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Ereticamente http://www.ereticamente.net/2017/02/saggio-di-osservazioni-sugli-affreschi-della-cappella-di-palazzo-medici-riccardi-in-firenze-luca-maccaferri.html Ogni falso pensier non vede l’essere Che l’arte dà, quando natura invola FILIPPO DI SER BRUNELLESCO Colui che desiderasse contemplare ancora una volta la dissipata aura della rinascenza fiorentina del Quattrocento, locus mentis oggi assai più remoto del corrispettivo tempo storico, potrebbe con buon profitto prendere congedo dal frastuono cittadino per ritirarsi all’interno di quella che fu la cappella privata del palazzo mediceo di via Larga (1) Per una introduzione allo spartito architettonico e decorativo della cappella si veda Acidini Luchinat, “La Cappella medicea attraverso cinque secoli”, in G. Cherubini / G. Fanelli (a cura di), Il palazzo Medici Riccardi di Firenze , Firenze, Giunti, 1990, pp. 82-97; a seguito degli articolati e complessi restauri del 1988-1992, diretti dalla medesima Autrice, è oramai di fondamentale importanza il volume a cura di Ead., Benozzo Gozzoli. La Cappella dei Magi, Milano, Electa, 1993 [con bibliografia]; per un’approfondita indagine storico-iconografica dei temi simbolici in essa impliciti si vedano anche: F. Cardini, La cavalcata d’Oriente. I magi di Benozzo a palazzo Medici , Roma, Tomo, 1991; Id., I re Magi di Benozzo a Palazzo Medici , Firenze, Mandragora, 2001.. Sulle pareti di questo mirabile scrigno segreto Benozzo di Lese istoriò, a partire dal 1459, l’etereo affresco del Corteo dei Magi , sorta di caleidoscopico talismano ove il consueto soggetto dell’adorazione del Messia a Betlem appare misticamente riletto e trasfigurato alla luce di capitali eventi storici quali furono il Concilio di Firenze del 1439 e la caduta di Costantinopoli del 1453 (2) Il Concilio fu inaugurato nel 1438 a Ferrara dal pontefice Eugenio IV, con lo scopo di ricostituire l’unione della Chiesa d’Occidente con quella d’Oriente, a quell’epoca sotto la costante e grave minaccia turca. In seguito al subitaneo scoppio di una pestilenza, “[…] Cosimo [di Giovanni de’ Medici] riuscì a convincere Eugenio IV (per riguardo soprattutto alle vuote casse della Curia) a trasferire la sede del concilio [] a Firenze, con notevolissimo vantaggio economico, spirituale e morale per la sua città ” (C. Gutkind, Cosimo de’ Medici il Vecchio , Firenze, Marzocco, 1940, p. 199 [ed. orig. Oxford, 1938]). Ed invero si trattò di un evento di cardinale importanza per le future sorti d’Europa, i cui effetti a lungo termine si spinsero ben oltre i crismi ufficiali della solenne quanto effimera riunione delle chiese Greca e Latina: esso difatti sancì (solo pochi anni avanti la presa di Costantinopoli) l’esponenziale incremento di quella capillare migrazione culturale da Bisanzio a Firenze già da lungi promossa e perseguita in primis dallo stesso Cosimo, che rientrato nel 1434 dal suo esilio veneziano aveva con discrezione preso nelle sue mani le redini del governo cittadino (cfr. ibidem, cap. VII). Per riferimenti generali e particolari (anche bibliografici) ci limitiamo a segnalare rispettivamente E. Garin, Il ritorno dei filosofi antichi , Napoli, Bibliopolis, 1994; J. Gill, Il Concilio di Firenze, Firenze, Sansoni, 1967 [ed. orig. Cambridge, 1959]. (Fig. 1). Fig. 1. Corteo dei Magi – parete est

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Ogni falso pensier non vede l’essereChe l’arte dà, quando natura invola

FILIPPO DI SER BRUNELLESCO

Colui che desiderasse contemplare ancora una volta la dissipata aura della rinascenza fiorentina delQuattrocento, locus mentis oggi assai più remoto del corrispettivo tempo storico, potrebbe con buonprofitto prendere congedo dal frastuono cittadino per ritirarsi all’interno di quella che fu la cappellaprivata del palazzo mediceo di via Larga(1)Per una introduzione allo spartito architettonico edecorativo della cappella si veda Acidini Luchinat, “La Cappella medicea attraverso cinque secoli”,in G. Cherubini / G. Fanelli (a cura di), Il palazzo Medici Riccardi di Firenze, Firenze, Giunti, 1990,pp. 82-97; a seguito degli articolati e complessi restauri del 1988-1992, diretti dalla medesimaAutrice, è oramai di fondamentale importanza il volume a cura di Ead., Benozzo Gozzoli. La Cappelladei Magi, Milano, Electa, 1993 [con bibliografia]; per un’approfondita indagine storico-iconograficadei temi simbolici in essa impliciti si vedano anche: F. Cardini, La cavalcata d’Oriente. I magi diBenozzo a palazzo Medici, Roma, Tomo, 1991; Id., I re Magi di Benozzo a Palazzo Medici, Firenze,Mandragora, 2001.. Sulle pareti di questo mirabile scrigno segreto Benozzo di Lese istoriò, a partiredal 1459, l’etereo affresco del Corteo dei Magi, sorta di caleidoscopico talismano ove il consuetosoggetto dell’adorazione del Messia a Betlem appare misticamente riletto e trasfigurato alla luce dicapitali eventi storici quali furono il Concilio di Firenze del 1439 e la caduta di Costantinopoli del1453(2)Il Concilio fu inaugurato nel 1438 a Ferrara dal pontefice Eugenio IV, con lo scopo diricostituire l’unione della Chiesa d’Occidente con quella d’Oriente, a quell’epoca sotto la costante egrave minaccia turca. In seguito al subitaneo scoppio di una pestilenza, “[…] Cosimo [di Giovanni de’Medici] riuscì a convincere Eugenio IV (per riguardo soprattutto alle vuote casse della Curia) atrasferire la sede del concilio […] a Firenze, con notevolissimo vantaggio economico, spirituale emorale per la sua città” (C. Gutkind, Cosimo de’ Medici il Vecchio, Firenze, Marzocco, 1940, p. 199[ed. orig. Oxford, 1938]). Ed invero si trattò di un evento di cardinale importanza per le future sortid’Europa, i cui effetti a lungo termine si spinsero ben oltre i crismi ufficiali della solenne quantoeffimera riunione delle chiese Greca e Latina: esso difatti sancì (solo pochi anni avanti la presa diCostantinopoli) l’esponenziale incremento di quella capillare migrazione culturale da Bisanzio aFirenze già da lungi promossa e perseguita in primis dallo stesso Cosimo, che rientrato nel 1434 dalsuo esilio veneziano aveva con discrezione preso nelle sue mani le redini del governo cittadino (cfr.ibidem, cap. VII). Per riferimenti generali e particolari (anche bibliografici) ci limitiamo a segnalarerispettivamente E. Garin, Il ritorno dei filosofi antichi, Napoli, Bibliopolis, 1994; J. Gill, Il Concilio diFirenze, Firenze, Sansoni, 1967 [ed. orig. Cambridge, 1959]. (Fig. 1).

Fig. 1. Corteo dei Magi – parete est

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La compiutezza regale della pittura, con i suoi ori, i suoi argenti, le sue lacche di lapislazzuli e dicarminio, dà luogo ad un insieme ordinato di impareggiabile equilibrio estetico, simile ad un tappetodi meravigliosa complicazione: immersa nelle pieghe di un vivido paesaggio fiorentino dai trattiarcani e fiabeschi, la processione di alti dignitari italiani e bizantini viene ad essere armonicamentescandita dall’augusta presenza dei tre magi che, fasciati nelle loro pregiate vesti, si stagliano sullosfondo in sella alle loro ornate cavalcature(3)Talune tra le più felici e minuziose descrizioni delpaesaggio naturale e dei singoli personaggi che lo animano sono fornite da G. B. Benvenuti, Gliaffreschi di Benozzo Gozzoli nella Cappella del palazzo Riccardi, Firenze, Galletti & Cocci, 1901. Aproposito di giudizi descrittivi ci limitiamo a segnalare qui che non possiamo affatto seguirel’egregio André Chastel quando, in riferimento alla cappella affrescata, accenna ad una non benprecisata “[…] dispersione narrativa del Gozzoli” (Arte e Umanesimo a Firenze al tempo di Lorenzo ilMagnifico. Studi sul Rinascimento e sull’umanesimo platonico, Torino, Einaudi, 1964, p. 246 [ed.orig. Paris, 1959]).. Ai due Magi in età adulta, nelle sembianze dell’imperatore del Sacro RomanoImpero Sigismondo di Lussemburgo (Melchiorre)(4)Rispetto alla consueta identificazione del Magoanziano con il patriarca di Costantinopoli Giuseppe II, ricalcata pure da Chastel (ibidem, pp.245-246) e, più recentemente, da Silvia Ronchey (L’enigma di Piero, Milano, Rizzoli, 2006, pp.104-106), è oramai senza dubbio da prediligersi la veridica ipotesi interpretativa di M. Bussagli afavore di Sigismondo di Lussemburgo (“Il Corteo dei Magi di Benozzo Gozzoli in palazzo MediciRiccardi a Firenze: identificazione di un imperatore”, Art e Dossier, VII, 67, 1992, pp. 6-15),formulata sulla base di notevoli corrispondenze fisionomico-iconografiche provenienti da Pisanello eda Piero della Francesca. Giova inoltre segnalare che un ulteriore apporto iconografico fornito dallacitata Ronchey (op. cit., tavv. 62, 64, 67, 69) per suffragare l’identità del Mago col patriarca, vainvece proprio ad adiuvandum della tesi di Bussagli, sulla cui fondatezza hanno dovuto convenireCardini (I re Magi…, cit., pp. 30-32) e, seppur indirettamente, C. Acidini Luchinat (BenozzoGozzoli…, cit., p. 43). Volendo brevemente far cenno della figura dell’imperatore Sigismondo diLussemburgo (deceduto nel 1437), rammentiamo che, dopo aver promosso il Concilio di Costanza(1414-’17: fine dello Scisma d’Occidente), venne incoronato re d’Italia da Eugenio IV (1432), peravere poi negli ultimi anni parte attiva nelle premesse politiche dell’imminente concilio dellariunificazione. Segnaliamo poi, last but not least, che Sigismondo appare nell’unico documentofigurativo, a tutt’oggi noto, che narri i fatti conciliari, ovvero la bronzea “Ianua Coeli” commissionatada Eugenio IV a Filarete per la Basilica di S. Pietro (cfr. P. Castelli, “Veni Creator Spiritus. Da SanGiorgio a Santa Maria Novella: immagini conciliari”, in Firenze e il Concilio del 1439. Convegno distudi, Firenze, 29 novembre-2 dicembre 1989 (a cura di P. Viti), Firenze, Olschki, 1994, t. I, pp.289-316: 293- 295). (Fig. 2) e dell’imperatore di Bisanzio Giovanni VIII Paleologo (Baldassarre)(5)Inquesto caso la consueta identificazione del Mago in età virile col Basileus (deceduto nel 1448) èsuffragata da un’ampia testimonianza iconografica, nella quale spiccano i disegni e le medaglie diPisanello (per lo status quaestionis in merito rinviamo a Ronchey, op. cit., tavv. 87-105 e passim).(Fig. 3), fa riscontro un giovanissimo “Mago fiorentino” dalla bionda e fluente chioma: Lorenzo diPiero di Cosimo de’ Medici (Gaspare)(6)La figura del giovane Mago, ritratto allegorico dell’alloradieci-undicenne Lorenzo, rappresenta (come si vedrà meglio innanzi) il punto di massimapolarizzazione simbolica dell’intero spartito decorativo, venendosi concettualmente a trovare alcentro di un ipotetico quinconce ai cui opposti estremi si collocano e si corrispondonovicendevolmente da una parte Melchiorre e Baldassarre, e dall’altra i committenti e fruitori primidell’opera stessa: Cosimo e Piero de’ Medici, nitidamente effigiati al seguito di Lorenzo (Fig. 5) (C.Acidini Luchinat, “La ..”, cit., pp. 86-87): vedasi APPENDICE A. (Fig. 4). Ritratto “Ritto in staffe,pulcro e peregrino”(7)Cod. Magliab. VII, 1121: Terze Rime in lode di Cosimo de’ Medici e de’ figli edell’Honoranza fatta l’anno 1458 (sic) al figl.° del Duca di Milano ed al Papa nella loro venuta aFirenze , apud G. Volpi, Le feste Di Firenze del 1459. Notizia di un poemetto del sec. XV, Pistoia,Libreria Pagnini, 1902, p. 22. nel costume di foggia orientale indossato in quello stesso 1459 nelcorso della memorabile armeggeria di Calendimaggio(8)La spettacolare armeggeria notturna delprimo di maggio fu solo l’ultima attrazione di un ricco programma di celebrazioni e festeggiamenti

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allestito a Firenze sul finire di aprile del 1459, per onorare la presenza tra le mura cittadine di dueospiti illustri quali papa Pio II, diretto a Mantova ad una dieta da lui convocata con lo scopo di indireuna crociata contro i turchi, e Galeazzo Maria Sforza, il quindicenne figlio del duca di MilanoFrancesco Sforza, stretto alleato di casa Medici, inviato dal padre ad ossequiare il pontefice (per unatrattazione completa di questi eventi rinviamo al citato opuscolo del Volpi). A proposito degliarmeggiatori un’anonimo cronista racconta: “A guisa di mazzocchio una ghirlanda / di scaglied’ariento adorna e bella / Con penne d’or che su diritte manda // Avea ciascun d’intorno alla pianella,[…]” (ibidem, 22), descrizione che si attaglia a pennello al copricapo indossato da Lorenzonell’affresco, consistente in un “[…] turbante decorato di «quarti disposti alla turca» che si vede incapo anche al Paleologo” (A. Chastel, op. cit., p. 246)., il giovin cavaliere incede elegante, assorto,sereno, in certo qual modo presago del suo futuro destino di reggitore di stato, di «filosofo re», chedi lì a poco gli sarebbe valso l’appellativo di Magnifico(9)Per comprendere come codesta“magnificenza” vada rettamente intesa nel senso di una soverchia generosità e magnanimità, si vedaW. Roscoe, Life of Lorenzo de’ Medici called The Magnificent, London, David Bogue, 1846, 33-34(con rispettive note).. Illuminate dalla grazia coloristica del loro artefice, le terse simmetrie dellacomposizione sembrano convergere e rifrangersi, quasi more geometrico(10)Come avremo cura didimostrare in APPENDICE B, la figura equestre del Magnifico risulta essere collocata in manieranotevole rispetto alle scompartizioni armonico-proporzionali della parete est, la sola giunta intattasino a noi, essendo miracolosamente scampata alle ingiurie del tempo e degli uomini, proprio nellafigura e, segnatamente, nel volto dell’adolescente cavaliere “Giovan di tempo e vecchio disapere”(11)Ricordi di Firenze dell’anno 1459 di autore anonimo (a cura di Volpi), sta in L. A. Muratori,Rerum Italicarum Scriptores, tomo XXVII, parte I, 1907, p. 30, v. 1318., araldo di quella aristocraticacompostezza che così bene esprime l’indole di quei tre primi signori di casa medici ivieffigiati(12)Quest’arte della litote, del “minus dicere” di cui Cosimo fu maestro (e di cui il figlio Pieroed il nipote Lorenzo sarebbero stati discepoli non meno degni) è racchiusa nel vocabolo italianosprezzatura: “Sprezzatura è un ritmo morale, è la musica di una grazia interiore; è il tempo […] nelquale si manifesta la compiuta libertà di un destino, infallibilmente misurata, tuttavia, su un’ascesicoperta” (C. Campo, “Con lievi mani”, in , Il flauto e il tappeto, Milano, Rusconi, 1971, pp. 123-142:126)..

Fig. 2. Corteo dei Magi – pareteovest – Sigismondo di Lussemburgo

Ed in virtù di questa modulazione lenta, delicata, solenne, saremo inesorabilmente condotti ad

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apprezzare l’affresco come un insieme omogeneo, a percepirne l’intimo respiro al di là delle singoleripartizioni, o sia a coglierne l’essenza al di là del tema(13)“Essentia est id quod per definitionem reisignificatur” (S. Th. Aqu., De ente et essentia, II). In merito al rapporto tra essenza e tema,rimandiamo alla seguente riflessione di Pavel Florenskij: “La perfezione artistica della poesia, dellamusica e via dicendo non consiste forse nel fatto che il loro contenuto sovralogico superaincommensurabilmente, pur senza distruggerlo, quello logico? In quanto lingua degli spiriti, essa èpercepibile alla percezione non ancora raziocinante di un bambino molto più che a quella di unadulto” (P. A. Florenskij, Ai miei figli. Memorie di giorni passati (a cura di N. Valentini e L. Žák),Milano, Mondadori, 2003, p. 122 [ed. orig. Moskva, 1992]).. Avendo così rivolta l’attenzione a ciò chenella metafora dell’arte riveste l’alto magistero di portare (fero) più in là (meta) il senso deglielementi concreti(14)“Quando una metafora viene verificata, ciò significa che i cosiddetti eventi simuovono verso la propria essenza […]” (H. von Doderer, “Fondamenti e funzione del romanzo epagine dal diario di uno scrittore” (a cura di Contini), L’Approdo letterario, XIII, 37 (N. S.), 1967, pp.16-29: 18)., abbiamo potuto scorgere un riflesso del noumeno nel fenomeno, essendo risaliti colpittore “a realia ad realiora” (Vjaceslav Ivanov) nell’iperuranio di quelle idee metafisiche le quali (inquanto entia realiora) sono simboleggiate dalle nostre realtà sensibili(15)Sulla dialettica intercorrentetra oggetto simboleggiato e simboleggiante si veda E. Zolla, “Simbologia”, Enciclopedia delNovecento Treccani, Roma , Istituto della Enciclopedia Italiana, 1982, pp. 539-550: 539.. Ben siapponeva Cristina Campo ad individuare nella somma facoltà dell’attenzione, “[…] cioè lettura sumolteplici piani della realtà intorno a noi, che è verità in figure”(16)C. Campo, “Attenzione e poesia”,in Ead., Fiaba e mistero e altre note, Firenze, Vallecchi, 1962, pp. 61-67: 63., il filo d’Arianna verso ilmondo degli universalia: “Come il gigante dalla bottiglia, dall’immaginazione l’attenzione liberal’idea, poi di nuovo raccoglie l’idea dentro l’immagine […]. Essa opera una scomposizione e unaricomposizione del mondo in due momenti diversi e ugualmente reali”(17)Ibidem, p. 65..

Fig. 3. Corteo dei Magi – parete sud– Giovanni VIII Paleologo

Ci arride così, attraverso l’idea, la visione dell’ ”altro aspetto del medesimo”(18)La felice locuzione èdesunta da Murena “L’arte come mediatrice tra questo mondo e l’altro”, in Eternità e storia. I valoripermanenti nel divenire storico (a cura dell’Istituto Accademico di Roma), Firenze, Vallecchi, 1970,pp. 464- 477: 465)., ove ha luogo la comunione di codesti due differenti piani: e se il Corteo dei Magioffre del paesaggio fiorentino una raffigurazione delle più terse e limpide, ciò avviene proprio infunzione del suo essere stato trasposto sub specie aeternitatis(19)“Cognitio metaphysica penetrat in

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interiorem rerum naturam, & ipsum investigat fontem, ex quo omnia, quae de ente afferuntur,tanquam primo suo principio, fluunt: cum reliquiae species cognitionis humanae haud eo usqueprocedant” (J. Weiss, De natura animi et potissimum cordis humani, Stutgardiae, J. B. Mezleri, 1761,p. 1).; se colline, coltivi, manieri, castelli sono stati riprodotti con fedele minuzia, essi si mostranoperò al contempo assai diversi, manifestando nell’aspetto loro un chè di atemporale, arcano efiabesco, vestigio visibile di un’ascendenza sovramondana(20)Ovverosia di un archetipo (universale) acui è intonata una realtà fenomenica (particolare). Solo si rifletta sul seguente brano: “Profondestrade, rapide fra le case senza luce, dei poveri di Io le percorro ogni giorno, sono le strade delquartiere di San Frediano. Ma nell’affresco sono le Strade dei Poveri: Firenze o Gerusalemme, Romao Palmira. E tuttavia non lo sarebbero se non fossero prima di tutto e fino all’ultima crepa le stradedi San Frediano: dove ancora sembra fuggire, certe mattine d’inverno, l’ombra del ragazzo chesaliva a quattro a quattro la gradinata del Carmine. Non conosco poesia universale senza unaprecisa radice: una fedeltà, un ritorno” (C. Campo, “Parco dei cervi”, in Ead., Fiaba e mistero…, cit.,p. 22) e poi sull’aforisma goethiano: “Che cos’è l’universale? E’ un caso particolare”, non sarà chinon veda il senso ultimo del nostro ragionamento, ispirato ad una superiore coincidentiaoppositorum che risolve la fondamentale antinomia di quell’atto conoscitivo in cui si trovanocompresenti due proposizioni tanto logicamente incompatibili, quanto ontologicamente necessarie..Come è stato acutamente osservato circa la profonda «fiorentinità» di una siffatta rappresentazionenaturalistica, il misterioso fascino promanante dalla campagna farebbe a tutta prima pensare cheBenozzo avesse “[…] addirittura immaginato il paesaggio, cedendo magari all’esotismo suggerito dalsoggetto, se frequenti non fossero […] le testimonianze scritte, e la stessa realtà che s’apre ai nostriocchi non ci persuadesse del contrario”(21)Rodolico, Il paesaggio fiorentino, Firenze, Le Monnier,1959, p. 7. Mal si appone perciò Cardini (I re Magi…, cit., p. 37) quando, nel merito dell’affresco,individua nelle asprezze rocciose le peculiarità proprie di un paesaggio fiabesco, chè codestecorrispondono invece a puntino al tipico paesaggio di clivi e calanchi nei pressi delle tante caved’arenaria macigno sparse attorno a Maiano, secondo illustra anche Rodolico alla fotografia n° 17della citata sua opera..

Solo mediante la presa di coscienza di quest’aura(22)“[…] le cose si vedono realmente grazie alla loroqualità meno ottica, l’aura che le circonda, nella quale esistono” (H. von Doderer, cit., p. 13)., diquesta spissitudo spiritualis (23)Tale definizione, propria dei platonici di Cambridge, èconcettualmente assai prossima (e non si tratta di un caso!) a quella di mundus imaginalis, coniatada Henri Corbin per definire, nell’ambito della mistica persiana, quel mondo dell’anima intermediotra l’intelligibile e il sensibile (cfr. Corbin, “Che cosa significa tradizione? Attualità della filosofiatradizionale in Iran”, Conoscenza religiosa, 3, 1969, pp. 225-241: 236-237). che (platonicamenteparlando) rende intelligibile il tutto nell’uno e nell’uno il tutto, sarà possibile una pienaconsapevolezza dell’essenza qualitativa della forma, “[…] analoga, nell’ordine sensibile, a quel che èla verità nell’ordine intellettuale: è quanto esprime la nozione greca di éidos”(24)T. Burckhardt, L’artesacra in Oriente e in Occidente, Milano, Rusconi, 1976, 6 [ed. orig. Paris, 1958]..

Conformemente a tale visione ontologica del concorso all’unità (id est: alla verità(25)“Come nellanatura, che è bella solo per necessità reale, così anche nell’arte la bellezza è un soprammercato: è ilfrutto inevitabile della necessità ideale” (C. Campo, “Parco dei cervi”, , p. 22).), osserveremo ancoracome la decorazione del sacro sacello restituisca a chi la contempli una cognizione percettivaunivoca, in cui un solo carattere uniforme permea tutto ciò che è contenuto nell’opera d’arte: effettoquesto dovuto alla assoluta consonanza delle qualità sensoriali, attinenti al paesaggio naturale, conquelle spirituali, proprie dei moti interiori dei singoli personaggi(26)Affermazione questa del tutto inlinea col significato primo della parola éidos (= forma, genere, idea), tra i cui sinonimi Esichio ( V )cita vocaboli quali “vista”, “volto”, “sguardo” etc. (per l’intera questione del complesso rapporto tramondo fenomenico e noumenico rimandiamo alle luminose intuizioni di P. A. Florenskij, Il significatodell’idealismo (a cura di N. Valentini), Milano, Rusconi, 1999 [ed. orig. Sergiev Posad, 1914])..

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Seguendo Hans Sedlmayr, l’intima unità tra oggetti appartenenti a sfere differenti si riduce allareciproca concordanza di determinati attributi sensibili, detti «caratteri intelligibili», che sonoanalogicamente simili proprio in quanto espressione di un medesimo contenuto intellettuale posto aldi là del processo creativo(27)Tali “caratteri intelligibili” (concordanti in quanto analogicamentesimili), simboleggiano una medesima realtà sovrasensibile e sono individuabili, quando non soloindirettamente, attraverso una serrata elencazione di aggettivi, quale pure noi abbiamo cercato diattuare nella prima parte della stesura di questo saggio (si rimanda in merito a Sedlmayr, “Il legamefra visibile e invisibile nell’opera d’arte”, in Eternità e storia…, cit., pp. 243-248).. Simbologicamenteparlando, allora (ed è questa la nostra tesi), diremo che tali caratteri o forme formate sono rette dauna forma formante archetipica, ovvero dal valore simbolico, qui identificabile con l’idea di serenità,di quiete(28)La quiete, sommo bene fra tutti secondo un sacro retaggio comune alle società arcaiche(cfr. Zolla, “La città perfetta”, L’Approdo letterario, XIII, 37 (N. S.), 1967, pp. 68-98: 69-70), è lostato spirituale che presiede alle opere d’arte serene, che sono poi quelle in cui vi è maggiortrasparenza verso “l’altro aspetto del medesimo”; nelle quali cioè “[…] si ottiene con maggiorperfezione di fissare i residui dell’altro mondo” (H. Murena, op. cit., p. 466, nota 7)..

Ma per apprezzare la simbiosi artistica in cui “[…] è eliminata la differenza esistente fra sensoriale,intellettuale e spirituale”(29)Sedlmayr, op. cit., p. 245., per comprendere l’avvenuta sintesi tra lacomponente naturalistica (lo sfondo) e la componente fisionomica individuale (la «persona»),dovremo di necessità fare riferimento ai due aspetti della questione analizzandoli separatamente,così da riuscire a dare pienamente conto dell’avvenuta loro fusione in una singola voce(30)Andremoperciò a verificare la corrispondenza tra due sfere esteriori nelle quali vige la stessa unità interiore..

Fig. 4. Corteo dei Magi – parete est –Lorenzo de’ Medici (ritrattoidealizzato)

Proseguendo quindi l’indagine conoscitiva nel solco di questa metodologia “intermodale”, e nellaconsapevolezza che “[…] secondo la visione spirituale del mondo la bellezza di una cosa non è altroche la trasparenza dei suoi involucri esistenziali […]”(31)T. Burckhardt, op. cit., p. 6., non desteràveruna meraviglia il ripetere con Florenskij che “Lo sguardo dell’uomo […] rimane sempreimmutabilmente trasparente oltre il suo volto. Nel volto visibile c’è qualcosa che, sebbene non siavisibile, è molto più determinato di tutto quello che è visibile, una specie di invariante del volto”(32)P.A. Florenskij, Il significato…, cit., p. 130. : tale invariante non è che l’idea, e “[…] l’idea è il volto delvolto, ossia lo sguardo”(33)Ibidem, p. 136.. E’ così che sul volto idealizzato del giovane Lorenzo, daitratti marcatamente androgini (Fig. 8), brilla e rifulge la trasparenza del suo contenuto noumenico,del suo genere, ossia della nobiltà della stirpe medicea, da sempre votata ad una sobrietà e ad unequilibrio che ben si specchiano nella tranquilla sicurezza promanante da quel suo sguardotrasognato(34)Per l’ampia gamma di tematiche collegate all’androginia rimandiamo ad Zolla,

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L’androgino. L’umana nostalgia dell’interezza, Como, red edizioni, 1989 [ed. orig. London, 1980].Trattando qui di seguito della fisionomia del giovane Lorenzo prenderemo, a ragion veduta, unaparte per il tutto, dal momento che è proprio a partire dal suo sguardo che si irraggia nelle diversepersonae del pannello quel senso di eloquente sospensione e di sovrana quiete che conferiscono iltono d’insieme all’intera opera. Lo stesso discorso, anche se in misura minore, può essere ripropostoper le pareti sud ed ovest con Giovanni VIII Paleologo e Sigismondo di Lussemburgo qualiepitomatori della totalità dei tratti fisionomici (vedi anche quanto detto sotto alla nota 39).. E sicomprende allora precisamente in qual senso l’androginia possa essere una meta interiore: “Verusnobilis non nascitur, sed nobilis est cunctus quam nobilitat sua virtus”, secondo la bella massima diNiccolò Cusano che così bene illustra le personalità dei tre grandi di casa Medici, maestri di unacondotta di vita capace di “[…] conciliare l’attività empirica della politica con la propria elevazionespirituale, sì da fare di quella uno strumento o una espressione di questa”(35)E. Bizzarri, Il MagnificoLorenzo, Verona, Mondadori, 1950, p. 301. Emilio Cecchi ebbe acutamente ad osservare come tuttala politica di Lorenzo, diretta prosecuzione di quella di Cosimo e Piero, avrebbe avuto “[…] questachiarezza e coerenza di disegno, con questa eroica, quasi sprezzante leggiadria di esecuzione; epotrebbe dirsi che le virtù erano tutte dell’uomo, e la maggior parte dei vizi ed errori dipendevadalle condizioni dei tempi” (E. Cecchi, Lorenzo il Magnifico, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei,1949; ora in Id., Firenze, Verona, Mondadori, 1969, pp. 104-121: 116).. Si veniva ad ottenere in talmodo la congiunzione delle opposte polarità dell’anima, inverando quel reditus ad unum su cuiriposa, nella realtà come nel ritratto, l’archetipo della quiete(36)A proposito di colui che a pieno titolofu definito “l’ago della bilancia intra gli stati italiani” (Filippo Nerli), Marco Lastri annotava che“Nella Guardaroba del fù Alessandro Strozzi, sotto la Maschera Laureata del Magnifico Lorenzo, sileggevano questi versi: Morte crudel, che in questo corpo venne / Che quando venne il mondo andòsossopra, / Mentre ch’e’ visse tutto in pace il tenne” (M. Lastri, L’Osservatore Fiorentino sugli edifizjdella sua patria (a cura di G. del Rosso), Firenze, presso Gaspero Ricci, 1821, t. II, p. 12, nota 1)..“La riproduzione di uno sguardo umano in un ritratto”, puntualizza ulteriormente Florenskij, “èl’idea di questo determinato volto […]”(37)P. A. Florenskij, Il significato…, cit., p. 90., idea nella qualescorre la vita, e che nel suo essere “unità infinita” (Serapion Maskin) di momenti differenti sintetizza“[…] la non coincidenza fisionomica dei diversi fattori dell’espressione del volto”(38)B. Christiansen,La filosofia dell’arte, apud P. A. Florenskij, Il significato…, cit., p. 89., componendoliteleologicamente nella superiore armonia dell’opera d’arte(39)E’ proprio per evitare uno sterile emonocorde concettismo astratto e permettere la risalita nel mondo delle idee (“a realia ad realiora”)“[…] che il pittore differenzia l’espressione dell’anima e dà a un occhio un’espressione un po’ diversarispetto all’altro, ed una ancora diversa espressione della bocca e così via […] Il motivo melodicoprincipale del volto è dato dalla relazione reciproca tra la bocca e l’occhio. […] Nella forma dellabocca si concentrano le emozioni e la tensione della volontà, negli occhi regna la quiete decisivadell’intelletto. […] I ritrattisti disegnano in un occhio un arco meno teso rispetto all’altro. Danno adentrambi gli occhi una diversa espressione emozionale; per questo uno dei due viene ulteriormentesottolineato con un accento e diventa il fine, perchè la relazione teleologica sia definita edirreversibile. […] Allora il nostro sguardo scivola via incessantemente, staccandosi dal suo punto diquiete e trova stimoli sempre nuovi e domande che tornano a risolversi nel tono fondamentaledell’occhio. E nel suo ampio e tranquillo movimento avanti e indietro, esso raccoglie il ritmo dellasuccessione, delle tensioni e delle risoluzioni, delle promesse e del loro mantenimento, tutte coseche noi percepiamo come il quieto respiro di una vita sana” (ibidem, pp. 89-90). Questa lungacitazione risulterà giustificata dalla constatazione che quanto descritto si attaglia perfettamente alvolto androgino di Lorenzo, come ognuno potrà verificare ad un confronto diretto dal vero, oppurecon la riproduzione fotografica a grandezza naturale pubblicata da C. Acidini Luchinat in BenozzoGozzoli…, cit., p. 83.: “[…] così con la grandezza del ritratto cresce non solo la pienezza della suavita, ma anche la fermezza della sua manifestazione e soprattutto la quiete del suoportamento”(40)Christiansen, op. cit.,, apud P. A. Florenskij, Il significato…, cit., p. 88., ottenendo lapienezza di quell’”affetto d’animo” di cui, secondo Cristoforo Landino, i fiorentini conoscevano il

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segreto(41)Cristoforo Landino, volendo indicare la profondità e la ricchezza di espressione “psichica”nella pittura, parla giust’appunto di “affetto d’animo”, di “liniamenti naturali” e di “veraproporzione”, attribuendo a Cimabue il merito della riscoperta di tali fondamentali nozioni dopo unlungo oblio; si veda in merito Landino, “Fiorentini excellenti in pictura e sculpitura” (proemio alCommentario alla Commedia di Dante Alighieri, 1481) apud A. Chastel, Marsilio Ficino e l’arte,Torino, Aragno, 2001, pp. 346-348: 346 [ed. orig. Geneve, 1954]. Ove sorgesse il dubbio cheavessimo così deviato dalla linea teoretica del nostro ragionamento, questo sarà tosto fugato dalleparole che lo stesso Landino dedica a “Donato scultore […] pronto e con grande vivacità onell’ordine o nel situare delle figure le quali tutte appaiono in moto […]” (ibidem, p. 348).. A quantoesposto possiamo aggiungere con André Chastel che l’unione dei “[…] caratteri dei due sessi pertrarne un «androgino», un essere ideale e delicato, più sensuale del putto e più graziosodell’efebo”(42)A. Chastel, Arte e Umanesimo…,cit., p. 300. è stata ottenuta “[…]insistendo su quelcarattere irreale che sembra di un altro mondo […]”(43)Ibidem, p. 301., allo scopo (aggiungiamo noi)di inverare quella metafora dell’arte il cui fine è, come già abbiamo detto, quello di trarre all’altromondo.

Fig. 5. Corteo dei Magi – parete est –Cosimo e Piero de’ Medici

L’archetipo della quiete, di cui il Corteo dei Magi offre un riverbero dei più limpidi e sovrani, fu la“tramontana stella” che orientò ab antiquo le facoltà espressive di un popolo secondo un ritmo, unacadenza già esistente in nuce nella morfologia dell’ambiente naturale. Il paesaggio, infatti, nel suovalore di immagine ideografica, reca necessariamente l’impronta del significato simbolico (come delsuggello la cera)(44)In rispetto al fondamento dell’ideografia ogni segno grafico esprime un suodeterminato concetto in base al sistema delle associazioni psicologiche collegate al concetto stesso(si veda A. Florenskij, “Il simbolario o dizionario dei simboli”, Conoscenza religiosa, 2, 1977, pp.103-111).: la linea orizzontale, denotante equilibrio, riposo, calma è connaturata all’assettoterritoriale, onnipresente sino dall’era quaternaria prima come superficie d’acqua che racchiudeva ilbacino di Firenze e poi, successivamente, nella pianura solcata dall’Arno quale componentesoggiacente il disteso profilo di colli, poggi, crinali, che prima ancora di ospitare le originarie selveerano stati modellati dalla stratigrafia dei sedimenti lacustri(45)Cfr. F. Rodolico, op. cit., passim.. Ilplurimillenario rapporto tra l’Uomo ed una siffatta struttura naturale, “[…] quel genius loci che findai tempi remoti venne considerato come una realtà di altissimo significato”(46)C. Norberg-Schulz, “Ilconcetto del luogo”, in Eternità e storia…, cit., pp. 282-298: 292., è alla base di quel compiuto ordinedel visibile in cui il paesaggio fisico e quello vegetale vennero sublimati nelle forme dell’architettura,che già prosperava ai tempi dell’etrusca Fiesole, quando ancora non biancheggiavano i marmi dellafiorentissima Florentia (47)“Agli inizi tutte le arti e non solo quelle figurative operanocontemporaneamente, sotto la guida dell’architettura. L’architettura diviene per queste una forzaordinatrice che le pervade tutte con il suo spirito tettonico, che è in ogni grande civiltà diverso nelle

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sue fasi” (H. Sedlmayr, Architettura, semantica e simbolo, Roma, Istituto Accademico di Roma, 1967,p. 11). Sulla cultura architettonica etrusca si veda A. Nardini Despotti Mospignotti, Della razionalitàarchitettonica, Firenze, Tipografia Nazionale Italiana, 1853, lib. I, cap. VI, pp. 17-19; sullafondazione di Firenze rimandiamo alle conclusioni di L. A. Milani, Museo topografico dell’Etruria,Firenze-Roma, Bencini, 1898, pp. 113- 124 (con le rispettive note alle pp. 163-167).. A quell’epocaaurorale risale il sacro magistero dell’ars costruendi, tramandato di generazione in generazione nelrispetto di consuetudini edificatorie certe e costanti, rimaste vive ed attuali per decine di secolinell’alveo di una tradizione conservatasi coerente all’autorità dei segni in cui vive(48)Desideriamoporre in evidenza che nel caso dell’architettura l’apporto di quel mosaico di valori detto “tradizione”è ancora più forte in ragione del suo essere non più frutto dell’invenzione legata all’hic et nunc delsingolo autore, bensì la produzione corale di una comunità del cui patrimonio culturale condiviso ilMagister viene ad essere il sapiente trascrittore. I nostri antichi progenitori avvertivano nella parola«autorità» il concetto di certezza: Autoritas, proveniente da Autos, medesimo, implicaeminentemente il senso di medesimezza, costanza, inalterabilità di rapporti, ond’è che tale dovetteessere il criterio primitivo e latente di ogni credenza vera e certa..

Fig. 6. Corteo dei Magi – parete est –Lorenzo de’ Medici (sembianze reali)

Un’immagine di questa campagna armoniosa e serena, imprescindibile trama all’ordito dell’umanoagire, è ritratta al momento della sua massima integrità nella composita tessitura iconografica diBenozzo, che illustra ed è a sua volta illustrata dalle eloquenti parole scritte da Goro Dati agli alboridel XV secolo: “Di fuori presso alle mura della Città sono bellissime abitazioni di cittadini con ornatigiardini di maravigliosa bellezza; e il contado pieno di palazzi, e nobili abitazioni, e spessi dicittadini, che pare una Città; pieno di infinite e spesse castella; tutte le mura di pietra di terrazzanioltre a maraviglia, e non è un palmo di terreno d’attorno che stia ozioso, e per detta cagioneconviene che sia il più fruttifero paese del mondo, e le migliori cose vi nascono che niuna altraparte”(49)G. Dati, Istoria di Firenze, Firenze, Giuseppe Manni, 1735, lib. VIII, p. 111 (è ovviamentesuperfluo ricordare come questa unità paesaggistica di un tempo che fu, sopravvivendo oggi solo alacerti, sia da considerarsi irrimediabilmente compromessa).. Le ville, i palagi, le case coloniche, icastelli, nelle loro architettoniche disposizioni vocate all’equilibrio, all’essenzialità e alla solidità del“buon murare”, col netto stagliarsi dei loro distesi profili su boschi e coltivi, denotano la ricerca diuna espressività visiva di tipo bidimensionale, pittorica piuttosto che plastica; denotano l’esigenza diuna nitida definizione spaziale del manufatto, da conseguirsi attraverso la chiarezza e la razionalità

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grafica delle linee di contorno, che ne precisano tangibilmente le matrici geometriche(50)Nelle suededuzioni contro le pretese origini greche della pittura, il Nardini Despotti Mospignotti (op. cit., lib.I, cap. X, pp. 32-34) individua nella stessa Etruria la patria di elezione di quella “linea espressiva”tipica della cultura figurativa degli antichi Toscani, la cui definizione venne formulata da Plinio (Nat.Hist., lib. XXXV, cap.X) a proposito del pittore greco Parrasio.. Fedeli allo “[…] spirito dellaconsapevolezza etrusca, limite e ritegno al trasmodare di ogni vanità decorativa ed estetica allaesuberanza di tutto ciò che per ricerca di novità è inutile, superfluo o precario”(51)Lensi OrlandiCardini, “La città delle ville”, introduzione a Id., Le ville di Firenze, Firenze, Vallecchi, 1965, t. I (diqua d’Arno), pp. IX-XXIV: IX., queste ataviche dimore, memori di origini che risalgono il tempo perdecine di secoli, ricapitolano e ripetono il ritmo fondante dell’archetipo(52)“Ogni particolare della villae del giardino si immedesima nel paesaggio che costituisce il ritmo, la cadenza fondamentale dellasua armonia […]” (ibidem, X), ed infatti “[…] l’architettura etrusca ebbe […] una specialepredilezione per il tipo di abitazione a «sistema orizzontale»” (A. Gargana, “La casa etrusca”,Historia. Studi storici per l’antichità classica, VIII, 2, 1934, pp. 204-236: 236). Pure degne di nota cisembrano le conclusioni di Romolo A. Staccioli, il quale, constatando che “[…] l’unico tipo di casaetrusca effettivamente documentato è quello estensivo a sviluppo orizzontale” (“A proposito dellacasa etrusca a sviluppo verticale”, in Atti del Convegno di studi sulla Città etrusca e italicapreromana (estratto), Imola, Galeati, 1970, 129-133: 131), osserva come a tale peculiarità “[…] siadegua la stessa organizzazione urbanistica che, proprio a Marzabotto, ci presenta serie dilunghissimi isolati formati di edifici molto bassi che danno luogo […] a interminabili fughe di lineeorizzontali” (ibidem, p. 132)., la cui presenza soggiacente è rivelata dal seguente brano di BernardBerenson, notevole per l’acume delle osservazioni: “A San Martino della Palma, uno dei rari luoghidella terra dove, con un tempo favorevole, si consegue il godimento di una perfetta armonia tra lanatura e l’arte. La chiesa, con il suo portico a colonne, io la chiamo un rustico Partenone. E’costruita con i più comuni materiali: pietra calcarea grigia e legno; ma le colonne si susseguono perspazi di così squisita misura e sono così delicatamente intagliate da produrre l’effetto di cornici per iquadri presentati dal paesaggio visibile tra l’una e l’altra. Anch’esso è un miracolo. Collinepienamente scolpite, di forma piramidale o almeno, in apparenza, triangolare, innalzantisi fin oltre iseicento metri dall’ultimo limite di una pianura perfettamente orizzontale. Il contrasto tra la purageometria della pianura e il movimento delle colline, così come lo disegnano le lunghe linee dei lorodeclivi, procura un meraviglioso senso di riposo”(53)Berenson, Pagine di diario. Pellegrinaggi d’arte,Milano, Electa, 1958, p. 162 e tav. 127. Il citato passo ci offre un caso eclatante di quel processoottico-visivo grazie al quale un fenomeno comune egemone (contesto orizzontale del paesaggio)risulta amplificato dall’antagonismo con un fenomeno particolare (andamento verticale dei clivi e deicolli); nel frangente testè descritto l’amplificazione è doppiamente sentita inquantochè le colonneverticali che “inquadrano” il paesaggio costituiscono un secondo antagonismo i cui effetti si vanno asommare con quelli del primo (l’intera questione teoretica è trattata da P. A. Florenskij, “La leggedell’illusione”, Conoscenza religiosa, 2, 1977, pp. 118-129). (Fig. 9).

In questo complesso e serrato gioco di specchi tra realtà e realtà in figura (meglio: in pictura)abbiamo così verificato non solo l’identità delle sfere esteriori nelle quali si concreta l’affresco (quoderat demonstrandum)(54)La nostra dimostrazione si trova perfettamente in linea con la concezioneneo-platonica dell’analogia tra macrocosmo e microcosmo (tema che già negli anni ’50 di quell’aureoQuattrocento rappresentava una dominante del pensiero di un giovane Marsilio Ficino): il corpoumano e l’ordine universale si corrispondono, sicchè il miracolo della bellezza che ci rapisce èl’Anima del mondo che affiora nel vultus umano così come nel volto della compagine naturale (cfr.Chastel, Marsilio Ficino…, cit., pp. 177-184)., ma abbiamo altresì constatato la sua intimaconcordanza simbolica con quell’insieme di invarianti che caratterizzano la tradizione architettonicafiorentina, in merito alla quale non sarà fuor di luogo il trattenerci brevemente in una necessariadigressione.

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Fig. 7. Corteo dei Magi – scansioneproporzionale della parete est (vediAPPENDICE B)

Da quanto esposto sinora si può ben comprendere come il contado con il suo retaggio tradizionale,inteso nel suo profondo legame con la città, avesse dovuto svolgere nei confronti dell’identità dellascuola fiorentina una funzione formativa e regolativa nel corso delle mutevoli vicende dei ciclistorici(55)Intendiamo dire, in altre parole, che in mancanza di un siffatto rapporto di osmosi sarebbeassai arduo dare conto della genesi e della sopravvivenza di un complesso di costanti chiaramenteindividuabili e ricorrenti per un lasso temporale tanto lungo quanto ristretto è, di converso, l’ambitogeografico ove esse si esplicano. L’evidenza di una tradizione di pertinenza strettamente locale èleggibile a chiare lettere nelle pietre del Battistero di San Giovanni, realizzato nella principale suastruttura e decorazione in epoca paleocristiana, fra il IV e il V secolo della nostra era(56)Per l’esattacronologia, così come per ogni altra questione inerente il Battistero faremo riferimento a: A. NardiniDespotti Mospignotti, Il Duomo di San Giovanni oggi Battistero di Firenze, Firenze, F.lli Alinari,1902, trattazione tutt’oggi insuperata per acume intuitivo e rigore interpretativo. (Fig. 10). Un primosguardo d’insieme rivela, nell’ambito di uno spirito prettamente classico, una costruzione ottagonalecaratterizzata da un policromismo tutto sui generis, detto «decorativo» per via dell’alternarsi dimarmi bianchi e verdi, in virtù dei quali i principali elementi decorativi vengono espressi, inquadratie messi in risalto, mentre le pareti ricevono, appunto, in ogni loro parte decorazione e ricchezza(57)Ilpolicromismo comune a tutte le altre scuole toscane (eccetto, si capisce, la fiorentina), italiane edorientali, è invece costituito da liste marmoree bianche e nere che secondano l’andamento dei filonidelle pietre e delle strutture murarie, ed è stato perciò detto “«litotomico»; le due locuzioni sonostate coniate dal Nardini Despotti Mospignotti (ibidem, 32 e passim).. Fondate argomentazioniinducono infatti ad individuare nel dicromismo decorativo della serpentina e del candido marmo“[…] una trasformazione indigena del vecchio policromismo romano, dovuta in parte ai costumi delCristianesimo, ed in parte alle condizioni particolari dei mezzi edificatori locali”(58)Ibidem, 135.Sull’impiego dei marmi colorati a Firenze si veda anche F. Rodolico, Le pietre delle città d’Italia,Firenze, Le Monnier, 1953, pp. 241-242.. Quest’affermazione, in sé ineccepibile, se da un lato lasciain sospeso la ragion d’essere di una originalità cromatica limitata esclusivamente a Firenze,dall’altro non offre indizi di sorta che possano motivare il completo predominio, interno ed esterno,degli intercolunni architravati (“[…] come nei periodi più castigati dell’arte romana […]”(59)NardiniDespotti Mospignotti, Il Duomo…, cit., p. 41; ed ancora “I profili del San Giovanni hanno,relativamente ai tempi, tale castigatezza di linee che qualche volta vincono al paragone quellidell’ultima età imperiale ” (ibidem,p. 52, nota 1).) rispetto agli archi voltati sulle colonne,maggiormente consoni all’età primitiva dell’arte cristiana. A tale riguardo riteniamo che lasignificantissima presenza di entrambi i fattori debba essere ascritta, per manifesta evidenza, alconcorso di quelle preesistenti circostanze ambientali autoctone di matrice etrusca, vocate, loripetiamo ancora una volta, alla parsimonia dei modi, ed unite ad uno spiccato senso della

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delimitazione e della linea orizzontale: il sottile equilibrio stereometrico del manufatto si reggedifatti nel sistema delle architravature che lo avvolgono e lo conchiudono, assicurando al contempocontinuità visuale tra le facce contigue animate dagli intarsi bicolore. Nella sua nitida e regolatacorrispondenza di parti il San Giovanni rappresenta la formalizzazione monumentale più anticadell’originario ritmo archetipale, vera e propria tabula lapidea dalla quale l’architettura medioevale,sempre memore della sua filiazione, avrebbe tratto le sue ragioni ed i germi delle sue successiveevoluzioni(60)“Una conferma dell’esistenza di quest’archetipo del tutto locale [il San Giovanni]l’abbiamo anche se si considera il cerchio ristrettissimo entro il quale cotesta scuola ha limitato lasua sfera d’azione; inquantochè dalla sua poca forza d’espansione e dai confini angusti che lacircoscrivono vuole argomentarsi con molta verosimiglianza, ch’essa trovi il suo alimento soltanto incerte condizioni locali che non hanno altrove la loro Cotesta scuola infatti può dirsi che nasca emuoia in Firenze; e se non fosse l’antica Pieve d’Empoli, ultimo e più lontano lembo in cui essa abbialasciato traccia di sé, non si potrebbe giurare ch’essa avesse oltrepassato le radici del monte diFiesole e le vette del colle di San Miniato” (ibidem, p. 139)..

Analogamente a quanto verificatosi per il Battistero nell’ambito dell’ars costruendi, così per lapittura il Corteo dei Magi rappresenta la forse più nitida formalizzazione figurativa dell’archetipodella quiete. Ma come ha avuto luogo tutto ciò? (come ha “agito” l’archetipo?)

“Normalmente”, spiega Sedlmayr, “nella storia tutto questo processo si sviluppa seguendo unincarico concreto, assegnato all’artista dall’esterno, che gli propone certi caratteri intelligibili che inquella data epoca sono conformi a questo incarico, pur lasciando un vasto margine alla liberaindividualizzazione artistica”(61)Sedlmayr, “Il legame…”, cit., p. 246..

Fig. 8. Corteo dei Magi – parete est –Volto androgino di Lorenzo de’ Medici(ritratto idealizzato)

Cosimo de’ Medici, committente e fruitore primo della cappella(62)C R. Hatfield, “Cosimo de’ Mediciand his Chapel”, in F. Ames-Lewis (ed.), Cosimo “il Vecchio” de’ Medici 1389-1464, Oxford,Clarendon Press, 1992, pp. 221-244: 242-244., era certo ben consapevole che l’opera d’arte, lungidall’essere un prodotto meccanico, coinvolge tutta una disposizione dell’animo che si solleva al disopra delle contingenze: “Ogni dipintore dipigne sé” soleva dire, riconoscendo con questo aforisma ilprimato della forma intelligibile, dell’archetipo che deve essere concepito dallo spirito prima diessere realizzato nella materia(63)La frase, attribuita a Cosimo dal Poliziano (C. Gutkind, cit., p. 311),si rifà ad un’altra formula, familiare agli umanisti, che si legge nella III canzone del Convivio diDante: “Poi chi pinge figura, Se non può esser lei, non la può porre”. Secondo il Vasari lo stessoCosimo ebbe a difendere le stravaganze di Filippo Lippi dicendo: “Gli ingegni rari sono forme celestie non asini vetturini”.. Dalle poche sopravvissute lettere di Benozzo appartenenti alla

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corrispondenza con Piero di Cosimo de’ Medici, relative ai lavori di decorazione della cappella,emerge il ritratto a tutto tondo di una personalità dall’animo mite e delicato, dal carattere umile edolce(64)Le tutt’ora esistenti lettere di Benozzo (ripubblicate in Acidini Luchinat, Benozzo Gozzoli…,cit., pp. 361-362) sovrabbondano di espressioni che testimoniano della sua mitezza d’animo, come adesempio: “[…] quelch’io non farò rimarrà per non sapere. Idio sa chio nonò altro pensiero chemmigravi più che questo […]” ecc. Per la minuta discussione del carattere di Benozzo si rimandacomunque a G. B. Benvenuti, op. cit., pp.12-18., il cui contegno ben si addice a quella sentenza diGiorgio Gemisto Pletone secondo la quale “[…] per la nostra essenza connaturata agli Dei, il bello eil bene è il fine della vita”(65)G. Pletone, Le leggi, XI, apud E. Garin, Filosofi italiani del Quattrocento.Pagine scelte, tradotte e illustrate, Firenze, Le Monnier, 1942, pp. 513-515: 515.. Ora rimembrandocome neoplatonicamente il contatto tra l’universale delle “idee” ed il particolare avvenganell’immaginazione, si capirà come la visione pura, disinteressata, archetipale sia privilegiodell’anima che si trovi in una condizione distesa e ricettiva, una condizione di vacatio speculativa chela pone in risonanza con l’anima mundi(66)Cfr. A. Chastel, Marsilio Ficino…, cit., p. 137; Id., Arte eUmanesimo…, cit., pp. 109-110. . In altre parole, seguendo Sedlmayr: “Il primo elemento ancora nonseparato, informe, che deve esistere perchè scaturisca un’opera d’arte, non è qualcosa che l’artistatrovi in sé come i suoi sentimenti, ma qualcosa che, al di fuori di lui, viene da lui stesso scoperto,aleggiandogli dinanzi e spingendolo alla sua raffigurazione oggettiva”(67)H. Sedlmayr, “Il legame…”,cit., p. 246.. E’ così che attraverso un movimento ascensionale l’artista passa dall’inferiore gradodella Ratio, inerente alla bellezza dell’anima, a quello superiore della Mens, dello spirito angelico, dacui discende la luce intellettuale della vera Bellezza(68)C A. Chastel, Arte e Umanesimo…, cit., p. 289..Ed abbiamo motivo di credere che fosse proprio questo il processo descritto da Marsilio Ficinoquando nella sua Theologia Platonica (1469- 1474) ebbe a scrivere: “L’anima dell’uomo […] assume[…] attraverso il senso queste immagini delle idee contaminate dalla materia, le unisce […] mediantela fantasia, le purga e raffina mediante la ragione, poi le collega alle idee universali dellaMente”(69)Theologia Platonica, XVI, 3: “Hominis anima […] assumit […] per sensum has a materiamundi infectos similitudines idearum, colligit […] eos per phantasiam, purgat excolitque perrationem, ligat deinde cum universalibus mentis ideis”..

Fig. 9. Scandicci – San Martino allaPalma – loggiato

Si comprenderà allora, riprendendo la teoresi di Sedlmayr, che “Ciò che nella creazione artisticaaleggia dinanzi all’artista e lo guida, è costituito da certi caratteri intelligibili individuali, che trovanoil loro compimento e la loro concretizzazione in certi motivi di raffigurazioni o significati. L’arte nonè espressione di sentimento, ma configurazione di qualcosa di non configurato, cioè di un elementoqualitativo. Questo elemento qualitativo è allo stesso tempo la prima creazione, la creazione diquella prima materia, nella quale agisce il processo figurante e allo stesso tempo il primum movense la forma formans che spinge verso la configurazione e non dà pace all’artista finchè la figurazionenon giunga a compimento e i caratteri intelligibili aleggianti dinanzi non siano raffigurati ed espressi

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fino in fondo”(70)Sedlmayr, “Il legame…”, cit., pp. 246-247. In altre parole si può affermare che in unprimo momento il creatore- artista intuisce e vede (platonicamente) trovandosi in uno stato diparticolare veggenza ed esaltazione, in una specie di combustione che lo dilata al di fuori di sé,mentre in un secondo tempo elabora tali suoi fantasmi con più sorvegliata consapevolezza razionale(aristotelicamente) e con lo scopo giammai di alterare o sostituire, bensì di manifestare piùcompiutamente e fedelmente la prima, inconsapevole intuizione (cfr. D. Fabbri, “Spirito creativo esimboli”, in Eternità e storia…, cit., pp. 259-263)..

In codesta maniera Benozzo, assurto al rango di sacerdos musarum, invera il processo diconcordanza delle diverse componenti dell’affresco, ottenendo l’annullamento di ogni possibile statod’animo salvo quello da lui prodotto: è così raggiunto, mercè la quiete, quell’accordo perfetto chelega indissolubilmente in un tutto armonico il committente, l’artista e l’essenza dell’opera conil genius loci della tradizione fiorentina(71)Così, come all’Epifania la Chiesa è maritata al Cristo, cosìnell’affresco gli esponenti di casa Medici sono «maritati» al genius loci.

Fig. 10. Firenze – Battistero di SanGiovanni

Ma si potrebbe anche andare oltre ed osservare, ad esempio, come in virtù di questo canto ad unavoce l’influsso trascendente dell’archetipo irrompa nel nostro mondo immanente ed informi di sél’anima di colui che sia qualificato a riceverlo. E se rammentiamo ancora di come Pavel Florenskijavesse dimostrato che le immagini divine legate ai misteri antichi fossero chiamate «idee»nell’accezione di una perfezione concreta, visibile, intesa nel senso di manifestazione delladivinità(72)A. Florenskij, Il significato…, cit., pp. 143-145., risulterà vieppiù comprensibile l’esigenzadi assegnare al Corteo dei Magi il valore di talismano, o sia di potente supporto di contemplazionedelle realtà celesti(73)“I talismani sono le idee delle cose” (H. von Hofmannsthal, Il libro degli Appuntie diari-Ad me ipsum, Firenze, Vallecchi, 1963, p. 124).. Secondo la teoresi ficiniana Dio ci sovrasta inmodo ineluttabile nella potenza intellettiva, ma lo si può attrarre ed esserne impregnati grazie aquell’amore fervente indirizzato alla Bellezza, rivelatrice del «volto» del divino. Di fronte allospettacolo offerto dal capolavoro di Benozzo, divino “[…] splendor […] nell’universale machina delmondo riverberante […]”(74)La citazione è tratta dall’orazione De Charitate di Giovanni Nesi,allocuzione letta per la Compagnia dei Magi il 23 marzo 1486; citiamo dalla trascrizione parziale inHatfield, “The Compagnia de’ Magi”, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, vol. XXXIII,1970, pp. 107-161: 160., l’anima è rapita dalla concordia discors vigente tra l’elemento visibile e

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l’elemento superiore (tra «l’uno e i molti»), incontro in cui si oltrepassano di colpo tutti i gradidell’essere per attingere alla “[…] seraphica transmutatione in Dio […]”(75)Ibidem.. Essendo infattientrato in risonanza con l’archetipo della quiete l’animo del contemplante risuona come una lira ediviene, nelle parole di Ficino, “Grazie a questo nutrimento invincibile, in equilibrio, giusto, signoree governatore degli uomini, al di sopra del cielo, uguale agli angeli, simile a Dio”(76)TheologiaPlatonica, VIII, 2: “Hac etiam alimonia sit invictus, temperans, iustus, hominum gubernator etdominus, excelsior coelo, par angelis, Deo similis”..

Hugo von Hofmannsthal saggiamente annotava che “Una buona opera d’arte deve avere nell’internoil profondo silenzio nel quale si rivelano i misteri della vita; ma dalle sue cento porte di bronzo devericondurre il lettore direttamente nella vita”(77)H. von Hofmannsthal, op. cit., p. 126., ragion per cuicrediamo di non dilungarci troppo dal vero se immaginiamo l’anziano Cosimo inginocchiato nellapenombra della cappella “col corpo immobile, collo sguardo fisso, collo spirito unito a Dio” (S.Gregorio Nazianzieno), contemplare la figura androgina di Lorenzo quale novello Orfeo, dal cui visosorridente e calmo, estrema soglia terrena alla celeste Hyerusalem, si attua la vittoriosa coniunctiocol proprio «angelo» o «gemello celeste», ossia quel riflettersi dell’ Io nello specchio del vero Sé cheprocede dal divino e in esso si fonda, alla luce di una cognizione della divinità basata sul dialogo disé con sé, col nous, con l’Angelo, con la propria Natura perfetta(78)In Picatrix (III, vi, Corbin) si legge:“[…] la prima cosa che tu devi fare nei confronti di te stesso è di meditare attentamente la tua entitàspirituale [il tuo angelo] che ti governa, che è associata al tuo astro, e cioè la tua Natura perfetta,quella che il saggio Ermete menziona nel suo libro dicendo: quando quel microcosmo che è l’uomodiviene perfetto di natura, la sua anima è allora l’omologo del Sole fisso nel cielo, che con i suoiraggi illumina tutti gli orizzonti. Così la natura perfetta sorge nell’anima; i suoi raggi colpiscono epenetrano le facoltà degli organi sottili della saggezza; le attirano, le fanno sviluppare nell’anima,come i raggi del sole attirano le energie del mondo terrestre e le fanno crescere nell’atmosfera”; siveda in merito E. Garin, Ermetismo del Rinascimento, Roma, Editori Riuniti, 1988..

Egli, l’amatore della suprema bellezza, ritenendociò che aveva già visto quasi l’immagine

di ciò che non aveva visto ancora,aspirava goderne l’immagine

originaria

GREGORIO DI NISSA, Vita di Mosè

APPENDICE A

Lo stretto rapporto intercorrente tra gli esponenti di casa Medici ed i magi stellarum observatoresera mediato dal culto loro prestato nell’ambito di una confraternita devozionale laica “di grandissimanobiltà fiorita”, detta Compagnia dei Magi, della quale Cosimo assunse pieno controllo al suo rientrodall’esilio, divenendone patrono e mecenate, sicchè da allora in poi “Tota domus medicea adscriptaerat huic Societati” (F. Fossi, Monumenta ad Alamanni Rinuccini vitam contexendam exmanuscriptis codicibus plerumque eruta, Florentiae, Francesco Moucke, 1791, p. 26). Nel seno diquesto sodalizio (in merito al quale rimandiamo alle dense pagine di R. Hatfield, “The CompagniaDe’ Magi”, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, vol. XXXIII, 1970, pp. 107-161), allemanifestazioni ed alle parate pubbliche del giorno dell’Epifania, di carattere squisitamenteexoterico, si affiancavano altre pratiche, eminentemente esoteriche, riservate ai soli membri, edinerenti alla cognizione dell’unica, antichissima tradizione sapienziale e religiosa, convergente con il

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cristianesimo, posseduta dai dotti sacerdoti orientali, visti come detentori di quel retaggio spiritualezoroastriano nella cui teologia, sia detto per inciso, Giorgio Gemisto Pletone aveva riconosciuto gliarchetipi di fondo delle religioni rivelate (cfr. S. Gentile, “Giorgio Gemisto Pletone e la sua influenzasull’umanesimo fiorentino”, in Firenze e il Concilio del 1439. Convegno di studi, Firenze, 29novembre-2 dicembre 1989 (a cura di P. Viti), Firenze, Olschki, 1994, t. II, pp. 813-832). Talisacerdoti impersonavano, non lo si dimentichi, le Primitiae Gentium, il primo popolo a cui Cristo furivelato: i «re» Magi venivano così a rappresentare i vassalli dell’Imperatore Celeste e l’identificarsicon essi significava ricevere l’investitura direttamente da Dio, essere gli «unti del Signore» sul pianoumano e politico. Nell’Epifania di quel 1459 la parte di Gaspare, il più giovane dei Magi, fu sostenutaproprio da Lorenzo di Piero, quello stesso rampollo che, nella penombra della cappella di palazzo,era stato effigiato come princeps inter pares nella cavalcata di tre signori temporali di cui egli era ilsolo vivente: esplicita quanto ardita aspirazione dinastica di casa Medici al principato universale esulla pars Occidentis, e sulla pars Orientis, da poco caduta in mano ai Turchi. E’ perciò in virtù ditale impianto polisemico, cui abbiamo gettato appena uno sguardo cursorio, che i molteplici piani dilettura del corteggio si sovrappongono e si solidarizzano tra loro, sortendo il non trascurabile effettodi avere reso assai plausibile e veridica l’identità del giovane cavaliere con l’adolescente Lorenzoanteriormente alla presa in esame di quella congèrie di dettagli e rimandi eruditi che legittimaulteriormente e definitivamente, da un punto di vista strettamente iconologico, la suddettaidentificazione.

Tenendo ben presenti le premesse di cui sopra, osserveremo che il giovane Lorenzo di Piero de’Medici viene rappresentato per ben due volte sotto il segno di Gaspare: la prima di persona, con lesembianze sue proprie (al 1459), al seguito del detto Mago (C. Acidini Luchinat, Benozzo Gozzoli. LaCappella dei Magi, Milano, Electa, 1993, pp. 43, 50) (Fig. 6), e la seconda allegoricamente come lostesso Gaspare, attraverso un ritratto idealizzato (Fig. 4) (su questo genere «tipizzato» diritrattistica si veda R. Hatfield, Botticelli’s Uffizi Adoration. A Study in Pictorial Content, Princeton,Princeton University Press, 1976, pp. 83, 96), la cui identità con Lorenzo è additata da almenoquattro elementi: (1) i colori ed i motivi araldici dell’abbigliamento del cavaliere e dei finimenti deldestriero, riconducibili a casa Medici (F. Cardini, La cavalcata d’Oriente. Imagi di Benozzo a palazzoMedici, Roma, Tomo, 1991, pp. 140-144); (2) un cespuglio di lauro (Laurentius a lauro) che necirconfonde il capo (ibidem); (3) un albero di arance, simboleggianti le “palle”, ossia le insegnemedicee (S. Tolkowski, “Le palle medicee. Un indovinello fiorentino”, Il Marzocco, 8, 1931, p. 4),posizionato all’interno della scansione armonica di pertinenza del cavaliere Lorenzo (vedi rettangoloGF in APPENDICE B); (4) la «coincidenza» della data di nascita dello stesso Lorenzo al 1° di gennaio(1449), giorno consacrato anche a Gaspare e Melchiorre (R. Hatfield, “The Compagnia…”, cit., p.137).

Le obiezioni che più di sovente vengono mosse a tale corpus di evidenza fanno capo per lo più a dueargomentazioni piuttosto superficiali: quella della non ben precisata «troppo giovane età» di Lorenzoper il ruolo assegnatogli, e l’altra della sua cosiddetta «ubiquità» nel campo dell’affresco. Nel primocaso una benchè minima ed onesta conoscenza delle biografie di casa Medici è sufficiente acomprovare come sin dalla sua più tenera età (vorremmo dire: dalla culla) si guardasse a Lorenzo diPiero come il rampollo che di lì a pochi anni avrebbe retto le sorti del casato, e questo sia per viadell’intrinseca brillantezza del pargolo (E. Bizzarri, Il Magnifico Lorenzo, Verona, Mondadori, 1950,p. 10; G. B. Benvenuti, Gli affreschi di Benozzo Gozzoli nella Cappella del palazzo Riccardi, Firenze,Galletti & Cocci, 1901, p. 31), sia per la salute malferma del di lui padre Piero di Cosimo (E. Bizzarri,op. cit., pp. 27, 41). Per quanto attiene poi la seconda obiezione, bisogna rendersi conto che perBenozzo e per la società dell’epoca i campi dell’affresco non rappresentavano affatto una cameraoscura, bensì un theatrum mundi, dove la molteplicità delle azioni temporali tiene il posto delrealismo fotografico attraverso l’iterazione didascalica delle immagini (G. Dorfles, “BenozzoGozzoli”, in Studi Fiorentini, Firenze, Sansoni, 1963, pp. 173-186: 180; C. Acidini Luchinat, “La

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Cappella medicea attraverso cinque secoli”, in G. Cherubini / G. Fanelli (a cura di) Il palazzo MediciRiccardi di Firenze, Firenze, Giunti, 1990, p. 88): volendo limitarci al solo nostro affresco, sonoindividuabili ben tre ritratti dello stesso Benozzo (C. Acidini Luchinat, Benozzo Gozzoli…, cit., pp.367-368).

Recentemente, nell’ambito del citato saggio de L’enigma di Piero, Silvia Ronchey espone l’esistenzadi un «piano di salvataggio occidentale» di Bisanzio (pp. 190-191 e passim) sostenuto da papa Pio IIPiccolomini e dal cardinale Bessarione, progetto che sarebbe con tutta probabilità adombratoappunto nella tavola della Flagellazione di Piero della Francesca. Ma nonostante la competenza conla quale l’Autrice supporta la tesi principale del suo libro, non è però logicamente possibileaccettarne tutti i corollari: in particolar modo quello che vorrebbe individuare nel Mago Gaspare lafigura del despota Demetrio Paleologo, fratello di Giovanni VIII e penultimogenito dell’imperatorebizantino Manuele II (pp. 170-172). Le pur labili possibilità di una tale identificazione, avanzatadall’Autrice, si badi bene, sull’unico argomento ex-silentio della sua presenza a Firenze durante igiorni del Concilio (pp. 103, 170, 344-347, 501), decadono definitivamente da un lato per via delleconsiderazioni sviluppate alle nostre note 4 e 6 e qui sopra, dall’altro per via del completo non sensoche sarebbe stato il rappresentare nella cappella di famiglia (ed a vent’anni di distanza) un equivocopersonaggio distintosi esclusivamente per le sue scandalose e frivole intemperanze (p. 345), per lesue idee turcofile ed il suo atteggiamento apertamente antiunionista ed antioccidentale (p. 248). Sesolo poi si presti attenzione al fatto che nel 1439 Demetrio aveva una trentina d’anni (p. 500), sicapirà come l’autrice sia forzata, per motivi anagrafici, non solo a dover ritrovarne idealizzate lesembianze nel giovanissimo Gaspare, ma sia costretta per continuità logica a vedere un ritrattotrasfigurato anche in Melchiorre/Giovanni VIII Paleologo (p. 346), cosa assolutamente contraria alvero (vedi nostra nota 5). Un successivo contributo della detta Autrice, dal titolo “TommasoPaleologo al Concilio di Firenze” (apparso ne La stella e la porpora. Il corteo di Benozzo e l’enigmadel Virgilio Riccardiano (a cura di G. Lazzi e G. Wolf), Firenze, Polistampa, 2009, pp. 135-152), lasciala situazione sostanzialmente immutata per quanto attiene l’aporia Gaspare/Demetrio, mentre invecedeve il suo interesse, a nostro avviso, al richiamo dell’attenzione sulla presenza dell’aquila imperialebizantina nelle miniature del manoscritto riccardiano di Apollonio di Giovanni (p. 136): aquila cheappare proprio sul cantone della dimora di Priamo, ovvero, fuor di metafora, di un idealizzatopalazzo Medici (p. 229, tav. 52: ms. ricc. 492, c. 85 r.), quasi a voler ratificare la tesi dell’aspirazionedi casa Medici al principato universale attraverso il giovane virgulto Lorenzo.

APPENDICE B

Lo scomparto pittorico della parete est, che a nostro modo di vedere riveste un ruolo egemonico neiconfronti dell’intero ciclo affrescato (Fig.7), è delimitato dal rettangolo AC, la cui modulazioneproporzionale (= rapporto tra lato maggiore e minore) è uguale alla radice quadrata della sezioneaurea (1,618), ovvero a 1,272. Le scompartizioni armoniche notevoli derivano in primo luogodall’individuazione del quadrato generatore AF, che viene ulteriormente suddiviso secondo lasezione aurea nei due rettangoli AH (modulo = 0,618) e GF (modulo = 0,382), che risultano cosìstrettamente imparentati tra loro come lo sono Cosimo e Piero (rettangolo AH) nei confronti diLorenzo (rettangolo GF). Immediatamente si nota che il detto rettangolo GF non solo contiene, bensìinquadra perfettamente il bianco destriero montato da Lorenzo, essendo il lato EF tangente al musodel cavallo, ed il lato GH assai prossimo alla sua coda (nonché, altra partizione notevole, al troncodell’alto cipresso che si estolle in primo piano). Ma v’è di più: la diagonale EH del rettangolo GFincrocia la linea AI (di costruzione della predetta suddivisione aurea) nel punto L, coincidente conl’efebico volto di Lorenzo, fulcro assoluto, a nostro giudizio, non solo della parete est ma, come

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abbiamo già accennato, dell’intero affresco (vedi anche la nota 39).

(*)(versione riveduta e corretta dall’Autore dell’articolo uscito con il titolo “Osservazioni sugliaffreschi della Cappella di Palazzo Medici Riccardi in Firenze” su Critica d’arte n° 45-46, 2011, pp.99-116)

Note

1. ↑

Per una introduzione allo spartito architettonico e decorativo della cappella si veda AcidiniLuchinat, “La Cappella medicea attraverso cinque secoli”, in G. Cherubini / G. Fanelli (a curadi), Il palazzo Medici Riccardi di Firenze, Firenze, Giunti, 1990, pp. 82-97; a seguito degliarticolati e complessi restauri del 1988-1992, diretti dalla medesima Autrice, è oramai difondamentale importanza il volume a cura di Ead., Benozzo Gozzoli. La Cappella dei Magi,Milano, Electa, 1993 [con bibliografia]; per un’approfondita indagine storico-iconografica deitemi simbolici in essa impliciti si vedano anche: F. Cardini, La cavalcata d’Oriente. I magi diBenozzo a palazzo Medici, Roma, Tomo, 1991; Id., I re Magi di Benozzo a Palazzo Medici,Firenze, Mandragora, 2001.

2. ↑

Il Concilio fu inaugurato nel 1438 a Ferrara dal pontefice Eugenio IV, con lo scopo diricostituire l’unione della Chiesa d’Occidente con quella d’Oriente, a quell’epoca sotto lacostante e grave minaccia turca. In seguito al subitaneo scoppio di una pestilenza, “[…]Cosimo [di Giovanni de’ Medici] riuscì a convincere Eugenio IV (per riguardo soprattutto allevuote casse della Curia) a trasferire la sede del concilio […] a Firenze, con notevolissimovantaggio economico, spirituale e morale per la sua città” (C. Gutkind, Cosimo de’ Medici ilVecchio, Firenze, Marzocco, 1940, p. 199 [ed. orig. Oxford, 1938]). Ed invero si trattò di unevento di cardinale importanza per le future sorti d’Europa, i cui effetti a lungo termine sispinsero ben oltre i crismi ufficiali della solenne quanto effimera riunione delle chiese Grecae Latina: esso difatti sancì (solo pochi anni avanti la presa di Costantinopoli) l’esponenzialeincremento di quella capillare migrazione culturale da Bisanzio a Firenze già da lungipromossa e perseguita in primis dallo stesso Cosimo, che rientrato nel 1434 dal suo esilioveneziano aveva con discrezione preso nelle sue mani le redini del governo cittadino (cfr.ibidem, cap. VII). Per riferimenti generali e particolari (anche bibliografici) ci limitiamo asegnalare rispettivamente E. Garin, Il ritorno dei filosofi antichi, Napoli, Bibliopolis, 1994; J.Gill, Il Concilio di Firenze, Firenze, Sansoni, 1967 [ed. orig. Cambridge, 1959].

3. ↑

Talune tra le più felici e minuziose descrizioni del paesaggio naturale e dei singoli personaggiche lo animano sono fornite da G. B. Benvenuti, Gli affreschi di Benozzo Gozzoli nellaCappella del palazzo Riccardi, Firenze, Galletti & Cocci, 1901. A proposito di giudizidescrittivi ci limitiamo a segnalare qui che non possiamo affatto seguire l’egregio AndréChastel quando, in riferimento alla cappella affrescata, accenna ad una non ben precisata“[…] dispersione narrativa del Gozzoli” (Arte e Umanesimo a Firenze al tempo di Lorenzo ilMagnifico. Studi sul Rinascimento e sull’umanesimo platonico, Torino, Einaudi, 1964, p. 246[ed. orig. Paris, 1959]).

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4. ↑

Rispetto alla consueta identificazione del Mago anziano con il patriarca di CostantinopoliGiuseppe II, ricalcata pure da Chastel (ibidem, pp. 245-246) e, più recentemente, da SilviaRonchey (L’enigma di Piero, Milano, Rizzoli, 2006, pp. 104-106), è oramai senza dubbio daprediligersi la veridica ipotesi interpretativa di M. Bussagli a favore di Sigismondo diLussemburgo (“Il Corteo dei Magi di Benozzo Gozzoli in palazzo Medici Riccardi a Firenze:identificazione di un imperatore”, Art e Dossier, VII, 67, 1992, pp. 6-15), formulata sulla basedi notevoli corrispondenze fisionomico-iconografiche provenienti da Pisanello e da Piero dellaFrancesca. Giova inoltre segnalare che un ulteriore apporto iconografico fornito dalla citataRonchey (op. cit., tavv. 62, 64, 67, 69) per suffragare l’identità del Mago col patriarca, vainvece proprio ad adiuvandum della tesi di Bussagli, sulla cui fondatezza hanno dovutoconvenire Cardini (I re Magi…, cit., pp. 30-32) e, seppur indirettamente, C. Acidini Luchinat(Benozzo Gozzoli…, cit., p. 43). Volendo brevemente far cenno della figura dell’imperatoreSigismondo di Lussemburgo (deceduto nel 1437), rammentiamo che, dopo aver promosso ilConcilio di Costanza (1414-’17: fine dello Scisma d’Occidente), venne incoronato re d’Italiada Eugenio IV (1432), per avere poi negli ultimi anni parte attiva nelle premesse politichedell’imminente concilio della riunificazione. Segnaliamo poi, last but not least, cheSigismondo appare nell’unico documento figurativo, a tutt’oggi noto, che narri i fatticonciliari, ovvero la bronzea “Ianua Coeli” commissionata da Eugenio IV a Filarete per laBasilica di S. Pietro (cfr. P. Castelli, “Veni Creator Spiritus. Da San Giorgio a Santa MariaNovella: immagini conciliari”, in Firenze e il Concilio del 1439. Convegno di studi, Firenze, 29novembre-2 dicembre 1989 (a cura di P. Viti), Firenze, Olschki, 1994, t. I, pp. 289-316: 293-295).

5. ↑In questo caso la consueta identificazione del Mago in età virile col Basileus (deceduto nel1448) è suffragata da un’ampia testimonianza iconografica, nella quale spiccano i disegni e lemedaglie di Pisanello (per lo status quaestionis in merito rinviamo a Ronchey, op. cit., tavv.87-105 e passim).

6. ↑

La figura del giovane Mago, ritratto allegorico dell’allora dieci-undicenne Lorenzo,rappresenta (come si vedrà meglio innanzi) il punto di massima polarizzazione simbolicadell’intero spartito decorativo, venendosi concettualmente a trovare al centro di un ipoteticoquinconce ai cui opposti estremi si collocano e si corrispondono vicendevolmente da unaparte Melchiorre e Baldassarre, e dall’altra i committenti e fruitori primi dell’opera stessa:Cosimo e Piero de’ Medici, nitidamente effigiati al seguito di Lorenzo (Fig. 5) (C. AcidiniLuchinat, “La ..”, cit., pp. 86-87): vedasi APPENDICE A.

7. ↑Cod. Magliab. VII, 1121: Terze Rime in lode di Cosimo de’ Medici e de’ figli e dell’Honoranzafatta l’anno 1458 (sic) al figl.° del Duca di Milano ed al Papa nella loro venuta a Firenze ,apud G. Volpi, Le feste Di Firenze del 1459. Notizia di un poemetto del sec. XV, Pistoia,Libreria Pagnini, 1902, p. 22.

8. ↑

La spettacolare armeggeria notturna del primo di maggio fu solo l’ultima attrazione di unricco programma di celebrazioni e festeggiamenti allestito a Firenze sul finire di aprile del1459, per onorare la presenza tra le mura cittadine di due ospiti illustri quali papa Pio II,diretto a Mantova ad una dieta da lui convocata con lo scopo di indire una crociata contro iturchi, e Galeazzo Maria Sforza, il quindicenne figlio del duca di Milano Francesco Sforza,stretto alleato di casa Medici, inviato dal padre ad ossequiare il pontefice (per una trattazionecompleta di questi eventi rinviamo al citato opuscolo del Volpi). A proposito degliarmeggiatori un’anonimo cronista racconta: “A guisa di mazzocchio una ghirlanda / di scaglied’ariento adorna e bella / Con penne d’or che su diritte manda // Avea ciascun d’intorno allapianella, […]” (ibidem, 22), descrizione che si attaglia a pennello al copricapo indossato daLorenzo nell’affresco, consistente in un “[…] turbante decorato di «quarti disposti alla turca»che si vede in capo anche al Paleologo” (A. Chastel, op. cit., p. 246).

9. ↑Per comprendere come codesta “magnificenza” vada rettamente intesa nel senso di unasoverchia generosità e magnanimità, si veda W. Roscoe, Life of Lorenzo de’ Medici called TheMagnificent, London, David Bogue, 1846, 33-34 (con rispettive note).

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10. ↑Come avremo cura di dimostrare in APPENDICE B, la figura equestre del Magnifico risultaessere collocata in maniera notevole rispetto alle scompartizioni armonico-proporzionali dellaparete est, la sola giunta intatta sino a noi, essendo miracolosamente scampata alle ingiuriedel tempo e degli uomini

11. ↑ Ricordi di Firenze dell’anno 1459 di autore anonimo (a cura di Volpi), sta in L. A. Muratori,Rerum Italicarum Scriptores, tomo XXVII, parte I, 1907, p. 30, v. 1318.

12. ↑

Quest’arte della litote, del “minus dicere” di cui Cosimo fu maestro (e di cui il figlio Piero edil nipote Lorenzo sarebbero stati discepoli non meno degni) è racchiusa nel vocabolo italianosprezzatura: “Sprezzatura è un ritmo morale, è la musica di una grazia interiore; è il tempo[…] nel quale si manifesta la compiuta libertà di un destino, infallibilmente misurata, tuttavia,su un’ascesi coperta” (C. Campo, “Con lievi mani”, in , Il flauto e il tappeto, Milano, Rusconi,1971, pp. 123-142: 126).

13. ↑

“Essentia est id quod per definitionem rei significatur” (S. Th. Aqu., De ente et essentia, II).In merito al rapporto tra essenza e tema, rimandiamo alla seguente riflessione di PavelFlorenskij: “La perfezione artistica della poesia, della musica e via dicendo non consiste forsenel fatto che il loro contenuto sovralogico supera incommensurabilmente, pur senzadistruggerlo, quello logico? In quanto lingua degli spiriti, essa è percepibile alla percezionenon ancora raziocinante di un bambino molto più che a quella di un adulto” (P. A. Florenskij,Ai miei figli. Memorie di giorni passati (a cura di N. Valentini e L. Žák), Milano, Mondadori,2003, p. 122 [ed. orig. Moskva, 1992]).

14. ↑“Quando una metafora viene verificata, ciò significa che i cosiddetti eventi si muovono versola propria essenza […]” (H. von Doderer, “Fondamenti e funzione del romanzo e pagine daldiario di uno scrittore” (a cura di Contini), L’Approdo letterario, XIII, 37 (N. S.), 1967, pp.16-29: 18).

15. ↑Sulla dialettica intercorrente tra oggetto simboleggiato e simboleggiante si veda E. Zolla,“Simbologia”, Enciclopedia del Novecento Treccani, Roma , Istituto della EnciclopediaItaliana, 1982, pp. 539-550: 539.

16. ↑ C. Campo, “Attenzione e poesia”, in Ead., Fiaba e mistero e altre note, Firenze, Vallecchi,1962, pp. 61-67: 63.

17. ↑ Ibidem, p. 65.

18. ↑La felice locuzione è desunta da Murena “L’arte come mediatrice tra questo mondo e l’altro”,in Eternità e storia. I valori permanenti nel divenire storico (a cura dell’Istituto Accademicodi Roma), Firenze, Vallecchi, 1970, pp. 464- 477: 465).

19. ↑“Cognitio metaphysica penetrat in interiorem rerum naturam, & ipsum investigat fontem, exquo omnia, quae de ente afferuntur, tanquam primo suo principio, fluunt: cum reliquiaespecies cognitionis humanae haud eo usque procedant” (J. Weiss, De natura animi etpotissimum cordis humani, Stutgardiae, J. B. Mezleri, 1761, p. 1).

20. ↑

Ovverosia di un archetipo (universale) a cui è intonata una realtà fenomenica (particolare).Solo si rifletta sul seguente brano: “Profonde strade, rapide fra le case senza luce, dei poveridi Io le percorro ogni giorno, sono le strade del quartiere di San Frediano. Ma nell’affrescosono le Strade dei Poveri: Firenze o Gerusalemme, Roma o Palmira. E tuttavia non losarebbero se non fossero prima di tutto e fino all’ultima crepa le strade di San Frediano: doveancora sembra fuggire, certe mattine d’inverno, l’ombra del ragazzo che saliva a quattro aquattro la gradinata del Carmine. Non conosco poesia universale senza una precisa radice:una fedeltà, un ritorno” (C. Campo, “Parco dei cervi”, in Ead., Fiaba e mistero…, cit., p. 22) epoi sull’aforisma goethiano: “Che cos’è l’universale? E’ un caso particolare”, non sarà chi nonveda il senso ultimo del nostro ragionamento, ispirato ad una superiore coincidentiaoppositorum che risolve la fondamentale antinomia di quell’atto conoscitivo in cui si trovanocompresenti due proposizioni tanto logicamente incompatibili, quanto ontologicamentenecessarie.

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21. ↑

Rodolico, Il paesaggio fiorentino, Firenze, Le Monnier, 1959, p. 7. Mal si appone perciòCardini (I re Magi…, cit., p. 37) quando, nel merito dell’affresco, individua nelle asprezzerocciose le peculiarità proprie di un paesaggio fiabesco, chè codeste corrispondono invece apuntino al tipico paesaggio di clivi e calanchi nei pressi delle tante cave d’arenaria macignosparse attorno a Maiano, secondo illustra anche Rodolico alla fotografia n° 17 della citata suaopera.

22. ↑ “[…] le cose si vedono realmente grazie alla loro qualità meno ottica, l’aura che le circonda,nella quale esistono” (H. von Doderer, cit., p. 13).

23. ↑

Tale definizione, propria dei platonici di Cambridge, è concettualmente assai prossima (e nonsi tratta di un caso!) a quella di mundus imaginalis, coniata da Henri Corbin per definire,nell’ambito della mistica persiana, quel mondo dell’anima intermedio tra l’intelligibile e ilsensibile (cfr. Corbin, “Che cosa significa tradizione? Attualità della filosofia tradizionale inIran”, Conoscenza religiosa, 3, 1969, pp. 225-241: 236-237).

24. ↑ T. Burckhardt, L’arte sacra in Oriente e in Occidente, Milano, Rusconi, 1976, 6 [ed. orig.Paris, 1958].

25. ↑“Come nella natura, che è bella solo per necessità reale, così anche nell’arte la bellezza è unsoprammercato: è il frutto inevitabile della necessità ideale” (C. Campo, “Parco dei cervi”, ,p. 22).

26. ↑

Affermazione questa del tutto in linea col significato primo della parola éidos (= forma,genere, idea), tra i cui sinonimi Esichio ( V ) cita vocaboli quali “vista”, “volto”, “sguardo” etc.(per l’intera questione del complesso rapporto tra mondo fenomenico e noumenicorimandiamo alle luminose intuizioni di P. A. Florenskij, Il significato dell’idealismo (a cura diN. Valentini), Milano, Rusconi, 1999 [ed. orig. Sergiev Posad, 1914]).

27. ↑

Tali “caratteri intelligibili” (concordanti in quanto analogicamente simili), simboleggiano unamedesima realtà sovrasensibile e sono individuabili, quando non solo indirettamente,attraverso una serrata elencazione di aggettivi, quale pure noi abbiamo cercato di attuarenella prima parte della stesura di questo saggio (si rimanda in merito a Sedlmayr, “Il legamefra visibile e invisibile nell’opera d’arte”, in Eternità e storia…, cit., pp. 243-248).

28. ↑

La quiete, sommo bene fra tutti secondo un sacro retaggio comune alle società arcaiche (cfr.Zolla, “La città perfetta”, L’Approdo letterario, XIII, 37 (N. S.), 1967, pp. 68-98: 69-70), è lostato spirituale che presiede alle opere d’arte serene, che sono poi quelle in cui vi è maggiortrasparenza verso “l’altro aspetto del medesimo”; nelle quali cioè “[…] si ottiene con maggiorperfezione di fissare i residui dell’altro mondo” (H. Murena, op. cit., p. 466, nota 7).

29. ↑ Sedlmayr, op. cit., p. 245.

30. ↑ Andremo perciò a verificare la corrispondenza tra due sfere esteriori nelle quali vige la stessaunità interiore.

31. ↑ T. Burckhardt, op. cit., p. 6.32. ↑ P. A. Florenskij, Il significato…, cit., p. 130.33. ↑ Ibidem, p. 136.

34. ↑

Per l’ampia gamma di tematiche collegate all’androginia rimandiamo ad Zolla, L’androgino.L’umana nostalgia dell’interezza, Como, red edizioni, 1989 [ed. orig. London, 1980].Trattando qui di seguito della fisionomia del giovane Lorenzo prenderemo, a ragion veduta,una parte per il tutto, dal momento che è proprio a partire dal suo sguardo che si irraggianelle diverse personae del pannello quel senso di eloquente sospensione e di sovrana quieteche conferiscono il tono d’insieme all’intera opera. Lo stesso discorso, anche se in misuraminore, può essere riproposto per le pareti sud ed ovest con Giovanni VIII Paleologo eSigismondo di Lussemburgo quali epitomatori della totalità dei tratti fisionomici (vedi anchequanto detto sotto alla nota 39).

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35. ↑

E. Bizzarri, Il Magnifico Lorenzo, Verona, Mondadori, 1950, p. 301. Emilio Cecchi ebbeacutamente ad osservare come tutta la politica di Lorenzo, diretta prosecuzione di quella diCosimo e Piero, avrebbe avuto “[…] questa chiarezza e coerenza di disegno, con questaeroica, quasi sprezzante leggiadria di esecuzione; e potrebbe dirsi che le virtù erano tuttedell’uomo, e la maggior parte dei vizi ed errori dipendeva dalle condizioni dei tempi” (E.Cecchi, Lorenzo il Magnifico, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1949; ora in Id.,Firenze, Verona, Mondadori, 1969, pp. 104-121: 116).

36. ↑

A proposito di colui che a pieno titolo fu definito “l’ago della bilancia intra gli stati italiani”(Filippo Nerli), Marco Lastri annotava che “Nella Guardaroba del fù Alessandro Strozzi, sottola Maschera Laureata del Magnifico Lorenzo, si leggevano questi versi: Morte crudel, che inquesto corpo venne / Che quando venne il mondo andò sossopra, / Mentre ch’e’ visse tutto inpace il tenne” (M. Lastri, L’Osservatore Fiorentino sugli edifizj della sua patria (a cura di G.del Rosso), Firenze, presso Gaspero Ricci, 1821, t. II, p. 12, nota 1).

37. ↑ P. A. Florenskij, Il significato…, cit., p. 90.38. ↑ B. Christiansen, La filosofia dell’arte, apud P. A. Florenskij, Il significato…, cit., p. 89.

39. ↑

E’ proprio per evitare uno sterile e monocorde concettismo astratto e permettere la risalitanel mondo delle idee (“a realia ad realiora”) “[…] che il pittore differenzia l’espressionedell’anima e dà a un occhio un’espressione un po’ diversa rispetto all’altro, ed una ancoradiversa espressione della bocca e così via […] Il motivo melodico principale del volto è datodalla relazione reciproca tra la bocca e l’occhio. […] Nella forma della bocca si concentranole emozioni e la tensione della volontà, negli occhi regna la quiete decisiva dell’intelletto. […]I ritrattisti disegnano in un occhio un arco meno teso rispetto all’altro. Danno ad entrambi gliocchi una diversa espressione emozionale; per questo uno dei due viene ulteriormentesottolineato con un accento e diventa il fine, perchè la relazione teleologica sia definita edirreversibile. […] Allora il nostro sguardo scivola via incessantemente, staccandosi dal suopunto di quiete e trova stimoli sempre nuovi e domande che tornano a risolversi nel tonofondamentale dell’occhio. E nel suo ampio e tranquillo movimento avanti e indietro, essoraccoglie il ritmo della successione, delle tensioni e delle risoluzioni, delle promesse e delloro mantenimento, tutte cose che noi percepiamo come il quieto respiro di una vita sana”(ibidem, pp. 89-90). Questa lunga citazione risulterà giustificata dalla constatazione chequanto descritto si attaglia perfettamente al volto androgino di Lorenzo, come ognuno potràverificare ad un confronto diretto dal vero, oppure con la riproduzione fotografica agrandezza naturale pubblicata da C. Acidini Luchinat in Benozzo Gozzoli…, cit., p. 83.

40. ↑ Christiansen, op. cit.,, apud P. A. Florenskij, Il significato…, cit., p. 88.

41. ↑

Cristoforo Landino, volendo indicare la profondità e la ricchezza di espressione “psichica”nella pittura, parla giust’appunto di “affetto d’animo”, di “liniamenti naturali” e di “veraproporzione”, attribuendo a Cimabue il merito della riscoperta di tali fondamentali nozionidopo un lungo oblio; si veda in merito Landino, “Fiorentini excellenti in pictura e sculpitura”(proemio al Commentario alla Commedia di Dante Alighieri, 1481) apud A. Chastel, MarsilioFicino e l’arte, Torino, Aragno, 2001, pp. 346-348: 346 [ed. orig. Geneve, 1954]. Ove sorgesseil dubbio che avessimo così deviato dalla linea teoretica del nostro ragionamento, questo saràtosto fugato dalle parole che lo stesso Landino dedica a “Donato scultore […] pronto e congrande vivacità o nell’ordine o nel situare delle figure le quali tutte appaiono in moto […]”(ibidem, p. 348).

42. ↑ A. Chastel, Arte e Umanesimo…,cit., p. 300.43. ↑ Ibidem, p. 301.

44. ↑In rispetto al fondamento dell’ideografia ogni segno grafico esprime un suo determinatoconcetto in base al sistema delle associazioni psicologiche collegate al concetto stesso (siveda A. Florenskij, “Il simbolario o dizionario dei simboli”, Conoscenza religiosa, 2, 1977, pp.103-111).

45. ↑ Cfr. F. Rodolico, op. cit., passim.46. ↑ C. Norberg-Schulz, “Il concetto del luogo”, in Eternità e storia…, cit., pp. 282-298: 292.

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47. ↑

“Agli inizi tutte le arti e non solo quelle figurative operano contemporaneamente, sotto laguida dell’architettura. L’architettura diviene per queste una forza ordinatrice che le pervadetutte con il suo spirito tettonico, che è in ogni grande civiltà diverso nelle sue fasi” (H.Sedlmayr, Architettura, semantica e simbolo, Roma, Istituto Accademico di Roma, 1967, p.11). Sulla cultura architettonica etrusca si veda A. Nardini Despotti Mospignotti, Dellarazionalità architettonica, Firenze, Tipografia Nazionale Italiana, 1853, lib. I, cap. VI, pp.17-19; sulla fondazione di Firenze rimandiamo alle conclusioni di L. A. Milani, Museotopografico dell’Etruria, Firenze-Roma, Bencini, 1898, pp. 113- 124 (con le rispettive notealle pp. 163-167).

48. ↑

Desideriamo porre in evidenza che nel caso dell’architettura l’apporto di quel mosaico divalori detto “tradizione” è ancora più forte in ragione del suo essere non più fruttodell’invenzione legata all’hic et nunc del singolo autore, bensì la produzione corale di unacomunità del cui patrimonio culturale condiviso il Magister viene ad essere il sapientetrascrittore. I nostri antichi progenitori avvertivano nella parola «autorità» il concetto dicertezza: Autoritas, proveniente da Autos, medesimo, implica eminentemente il senso dimedesimezza, costanza, inalterabilità di rapporti, ond’è che tale dovette essere il criterioprimitivo e latente di ogni credenza vera e certa.

49. ↑G. Dati, Istoria di Firenze, Firenze, Giuseppe Manni, 1735, lib. VIII, p. 111 (è ovviamentesuperfluo ricordare come questa unità paesaggistica di un tempo che fu, sopravvivendo oggisolo a lacerti, sia da considerarsi irrimediabilmente compromessa).

50. ↑

Nelle sue deduzioni contro le pretese origini greche della pittura, il Nardini DespottiMospignotti (op. cit., lib. I, cap. X, pp. 32-34) individua nella stessa Etruria la patria dielezione di quella “linea espressiva” tipica della cultura figurativa degli antichi Toscani, la cuidefinizione venne formulata da Plinio (Nat. Hist., lib. XXXV, cap.X) a proposito del pittoregreco Parrasio.

51. ↑ Lensi Orlandi Cardini, “La città delle ville”, introduzione a Id., Le ville di Firenze, Firenze,Vallecchi, 1965, t. I (di qua d’Arno), pp. IX-XXIV: IX.

52. ↑

“Ogni particolare della villa e del giardino si immedesima nel paesaggio che costituisce ilritmo, la cadenza fondamentale della sua armonia […]” (ibidem, X), ed infatti “[…]l’architettura etrusca ebbe […] una speciale predilezione per il tipo di abitazione a «sistemaorizzontale»” (A. Gargana, “La casa etrusca”, Historia. Studi storici per l’antichità classica,VIII, 2, 1934, pp. 204-236: 236). Pure degne di nota ci sembrano le conclusioni di Romolo A.Staccioli, il quale, constatando che “[…] l’unico tipo di casa etrusca effettivamentedocumentato è quello estensivo a sviluppo orizzontale” (“A proposito della casa etrusca asviluppo verticale”, in Atti del Convegno di studi sulla Città etrusca e italica preromana(estratto), Imola, Galeati, 1970, 129-133: 131), osserva come a tale peculiarità “[…] si adeguala stessa organizzazione urbanistica che, proprio a Marzabotto, ci presenta serie dilunghissimi isolati formati di edifici molto bassi che danno luogo […] a interminabili fughe dilinee orizzontali” (ibidem, p. 132).

53. ↑

Berenson, Pagine di diario. Pellegrinaggi d’arte, Milano, Electa, 1958, p. 162 e tav. 127. Ilcitato passo ci offre un caso eclatante di quel processo ottico-visivo grazie al quale unfenomeno comune egemone (contesto orizzontale del paesaggio) risulta amplificatodall’antagonismo con un fenomeno particolare (andamento verticale dei clivi e dei colli); nelfrangente testè descritto l’amplificazione è doppiamente sentita inquantochè le colonneverticali che “inquadrano” il paesaggio costituiscono un secondo antagonismo i cui effetti sivanno a sommare con quelli del primo (l’intera questione teoretica è trattata da P. A.Florenskij, “La legge dell’illusione”, Conoscenza religiosa, 2, 1977, pp. 118-129).

54. ↑

La nostra dimostrazione si trova perfettamente in linea con la concezione neo-platonicadell’analogia tra macrocosmo e microcosmo (tema che già negli anni ’50 di quell’aureoQuattrocento rappresentava una dominante del pensiero di un giovane Marsilio Ficino): ilcorpo umano e l’ordine universale si corrispondono, sicchè il miracolo della bellezza che cirapisce è l’Anima del mondo che affiora nel vultus umano così come nel volto dellacompagine naturale (cfr. Chastel, Marsilio Ficino…, cit., pp. 177-184).

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55. ↑Intendiamo dire, in altre parole, che in mancanza di un siffatto rapporto di osmosi sarebbeassai arduo dare conto della genesi e della sopravvivenza di un complesso di costantichiaramente individuabili e ricorrenti per un lasso temporale tanto lungo quanto ristretto è,di converso, l’ambito geografico ove esse si esplicano

56. ↑Per l’esatta cronologia, così come per ogni altra questione inerente il Battistero faremoriferimento a: A. Nardini Despotti Mospignotti, Il Duomo di San Giovanni oggi Battistero diFirenze, Firenze, F.lli Alinari, 1902, trattazione tutt’oggi insuperata per acume intuitivo erigore interpretativo.

57. ↑

Il policromismo comune a tutte le altre scuole toscane (eccetto, si capisce, la fiorentina),italiane ed orientali, è invece costituito da liste marmoree bianche e nere che secondanol’andamento dei filoni delle pietre e delle strutture murarie, ed è stato perciò detto“«litotomico»; le due locuzioni sono state coniate dal Nardini Despotti Mospignotti (ibidem,32 e passim).

58. ↑ Ibidem, 135. Sull’impiego dei marmi colorati a Firenze si veda anche F. Rodolico, Le pietredelle città d’Italia, Firenze, Le Monnier, 1953, pp. 241-242.

59. ↑Nardini Despotti Mospignotti, Il Duomo…, cit., p. 41; ed ancora “I profili del San Giovannihanno, relativamente ai tempi, tale castigatezza di linee che qualche volta vincono alparagone quelli dell’ultima età imperiale ” (ibidem,p. 52, nota 1).

60. ↑

“Una conferma dell’esistenza di quest’archetipo del tutto locale [il San Giovanni] l’abbiamoanche se si considera il cerchio ristrettissimo entro il quale cotesta scuola ha limitato la suasfera d’azione; inquantochè dalla sua poca forza d’espansione e dai confini angusti che lacircoscrivono vuole argomentarsi con molta verosimiglianza, ch’essa trovi il suo alimentosoltanto in certe condizioni locali che non hanno altrove la loro Cotesta scuola infatti puòdirsi che nasca e muoia in Firenze; e se non fosse l’antica Pieve d’Empoli, ultimo e piùlontano lembo in cui essa abbia lasciato traccia di sé, non si potrebbe giurare ch’essa avesseoltrepassato le radici del monte di Fiesole e le vette del colle di San Miniato” (ibidem, p.139).

61. ↑ Sedlmayr, “Il legame…”, cit., p. 246.

62. ↑ C R. Hatfield, “Cosimo de’ Medici and his Chapel”, in F. Ames-Lewis (ed.), Cosimo “ilVecchio” de’ Medici 1389-1464, Oxford, Clarendon Press, 1992, pp. 221-244: 242-244.

63. ↑

La frase, attribuita a Cosimo dal Poliziano (C. Gutkind, cit., p. 311), si rifà ad un’altraformula, familiare agli umanisti, che si legge nella III canzone del Convivio di Dante: “Poi chipinge figura, Se non può esser lei, non la può porre”. Secondo il Vasari lo stesso Cosimo ebbea difendere le stravaganze di Filippo Lippi dicendo: “Gli ingegni rari sono forme celesti e nonasini vetturini”.

64. ↑

Le tutt’ora esistenti lettere di Benozzo (ripubblicate in Acidini Luchinat, Benozzo Gozzoli…,cit., pp. 361-362) sovrabbondano di espressioni che testimoniano della sua mitezza d’animo,come ad esempio: “[…] quelch’io non farò rimarrà per non sapere. Idio sa chio nonò altropensiero chemmi gravi più che questo […]” ecc. Per la minuta discussione del carattere diBenozzo si rimanda comunque a G. B. Benvenuti, op. cit., pp.12-18.

65. ↑ G. Pletone, Le leggi, XI, apud E. Garin, Filosofi italiani del Quattrocento. Pagine scelte,tradotte e illustrate, Firenze, Le Monnier, 1942, pp. 513-515: 515.

66. ↑ Cfr. A. Chastel, Marsilio Ficino…, cit., p. 137; Id., Arte e Umanesimo…, cit., pp. 109-110.67. ↑ H. Sedlmayr, “Il legame…”, cit., p. 246.68. ↑ C A. Chastel, Arte e Umanesimo…, cit., p. 289.

69. ↑Theologia Platonica, XVI, 3: “Hominis anima […] assumit […] per sensum has a materiamundi infectos similitudines idearum, colligit […] eos per phantasiam, purgat excolitque perrationem, ligat deinde cum universalibus mentis ideis”.

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70. ↑

Sedlmayr, “Il legame…”, cit., pp. 246-247. In altre parole si può affermare che in un primomomento il creatore- artista intuisce e vede (platonicamente) trovandosi in uno stato diparticolare veggenza ed esaltazione, in una specie di combustione che lo dilata al di fuori disé, mentre in un secondo tempo elabora tali suoi fantasmi con più sorvegliata consapevolezzarazionale (aristotelicamente) e con lo scopo giammai di alterare o sostituire, bensì dimanifestare più compiutamente e fedelmente la prima, inconsapevole intuizione (cfr. D.Fabbri, “Spirito creativo e simboli”, in Eternità e storia…, cit., pp. 259-263).

71. ↑ Così, come all’Epifania la Chiesa è maritata al Cristo, così nell’affresco gli esponenti di casaMedici sono «maritati» al genius loci

72. ↑ A. Florenskij, Il significato…, cit., pp. 143-145.

73. ↑ “I talismani sono le idee delle cose” (H. von Hofmannsthal, Il libro degli Appunti e diari-Adme ipsum, Firenze, Vallecchi, 1963, p. 124).

74. ↑La citazione è tratta dall’orazione De Charitate di Giovanni Nesi, allocuzione letta per laCompagnia dei Magi il 23 marzo 1486; citiamo dalla trascrizione parziale in Hatfield, “TheCompagnia de’ Magi”, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, vol. XXXIII, 1970, pp.107-161: 160.

75. ↑ Ibidem.

76. ↑ Theologia Platonica, VIII, 2: “Hac etiam alimonia sit invictus, temperans, iustus, hominumgubernator et dominus, excelsior coelo, par angelis, Deo similis”.

77. ↑ H. von Hofmannsthal, op. cit., p. 126.

78. ↑

In Picatrix (III, vi, Corbin) si legge: “[…] la prima cosa che tu devi fare nei confronti di testesso è di meditare attentamente la tua entità spirituale [il tuo angelo] che ti governa, che èassociata al tuo astro, e cioè la tua Natura perfetta, quella che il saggio Ermete menziona nelsuo libro dicendo: quando quel microcosmo che è l’uomo diviene perfetto di natura, la suaanima è allora l’omologo del Sole fisso nel cielo, che con i suoi raggi illumina tutti gliorizzonti. Così la natura perfetta sorge nell’anima; i suoi raggi colpiscono e penetrano lefacoltà degli organi sottili della saggezza; le attirano, le fanno sviluppare nell’anima, come iraggi del sole attirano le energie del mondo terrestre e le fanno crescere nell’atmosfera”; siveda in merito E. Garin, Ermetismo del Rinascimento, Roma, Editori Riuniti, 1988.