONDA QUANTIZZAZIONE

=∫

d3x d3yψ+(y)ψ(x)

[

− h2

2m∇2

y + V (y)

]

δ(x − y) =

=∫

d3x d3yψ+(y)ψ(x)V (y)δ(x−y)−∫

d3x d3yψ+(y)ψ(x)

[

h2

2m∇2

y

]

δ(x−y) =

=∫

d3xψ+(x)ψ(x)V (x) − h2

2m

d3x [∇2xψ

+(x)]ψ(x)

=∫

d3xψ(x)

[

− h2

2m∇2

x + V (x)

]

ψ+(x) =∫

d3xψ+(x)

[

− h2

2m∇2

x + V (x)

]

ψ(x)

dove si è usato due volte la relazione∫

f(x) δ′(x) dx = −f ′(0)

e si è alla fine integrato per parti.Lo stato più generale|ψ〉 di singola particella localizzato inx è dato da

|ψ〉 =∫

d3x f(x) |x〉

e si potrebbe vedere che vale

H |ψ〉 = H∫

d3x f(x) |x〉 =∫

d3x

[

− h2

2m∇2

x + V (x)

]

f(x) |x〉

Lo stato più generale|φ〉 di due particelle localizzate inx e iny è dato quindi da

|φ〉 =∫

d3x d3y f(x,y) |x,y〉 =∫

d3x d3y f(x,y)ψ+(x)ψ+(y) |0〉 (10.3)

che è simmetrico.L’ultimo integrale nella(10.3) seleziona soltanto le parti simmetriche dellef(x,y)

perché se laf(x,y) fosse antisimmetrica, allora il suo prodotto con il terminesimme-tricoψ+(x)ψ+(y) |0〉 darebbe integrale nullo.

Concludiamo con un accenno al modo in cui si introducono le particelle fermionichenel formalismo di seconda quantizzazione.

Per considerare i fermioni si introduce l’oscillatore di Fermi ponendoH = hωa+acon le regole di anticommutazione

a, a+ = 1, a, a = a+, a+ = 0 e a|0〉 = 0

Si ha alloraH |0〉 = hωa+a|0〉 = 0

eHa+ |0〉 = hωa+a (a+ |0〉) = hω(a+|0〉)

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Capitolo 11

Qualche esercizio

Esercizio 1

In un sistema quantistico è definita una grandezza osservabile a cui è associato l’opera-tore hermitiano rappresentato dalla matrice

A =

−2a 0 00 a 00 0 2a

nella base degli autoket diA. Lo stato del sistema ad un certo istantet = 0 è descrittodal ket

|ψ〉 =γ +

√1 − γ2

√3

| − 2a〉 +1√3|a〉 +

γ −√1 − γ2

√3

|2a〉

doveγ ∈ [−1, 1] è un parametro reale.

1. Si determiniγ in modo che la probabilità di misurare il valore−2a sia massima;

2. se l’operatore hamiltoniano del sistema è rappresentatonella base degli autoket diA dalla matrice

H =

0 0 hω0 2hω 0hω 0 0

conω > 0, si determini l’evoluzione dello stato|ψ〉 al tempot > 0, con il valoredi γ determinato al punto precedente;

3. si determini il valore medio della grandezza osservabileassociata adA in funzionedel tempo;

4. si determini il primo istantet∗ nel quale la probabilità di misurare il valore−2a,massima int = 0, diventa minima.

163

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164 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

Soluzione dell’esercizio 1

Prima di tutto osserviamo che lo stato assegnato|ψ〉 è normalizzato per ogni valoreγ ∈[−1, 1]: considerando ortonormali gli autostati diA, | − 2a〉, |a〉, |2a〉, corrispondentirispettivamente agli autovalori−2a, a, 2a, si ha infatti

〈ψ|ψ〉 =1

3

[(

γ +√

1 − γ2

)2

+ 1 +(

γ −√

1 − γ2

)2]

= 1

1. La probabilità che una misura diA dia risultato−2a, indicata conP (−2a), è datadal quadrato del modulo

P (−2a) = |〈−2a|ψ〉|2 =1

3

(

γ +√

1 − γ2

)2

≡ P (γ)

che è massima per quei valori del parametroγ che annullano la sua derivata prima

dP (γ)

dγ=

2

3

(

γ +√

1 − γ2

) (

1 − γ√1 − γ2

)

e rendono negativa la sua derivata seconda.Si ottiene che tale derivata prima vale zero per

γ = ± 1√2

e che il massimo è dato solo dal valore positivoγ = 1/√

2, in corrispondenza del qualesi ha lo stato

|ψm〉 =

2

3| − 2a〉 +

1√3|a〉

e la probabilità

P (−2a) =2

3

2. Identificando gli autostati diA

| − 2a〉 =

100

|a〉 =

010

|2a〉 =

001

scriviamo l’equazione secolare dell’operatore hamiltonianoH

−λ3 + 2hωλ2 + h2ω2λ− 2h3ω3 = (2hω − λ)(λ− hω)(λ+ hω) = 0

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165

da cui otteniamo gli autovaloriλ = hω,−hω, 2hω a cui corrispondono rispettivamentegli autovettori normalizzati

|u〉 =

1/√

20

1/√

2

=

|2a〉 + | − 2a〉√2

, |v〉 =

−1/√

20

1/√

2

=

|2a〉 − | − 2a〉√2

,

|w〉 =

010

= |a〉

Sotto azione dell’operatoreA, si ha

A|u〉 = A

(

|2a〉 + | − 2a〉√2

)

= 2a|v〉, A|v〉 = A

(

|2a〉 − | − 2a〉√2

)

= 2a|u〉,

A|w〉 = A|a〉 = a|w〉Calcolati quindi i coefficienti di Fourier

〈u|ψ〉 =1√3, 〈v|ψ〉 = − 1√

3, 〈w|ψ〉 =

1√3

espandiamo lo stato|ψm〉 nella base degli autostati diH

|ψm〉 =1√3|u〉 − 1√

3|v〉 +

1√3|w〉

da cui otteniamo lo stato al tempot

|ψm, t〉 = e−iHht |ψm〉 =

e−iωt√3

|u〉 − eiωt√3|v〉 +

e−2iωt

√3

|w〉 =

=2√6

cosωt | − 2a〉 +e−2iωt

√3

|a〉 − 2i√6

sinωt |2a〉

3. Il valor medio diA in funzione del tempo è dato dal valor medio diA calcolatosullo stato|ψm, t〉, ovvero

〈A〉(t) = 〈ψm, t|A|ψm, t〉 =

=

(

eiωt√3〈u| − e−iωt√

3〈v| + e2iωt√

3〈w|

)

|A|(

e−iωt√3

|u〉 − eiωt√3|v〉 +

e−2iωt

√3

|w〉)

=

=a

3− 2a

3(e2iωt + e−2iωt) =

a

3(1 − 4 cos 2ωt)

che vale−a pert = 0, come si otterrebbe anche eseguendo〈ψm|A|ψm〉.

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166 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

4. La probabiltà in funzione dit di avere valore−2a da una misura diA è data dalquadrato del modulo del coefficiente di| − 2a〉 nello sviluppo di|ψm, t〉 rispetto agliautostati diA, ovvero

Pt(−2a) =2

3cos2 ωt

Il primo istantet∗ > 0 in cui tale probabilità è minima coincide con l’istante

t∗ =π

in cui cos2 ωt assume il suo valore minimo zero.

Esercizio 2

Siano date le osservabili

A = a

1 0 00 0 10 1 0

e = b

3/2 0 00 −1/2 10 1 −1/2

1. Determinare lo stato|ψ(t = 0)〉 sapendo che all’istante inizialet = 0 una misuradelle due osservabili ha fornito i valoriA = a e B = b/2, dopo aver spiegatosotto quali condizioni ciò è possibile;

2. calcolare l’evoluzione dello stato|ψ(t)〉 al generico istantet se l’hamiltoniana delsistema è data dal seguente operatore

H = E

0 0 −i0 0 0i 0 0

3. determinare il valore medio〈A(t)〉 dell’osservabileA sullo stato|ψ(t)〉.

Soluzione dell’esercizio 2

E’ immediato verificare che le due matriciA eB commutano per ognia e b. Pertantoesisterà una base formata da autovettori simultanei diA e diB e sarà possibile effettuareuna misura simultanea diA e diB.

Si vede immediatamente che la matriceA possiede spettro degenere: i suoi autova-lori sonoλ = −a a cui corrisponde autovettoreu = (0,−1, 1) e l’autovalore doppioλ = a a cui corrisponde autospazioS2 dato dalle terne diR3 tali chey − z = 0.

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167

La matriceB, come si può facilmente verificare, possiede spettro non degenere datodai tre autovaloriλ = −3b/2, 3b/2, b/2 a cui corrispondono rispettivamente autovettoriu = (0,−1, 1), v = (1, 0, 0), w = (0, 1, 1).

Come si vede, l’autovettoreu di A relativo all’autovaloreλ = −a coincide conl’autovettoreu di B relativo all’autovaloreλ = −3b/2 e inoltre gli autovettoriv, w diB appartengono all’autospazio (degenere) diA relativo all’autovalore doppioλ = a.

Possiamo rimuovere la degenerazione dello spettro diA scegliendo come autovettoriin S2 gli autovettoriv, w di B ai quali aggiungiamo quindi l’autovettoreu comune adentrambe le matrici.

1. Dire che una misura diA in t = 0 fornisce risultatoa non fissa lo stato inizialeunivocamente perché l’autovaloreλ = a di A ha molteplicità algebrica 2 e ad essocorrisponde autospazio bidimensionaleS2, ma se si aggiunge l’informazione che in talestato una misura simultanea diB (conB che commuta conA) fornisce valoreb/2, alloral’autovettorew = (0, 1, 1) di B relativo aλ = b/2 rappresenta lo stato iniziale perchéw è anche autovettore diA, in particolare appartenente aS2. Abbiamo pertanto lo statoiniziale normalizzato

|ψ〉 =1√2

011

=

0

1/√

2

1/√

2

2. E’ immediato verificare che l’operatore hamiltonianoH possiede gli autovaloriλ = 0, ε,−ε a cui corrispondono rispettivamente gli autovettori normalizzati

|E0〉 =

010

, |E+〉 =

−i/√

20

1/√

2

, |E−〉 =

i/√

20

1/√

2

Calcoliamo i coefficienti di Fourier

〈E0|ψ〉 =1√2, 〈E+|ψ〉 =

1

2, 〈E−|ψ〉 =

1

2

da cui otteniamo l’espressione del vettore dello stato iniziale come combinazione linearedegli autostati diH

|ψ〉 =1√2|E0〉 +

1

2|E+〉 +

1

2|E−〉

e dunque lo stato al tempot

|ψ, t〉 =1√2|E0〉 +

e−iεht

2|E+〉 +

eiεht

2|E−〉

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168 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

3. Scegliendo come autovettori diA gli autovettori normalizzati simultanei diA edi B, poniamo

| − a〉 =

0

−1/√

2

1/√

2

, |a1〉 =

100

, |a2〉 =

0

1/√

2

1/√

2

da cui ricaviamo

|E0〉 =1√2|a2〉 −

1√2| − a〉, |E+〉 =

−i√2|a1〉 +

1

2|a2〉 +

1

2| − a〉

|E−〉 =i√2|a1〉 +

1

2|a2〉 +

1

2| − a〉

E’ inoltre facile vedere che vale

A|E0〉 =a√2

(|E+〉 + |E−〉), A|E+〉 =a

2(|E+〉 − |E−〉 +

√2 |E0〉)

A|E−〉 =a

2(|E−〉 − |E+〉 +

√2 |E0〉)

da cui si ottiene il valor medio diA sullo stato|ψ, t〉

〈ψ, t|A|ψ, t〉 =a

4+ a cos

(εt

h

)

− a

4cos

(2εt

h

)

che ovviamente valea per t = 0, ovvero valea sullo stato iniziale in cui una misuradell’osservabileA, come assegnato, fornisce appunto risultato pari ada.

Esercizio 3

Un oscillatore armonico quantistico di pulsazioneω si trova, al tempot = 0, in unostato|ψ〉 del quale si sa che:

• una misura dell’energia dell’oscillatore dà concertezza un risultatoE tale che2hω < E < 5hω;

• lo stato ha paritàΠ = +1;

• il valor medio dell’energia è4hω;

• il valor medio dell’osservabilexp+ px è pari a3h

2.

Si chiede di

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169

1. mostrare che le condizioni assegnate non determinano univocamente lo stato;

2. determinare i due stati|ψ1〉 e |ψ2〉 che soddisfano le condizioni assegnate e la loroevoluzione temporale pert > 0;

3. determinare l’evoluzione temporale del valor medio dell’osservabilexp+ px;

4. mostrare che una misura del valor medio dix2 permette di distinguere|ψ1〉 da|ψ2〉.

Soluzione dell’esercizio 3

1-2) Dati gli operatori di distruzione e di creazione

a =

√mω

2h

(

x+ip

)

, a+ =

√mω

2h

(

x− ip

)

otteniamo, invertendo, gli operatori

x =

h

2mω(a + a+), p = i

hmω

2(a+ − a)

da cui ricaviamo l’osservabile

xp+ px = ih(a+a+ − aa)

A questo punto osserviamo che dalla prima condizione assegnata segue che lo stato|ψ〉 è combinazione dei tre stati|2〉, |3〉 e |4〉 aventi energie rispettivamente(5/2)hω,(7/2)hω e (9/2)hω comprese fra2hω e5hω.

Dalla seconda condizione segue che lo stato è combinazione solo dei due stati|2〉e |4〉 aventi parità positiva. Possiamo quindi scrivere lo stato|ψ〉 nella forma conA,Bnumeri complessi

|ψ〉 = A|2〉 +B|4〉in cui si ha il valor medio dell’energia

〈H〉 = [〈2|A∗ + 〈4|B∗] H [A|2〉 +B|2〉] =(

5

2|A|2 +

9

2|B|2

)

Dalla terza condizione assegnata otteniamo il sistema di equazioni

|A|2 + |B|2 = 1 (normalizzazione dello stato)5 |A|2 + 9 |B|2 = 8 (valor medio dell’energia)

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170 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

che ha la soluzione

|A|2 =1

4, |B|2 =

3

4Utilizzando l’espressione di De Moivre-Eulero per i numericomplessi, possiamo

scrivere lo stato|ψ〉 nella forma

|ψ〉 = |A| eiα |2〉 + |B| eiβ |4〉 = eiα[

|A| |2〉+ |B| ei(β−α) |4〉]

che è del tutto equivalente allo stato con la faseα pari a zero perché tale fase dà luogosoltanto ad un fattore di modulo unitario che non altera la direzione del ket.

Abbiamo quindi dalla soluzione del sistema

|ψ〉 =1

2|2〉 +

√3 eiβ

2|4〉

in cui compare solamente la fase relativaβ fra i due autoket diH.In questo stato si ha il valor medio dixp+ px

〈xp+ px〉 =

[

〈2|12

+ 〈4|√

3 e−iβ

2

]

(xp+ px)

[

1

2|2〉 +

√3 eiβ

2|4〉]

= ih

[

〈2|12

+ 〈4|√

3 e−iβ

2

]

(a+a+ − aa)

[

1

2|2〉 +

√3 e−iβ

2|4〉]

= 3h sin β

La quarta condizione imposta fornisce l’equazione

sin β =1

2

da cui seguono i due valori diβ

β1 =π

6e β2 =

6

e di conseguenza i due stati

|ψ1〉 =1

2|2〉 +

√3 e

iπ6

2|4〉 e |ψ2〉 =

1

2|2〉 +

√3 e

5iπ6

2|4〉

L’evoluzione temporale di|ψ1〉 e di |ψ2〉 è

|ψ1, t〉 = eiHht

1

2|2〉 +

√3 e

iπ6

2|4〉

=e−

52iωt

2|2〉 +

√3 ei(

π6− 9ωt

2 )

2|4〉

|ψ2, t〉 = eiHht

1

2|2〉 +

√3 e

5iπ6

2|4〉

=e−

52iωt

2|2〉 +

√3 ei(

5π6− 9ωt

2 )

2|4〉

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171

3) Il valor medio dixp+ px sullo stato|ψ1, t〉 è dato da

〈xp+ px〉1(t) =

= ih

〈2| e52iωt

2+ 〈4|

√3 e−i(

π6− 9ωt

2 )

2

(a+a+−aa)

e−

52iωt

2|2〉 +

√3 ei(

π6− 9ωt

2 )

2|4〉

=

=3h

2(cos 2ωt−

√3 sin 2ωt)

e il valor medio dixp + px sullo stato|ψ2, t〉 è dato da

〈xp+ px〉2(t) =

= ih

〈2| e52iωt

2+ 〈4|

√3 e−i(

5π6− 9ωt

2 )

2

(a+a+−aa)

e−

52iωt

2|2〉 +

√3 ei(

5π6− 9ωt

2 )

2|4〉

=

=3h

2(cos 2ωt+

√3 sin 2ωt)

Possiamo osservare che il valor medio dixp + px per t = 0 su entrambi gli staticoincide effettivamente con il valore iniziale3h/2.

4) Qualora si ottenga〈ψ1|x2|ψ1〉 6= 〈ψ2|x2|ψ2〉 possiamo concludere che una misuradel valor medio dix2 consente di distinguere|ψ1〉 da|ψ2〉.

Abbiamo

〈ψ1|x2|ψ1〉 = 〈ψ1|xx|ψ1〉 = | x|ψ1〉 |2 =

∣∣∣∣∣∣

h

2mω(a + a+)

1

2|2〉 +

√3 e

iπ6

2|4〉

∣∣∣∣∣∣

2

=

=h

(

4 +3√

3

4

)

e

〈ψ2|x2|ψ2〉 = 〈ψ2|xx|ψ2〉 = | x|ψ2〉 |2 =

∣∣∣∣∣∣

h

2mω(a + a+)

1

2|2〉 +

√3 e

5iπ6

2|4〉

∣∣∣∣∣∣

2

=

=h

(

4 − 3√

3

4

)

da cui possiamo concludere che se alle condizioni assegnateaggiungessimo il valormedio dell’osservabilex2, allora individueremmo univocamente|ψ1〉 o |ψ2〉.

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172 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

Esercizio 4

Si consideri una base completa ortonormale di stati|α〉, |β〉, |γ〉 per un sistema quanti-stico la cui hamiltoniana è data da

H = ihω (|α〉〈β| − |β〉〈α|) + 2hω |γ〉〈γ|

conω parametro reale positivo. Siano poi dati i due operatori

A = a (|γ〉〈β|+ |β〉〈γ|) +a

2|α〉〈α| e B = b (|γ〉〈γ| + |β〉〈β|) +

b

2|α〉〈α|

cona, b parametri reali positivi.

1. Spiegare perchéA eB sono osservabili fisiche e stabilire se esse sono simulta-neamente osservabili;

2. trovare gli autovalori e gli autostati dell’hamiltoniana;

3. se all’istantet = 0 viene misurataA e il risultato di tale misura è il valore−a,calcolare il valor medio diA e diB al generico istantet > 0.

Soluzione dell’esercizio 4

Calcoliamo le matrici associate agli operatoriH, A,B relativamente alla base ortonor-male|α〉, |β〉, |γ〉. Abbiamo

H|α〉 = −ihω|β〉H|β〉 = ihω|α〉H|γ〉 = 2hω|γ〉

A|α〉 = (a/2)|α〉A|β〉 = a |γ〉A|γ〉 = a |β〉

B|α〉 = (b/2)|α〉B|β〉 = b |β〉B|γ〉 = b |γ〉

da cui otteniamo le matrici

H = hω

0 i 0−i 0 00 0 2

, A = a

1/2 0 00 0 10 1 0

, B = b

1/2 0 00 1 00 0 1

1) Gli operatoriA eB sono osservabili fisiche perché sono rappresentati da matricireali simmetriche e quindi hermitiane. InoltreA eB sono simultaneamente misurabiliperché si ha

AB = BA =

1/4 0 00 0 10 1 0

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173

2) L’equazione caratteristica diH è

(h2ω2 − λ2)(λ− 2hω) = 0

da cui seguono gli autovaloriλ = −hω, hω, 2hω e gli autovettori normalizzati rispetti-vamente

|E−〉 =

1/√

2

i/√

20

, |E+〉 =

−1/√

2

i/√

20

, |E2〉 =

001

3) L’equazione caratteristica diA è

(a2 − λ2)(

λ− a

2

)

= 0

e all’autovaloreλ = −a corrisponde l’autovettore normalizzato

|ψ0〉 =

0

1/√

2

−1/√

2

che rappresenta dunque lo stato iniziale del sistema.Osserviamo inoltre che il ket|ψ0〉 è anche autovettore diB relativo all’autova-

lore λ = b da cui possiamo concludere che, misurando all’istantet = 0 ancheBsimultaneamente adA, si otterrebbe il valoreb.

Si riconosce a vista che vale il seguente sviluppo di|ψ0〉 come combinazione linearedegli autostati ortonormali diH

|ψ0〉 =1

2i|E−〉 +

1

2i|E+〉 −

1√2|E2〉

da cui segue l’evoluzione temporale del ket iniziale data da

|ψ, t〉 = e−iHht |ψ0〉 =

e−iE−ht

2i|E−〉 +

e−iE+ht

2i|E+〉 −

e−iE2ht

√2

|E2〉 =

=eiωt

2i|E−〉 +

e−iωt

2i|E+〉 −

e−2iωt

√2

|E2〉 =

=eiωt

2i

1/√

2

i/√

20

+

e−iωt

2i

−1/√

2

i/√

20

− e−2iωt

√2

001

=

1√2

sinωtcosωt−e−2iωt

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174 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

Possiamo allora ricavare il valor medio diA e diB sul ket|ψ, t〉 al generico tempot > 0 eseguendo

〈A〉(t) = 〈ψ, t|A|ψ, t〉 =

=a

2

(sinωt cosωt −e2iωt)

1/2 0 00 0 10 1 0

sinωtcosωt−e−2iωt

=

=a

4sin2 ωt− a cosωt cos 2ωt

ed eseguendo〈B〉(t) = 〈ψ, t|A|ψ, t〉 =

=b

2

(sinωt cosωt −e2iωt)

1/2 0 00 1 00 0 1

sinωtcosωt−e−2iωt

=

= b− b

4sin2 ωt

Osserviamo per concludere che le evoluzioni temporali dei valori medi diA e diB forniscono, all’istantet = 0, rispettivamente i valori−a e b che coincidono con lemisure simultanee iniziali diA e diB date dagli autovalori relativamente ai quali il ketiniziale |ψ0〉 è autoket simultaneo diA e diB.

Esercizio 5

Lo stato di un oscillatore armonico quantistico di massam e pulsazioneω è descritto,al generico istantet = 0, dalla funzione d’onda

ψ(x) = Ax2 e− x2

2x20 con x0 :=

h

1. Si determini il valore della costanteA di normalizzazione;

2. si determinino i possibili risultati di una misura dell’energia dell’oscillatore e lerispettive probabilità;

3. si determini l’evoluzione temporale dello stato dell’oscillatore pert > 0;

4. si verifichi che lo stato assegnato è autostato della parità e si utilizzi questo risul-tato per dimostrare che i valori medi della posizione e dellaquantità di moto sononulli ad ogni istante di tempo;

5. si determini l’evoluzione temporale del valor medio dell’operatorex2.

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175

Soluzione dell’esercizio 5

1) Per determinare la costante di normalizzazioneA imponiamo la condizione che|ψ(x)|2 sia una densità di probabilità su tutto l’asse reale, ovveroche valga

∫ +∞

−∞|ψ(x)|2 dx = |A|2

∫ +∞

−∞x2 e−x

2/x20 dx = 1

Poiché vale∫ +∞

−∞x2 e−x

2/x20 dx =

3x50

√π

4

otteniamo il valore diA

A =2

4√π√

3x50

2) Si riconosce a vista che lo stato assegnatoψ(x) è sovrapposizione degli autoket|0〉 e |2〉 di H rappresentati dalle funzioni d’onda

ψ0(x) =1

4√π√x0e−x

2/2x20 e ψ2(x) =

1

2 4√π√

2x0

(

4x2

x20

− 2

)

e−x2/2x2

0

Imponendo l’uguaglianzaαψ0(x) + βψ2(x) = ψ(x) e applicando il principio diidentità dei polinomi, otteniamo i coefficienti dello sviluppo

α =1√3

e β =

2

3

da cui segue che lo stato iniziale assegnato può essere postonella forma

ψ(x) = |ψ〉 =1√3|0〉 +

2

3|2〉

in modo che si possano utilizzare le proprietà degli operatori di distruzione e di creazio-nea ea+.

Si ricava ora immediatamente che i possibili risultati di una misura dell’energiadell’oscillatore armonico sullo stato|ψ〉 sono soltanto il valore

E0 =hω

2corrispondente adn = 0 e ottenuto con probabilità

1

3

e il valore

E2 =5hω

2corrispondente adn = 2 e ottenuto con probabilità

2

3

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176 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

3) L’evoluzione temporale dello stato|ψ〉 pert > 0 è data da

|ψ, t〉 = e−iHht |ψ〉 =

e−12iωt

√3

|0〉 +

2

3e−

52iωt |2〉

4) Lo stato assegnatoψ(x) è una funzione realepari ed è pertanto autostato dellaparità relativo all’autovalore+1 perché vale

P ψ(x) = ψ(−x) = ψ(x)

Su un autostato della parità i valori medi dix e di p sono nulli ad ogni istante ditempo perché gli integrali

∫ +∞

−∞x|ψ(x, t)|2 dx e

∫ +∞

−∞ψ(x, t)

(

−ih ddx

)

ψ(x, t) dx

hanno funzioni integrande dispari e forniscono pertanto risultato nullo.Si può ottenere lo stesso risultato anche utilizzando le espressioni degli operatorix

e p in termini degli operatoria ea+ che, a meno di un coefficiente, sono della forma

x ≈ a + a+ e p ≈ a− a+

Allora abbiamo il valor medio

〈x〉 =

〈0|e12iωt

√3

+ 〈2|√

2

3e

52iωt

(a+ a+)

e−

12iωt

√3

|0〉 +

2

3e−

52iωt |2〉

= 0

e il valor medio

〈p〉 =

〈0|e12iωt

√3

+ 〈2|√

2

3e

52iωt

(a− a+)

e−

12iωt

√3

|0〉 +

2

3e−

52iωt |2〉

= 0

perché la presenza degli operatoria ea+ dà luogo al prodotto scalare nullo frabra eketortogonali dell’oscillatore armonico.

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177

5) Il valor medio dix2 all’istantet = 0 è pari a

〈x2〉(0) = 〈ψ|x2|ψ〉 = 〈ψ|xx|ψ〉 = | x|ψ〉 |2 =

=h

2mω

∣∣∣∣∣∣

(a + a+)

1√3|0〉 +

2

3|2〉

∣∣∣∣∣∣

2

=h

2mω

∣∣∣

√3 |1〉 +

√2 |1〉

∣∣∣

2=

5h

2mω

L’evoluzione temporale del valor medio dix2 si ottiene calcolando

〈x2〉(t) = | x|ψ, t〉 |2 =h

2mω

∣∣∣∣∣∣

(a+ a+)

e−

12iωt

√3

|0〉 +

2

3e−

52iωt |2〉

∣∣∣∣∣∣

2

=

=h

2mω

∣∣∣∣∣∣

e−

12iωt

√3

+2√3e−

52iωt

|1〉 +√

2 e−52iωt |3〉

∣∣∣∣∣∣

2

=

=h

2mω

(

2√3

cos5ωt

2+

1√3

cosωt

2

)2

+

(

2√3

sin5ωt

2+

1√3

sinωt

2

)2

+ 2

=

=h

6mω(11 + 4 cos 2ωt)

Osserviamo per concludere che, come deve essere, l’espressione di〈x2〉(t) fornisce,pert = 0, lo stesso valore ottenuto calcolando il valor medio dix2 sullo stato iniziale.

Esercizio 6

Una particella di massam è vincolata a muoversi sul segmento−L/2 < x < L/2 .All’istante t = 0 la funzione d’onda della particella è data da

ψ(x) = 〈x|ψ〉 = N cosπx

Lsin2 2πx

L

1. Determinare la costanteN in modo che lo stato sia normalizzato a 1:〈ψ|ψ〉 = 1;

2. determinare il valor medio della parità;

3. determinare i possibili valori di una misura dell’energia e le relative probabilità;

4. determinare la funzione d’onda al tempot generico e il primo istantet∗ in cui lostato del sistema coincide con lo stato at = 0.

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178 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

Soluzione dell’esercizio 6

1) Lo stato assegnato at = 0

ψ(x) = N cos(πx

L

)

sin2(

2πx

L

)

può essere scritto, utilizzando gli esponenziali complessi per le funzioni goniometriche,nella forma

ψ(x) = N

eiπxL + e

−iπxL

2

e

2iπxL − e

−2iπxL

2i

2

=

= N

L

2

1

2

2

Lcos

πx

L

− 1

4

2

Lcos

3πx

L

− 1

4

2

Lcos

5πx

L

=

= N

L

2

[1

2ψ1(x) −

1

4ψ3(x) −

1

4ψ5(x)

]

Abbiamo allora

〈ψ|ψ〉 =∫ L/2

L/2|ψ(x)|2 dx =

N2L

2

(1

4+

1

16+

1

16

)

=3N2L

16

e affinché lo stato sia normalizzato a 1, da〈ψ|ψ〉 = 1 segue, scegliendoN reale, ilvalore

N =4√3L

2) Il valor medio dell’operatore di paritàP sullo stato assegnato si ottiene eseguendo

〈P〉 =∫ L/2

L/2ψ∗(x)P ψ(x) dx =

∫ L/2

L/2ψ∗(x)ψ(−x) dx =

∫ L/2

L/2ψ∗(x)ψ(x) dx =

=∫ L/2

L/2|ψ(x)|2 dx = 1

3) Lo stato inizialeψ(x) assegnato e normalizzato può essere scritto allora nellaforma

ψ(x) =2√6ψ1(x) −

1√6ψ3(x) −

1√6ψ5(x)

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179

e risulta essere combinazione lineare delle autofunzioniψ1(x), ψ3(x) eψ5(x) dell’ener-gia corrispondenti rispettivamente agli autovalori

E1 =h2π2

2mL2E3 =

9 h2π2

2mL2E5 =

25 h2π2

2mL2

Segue pertanto che i possibili valori ottenibili con una misura dell’energia su talestato sono appuntoE1, E2, E3 con probabiltàP (E1), P (E2), P (E3) date dal quadratodel modulo del coefficiente della relativa autofunzione. Abbiamo dunque

P (E1) =2

3, P (E2) =

1

6, P (E3) =

1

6

4) Facendo agire l’operatore di evoluzione temporale sullostato inizialeψ(x) ≡ψ(x, 0), si ottiene lo statoψ(x, t) al generico tempot evoluzione temporale diψ(x, 0),dato da

ψ(x, t) = e−iHht ψ(x, 0) =

2√6e−i

E1ht ψ1(x) −

1√6e−i

E3ht ψ3(x) −

1√6e−i

E5ht ψ5(x)

Il primo istantet∗ nel quale lo statoψ(x, t) del sistema coincide con lo stato iniziale,ovvero per il quale valgaψ(x, t∗) = ψ(x, 0), si ottiene imponendo

E1 t

h= 2π

da cui segue

t = t∗ =4mL2

Poiché, come si verifica immediatamente, pert = t∗ si ha poi

E3 t∗

h= 18 π e

E5 t∗

h= 50 π

si conclude che pert = t∗ gli esponenziali complessi inψ(x, t) valgono 1 e dunque cherisultaψ(x, t∗) = ψ(x, 0).

Esercizio 7

Una particella quantistica di massam vincolata sul segmento[−L/2, L/2] si trova, ad uncerto istantet = 0, nello stato|ψ0〉 = α |1〉+β |2〉, dove gli|n〉 (conn = 1, 2, 3, ...) sonogli autoket dell’hamiltoniana che descrive la dinamica della particella nel segmento.

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180 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

1. Si determini, a meno di una fase globale, lo stato in questione sapendo che il valormedio della parità vale−1/5 e che il valor medio dell’osservabile

A = ia∑

n≥1

(|n〉〈n+ 1| − |n+ 1〉〈n|)

vale −2a√

65

;

2. si determini il valor medio dell’energia nello stato in questione;

3. si determini l’evoluzione temporale dello stato pert > 0 ed il valor medio del-l’osservabileA in funzione del tempo.

Soluzione dell’esercizio 7

1) Le autofunzioni della particella nel segmento simmetrico sono date da

〈x|1〉 = ψ1(x) =

2

Lcos

πx

Le 〈x|2〉 = ψ2(x) =

2

Lsin

2πx

L

da cui segue che l’operatore di parità, indicato conP, agisce nel seguente modo

P |1〉 = |1〉 e P |2〉 = − |2〉

Si ha allora il valor medio della parità dato da

〈ψ0| P |ψ0〉 = (〈1|α∗ + 〈2| β∗) (α|1〉 − β|2〉) = |α|2 − |β|2 = − 1

5

Dal sistema

|α|2 − |β|2 = −1/5|α|2 + |β|2 = 1

si ottengono allora i coefficienti

α =

2

5e β =

3

5eiα

Abbiamo inoltre

〈ψ0|A |ψ0〉 =−2a

√6

5sinα

da cui seguesinα = 1 e dunqueα = π/2Scriviamo in conclusione lo stato

|ψ0〉 =

2

5|1〉 + i

3

5|2〉

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181

2) Il valor medio dell’energia sullo stato|ψ0〉 è dato da

〈E〉 =2

5· h

2π2

2mL2+

3

5· 4h2π2

2mL2=

7h2π2

5mL2

3) L’evoluzione temporale dello stato|ψ0〉 è data da

|ψ, t〉 =

2

5e−iE1t|1〉 + i

3

5e−iE2t|2〉

dove si è posto

E1 =E1

h=

hπ2

2mL2e E2 =

E2

h=

4hπ2

2mL2

A questo punto il valor medio dell’osservabileA in funzione del tempo si calcolaeseguendo

〈A〉 (t) = 〈ψ, t|A |ψ, t〉 =−2a

√6

5cos[(E1 − E2) t]

che pert = 0 coincide con il valor medio diA assegnato sullo stato iniziale.

Esercizio 8

L’hamiltoniana di una particella di spin1/2 in tre dimensioni è data da

H = H0 +α

h2 ( ~J2 + hJz) =~p2

2m− e2

r+α

h2 ( ~J2 + hJz)

conα > 0 e ~J = ~L+ ~S è il momento angolare totale del sistema dato dalla somma delmomento angolare orbitale~L e dello spin~S della particella.

1. Determinare esattamente lo spettro dell’hamiltoniana,lo stato fondamentale e lefunzioni d’onda dei primi nove stati eccitati;

2. determinare lo stato del sistema al tempot > 0 sapendo che lo stato iniziale|ψ0〉è un autostato degli operatoriH0, ~L

2, Lz, Sz relativo ai seguenti autovalori

H0 |ψ0〉 = −me4

8h2 |ψ0〉, ~L2 |ψ0〉 = 2h2 |ψ0〉,

Lz |ψ0〉 = −h |ψ0〉, Sz |ψ0〉 =h

2|ψ0〉

3. individuare i possibili valori di una misura diLz al tempot e le relative probabi-lità.

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182 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

Soluzione dell’esercizio 8

1) Data l’hamiltonianaH = H0 +H1, doveH0 è l’hamiltoniana dell’atomo di idrogenosenza spin, avente autovalori indicati conEn, e

H1 =α

h2 (J2 + hJz)

abbiamo che vale[H0, H1] = 0 perché separando inH0 la parte radiale e la parte an-golare contenenteL2, si ha[J2, L2] = [Jz, L

2] = 0. Gli autostati diH sono allora gliautostati simultanei diH0 eH1.

Possiamo scrivere gli autostatiΨ di H0 come il prodotto della parte radialeRnl(r),di quella angolareYlm(θ, φ) e di quella spinoriale esprimibile nella base degli autostatidi S2 eSz, ovvero

Ψ = Rnl(r) Ylm(θ, φ)∣∣∣∣

1

2, ±1

2

Ponendo le armoniche sferiche nella notazione di Dirac, possiamo scrivere l’auto-statoΨ nella forma

Ψ = Rnl(r) |l,m〉∣∣∣∣

1

2, ±1

2

Poiché gli stati

|l,m〉∣∣∣∣

1

2, ±1

2

non sono autostati diJ2 e Jz, allora dovremo effettuare il cambio di base dalla basedegli autostati di diL2 eLz alla base degli autostati diJ2 eJz dati da|j, jz〉.

Poichés = 1/2 e i valori dij vanno da|l− 1/2| a l+ 1/2, si vede immediatamenteche lo stato fondamentale è

R10(r)

∣∣∣∣

1

2, −1

2

relativo all’autovalore

E1 +1

I primi nove stati eccitati sono poi

R10(r)

∣∣∣∣

1

2,

1

2

,

R20(r)∣∣∣∣

1

2, −1

2

, R20(r)∣∣∣∣

1

2,

1

2

, R21(r)∣∣∣∣

1

2, −1

2

, R21(r)∣∣∣∣

1

2,

1

2

R21(r)

∣∣∣∣

3

2, −3

2

, R21(r)

∣∣∣∣

3

2, −1

2

, R21(r)

∣∣∣∣

3

2,

1

2

, R21(r)

∣∣∣∣

3

2,

3

2

relativi agli autovalori rispettivamente

E1 +5

4α , E2 +

1

4α , E2 +

5

4α , E2 +

1

4α , E2 +

5

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183

E2 +9

4α , E2 +

13

4α , E2 +

17

4α , E2 +

21

dove gli autostati|j, jz〉 sono espressi come combinazione degli autostati|l,m〉|s, sz〉∣∣∣∣

1

2, ±1

2

= |0, 0〉∣∣∣∣

1

2, ±1

2

per l = 0

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

=

2

3|1,−1〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

− 1√3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

∣∣∣∣

1

2,

1

2

=1√3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

−√

2

3|1, 1〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

∣∣∣∣

3

2,

3

2

= |1, 1〉∣∣∣∣

1

2,

1

2

,∣∣∣∣

3

2,

1

2

=

2

3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

+1√3|1, 1〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

∣∣∣∣

3

2, − 1

2

=1√3|1,−1〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

+

2

3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

,

∣∣∣∣

3

2, −3

2

= |1,−1〉∣∣∣∣

1

2, −1

2

2) Dalle condizioni assegnate si deduce che al tempot = 0 il sistema è nello statorelativo ai numeri quanticin = 2, l = 1, lz = −1, sz = 1/2. Nella base degli autostatisimultanei diLz eSz scriviamo tale stato iniziale nella forma

|ψ0〉 = R21(r) |1,−1〉∣∣∣∣

1

2,

1

2

Poiché l’hamiltonianaH, contenendo gli operatoriJ2 eJz, commuta con essi, alloratale espressione di|ψ0〉 non è autostato diH e dunque per determinare l’evoluzione tem-porale dello stato iniziale, dobbiamo espandere|ψ0〉 nella base degli autostati simultaneidi J2 eJz che sono anche autostati diH.

Invertendo le due relazioni contenentilz = −1 esz = 1/2

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

=

2

3|1,−1〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

− 1√3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

∣∣∣∣

3

2, − 1

2

=1√3|1,−1〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

+

2

3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

si ottiene

|1,−1〉∣∣∣∣

1

2,

1

2

=

2

3

∣∣∣∣

1

2, −1

2

+1√3

∣∣∣∣

3

2, − 1

2

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184 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

da cui segue che lo stato iniziale del sistema si esprime comecombinazione degliautostati diH nella forma

|ψ0〉 = R21(r)

2

3

∣∣∣∣

1

2, −1

2

+1√3

∣∣∣∣

3

2, − 1

2

Dall’azione diH sui suoi due autoket come combinazione lineare dei quali è espres-so lo stato iniziale|ψ0〉

H[

R21(r)∣∣∣∣

1

2, −1

2

⟩ ]

=(

E2 +α

4

) [

R21(r)∣∣∣∣

1

2, −1

2

⟩ ]

:= λ1

[

R21(r)∣∣∣∣

1

2, −1

2

⟩ ]

e

H[

R21(r)∣∣∣∣

3

2, −1

2

⟩ ]

=(

E2 +13α

4

) [

R21(r)∣∣∣∣

3

2, −1

2

⟩]

:= λ2

[

R21(r)∣∣∣∣

3

2, −1

2

⟩ ]

segue che l’evoluzione temporale dello stato iniziale|ψ0〉 è

|ψ, t〉 = e−iHht |ψ0〉 = R21(r)

2

3e−i

λ1ht

∣∣∣∣

1

2, −1

2

+e−i

λ2ht

√3

∣∣∣∣

3

2, − 1

2

=

= R21(r)

2

3e−i

λ1ht

2

3|1,−1〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

− 1√3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

+

+R21(r)e−i

λ2ht

√3

1√3|1,−1〉

∣∣∣∣

1

2,

1

2

+

2

3|1, 0〉

∣∣∣∣

1

2, − 1

2

=

= R21(r)

2e−i

λ1ht

3+e−i

λ2ht

3

|1,−1〉∣∣∣∣

1

2,

1

2

+

+

√2

3

(

e−iλ2ht − e−i

λ1ht)

|1, 0〉∣∣∣∣

1

2, −1

2

3) Dall’espressione di|ψ, t〉 si ricava cheLz al tempot può assumere il valorelz = −1 con probabilitàP (−1) data dal quadrato del modulo del coefficiente del ketcontenente|1, lz = −1〉 e il valorelz = 0 con probabilitàP (0) data dal quadrato delmodulo del coefficiente del ket contenente|1, lz = 0〉.

Abbiamo allora

P (−1) =

∣∣∣∣∣∣

2e−iλ1ht

3+e−i

λ2ht

3

∣∣∣∣∣∣

2

=5

9+

4

9cos

(3αt

h

)

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185

e

P (0) =

∣∣∣∣∣

√2

3

(

e−iλ2ht − e−i

λ1ht)∣∣∣∣∣

2

=4

9− 4

9cos

(3αt

h

)

Osserviamo per concludere che valeP (−1) + P (0) = 1 in ogni istantet e che pert = 0 si haP (−1) = 1 perché nello stato iniziale il valore diLz è appuntolz = −1.

Esercizio 9

Sia dato un sistema di due particelle identiche di massam in due dimensioni confinatein una buca di potenziale dalle pareti infinitamente alte. L’hamiltonianaH delle dueparticelle è data dall’espressione

H =p2

1

2m+

p22

2m+ U(r1) + U(r2)

dove per una singola particella si è posto

p = (px , py) e U(r) = U(x, y) =

0 per (x, y) ∈ [0, L] × [0, L]+∞ altrimenti

1. Determinare lo spettro dell’hamiltoniana, i relativi autostati e l’eventuale degene-razione per lo stato fondamentale e il primo (o i primi) statoeccitato, nel caso chele due particelle siano bosoni di spin zero o fermioni di spin1/2;

2. calcolare, nel caso di due fermioni, come si modifica l’energia degli stati di cui alpunto precedente se si aggiunge all’hamiltoniana il termine

∆H =ω

h(S2 + hSz)

doveS è lo spin totale del sistema. Discutere l’eventuale degenerazione residua;

3. se si aggiunge all’hamiltoniana la peturbazione

V (r1 , r2) =λ

h2 S1 · S2 sinπx1

Lsin

πx2

Lsin

πy1

Lsin

πy2

L

come si modifica l’energia dello stato fondamentale al prim’ordine nella teoriadelle perturbazioni?

4. come si modifica la funzione d’onda dello stato fondamentale?

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186 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

Soluzione dell’esercizio 9

Osserviamo che l’hamiltoniana è separabile nella forma

H = Hx1 + Hy1 + Hx2 + Hy2

dove si è posto

Hx1 =p2x1

2m+ U(x1), Hy1 =

p2y1

2m+ U(y1),

Hx2 =p2x2

2m+ U(x2), Hy2 =

p2y2

2m+ U(y2)

conU energia potenziale della particella libera confinata nel segmento(0, L).Avremo allora che la parte spaziale delle autofunzioni diH è data dal prodotto di

quattro autofunzioni di singola particella libera nel segmento e i suoi autovalori sonodati dalla somma degli autovalori di singola particella libera nel segmento dipenden-ti dai numeri quanticinx1, ny1 , nx2, ny2 . Alla parte spaziale dovremo poi moltiplicaretensorialmente una parte di spin, se le particelle hanno spin, in modo tale che le auto-funzioni complessive siano totalmente simmetriche o antisimmetriche per scambio delledue particelle a seconda che le particelle siano rispettivamente bosoni o fermioni.

1) Se le particelle sono bosoni di spin zero, allora non avremo la parte di spin ela parte spaziale rappresenterà tutta l’autofunzione e dovrà essere simmetrica. Per taliparticelle abbiamo allora lo stato fondamentale non degenere dato da tutti e quattro inumeri quantici pari a 1

ψ1(r1, r2) =

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

πy2

L

che si riconosce subito essere simmetrico con energia (autovalore)E1 pari a

E1 = 4E1 = 4h2π2

2mL2=

2h2π2

mL2

data dall’equazione secolare

Hψ1(r1, r2) = (E1 + E1 + E1 + E1)ψ1(r1, r2) = 4E1 ψ1(r1, r2)

Il primo stato eccitato è dato dal prodotto delle quattro autofunzioni di singola parti-cella in cui un solo numero quantico è pari a 2 e gli altri tre sono pari a 1. Poiché si puòdare valore 2 di volta in volta ad uno dei quattro numeri quantici, allora sembrerebbeche si possano avere quattro stati degeneri corrispondential primo livello eccitato.

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187

Poiché però le autofunzioni complessive debbono essere simmetriche, tale condi-zione riduce la quantità di stati corrispondenti al primo livello eccitato soltanto a 2 chesono

ψ(1)2 (r1, r2) =

1√2

2

Lsin

2πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

πy2

L

+

+

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

2πx2

L

2

Lsin

πy2

L

e

ψ(2)2 (r1, r2) =

1√2

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

2πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

πy2

L

+

+

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

2πy2

L

L’energia dei due stati (degeneri) del primo livello eccitato è

E2 = E2 + 3E1 =4h2π2

2mL2+ 3

h2π2

2mL2=

7h2π2

2mL2

data dall’equazione secolare

Hψ2(r1, r2) = (Hx1 + Hy1 + Hx2 + Hy2)ψ2(r1, r2) = (E2 +E1 +E1 +E1)ψ2(r1, r2)

Se le particelle sono fermioni di spin1/2, allora le autofunzioni sono date dal pro-dotto tensoriale di una parte spaziale e di una parte di spin edovranno essere totalmenteantisimmetriche per scambio delle due particelle.

Lo stato fondamentale è dato dal prodotto della parte spaziale simmetrica aventetutti i numeri quantici pari a 1 e della parte di spin antisimmetrica (che è il singoletto|0, 0〉 composizione antisimmetrica di due spin1/2), ovvero si ha lo stato non degenere

ψ1(r1, r2) =

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

πy2

L

⊗|0, 0〉

Il primo stato eccitato può essere ottenuto moltiplicando tensorialmente una partespaziale simmetrica per una parte di spin antisimmetrica (singoletto), oppure una partespaziale antisimmetrica per una parte di spin simmetrica (data dai tre stati di tripletto|1,±1〉, |1, 0〉 composizione simmetrica di due spin1/2), ovvero si hanno gli otto stati(degenerazione 8)

ψ(1)2 (r1, r2) =

1√2

2

Lsin

2πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

πy2

L

+

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188 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

+

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

2πx2

L

2

Lsin

πy2

L

⊗ |0, 0〉

ψ(2)2 (r1, r2) =

1√2

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

2πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

πy2

L

+

+

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

2πy2

L

⊗ |0, 0〉

ψ(3)2 (r1, r2) =

1√2

2

Lsin

2πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

πy2

L

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

2πx2

L

2

Lsin

πy2

L

⊗ |1, 1〉

ψ(4)2 (r1, r2) =

1√2

2

Lsin

2πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

πy2

L

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

2πx2

L

2

Lsin

πy2

L

⊗ |1, 0〉

ψ(5)2 (r1, r2) =

1√2

2

Lsin

2πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

πy2

L

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

2πx2

L

2

Lsin

πy2

L

⊗ |1,−1〉

ψ(6)2 (r1, r2) =

1√2

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

2πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

πy2

L

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189

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

2πy2

L

⊗ |1, 1〉

ψ(7)2 (r1, r2) =

1√2

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

2πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

πy2

L

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

2πy2

L

⊗ |1, 0〉

ψ(8)2 (r1, r2) =

1√2

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

2πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

πy2

L

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πy1

L

2

Lsin

πx2

L

2

Lsin

2πy2

L

⊗ |1,−1〉

Le energie dello stato fondamentale e del primo livello eccitato nel caso fermionicosono le stesse dei corrispondenti livelli bosonici, ovverosi ha

E1 = 4E1 =2h2π2

mL2

E2 = E2 + 3E1 =4h2π2

2mL2+ 3

h2π2

2mL2=

7h2π2

2mL2

2) Se, nel caso fermionico, adH aggiungiamo il termine

∆H =ω

h(S2 + hSz)

allora l’hamiltoniana diventa

H = Hx1 + Hy1 + Hx2 + Hy2 +ω

h(S2 + hSz)

Poiché si ha

∆H|1, 1〉 = 3hω|1, 1〉, ∆H|1, 0〉 = 2hω|1, 0〉,

∆H|1,−1〉 = hω|1,−1〉, ∆H|0, 0〉 = 0

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190 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

segue che l’energia dello stato fondamentale rimane inalterata e gli otto stati del primolivello eccitato sono autostati dell’hamiltoniana totalenon più relativi alla medesimaenergia. Come si può facilmente verificare attraverso l’equazione secolare, per effettodel termine∆H si ha in particolare il seguente schema delle energie per gliotto statiψ

(k)2 (r1, r2), k = 1, 2, ..., 8, del punto precedente

• gli statiψ(1)2 (r1, r2), ψ

(2)2 (r1, r2) hanno energia inalterataE ′

2 = E2;

• gli statiψ(3)2 (r1, r2), ψ

(6)2 (r1, r2) hanno energiaE ′

2 = E2 + 3hω;

• gli statiψ(4)2 (r1, r2), ψ

(7)2 (r1, r2) hanno energiaE ′

2 = E2 + 2hω;

• gli statiψ(5)2 (r1, r2), ψ

(8)2 (r1, r2) hanno energiaE ′

2 = E2 + hω

Come si vede, il termine∆H rimuove solo in parte la degenerazione: la degene-razione residua (degenerazione doppia per ogni livelloE ′

2) è dovuta al fatto che taletermine∆H non distingue le parti spaziali, simmetrica o antisimmetrica, della funzioned’onda.

Il nuovo primo livello eccitato diventa allora, per effettodel termine∆H, il livel-lo (doppiamente degenere) dato dalle funzioni d’ondaψ

(1)2 (r1, r2), ψ

(2)2 (r1, r2) avente

energia

E ′2 = E2 =

7h2π2

2mL2

3) Il termineS1 · S2 nella perturbazione assegnata può essere scritto nella forma

S1 · S2 =1

2(S− S2

1 − S22)

da cui otteniamo

(S1 · S2) |0, 0〉 =[1

2(S− S2

1 − S22)]

|0, 0〉 = − 3h2

4|0, 0〉

Scrivendo il termine di perturbazione nella forma

V (x1, y1, x2, y2) =λ

h2 S1 · S2L4

16ψ2

1(x1)ψ21(y1)ψ

21(x2)ψ

21(y2)

dove conψ1(z) si intende l’autofunzione relativa an = 1 della singola particella nelsegmento, abbiamo che al primo ordine nella teoria delle perturbazioni l’energia dellostato fondamentale diventa

ETOT1 = E ′1 + λ∆E1

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191

dove∆E1 è dato dalla relazione

∆E1 = 〈ψ1(r1, r2)|V |ψ1(r1, r2) 〉 =(

− 3

4

) (

L4

16

) (∫ L

0ψ1(z)ψ

31(z) dz

)4

= − 243

1024

4) Per effetto della perturbazione lo stato fondamentaleψ1(r1, r2) si modifica e di-ventaψ1(r1, r2), ottenuto mediante la relazione della teoria perturbativaindipendentedal tempo e non degenere (in cui è omessa la dipendenza della funzione d’onda dar1, r2)

ψ1 = ψ1 +∑

k 6=1

〈ψk|V |ψ1〉E1 − Ek

ψk (11.1)

Per calcolare gli elementi di matrice〈ψk|V |ψ1〉, semplifichiamo la notazione ponen-do

ψn1(x1)ψn2(y1)ψn3(x2)ψn4(y2) := ψ(n1,n2)(n3,n4)

e utilizziamo gli integrali

In =∫ L

0ψn(x)ψ

31(x) dx =

4

πL

∫ π

0sinnx sin3 x dx =

=1

4πL

∫ π

0[ei (n+3) x+ e−i (n+3) x−3 ei (n+1) x−3 e−i (n+1)x+3 ei (n−1) x+3 e−i (n−1)x+

−ei (n−3) x − e−i (n−3)x] dx =3

2Lδ1n −

1

2Lδ3n (11.2)

Poiché abbiamo

V |ψ1〉 = − 3

4λL4

16ψ3

1(x1)ψ31(y1)ψ

31(x2)ψ

31(y2) |0, 0〉

segue che gli unici elementi di matrice〈ψk|V |ψ1〉 diversi da zero sono quelli in cuiψkè data dal prodotto di una parte spaziale (simmetrica) contenente i numeri quantici 1 e3 per il singoletto di spin.

In particolare abbiamo che tali elementi di matrice〈ψk|V |ψ1〉 sono diversi da zerosoltanto per le seguenti funzioni d’ondaψk:

ψa = ψ(3,3)(3,3) |0, 0〉 ψb = ψ(3,1)(3,1) |0, 0〉 ψc = ψ(1,3)(1,3) |0, 0〉

ψd =1√2(ψ(3,1)(1,3) + ψ(1,3)(3,1)) |0, 0〉 ψe =

1√2(ψ(3,3)(1,1) + ψ(1,1)(3,3)) |0, 0〉

ψf =1√2(ψ(3,3)(3,1) + ψ(3,1)(3,3)) |0, 0〉 ψg =

1√2(ψ(3,3)(1,3) + ψ(1,3)(3,3)) |0, 0〉

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192 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

ψh =1√2(ψ(3,1)(1,1) + ψ(1,1)(3,1)) |0, 0〉 ψi =

1√2(ψ(1,3)(1,1) + ψ(1,1)(1,3)) |0, 0〉

In virtù degli integrali(11.2), si ha

〈ψa|V |ψ1〉 = − 3

4λL4

16(I3)

4 = − 3

1024λ

〈ψb|V |ψ1〉 = − 3

4λL4

16(I3)

2 (I1)2 = − 27

1024λ

〈ψc|V |ψ1〉 = − 3

4λL4

16(I3)

2 (I1)2 = − 27

1024λ

〈ψd|V |ψ1〉 = − 3

4λL4

16

2√2

(I3)2 (I1)

2 = − 27√

2

1024λ

〈ψe|V |ψ1〉 = − 3

4λL4

16

2√2

(I3)2 (I1)

2 = − 27√

2

1024λ

〈ψf |V |ψ1〉 = − 3

4λL4

16

2√2

(I3)3 (I1) =

9√

2

1024λ

〈ψg|V |ψ1〉 = − 3

4λL4

16

2√2

(I3)3 (I1) =

9√

2

1024λ

〈ψh|V |ψ1〉 = − 3

4λL4

16

2√2

(I3) (I1)3 =

81√

2

1024λ

〈ψi|V |ψ1〉 = − 3

4λL4

16

2√2

(I3) (I1)3 =

81√

2

1024λ

Inserendo tali elementi di matrice nella(11.1), si ottiene lo stato fondamentaleperturbatoψ1 = ψ1(r1, r2) dato da

ψ1(r1, r2) = ψ1(r1, r2)+3λmL2

214 h2π2ψa(r1, r2)+

27 λmL2

213 h2π2ψb(r1, r2)+

27 λmL2

213 h2π2ψc(r1, r2)+

+27

√2 λmL2

213 h2π2ψd(r1, r2) +

27√

2 λmL2

213 h2π2ψe(r1, r2) −

3√

2λmL2

212 h2π2ψf(r1, r2)+

− 3√

2λmL2

212 h2π2ψg(r1, r2) −

81√

2λmL2

212 h2π2ψh(r1, r2) −

81√

2λmL2

212 h2π2ψi(r1, r2)

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193

Esercizio 10

Sia dato un sistema di due particelle identiche di massam in due dimensioni confinatein una buca di potenziale dalle pareti infinitamente alte. L’hamiltonianaH delle dueparticelle è data dall’espressione

H =p2

1

2m+

p22

2m+ U(r1) + U(r2)

dove per una singola particella si è posto

p = (px , py) e U(r) = U(x, y) =

0 per (x, y) ∈ [0, L] × [0, L]+∞ altrimenti

1. Determinare lo spettro dell’hamiltoniana, i relativi autostati e l’eventuale degene-razione per lo stato fondamentale e il primo (o i primi) statoeccitato, nel caso chele due particelle siano bosoni di spin zero o fermioni di spin1/2;

2. calcolare, nel caso di due fermioni, come si modifica l’energia degli stati di cui alpunto precedente se si aggiunge all’hamiltoniana il termine

∆H =ω

h(S1 · S2 − hSz)

doveS è lo spin totale del sistema. Discutere l’eventuale degenerazione residua;

3. se si aggiunge all’hamiltoniana la peturbazione

V (r1 , r2) = λ sin2 2πx1

Lsin2 2πx2

L

come si modifica l’energia dello stato fondamentale al prim’ordine nella teoriadelle perturbazioni?

4. come si modifica la funzione d’onda dello stato fondamentale?

Soluzione dell’esercizio 10

1) La risposta al primo quesito è identica alla risposta al primo quesito nell’esercizioprecedente.

2) Se, nel caso fermionico, adH aggiungiamo il termine

∆H =ω

h(S1 · S2 − hSz)

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194 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

allora l’hamiltoniana diventa

H = Hx1 + Hy1 + Hx2 + Hy2 +ω

h

[

S − S21 − S2

2

2− hSz

]

Poiché si ha

∆H|1, 1〉 = − 3

4hω|1, 1〉, ∆H|1, 0〉 =

1

4hω|1, 0〉,

∆H|1,−1〉 =5

4hω|1,−1〉, ∆H|0, 0〉 = − 3

4hω|0, 0〉

dall’equazione secolare segue che l’energia dello stato fondamentale diventa

E ′1 = E1 −

3

4hω =

2h2π2

mL2− 3

4hω

e che gli otto stati del primo livello eccitato sono autostati dell’hamiltoniana totale nonpiù relativi alla medesima energia. Come si può facilmente verificare attraverso l’equa-zione secolare, per effetto del termine∆H si ha in particolare il seguente schema delleenergie per gli otto statiψ(k)

2 (r1, r2), k = 1, 2, ..., 8, del punto precedente

• gli statiψ(1)2 (r1, r2), ψ

(2)2 (r1, r2), ψ

(3)2 (r1, r2), ψ

(6)2 (r1, r2) hanno energia

E ′2 = E2 −

3

4hω;

• gli statiψ(4)2 (r1, r2), ψ

(7)2 (r1, r2) hanno energia

E ′2 = E2 +

1

4hω;

• gli statiψ(5)2 (r1, r2), ψ

(8)2 (r1, r2) hanno energia

E ′2 = E2 +

5

4hω

Come si vede, il termine∆H rimuove solo in parte la degenerazione: la degenera-zione residua (degenerazione quadrupla per un livelloE ′

2 e doppia per gli altri tre livelliE ′

2) è dovuta al fatto che tale termine∆H non distingue le parti spaziali, simmetrica oantisimmetrica, della funzione d’onda.

Il nuovo primo livello eccitato diventa allora, per effettodel termine∆H, il livel-lo (con degenerazione 4) dato dalle quattro funzioni d’ondaψ

(1)2 (r1, r2) , ψ(2)

2 (r1, r2) ,ψ

(3)2 (r1, r2) , ψ(6)

2 (r1, r2), avente energia

E ′2 = E2 =

7h2π2

2mL2− 3

4hω

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195

3) In virtù della perturbazione assegnata, abbiamo che al primo ordine nella teoriadelle perturbazioni l’energia dello stato fondamentale diventa

ETOT1 = E ′1 + λ∆E1

dove∆E1 è dato dalla relazione

∆E1 = 〈ψ1(r1, r2)|V |ψ1(r1, r2) 〉 =

=16

L4

(∫ L

0sin2 πy1

Ldy1

)2 (∫ L

0sin2 2πx1

Lsin2 πx1

Ldx1

)2

=1

4

4) Per calcolare gli elementi di matrice〈ψk|V |ψ1〉 nella (11.1), utilizziamo gliintegrali

Jn =∫ L

0ψn(x)ψ1(x)ψ

22(x) dx =

4

πL

∫ π

0sinnx sin x sin2 2x dx =

=1

4πL

∫ π

0[ei (n+5)x + e−i (n+5) x − ei (n+3) x − e−i (n+3)x − 2 ei (n+1) x − 2 e−i (n+1) x+

+2 ei (n−1)x + 2 e−i (n−1)x + ei (n−3) x + e−i (n−3) x − ei (n−5) x − e−i (n−5)x] dx =

=1

Lδ1n +

1

2Lδ3n −

1

2Lδ5n (11.3)

Poiché abbiamo

V |ψ1〉 = λL2

4[ψ1(x1)ψ

22(x1)] ψ1(y1) [ψ1(x2)ψ

22(x2)] ψ1(y2) |0, 0〉

segue che gli unici elementi di matrice〈ψk|V |ψ1〉 diversi da zero sono quelli in cuiψkè data dal prodotto di una parte spaziale (simmetrica) avente 1 come secondo e quartonumero quantico, 1,3,5 come primo e terzo numero quantico per il singoletto di spin.

In particolare abbiamo che tali elementi di matrice〈ψk|V |ψ1〉 sono diversi da zerosoltanto per le seguenti funzioni d’ondaψk:

ψa = ψ(3,1)(3,1) |0, 0〉 ψb = ψ(5,1)(5,1) |0, 0〉 ψc =1√2(ψ(3,1)(5,1)+ψ(5,1)(3,1)) |0, 0〉

ψd =1√2(ψ(3,1)(1,1) + ψ(1,1)(3,1)) |0, 0〉 ψe =

1√2(ψ(5,1)(1,1) + ψ(1,1)(5,1)) |0, 0〉

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196 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

In virtù degli integrali(11.3), si ha

〈ψa|V |ψ1〉 =λL2

4(J3)

2 12 =1

16λ, 〈ψb|V |ψ1〉 =

λL2

4(J5)

2 12 =1

16λ

〈ψc|V |ψ1〉 =λL2

4

2√2J3 J5 12 = −

√2

16λ, 〈ψd|V |ψ1〉 =

λL2

4

2√2J1 J3 12 =

√2

〈ψe|V |ψ1〉 =λL2

4

2√2J1 J5 12 = −

√2

Inserendo tali elementi di matrice nella(11.1), si ottiene lo stato fondamentaleperturbatoψ1(r1, r2) dato da

ψ1 = ψ1(r1, r2) = ψ1(r1, r2) −λmL2

128 h2π2ψa(r1, r2) −

λmL2

384 h2π2ψb(r1, r2)+

+

√2 λmL2

256 h2π2ψc(r1, r2) −

√2λmL2

32 h2π2ψd(r1, r2) +

√2λmL2

96 h2π2ψe(r1, r2)

Esercizio 11

Due particelle identiche sono vincolate a muoversi in una dimensione sul segmento[0, L] con hamiltoniana

H0 =p2

1

2m+

p22

2m+α

h2~S1 · ~S2

doveα verifica la condizioneα <h2π2

2mL2.

• Nel caso che le due particelle siano fermioni di spin 1/2:

1. calcolare il valore esatto dei due livelli energetici piùbassi e discutere la lorodegenerazione;

2. se all’hamiltoniana si aggiunge la perturbazioneV = λ (S1x + S2x), calco-lare come si modificano i due livelli energetici più bassi.

• Nel caso che le due particelle siano bosoni di spin 1, calcolare il valore esatto deidue livelli energetici più bassi e discutere la loro degenerazione.

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197

Soluzione dell’esercizio 11

Per il caso fermionico, poniamo~S1 + ~S2 = ~S e scriviamo l’hamiltoniana nella forma

H0 =p2

1

2m+

p22

2m+α

2

(

~S 2 − 3

2

)

dove si ha

α

2

(

~S 2 − 3

2

)

=

α

4per S = 1 (tripletto simmetrico)

−3α

4per S = 0 (singoletto antisimmetrico)

1) Poiché la funzione d’onda fermionica deve essere complessivamente antisim-metrica per scambio delle due particelle, allora si ha che lostato fondamentale haautofunzione

ψ1(x1, x2, S, Sz) =

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πx2

L

⊗ |0, 0〉

a cui corrisponde il livello energetico

E1 =h2π2

2mL2+

h2π2

2mL2− 3α

4=h2π2

mL2− 3α

4

e dunque è non degenere. Segue poi che il primo stato eccitatoha autofunzione data dalprodotto tensoriale fra la parte spaziale (costruita simmetrica) con un numero quanticopari a 2 e l’altro pari a 1 per il singoletto (antisimmetrico)di spin

ψ2(x1, x2, S, Sz) =

=

2

Lsin

2πx1

L

2

Lsin

πx2

L

+

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

2πx2

L

|0, 0〉√

2

a cui corrisponde il livello energetico

E2 =4h2π2

2mL2+

h2π2

2mL2− 3α

4=

5h2π2

2mL2− 3α

4

e dunque è non degenere.2) Esprimendo

S1x =S1+ + S1−

2e S2x =

S2+ + S2−2

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198 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

e

|S = 0, Sz0〉 =1√2

( ∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,− 1

2

−∣∣∣∣

1

2,− 1

2

⟩ ∣∣∣∣

1

2,

1

2

⟩)

si ottiene(S1x + S2x) |0, 0〉 = 0

da cui segue〈ψ1|V |ψ1〉 = 〈ψ2|V |ψ2〉 = 0, ovvero deduciamo che i due livelli energeticipiù bassi non vengono modificati dalla perturbazioneV assegnata.

Nel caso bosonico cons = 1, poniamo~S1 + ~S2 = ~S e scriviamo l’hamiltoniananella forma

H0 =p2

1

2m+

p22

2m+α

2(~S 2 − 4)

dove si ha

α

2(~S 2 − 4) =

α per S = 2 (pentupletto simmetrico)−α per S = 1 (tripletto antisimmetrico)−2α per S = 0 (singoletto simmetrico)

Poiché la funzione d’onda bosonica deve essere complessivamente simmetrica perscambio delle due particelle, allora si ha che lo stato fondamentale ha autofunzione

ψ1(x1, x2, S, Sz) =

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πx2

L

⊗ |0, 0〉

a cui corrisponde il livello energetico

E1 =h2π2

2mL2+

h2π2

2mL2− 2α =

h2π2

mL2− 2α

e dunque è non degenere.Per ottenere poi il primo stato eccitato, dobbiamo confrontare i livelli energetici di

due funzioni d’onda: la prima, indicata conψa, è data dal prodotto tensoriale fra la partespaziale (costruita simmetrica) con un numero quantico pari a 2 e l’altro pari a 1 per ilsingoletto (simmetrico) di spin, mentre la seconda, indicata conψb, è data dal prodottotensoriale fra la parte spaziale (simmetrica) con entrambii numeri quantici pari a 1 peril pentupletto (simmetrico) di spin.

Si haψa(x1, x2, S, Sz) =

=

2

Lsin

2πx1

L

2

Lsin

πx2

L

+

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

2πx2

L

|0, 0〉√

2

a cui corrisponde il livello energetico

Ea =4h2π2

2mL2+

h2π2

2mL2− 2α =

5h2π2

2mL2− 2α

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199

e

ψb(x1, x2, S, Sz) =

2

Lsin

πx1

L

2

Lsin

πx2

L

⊗ |2, Sz〉

a cui corrisponde il livello energetico

Eb =h2π2

2mL2+

h2π2

2mL2+ α =

h2π2

mL2+ α

Poiché dalla condizione assegnata suα si ricava la disuguaglianzaEa > Eb, alloraconcludiamo che il primo stato eccitato, indicato conψ2, è dato da

ψ2(x1, x2, S, Sz) = ψb(x1, x2, S, Sz)

a cui corrisponde il livello energeticoE2 = Eb avente degenerazione pari a 5, data dalpentupletto di spin.

Esercizio 12

Siano date due particelle identiche di spin 1/2 descritte dall’hamiltoniana

H0 =~p2

1

2m+

~p22

2m− g2

|~r1 − ~r2|+

h~S1 · ~S2

con0 < ω <mg4

32h3 .

1. Determinare gli autovalori dell’hamiltoniana e discuterne la degenerazione;

2. detereminare le funzioni d’onda degli undici stati di energia più bassa;

3. data la perturbazioneV = λ |~r1 −~r2|, calcolare, al primo ordine nella teoria delleperturbazioni, lo spostamento di energia dello stato fondamentale.

Soluzione dell’esercizio 12

1,2) Eseguendo il cambio di variabili

~r =~r1 − ~r2√

2~R =

~r1 + ~r2√2

(11.4)

l’hamiltoniana del sistema diventa

H0 =~P 2

2m+

(

~p 2

2m− g2

r

)

h

(

~S2 − 3h2

2

)

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200 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

dove si è posto~P = m~R e~p = m~r.Considerando soltanto il moto legato relativo (cioè trascurando il moto del bari-

centro come particella libera), abbiamo che gli autovalorisono dati dalla somma del-l’autovaloreEn dell’atomo di idrogeno e del termine di spin dato dalla richiesta disimmetrizzazione o antisimmetrizzazione.

Osservando che nel sistema di due particelle l’operatore discambio delle particellestesse coincide con l’operatore di parità (perché~r2 − ~r1 = −~r), segue che un’autofun-zione dell’atomo di idrogeno è simmetrica per scambio delledue particelle se il numeroquanticol è pari, mentre la stessa è antisimmetrica se il numero quantico l è dispari.

Ricordando che la funzione d’onda deve essere complessivamente antisimmetricaper scambio delle due particelle e utilizzando per il termine di spin la base degli auto-vettori diS2, Sz, abbiamo che gli autovalori diH0 e gli undici stati di energia più bassasono

ψ100 ⊗ |0, 0〉 con energia E1 = − mg4

2h2 − 3

2hω

ψ200 ⊗ |0, 0〉 con energia E2 = − mg4

8h2 − 3

2hω

ψ211 ⊗

|1, 1〉|1, 0〉|1,−1〉

con energia E3 = − mg4

8h2 +1

2hω

ψ210 ⊗

|1, 1〉|1, 0〉|1,−1〉

con energia E3 = − mg4

8h2 +1

2hω

ψ21−1 ⊗

|1, 1〉|1, 0〉|1,−1〉

con energia E3 = − mg4

8h2 +1

2hω

dove gli autovaloriE1, E2 sono non degeneri e l’autovaloreE3 ha degenerazione 9.Dalla condizione

0 < ω <mg4

32h3

segue poi la disuguaglianza

− mg4

8h2 +1

2hω < − mg4

18h2 − 3

2hω

in virtù della quale possiamo concludere che l’energia degli stati corrispondenti al nu-mero quanticon = 3 dell’atomo d’idrogeno è maggiore dell’energia degli staticorri-spondenti an = 2.

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201

3) Per determinare∆E1 (doveE1 è l’energia dello stato fondamentale) conseguenteall’accensione della perturbazioneV , applichiamo la formula

∆E1 = 〈ψ100|V |ψ100〉〈0, 0|0, 0〉 =λ

πa0

∫ +∞

0r e−2r/a0 4πr2 dr =

3

2λa0

perché la perturbazione agisce solo sulla parte spaziale e nella separazione dei terminispaziali da quelli di spin si ha〈0, 0|0, 0〉 = 1. In tale calcolo il parametroa0 indica ilraggio di Bohr dell’atomo di idrogeno.

Esercizio 13

L’hamiltoniana di una particella di spin 1/2 è data dall’espressione

H =α

h2 (2J2 + hJz)

dove J = L + S è il momento angolare totale eJz è la componente lungo l’assez.All’istante t = 0 lo stato della particella è dato da

|ψ〉 = N(

|1, 1〉∣∣∣∣

1

2,− 1

2

−√

2 |2, 1〉∣∣∣∣

1

2,− 1

2

+ eiφ√

3 |1, 1〉∣∣∣∣

1

2,1

2

⟩ )

1. Determinare lo spettro dell’hamiltoniana;

2. determinare il valore della costanteN in modo che valga〈ψ|ψ〉 = 1;

3. determinare la faseφ in modo che〈ψ|Sx|ψ〉 assuma valore massimo;

4. se si effettua su questo stato una misura diL2, Lz, Sz,J2, Jz, stabilire quali valori

si possono ottenere e con quali probabilità;

5. determinare lo stato all’istantet generico.

Soluzione dell’esercizio 13

1) Lo spettro dell’hamiltoniana è dato da

E = α [2j(j + 1) + jz]

2) Si ha〈ψ|ψ〉 = |N |2 (1 + 2 + 3) = 6 |N |2

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202 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

da cui segue che lo stato assegnato|ψ〉 è normalizzato a 1 se la costanteN , scelta realee positiva, ha il valore

N =1√6

3) Si ha

〈ψ|Sx|ψ〉 =1

2〈ψ|(S+ + S−)|ψ〉 =

1√12

cosφ

da cui segue che〈ψ|Sx|ψ〉 è massimo perφ = 0.

4) Lo stato iniziale|ψ〉 è assegnato nella base degli autostati simultanei degli opera-tori L2, S2, Lz, Sz e perφ = 0 è dato da

|ψ〉 =1√6|1, 1〉

∣∣∣∣

1

2,−1

2

− 1√3|2, 1〉

∣∣∣∣

1

2,−1

2

+1√2|1, 1〉

∣∣∣∣

1

2,1

2

Effettuando una misura diL2 si ottengono i possibili valori

l2 = 1(1 + 1) = 2 con probabilità P (2) =1

6+

1

2=

2

3

l2 = 2 (2 + 1) = 6 con probabilità P (6) =1

3

Effettuando una misura diLz si ottiene il valorelz = 1 con probabiltà 1 perché i treket come combinazione dei quali si esprime lo stato|ψ〉 contengono soltanto appuntolz = 1.

Effettuando una misura diSz si ottengono i possibili valori

sz = − 1

2con probabilità P

(

− 1

2

)

=1

6+

1

3=

1

2

sz =1

2con probabilità P

(1

2

)

=1

2

Per determinare i valori di una misura diJ2 e Jz con le rispettive probabilità, dob-biamo esprimere lo stato|ψ〉 nella base degli autostati simultanei degli operatoriL2, S2,J2, Jz scritti nella forma|l, s; j, jz〉.

Effettuando il cambio di base mediante i coefficienti di Clebsch-Gordan, abbiamo

|1, 1〉∣∣∣∣

1

2,−1

2

=1√3

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2,

1

2

−√

2

3

∣∣∣∣1,

1

2;

1

2,

1

2

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203

|2, 1〉∣∣∣∣

1

2,−1

2

=

2

5

∣∣∣∣2,

1

2;

5

2,

1

2

+

3

5

∣∣∣∣2,

1

2;

3

2,

1

2

|1, 1〉∣∣∣∣

1

2,1

2

=

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2,

3

2

da cui segue che in questa base lo stato iniziale|ψ〉 assume l’espressione

|ψ〉 = −√

2

15

∣∣∣∣2,

1

2;

5

2,

1

2

+1√2

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2,

3

2

+1√18

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2,

1

2

+

− 1√5

∣∣∣∣2,

1

2;

3

2,

1

2

− 1

3

∣∣∣∣1,

1

2;

1

2,

1

2

Considerando i valori dij, jz e i coeffcienti dei ket corrispondenti, si ha che unamisura diJ2 può dare i possibili valori

j2 =5

2

(5

2+ 1

)

=35

4con probabilità P

(35

4

)

=2

15

j2 =3

2

(3

2+ 1

)

=15

4con probabilità P

(15

4

)

=1

2+

1

18+

1

5=

34

45

j2 =1

2

(1

2+ 1

)

=3

4con probabilità P

(3

4

)

=1

9

e una misura diJz può dare i possibili valori

jz =3

2con probabilità P

(3

2

)

=1

2

jz =1

2con probabilità P

(1

2

)

=2

15+

1

18+

1

5+

1

9=

1

2

5) Facendo agire l’operatore di evoluzione temporale sullostato iniziale|ψ, 0〉, siottiene lo stato|ψ, t〉 al generico tempot, dato da

|ψ, t〉 = e−iHht |ψ, 0〉 =

= −√

2

15e−18i α

ht

∣∣∣∣2,

1

2;

5

2,

1

2

+1√2e−9i α

ht

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2,

3

2

+1√18e−8i α

ht

∣∣∣∣1,

1

2;

3

2,

1

2

+

− 1√5e−8i α

ht

∣∣∣∣2,

1

2;

3

2,

1

2

− 1

3e−2i α

ht

∣∣∣∣1,

1

2;

1

2,

1

2

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204 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

Esercizio 14

Sia dato un sistema di due particelle identiche di massam e di spin 1/2, la cui hamilto-niana è data dall’espressione

Htot =p2

1

2m+

p22

2m+mω2

2(r2

1 + r22) −

hS1 · S2

Etichettiamo l’autostato dell’hamiltoniana

H =p2

2m+mω2

2r2

di singola particella con tre numeri interi|n〉 = |nx, ny, nz〉, corrispondenti all’energiaEn = hω (n + 3/2), doven = nx + ny + nz. Includendo lo spin, i cui autostatisono indicati con il ket|1/2, σz〉, lo stato di singola particella sarà dato allora dal ketcomplessivo|n, σz〉 = |n〉 ⊗ |1/2, σz〉.

1. Determinare lo stato fondamentale e il primo stato eccitato del sistema delle dueparticelle e discuterne la degenerazione;

2. se all’istantet = 0 lo stato del sistema è dato da

|ψ〉 =1√3

( |1, 0, 0〉1|0, 0, 0〉2 − |0, 0, 0〉1|1, 0, 0〉2 ) ⊗∣∣∣∣

1

2,1

2

1

∣∣∣∣

1

2,1

2

2

+

+1√6|0, 0, 0〉1|0, 0, 0〉2 ⊗

( ∣∣∣∣

1

2,1

2

1

∣∣∣∣

1

2,− 1

2

2

−∣∣∣∣

1

2,− 1

2

1

∣∣∣∣

1

2,1

2

2

)

determinare i possibili risultati di una misura dell’energia e le relative probabiltà;

3. determinare lo stato all’istantet generico;

4. determinare per il predetto stato i risultati possibili di una misura diJ2 e Jz e lerelative probabilità, doveJ = L + S è il momento angolare totale del sistema,dato dalla somma del momento angolare orbitale totaleL e dello spin totaleS.

Soluzione dell’esercizio 14

L’hamiltoniana scrivibile nella forma

HT =

(

p21

2m+

1

2mω2r2

1

)

+

(

p22

2m+

1

2mω2r2

2

)

− ω

h(S2 − S2

1 − S22) =

= H1 + H2 −Hspin

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205

ha autostati dati dal prodotto tensoriale di una parte spaziale e di una parte spinoriale chedebbono essere una simmetrica e l’altra antisimmetrica perscambio delle due particellefermioniche.

La composizione di due spin 1/2 dà il singoletto antisimmetrico |0, 0〉 che per larelazione

Hspin |0, 0〉 = − 3

2hω |0, 0〉

è autostato diHspin con autovalore(−3/2)hω e dà i tre stati di tripletto|1, sz〉 che perla relazione

Hspin |1, sz〉 =1

2hω |1, sz〉

sono autostati diHspin con autovalore(1/2)hω.

1) Il livello di energia più bassa (stato fondamentale) del sistema è dato allora dainove stati (degenerazione 9) aventi la forma

1√2

( |1, 0, 0〉1|0, 0, 0〉2 − |0, 0, 0〉1|1, 0, 0〉2) |1, sz〉

1√2

( |0, 1, 0〉1|0, 0, 0〉2 − |0, 0, 0〉1|0, 1, 0〉2) |1, sz〉

1√2

( |0, 0, 1〉1|0, 0, 0〉2 − |0, 0, 0〉1|0, 0, 1〉2) |1, sz〉

ai quali corrisponde l’autovalore di energia

E0 =5

2hω +

3

2hω − 1

2hω =

7

2hω

Il primo livello eccitato ha degenerazione 28 perché all’autovalore di energia

E1 =3

2hω +

3

2hω +

3

2hω =

9

2hω

corrisponde l’autospazio individuato dai 28 stati indipendenti che sono

|0, 0, 0〉1|0, 0, 0〉2 |0, 0〉,1√2

( |1, 1, 0〉1|0, 0, 0〉2 − |0, 0, 0〉1|1, 1, 0〉2) |1, sz〉,

1√2

( |1, 0, 1〉1|0, 0, 0〉2 − |0, 0, 0〉1|1, 0, 1〉2) |1, sz〉,

1√2

( |0, 1, 1〉1|0, 0, 0〉2 − |0, 0, 0〉1|0, 1, 1〉2) |1, sz〉,

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206 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

1√2

( |1, 0, 0〉1|0, 1, 0〉

2− |0, 1, 0〉

1|1, 0, 0〉

2) |1, sz〉,

1√2

( |1, 0, 0〉1|0, 0, 1〉2 − |0, 0, 1〉1|1, 0, 0〉2) |1, sz〉,

1√2

( |0, 1, 0〉1|0, 0, 1〉2 − |0, 0, 1〉1|0, 1, 0〉2) |1, sz〉,

1√2

( |2, 0, 0〉1|0, 0, 0〉2 − |0, 0, 0〉1|2, 0, 0〉2) |1, sz〉,

1√2

( |0, 2, 0〉1|0, 0, 0〉2 − |0, 0, 0〉1|0, 2, 0〉2) |1, sz〉,

1√2

( |0, 0, 2〉1|0, 0, 0〉2 − |0, 0, 0〉1|0, 0, 2〉2) |1, sz〉,

consz = 1, 0,−1.

2) Riscriviamo lo stato assegnato at = 0 nella forma in cui la parte di spin è espressanella base degli autostati diS2 eSz, essendo stata quindi effettuata la composizione deglispin delle due particelleS1 + S2 = S

|ψ〉 =1√3|1, 0, 0〉1|0, 0, 0〉2 |1, 1〉 −

1√3|0, 0, 0〉1|1, 0, 0〉2 |1, 1〉+

+1√3|0, 0, 0〉1|0, 0, 0〉2 |0, 0〉

Considerando i valori dell’energiaE e i coeffcienti dei ket corrispondenti, si ha cheuna misura dell’energia può dare i possibili valori

E =7

2hω con probabilità P

(7

2hω)

=1

3+

1

3=

2

3

E =9

2hω con probabilità P

(9

2hω)

=1

3

3) Applicando l’operatore di evoluzione temporale allo stato iniziale|ψ, 0〉, si ottienela sua evoluzione temporale|ψ, t〉 al generico tempot, data dallo stato

|ψ, t〉 = e−iHht |ψ, 0〉 =

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207

=1√3e−

72iωt |1, 0, 0〉1|0, 0, 0〉2 |1, 1〉 −

1√3e−

72iωt |0, 0, 0〉1|1, 0, 0〉2 |1, 1〉+

+1√3e−

92iωt |0, 0, 0〉1|0, 0, 0〉2 |0, 0〉

4) Per determinare i possibili risultati e le relative probabilità di una misura delleosservabiliJ2 eJz sullo stato|ψ〉, dobbiamo esprimere|ψ〉 come combinazione linearedi autostati simultanei diJ2 eJz.

Separando|1, 0, 0〉 in parte radiale e parte angolare, si ha

|1, 0, 0〉 =4

4m5ω5

h5π3x e−

mω2h

(x2+y2+z2) =4

4m5ω5

h5π3r e−

mω2h

r2 sin θ cosφ =

=4

m5ω5

h5π

8

3r e−

mω2h

r2 1√2

(Y1,−1 − Y1,1) = R1(r)1√2

(Y1,−1 − Y1,1)

doveR1(r) è la parte radiale tale che∫ +∞

0r2[R1(r)]

2 dr = 1

Separando|0, 0, 0〉 in parte radiale e parte angolare, si ha

|0, 0, 0〉 =4

m3ω3

h3π3e−

mω2h

r2 =4

16m3ω3

h3πe−

mω2h

r2 Y0,0 = R0 (r) Y0,0

doveR0 (r) è la parte radiale tale che∫ +∞

0r2[R0 (r)]2 dr = 1

A questo punto, componendo primaL1 + L2 = L e quindiL + S = J, esprimiamo,con ovvio significato della notazione,

|1, 0, 0〉1|0, 0, 0〉2 |1, 1〉 = R1(r1)R0 (r2)1√2

[Y1,−1(1) − Y1,1(1)]Y0,0(2) |1, 1〉 =

= R1(r1)R0 (r2)1√2

[Y1,−1(1)Y0,0(2) − Y1,1(1)Y0,0(2)] |1, 1〉 =

= R1(r1)R0 (r2)1√2

( |1,−1〉 − |1, 1〉 ) |1, 1〉 =

= R1(r1)R0 (r2)1√2

( |1,−1〉|1, 1〉 − |1, 1〉|1, 1〉 ) =

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208 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

= R1(r1)R0 (r2)1√2

(

1√6|2, 0〉 − 1√

2|1, 0〉 +

1√3|0, 0〉 − |2, 2〉

)

Analogamente esprimiamo

|0, 0, 0〉1|1, 0, 0〉2 |1, 1〉 =

= R0(r1)R1 (r2)1√2

(

1√6|2, 0〉 − 1√

2|1, 0〉 +

1√3|0, 0〉 − |2, 2〉

)

e infine esprimiamo

|0, 0, 0〉1|0, 0, 0〉2 |0, 0〉 = R0(r1)R0 (r2) |0, 0〉

Possiamo quindi sviluppare lo stato iniziale|ψ〉 assegnato come combinazione li-neare di autostati simultanei diJ2 eJz

|ψ〉 = R1(r1)R0 (r2)

(

1

6|2, 0〉 − 1√

12|1, 0〉 +

1√18

|0, 0〉 − 1√6|2, 2〉

)

+

−R0(r1)R1 (r2)

(

1

6|2, 0〉 − 1√

12|1, 0〉 +

1√18

|0, 0〉 − 1√6|2, 2〉

)

+

+1√3R0(r1)R0 (r2) |0, 0〉

Considerando i valori dij, jz e i coeffcienti dei ket corrispondenti, si ha che unamisura diJ2 può dare i possibili valori

j2 = 2 (2 + 1) = 6 con probabilità P (6) = 2(

1

36+

1

6

)

=7

18

j2 = 1 (1 + 1) = 2 con probabilità P (2) = 2(

1

12

)

=1

6

j2 = 0 (1 + 0) = 0 con probabilità P (0) = 2(

1

18

)

+1

3=

4

9

e una misura diJz può dare i possibili valori

jz = 2 con probabilità P (2) = 2(

1

6

)

=1

3

jz = 0 con probabilità P (0) = 2(

1

36+

1

12+

1

18

)

+1

3=

2

3

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209

Esercizio 15

L’hamiltoniana di un sistema di due particelle identiche dimassam è data dall’espres-sione

H =~p2

1

2m+

~p22

2m+mω2

4(~r1 − ~r2)

2 +mΩ2

4(~r1 + ~r2)

2

All’istante t = 0, lo stato delle due particelle è dato dall’espressione

ψB(~r1, ~r2) = NB (~r1 − ~r2)2 e−

mω(~r1−~r2)2

4h e−mΩ(~r1+~r2)2

4h

se le due particelle sono due bosoni di spin zero, mentre è dato dall’espressione

ψF (~r1, ~r2, ~S, Sz) = NF [(x1 − x2) − i(y1 − y2)] e− mω(~r1−~r2)2

4h e−mΩ(~r1+~r2)2

4h ⊗ |1, 1〉

se le due particelle sono due fermioni di spin 1/2, avendo indicato con~S lo spin totaledel sistema e conSz la sua componente lungo l’assez.

• Nel caso in cui le due particelle siano bosoni:

1. calcolare il valore della costanteNB di normalizzazione e determinare ilivelli di energia del sistema;

2. se si esegue una misura del quadrato del momento angolare orbitale toale~L2

(dove~L = ~L1 + ~L2) e della sua componenteLz lungo l’assez, individuare ivalori possibili di tale misura e le rispettive probabilità;

• nel caso in cui le due particelle siano fermioni di spin 1/2:

1. calcolare il valore della costanteNF di normalizzazione e determinare ilivelli di energia del sistema;

2. se si esegue una misura del quadrato del momento angolare totale ~J2 (dove~J = ~L+ ~S = ~L1 + ~L2 + ~S1 + ~S2) e della sua componenteJz lungo l’assez,individuare i valori possibili di tale misura e le rispettive probabilità;

3. se si aggiunge all’hamiltoniana il termineV = λ (~S1 − ~S2)2, calcolare,

al primo ordine nella teoria delle perturbazioni, come si modifica il valoredell’energiaE0 dello stato fondamentale.

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210 CAPITOLO 11. QUALCHE ESERCIZIO

Soluzione dell’esercizio 15

Cominciando con il caso bosonico, consideriamo il cambio divariabili (11.4) la cuimatrice jacobiana ha il modulo del determinante pari a 1.

1) Per determinare la costanteNF imponiamo che valga la condizione di normaliz-zazione ∫

|ψB(~r1, ~r2)| d3~r1 d3~r2 = 1

In virtù del cambio di variabili (11.4) quest’ultimo integrale diventa

4 |NB|2∫

r4 e−mωr2

h e−mΩR2

h d3~r d3 ~R =

= 64π2 |NB|2∫

r6 e−mωr2

h dr∫

R2 e−mΩR2

h dR = 1

Utilizzando gli integrali gaussiani (estesi alla sola semiretta reale positiva), si ottiene

NB =4

16m10ω7Ω3

225h10π6

Per determinare gli autovalori dell’hamiltoniana, sostituiamo il cambio di variabilidato dalle relazioni (11.4) nell’hamiltoniana del sistema e otteniamo

H =

(

~p 2

2m+

1

2mω2r2

)

+

~P 2

2m+

1

2mΩ2R2

(11.5)

da cui si ricavano gli autovalori

En1,n2 = hω(

n1 +3

2

)

+ hΩ(

n2 +3

2

)

e le relative degenerazioni, essendon1 = n1x + n1y + n1z e n2 = n2x + n2y + n2z .2) Scrivendo la funzione d’onda nella forma, con ovvio significato dei simboli

ψB(~r, ~R) = f1(r) f2(R) |0, 0〉 |0, 0〉 = f1(r) f2(R) |0, 0; 0, 0〉

si ricava che~L2 edLz assumono entrambi il valore 0 con probabilità 1.Per il caso fermionico, gli autovalori dell’hamiltoniana del sistema sono gli stessi

del caso bosonico.1) Per determinare la costanteNF di normalizzazione, imponiamo, analogamente al

caso bosonico precedente, la condizione di normalizzazione∫

|ψF (~r1, ~r2)| d3~r1 d3~r2 = 1

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211

Utilizzando di nuovo il cambio di variabili (11.4), otteniamo

2 |NF |2∫

(x2 + y2) e−mωr2

h e−mΩR2

h d3~r d3 ~R =

= 8π |NF |2∫

(r2 − r2 cos2 θ) e−mωr2

h d3~r∫

R2 e−mΩR2

h dR = 1

da cui si ricava

NF =4

m8ω5Ω3

h8π6

2) Componendo prima~L1 + ~L2 = ~L e quindi~L + ~S = ~J , scriviamo, con ovviosignificato dei simboli, la funzione d’onda nella forma

ψF (~r, ~R) = [ g1(r) g2(R) |1,−1〉 |0, 0〉 ]⊗ |1, 1〉 = g1(r) g2(R) |1,−1〉 ⊗ |1, 1〉 =

= g1(r) g2(R)

(

1√6|1, 1; 2, 0〉+

1√2|1, 1; 1, 0〉+

1√3|1, 1; 0, 0〉

)

da cui ricaviamo che una misura diJ2 può dare i possibili valori

j2 = 2 (2 + 1) = 6 con probabilità P (6) =1

6

j2 = 1 (1 + 1) = 2 con probabilità P (2) =1

2

j2 = 0 (1 + 0) = 0 con probabilità P (0) =1

3

e una misura diJz può dare solo il valore

jz = 0 con probabilità P (0) = 1

3) Lo stato fondamentale|ψ0〉 del sistema è dato dal prodotto tensoriale degli statifondamentali dei due oscillatori armonici dell’hamiltoniana (11.5), ovvero si ha

|ψ0〉 = |0, 0, 0〉ω |0, 0, 0〉Ω⊗ |S = 0 , Sz = 0〉

Ponendo l’espressione della perturbazione nella forma

V = λ (~S1 − ~S2)2 = λ (2~S2

1 + 2~S22 − S2) = λ (3h2 − S2)

si ottiene che l’energia dello stato fondamentale diventaE ′ = E0 +∆E dove∆E è datodall’espressione della teoria delle perturbazioni indipendente dal tempo

∆E = 〈ψ0| V |ψ0〉 = λ 〈ψ0| (3h2 − S2) |ψ0〉 = 3λh2