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© Europae - Rivista di Affari Europei ALLE PORTE DELL’UE N. 6 - OTTOBRE 2013 L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE © Europae - Rivista di Affari Europei www.rivistaeuropae.eu Associazione Culturale OSARE Europa 3 ottobre: la strage di Lampedusa Relazioni euro-mediterranee e migranti Immigrazione: i benefici economici Il reato di clandestinità in Europa Frontex e la difesa della frontiera Sud Un’operazione UE nel Mediterraneo?

Europae - Mensile numero 6 - Ottobre 2013

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Monthly magazine by Europae. In this issue we talk about the problem or the opportunity of immigration toward Europe from his southern frontier

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ALLE PORTE DELL’UE

N. 6 - OTTOBRE 2013

L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE

© Europae - Rivista di Affari Europei

www.rivistaeuropae.eu

Associazione Culturale OSARE Europa

3 ottobre: la strage di Lampedusa Relazioni euro-mediterranee e migranti

Immigrazione: i benefici economici Il reato di clandestinità in Europa

Frontex e la difesa della frontiera Sud Un’operazione UE nel Mediterraneo?

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Ottobre 2013, Numero 6 © Europae - Rivista di Affari Europei, www.rivistaeuropae.eu “Alle porte dell’UE. L’immigrazione e la frontiera meridionale” A cura di Davide D’Urso e Luca Barana Copertina di Luigi Porceddu Grafica ed editing di Davide D’Urso Direttore: Antonio Scarazzini Caporedattore: Davide D’Urso Responsabili di Redazione: Luca Barana, Riccardo Barbotti, Simone Belladonna, Stefania Bo-nacini, Fabio Cassanelli, Valentina Ferrara, Shannon Little, Mauro Loi, Tullia Penna.

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INDICEINDICE

Immigrazione: le paure e gli errori della Fortezza Europa 4

Davide D’Urso

I flussi migratori e le relazioni euro-mediterranee 6

Stefania Bonacini

I benefici economici dell’immigrazione 9

Fabio Cassanelli

Le politiche migratorie nazionali e il caso Italia-Libia 12

Sara Bottin

Il reato di immigrazione clandestina in Europa 15

Simone Belladonna

Frontex e il confine tra sicurezza e diritti umani 18

Enrico Iacovizzi

Dal Golfo di Aden al Mediterraneo: l’UE e la lunga strada per Itaca 21

Gianluca Farsetti e Giuseppe Lettieri

Gli autori 24

I numeri precedenti di Europae 25

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IMMIGRAZIONE: LE PAURE E GLI IMMIGRAZIONE: LE PAURE E GLI ERRORI DELLA FORTEZZA EUROPAERRORI DELLA FORTEZZA EUROPA

A lle porte dell’Unione Europea, lo scorso 3 ottobre, centinaia di persone sono morte cercando la salvezza sull’isola di Lampedusa. Bambini, donne e uomini,

provenienti soprattutto dal Corno d’Africa, la cui odissea attraverso l’Africa e il Mediterraneo è finita nell’ennesima strage di migranti. Una tragedia di proporzioni enormi che ha scosso la coscienza dell’opinione pubblica europea, riportando il tema della gestione dei flussi migratori sulle prime pagine dei giornali e in vetta alle preoccupazioni dei politi-ci. Gli appelli del governo italiano a una maggiore cooperazione europea nella gestione dei flussi mi-gratori hanno spinto l’UE a riaprire un capitolo tor-mentato, che la chiama in causa come soggetto di diritto interno e attore politico internazionale. Le vittime di Lampedusa cercavano l’Europa. L’Italia, per molti di loro, era l’ultima tappa di un viaggio verso il cuore di un continente che, ad altre latitudini, viene ancora percepito come una terra di speranza. La percezione che l’Europa ha di queste persone è di tutt’altro tenore. L’UE ha mostrato

commozione e la solita solidarietà a parole: discorsi, fiori, una visita ufficiale sull’isola, tra le bare, a fian-co delle autorità italiane e molte promesse. Impegni categorici a “fare il possibile” perché una tragedia simile non si ripeta, ma anche frasi fatte sulla neces-sità di dare “risposte concrete” per la sicurezza dei migranti e - soprattutto - dei Paesi di destinazione. “Sicurezza”, una parola che, insieme a “stabilità”, costituisce il binomio fondamentale delle relazioni euro-mediterranee. La stabilità dei regimi autori-tari nordafricani, alleati dell’Europa nel frenare con ogni mezzo i migranti diretti verso il Vecchio Conti-nente, è stato per un ventennio il vero obiettivo del-la politica mediterranea dei Paesi europei. Le rivolte nordafricane hanno rimescolato le carte, cancellan-do regimi che erano diventati, nel corso degli anni, veri alleati dei governi europei. Poco importava che i metodi di dittatori come Gheddafi e Ben Ali violas-sero sistematicamente i diritti umani. Il caso dell’alleanza “scomoda” tra Italia e Libia, descritto in questa edizione da Sara Bottin, non era affatto un’eccezione nel panorama europeo. Dopo il 2011

di Davide D’Urso Editoriale

IL COMMISSARIO MALMSTROM, IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE BARROSO E IL PREMIER LETTA DI FRONTE ALLE BARE DI LAMPEDUSA (© EUROPEAN COMMISSION)

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dalle ceneri dei regimi è emerso un caos diffuso, che pure non ha portato a una particolare impenna-ta dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo. Perso l’argine nordafricano, gli europei sono tornati a cercare interlocutori e mezzi per frenare quella che da molti viene dipinta come un’invasione ar-mata. Come mette in luce Stefania Bonacini nel pri-mo articolo di questa edizione, i tentativi di argina-re i flussi migratori, tra paure e rappresentazioni stereotipate, continuano infatti a rappresentare un elemento fondamentale delle relazioni tra l’UE e la sponda meridionale del Mediterraneo. L’interpretazione prevalente dell’immigrazione di-retta verso l’UE è infatti quella di un problema, se non di una minaccia, che andrebbe contrastata con ogni mezzo, tenendo i migranti lontani dalle nostre coste. Peccato che, per un continente a crescita eco-nomica e demografica nulla, l’arrivo di migliaia di giovani disposti a vivere, lavorare e consumare in Europa costituisca a tutti gli effetti una risorsa. Co-me messo in luce nelle pagine interne da Fabio Cas-sanelli, i benefici economici dell’immigrazione sono decisivi per i Paesi europei. Basti pensare alla diffi-cile sostenibilità del welfare europeo, una chimera senza il contributo della forza lavoro immigrata in particolare in settori come l’edilizia, l’agricoltura e i servizi alla persona, troppo spesso in difficoltà nel trovare personale. Nel frattempo, l’Europa discute. Il Consiglio Euro-peo del 24 e 25 ottobre ha ribadito che l’immigra-zione non è una questione nazionale, ma un tema europeo. Dal punto di vista delle azioni concrete, il Vertice intergovernativo non ha dato però i risultati auspicati. Al di là di un generico invito a Frontex ad aumentare la propria attività nel Mediterraneo e alle autorità europee e nazionali a sfruttare i nuovi strumenti di EUROSUR, i Ventotto si sono limitati a rimandare a dicembre e al prossimo giugno, quando inizierà il semestre di presidenza dell’Italia, l’adozione di una strategia e di una vera program-mazione legislativa. Ancora una volta, dunque, l’UE muove i suoi piccoli passi sull’immigrazione unicamente in ottica secu-ritaria e tramite gli strumenti di gestione delle fron-tiere comuni. Il “Mare Nostrum” rappresenta infatti la frontiera meridionale dell’Europa ed è quasi inevitabile che l’intera Unione sia chiamata a parte-cipare ai programmi per il suo monitoraggio. Per realizzare questo obiettivo, però, la Frontex di oggi non basta. L’Agenzia, il suo ruolo nel Mediterraneo, gli obiettivi e i pochi strumenti di cui realmente è

dotata, costituiscono l’oggetto dell’articolo di Enrico Iacovizzi, utile per comprendere quali siano vera-mente le (scarse) competenze che gli Stati membri hanno effettivamente deciso di trasferire a Frontex. Non mancherebbero all’Europa esempi virtuosi nel campo delle missioni navali. La messa in campo di operazioni di monitoraggio delle coste, come quelle attuate nel Golfo di Aden possono infatti es-sere replicate, pur con le dovute differenze, anche nel Mediterraneo. È quanto spiegano Gianluca Far-setti e Giuseppe Lettieri, disegnando i punti princi-pali di un approccio di cooperazione transnazionale per operazioni civili e militari che renderebbe il Me-diterraneo un mare più sicuro. Anche dal punto di vista interno, l’Europa non riesce ad uscire da un’interpretazione del fenomeno mi-gratorio solo in chiave di sicurezza. Il reato di im-migrazione clandestina, molto discusso in Italia, non rappresenta un’eccezione in Europa. Negli altri Paesi europei è però applicato in forme diverse e più razionali. Come testimonia l’articolo di Simone Belladonna, il combinato disposto di quel reato con l’obbligatorietà dell’azione penale e misure che pre-vedono l’incriminazione dei soccorritori, ha creato in Italia un sistema controproducente. Anche in que-sto campo, dunque, una politica che parta dalla pre-visione di procedure armonizzate per la gestione interna dell’immigrazione costituirebbe un tassello fondamentale per una nuova strategia europea. L’interpretazione in senso quasi unicamente securi-tario dell’immigrazione è alla base dell’incapacità dell’UE di gestirla a dovere. Senza una lettura socio-logica, economica e anche umanitaria dei fenomeni migratori è impossibile impostare politiche globali adeguate, in grado cioè di offrire risposte reali ai problemi di tutte le persone coinvolte. Non ricono-scere il valore economico e strategico dell’immi-grazione, specie per un continente in recessione economica e demografica, è un atteggiamento di dubbia intelligenza, dettato dalle emozioni e dalla paura piuttosto che dalla razionalità. La diffidenza per l’altro-da-noi non è certo una novità, ma in que-sta fase storica ci si dimentica spesso che la vera minaccia al benessere europeo non arriva da coloro che si trasferiscono in Europa, ma dalla concorrenza delle altre potenze economiche, che rischiano di re-legare l’UE in una preoccupante posizione di margi-nalità. La vecchia “Europa Fortezza” non è adatta per rispondere con successo alle sfide del mondo nuovo. ∎

ALLE PORTE DELL’UE L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE N. 6 - Ottobre 2013

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I FLUSSI MIGRATORI E LE I FLUSSI MIGRATORI E LE RELAZIONI EURORELAZIONI EURO--MEDITERRANEEMEDITERRANEE

La tragedia di Lampedusa ha riportato l’attenzione sul tema della gestione dei feno-meni migratori diretti in Unione Europea. I flussi migratori attraverso il Mediterraneo sono un fenomeno di lunga data che ancora influenza fortemente le relazioni tra l’Europa e i Paesi del Nord Africa. La Primavera Araba e la crisi economica hanno solo in parte modificato le dimensioni del fenomeno, mentre un approccio europeo più a-perto e globale tarda ancora a prendere forma a Bruxelles e nelle capitali nazionali.

L a morte al largo della costa di Lampedusa di più di 300 migranti, provenienti soprat-tutto dall’Eritrea, ha portato bruscamente in primo piano la delicata questione delle

migrazioni da una sponda all’altra del Mediterraneo. Non si tratta certo di un fenomeno nuovo: il flusso migratorio su larga scala dal Nord Africa è iniziato circa 40-50 anni fa, al punto che alla fine del 2010 – ovvero quando il vento della Primavera Araba ha iniziato a scuotere l’intera regione – i Paesi arabi rappresentavano da soli la terra d’origine di 8 milio-ni di immigrati di prima generazione, il 62% dei quali si era trasferito in uno degli Stati dell’Unione Europea. Tra il 2000 e il 2010, il numero dei mi-granti provenienti dal Nord Africa e diretti verso i Paesi OCSE è cresciuto del 42%, arrivando a toccare i 5 milioni di persone, che nella stragrande mag-gioranza dei casi hanno scelto come destinazione finale l’Europa. In particolare, Italia, Spagna e Fran-cia – ovvero i Paesi dell’UE che si affacciano sul Mediterraneo – hanno accolto il numero più eleva-to di migranti.

Quanto appena detto rimane valido anche se si prende in considerazione il potenziale effetto de-pressivo che la crisi economica può avere avuto sui flussi migratori in entrata. La crisi ha causato un rallentamento del flusso di migranti verso l’Europa e un parallelo aumento del flusso migrato-rio in uscita, soprattutto nei Paesi la cui economia è basata sull’immigrazione di manodopera. Spagna, Irlanda e Regno Unito, ad esempio, hanno visto una sensibile diminuzione del proprio saldo migratorio durante la crisi. Anche il Belgio e la Lettonia hanno registrato livelli di immigrazione più bassi nel 2009.

I lavoratori stranieri provenienti da Paesi extra-europei sono stati infatti fortemente colpiti dal peg-gioramento della situazione occupazionale, vista la loro altra concentrazione in settori a domanda ciclica come l’edilizia, la ristorazione, il settore al-berghiero e la distribuzione. Ad esempio, in un Pae-

se come la Spagna – la cui economia è fortemente basata sui settori turistico ed edile – la situazione occupazionale degli immigrati ha registrato un bru-sco deterioramento a seguito della crisi economica. In base ai dati OCSE, il tasso di disoccupazione degli stranieri in Spagna è passato dal 34,8% al 36,5% tra la fine del 2011 e la fine del 2012. In generale, l’aumento cumulato del tasso di disoccupazione de-gli immigrati in Spagna è stato di ben 24 punti a partire dall’inizio della crisi (contro i 17 punti di aumento del tasso di disoccupazione dei nativi). Di conseguenza, un numero consistente di stranieri – e di spagnoli - ha lasciato la Spagna a partire dall’inizio della crisi, al punto che il saldo migratorio netto della Spagna è tornato per la prima volta ad essere negativo dopo molti anni. Nonostante ciò, il saldo migratorio complessivo dei Paesi UE è rimasto positivo anche nel periodo 2009-2011, pur subendo una leggera flessione. Il dato complessivo (relativo ai cittadini di Paesi extra-europei) è passato infatti da 759.222 a 611.711 unità tra il 2009 e il 2011 (dati Eurostat). Se è vero infatti che il flusso di emigrazione dei cittadini extra-europei è aumentato in diversi Paesi UE, allo stesso tempo non è facile stabilire con esattezza quanti di questi migranti siano tornati nei loro Paesi di prove-nienza e quanti invece si siano semplicemente tra-sferiti in un altro Stato europeo. Tra il 2010 e il

di Stefania Bonacini

Le migrazioni attraverso il Mediterraneo sono un fenomeno di lunga data. La Primavera Araba e la crisi economica ne hanno cambiato lo scenario.

Le difficoltà economiche di molti Paesi europei hanno rallentato i flussi migratori provenienti dal Nord Africa e ridotto l’occupazione immigrata.

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2011, il livello di immigrazione permanente è aumentato complessivamente nei Paesi OCSE del 2%. In particolare, Austria e Germania sono tra i Paesi che hanno registrato i flussi in entrata più si-gnificativi. A tutto il 2012, la Germania risulta ospi-tare da sola il 22,54% di tutti i residenti extra-comunitari presenti in Europa, seguita da Italia (16,31%) e Spagna (15,50%). A partire dai primi mesi del 2011, gli sconvolgimen-ti causati dalla Primavera Araba si sono combinati con le conseguenze della crisi economica europea, dando vita ad un quadro generale complesso e di non facile lettura per quanto riguarda l’impatto sui flussi migratori euro-mediterranei. Tutto som-mato, la Primavera Araba non si è tradotta automa-ticamente in un aumento del numero di migranti regolari provenienti dal Nord Africa e diretti in Eu-ropa, se si eccettua un aumento – tanto episodico quanto limitato nel tempo – del flusso migratorio originario della Tunisia. Certo, Gran Bretagna, Ger-mania, Italia e Spagna hanno registrato un aumento in valore assoluto del numero di migranti prove-nienti dal vicinato mediterraneo nel 2011. Tuttavia, tale dato appare tutt’altro che anomalo se confron-

tato con il trend degli ultimi cinque anni. In più, il grosso dell’aumento del flusso in entrata nel 2011 è da attribuirsi esclusivamente all’immigrazione pro-veniente dal Marocco, Paese che è stato toccato so-lo di riflesso dal vento rivoluzionario della Primave-ra Araba. Non solo: nel periodo 2009-2010, il Ma-rocco è l’unico Paese mediterraneo a comparire nel-

la classifica dei primi 16 Paesi per numero di nuovi migranti entrati nell’UE. Nel 2009 il Marocco occu-pava addirittura il primo posto, con 97.122 cittadini marocchini che hanno varcato il confine europeo solo in quell’anno. Nel 2010 e nel 2011, il Marocco è passato invece rispettivamente in seconda e in terza posizione, superato da India e Cina. Se da un lato la Primavera Araba non ha provoca-to nessun aumento anomalo nel trend del flusso migratorio euro-mediterraneo, dall’altro sono gli stessi Paesi del Mediterraneo meridionale ad aver subito – e a subire – gli effetti più macroscopici

Nonostante le preoccupazioni, la Primavera Ara-ba non ha provocato alcun aumento anomalo dei flussi migratori diretti verso l’Europa.

ALLE PORTE DELL’UE L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE N. 6 - Ottobre 2013

UN VASCELLO DELLA GUARDIA DI FINANZA ITALIANA SBARCA UN GRUPPO DI IMMIGRATI AFRICANI A LAMPEDUSA (© FRONTEX)

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dell’aumento del numero di migranti e rifugiati pro-venienti dalla Libia e soprattutto dalla Siria. Le guerre civili prima in Libia e poi in Siria hanno infatti causato una vera e propria crisi dei rifugiati, il cui peso ancora oggi grava per lo più sui Paesi li-mitrofi e interessa solo in misura relativamente marginale l’Europa. Secondo gli ultimi dati per il 2013 resi noti dall’UNHCR, più di 2,1 milioni di ri-fugiati siriani si sono riversati nei Paesi confi-nanti, nei quali la tenuta del tessuto socio-economico diventa ogni giorno più precaria. Più nel-lo specifico, quasi 790.000 siriani hanno varcato il confine libanese, più di 540.000 hanno trovato rifu-gio in Giordania, circa 504.000 in Turchia, quasi 200.000 in Iraq e poco meno di 126.000 in Egitto. Non potrebbe essere più marcato il contrasto con la stima relativa al numero dei rifugiati che avrebbero varcato i confini europei: 20.000 siriani (e 30.000 libici) in tutto.

Colti di sorpresa dall’ampiezza e dalla profondità dell’ondata rivoluzionaria che ha scosso il Nord A-frica a partire dalla fine del 2010, l’UE e i suoi Stati membri si sono ben presto resi conto della necessità di affrontare la crisi migratoria, avanzando una se-rie di misure concrete volte a far fronte al problema nel medio e lungo periodo, come uno strumento per incentivare la creazione di partenariati di mobili-tà: i “Dialoghi con i Paesi del Sud del Mediterraneo per la migrazione, la mobilità e la sicurezza”, confe-zionati su misura per rispondere alle differenti esi-genze di ciascuno dei partner (in collaborazione con gli Stati membri dell’UE). Quattro sono i principi ispiratori dei “Dialoghi”: differenziazione, bilate-ralismo, condizionalità e monitoraggio. L’obietti-vo di fondo è l’attuazione di partenariati di mobilità che garantiscano che il movimento di persone tra lo Stato partner e l’UE avvenga in maniera strutturata e sicura. L’attuazione di un partenariato include, ad esempio, l’avvio di negoziati per facilitare l’emissio-ne dei visti Schengen per categorie specifiche di cittadini (studenti, ricercatori e uomini d’affari). Il Marocco è stato il primo Paese dell’area mediter-ranea a entrare in un partenariato di mobilità con l’UE. Il 7 giugno 2013 Cecilia Malmström, Commis-sario europeo per gli affari interni, e i Ministri com-petenti di 9 Stati membri (Belgio, Francia, Germa-nia, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia e

Regno Unito) hanno infatti firmato ufficialmente l’accordo. I negoziati sono stati aperti anche con la Tunisia e la Giordania, ma sono ancora ad uno sta-

dio poco avanzato. Già in una nota emessa nel mag-gio 2011, la Commissione Europea aveva tuttavia espresso alcune perplessità a proposito della capa-cità dell’Unione di gestire i flussi migratori in ma-niera ottimale, essenzialmente per due ordini di ra-gioni: primo, l’inadeguatezza delle risorse finanzia-rie in dotazione al programma-quadro “Solidarietà e Gestione dei Flussi Migratori” per il periodo 2007-2013; secondo, l’assenza di un approccio oli-stico al problema e la correlata necessità di una maggiore solidarietà (e di una migliore ripartizio-ne delle responsabilità) all’interno dell’Unione. Il naufragio avvenuto lo scorso 3 ottobre a Lampe-dusa, che ha portato alla morte di centinaia di mi-granti provenienti dalla costa africana del Mediter-raneo, rappresenta l’esempio – doloroso e lampante – che gli aspetti critici dell’approccio europeo alla questione migratoria sono molteplici e macroscopi-ci. L’avvio di un processo concreto di ripensa-mento della politica migratoria europea nel suo complesso non è più rinviabile. Per ora, l’unico effet-to concreto del dramma di Lampedusa è stato quel-lo di accendere il dibattito – in seno al Consiglio Eu-ropeo - sull’opportunità o meno di attribuire nuove competenze e risorse all’Agenzia Europea di Con-trollo delle Frontiere (Frontex). E se fosse invece l’approccio securitario dell’UE e dei suoi Stati membri a dover essere messo in di-scussione, come denunciano diverse ONG? ∎

I BENEFICI ECONOMICI DELL’IMMIGRAZIONE Fabio Cassanelli

Il dramma dei rifugiati siriani riguarda soprattut-to i Paesi limitrofi (Libano, Giordania, Turchia e Iraq) e interessa solo marginalmente l’Europa.

Le “Partnership di mobilità” con i Paesi del Medi-terraneo meridionale sono ancora alla fase inizia-le. È attiva solamente quella tra UE e Marocco.

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I BENEFICI ECONOMICI I BENEFICI ECONOMICI DELL’IMMIGRAZIONEDELL’IMMIGRAZIONE

Il dibattito sul tema dell’immigrazione ignora spesso la realtà dei numeri e le logiche dell’economia. I dati dimostrano infatti che l’immigrazione rappresenta un fenomeno molto positivo per l’Unione Europea. Le caratteristiche demografiche degli immigrati e la loro partecipazione alla vita economica sono alla base della sostenibilità dei siste-mi di welfare dei Paesi europei. Questa analisi cerca infatti di dimostrare, numeri alla mano, che i vantaggi economici dell’immigrazione superano ancora i suoi svantaggi.

D i fronte ai temi dell’immigrazione, in Eu-ropa si assiste a un dibattito pubblico ab-bastanza assurdo e irrazionale. Invece di parlare di benefici e svantaggi e analiz-

zare seriamente il fenomeno, troppo spesso si af-fronta la questione attraverso vecchi schemi ideolo-gici buoni per la prima metà del Novecento. La messa a punto di una politica migratoria da parte di uno Stato, invece, dovrebbe essere la risoluzione di un semplice problema di ottimizzazione eco-nomica. Se con l’afflusso di immigrati si riesce nello stesso tempo ad aumentare il loro benessere, non-ché la crescita e la sostenibilità del sistema econo-mico di cui entrano a far parte, ci si ritrova davanti a una politica migratoria estremamente efficace. Il problema sorge se si considera l’Unione Europea un unico sistema economico (i flussi interni di per-sone, beni e capitali sono quasi completamente libe-ri) che non è in grado di gestire a livello centrale le politiche migratorie e i flussi provenienti dall’ester-no del continente. L’enorme frammentazione provo-ca confusione, incertezza e inefficienza, anche perché vi è un enorme gamma di modalità in cui è possibile acquisire la cittadinanza europea. A Cipro, per esempio, è relativamente facile ottener-la se si è facoltosi e disposti ad investire nell’econo-mia del Paese, mentre in Italia il discorso si fa enor-memente più complesso. Questo provoca storture e asimmetrie che non fanno altro che complicare la già difficile gestione dell’integrazione. Quindi, oltre che auspicare una futura e migliore gestione centralizzata dei flussi migratori e una più efficace programmazione dei processi di integrazio-ne sociale ed economica, occorre analizzare perché, al di là di tutte le polemiche, l’immigrazione è, nu-meri alla mano, un fenomeno molto positivo per l’Europa.

Partendo dal mero computo demografico, l’immi-grazione provoca un’espansione della popolazione residente in Europa. Dal momento che la maggior

parte degli immigrati ha un’età molto inferiore ri-spetto alla media dei cittadini europei, questo non fa altro che migliorare l’armonia della curva demogra-fica europea. Come si nota nel seguente grafico di Eurostat, tra la popolazione immigrata è massima la frequenza di persone tra i 20 ed i 45 anni, mentre gli europei vincono nella fascia di popolazione molto giovane ed anziana.

Le conseguenze economiche sono estremamente chiare. Dal momento che gli immigrati sono, nella maggior parte dei casi, adulti in età lavorativa, si ritrovano ad essere contribuenti netti del sistema fiscale e soprattutto del sistema pensionistico del Paese in cui risiedono. La forza lavoro che paga tasse e contributi si allarga e questo rende più so-stenibile per bambini (scuola) e anziani (pensioni) beneficiare di un adeguato sistema di welfare.

di Fabio Cassanelli

Numeri alla mano, l’immigrazione rappresenta un fenomeno molto positivo per l’economia, la situazione demografica e il welfare dell’Europa.

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In Italia, ad esempio, i benefici netti portati dagli immigrati allo Stato ammontano nel 2012 a 1,7 mi-liardi di euro. Nonostante rappresentino solamen-te il 7,4% della popolazione, rappresentano ben il 10% della forza lavoro nazionale. Anche a parità di fascia demografica il semplice au-mento della popolazione di uno Stato rende inevita-bile l’aumento del PIL. Più popolazione significa più lavoratori, consumatori e imprenditori e questo non fa altro che ampliare la dimensione del mercato in-terno.

Un tasto che a prima vista potrebbe sembrare do-lente riguarda le rimesse degli immigrati all’este-ro. In sostanza queste rappresentano l’insieme del denaro che gli immigrati mandano ai famigliari che ancora risiedono nel proprio Paese di origine. Gli ultimi dati riferiti all’Europa risalgono a uno studio di Eurostat del 2010, che registrò un flusso totale di

22 miliardi e 338 milioni di euro diretti al di fuori dell’Unione. Questo flusso verso l’esterno produce un peggioramento della bilancia dei pagamenti eu-ropea, ma allo stesso tempo ha un enorme valore per le prospettive economiche di medio-lungo peri-odo. Le rimesse svolgono infatti un ruolo fondamen-tale nello sviluppo economico dei Paesi in via di svi-luppo e contribuiscono all’ampliamento della ric-chezza del mercato estero, tramite un arricchimento di parte dei suoi consumatori. Lo stesso mercato che in futuro potrebbe accogliere prodotti e servizi pro-dotti da imprese europee. Inoltre, secondo la Banca Mondiale, il sistema delle rimesse prevede, nella maggior parte dei casi, obbli-ghi di trasparenza quali l’apertura di conti in banca sia da parte di chi invia denaro, sia da parte di chi lo riceve. Questo migliora l’integrazione e lo sviluppo dei servizi finanziari in entrambi i Paesi. Un altro capitolo controverso riguarda la tendenza, nel sistema economico di destinazione, alla contra-zione del costo del lavoro a seguito di intense on-date migratorie. In particolare, gli immigrati con

16 OTTOBRE 2010, CASTELVOLTURNO (NA): MANIFESTAZIONE DI LAVORATORI IMMIGRATI ORGANIZZATA DALLA FIOM - CGIL (© FLICKR/EUGENIO)

I BENEFICI ECONOMICI DELL’IMMIGRAZIONE Fabio Cassanelli

Nel 2012, gli immigrati hanno portano allo Stato italiano benefici netti pari a 1,7 miliardi di euro e costituiscono il 10% della forza lavoro nazionale.

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scarse qualifiche professionali tendenzialmente so-no disposti a lavorare ricevendo un salario più bas-so rispetto ai cittadini già residenti nel Paese di arri-vo. Da una parte si crea un enorme vantaggio per le imprese (principalmente nel settore manifatturiero e del settore edile), che vedono scendere progressi-vamente il capitolo di spesa “costo del personale”. In una condizione di concorrenza, il circolo virtuoso permetterebbe di spingere al ribasso il tasso di in-flazione e creare vantaggi per la collettività dei con-sumatori. D’altra parte però, il fenomeno erode reddito e occupazione dei cittadini nazionali con scarsa qualifica professionale.

Per limitare gli effetti deleteri dovrebbe quindi in-tervenire il legislatore con diverse misure. Fra que-ste, la più efficace consiste nello spostare il carico fiscale dal lavoro ai consumi e di conseguenza ta-gliare le tasse sui bassi redditi e inasprire quelle sul valore aggiunto. Grazie alle tendenze deflazionisti-che in atto, una maggiore IVA non danneggerebbe enormemente la propensione all’acquisto dei consu-matori, mentre una minore tassazione sui redditi bassi permetterebbe un aumento dell’occupazio-ne, dei consumi da parte delle persone a basso red-dito e sosterrebbe ancora più il circolo virtuoso del calo dei costi del lavoro per le imprese. Infine, l’ultimo effetto sistemico dell’immigrazione sull’economia di uno Stato riguarda l’afflusso di la-voratori specializzati, con alta qualifica professio-nale o con la volontà di investire nel Paese in cui intendono stabilirsi. Per queste categorie di persone è sempre stata lasciata aperta una corsia preferen-ziale da parte degli Stati europei, il che è comprensi-bile. Le prime due figure in particolare sono in gra-do di elevare il potenziale innovativo del sistema economico ed agevolare la transizione verso attività ad alto valore aggiunto.

La figura dell’investitore, invece, porta vantaggi immediati per l’intera economia. Aumenta infatti la liquidità del sistema finanziario e, se deciso ad inve-

stire nell’economia reale, agevola l’aumento dell’oc-cupazione. Insomma, dopo aver elencato tutte le conseguenze positive dell’immigrazione per l’economia dell’Eu-ropa, occorre cercare di capire a livello quantitativo a quanto ammontano questi benefici. Purtroppo la maggior parte degli studi sono stati portati avanti a livello di singolo Stato membro. Pur mancando un dato aggregato e uniforme, i dati sono comunque sufficienti per avere un’idea ben precisa del loro effetto cumulato, se trasposti a livello europeo. Per esempio, secondo uno studio dell’ILC (International Longevity Centre), l’Europa avrebbe bisogno, rispet-to ai flussi attuali, di ulteriori 11 milioni di immi-grati entro il 2020 per assicurare la sostenibilità dei sistemi pensionistici dei suoi vari Paesi. Secondo una ricerca di Harvey Nash e del CEBR (Centre for Economics and Business Research), inve-ce, se il Regno Unito mettesse un freno ai flussi mi-gratori, il suo PIL calerebbe dal 2% al 6,7% in base

all’asprezza delle politiche attuate. Lo stesso studio ha calcolato che se il Regno Unito uscisse dall’UE, diventerebbe una meta meno ambita per gli immi-grati europei e il suo PIL calerebbe del 2%, mentre la sua popolazione in età lavorativa dell’1,9%. L’immigrazione è dunque per l’Europa un’autentica miniera d’oro che purtroppo non è visibile da tutti i cittadini europei. I fenomeni migratori sono fonda-mentali, ma spesso spaventano quella parte di po-polazione che si sente vulnerabile ai suoi effetti col-laterali. Questo non è altro che un richiamo alla poli-tica nazionale ed europea a mettere velocemente in campo i correttivi adeguati, in modo da accentuare il godimento dei benefici derivanti dall’immigrazio-ne e ridurne gli effetti avversi. ∎

ALLE PORTE DELL’UE L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE N. 6 - Ottobre 2013

Le rimesse in patria sono un problema di breve periodo, mentre il lavoro immigrato erode reddi-to e occupazione dei cittadini poco qualificati.

Lavoratori specializzati e investitori hanno sem-pre avuto una via di accesso privilegiata nell’immigrazione verso il Vecchio Continente.

L’Europa avrà bisogno di altri 11 milioni di immi-grati entro il 2020 per garantire la sostenibilità dei suoi sistemi pensionistici.

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LE POLITICHE MIGRATORIE NAZIONALI LE POLITICHE MIGRATORIE NAZIONALI E IL CASO ITALIAE IL CASO ITALIA--LIBIA LIBIA

Definita dal Consiglio d’Europa una “calamita per l’immigrazione”, l’Italia paga il prez-zo di una politica migratoria fallimentare. Fino al 2011 le relazioni con i Paesi norda-fricani erano basate su accordi bilaterali per il contrasto all’immigrazione clandesti-na. Nel caso delle relazioni con la Libia, l’accordo bilaterale con l’Italia (Trattato di Bengasi) ha costituito l’apripista per i negoziati di un Accordo Quadro con l’UE. Il di-sordine seguito alla caduta di Gheddafi ha cambiato radicalmente lo scenario.

U na calamita per l’immigrazione. Così vie-ne definita l’Italia in un rapporto della commissione migrazioni dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, ap-

provato all’unanimità lo scorso 2 ottobre. Non è pe-rò necessario leggere il dettagliato rapporto per comprendere la portata del fallimento della politi-ca migratoria italiana. Per capire la difficile situa-zione attuale, è necessario comprendere la posizio-ne dell’Italia nel più ampio scenario mediterraneo ed europeo. Il contrasto all’immigrazione irregolare nel Mar Mediterraneo rappresenta da tempo una spina nel fianco non solo per l’Italia, ma anche per gli altri Stati membri mediterranei, come Spagna, Cipro e Malta. Per quanto riguarda la Grecia, invece, il pro-blema dell’immigrazione irregolare riguarda per lo più la frontiera terrestre con la Turchia. A partire dagli eventi rivoluzionari del 2011, che hanno portato enormi sconvolgimenti nei principali Paesi di partenza degli immigrati, la pressione migratoria sulle frontiere meridionali dell’Unione Europea è andata crescendo vertiginosamente, seppur con an-damenti altalenanti. Alla notevole diminuzione del fenomeno nel 2012, ha infatti corrisposto un picco record nel 2013, con le tragiche conseguenze a tutti noi note.

Negli anni scorsi le politiche migratorie esterne de-gli Stati membri maggiormente interessati al feno-meno si sono concentrate soprattutto verso la Libia e la Tunisia, dalle cui coste salpano la quasi totalità degli immigrati clandestini, e verso il Marocco. A questi strumenti di cooperazione bilaterale si sono necessariamente affiancate iniziative a livello euro-

peo e strumenti di cooperazione tra l’UE e i Paesi terzi.

Nel caso specifico dell’Italia, nel corso dell’ultimo decennio sono stati conclusi una serie di accordi bilaterali con i Paesi di partenza, in particolare con la Libia, accanto ad iniziative di pressione verso Bruxelles per arrivare alla realizzazione di una poli-tica migratoria europea più efficace e concreta. Nel dicembre 2000, ad esempio, veniva siglato tra i due Paesi un primo Accordo per introdurre una forma di cooperazione nel contrasto dell’immigrazione via mare. Entrato in vigore nel 2002, l’accordo non pro-dusse gli effetti sperati a causa delle inadempienze libiche e della scarsa collaborazione delle autorità del Paese. Oltre alla cooperazione bilaterale, l’ac-cordo impegnava l’Italia a promuovere nei fora eu-ropei la necessità di fornire alla Libia i finanzia-menti necessari alla sua attuazione. Questi finan-ziamenti, in particolare, avrebbero dovuto rendere possibile la fornitura alla Libia di sei unità maritti-me, di cui tre in via definitiva, con equipaggi misti italo-libici. Il loro obiettivo era di effettuare opera-zioni di controllo, ricerca e salvataggio in acque libi-che e internazionali, nel rispetto degli standard in-ternazionali. Inoltre, Roma prometteva di promuo-vere a Bruxelles la conclusione di un Accordo quadro con la “Grande Giamahiria” e la messa a punto di progetti di sviluppo in Libia e nei Paesi di origine degli immigrati. Anche queste promesse ri-masero prive di conseguenze. I primi risultati reali della cooperazione si registra-rono solo a partire dal 2008. Fu nell’agosto di quell’anno che l’allora Presidente del Consiglio ita-liano, Silvio Berlusconi, concluse il cosiddetto Trat-

di Sara Bottin

La politica migratoria italiana è stata fino ad oggi fallimentare. Il contrasto all’immigrazione clan-destina nel Mediterraneo è un problema europeo.

Fino al 2011 la politica migratoria europea si è costruita su accordi bilaterali con i Paesi di par-tenza, specie Libia, Tunisia e Marocco.

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tato di Bengasi con il leader libico Muammar Ghed-dafi. Il Trattato affidava a società italiane l’obiettivo di realizzare un sistema di controllo delle frontiere libiche per prevenire i flussi di migranti provenienti dai Paesi vicini ed impegnava Roma e Tripoli in una campagna a livello regionale per prevenire le cau-se prime di questi flussi. L’immediato risultato, a livello europeo, fu la definizione di un fronte comu-

ne a Bruxelles, anche noto come “Gruppo dei Quat-tro”, composto da Italia, Malta, Cipro e Grecia. Come sappiamo, sono questi Stati membri, assieme alla Spagna, a vivere più direttamente le conseguenze dell’arrivo degli immigrati irregolari: operazioni di salvataggio in mare, accoglienza, esame delle do-mande di asilo, eventuale rimpatrio. Lo scopo dei Quattro consisteva nella promozione di azioni con-

crete e più incisive, ma soprattutto con maggiore dotazione finanziaria, nella lotta all’immigrazione clandestina nel Mediterraneo. L’Italia, con le parole dell’allora Ministro dell’Interno Roberto Maroni, si proponeva come guida del Gruppo. Tuttavia l’unica conseguenza concreta del Trattato di Bengasi in Eu-ropa fu una storica sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani che, nel 2012, condannò Roma per violazione della Convenzione Europea dei Diritti Umani. L’oggetto della contesa erano le note prati-che di respingimento degli immigrati clandestini intercettati in mare e basatesi proprio sulle previ-sioni del Trattato. Nel 2012, però, il Trattato di Bengasi era ormai su-perato dai fatti. L’ondata di ribellioni nei Paesi a-rabi aveva dapprima tolto dalla scena gli usuali in-terlocutori di Roma e, in secondo luogo, prodotto un notevole incremento dei flussi migratori via mare. La decisione italiana fu di sospendere il Trattato, in ragione dello stato di guerriglia interna in cui versa-va la Libia dopo la caduta di Gheddafi. Il 2011 aveva

ESERCITAZIONI NAVALI DELLA GUARDIA DI FINANZA ITALIANA IN COLLABORAZIONE CON L’AGENZIA FRONTEX NEL MEDITERRANEO MERIDIONALE (© FRONTEX)

Il Trattato di Bengasi tra Italia e Libia del 2008 aprì la strada alla cooperazione nei respingimenti e al percorso per un Accordo Quadro UE-Tripoli.

ALLE PORTE DELL’UE L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE N. 6 - Ottobre 2013

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già registrato l’apice nel numero dei morti durante la traversata del Mediterraneo, complice anche l’incapacità delle autorità libiche di mantenere il controllo sul proprio territorio e sulle proprie fron-tiere, difficoltà che avevano reso il Paese una facile preda per organizzazioni terroristiche e narcotraffi-canti.

Nel frattempo, alcuni mesi prima della caduta del colonnello, il Parlamento Europeo rivolgeva al Consiglio una raccomandazione sui negoziati del-l’Accordo quadro UE-Libia, volto ad aumentare la cooperazione anche in settori quali la sicurezza e la migrazione. In più, Parlamento e Consiglio adottava-no una direttiva sulla prevenzione e la repressio-ne della tratta di esseri umani e la protezione del-le sue vittime. La raccomandazione richiamava, tra l’altro, il Trattato di Bengasi e ricordava a Consiglio e Commissione il loro obbligo di garantire che la politica esterna dell’UE garantisse il rispetto della Carta dei diritti fondamentali. Nello specifico, si fa-ceva riferimento al divieto di espulsioni collettive e al principio di non respingimento. Gli sconvolgi-menti dei mesi a venire avrebbero allontanato la prospettiva di una reale conclusione dell’accordo che, di fatto, è rimasto bloccato alla fase negoziale. La direttiva, invece, introduceva per la prima volta disposizioni comuni per rafforzare la prevenzione della tratta di esseri umani, reato direttamente col-legato con l’immigrazione clandestina nel Mediter-raneo, segnando quindi un passo positivo verso l’armonizzazione delle norme sulla materia. La situazione odierna del contrasto all’immigra-zione irregolare rimane però caratterizzata da un vuoto, non solo normativo ma anche di autorità. An-che da questo deriva, senza dubbio, quel fallimento della politica migratoria italiana nel Mediterraneo sottolineato dal rapporto del Consiglio d’Europa. Come attuare una forma di collaborazione con una Libia incapace di esercitare controllo sul proprio territorio, frontiere e coste comprese? Nel tentativo di dare una rapida risposta a questo dilemma, nell’aprile 2012, l’allora Ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri ha concluso un Accordo segreto sull’immigrazione clandestina con il Ministro del-l’Interno libico, Fawzi Altaher Abdulati. Il testo dell’accordo, segretato, sembrerebbe ripercorrere la strada delle vecchie intese tra Roma e Gheddafi, au-

torizzando le autorità italiane a intercettare i richie-denti asilo e riconsegnarli ai soldati libici e impe-gnando l’Italia a fornire attrezzature e addestra-mento alle forze libiche. I risultati di questo accor-do restano di difficile interpretazione. Come ricor-dato precedentemente, il 2012 ha visto un incredi-bile rallentamento dei flussi di migranti via mare portando in molti a credere che si trattasse di una diretta conseguenza dell’accordo. Il 2013 ha invece bruscamente spento questi ottimismi, con un nuo-vo record di oltre 30.000 immigrati giunti in Ita-lia, per lo più a Lampedusa e in Calabria, attraverso le acque del Mediterraneo. Perché i flussi rallentino sembrano quindi necessarie nuove iniziative. Dall’altra sponda del Mare Nostrum, Ali Zeidan, Primo Ministro libico, chiede all’UE di poter accede-re al sistema satellitare europeo, che permette-rebbe di intercettare le barche dei trafficanti e con-trollare le coste libiche. Chiede inoltre aiuto nell’ad-destramento ed equipaggiamento della polizia di frontiera. Pur dimostrando pubblicamente l’impe-

gno a collaborare con l’Italia e l’UE per porre termi-ne al dramma dell’immigrazione clandestina, Zeidan rimane però decisamente più concentrato sulle pro-blematiche interne al Paese, a maggior ragione dopo il suo breve rapimento da parte di milizie ri-belli nel corso delle scorse settimane. Sembrano quindi ancora lontani i giorni in cui si potrà attuare una vera e propria collaborazione in materia, tanto con l’Italia quanto con l’intera UE. Quest’ultima, in particolare, è chiamata a svolgere un ruolo decisivo per le strutture e meccanismi di cui dispone potenzialmente, ma che ancora non hanno trovato un’attuazione efficace. Importante sarà sicuramente il lancio dei progetti Copernico e Galileo, che forniranno i loro primi servizi nel 2014. Il vice-presidente della Commissione Europea, An-tonio Tajani, ha recentemente ricordato che questi progetti, assieme a Perseus e Egnos, operativi dal 2011, renderanno la sorveglianza marittima più ef-ficace e forniranno un grande sostegno a Frontex ed Eurosur accrescendone il ruolo operativo. Ma l’UE è soprattutto chiamata ad assicurare il proprio supporto politico ed una maggiore solidarietà, trop-po spesso mancate verso i Paesi che, come l’Italia, occupano da tempo il piano terra dell’UE, in senso geografico e non solo. ∎

La scomoda relazione tra l’Europa e Gheddafi si basava sulla cooperazione in materia di prevenzio-ne e repressione delle tratte clandestine.

LE POLITICHE MIGRATORIE NAZIONALI E IL CASO ITALIA-LIBIA Sara Bottin

Il caos in Libia complica la cooperazione con l’UE nel controllo delle migrazioni, ma nel 2012 l’Italia ha siglato con Tripoli un nuovo accordo segreto.

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IL REATO DI IMMIGRAZIONE IL REATO DI IMMIGRAZIONE CLANDESTINA IN EUROPACLANDESTINA IN EUROPA

La legge n. 94 del 2009 che ha introdotto in Italia il reato di immigrazione clandestina è stata molto dibattuta negli ultimi mesi, ma non costituisce affatto un caso unico nel panorama europeo. In Francia, Germania e Regno Unito esistono reati di immigrazio-ne illegale simili a quello italiano. La norma costituzionale che impone l’obbligatorietà dell’azione penale agli inquirenti è invece una peculiarità italiana che rende il reato particolarmente problematico per il funzionamento della giustizia.

N ella notte tra il 2 e il 3 ottobre le acque del Mediterraneo sono state teatro di uno dei più drammatici episodi che la storia delle migrazioni verso l’Europa ricordi. Il

Mare Nostrum ha infatti inghiottito più di 360 per-sone tra uomini, donne e bambini desiderosi di fug-gire da un presente insostenibile. A tale tragedia sono seguite commoventi azioni di solidarietà so-prattutto da parte degli abitanti di Lampedusa, l’isola a largo della quale è avvenuto il naufragio. A fronte di tutto questo, però, i 155 sopravvissuti alla catastrofe sono stati immediatamente iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Agrigen-to a causa della legge n. 94 del 15 luglio 2009. La notizia ha destato sdegno e incredulità, ma le auto-rità giudiziarie non hanno potuto comportarsi di-versamente, a causa del reato di immigrazione clandestina. Un reato previsto dalla sopracitata legge dello Stato, approvata nell’ambito del primo “pacchetto sicurezza” dell’allora Ministro degli In-terni Roberto Maroni. Provvidenzialmente questo episodio increscioso ha portato alla luce le criticità di tale previsione normativa e il 9 ottobre scorso la Commissione Giustizia del Senato vi ha apportato sostanziali modifiche.

Il dibattito pubblico che ha accompagnato quest’ul-timo emendamento è stato piuttosto acceso e ha visto diversi esponenti politici dichiarare che il rea-to di immigrazione clandestina non è un unicum italiano, ma è presente negli altri Stati europei. Det-to così, nulla da obiettare, ma scavando in profondi-tà i distinguo non sono di poco conto e comunque le differenze nella localizzazione geografica di Paesi come Italia, Germania o Regno Unito dovrebbero

invitare a riflessioni più articolate. Tuttavia, prima è bene chiarire cosa s’intenda per “immigrazione illegale”. Si tratta dell’ingresso o il soggiorno di cittadini stranieri in violazione delle leggi sull’immigrazione del Paese di destinazione. Di norma, lo status dell’immigrato irregolare è tem-poraneo, poiché può accadere che persone entrate clandestinamente sanino la loro posizione per mez-zo di regolarizzazioni o sanatorie. Di contro, può succedere che persone entrate regolarmente in un Paese divengano “irregolari” per il semplice fatto di avervi soggiornato più del consentito (overstaying).

La norma introdotta nel 2009 punisce a titolo di re-ato entrambe le fattispecie, criminalizzando mere condizioni personali. È proprio questa la critica più aspra, ossia il fatto di punire non una condotta, ma uno status (condizione individuale di migran-te), quindi esser sanzionati per chi si è e non per quello che si è fatto. Non a caso, la Corte Costituzio-nale con la sentenza 249 del 5 luglio 2010 dichiarò illegittimo uno degli elementi più controversi del testo in oggetto, ossia l’aggravante di clandestinità che aumentava fino a un terzo le pene per qualsiasi reato fosse stato commesso da un clandestino. L’incompatibilità con il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione era peral-tro evidente. Con ulteriore sentenza, la 250/2010, la Corte stessa ritenne invece il cosiddetto “reato di clandestinità” una scelta rientrante nella sfera di-screzionale del legislatore. Da ultimo, sono piovute critiche severe anche dal Parlamento Europeo, che il 23 ottobre scorso con una risoluzione biparti-san riferita implicitamente alla legge Bossi-Fini chiedeva di «modificare o rivedere eventuali nor-

di Simone Belladonna

Le autorità italiane hanno iscritto nel registro de-gli indagati per immigrazione clandestina i 155 sopravvissuti del naufragio del 3 ottobre.

La Corte Costituzionale e il Parlamento Europeo hanno criticato diversi aspetti del reato di clande-stinità come enunciato dalla legge 94 del 2009.

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mative che infliggono sanzioni a chi presta assisten-za in mare». Qualora tutto questo non bastasse per criticare se-veramente il reato ascritto ai 155 sopravvissuti di Lampedusa, va segnalata anche la mole abnorme di processi che gravano su un sistema giudiziario non certo esemplare per efficacia ed efficienza. Queste erano appunto alcune delle più macroscopi-che criticità del reato introdotto nel 2009. Cosa ac-cade negli altri Paesi? Come già accennato, anche altri Stati europei hanno adottato soluzioni simili, specialmente Regno Unito, Germania e Francia.

In Francia la disciplina dell’immigrazione è da ri-cercarsi nel Code de l'entrée et du séjour des étran-gers et du droit d'asile. Esistono appunto due tipolo-gie di permesso di soggiorno nel Paese transalpino: uno temporaneo della durata massima di un anno (carte de séjour temporaire) e uno a lungo termine (carte de résident) con scadenza decennale rinnova-bile. Si segnala che in tale ordinamento l’immigra-zione clandestina è sanzionata penalmente. Per-ciò, ai sensi degli articoli L. 621-1 del detto testo di riferimento, lo straniero che entri in modo irregola-re o si trattenga più del consentito sul suolo france-

se è punito con la reclusione di un anno ed un’ammenda di 3.750 euro. Medesimo trattamento è riservato a coloro i quali abbiano violato le dispo-sizioni di Schengen in quanto al possesso dei docu-menti di viaggio. Inoltre il giudice può interdire l’ingresso o il soggiorno di chi è stato condannato per immigrazione clandestina per un periodo non eccedente i 36 mesi. Quando ciò accade, scontata la pena, il soggetto in questione viene accompagnato alla frontiera. Sono tutti temi di estrema attualità in Francia, anche e soprattutto dopo il caso di Leonar-da Dibrani, la ragazzina kosovara di etnia rom espulsa dal Paese il 9 ottobre scorso dopo esser sta-ta prelevata durante una gita scolastica. Infine, nel caso in cui lo straniero si sottragga o tenti di sottrar-si al provvedimento di accompagnamento alla fron-tiera, ovvero varchi nuovamente i confini transalpi-ni dopo esserne stato allontanato, sarà punito con tre anni di reclusione. Dunque la normativa francese sembra non disco-starsi sostanzialmente da quella italiana. Vi è però un punto imprescindibile di differenziazione: oltral-pe non esiste l’obbligatorietà dell’azione penale. Non avendo un articolo analogo al 112 della Costitu-zione italiana, in Francia i procuratori seguono indi-rizzi provenienti dal Ministro della Giustizia nel da-re priorità al perseguimento di taluni tipi di reati e ciò vale anche per il reato d’ingresso o soggiorno illegale nel Paese. Indi per cui la scelta di perseguire

UN GRUPPO DI SOCCORRITORI DELLA GUARDIA COSTIERA E DELLA CROCE ROSSA ACCOLGONO UN GRUPPO DI IMMIGRATI IN ARRIVO A LAMPEDUSA (© FRONTEX)

In Francia il reato di immigrazione illegale si lega alla discrezionalità dell’azione penale a disposi-zione degli inquirenti.

IL REATO DI IMMIGRAZIONE CLANDESTINA IN EUROPA Simone Belladonna

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tale reato ricorrendo a pene detentive è legata alla valutazione di quale sia il modo migliore di garanti-re l’effettività delle misure di allontanamento. Perciò ben difficilmente nel caos dei superstiti di Lampedusa si sarebbe assistito alla loro iscrizione nel registro degli indagati.

Per quanto riguarda la Germania, l’ingresso dei cit-tadini extra-comunitari è disciplinato dalla Aufen-thaltsgesetz del 30 luglio 2004, la quale, come nel caso francese, contempla permessi di soggiorno temporanei (Aufenthaltserlaubnis) e permanenti (Niederlassungserlaubnis). Anche sul suolo tedesco l’immigrazione illegale configura un reato, puni-to dall’articolo 95 con una pena detentiva da uno a tre anni e una sanzione pecuniaria. La detenzione fino ad un anno è prevista per diverse fattispecie di reato tra cui la residenza in territorio tedesco senza passaporto o altro documento di identità valido, il rilascio di dichiarazioni false o incomplete relativa-mente ai propri dati personali ai sensi dell'articolo 49.2, la violazione ripetuta del limite di validità ter-ritoriale del permesso di soggiorno e l’appartenenza a una associazione o gruppo la cui esistenza, obietti-vi o attività siano tenute volutamente segrete alle autorità. La reclusione fino a tre anni è prevista invece per lo straniero che, già espulso o ricondotto alla fron-tiera, entri o soggiorni nuovamente nel territorio federale, utilizzi o fornisca false informazioni al fine di procurare per sé o per altri un permesso di sog-giorno o una sospensione temporanea di un provve-dimento di espulsione e utilizzi tali documenti per fine di frode. In ogni caso, il giudice può comminare una pena pecuniaria alternativa alla reclusione. Nel Regno Unito pure è presente il reato d’immigrazione clandestina e ha origini anche piut-tosto datate, dacché risale all’Immigration Act del 1971, il quale è stato poi integrato nel 2004 dall’Asylum and Immigration Act. In Gran Breta-gna per prassi i controlli interni sui cittadini non esistono, quindi vengono effettuati alle frontiere da funzionari dell’immigrazione o dell’Home Office. Inoltre, non si ha reato nel caso in cui il soggetto esibisca entro tre giorni un documento valido. A questo proposito sono definite tutta una serie di giustificazioni (defences) per provare di avere un

giustificato motivo per non aver avuto con sé il do-cumento. Anche nel regno di Sua Maestà non c’è un equivalen-te del già citato articolo 112 Cost., per cui interviene nuovamente la discrezionalità dell’autorità giudi-ziaria sull’opportunità di procedere. In linea ge-nerale l’espulsione può esser disposta per via ammi-nistrativa dal Ministro degli Affari Interni o segui-re una condanna penale. La discrezionalità del Mini-stero è piuttosto ampia, tanto da poter tenere in considerazione la specifica situazione dello stranie-ro, oltre alle ragioni umanitarie. Anche nel Regno Unito, quindi, non avremo mai assistito al tratta-mento riservato ai sopravvissuti di Lampedusa.

Quest’ultimo punto ci porta a considerare come le leggi di uno Stato, soprattutto in materie delicate come quella del controllo dei flussi migratori, deb-bano tenere in considerazione le specificità del Pa-ese stesso. Innanzitutto pare alquanto improbabile che tragedie come quella di Lampedusa possano avvenire in Gran Bretagna o sulle coste tedesche. E poi, come si è cercato di dimostrare, il particolare assetto costituzionale italiano non si s’addice alla previsione di un reato di clandestinità. Chi ha conce-pito (e chi ancora oggi difende) la legge 94/2009 doveva pensare alle conseguenze su un Paese che per la sua geografia è uno delle mete più ambite per gli sbarchi e non trincerarsi dietro l’afferma-zione auto-assolutoria che il reato di clandestinità esiste anche in altri grandi Paesi europei. È invece più che sensata l’esortazione a fare di più a livello europeo per risolvere un problema che non può evidentemente essere solo italiano. È pur vero che solo il 15% degli immigrati irregolari in Ita-lia arrivano attraverso il Mediterraneo, ma lo è ancor di più che il Mare Nostrum si sta tingendo sempre più di rosso. È una situazione inaccettabile per un continente che si ritiene – ed è – faro nel campo dei diritti umani nel mondo. La visita del Presidente della Commissione Europea José Ma-nuel Barroso a Lampedusa è stato un primo segna-le. Restiamo però in attesa dell’ormai irrimandabile cambio di rotta. ∎

ALLE PORTE DELL’UE L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE

N. 6 - Ottobre 2013

In Germania una legge del 2004 disciplina il reato di immigrazione illegale. La pena può essere com-mutata dal giudice in sanzione pecuniaria.

L’Asylum and Immigration Act britannico del 2004 prevede controlli alle frontiere da parte del Ministero degli Interni e forme di giustificazione.

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FRONTEX E IL CONFINE TRA FRONTEX E IL CONFINE TRA SICUREZZA E DIRITTI UMANI SICUREZZA E DIRITTI UMANI

L’allargamento e le sfide del contesto internazionale hanno spinto l’UE a dotarsi di u-no strumento di gestione delle frontiere esterne comuni. Varata nel 2004, Frontex non è un corpo di polizia di frontiera europeo, ma un’agenzia che coordina e supporta le autorità nazionali nella sorveglianza dei confini. L’Agenzia è diventata oggetto di pesanti accuse, in particolare per le violazioni dei diritti umani, sebbene siano ancora gli Stati membri a gestire le operazioni di sicurezza alle frontiere dell’UE.

C amminando lungo le strade del quartiere europeo di Bruxelles è possibile notare, disegnate sui marciapiedi, tante piccole corone a 12 stelle. Al centro di queste,

qualcuno ha aggiunto una scritta: “FRONTEX KILLS”. Apparvero nel dicembre 2011, quando i tu-multi in Nord Africa avevano accentuato i flussi mi-gratori attraverso il Mediterraneo e Human Rights Watch aveva da poco pubblicato il documento “EU's Dirty Hands”, in cui collegava l’agenzia europea di monitoraggio delle frontiere esterne, Frontex, a ri-petute violazioni di diritti umani di richiedenti asilo e rifugiati in Grecia. Tornando indietro di circa vent'anni, è possibile rin-tracciare tre esigenze che hanno spinto gli Stati eu-ropei a dotarsi di una strumento di gestione delle frontiere esterne comuni. In primo luogo la preoc-cupazioni di alcuni governi europei in merito all'au-mento dei flussi migratori negli anni Novanta. Inol-tre, con l’allargamento dell’Unione, il timore era che i Paesi dell'Est Europa non fossero in grado, da soli, di fornire un'adeguata gestione delle frontiere. Infine, la generalizzata tendenza a rafforzare i con-trolli di frontiera in seguito all'escalation terrori-stica di quegli anni.

L'idea di un sistema uniforme di sorveglianza e con-trollo delle frontiere esterne dell'UE aleggiava già da tempo in Europa, ma si dovette attendere il 2001 perché fosse lanciata un'iniziativa concreta: Italia e Germania presentarono al Consiglio una proposta per la creazione di una Polizia di Frontiera Euro-pea, prontamente appoggiati da Francia e Spagna ed altrettanto prontamente osteggiati da Londra, che temeva un'eccessiva centralizzazione di poteri.

Un compromesso fu raggiunto dopo pochi mesi, quando il Consiglio Europeo identificò quattro o-biettivi su cui si sarebbe dovuta incardinare qualsia-si azione adottata in tale direzione: standardizzare i controlli alle frontiere europee, fornire assistenza ai Paesi in procinto di adesione nel rafforzare le pro-prie capacità frontaliere, facilitare la gestione di cri-si legate alle frontiere europee e prevenire l'immi-grazione illegale e altri crimini transfrontalieri. Nes-sun riferimento fu inserito in merito a eventuali cor-pi di polizia frontaliera.

In mancanza di una reale comunità d'intenti, la Commissione Europea propose la costruzione di un'Unità Comune di Esperti per le Frontiere E-sterne (External Borders Practitioners Common U-nit), il cui compito sarebbe stato quello di gestire e pianificare la convergenza di personale ed equipag-giamenti degli Stati membri in materia. L’Unità mancava però del tutto di capacità di coordinamen-to concreto delle operazioni di pattugliamento, tan-to da spingere la stessa Commissione a proporne l'affiancamento (e poi la sostituzione) con un'agen-zia operativa: nasceva così, il 26 ottobre 2004, Frontex, l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa delle frontiere esterne degli Stati membri dell'UE. I compiti principali dell'Agenzia riguardano il coor-dinamento della cooperazione operativa tra Stati membri nella gestione delle frontiere esterne, l'assi-stenza agli Stati membri in materia di formazione del corpo nazionale delle guardie di confine e l'ana-lisi dei rischi e degli sviluppi della ricerca pertinenti al controllo e alla sorveglianza. È inoltre previsto

di Enrico Iacovizzi

Diversi fattori spinsero gli Stati membri dell’UE a dotarsi, nei primi anni Duemila, di uno strumen-to di gestione delle frontiere esterne comuni.

Frontex nacque nel 2004 dopo la bocciatura della proposta di una Polizia di Frontiera Europea e il fallimento dell’Unità di Esperti.

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l'ausilio agli Stati membri in circostanze che richie-dono una maggiore assistenza tecnica e operati-va, nonché il supporto necessario agli Stati membri per l'organizzazione di operazioni di rimpatrio con-giunte. Al fine di svolgere questi compiti, Frontex è dotata una divisione dedita allo sviluppo del capa-city building - tramite addestramento e ricerca e svi-luppo - e una divisione operativa per l'analisi dei rischi e lo svolgimento delle operazioni congiun-te, entrambe composte in parte da esperti nazionali, in parte da personale appositamente assunto dall'A-genzia. L'Agenzia dispone infine di un braccio ope-rativo, gli European Border Guard Teams, unità composte da personale delle polizie di frontiera dei diversi Stati membri, e incaricate di svolgere opera-zioni di intervento rapido. L'operato di Frontex, in special modo nel Mediterra-neo, ha attirato l'attenzione di diversi osservatori, siano essi ONG o organizzazioni intergovernative, Stati membri o Paesi a forte flusso emigratorio, non-ché sollevato numerose critiche dal punto di vista sia operativo che organizzativo. Riguardo al primo aspetto, Frontex è stata accusata a gran voce per le ripetute violazioni dei diritti umani, a partire dalle pratiche di respingimento da

parte delle autorità costiere europee, che mettono a rischio la vita dei migranti e agiscono sul filo della legalità rispetto al diritto d'asilo e il divieto di refou-lement. Sono i casi di Grecia e Spagna, che hanno spesso respinto imbarcazioni provenienti da Tur-chia e nord Africa. È anche il caso dell'Italia, che, in seguito al respingimento di 24 immigrati libici nel 2009, è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani per violazione dell'articolo 3 sul divie-to di tortura della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo e per violazione del divieto di espulsione collettiva.

Un'altra accusa piuttosto recente è stata quella rela-tiva al caso greco. Dopo che il Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite ha dichiarato crisi uma-nitaria la situazione dei centri d'accoglienza per rifugiati nel Paese ellenico e in particolare nella re-gione di Evros. Frontex ha avviato un'operazione di Intervento Rapido al Confine, lo European Com-mittee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT). L’accusa

PERSONALE DI FRONTEX SOCCORRE UN BARCONE DI MIGRANTI A LARGO DI LAMPEDUSA NELLA MISSIONE SEARCH AND RESCUE “JO HERMES” (© FRONTEX 2013).

L’Agenzia è diventata oggetto di accuse di ripetu-te violazioni dei diritti umani. I casi di Italia, Spa-gna e Grecia, in particolare, sono emblematici.

ALLE PORTE DELL’UE L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE

N. 6 - Ottobre 2013

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del Commissariato al governo greco era di aver na-scosto la precarietà delle condizioni di vita di nume-rosi profughi provenienti dal confine turco, e che l'intervento di Frontex non aveva apportato sostan-ziali miglioramenti. Un'accusa analoga è giunta an-che dall'Agenzia Europea per i Diritti Fondamen-tali, che lamentò come l'operato di Frontex avesse avuto impatto solo nelle fasi di consegna alle autori-tà greche, mentre non aveva avuto alcun effetto sul miglioramento delle condizioni di detenzione, un argomento per altro al di fuori degli obiettivi della missione. In seguito a tali accuse, l'Agenzia ha adot-tato una Strategia per i Diritti Fondamentali al fine di integrare questi ultimi nella gestione dei con-fini, sottolineando però che il mandato dell'Agenzia la rende responsabile solo per il coordinamento de-gli Stati membri e non per la loro condotta. Alla luce di tali critiche occorre evidenziare due ele-menti chiave: in primo luogo Frontex non è una polizia europea di frontiera, ma uno strumento per il coordinamento delle autorità di controllo nazionali. In secondo luogo, come ha sottolineato lo studioso e docente di diritto europeo alla Leiden Law School Jorrit Rijpma, l'approccio che gli Stati membri hanno adottato attraverso Frontex ha una natura di carattere securitario piuttosto che di ge-stione dei flussi migratori e protezione dei diritti umani.

Non si deve a tal proposito dimenticare che il man-dato dell'Agenzia resta ad oggi piuttosto limitato e che le violazioni dei diritti umani avvengono per lo più per mano dei governi nazionali e non di Frontex. Basta infatti guardare alla travagliata nascita dell'A-genzia per capire quanti siano i suoi freni politici e i suoi limiti strutturali. Lo stesso Direttore di Frontex, il finlandese Ikka Laitinen, ha definito l'Agenzia «una struttura di coordinamento con pochi poteri esecutivi», sottendendo la forte dipendenza dai go-verni europei che ancora oggi la caratterizza. Da questo presupposto sono scaturite ulteriori critiche, additando Frontex come un modo dei governi, inca-paci di reagire adeguatamente ai flussi migratori, per scaricare colpe di cattiva gestione che altrimenti sarebbero ricadute sulle rispettive capitali. In realtà, la limitatezza del mandato di Frontex si lega al fatto che l'Agenzia non vuole sostituirsi alle autorità nazionali di controllo delle frontiere. Gli

Stati membri hanno invece un ruolo di rilievo nella pianificazione delle operazioni congiunte, spesso travalicando la consulenza di Frontex in numerosi aspetti, che vanno dalle tempistiche agli strumenti tecnici, alle risorse umane e finanziarie. Durante lo svolgimento delle operazioni, poi, sono gli Stati membri a essere investiti delle capacità di co-mando e controllo. I governi hanno infine un ruolo decisivo anche nell'analisi del rischio, compito che dovrebbe invece risiedere solo nelle mani dell'Agen-zia, anteponendo le proprie considerazioni politiche alle necessità strategiche comuni. Tutto questo sen-za dimenticare che le autorità nazionali possono comunque disporre operazioni parallele a quel-le di Frontex in maniera del tutto autonoma, pro-prio come ha dimostrato il varo da parte dell’Italia dell’operazione marittima e umanitaria “Mare No-strum. La recente tragedia umanitaria di Lampedusa ha forse dato il via a un cambiamento di prospettiva maggiormente focalizzato sul rispetto dei diritti u-mani dei disperati che affollano le carrette del mare che attraversano il Mediterraneo. Il Commissario europeo per gli Affari Interni, Cecilia Malström, ha parlato di una nuova grande operazione Frontex di salvataggio sicuro «da Cipro alla Spagna», anche se resta da vedere fino a dove riuscirà a spingersi il compromesso tra i diversi Stati membri, sia dal pun-to di vista finanziario che da quello politico. Nel frat-tempo, il Parlamento Europeo ha approvato lo scor-so 10 ottobre il sistema di coordinamento europeo di sorveglianza della frontiera esterna nel Mediter-raneo, EUROSUR, che, a partire dal 2 dicembre, co-ordinerà diversi sistemi di localizzazione, tra cui satelliti e radar permettendo una migliore e più ra-pida gestione delle crisi. Una maggiore consapevolezza della dimensione umanitaria dell'immigrazione e la sua integrazio-ne negli addestramenti di search and rescue do-vrebbero essere al centro degli sforzi futuri di Fron-tex. Una più concreta cultura dei diritti umani accre-scerebbe l'accountability dell'Agenzia e potrebbe diffondere tale cultura nei corpi nazionali coinvolti. Dal canto loro, gli Stati membri dovrebbero smette-re di criticare Frontexper la sua limitatezza operati-va, dal momento che il mandato dell'Agenzia dipen-de essenzialmente dal fatto che siano gli Stati stessi ed assumersi, tutti, le proprie responsabilità, deci-dendo cosa vogliono che Frontex sia. Una struttu-ra su cui scaricare le colpe non serve a nessuno.∎

FRONTEX E IL CONFINE TRA SICUREZZA E DIRITTI UMANI Enrico Iacovizzi

Nonostante le critiche, Frontex non è una polizia europea di frontiera, ma coordina le autorità na-zionali nel controllo delle frontiere esterne.

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DAL GOLFO DI ADEN AL MEDITERRANEO:DAL GOLFO DI ADEN AL MEDITERRANEO: L’UE E LA LUNGA STRADA PER ITACAL’UE E LA LUNGA STRADA PER ITACA

L’immigrazione non è affatto un’emergenza, ma un fenomeno consolidato che percor-re rotte conosciute. L’azione sui Paesi d’origine, assieme a un sistema di missioni civili e militari volte a dare solidità agli Stati di transito e a monitorare i mari, può offrire una soluzione alle ragioni di sicurezza dell’Europa e dei migranti. EUCAP Nestor e l’Operazione Atalanta nel Golfo di Aden offrono spunti utili per disegnare un’azione concertata di UE, Stati membri e Paesi terzi per fare del Mediterraneo un mare sicuro.

D opo tragici eventi come quello di Lampedusa, in Italia si riaccendono i ri-flettori dei media su una

questione sistematicamente ignorata da ormai un ventennio: l’immigrazio-ne. È dalle prime immagini degli sbar-chi di cittadini albanesi sulle coste pugliesi nel lontano 1997, durante la cosiddetta “anarchia albanese”, che i governi susseguitisi alla guida del Paese hanno cercato sempre molto timidamente di risolvere quella che viene percepita da ampia parte dell’opinione pubblica come un’emer-genza. Il risultato è un nulla di fatto. In parte per mancanza di visione di lungo termine, in parte per la distorta percezione che l’opinione pubblica ha del problema e anche per una scarsis-sima coordinazione a livello europeo, il bandolo della matassa deve ancora essere trovato. In questa analisi si cercherà di fare chiarezza su questo delicato tema, tracciandone i caratteri salienti e a-vanzando alcune proposte su come potrebbe essere affrontata la questio-ne. Innanzitutto, dati alla mano, l’immigrazione non è affatto un’emergenza, quantomeno per l’Italia e in termini numerici. Se-condo i dati OCSE, i flussi verso l’Italia hanno regi-strato una diminuzione già nel 2012. Inoltre, con questo tasso di natalità (9 per mille secondo i dati Istat del 2012, cioè tra i più bassi al mondo) senza l’apporto demografico garantito dagli immigrati, la popolazione italiana diminuirebbe a un tasso espo-nenziale. Ancora, la popolazione straniera è il 7,4% su quella totale (dati Istat 2013), una percentuale

non bassa, ma nella media rispetto agli altri Paesi di simili dimensioni (in Germania è l’8,8%, in Spagna il 12% e in Francia il 5,9%). Detto questo, esistono strumenti utilizzabili per poter razionalizzare il flusso d’immigrati. Sì perché, come già il Ministro degli Esteri italiano Emma Bonino ha cercato di spiegare, «una soluzione miracolosa al problema non c’è». Sempre ammesso che di problema si tratti. Innanzitutto, per cominciare ad affrontare la que-stione, è necessario agire sui Paesi di origine, per

di Gianluca Farsetti e Giuseppe Lettieri

OPERAZIONI DI MONITORAGGIO NELL’AMBITO DELLA MISSIONE ATALANTA (© EUNAVFOR SOMALIA)

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L’ISOLA DI LAMPEDUSA SUI MONITOR DEGLI OPERATORI DI FRONTEX, NEL CORSO DELL’OPERAZIONE HERMES MESSA IN CAMPO DALL’AGENZIA (© FRONTEX ).

almeno due ragioni. La prima riguarda il fatto che la maggior parte degli immigrati che si trovano in Eu-ropa è arrivata in modo assolutamente legale, cioè con regolare visto d’ingresso. In secondo luogo perché le possibili rotte utilizzabili dai migranti che decidono di intraprendere il durissimo viaggio che li porterà in Europa sono ben note ormai da anni. In-fatti, le principali direttrici che riguardano l’Italia e l’Unione Europea sono tre: la prima è quella dell’Europa orientale, soprattutto attraverso l’Ucrai-na. La seconda, invece, parte dai Paesi centrafricani e del Corno d’Africa e si articola attraverso il Su-dan, Nord e Sud, l’Eritrea, la Libia o l’Egitto. In que-sto caso, ha giocato un ruolo importante la forte in-stabilità del Nord Africa che ha reso i confini dei Paesi del Mediterraneo meridionale porosi e difficil-mente controllabili. Infine ne esiste una terza, che raccoglie molti migranti provenienti dall’Africa Sub-Sahariana e si articola lungo i Paesi dell’Africa oc-cidentale, soprattutto Marocco, Senegal, Mauritania, Sierra Leone e Ghana. A favore di quest’ultima diret-trice gioca soprattutto la relativa vicinanza alle Ca-narie e alle coste spagnole. Agire quindi sui Paesi di origine e riuscire a “controllare” questi canali d’immigrazione è dunque fondamentale. A tale riguardo, potrebbero essere

sfruttati strumenti già presenti, ma nati per altri scopi. Per esempio, nel luglio 2012 è stata lanciata la missione EUCAP-Nestor, missione di “assistenza tecnica” realizzata dall’UE in favore di otto Paesi del Corno d’Africa e dell’Africa Orientale, tra i quali So-malia, Djibuti, Seychelles, Kenya e Tanzania. Trat-

tandosi di una missione civile, EUCAP ha il compito di rendere efficienti le Guardie Costiere dei Paesi terzi, coordinando la propria azione anche con la missione Atalanta, che si occupa di reprimere gli atti di pirateria utilizzando navi militari europee. EUCAP, con un focus particolare sull’addestramen-to, potrebbe svolgere un ruolo molto importante nel dotare i Paesi del Corno d’Africa, una delle direttrici dei flussi migratori, di strumenti utili al contrasto dell’immigrazione illegale. Per fare questo, il man-dato dovrebbe essere esteso anche alla preparazio-ne di guardie di frontiera, dotandole delle dovute tecnologie atte al controllo e al monitoraggio del territorio. Un primo punto di criticità concerne pro-prio l’acquisizione di assetti e vettori idonei a

Le rotte dei migranti sono note da anni: una dall’Europa orientale, l’altra dal Corno d’Africa attraverso il Nord Africa e il Mediterraneo.

DAL GOLFO DI ADEN AL MEDITARRANEO: L’UE E LA LUNGA STRADA PER ITACA Giuseppe Lettieri e Gianluca Farsetti

La crisi finanziaria ha reso la Germania l’unica economia forte dell’eurozona e dato a Merkel il timone per far uscire l’Europa dalla tempesta.

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quest’ultimo tipo di missioni, marittime o terrestri che siano. Un embargo su armamenti e alcuni appa-rati tecnologici è ancora in vigore, non consideran-do le indisponibilità finanziarie dei tre “Stati de fac-to” in cui è stato suddiviso il territorio somalo post-1992 (Somalia, Somaliland e Puntland). Numerosi sono stati i tentativi, sia internazionali sia locali, di assoldare compagnie di sicurezza privata che stabi-lizzassero i confini, soprattutto le zone portuali e di frontiera. Nonostante alcuni progetti siano andati a buon fine, primo fra tutti il caso della norvegese Nordic Crisis Management in Somaliland o, a se-guire, quello della sud-africana Saracen Internatio-nal in Puntland, la maggior parte di essi ha incon-trato immense difficoltà operative e numerose co-strizioni legali. Molte compagnie hanno subito accu-se in merito all’introduzione illegale di armamenti o hanno visto rescissi i loro contratti in corso d’opera, a causa del susseguirsi di amministrazioni locali e-spressione di fazioni politiche opposte alle prece-denti.

Inoltre, molti programmi di addestramento, alcuni dei quali tuttora funzionanti, risultano essere in-compatibili fra loro o ridondanti, accentuando le difficoltà di un serio controllo delle aree in questio-ne. EUCAP, con il suo framework omnicomprensivo, potrebbe costituire il reale ombrello sotto cui rac-chiudere e organizzare la gestione delle coste di tutto il Corno d’Africa, come afferma il suo manda-to. Data la situazione disastrosa della Somalia e i confini estremamente porosi dell’area, ci si riferisce a un progetto concreto che potrebbe avere ripercus-sioni positive nel lungo termine, rimanendo in ogni caso una delle poche soluzioni praticabili per co-minciare a razionalizzare i flussi sin dall’origine e garantire la sopravvivenza di coloro che scappano dalla povertà di questi Paesi. Ancora più difficile si presenta la situazione per co-loro che, per arrivare alla penultima tappa della loro Odissea, attraversano i confini di diversi Paesi e per-corrono a piedi o a bordo di veicoli di fortuna diste-se immense di deserti e di aree inabitate. Rimane quasi impossibile per le autorità tracciare queste rotte, controllarne i flussi e garantire la sicurezza fisica degli individui. Persi fra mille rotte, in balia dei loro “negrieri”, scompaiono per giorni,

nell’impossibilità di essere rintracciati, riapparendo, per chi ha questa fortuna, sulle coste meridionali del Mediterraneo. La situazione quindi, dal punto di vista dell’UE, rimane approcciabile o dal luogo di partenza delle migrazioni, un’omerica città di Troia, o dalla penultima e ultima tappa del loro cammino, la tanto amata Itaca. Proprio su quest’ultima tratta del viaggio, le continue morti durante le traversate illegali del Mediterraneo obbligano a un forte e deci-so intervento che coinvolga tutte e due le sponde del Mare Nostrum. Proprio EUCAP-Nestor potrebbe realmente costitui-re un modello replicabile su più ampia scala, a patto di riadattarne il framework alle caratteristiche dei Paesi coinvolti: Tunisia, Libia, Algeria e Marocco in primis. Il Maghreb non è il Corno d’Africa, anche se le rivolte arabe del 2011 hanno evidenziato ben radicate fonti di instabilità politica difficilmente eli-minabili. L’obiettivo della missione, a cui l’UE do-vrebbe dedicare risorse, know-how e in un secondo momento anche apparecchiature specifiche, non sarebbe di costituire ex-novo una forza di capitane-ria efficiente ed efficace, ma ergersi a network di dialogo fra le singole capitanerie maghrebine e i Paesi europei della sponda mediterranea setten-trionale. L’idea di fondo sarebbe quella di coordina-re maggiormente gli sforzi, in modo da riuscire, con gli esigui mezzi a disposizione, a coprire il più am-pio specchio di mare possibile. Le singole acque ter-ritoriali non verrebbero compromesse, il principio di sovranità verrebbe garantito e le unità disponibili sarebbero distribuite con maggiore uniformità. Nul-la vieterebbe, dopo una fase di rodaggio, di pensare alla fornitura di alcuni vascelli, apparecchiature di sorveglianza o a un più complesso processo di poo-ling and sharing in materia di intelligence, pattu-gliamenti e missioni SAR (Search and Rescue). Rimane di gran lunga più problematico generare la fiducia necessaria affinché tale framework venga implementato. Viene dunque da chiedersi se questa iniezione di fiducia possa nascere in un contesto come quello egiziano o libico, dove il controllo delle coste e delle migrazioni non rappresenta di sicuro, in questo momento, uno dei punti all’ordine del giorno. La volontà politica rimane la base di ogni accordo e la soluzione dei problemi di stabilità in cui incorre tutta l’area resta l’assoluta priorità. Nella contingenza del momento, tuttavia, il soccorso con-tinuo e costante rimane l’unica risposta reale e rat-toppare le vele delle navi per Itaca l’unica vera sal-vezza per le vite di questi migranti. ∎

ALLE PORTE DELL’UE L’IMMIGRAZIONE E LA FRONTIERA MERIDIONALE N. 6 - Ottobre 2013

Gli esempi offerti dalle missioni europee nel Golfo di Aden, impegnate nella lotta alla pirateria, offro-no spunti per missioni dell’UE nel Mediterraneo.

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Davide D’Urso Caporedattore e Presidente del Consiglio di Redazione di Europae. Laureato magistrale in Scienze In-ternazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il certificato di alta qualificazione presso la Scuola di Studi Superiori di Torino. È stato tirocinante all’Ufficio Stampa della Rappresentanza d’Italia presso l’UE. Lavora come export manager. Specializzato in politica, istituzioni e relazioni esterne dell’UE. In questo numero: “Immigrazione: le paure e gli errori della Fortezza Europa”.

Stefania Bonacini Redattrice corrispondente da Bruxelles, Responsabile estero e membro del Consiglio di Direzione di Europae. Laureata magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna, sede di Forlì, con una tesi sul ruolo dell’Unione Europea nelle dinamiche di transizione in corso in Egit-to. Vive e lavora a Bruxelles. Specializzata in relazioni euro-mediterranee, politiche regionali e relazioni tra UE e Turchia. In questo numero: “I flussi migratori e le relazioni euro-mediterranee”.

Fabio Cassanelli Redattore, membro del Consiglio di Redazione di Europae, membro del comitato direttivo e Tesoriere dell’Associazione Culturale OSARE Europa. Laureato in Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Torino, è autore di temi economici su quattrogatti.info e cura un blog sull’Huffington Post. Stu-dia Economia, Cultura, Ambiente e Territorio presso il Dipartimento di Statistica di Torino. Specializza-to in economia, finanza e politica monetaria. In questo numero: “I benefici economici dell’immigrazione”.

Sara Bottin Redattrice di Europae. Laureata magistrale in Politica Internazionale e Diplomazia presso l’Università degli Studi di Padova con una tesi sulle relazioni euro-mediterranee. Dal settembre al dicembre 2012 è stata tirocinante all’Ufficio Mediterraneo e Medio Oriente della Rappresentanza d’Italia presso l’Unione Europea. Specializzata nelle relazioni tra UE e Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente. In questo numero: “Le politiche migratorie nazionali e il caso Italia-Libia”.

Simone Belladonna Redattore, Responsabile relazioni esterne, membro del Consiglio di Redazione di Europae e Vice-Presidente dell’Associazione Culturale OSARE Europa. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il certificato di alta qualificazione presso la Scuola di Studi Superiori di Torino. Specializzato in politica, diritto e mercato unico. In questo numero: “Il reato di immigrazione clandestina in Europa”.

Enrico Iacovizzi Redattore corrispondente da Bruxelles. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso la Facoltà Roberto Ruffilli di Forlì con una tesi sull’evoluzione delle relazioni esterne dell’UE e sul suo ruolo di potenza civile globale. Vive e lavora a Bruxelles. Specializzato in relazioni esterne e nella dimensione politica e istituzionale della difesa comune europea. In questo numero: “Frontex e il confine tra sicurezza e diritti umani”.

Gianluca Farsetti Redattore di Europae. Studente presso di Relazioni Internazionali presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma. Appassionato di politica estera e diplomazia. Specializzato nella dimensione di sicurezza e difesa della politica estera europea. In questo numero: “Dal Golfo di Aden al Mediterraneo: l’UE e la lunga strada per Itaca”.

Giuseppe Lettieri Redattore di Europae. Laureando in Scienze Internazionali e Global Studies presso l'Università degli Studi di Torino. Durante l’Erasmus in Norvegia ha svolto ricerche sull’evoluzione della dottrina Petra-eus inerente la couterinsurgency in Iraq e Afghanistan. Specializzato nella politica europea di sicurezza e difesa . In questo numero: “Dal Golfo di Aden al Mediterraneo: l’UE e la lunga strada per Itaca”.

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I numeri precedenti

Numero 1, Aprile 2013 “L’Unione Europea e la nuova corsa all’Africa” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui

Numero 2, Maggio 2013 “Ulisse e Zheng He. Unione Europea e Cina sulla rotta del mondo nuovo” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui

Numero 3, Giugno 2013 “La camera bassa. Il Parlamento Europeo tra Lisbona e il 2014” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui

Numero 4, Luglio 2013 “L’Europa dei 28. La Croazia rilancia il sogno europeo dei Balcani” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui

Numero 5, Settembre 2013 “Kaiserin Angela? Merkel verso la riconferma, l’Europa aspetta” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui

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