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Energia e conflitti: i contesti delle nuove economie da una lettura politica della conflittualità socio-ambientale agli energy poors europei; dalla food-fuel competition all’incremento delle fonti fossili e del biocidio Laura Fregolent, Giovanni Lonati, Matteo Puttilli, Paolo De Pascali, Silvano Falocco, Giovanni Carrosio, Salvatore Altiero, Marica Di Pierri, Tiziano Gomiero, Piero Saitta, Riccardo Pasi, Jessica Balest, Alessandro Paletto, Gianluca Grilli, Giulia Garegnani, Daniela Del Bene, Leah Temper, Giacomo D’Alisa, Elena Gerebizza, Alessandro Mengozzi, Mònica Guiteras, Maura Benegiamo Anno XXI n.3/2015 - €22,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 - DCB - Perugia Edizioni Alpes Italia Anno XXI n.3/2015

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Energia e conflitti: i contesti delle nuove economieda una lettura politica della conflittualità socio-ambientale agli energy poors europei; dalla food-fuel competition all’incremento delle fonti fossili e del biocidioLaura Fregolent, Giovanni Lonati, Matteo Puttilli, Paolo De Pascali, Silvano Falocco, Giovanni Carrosio, Salvatore Altiero, Marica Di Pierri, Tiziano Gomiero, Piero Saitta, Riccardo Pasi, Jessica Balest, Alessandro Paletto, Gianluca Grilli, Giulia Garegnani, Daniela Del Bene, Leah Temper, Giacomo D’Alisa, Elena Gerebizza, Alessandro Mengozzi, Mònica Guiteras, Maura Benegiamo

Anno XXI n.3/2015 - €22,00Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 - DCB - Perugia

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ISSN 1123-5489

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Bimestrale sull’ambiente e il territorio con il patrocinio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti

Redazione

Direttore responsabileRaffaele Fiengo

Direttore editorialeGiuseppe Fiengo

CondirettoriAntonella Anselmo, Roberto Sinibaldi

Responsabile settoreRifiuti e risanamento ambientaleMaurizio Pernice

Responsabile settore Aree protette e sostenibilitàRoberto Sinibaldi

CaporedattoreSusanna Tomei

Hanno scritto sul n 3/2015:Salvatore Altiero, Jessica BalestMaura Benegiamo, Giovanni Carrosio, Giacomo D’Alisa, Daniela Del Bene, Paolo De Pascali, Marica Di Pierri, Silvano Falocco, Laura Fregolent, Elena Gerebizza, Giulia Garegnani, Tiziano Gomiero, Gianluca Grilli, Mònica Guiteras,Giovanni Lonati, Alessandro Mengozzi, Alessandro Paletto,Riccardo Pasi, Matteo Puttilli, Piero SaittaLeah Temper

Comitato scientificoGiuseppe Campos Venuti, Sandro Amorosino, Lorenzo Bardelli, Marco D’Alberti, Stefano Grassi, Fabrizio Lemme, Franco Gaetano Scoca, Roberto Sinibaldi, Gianfranco Tamburelli, Giuliano Tallone, Marcello Vernola

Sede RedazioneVia G. D. Romagnosi, 3 - 00196 - RomaTel. Fax: 06.39738315 [email protected]

Convenzioni di collaborazione scientifica con:

Editore

L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti dei brani e delle illustrazioni riprodotti nel seguente volume.

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2015 daTipolitografia Petruzzi Corrado & C. s.n.c.via Venturelli, 7 Zona industriale Regnano 06012 Città di Castello (PG)

Reg. Trib. N. 286 del 27 giugno 1994 (ai sensi della Decisione della Corte d’Appello di Roma, I Sez. Civile del 10 febbraio 1999)

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Regione Lazio, ARP-Agenzia regionale per i Parchi

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3GAZZETTA AMBIENTE N3 / / 2015

Somm

ario

Energia e conflitti socio-ambientali

Energia e conflitti: i contesti delle nuove economie

Conflitti, energia e territorio ......................................................................... 7di Laura Fregolent

Conflitti ambientali e metabolismo sociale. Spunti per una chiave di lettura politica della conflittualità socio-ambientale .. 19di Giovanni Lonati

Energia e giustizia socio-spaziale ......................................................................... 27di Matteo Puttilli

Clima, nuove energie, territorio: l’azione UE per direttrici di sviluppo globali/locali ............................................... 35di Paolo De Pascali

Conflitti, economia ed energia .............................................................................. 47di Silvano Falocco

Energia e alimentazione. Un conflitto all’orizzonte ......................................... 61di Giovanni Carrosio

Sviluppo, giustizia sociale e crisi ambientale ................................................. 73di Salvatore Altiero, Marica Di Pierri

Agroenergie e biocarburanti: una valutazione multicriteriale della qualità e della sostenibilità di queste opzioni energetiche ...................... 87di Tiziano Gomiero

Gela: capitalismo, paradossi, trappole ........................................................... 103di Piero Saitta

La competizione tra l’idroelettrico e gli altri usi della risorsa idrica: il caso delle valli Gesso e Vermenagna (Cuneo) .............................................. 111di Riccardo Pasi, Jessica Balest, Alessandro Paletto, Gianluca Grilli, Giulia Garegnani

Casi di studioPer una cartografia della giustizia ambientale – l’EJatlas, tra luoghi di resistenza e nuove narrative socio-ambientali .................................................................. 123di Daniela Del Bene, Leah Temper

L’energia e l’inceneritore ............................................................................. 127di Giacomo D’Alisa

Gasdotto Trans Adriatico “TAP”: ambiente, mercati finanziari e violazioni dei diritti umani ............................... 131di Elena Gerebizza

Potere al vento. Opposizioni all’energia eolica e democrazia dell’ambiente ...... 134di Alessandro Mengozzi

Proyecto Castor: desenmarañando un megaproyecto impuesto ...................... 137di Mònica Guiteras

Il caso ENI in Basilicata ................................................................................ 140di Maura Benegiamo

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5GAZZETTA AMBIENTE N3 / / 2015

Energia e conflitti socio-ambientali

Energia e conflitti: i contesti delle nuove economie

Questo numero, curato da Laura Fregolent e Roberto Sinibaldi, è dedicato all’energia, ai conflitti sociali legati alla costruzione di impianti di produzio-ne, alle linee di finanziamento che caratterizzano le varie fonti. Più di venti autori per sedici contributi, divisi in articoli e casi di studio. Dati alla mano vengono sfatate alcune presunte certezze e messi in discus-sioni elementi considerati veri e propri assiomi. Qui vogliamo solo accen-nare, per esempio, a quanto scrivono diversi autori sui costi dell’energia, al sostegno economico derivante da precise politiche energetiche, a come alcuni parametri potrebbero cambiare – anche di molto – se gli indirizzi dei deciso-ri politici fossero diversi. Sono analizzati a fondo i costi ambientali dell’ener-gia prodotta, i vantaggi e gli svantaggi rispetto alle fonti tradizionali.Abbiamo davanti a noi la transizione dal petrolio. In un periodo abbastan-za lungo rispetto ai nostri personali tempi fisiologici, ma brevissimo rispetto quello della società globale, dovremo approdare verso altre fonti di approv-vigionamento. Il petrolio c’è e ci sarà ancora per decenni, ma la sua estrazio-ne sarà tecnicamente sempre più difficile e relativamente redditizia.Il tema dell’energia è uno dei gangli principali su cui è organizzata la nostra società e il mutare dei suoi fattori produrrà rivolgimenti importanti, epocali. La transizione verso nuovi modelli di produzione e approvvigionamento è in atto, in Europa, in Germania in particolare. Ma sarebbe sbagliato calarci in scenari fantascientifici dall’energia illimitata. Al contrario, la tendenza è quella che ci indirizza tutti verso un uso molto più parsimonioso del passato nell’uso dell’energia. Una limitazione degli sprechi che non può e non deve venire solo dall’efficientamento delle reti e delle apparecchiature d’uso, ma dalla consapevolezza dei consumatori. In questo senso apparve assai stra-vagante che solo qualche anno fa l’Enel pubblicizzasse il passaggio da 3 a 6 kw come potenziale di energia fornita, per gli utenti della rete elettrica. Un principio di dissipazione, opposto a quello di risparmio e uso consapevole delle risorse. Una campagna inutile che fu ritirata quasi subito, per non parlare di quella a favore del nucleare, messa in piedi dal Forum Nuclea-re Italiano, poi bocciata dal Giurì dell’Autodisciplina Pubblicitaria. Una campagna assai sofisticata sul piano comunicativo, costata 6 milioni di euro,

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6ENERGIA E CONFLITTI: I CONTESTI DELLE NUOVE ECONOMIE

Energia e conflitti socio-ambientali

tesa a convincere gli italiani della necessità del ritorno al nucleare. Un’ini-ziativa che aveva trovato proseliti, poi spazzata via dallo tsunami che colpì Fukushima.Per questo, all’ideale tavolo della “rivoluzione energetica”, non si può pre-scindere dalla partecipazione, informata e attiva di tutti, dei cittadini e soprattutto di chi governa. Avendo ben chiaro che in Italia l’industria consuma energia quanto terziario e domestico messi insieme, quindi i conti bisogna farli bene. E qui torniamo ai decisori politici. Certo, specialmente in un paese come il nostro, si deve registrare il perenne iato tra ricerca e politi-ca, tra chi tratta i temi dell’energia facendo ricerca e innovazione, e chi, nella politica, media tra le spinte al cambiamento e le resistenze dell’economia tradizionale, con tutto quello che comporta in termini sociali, di occupazio-ne e di consenso. Il tentativo non può che essere quello di cambiare, senza troppi contraccolpi per il Pil locale. A volumi economici invariati cambieranno i percettori e il lavoro non sarà necessariamente più lo stesso: è lì che si annidano le resi-stenze a nuovi modelli economico-produttivi.C’è bisogno quindi di una politica che sappia governare il cambiamento, fa-vorendo i processi, con una burocrazia snella e una forte capacità regolativa e di controllo. Norme semplici, chiare e durature. Non si possono cambiare le leggi in corsa, quando gli investimenti sono stati fatti. La nostra politica invece appare spesso caudataria dei potentati economici, dei gruppi, delle lobby. Sul terreno dei progetti locali, più o meno virtuosi, più o meno ambiental-mente sostenibili, quasi sempre più economicamente remunerativi, almeno nell’immediato, ci sono i cittadini. Associazioni, circoli, forum, coordina-menti… Tutti contraddistinti – secondo parte della politica – dallo stigma li-quidatorio dell’effetto Nimby. I nostri autori analizzano anche questi aspetti, ricavando prospettive operative forse inattese, riuscendo a proporre vie d’u-scita non pilatesche, che innestano il dissenso entro un percorso che potrebbe essere migliorativo e produrre un abbassamento della conflittualità sociale. Si tratta di sperimentare senza precludersi in maniera preconcetta l’esplora-zione di nuovi rapporti collaborativi. La contrapposizione non è produttiva, sia se porta all’inazione, sia se superata in maniera autoritaria e monocrati-ca, dai sempre più proliferanti commissari straordinari, per esempio. In Italia consumiamo un barile di petrolio al mese pro capite. Il modello attuale prevede sviluppo infinito, esclusione e spreco.È necessaria una nuova visione. È necessario un nuovo patto sociale.

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73GAZZETTA AMBIENTE N3 / / 2015

Energia e conflitti socio-ambientali

Sviluppo, giustizia sociale e crisi ambientale di Salvatore Altiero* e Marica Di Pierri** *Collaboratore Area comunicazione e ricerca di A Sud Onlus e del Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali (CDCA).**Direttrice del Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali di Roma (CDCA), Coordinatrice Area comunica-zione per il CDCA e per A Sud Onlus

Il Club di Roma, nel 1972, supportando lo studio di Donella Meadows, Limits to Growth, affermava che la finitezza del pia-neta e la limitatezza delle risorse, in connessione con la cre-scita demografica, avrebbe portato all’arresto della crescita economica e della popolazione stessa, determinato dal pro-gressivo esaurimento delle risorse, carbone prima e petrolio poi e mettendo a rischio la sopravvivenza dell’umanità. Queste previsioni, pur indivi-duando correttamente i rischi connessi all’incremento della pressione sulle risorse naturali, sono stati smentiti tanto per quanto riguarda l’arresto della crescita de-mografica che quello dello sviluppo economico, quest’ultimo spinto oltre ogni limi-te dall’applicazione del progresso tecnologico e dalla disponibilità di energia. Così, raggiunto il primo miliardo intorno al 1800, dal 1960 al 2015 la popolazione mondiale è passata da 3 a 7 miliardi di persone1. Ugualmente in costante crescita il PIL mon-diale. Dagli anni ’90 ad oggi, ad esempio, l’incremento è stato sempre compreso tra il 2 ed il 5%, escluso il periodo a cavallo tra 2008 e 2009, in piena crisi economica.Nel 2004, la stessa Donella Meadows e altri autori, in Limits to Growth: The 30-Year Update, hanno meglio individuato nell’insostenibilità dell’impatto ambientale il vero limite alla sopravvivenza della specie umana e non solo allo sviluppo economico. All’incremento demografico e alla crescita del PIL corrisponde, a livello globale, il ma-nifestarsi di emergenze ambientali devastanti; su tutte il cambiamento climatico. Per completare il quadro, va messo in luce come, nel rapporto tra diversi Continenti, oltre che tra gruppi di individui o Stati, la crescita demografica e del PIL sia stata accompa-gnata dall’incremento della sperequazione nell’accesso alle risorse naturali oltre che nella distribuzione della ricchezza economica. I dati pubblicati da Oxfam nel gennaio 2015 affermano che, nel 2014, “l’1% più ricco della popolazione mondiale possedeva il 48% della ricchezza globale, lasciando appena il 52% da spartire tra il restante 99% di individui sul pianeta”. Di questo restante 52%, solo il 5,5% è riservato ad una quota pari all’80% della popolazione mondiale, mentre il resto è distribuito tra il 20% più ricco2.Tornando all’insostenibilità dell’impatto ambientale, dall’era pre-industriale, l’aumen-to della concentrazione di anidride carbonica è pari al 40%; cause primarie, le emis-sioni legate all’uso dei combustibili fossili e quelle dovute al cambio di uso del suolo. Più del 75% delle 10 gigatonnellate di incremento annuo delle emissioni di gas serra tra il 2000 e il 2010 è stato dovuto alla fornitura di energia (47%) e all’industria (30%)3. Si ricava da questi dati che, da un lato, il modello produttivo si alimenta distruggendo l’ambiente, dall’altro si acuisce sempre più la divaricazione tra chi di ciò beneficia

1 Historical Estimates of World Population - US Census Bureau; The World at Six Billion, World Population, Year 0 to near stabilization [Pdf file] - United Nations Population Division.

2 Oxfam, Grandi diseguaglianze crescono, rapporto gennaio 2015, passim.3 IPCC – International Panel on Climate Change.

A Sud è un’associazione italiana indipendente nata nel 2003 che si occupa di: formazione ambientale ed intercul-turale rivolta a scuole, università, società civile e aziende; ricerca sulle questioni legate ai conflitti ambientali, alla riconversione ecologica delle attività produttive e del settore energetico; cooperazione interna-zionale, promozione di campagne nazionali ed internazionali per la tutela ambientale e la difesa dei diritti; proget-tazione europea insieme alle reti di economisti ecologici ed i centri studio legati ai temi della sostenibilità; comuni-cazione e pubblicazioni su nuovi modelli di sviluppo, sui temi della democrazia partecipata e comunitaria e dell’eco-nomia ecologica. (www.asud.net).

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74ENERGIA E CONFLITTI: I CONTESTI DELLE NUOVE ECONOMIE

Energia e conflitti socio-ambientali

economicamente e chi ne subisce gli effetti devastanti in termini di ri-schio ambientale e sanitario legato all’inquinamento. In più, l’ambiente non è sacrificato in nome di un modello in grado di produrre benessere diffuso e distribuito bensì artefice di grandi diseguaglianze.Per l’Italia, i risultati dello Studio SENTIERI-Studio Epidemiologico na-zionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquina-mento (2011), nel periodo 1995-2002, per i 44 Siti di interesse nazionale (SIN) per le bonifiche oggetto di studio, affermano che riguardo allo

stato socioeconomico come determinante di salute e malattia, il 60% della popola-zione dei SIN appartiene alle fasce più svantaggiate. Confermando così la sperequa-zione nella distribuzione per classe sociale dei rischi ambientali connessi al modello produttivo.Rispetto all’esposizione sistematica di determinate popolazioni ai rischi ambientali e sanitari connessi all’impatto del modello produttivo sui territori, le mobilitazioni campane contro lo smaltimento legale e illegale di rifiuti urbani e industriali, han-no elaborato un nuovo linguaggio dell’insostenibilità sistematizzato nella categoria ecologico-politica del “biocidio”.Il modello energetico implica, in quanto ancora incentrato sulla produzione indu-striale di energia e sullo sviluppo di attività energivore, la concentrazione dei profitti connessi al consumo di risorse, contribuendo ad ingiustizia e diseguaglianze sociali, oltre che al radicalizzarsi dei conflitti legati alla corsa all’accaparramento. Si pone in antitesi rispetto all’implementazione della produzione diffusa, oggi tecnologicamen-te possibile, in grado di garantire, per una buona quota dei consumi, la possibilità di unire la figura del consumatore e del produttore in un’ottica non di mercato, più adatta ad una risorsa essenziale quale l’energia. Infine, non solo alimenta un model-lo estrattivo che aggancia la crescita del PIL al depauperamento dell’ambiente ma è certamente un fattore generativo di rischio sanitario e ambientale, su scala locale e globale. In buona sostanza, l’attuale sistema energetico racchiude in sé gli osta-coli alla giustizia ambientale, sociale ed economica più generalmente riconducibili all’attuale modello di sviluppo.

Modello energetico e biocidioIl necessario abbattimento delle emissioni di gas climalteranti alimenta un dibat-tito la cui coerenza si infrange puntualmente contro interventi che con più elevata incisività supportano produzione e consumo di energia da fonti fossili. Nel 2011, il Fondo monetario internazionale, ha stimato i sussidi economici alla combustione di petrolio, gas e carbone in 1.900 miliardi di dollari a livello mondiale (600 miliardi secondo la Global Commission on the Economy and Climate). In Italia, pur in assenza di una contabilità ufficiale, le analisi di Legambiente hanno individuato 17,5 miliardi di euro tra sussidi diretti e indiretti nel 20144, solo questi ultimi ammontano, dal 2001 al 2013, ad oltre 42,3 miliardi per gli impianti di produzione di energia da fonti fossili.Secondo lo stesso rapporto, a fronte di un picco massimo dei consumi di 56.822 MWh richiesti alla rete italiana, dal 2002 ad oggi, nuove centrali a gas e riconversio-ne a carbone di centrali ad olio, hanno portato al raggiungimento delle 78mila MW di energia prodotta da centrali termoelettriche, a cui si aggiungono almeno 45mila MW da fonti rinnovabili. Ciò basta a negare giustificazione alla politica di sussidi alle fonti fossili quanto alla costruzione di nuove centrali termoelettriche. Al contrario si

4 Dossier “STOP sussidi alle fonti fossili” 2014

Il CDCA – Centro di Do-cumentazione sui Conflitti Ambientali è un centro studi indipendente che si occupa di ricerca, informazione, forma-zione e documentazione sui conflitti e la giustizia ambientale. Aperto dal 2007, nasce con l’obiettivo di indagare, studiare e divulgare le cause e conseguenze dei conflitti sociali generati dallo sfruttamento delle risorse naturali e dei beni comuni, nel Sud come nel Nord del mon-do. Il CDCA è partner di reti internazionali che raccolgono organizza-zioni della società civile, università e centri studi indipendenti che lavora-no nel campo dell’ecolo-gia politica e dell’econo-mia ecologica, attraverso progetti di ricerca partecipata, produzione di documentazione e materiali e attività di in-formazione e di advocacy a livello locale, nazionale ed internazionale.(www.cdca.it).

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75GAZZETTA AMBIENTE N3 / / 2015

Energia e conflitti socio-ambientali

contano 6 centrali in fase di realizzazione e 38 in corso di autorizzazione alimentate a gas, metano e carbone. In particolare, per le più impattanti dal punto di vista am-bientale, quelle a carbone, vi sarebbero in discussione 5.000 MW tra nuovi progetti e riconversioni.Il 42% dell’energia elettrica mondiale e il 33% di quella europea è prodotta da car-bone (dati assocarboni.it). Mentre in Europa mediamente il 60-70% di energia è pro-dotto da un mix variabile di carbone e nucleare, in Italia, abbandonata la strada del nucleare, secondo i dati del 2013 il mix energetico è composto per il 50% da gas naturale, per l’8% da olio combustibile, per il 12% dal carbone, per il 30% da rinno-vabili. Al dato positivo di un investimento sul carbone inferiore alla media europea, si accompagna la dipendenza per più del 50% nella produzione di elettricità – parliamo di energia prodotta e non del fabbisogno – da gas, fonte il cui approvvigionamento è legato ad equilibri politici precari. Questo spinge l’Europa a prevedere di mantenere almeno il 45-50% del proprio mix energetico a nucleare e carbone, diffuso in paesi più stabili dal punto di vista geopolitico, nonostante nelle strategie contro il cambia-mento climatico si affermi la necessaria decarbonizzazione del modello energetico. Si spiega così anche in Italia un risvegliato interesse da parte dei produttori. Sul sito di assocarboni si legge chiaramente che «oltre a occupare una quota di mercato modesta, in Italia il carbone risente anche degli effetti di una lunga disinformazione» riguardo alla mitigazione degli impatti ambientali. Ugualmente, sul sito di ENEL: «è significativo che il successo internazionale del carbone sia andato crescendo proprio negli ultimi anni (…) il vantaggio maggiormente apprezzato è quello economico, legato ai bassi costi dell’energia generata con il carbone (…) le uniche fonti che riescono a egua-gliare il carbone, ma solo in particolari situazioni e aree geografiche, sono l’idroelettrico e il nucleare».Tra tutti i combustibili fossili, il carbone è certo il più inquinante a parità di energia prodotta: la sua combustione genera il 30% di CO2 in più rispetto al petrolio e il 70% rispetto al gas naturale. Lo studio dell’Heal-Healt and Enviroment Alliance, “The un-paid health bill. How coal power plants make us sick”, afferma che l’impatto della com-bustione di carbone in Europa è di 18.200 morti premature, 2.100.000 giorni di cure ospedaliere, 4.100.000 giorni di lavoro persi, 28.600.000 casi di malattie respiratorie e un costo sanitario compreso tra i 15,5 e i 42,8 miliardi di euro annui. Questi dati sembrerebbero dare un quadro abbastanza realistico per l’Europa se rap-portati a quelli di un Paese in cui il carbone è ben più diffuso. In Cina, l’inquinamento dell’aria è classificato come prima causa di disagio sociale mentre, secondo uno studio della rivista Proceedings of the National Academy of Science si conterebbero 257.000 morti premature all’anno: un’aspettativa di vita ridotta di 5 anni e mezzo per cause legate a problemi cardio-respiratori, cioè la principale conseguenza dell’in-quinamento atmosferico. Pur non volendo affermare un rapporto di causa-effetto tra questi dati e le circa 2.300 centrali a carbone attive – dato che pone anche bene in luce il ruolo di questo Paese nelle emissioni climalteranti – e le morti premature, nemmeno è possibile escludere che gli agenti chimici e i residui della combustione del carbone abbiano un impatto grave sulla salute. In Italia sono ancora attive 13 centrali a carbone, segno che si ritiene ancora possibile sacrificare determinate po-polazioni a questo devastante impatto sanitario del modello energetico.Nel marzo 2014, la Centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure è stata po-sta sotto sequestro, l’ordinanza del Gip parla esplicitamente di nesso di causalità tra le emissioni e le 442 morti che secondo la Procura sarebbero riconducibili alle emissioni della centrale tra il 2000 e il 2007. Nel Decreto di Sequestro preventivo

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76ENERGIA E CONFLITTI: I CONTESTI DELLE NUOVE ECONOMIE

Energia e conflitti socio-ambientali

si afferma che la chiusura dei gruppi a carbone «Eviterebbe ogni anno mediamente: 86 ricoveri complessivi di bambini per patologie respiratorie e asma, 235 ricoveri com-plessivi di adulti (malattie cardiache più respiratorie) 48 morti tra gli adulti (malattie cardiache più respiratorie)». Rispetto a quanto previsto nell’Autorizzazione integrata ambientale, si registra lo sforamento di oltre 1,7 volte del valore limite di emissio-ne consentito per il diossido di zolfo e di 5 volte quello previsto per il monossido di carbonio, in applicazione delle migliori tecniche disponibili. A Civitavecchia, la Cen-trale a carbone di Torrevaldaliga Nord, frutto della conversione di una centrale a olio combustibile completata nel 2010, non desta meno preoccupazioni. Qui, a giugno 2013, è stata deliberata l’istituzione del Registro Tumori dell’Azienda USL RM/F del distretto F1, comprendente i 78.000 abitanti dei comuni di Civitavecchia, Allumiere, Santa Marinella, Tolfa. Ancora, a Brindisi, due sono le centrali termoelettriche attive, una Enel e l’altra di Edipower, in un’area in cui coesistono: il Polo petrolchimico ENI, il deposito di GPL più grande d’Italia, una centrale Termoelettrica a turbo-gas, un Termovalorizzatore da combustione di “rifiuti speciali e sanitari”, oltre alla disca-rica Micorosa, 44 ettari in cui sono stati stoccati i veleni del polo petrolchimico. Un quadro dell’impatto sanitario sulla popolazione di Brindisi è dato dalle conclusioni dello Studio SENTIERI: «Per quanto riguarda le cause di morte per le quali vi è a priori evidenza Sufficiente o Limitata di associazione con le esposizioni ambientali presenti in questo SIN (tabelle 2 e 3), in entrambi i generi si osserva un eccesso per il tumore della pleura … Negli uomini si osserva, prima della correzione per ID, un difetto di mortalità

Carta della colloca-zione geografica delle 13 centrali a carbone ancora attive in Italia.(Fonte: http://www.assocarboni.it/).

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77GAZZETTA AMBIENTE N3 / / 2015

Energia e conflitti socio-ambientali

per il tumore dello stomaco. È presente un eccesso di mortalità per le malformazioni congenite». La mortalità nell’area di Brindisi è stata analizzata per il periodo 1990-1994 nel rapporto Martuzzi et al. che evidenzia, negli uomini, «eccessi di mortalità per tutte le cause e per la totalità dei tumori, in particolare per il tumore polmonare, pleurico e per i linfomi non-Hodgkin (LNH), cause compatibili con le esposizioni ambientali e occupazionali dell’area».Si tratta di una gravissima emergenza ambientale e sanitaria che ben può essere ascritta alla categoria del biocidio: la presa di coscienza che l’attuale modello di sviluppo non solo ha preteso devastazione ambientale e compressione dei diritti del

Il camino della centrale a carbone Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia, che lavora incessantemente 24 ore su 24. (Foto di Giulia Morelli, SdF ISFCI).

Le mamme dell’Associa-zione Passeggino Rosso di Brindisi nella sede del comitato. Le mamme del Passeggino Rosso sono in prima linea contro la con-taminazione causata dal polo industriale e gli impat-ti sanitari conseguenti. (Foto di Luigi Pastoressa, SdF ISFCI).

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Energia e conflitti socio-ambientali

lavoro come contropartita di un benessere economico comunque fondato sulla con-trapposizione tra enormi ricchezze e diffuse povertà, ma sta mettendo a repentaglio la vita stessa di migliaia di persone o deteriorandone la qualità.

People over the marketLe forme di sussidio diretto e indiretto testimoniano il perseverare di un’opzione fondata sul trasferimento di risorse verso forme di produzione industriale di energia capaci di garantire grandi profitti a scapito dell’implementazione di una produzione diffusa in linea con l’attuazione di politiche redistributive. Il tutto fondato anche sulla possibilità concessa a gruppi di interesse limitatissimi di imporre alla collettività il costo ambientale e sanitario della propria attività economica. I dati citati sui costi sanitari a livello europeo indicano appunto questo. E se pensiamo allo smantella-mento del sistema sanitario nazionale in Italia, il fenomeno assume caratteri ancora più preoccupanti: da un lato ci si ammala di inquinamento dovuto ad attività produt-tive, dall’altro i costi di screening e cure vengono scaricati sul cittadino. Da un altro punto di vista, è possibile dire che l’attuale funzionamento del mercato energetico pur improntato alle teorie economiche liberiste dà luogo per assurdo ad uno stra-volgimento stesso delle regole del mercato, da qui è possibile derivare l’esigenza di un’“economia sociale dell’energia”. In Italia, ad esempio, il sopravanzo della capa-cità energetica degli impianti produttivi rispetto al picco dei consumi determina una situazione per cui la sostenibilità degli investimenti per la costruzione e il manteni-mento delle centrali termoelettriche è garantita non dalla domanda di energia ma dai sussidi e dal controllo al rialzo dei prezzi. L’assurdo è in sostanza il verificarsi di una situazione per cui il prezzo dell’energia aumenta al crescere dell’offerta. Se infatti si lasciano i produttori liberi di investire nella costruzione di impianti capaci di dotare il Paese di un potenziale energetico superiore al proprio fabbisogno, sarà poi necessario che quegli impianti lavorino al di sotto delle proprie capacità a meno che non collochino l’energia prodotta sul mercato estero. In caso contrario, l’unico modo per garantire il rientro degli investimenti è produrre meno energia rispetto alla capacità degli impianti ma farla pagare di più o sovvenzionarla. Un “mercato sociale” dell’energia è ciò che eviterebbe che ai profitti dei colossi energetici faccia da contraltare la socializzazione dei costi.

La SEN del 2013Nel nostro paese, dopo 24 anni di assenza, con decreto interministeriale datato mar-zo 2013, il governo Monti, attraverso i suoi ministri Clini (Ambiente) e Passera (Svi-luppo economico), ha varato una nuova SEN–Strategia energetica nazionale.Si guardava anzitutto alla riforma del Titolo V della Costituzione, peraltro attual-mente in discussione, nel senso di un riaccentramento della gestione delle risorse, depotenziando i poteri di Regioni ed enti locali. Proposta da un Governo tecnico, sei mesi prima del proprio termine, e quindi debole dal punto di vista della responsa-bilità politica, la strategia appare guidata da quattro obiettivi principali: diventare competitivi sul mercato energetico, raggiungere la qualità europea e gli standard ambientali, ridurre la dipendenza energetica da fornitori esterni e usare lo sviluppo energetico per raggiungere un paradigma di sviluppo sostenibile. I combustibili fos-sili rimangono la pietra miliare del piano energetico, che prevede un considerevole sviluppo della produzione nazionale di petrolio e l’obiettivo di fare dell’Italia il centro europeo del gas.

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Energia e conflitti socio-ambientali

Questo comporta un grosso lavoro di rinnovamento delle strutture petrolifere già esistenti e di estensione di campi di coltivazione petrolifera e gasdotti. Dubbi i van-taggi per i consumatori in termini di prezzo: sia il petrolio sia il gas prodotto in Italia dovrebbero essere venduti a prezzo di mercato, lo stesso di quelli provenienti da altri Paesi. Dal momento che l’attuale rete di distribuzione non ha le strutture adatte al trasporto di gas liquefatti, lo stoccaggio e lo scambio non potrebbero realizzarsi sen-za contratti di fornitura e senza la costruzione di nuovi gasdotti, il cui costo verrebbe comunque trasferito in bolletta.In definitiva, nonostante l’impegno preso al G20 di Pittsburgh di ridurre l’approvvi-gionamento da fonti fossili, la Strategia energetica nazionale del 2013 ignora la Road Map europea per il 2050, indicando le risorse rinnovabili solamente come misure integrative all’interno di un sistema ancora basato su fonti fossili.

Deregolamentazione ambientale: dallo “Sblocca Centrali” allo “Sblocca Italia”In Italia, a più di dieci anni dalla Legge 9 aprile 2002, n. 55, di conversione del decreto 7 febbraio 2002, n. 7, recante “Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale”, cd. “Sblocca Centrali”, appaiono chiari i risultati prodotti da una regolamentazione del settore energetico tutta incentrata su concorrenza e costru-zione di megaimpianti. Il fine dichiarato di quel decreto era “evitare l’imminente peri-colo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale” e “ga-rantire la necessaria copertura del fabbisogno nazionale”. Il decreto interveniva dopo la riforma del Titolo V della Costituzione con cui la politica energetica era stata fatta oggetto della potestà legislativa concorrente, di cui all’art. 117, comma 3, Cost., ove si prevede che riguardo la “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’ener-gia” lo Stato stabilisce i principi fondamentali e le Regioni la normativa di dettaglio.

I fumi del polo industrialedi Porto Marghera(Foto di Francesco Bonomo).

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Energia e conflitti socio-ambientali

Si potenziava quindi il ruolo delle Regioni rispetto alla possibilità di autorizzare o meno la costruzione di impianti a seconda del proprio fabbisogno e degli impatti sul territorio. Ovvio che, tenendo conto di questi criteri, diveniva più difficoltosa l’auto-rizzazione di grossi impianti e favorita la produzione diffusa meno impattante e più adattabile ai fabbisogni regionali. La Legge 9 aprile 2002, n. 55, interveniva dunque per riportare allo Stato centrale la competenza per la costruzione e l’esercizio degli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici e le opere ad essi connesse, dichiarati di pubblica utilità e soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dal Ministero delle attività produttive e sostitutiva di tutte le autorizzazio-ni, concessioni ed atti di assenso comunque denominati. Esautorate le Regioni, in un’ottica chiaramente volta alla produzione, si spacciava per semplificazione nor-mativa una deregolamentazione ambientale spinta. Le leggi approvate negli anni successivi, testimoniano in maniera diffusa l’attestarsi dell’Italia su una “sottile linea fossile”. La Legge 21 febbraio 2014, n. 9, ha convertito il Decreto-Legge 23 dicembre 2013, n. 145, recante interventi urgenti di avvio del pia-no «Destinazione Italia», per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas. Voluto da Letta e portato avanti dal governo Renzi, il decreto ha introdotto incentivi per i prossimi 20 anni per una centrale a carbone da costruire nel Sulcis. Altro impulso al consumo e quindi alla produzione di energia, nel Decreto del 5 aprile 2013, che introduce una definizione di azienda “energivora” che tiene in considerazione non solo il consumo assoluto ma l’incidenza del costo dell’energia consumata sul volume d’affari, stabilendo quindi agevolazioni sulle accise per le aziende con un costo totale dell’energia superiore al 3% nonché sgravi sulla bolletta per le aziende il cui indice

Gesualdo, Campania, 3 gennaio 2015.Manifestazione contro le trivellazioni petrolifere in Irpinia.(Foto di Salvatore Altiero, A Sud).

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Energia e conflitti socio-ambientali

di intensità elettrica superi il 2%; si tratta del rapporto tra costo dell’energia e fattu-rato. Più alto sarà questo rapporto, maggiori saranno le agevolazioni. Secondo il sito di Assoelettrica, grazie a questi provvedimenti, alle aziende energivore sono andati, nel I trimestre del 2014, 820 milioni di euro.Dulcis in fundo, con il cd. “Decreto Sviluppo” 2012 recante “misure per lo sviluppo e il rafforzamento del settore energetico”, art. 38-bis, si stabilisce la possibilità di indivi-duare gli impianti di produzione di energia elettrica con potenza termica nominale su-periore a 300 MW, anche tra quelli fermi per motivi legati alle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni, da chiamare in esercizio con urgenza per superare l’emergenza gas nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 marzo. In questo modo si intende destinare al riscaldamento domestico il gas risparmiato dalla produzione di energia elettrica. L’emergenza e la necessità di garantire la sostenibilità economica di un au-mento di produzione a singhiozzo giustificano così l’applicazione a tali impianti di so-glie “in deroga a più restrittivi limiti di emissioni nell’atmosfera o alla qualità dei combu-stibili, eventualmente prescritti dalle specifiche autorizzazioni di esercizio, ivi incluse le autorizzazioni integrate ambientali”. Ancora, i gestori vengono esentati“dall’attuazione degli autocontrolli previsti nei piani di monitoraggio e controllo”. Tra i sussidi indiretti, possono essere invece certamente inclusi gli investimenti in opere stradali e autostradali che nel biennio 2013-2014 – stima del Ministero delle Infrastrutture – è stato pari a 8,3 miliardi di euro (Stop ai sussidi alle fonti fossili, Le-gambiente). Al modello energetico fossile si legano dunque produzione e consumo di energia e cementificazione, esattamente le due principali cause di mutamento climatico. Ma ancora, le fonti fossili sono agevolate in Italia dalle royalties fissate al 10% per il petrolio estratto, al 7% per quello in mare. Altrettanto bassi i canoni per prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio fissati rispettivamente a 3,40, 6,82 e 55 euro a kmq.Se pensiamo che la Strategia energetica nazionale varata dal Governo Monti nel 2013 proponeva di incrementare dal 7 al 14% il contributo degli idrocarburi al fabbisogno energetico, non sorprende che l’approdo ultimo di questa corsa alla deregolamenta-zione ambientale sia stata la Legge n. 133 del 12 settembre 2014 cd. ‘’Sblocca Italia’’, convertito in Legge 11 novembre 2014, n. 164.Agli art. 36-38, si stabilisce un ulteriore incoraggiamento delle attività estrattive in aree densamente popolate o soggette a rischio sismico, come l’Emilia Romagna e l’Irpinia, a rischio tutta la costa Adriatica, le Regioni del centro-sud e la Sicilia. La Basilicata è attualmente interessata da titoli minerari per il 77% del proprio terri-torio, da questa Regione si estrae la quasi totalità di gas e petrolio; persino qui, con il nuovo decreto, si rischia un incremento delle estrazioni. La logica è la stessa dei provvedimenti già menzionati: si attribuisce carattere strategico alle concessioni di ricerca e sfruttamento di idrocarburi e, per questo, si semplificano le autorizzazioni, si sottraggono poteri agli organi regionali, si prolunga il tempo delle concessioni con proroghe fino a 50 anni.Ugualmente, viene incentivata la produzione di energia da incenerimento attraverso la creazione di una rete nazionale degli inceneritori e, quindi, di un mercato naziona-le del combustibile da rifiuti, superando il vincolo di autosufficienza regionale nella gestione dei rifiuti. Il principio alla base della corsa alle trivellazioni, alla costruzione e al sostegno economico di centrali termoelettriche e alla realizzazione di incene-ritori è lo stesso: “risolvere” il problema energetico curando l’aspetto dell’offerta in un’ottica di mercato, rinunciando ad una politica strategica volta a regolare la domanda e ad adeguare ad essa la produzione.

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Le bonifiche dell’area dell’ex petrolchimico ENI di Porto Torres, in Sardegna, chiuso nel 2010, sono legate al progetto industriale di chimica ver-de Syndial Eni, siglato nel protocollo d’intesa con il Ministero e gli Enti locali nel maggio 2011. (Foto di Alessandra Cerioni, SdF ISFCI).

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84ENERGIA E CONFLITTI: I CONTESTI DELLE NUOVE ECONOMIE

Energia e conflitti socio-ambientali

L’impatto ambientale di tali scelte è facilmente immaginabile, l’errore strategico ben descritto da alcuni dati: le riserve certe di petrolio italiane presenti nei fondali marini ammonterebbero, secondo le stime del ministero dello Sviluppo economico, a 10,3 milioni di tonnellate, utili a coprire il fabbisogno nazionale di appena 7 settimane. Non più di 13 mesi il fabbisogno eventualmente coperto attingendo al petrolio pre-sente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata5.Buona parte dei 57 Siti di interesse nazionale per le bonifiche sono costituiti esatta-mente da poli di estrazione e raffinazione di petrolio, nonché da aggregati industriali del settore della petrolchimica, dismessi e ormai testimonianza emblematica di un modello di sviluppo che, a fronte di un incremento occupazionale limitato nel tempo, provoca disastri ambientali perenni. Se consideriamo questo, il modello proposto dalla SEN prima e confermato dallo Sblocca Italia non può che apparire un ritorno alle fonti fossili anacronistico e incosciente oltre che inutile.

Diritti umani ed energiaIl 2014 è stato l’anno del vertice sul clima delle Nazioni Unite a New York, della di-chiarazione sugli impegni USA-Cina per il clima, della rituale e ignorata Cop20 di Lima e dei più di 10 miliardi stanziati in impegni per il Green Climate Fund. A febbraio 2015, si sono tenuti a Ginevra i negoziati internazionali verso la COP21 di Parigi che dovrà stabilire gli accordi vincolanti sostitutivi del protocollo di Kyoto. Oggetto di di-scussione a Ginevra è stato il testo uscito dalla COP20 di Lima. Avendo parlato delle connessioni tra modello energetico, impatti ambientali e sanitari, diseguaglianze sociali ed economiche, a noi sembra qui importante sottolineare l’ormai imprescin-dibile necessità di un approccio fondato sulla tutela dei diritti umani che faccia da controparte agli interessi economici connessi alla produzione di energia con conse-guenze devastanti per l’ambiente.La storia dello sviluppo industriale è caratterizzata dalla costante sconfitta delle pre-rogative di tutela ambientale a fronte delle esigenze dello sviluppo economico. Porre la centralità del legame tra ambiente e tutela dell’individuo nel suo diritto alla salute, al cibo, alla buona qualità della vita, alle risorse naturali essenziali, significa porre un li-mite giuridico invalicabile allo sfruttamento e depauperamento delle risorse ambientali. In occasione del vertice di Lima è stata diffusa da alcune delegazioni, tra cui Bolivia e Filippine, una proposta di testo che si riconosce in questo approccio. Pur limitato da alcuni punti di vista, essendo necessario che tale proposta venga inclusa tra le parti “operative” del testo che sostituirà Kyoto, è importante l’aver individuato nei cambiamenti climatici una fonte di violazione di diritti umani, sociali e ambientali.

Emergenza climatica: scienza, governance, politiche energeticheIl 2015 sarà un anno cruciale per la lotta ai cambiamenti climatici. A fine anno è prevista infatti a Parigi la 21ª Conferenza delle Parti dell’Onu, incaricata di trovare la quadra per un accordo globale sulla riduzione di emissioni che prenda il posto del protocollo di Kyo-to entrando in vigore nel 2020. Era dal fallimentare vertice di Copenaghen del 2009 che il clima non faceva la sua comparsa tra le priorità dell’agenda politica internazionale.Le premesse non prospettano una situazione facile da cambiare. Nel settembre 2014 la WMO–Organizzazione Metereologica Mondiale dell’Onu ha registrato, nel suo bol-

5 Come sostiene lo stesso Ministero dello Sviluppo economico nel Rapporto annuale 2012 della sua Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche: «Il rapporto fra le sole riserve certe e la produzione annuale media degli ultimi cinque anni, indica uno scenario di sviluppo articolato in 7,2 anni per il gas e 14 per l’olio».

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85GAZZETTA AMBIENTE N3 / / 2015

Energia e conflitti socio-ambientali

lettino annuale, che nel 2013 i livelli di emissioni di gas serra sono stati i più alti dell’ultimo trentennio e che la concentrazione attuale di CO2 è più alta del 142% rispetto ai livelli pre-industriali.Due mesi dopo, nel novembre 2014, l’Ipcc – International Panel on Climate Change delle Nazioni Unite ha presentato il suo V Rapporto, secondo cui la temperatura è aumentata di 0,85 °C nella bassa atmosfera terrestre dalla fine del XIX secolo e il livello degli oceani è salito di 19 cm. Per ottenere un risultato concreto contro l’au-mento delle temperature, afferma l’Ipcc, le emissioni dovranno ridursi tra il 40 e il 70% entro il 2050, e scomparire entro il 2100. Nell’ottica della quantificazione economica degli impatti lavora la Global Commission on the Economy and Climate, presieduta da Sir Nicholas Stern, economista britannico già capo economista della Banca Mondiale, autore del famoso Rapporto Stern che nel 2006 calcolò gli impatti economici del cambiamento climatico affermando che i danni prodotti dal clima all’economia globale equivarranno a una perdita complessiva del 20% del Pil. Lo studio recentemente diffuso dalla Global Commission afferma che per una azione efficace occorrerebbe anzitutto azzerare i sussidi alle fonti fossili, pari a circa 600 miliardi di dollari l’anno, contro i 100 miliardi destinato allo sviluppo delle rinnovabili. Allo stesso tempo, occorrerebbe ripensare le infrastrutture previste nei prossimi 15 anni, per un totale stimato di 90.000 miliardi di dollari di investimenti, in un ottica low carbon. Questo comporterebbe una spesa di circa 270 miliardi di dollari in più l’anno, che sarebbe compensata dalla minor dipendenza dai fossili oltre che dal risparmio in sanità pubblica. La percentuale di Pil che i 15 Paesi che emettono più Co2 spendono per i danni sanitari causati all’inquinamento atmosferico è infatti pari al 4%.Mettere in atto una inversione di queste proporzioni presuppone il ripensamento inte-grale del modello produttivo e del modello energetico in primis. Se il quadro complessi-vo è questo, le scelte energetiche operate dall’Italia, dalla Strategia energetica nazionale del 2013 fino al recente decreto Sblocca Italia, risultano certo prive di una prospettiva che orienti le scelte energetiche nel quadro del contrasto ai cambiamenti climatici.

Lo stato delle negoziazioniPrima del vertice di dicembre a Parigi, il programma prevede due appuntamenti intermedi di negoziazione: la tornata di febbraio, appena conclusa a Ginevra, e la tornata di giugno che si terrà in Germania, a Bonn. Alla base delle discussioni della sessione svizzera c’è stata la piattaforma negoziale istituita durante la 17° Confe-renza delle Parti celebrata nel dicembre 2011 a Durban, l’ADP-Durban Platform for Enhanced Action. Oltre all’ADP, sul tavolo dei negoziatori c’è il documento approvato per il rotto della cuffia dalla sessione plenaria del vertice di Lima, la “Lima call for climate action”. Il documento, la cui lunghezza è più che raddoppiata a Ginevra, ha finito per includere tutte le proposte pervenute, rappresentando la complessità delle posizioni dei diversi blocchi di paesi. Da qui a Parigi si dovrà lavorare dunque a indi-viduare le linee condivise sulle quali verterà la negoziazione, in materia di riduzione di emissioni, adattamento e mitigazione, strumenti finanziari e tecnologici.A parte le negoziazioni per l’accordo quadro, elemento dirimente sarà nei prossimi mesi l’azione dei singoli paesi. Ciascun governo è infatti chiamato (tra aprile e ot-tobre) a presentare la propria strategia di riduzione di emissioni a livello nazionale (Intended Nationally Determined Contributions). L’Onu valuterà, attraverso un rappor-to elaborato dalla Segreteria della Convenzione e diffuso entro il 1° novembre, se la somma dei target dei singoli piani nazionali soddisfa gli impegni necessari ad una azione efficace a livello globale.

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86ENERGIA E CONFLITTI: I CONTESTI DELLE NUOVE ECONOMIE

Energia e conflitti socio-ambientali

In Italia il tema è poco presente nell’agenda politica e nel dibattito pubblico. A set-tembre il premier Renzi, in occasione del Climate Summit di New York, aveva di-chiarato che il clima deve essere “una priorità per la politica, la sfida principale da affrontare, come la scienza consiglia, e che dobbiamo garantire ai nostri figli che a Parigi gli impegni saranno vincolanti”, appena due mesi dopo il governo Renzi ha convertito in legge a colpi di fiducia il decreto Sblocca Italia e l’annessa corsa ai nuovi permessi di ricerca ed estrazione. Il governo italiano non è certo l’unico a presen-tarsi alla sfida del clima con questo doppio volto, si tratta però di un approccio non più sostenibile.Per agire efficacemente nel contrasto ai cambiamenti climatici occorrere un ripen-samento complessivo del sistema economico e del modello di produzione e di con-sumo, a partire dal campo energetico. Taglio agli incentivi destinati alle fonti fossi-li, processi di conversione energetica basati su reti intelligenti, rinnovabili a basso impatto e produzione distribuita. E ancora, investimenti in processi di conversione ecologica delle produzioni (tramite efficientamento dei cicli produttivi, filiere a basso impatto, innovazione di prodotto), reti capillari di trasporti pubblici ad alta efficien-za, riqualificazione del patrimonio immobiliare al posto di nuova cementificazione, messa in sicurezza del territorio attraverso risanamento idrogeologico e bonifiche, promozione e rafforzamento di reti di consumo condiviso. Infine, piani di adattamen-to territoriale agli impatti climatici e politiche per il rafforzamento della resilienza urbana nei grossi centri.