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Filosofia del lavoro a.a. 2010-2011 Il lavoro come risorsa antropologica di realizzazione. Dopo Karl Marx

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Filosofia del lavoroa.a. 2010-2011

Il lavoro

come

risorsa antropologica di realizzazione.

Dopo Karl Marx

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I N D I C E

Modulo I: Filosofia del lavoroa) Filosofia e lavoro in prospettiva trascendentaleb) La filosofia del lavoro in senso oggettivoc) Senso soggettivo della filosofia del lavorod) La filosofia del lavoro in senso pieno di Max SchelerModulo II: La divisione del lavoroa) Vicissitudini della divisione del lavorob) L’avvento della produzione di massa e dell’automazioneModulo III: Forme dell’alienazione del lavoroa) Il disagio contemporaneo da lavorob) Il problema dell’alienazione del lavoro in K. Marxc) La riduzione economicistica e la progressiva perdita di valenza

antropologica del lavoroModulo IV: Fenomenologia del lavoroa) L'esperimento mentale di Max Schelerb) Uno stratagemma filosofico per “superare” l'alienazione

del lavoroc) Casi di lavoro felice per il ben-vivere

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MODULO I

Filosofia del lavoro

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a) Filosofia e lavoro in prospettiva trascendentale

Cfr.:

D. Verducci,

Gli esordi della filosofia del lavoro in Max Scheler,

in: G. Ciocca, D. Verducci ( a cura di),

Cento anni di lavoro.

Ricognizione multidisciplinare

sulle trasformazioni del lavoro nel XX secolo,

Giuffrè, Milano 2001, pp. 130-133.

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b) La filosofia del lavoro in senso oggettivo

Cfr.:

Verducci,

Gli esordi della filosofia del lavoro in Max Scheler,

op. cit.,

pp. 134-137

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c) Senso soggettivo della filosofia del lavoro

Cfr.:

Verducci,

Gli esordi della filosofia del lavoro in Max Scheler,

op. cit.,

pp. 138-142

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d) La filosofia del lavoro in senso pieno di Max Scheler

Cfr.:

Verducci,

Gli esordi della filosofia del lavoro in Max Scheler,

op. cit.,

pp. 143-146

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MODULO II

La divisione del lavoro

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a) Vicissitudini della divisione del lavoroTesto di riferimento:

M. Kranzberg-J. Gies, Breve storia del lavoro. L'organizzazione del lavoro umano nel suo processo

evolutivo, tr. it. a c. di G. Canavese e U. Livini, Mondadori, Milano 1991.

Gli antropologi che hanno studiato le società primitive tuttora esistenti in varie parti del mondo, hanno scoperto che, nonostante un vocabolario straordinariamente ricco per quanto riguarda gli aspetti della caccia, della pesca e delle altre attività di sussistenza, questi popoli non presentano un termine corrispondente al nostro “lavoro”. Cfr.: F. Boas, L'uomo primitivo, Laterza, Bari 1972.

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Il lavoro in epoca preistorica

La spiegazione che è stata data di tale paradosso linguistico è che tra quei gruppi di sussistenza il lavoro era sinonimo di vita, perciò non lo si designava. In quelle società a livello economico la distinzione era solo tra il sonno e la veglia e essere desti significava essere al lavoro. Per molto tempo, circa 2.000.000 di anni, l'esistenza stessa degli uomini consisteva soprattutto di lavoro.

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Alcune eccezioni

Occorre riconoscere, però, che alcuni testi antichissimi riportano già la distinzione tra il tempo del lavoro e il tempo del riposo. La Bibbia, p. es., nel libro della Genesi, attribuito, nella tradizione ebraica e cristiana prima dell'avvento del metodo critico, a Mosè nel 1513 a.C. circa e riferentesi a fatti che Eusebio da Cesarea calcola avvenuti nel 5199 a.C., mentre la tradizione rabbinica pone nel 3760 a.C., racconta che Dio creò il mondo in 6 giorni e il settimo giorno si riposò.

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La divisione del lavoro (1)

Alla fine, ciò che fece saltare questo interminabile ciclo umano fu la scoperta della divisione del lavoro e quindi la sua organizzazione tramite la ripartizione in compiti assegnati ai più adatti allo scopo (uomini e donne, vecchi e giovani...).In poche migliaia di anni, l'organizzazione del lavoro si ramificò nella moderna società industriale con le sue 25.000 diverse occupazioni a tempo pieno, ognuna delle quali definisce colui che la pratica in termini di reddito, istruzione, status sociale, livello e stile di vita.

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La divisione del lavoro (2)

La divisione del lavoro è probabilmente più vecchia dell'Homo sapiens.

Attraverso la divisione dei compiti, essa può aver giocato un ruolo

nella differenziazione dell'uomo dalle altre specie animali,

promuovendo la costruzione degli strumenti, la formazione di una più complessa struttura del

cervello e la comparsa del linguaggio.

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Divisione del lavoro (3)

Nell'Era Paleolitica (2.000.000/1.000.000-10.000/8.000 a. C.) la distribuzione del lavoro era in pratica

limitata alla raccolta del cibo. La popolazione della terra era scarsa

e disseminata in gruppi isolati.L'assenza di comunicazioni tra i gruppi

e l'insufficienza dei surplus di cibo limitavano

una divisione del lavoro su basi geografiche, sebbene chi viveva in prossimità di fiumi o sui litorali si

specializzasse nelle pesca e altri nella caccia e anche le attività di raccolta spingessero a una certa

organizzazione all'interno del gruppo.

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Pervasività del lavoro nella vita

Il dinamismo storico della divisione del lavoro e della sua conseguente organizzazione ha avuto un impatto incessante sull'intera società, scuotendola più volte dalle fondamenta. Al contrario, la percezione intellettuale del fenomeno è a lungo rimasta inadeguata e solo molto lentamente gli uomini divennero consapevoli delle implicazioni per la vita delle diverse modalità in cui il lavoro può essere organizzato per svolgere i suoi compiti.

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L'interdipendenza nel lavoro e la sociologia

Il fenomeno dell'interdipendenza umana che la divisione del lavoro comporta, fu un elemento importante nella fondazione della sociologia, la nuova scienza sorta nella prima metà del XIX sec..Si osservò infatti che nel regime della divisione del lavoro avviene che il lavoratore singolo adempie una funzione limitata e pertanto per soddisfare i propri bisogni deve fare affidamento sul nesso che lo collega a molti altri lavoratori, collocati in altre posizioni del sistema produttivo.H. Spencer,* intellettuale vittoriano, concluse perciò che una società può esistere solo quando in un gruppo di individui è presente la cooperazione. (H. Spencer, Principles of Sociology, Appleton, New York 1901; tr. it.,Principi di sociologia, Utet, Torino 1967) -----------------------------------------------*Per saperne di più cerca su Wikipedia!

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Emile Durkheim*

“...si è detto perfino che, quanto più le funzioni di un organismo sono specializzate, tanto più elevato è il posto che esso occupa nella scala animale […] La divisione del lavoro non è più soltanto un'istituzione sociale scaturita dall'intelligenza e dalla volontà dell'uomo, ma è un fenomeno biologico generale, le cui condizioni debbono essere cercate, a quanto sembra, nelle proprietà essenziali della materia organizzata. La divisione del lavoro sociale si presenta come una forma particolare di questo processo generale; e le società, conformandosi a questa legge, sembrano cedere a una corrente che è nata molto prima di esse, e che trascina nella medesima direzione l'intero mondo vivente”. (E. Durkheim, De la division du travail social, Alcam, Paris 1893; tr it. La divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunità, Milano 1962, pp. 40-41).------------------------------------*Per saperne di più cerca su Wikipedia!

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Emile Durkheim (2)

Nell'identificare l'organizzazione del lavoro a principio esplicativo tanto dell'evoluzione biologica quanto di quella sociale, assimilando specializzazione delle funzioni e divisione del lavoro, Durkheim applicava le scoperte di Darwin alla teoria sociale, secondo il costume del tempo. Egli sottolineò il valore sociale dell'interdipendenza generata dalla divisione del lavoro, che mostrava una capacità di tenere unita la società pari a quello della religione, cui andava infatti sostituendosi.

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Emile Durkheim (3)

Durkheim colse anche il pericolo di “anomia” che poteva derivare dalla crescente complessità sociale indotta dalla divisione del lavoro. L'individuo infatti alla lunga avrebbe potuto smarrire il senso della integrazione del proprio ruolo con quello degli altri, divenendo psicologicamente disgregato e smarrito, con la sensazione che la propria vita fosse priva di significato.Per evitare l’anomia Durkheim consiglia che il lavoratore non perda di vista i suoi collaboratori e coltivi la consapevolezza del fatto che “egli agisce nei loro confronti e reagisce ad essi”.

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E. Durkheim (3)

«Se l'individuo non sa a cosa mirano le operazioni che svolge,

se non le ricollega a uno scopo, può solo continuare il lavoro in modo abitudinario.

Ogni giorno ripete gli stessi movimenti con monotona regolarità,

ma senza minimamente interessarsi ad essi e senza comprenderli [...]

Non si può restare indifferenti di fronte a una tale degradazione della natura umana»

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Nel XX secolo

Molti pensatori del XX secolo hanno corredato l’anomia di Durkheim di termini come

“alienazione” e “crisi di identità”,sviluppando il versante del rapporto tra

soggettività e lavoro.

Altri scienziati sociali si sono invece applicati alla relazione tra gli strumenti e le tecniche di

produzione e gli aspetti organizzativi del lavoro, approfondendo la riflessione

nei termini di ciò che è interno o esterno al lavoro.

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Nel XX sec.Si è ovviamente rilevato che cambiamenti tecnologici

inducono variazioni (→)nell'organizzazione del lavoro:«gli strumenti manuali implicano un'abilità manuale; il macchinario a

motore rimanda alla fabbrica; calcolatori e macchine transfer implicano automazione».

Ma gradualmente è emerso anche il fenomeno meno eclatante della relazione reciproca (↔) tra tecnologia e organizzazione del lavoro.

Come ha scritto Peter Drucker* :“Il lavoro, la sua struttura, organizzazione e concetti relativi devono

ciascuno per la sua parte potentemente condizionare gli strumenti e le tecniche e il loro sviluppo”. (P. Drucker, Work and Tools, in «Technology and Culture», 1, 1960, p. 30)---------------------------------------------*Per saperne di più cerca su Wikipedia!

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Nel XX sec.

In anni recenti si è rimasti sorpresi del fatto che, con l'aumentare del numero di nazioni altamente industrializzate, sono apparse modalità nuove e diverse di organizzare lo stesso tipo di produzioni tecnicamente avanzate.

Le differenze di soggettività, nelle tradizioni, nelle forme di intervento del governo e dei sindacati, nel modo di affrontare il processo di lavoro da parte dei lavoratori

sono risultate fonte di determinazionedi differenze oggettive nei tassi diversi di produttività nelle

fabbriche d'automobili negli Stati Uniti e all'estero, perfino nelle fabbriche di proprietà della stessa azienda e che producono automobili su linee di assemblaggio simili.

Tale fenomeno contraddice la teoria della “convergenza” del fisico sovietico Andrej D. Sacharov, secondo la quale l'azione di processi industriali e simili avrebbe alla fine condotto alla scomparsa delle differenze tra le società sovietica e americana.

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Nel XX sec.

Inoltre, se per tutto il corso del XIX sec., in virtù dell'avanzare del frazionamento all'interno di ogni comunità produttiva, tra comunità diverse nello stesso paese e tra diversi paesi del mondo, si formò un mercato mondiale in continua espansione e si avvalorò la convinzione che la divisione del lavoro, come sistematica frantumazione delle mansioni nelle loro componenti, diminuiva i costi e accresceva il rendimento,

nel XX sec. si cominciò invece a dubitare di questo assioma.

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Oltre l'assioma della positività della divisione del lavoro

Dopo che per oltre un secolo si era dato per scontato che il progresso dell'efficienza del lavoro industriale si collocava interamente nel campo della tecnologia, cioè era affidato principalmente all'incremento del numero delle macchine e al loro perfezionamento insieme all'ottimizzazione della loro applicazione nel contesto organizzativo,

ci si accorse che la divisione del lavoro, così redditizia dal p. di v.

oggettivo, poteva viceversa implicare perdite dal p. di v. soggettivo: perchè p. es. i lavoratori costretti a svolgere un unico compito si annoiano e producono meno o con minor precisione.

Quasi improvvisamente, sul finire del XIX sec., riemerse l'importanza dell'individuo lavoratore nella produzione di fabbrica!

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b) L'avvento della produzione di massa

Nel XX sec. matura l'avvento della produzione di massa, quasi a coronamento della precedente evoluzione del lavoro e delle sue due macro-fasi:1. La fase pre-industriale

- la prima divisione del lavoro; - irrigazione e classi sociali; - agricoltura, industria e ingegneria antiche; - la tecnologia medioevale; - le gilde e il sistema del putting out;

- l'ingegneria, l'arte mineraria e la metallurgia medioevale; - le proto-fabbriche e il Nuovo Mondo.2. La fase industriale

- la rivoluzione industriale e la nascita della fabbrica; - l'avvento della produzione di massa: il sistema americano

- l'avvento dell'automazione

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La rivoluzione industriale

Nelle vecchie corporazioni artigiane, l'unità occupazionale era il lavoratore individuale; il suo lavoro era essenzialmente fatto a mano ed egli, di solito, eseguiva tutte le operazioni necessarie per la produzione di un singolo oggetto.L'introduzione delle macchine determinò una situazione del tutto diversa.Il processo lavorativo veniva ora frantumato in una serie di operazioni divise, ciascuna delle quali era eseguita da individui che in essa si specializzavano.La descrizione classica della nuova tecnica fu data da Adam Smith* nel primo capitolo della sua opera Ricerca sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (pubblicata il 9 marzo 1776), in cui descrive una fabbrica di spilli.----------------------------*Per saperne di più cerca su Wikipedia!

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Il lavoro nella fabbrica

«Un operaio non addestrato a questa manifattura, che la divisione del lavoro ha reso un mestiere speciale e che non conosca l'uso delle macchine che vi si impiegano, l'invenzione delle quali è stata probabilmente originata dalla stessa divisione del lavoro, potrà a malapena, applicandosi al massimo, fabbricare un solo spillo al giorno, e certamente non ne potrà fabbricare venti. Ma, nel modo in cui si esegue ora tale fabbricazione, non soltanto essa è un mestiere speciale, ma si divide in molti rami, la maggior parte dei quali è analogamente un mestiere speciale. Un uomo tira il filo di metallo, un altro lo tende, un terzo lo taglia, un quarto lo appunta, un quinto lo arrotola alla estremità in cui deve farsi la testa; farne la testa richiede due o tre operazioni distinte, collocarla è un'operazione speciale, pulire gli spilli è un'altra e un'altra ancora è disporli dentro la carta; e in tal modo l'importante mestiere di fare uno spillo si divide in circa 18 operazioni distinte....

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Il lavoro nella fabbrica

...18 operazioni distinte, che in alcune fabbriche sono tutte eseguite da operai distinti, benchè in altre fabbriche lo stesso uomo ne eseguirà talvolta 2 o 3. Ho visto una piccola fabbrica di questo genere, che occupava soltanto 10 uomini e nella quale, di conseguenza, ciascuno di loro eseguiva 2 o 3 operazioni diverse. Ma sebbene essi fossero assai poveri, e perciò non disponessero di tutte le macchine necessarie, pure, quando si impegnavano potevano fabbricare complessivamente 12 libbre di spille al giorno. Una libbra contiene oltre 4.000 spilli di media grandezza. Quelle 10 persone potevano dunque fabbricare assieme oltre 48.000 spilli al giorno».

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La produzione di massa

E' la tecnica di produrre grandi quantità di beni a basso costo unitario,

tramite un'organizzazione sistematica di uomini e macchine.

6 sono i suoi fattori costitutivi:

1. la standardizzazione del prodotto;2. l'intercambiabilità delle parti;3. una lavorazione di precisione tale che le parti si adattino l'una all'altra;4.la meccanizzazione del processo di fabbricazione per raggiungere un alto volume di produzione;5. la sincronizzazione del flusso di materie prime alle macchine con il flusso della produzione delle macchine;6. la continuità del processo lavorativo, sia per eliminare i momenti morti sia per mantenere il flusso costante dei materiali in lavorazione

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Il sistema americano della produzione di massa

La produzione di massa fu la logica conseguenza della rivoluzione industriale inglese, che comportando

«il passaggio progressivo dalla “manifattura” alla “macchinofattura”»

(S. Buchanan, Technology as a System of Exploitation, in C.F. Stover, The technological Order, Wayne State University Press, Detroit Michigan, 1963, p. 156)

significò:- la frantumazione delle operazioni manuali dell'artigiano nelle

loro parti componenti - la sostituzione ad esse di operazioni compiute da macchineinstancabili, perchè dotate di motori- la “razionalizzazione” del sistema produttivo della fabbrica,

secondo modelli più complessi di operazioni produttive, fondatisull'efficienza in termini di costi

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Il sistema americano della produzione di massa

Fu tuttavia in America che gli effetti della rivoluzione industriale di matrice inglese,“esplosero”. Per ragioni: - geografiche-materiali:

.la ricchezza del territorio di energia idraulica, carbone e altre risorse di base

- umane: .il fatto culturale per cui: “in America gli uomini servono Dio, in

tutta sincerità e serietà, ponendosi come obiettivo l'efficienza economica” (Ch. L. Sanford, The intellectual origins and new wordliness of American industry, «Journal of Economic History», 18, 1958, p. 16);

.la carenza di lavoratori specializzati, che orientò a valorizzare l' “abilità incorporata nella macchina”, in termini di velocità e precisione della produzione, ma a scapito dell'eleganza;

.l'ingegnosità yankee* .un mercato in rapida espansione)

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L'ingegnosità yankee

Per ingegnosità yankee si intende l'intelligente attitudine a darsi da fare, volta esclusivamente a fini pratici.

Ne è un esempio significativo il caso Lowell.

Il mercante di Boston, Francis Cabot Lowell, impadronitosi, attraverso una personale attività di “spionaggio industriale” fatta in Inghilterra, del progetto del telaio meccanico, fece costruire tale macchina da un esperto meccanico del New England, Paul Moody, e integrò con successo tutte le fasi

della produzione tessile in un solo opificio.Lowell si dedicò alla produzione di pochissimi tipi di panno

economico e altamente standardizzato, derivanti tutti da un unico tipo di filato standard.

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L'ingegnosità yankee (2)

Nel 1820, tre anni dopo la morte di Lowell, la sua fabbrica, la Boston Manufacturing Company, aveva in funzione 5376

fusi e 175 telai meccanici, che lavoravano annualmente 450.000 libbre di cotone.

Inoltre Lowell fu il pioniere dell'impiego di forza-lavoro femminile negli Stati Uniti, reclutando ragazze adolescenti

dalle fattorie del New England e alloggiandole in dormitori e in pensioni nel luogo dell'opificio.

Dei 264 operai, impiegati nello stabilimento di Lowell a Waltham nel 1820, 225 erano donne e ragazze, 13 erano

ragazzi e solo 26 uomini.Così attraverso un efficiente uso del macchinario, Lowell rese

vantaggiosa la tipica varenza amenricana di forza-lavoro specisalizzata.

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L'ingegnosità yankee (3)

Nel 1834, la città di nome Lowell nel Massachussets, era il centro più importante dell'industria tessile del New England, con 8

grandi imprese, che avevano in funzione complessivamente 116.000 fusi e 4.000 telai, che

impiegavano 6.600 lavoratori di cui 5.000 erano donne.

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Il sistema americano di produzione (1)

Nonostante il vantaggio iniziale dell'Inghilterra nella produzione delle macchine, a seguito

dell'impulso dato da uomini come Lowell, che nel tempo non diminuì, anzi si accrebbe, l'America

assunse, nel corso del XIX secolo, una posizione preminente nelle forme di ulteriore sviluppo della

rivoluzione industriale,Dando luogo a quello che fu conosciuto come «il

sistema americano di produzione»

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Il sistema americano di produzione

Il SAP era

«un metodo di fabbricazione, attraverso cui venivano prodotti complessi strumenti meccanici

con una serie di operazioni compiute a macchina in modo sequenziale».

Ciò implicava la costruzione di grandi lotti di parti esattamente identiche – parti intercambiabili – che potevano

essere accoppiate l'una all'altra, per formare macchine o altri strumenti.

I prerequisiti di questo sistema produttivo erano: a) la produzione di massa b) l'uso di macchine utensili dotate

di un proprio motore e progettate per un lavoro specifico c) calibri per garantire l'uniformità nella precisione

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Il SAP

Sebbene il cosiddetto SAP non abbia realmente avuto origine negli Stati Uniti, fu lì che raggiunse il suo pieno sviluppo. Gli storici nazionalisti hanno attribuito a Eli Whitney* l'invenzione delle parti

intercambiabili, ma è ormai confermato che molti continentali lo anticiparono già nel XVIII sec., p. es. l'ingegnere francese Marc Brunel, esule in

Inghilterra, e che egli fu probabilmente solo uno dei molti americani che quella invenzione

propagandarono.

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*Eli Whitney

All'inizio del 1798, Eli Whitney si impegnò con il governo americano a costruire 10.000 fucili in 28

mesi, un impegno senza dubbio basato sulla tecnica delle parti intercambiabili prodotte a

macchina. Nel 1820, tale tecnica si era ormai diffusa nelle

fabbriche di armi del Connecticut, dove si usavano macchine utensili dotate di forza

motrice autonoma, per produrre parti intercambiabili per armi di piccole dimensioni. Nel 1830 il principio si era diffuso alle fabbriche

del New England.

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Il SAP (2)

Tra gli anni '70/'80 dell'Ottocento, il sistema americano produceva a pieno ritmo macchine utensili e altri prodotti

industriali.Gli utensili manuali erano stati quasi universalmente

sostituiti da macchine utensili, cui erano addetti lavoratori semispecializzati, il che aumentava immensamente la

produzione e abbassava i costi.La superiorità dell'industria americana nella

standardizzazione e nella intercambiabilità delle parti, costituì la base indispensabile per il successivo grande

stadio di sviluppo della rivoluzione industriale, cioè la linea di assemblaggio.

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La linea di assemblaggio

Anche se la linea di assemblaggio viene sempre associata al nome di Henry Ford, fu in realtà

Henry M. Leland, fondatore della Cadillac Motor Company, a raggiungere i più rigorosi standard di uniformità per ogni componente delle sue auto.

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La linea di assemblaggio (2)

Nel 1908 a una mostra della tecnica americana in Inghilterra, il distributore inglese di Leland fece portare 3 auto Cadillac sulla pista di prova del

Royal Automobil Club, fece ammassare e mescolare alla rinfusa tutte le parti componenti,

fece scartare da funzionari del Club 90 parti prese a caso, che furono sostituite con altre prese dai magazzini. Le 3 Cadillac furono poi riassemblate e fecero un percorso di prova di 500 miglia senza

il minimo inconveniente.

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La linea di assemblaggio (3)

Il SAP era pronto ad assumere la forma che lo caratterizzerà nel XX secolo.

Le macchine utensili avevano aperto la via alla trasformazione dell'organizzazione del lavoro:

a) incorporando l'abilità nella macchina,

b) rendendo possibile una rigorosa intercambiabilità

c) parcellizzando il lavoro stesso nelle sue parti componenti

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Henry FordLa linea di assemblaggio semovente

Henry Ford (Deaborn, 30 luglio 1863-Detroit, 7 aprile 1947) è stato un imprenditore statunitense.

Fu uno dei fondatori della Ford Motor Company, società produttrice di automobili, ancora oggi una delle maggiori società

del settore negli USA e nel mondo.

Egli ebbe la genialità di sintetizzare gli elementi della tecnica della linea di assemblaggio, già presenti sulla scena produttiva,

realizzando una combinazione di straordinaria efficacia per la produzione di massa del bene allora strutturalmente più

complesso, l'automobile.

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Henry Ford (2)In particolare, egli introdusse nell'industria automobilistica, la linea di assemblaggio semovente, la cui «idea, nella sua forma generale venne dal carrello aereo che gli inscatolatori di Chicago usavano

per la confezione del manzo» (dall'Autobiografia).

Fu infatti nell'industria americana della conservazione della carne di Chicago e Cincinnati che si sviluppò, sorprendentemente, alla

fine del XIX sec, la linea di assemblaggio.

Nei mattatoi erano da tempo in uso, per spostare le pesanti carcasse degli animali da un lavoratore all'altro, carrelli muniti di ganci, che scorrevano su rotaie poco sopra l'altezza di un uomo.

Quando si pensò di collegare i carrelli con catene, così da formare una linea continua e di collegare a un motore tale linea, per

muovere le carcasse a un ritmo regolare, nacque la vera linea di assemblaggio, o di smontaggio, in questo caso.

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Henry Ford (3)

Con l'introduzione della linea di assemblaggio, ogni lavoratore doveva necessariamente

concentrarsi su di un solo compito ripetitivo e i movimenti inutili sia degli uomini che dei materiali furono in questo modo automaticamente limitati.

Ora era la velocità del carrello che poteva essere regolata a piacere a determinare il ritmo della produzione, che subito aumentò decisamente.

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Henry Ford (4)

Henri Ford progettò inoltre la sua Ford Modello T, l'immortale Flivver o Tin Lizzie, in modo da essere

meccanicamente semplice e soddisfare i due requisiti fondamentali della produzione di massa,

la durata e l'economicità d'esercizio.A ciò egli aggiunse un prezzo alla portata del mercato di massa, 600 $ e infatti nel 1912, la produzione del Modello T, venduto a questo

prezzo, non riuscì a stare al passo con la domanda!

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Henry Ford (5)

Il 1° maggio 1913, Ford cominciò a sperimentare la nuova linea di assemblaggio semovente, per la

produzione di magneti ovvero generatori; mise così a punto il sistema e la produzione aumentò tanto che nel 1929, quando una Ford Modello T

era venduta a 290$, metà delle vetture in circolazione nel mondo erano vetture Ford

Modello T.Ovviamente, per stare al passo nel rifornimento,

tutti i fornitori di pezzi si adeguarono a tale organizzazione del lavoro, che si diffuse ovunque.

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Henry Ford (6)

Dalla produzione di massa di automobili, che aveva conseguito l'obiettivo di abbassare i prezzi senza incidere sulla qualità, si aprì la possibilità di

una produzione di massa in una società di consumo di massa.

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Sulla produzione di massa

pp. 115-118, Breve storia del lavoro.

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Frederick Winslow Taylor

F. W. Taylor fu l'ingegnere che nel decennio 1880/1890 diede una base organizzativa unitaria al lavoro

industriale, ideando un insieme di principi teorici capaci di ottimizzare

l'efficienza di qualsiasi lavoro.La sua impresa audace e innovativa portò alla nascita di

un campo di studi completamente nuovo: l'analisi scientifica del lavoro o «ingegneria industriale»

(Industrial Engineering).Grazie ad essa la funzione direttiva, di pianificazione, coordinamento e supervisione, venne ad assumere

una posizione dominante nel processo produttivo.

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Un nuovo tipo di lavoratore

L'introduzione della linea di assemblaggio cambiò radicalmente la vita dei lavoratori: ora essi non

potevano allontanarsi e tornare a recuperare di lì a poco, perchè la linea richiedeva in ogni minuto non solo la loro presenza, ma la loro attenzione.Il nuovo tipo di lavoratore viveva un particolare

rapporto con i materiali e gli utensili: la macchina imponeva il suo ritmo al processo lavorativo e il

lavoratore divenne un componente della macchina, per il quale l'età e la qualificazione

acquisita con l'esperienza rappresentavano uno svantaggio!

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Tre nuove classi di lavoratori

Proprio mentre i lavoratori sperimentavano una sorta di dequalificazione, ci fu una rapida

proliferazione di personale direttivo e impiegatizio. Apparvero sulla scena industriale 3 nuove classi di

lavoratori, numericamente assai rilevanti.1) Personale di controllo: il grande incremento della dimensione della linea produttiva comportò l'estensione della linea d'autorità.2) Personale di “staff” e di “line”: professionisti non direttamente impiegati nella produzione, ma essenziali a garantire il funzionamento delle operazioni accessorie 3) Personale di vendita: assicurava il flusso dei prodotti dalle fabbriche al consumatore ed era forza-lavoro addestrata e organizzata.

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Elton Mayo

Fu Elton Mayo a mettere a fuoco la complessità del rapporto tra il lavoratore e il suo lavoro,

quando le scienze del comportamento presero finalmente il loro posto sulla scena industriale, a

fianco delle scienze fisiche e dell'ingegneria.Finalmente venne riconosciuto che gli uomini

erano qualcosa di più dell'homo oeconomicus di A. Smith o dell'homo mechanicus di F. W. Taylor!

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L'effetto Hawthorne

Lettura delle pp. 153-155 da:

Kranzberg e Gies, Breve storia del lavoro, cit.

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La logica dell'automazione

Lettura delle pp. 158-167 da:

Kranzberg e Gies, Breve storia del lavoro, cit.

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Un commentoCosì il sociologo industriale francese, Georges Friedmann*, giudica questo stadio della rivoluzione industriale consistente nella supermeccanizzazione della produzione attraverso la linea di assemblaggio e l'automazione:«La meccanizzazione porta a una duplice evoluzione simultanea e contaddittoria: da una parte i compiti divisi, spogliati di iniziativa e responsabilità e di altre facoltà complessive, aumentano: in questo consiste la “despiritualizzazione” del lavoro. Ma dall'altra, compaiono compiti preparatori, l'attrezzaggio, il controllo del lavoro, il lavoro di costruzione di macchine complesse, che richiedono un certo addestramento. E ancora di più, questi lavori in cui, a causa della meccanizzazione, l'operazione di trasformazione diretta del materiale si è venuta separando dalle mani del lavoratore, non richiedono più caratteristiche come la velocità o la forma dell'esecuzione, ma la precisione e l'attenzione; e cioè caratteristiche qualitative e non quantitative. E' la qualità del lavoro che in questo caso mostra l'abilità del lavoratore. Così i processi di despiritualizzazione e di rispiritualizzazione del lavoro vanno avanti contemporaneamente».

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Un commentoSebbene Friedmann ammetta che la nuova

tecnologia industriale comporta più despiritualizzazione che rispiritualizzazione, egli

sottolinea anche che «non c'è un rigido determinismo per l'una o per l'altra di queste

evoluzioni...La scelta dipende dal contesto socio-economico in cui l'evoluzione avviene».

Infatti, a fronte di una iniziale decrescita degli operai specializzati all'inizio

dell'industrializzazione, quando le macchine hanno cominciato a sostituire completamente gli operai non specializzati è cresciuta l'incidenza

degli operai specializzati.

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Il giudizio profetico del principe Kropotkin

All'inizio del XX secolo, il principe Kropotkin, intellettuale rivoluzionario russo, osservò che

«proprio nella misura in cui il lavoro richiesto all'individuo nella moderna produzione diventa sempre più semplice e

più facile da imparare, e perciò monotono e tedioso, i bisogni dell'individuo di variare il suo lavoro, per

esercitare tutte le sue capacità, divengono sempre più importanti».

La soluzione proposta dal principe Kropotkin di integrare il lavoro, invece che suddividerlo, fu notevole presagio

dei programmi di job enrichment varati negli anni intorno al 1970.

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*Georges Friedmann

Georges Friedmann, nato a Parigi nel 1902, è considerato il fondatore della sociologia del lavoro umanista. Dopo gli studi in chimica industriale si è laureato in filosofia alla “Ecole Normale”; ha iniziato ad occuparsi di problemi del lavoro e del progresso tecnico dal 1930 ed ha dedicato la maggior parte delle indagini allo studio del rapporto tra l’uomo e la macchina nella società industriale. Nel 1946 la sua tesi, “Problemi umani del macchinismo industriale”, ha introdotto in Francia la nuova sociologia del lavoro. All’inizio degli anni ’60, ha cominciato ad esplorare un altro campo della cultura tecnica: le comunicazioni e la cultura di massa. A capo del centro di studi sociologici (CNRS) si è rivelato un grande organizzatore e promotore di ricerche. Nel 1967 ha fondato insieme ad Edgar Morin e Roland Barthes la rivista “Communications”.

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Opere di G. Friedmann- Dove va il lavoro umano?, trad. di Bruno Abbina, Milano, Edizioni di Comunita, 1951

- Lavoro in frantumi, Milano, Edizioni di Comunità, 1960

- Tecnica, educazione e vita moderna, Roma, Armando, 1961

- Leibniz et Spinoza, Paris, Gallimard, 1962

- Trattato di sociologia del lavoro, trad. di Massimo Paci, Milano, Edizioni di Comunita, 1963

- L' uomo e la tecnica, Milano, ETAS Kompass, 1968

- Problemi umani del macchinismo industriale, trad. di Bruno Maffi, Torino, Einaudi, 1972

- La crisi del progresso. Saggio di storia delle idee (1895-1935), a cura di M. Nacci, Guerini e Associati, Milano1994