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1 Economia e gestione degli intermediari finanziari Il Sistema Finanziario 1. Definizione e funzioni Il Sistema finanziario è la struttura attraverso cui si svolge l’attività finanziaria ovvero la produzione e l’offerta di servizi finanziari. Il Sistema Finanziario viene definito come l’insieme di strumenti, mercati e istituzioni che assicurano la creazione e la movimentazione dei mezzi di pagamento, rendendone possibile il trasferimento dalle unità in surplus a quelle in deficit. Gli elementi che lo compongono sono: Gli strumenti finanziari sono una particolare categoria di contratti aventi per oggetto diritti e prestazioni di natura finanziaria; I mercati finanziari sono mercati specializzati nella negoziazione di strumenti finanziari; Gli intermediari finanziari sono una speciale classe di imprese che svolgono essenzialmente attività finanziaria, un’attività cioè basata sulla produzione e sulla negoziazione di strumenti finanziari e sull’offerta di servizi connessi con la circolazione degli strumenti stessi. Data la natura dell’attività svolta, il funzionamento del sistema finanziario avviene in un contesto di regole e controlli. La quarta componente della struttura del sistema è quindi costituita dalle autorità di vigilanza. Il sistema reale è un mercato in cui si scambiano beni, servizi e forza-lavoro. Il sistema finanziario è un mercato in cui si ha il trasferimento di moneta o di altri mezzi di pagamento. Dall'esistenza di questi due sistemi nasce dal concetto di sistema economico, che rappresenta un insieme di: soggetti, strumenti, attività e regole; strettamente correlati tra loro. I soggetti sono famiglie, imprese e governo, i primi due hanno come scopo quello di ottenere la massima utilità; le famiglie prestano un'attività lavorativa oppure gestiscono il proprio patrimonio per ottenere salari o altri redditi utilizzati per l'acquisto di beni e servizi; le imprese attuano investimenti, utilizzando beni reali e forza lavoro. Per questo è indispensabile che si generi una serie di scambi di beni e servizi nello spazio e nel tempo, e ciò avviene nel sistema reale. Il Governo, invece, da un lato stabilisce imposte e tasse per l'acquisto di beni e servizi, dall'altro emana le norme e gestisce la quantità di moneta in circolazione per far sì che gli scambi avvengano in modo ordinato, per questo sussiste il sistema finanziario.

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Economia e gestione degli intermediari

finanziari

Il Sistema Finanziario

1. Definizione e funzioni

Il Sistema finanziario è la struttura attraverso cui si svolge l’attività finanziaria ovvero la

produzione e l’offerta di servizi finanziari.

Il Sistema Finanziario viene definito come l’insieme di strumenti, mercati e istituzioni che

assicurano la creazione e la movimentazione dei mezzi di pagamento, rendendone possibile il

trasferimento dalle unità in surplus a quelle in deficit.

Gli elementi che lo compongono sono:

Gli strumenti finanziari sono una particolare categoria di contratti aventi per oggetto diritti

e prestazioni di natura finanziaria;

I mercati finanziari sono mercati specializzati nella negoziazione di strumenti finanziari;

Gli intermediari finanziari sono una speciale classe di imprese che svolgono essenzialmente

attività finanziaria, un’attività cioè basata sulla produzione e sulla negoziazione di

strumenti finanziari e sull’offerta di servizi connessi con la circolazione degli strumenti

stessi.

Data la natura dell’attività svolta, il funzionamento del sistema finanziario avviene in un

contesto di regole e controlli. La quarta componente della struttura del sistema è quindi

costituita dalle autorità di vigilanza.

Il sistema reale è un mercato in cui si scambiano beni, servizi e forza-lavoro.

Il sistema finanziario è un mercato in cui si ha il trasferimento di moneta o di altri mezzi di

pagamento. Dall'esistenza di questi due sistemi nasce dal concetto di sistema economico, che

rappresenta un insieme di: soggetti, strumenti, attività e regole; strettamente correlati tra loro.

I soggetti sono famiglie, imprese e governo, i primi due hanno come scopo quello di ottenere la

massima utilità; le famiglie prestano un'attività lavorativa oppure gestiscono il proprio patrimonio

per ottenere salari o altri redditi utilizzati per l'acquisto di beni e servizi; le imprese attuano

investimenti, utilizzando beni reali e forza lavoro. Per questo è indispensabile che si generi una

serie di scambi di beni e servizi nello spazio e nel tempo, e ciò avviene nel sistema reale. Il

Governo, invece, da un lato stabilisce imposte e tasse per l'acquisto di beni e servizi, dall'altro

emana le norme e gestisce la quantità di moneta in circolazione per far sì che gli scambi

avvengano in modo ordinato, per questo sussiste il sistema finanziario.

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2. Le funzioni svolte dal sistema finanziario Il sistema finanziario realizza, attraverso la produzione e l’offerta di servizi finanziari, tre

fondamentali processi del funzionamento di un’economia moderna:

il regolamento degli scambi.

l’accumulazione del risparmio e il finanziamento degli investimenti.

il trasferimento e la gestione dei rischi.

Si tratta di attività di natura finanziaria strettamente connesse ai processi tipici dell’economia

reale: scambi commerciali, investimenti, produzione; in tal modo questi processi possono

svilupparsi in una dimensione più ampia e con un livello di efficienza superiore rispetto all’ipotesi

di assenza di attività finanziaria.

Offerta di strumenti di regolamento degli scambi: Un sistema economico moderno deve

disporre di meccanismi di scambio e di regolamento degli scambi molto sviluppati ed

efficienti. Uno dei fattori alla base della funzionalità degli scambi è il sistema di pagamenti

e quindi l’adeguatezza degli strumenti monetari attraverso cui le transazioni commerciali e

non, possono essere regolate.

L’evoluzione storica della moneta segue un percorso che accompagna lo sviluppo della

specializzazione e degli scambi: dalla moneta “merce”, il cui valore corrisponde al valore

intrinseco (per es. le monete in metallo prezioso) alla moneta “segno” (il cui valore è

definito in termini nominali (per es le banconote), dalla moneta “bancaria” alla moneta

elettronica. Il filo conduttore di questa evoluzione è stata la ricerca di nuovi mezzi di

pagamento idonei a ridurre il costo delle transazioni e a renderne più sicuro (meno

rischioso) il regolamento.

Il trasferimento delle risorse finanziarie: La crescita di un sistema economico è basata sul

volume e sulla natura degli investimenti realizzati in un determinato arco di tempo. Il

volume di investimenti finanziabili è condizionato dalla capacità di accumulazione del

risparmio; la natura degli investimenti dipende, almeno in parte, dalle scelte di allocazione

del risparmio investito in forma finanziaria.

Accumulazione e allocazione del risparmio costituiscono due aspetti fondamentali

dell’attività del sistema finanziario. Presuppongono che il sistema crei le condizioni più

favorevoli:

o alle decisioni di risparmio (propensione all’accumulazione) da parte dei soggetti con

surplus di reddito sui consumi;

o alle decisioni di investimento del risparmio (scelta di quali modalità di impiego del

risparmio adottare);

o alle decisioni di finanziamento dei soggetti in deficit (scelta di quali forme di

finanziamento adottare).

Condizioni più favorevoli significa dunque offrire ai risparmiatori e agli utilizzatori finali delle

risorse finanziarie, gli incentivi più forti non solo perché sia massimizzato il volume delle risorse

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disponibili, ma anche perché si attivino forme e circuiti di trasferimento che rendano finanziabili

investimenti con redditività attesa più alta, dato un certo livello di rischio. La realizzazione di

questo risultato rientra nel concetto di efficienza allocativa.

Anche in questo caso, la funzione di trasferimento delle risorse del sistema finanziario si innesta in

una condizione di “diversità” di posizione dei soggetti dell’economia:

o i risparmiatori e i detentori di ricchezza: dispongono al presente di “potere di acquisto”

in eccesso (rispetto al fabbisogno per spese di investimento e di consumo) e sono

disposti a scambiarlo con “potere di acquisto” futuro, a patto che i termini contrattuali

siano adeguati e che ne derivi un vantaggio economico (rendimento) senza sopportare

rischi troppo alti.

o altri soggetti si trovano in una posizione opposta: hanno un deficit di “potere di

acquisto”, che possono risolvere utilizzando risorse altrui, procurate attraverso

contratti di finanziamento. L’incentivo a utilizzare “risorse esterne” deriva

dall’opportunità di fare investimenti reali di ammontare superiore

all’autofinanziamento disponibile o dal desiderio di anticipare consumi rispetto

all’attuale capacità di spesa. Se il reddito atteso dagli investimenti (o l’utilità dei

consumi) sarà adeguato, questi soggetti saranno disposti a pagare il costo delle risorse

(e quindi il rendimento per i risparmiatori).

Le “diversità di posizione giustificano quindi un “utile” processo di trasferimento delle risorse

all’interno del sistema economico. Tale trasferimento richiede un certo gradi di finanziarizzazione

dell’economia ovvero che sia possibile incorporare il reddito non consumato e la ricchezza

accumulata in appositi contratti che rappresentino:

o per il creditore, una forma di investimento finanziario;

o per il debitore, un modo per raccogliere risorse finanziarie aggiuntive rispetto alle

proprie autonome capacità di risparmio.

3. Come il sistema finanziario rende più efficiente il

trasferimento delle risorse

Il sistema finanziario opera in diversi modi al fine di rendere funzionale ed efficiente il processo di

trasferimento delle risorse: la definizione delle forme contrattuali, lo sviluppo dei mercati, la

produzione di “informazioni di prezzo”, la presenza di intermediari. Ciò configura un meccanismo

attraverso cui si realizza un accentramento delle risorse provenienti da una moltitudine di

risparmiatori e la redistribuzione delle stesse tra i diversi possibili utilizzatori.

Le modalità attraverso cui il sistema finanziario rafforza e rende più efficiente il processo di

trasferimento delle risorse finanziarie sono:

L’informazione. Se il rischio percepito dal datore dei fondi è quello relativo al rimborso alla

scadenza, diventa fondamentale il meccanismo dell’informazione; in quanto è necessario

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avere informazioni accurate sulla controparte per valutarne l’affidabilità, ed è inoltre

necessario continuare a raccogliere informazioni dopo la stipula del contratto al fine di

monitorare l’utilizzo corretto dei fondi. Gli intermediari finanziari e i mercati organizzati

hanno appunto la funzione di ridurre il gap di informazione cui è esposto il creditore e

possono farlo (perché specializzati e perché operano su larga scala) in termini

economicamente convenienti.

I contributi informativi forniti dai soggetti del sistema finanziario sono:

o quello che serve per affrontare il problema della misurazione del rischio (selezione

ex ante e monitoring ex post), rischio che può limitare la circolazione delle risorse

da un finanziatore potenziale (avverso al rischio e poco informato) all’utilizzatore

finale.

o L’informazione di prezzo, peculiare nei mercati organizzati, consente un processo

allocativo decentrato guidato dai segnali di “convenienza” espressi attraverso la

quotazione degli strumenti finanziari; è quanto accade normalmente in una borsa,

dove il prezzo delle azioni quotate rappresenta il punto di riferimento rispetto al

quale venditori e compratori potenziali valutano la convenienza a vendere o

comprare.

o Anche la messa a punto dei contratti (preparazione, emissione e circolazione di ciò

che si indicherà col termine di “strumenti finanziari”) è un’attività che richiede

informazioni, competenze specifiche e strutture operative. Ogni forma contrattuale

è una combinazione particolare di elementi tecnici (scadenza, modalità di

remunerazione, garanzie, modalità di rimborso, diritto di voto in assemblea, etc)

che determinano i diritti/impegni patrimoniali e non patrimoniali per le controparti.

I contenuti tecnici ed economici del contratto possono essere riassunti in 2

dimensioni fondamentali del contratto stesso:

il rendimento (il costo per il debitore);

il rischio (del creditore), che aumenta all’aumentare della scadenza.

Sulla base della combinazione rendimento/rischio i contratti finanziari possono

essere classificati lungo un’ideale curva del mercato in cui, per rischi crescenti si

hanno rendimenti attesi più elevati. In pratica si riconosce un premio di rendimento

per unità aggiuntive di rischio. Così un contratto azionario è considerato più

rischioso di un contratto di credito (infatti la remunerazione –dividendo- è

discrezionale e subordinata alla copertura dei rischi dei creditori); nell’ambito dei

contratti di credito quelli a cadenza più lunga sono normalmente più rischiosi, in

funzione della crescente incertezza che caratterizza eventi da prevedere (rimborso)

via via più lontani nel tempo.

La liquidità. Se il rischio percepito dal creditore è quello di avere bisogno di riutilizzare il

risparmio investito prima della scadenza del contratto, allora diventa importante il

requisito della “liquidità”, della possibilità cioè di smobilizzare l’investimento prima della

data di rimborso fissata contrattualmente. Questa è appunto una delle funzioni dei mercati

finanziari e si svolge attraverso il sistema di negoziazione e scambio degli strumenti

finanziari.

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La liquidità è in funzione:

o della natura degli strumenti finanziari, che possono essere negoziabili o non

negoziabili; nel primo caso hanno un grado di liquidità che deriva, oltre che dalla

durata residua dalla possibilità di negoziare gli strumenti in un mercato.

o del tipo di strumento in quanto la liquidità può essere influenzata dal rischio e dalla

scadenza, oltre che dal grado di standardizzazione dello strumento stesso.

o della presenza di mercati organizzati, in cui lo scambio può avvenire con costi di

transazione molto bassi e prezzi trasparenti

Si può quindi assumere che la presenza di meccanismi di liquidità (negoziabilità e

standardizzazione degli strumenti finanziari, mercati organizzati) contribuisca a ridurre i

rischi per il datore di fondi e a ridurre in corrispondenza il premio di rendimento richiesto e

a rendere più agevole l’incrocio di scambi con i prenditori di fondi.

La trasformazione del rischio. Se i creditori (avversi al rischio) ritengono non finanziabile

quella parte dei prenditori che presentano livelli di rischio più elevato, il sistema finanziario

può ovviare a questa difficoltà operando una trasformazione del rischio, realizzata

attraverso 2 meccanismi principali:

o un intermediario finanziario si interpone tra datore e prenditore di fondi,

assumendo sul proprio bilancio una parte dei rischi del prenditore. La

trasformazione del rischio presenta allora due aspetti distinti: il primo è connesso

con la trasformazione delle scadenze; il secondo deriva dal fatto che il datore di

fondi ha come controparte un intermediario finanziario, cioè un soggetto

normalmente meno rischioso rispetto alla maggior parte dei prenditori di fondi

considerati individualmente.

o i datori di fondi impiegano il risparmio sotto forma di partecipazione a un

portafoglio di strumenti finanziari di diversi emittenti. In questo modo il rischio che

il datore assume è quello relativo a un insieme diversificato di prenditori di fondi e

normalmente è un rischio più basso rispetto a quello del singolo prenditore.

Trasformazione delle scadenze: tecnica attraverso cui gli intermediari finanziari

trasformano le caratteristiche temporali delle risorse finanziarie raccolte, al fine di

soddisfare le esigenze (generalmente di lungo termine) della clientela affidata. La

trasformazione delle scadenze costituisce uno dei principali elementi su cui si basa la

funzione di intermediazione delle banche. A essa si associano rischi di natura

finanziaria ed economica derivanti dall’imperfetta coincidenza tra i volumi e tra i

tassi delle operazioni di raccolta e di impiego con diverse scadenze. Il pericolo di

disequilibri economici, finanziari e patrimoniali indotti da un’eccessiva divaricazione

tra la scadenza media delle attività e quella delle passività di bilancio è all’origine

del principio di specializzazione temporale sancito dalla legge bancaria e motiva i

limiti tradizionalmente posti dall’organo di vigilanza all’attività di prestito oltre il

breve termine delle banche ed alle forme di impiego e di raccolta a breve termine

degli istituti di credito speciale.

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4. La gestione dei rischi

Il rischio è l’essenza dell’attività finanziaria. Il sistema finanziario, oltre la trasformazione del

rischio svolge anche una funzione di gestione dei rischi in forma più diretta di quanto non derivi

dai fattori (informazione, liquidità, trasformazione).

Vi sono 2 componenti essenziali di questa attività:

I contratti a termine, che comprendono una vasta gamma di applicazioni: da quelle sulle

merci a quelle sugli strumenti finanziari. La negoziabilità a termine delle merci è un modo

per favorire lo sviluppo degli scambi. Attraverso le transazioni a termine (regolamento a

data futura ad un prezzo fissato oggi), un operatore può gestire il rischio che affronta in

relazione alla sua posizione per quella determinata merce. Il problema è rilevante, in

particolare in relazione all’andamento futuro del prezzo della merce stessa. In questo

senso la gestione del rischio può essere fatta attraverso appositi contratti a termine

negoziati in mercati organizzati. I mercati a termine di strumenti finanziari: il rischio

derivante a un operatore dall’andamento futuro di una molteplicità di grandezze

finanziarie: il cambio delle valute, il prezzo ei titoli, i tassi di interesse, l’indice di borsa.

L’attività assicurativa, è una speciale area di attività del sistema finanziario che ha per

oggetto la negoziazione dei cosiddetti rischi puri, cioè quelli che si manifestano sotto forma

di perdite o danni futuri e non definibili nella frequenza e nella gravità. La gestione dei

rischi puri tramite una polizza assicurativa comporta il trasferimento del “rischio” ad un

intermediario specializzato (compagnia di assicurazione): l’assicurato trasforma un evento

futuro dannoso e incerto nella gravità e nella frequenza (e quindi nel costo) in un costo

certo (premio della polizza). La compagnia è in grado di far fronte ai suoi impegni di

risarcimento attraverso un processo di pooling, assumendo cioè un numero

sufficientemente alto e diversificato di rischi, per il complesso dei quali è possibile

prevedere con buona approssimazione il costo complessivo.

In termini strettamente finanziari il trasferimento del rischio puro ha come contropartita il

pagamento di premi che vengono investiti in riserve (in genere di investimenti finanziari),

da cui verranno prelevati i fondi necessari per compensare gli assicurati.

5. Moneta ed economia monetaria: definizioni

Oggi la moneta può essere definita come: l’insieme dei mezzi generalmente accettati come

strumento di pagamento; in termini più precisi si può dire che la moneta è rappresentata da tutti i

beni di natura reale e finanziaria che nell’ambito di un determinato assetto istituzionale svolgono

di diritto o di fatto la funzione di mezzo di scambio.

Moneta legale (circolante): si intende uno strumento di pagamento non coperto da riserve

di altri materiali (ad esempio: riserve auree), e quindi privo di valore intrinseco (anche

indiretto). La moneta legale (tipicamente sotto forma di banconote, ma anche sotto forma

di monete in metallo non prezioso) ha un valore grazie al fatto che esiste un'autorità (lo

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Stato) che agisce come se avesse questo valore. In termini più specifici, la moneta legale,

totalmente svincolata dal contenuto intrinseco di metallo prezioso, ha valore in quanto

mezzo di pagamento stabile riconosciuto nell'economia di un certo paese:

o la stabilità è garantita dal controllo sull'emissione da parte delle banche centrali;

o il riconoscimento come mezzo di pagamento è garantito dalla legge;

o il paese che emette la moneta la accetta - anzi, la richiede - come mezzo valido per

il pagamento delle imposte;

Moneta bancaria: La moneta bancaria è costituita dai mezzi di pagamento che il sistema

bancario mette a disposizione dei depositanti. In particolare il rapporto di conto corrente

consente l'uso come strumenti di pagamento del bonifico, dell'assegno bancario, delle

carte di debito e delle carte di credito. Si basa su strumenti gestiti e organizzati dalle

banche: come gli assegni, i bonifici, gli addebiti pre-autorizzati, le carte di debito, le carte di

credito, le carte prepagate, etc. L’uso di tali forme di pagamento diverse dal contante è

reso possibile da due elementi: il possesso di un c/c bancario, e la rete informatica che

collega tutte le banche con tutta una serie di regole e di procedure che consentono la

generale accettazione della moneta bancaria per i pagamenti.

Economia monetaria è il termine con il quale si indica un sistema economico in cui gli scambi di

beni e servizi sono regolati attraverso la moneta. Ogni bene/servizio ha un valore definito in

un’unità monetaria che, normalmente, è la valuta del Paese

6. Dal baratto all’economia monetaria (moneta merce, moneta

segno, moneta bancaria)

In una economia primitiva gli scambi si basano sul baratto: merce vs merce ovvero sul baratto.

Questo comporta:

o una doppia coincidenza nelle preferenze tra chi vende e chi compra;

o che i beni siano divisibili;

o alti costi di “ricerca” della controparte.

La soluzione dei problemi si trova nell’individuare un bene di interesse ed accettabilità diffusa in

base al quale definire i valori degli altri beni (bene-moneta/moneta merce). Questo passaggio è

importante perché:

• Si accrescono le possibilità dello scambio;

• Aumentano i fabbisogni soddisfatti;

• Si riducono i tempi ed i costi dello scambio;

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• Si incentiva la produzione.

In definitiva si può passare da un’economia di autoconsumo ad una economia di scambio. La

moneta-merce è inizialmente un bene, nel tempo questo ruolo viene svolto sempre più da metalli

preziosi. Tuttavia la simmetria tra valore facciale e valore intrinseco si può perdere per diverse

ragioni (es. caso di frodi, delle leghe o della “tosatura” o quando il valore relativo, rispetto agli altri

beni, del metallo di conio si modifica).

Il passaggio fondamentale verso la moneta-segno si ha allorché si ha la possibilità di sostituire la

moneta merce con titoli rappresentativi della stessa, ottenendo una riduzione dei costi (di

informazione e di trasporto) e dei rischi (qualità, furti e smarrimenti). La sostituzione della moneta

merce con titoli rappresentativi si verifica in origine per ragioni pratiche: i mercanti del

Rinascimento trovarono più economico e sicuro fare uso di certificati di deposito (rappresentativi

della moneta-merce depositati presso i banchieri) piuttosto che trasferire fisicamente la moneta

stessa. Un altro passaggio chiave si verifica allorché i banchieri si rendono conto che la circolazione

di certificati non richiede l’integrale copertura di moneta metallica; è infatti mollo improbabile che

tutti i depositanti si presentino simultaneamente a ritirare il loro deposito, consentendo cosi di

fare “prestito”. Il conto economico della banca si trasforma: i ricavi a fronte dei servizi di deposito

vengono integrati dagli interessi sui prestiti.

Nel tempo la funzione di emettere titoli utilizzabili come moneta diviene un monopolio degli Stati,

nasce così la moneta cartacea con corso legale, cioè riconosciuta in appositi dispositivi normativi.

Anche in questo caso si sviluppa la ricerca di procedure e di titoli alternativi alla moneta legale, ad

esempio i saldi dei depositi in conto corrente ne sono un esempio: i saldi in essi contenuti possono

essere trasferiti tramite emissione di assegni o altri strumenti proprio con funzione di mezzo di

pagamento. Per la banca non è necessario tenere una scorta di moneta legale pari all’ammontare

dei depositi, dato che questi non saranno ritirati tutti contemporaneamente. In questo modo,

oltre i vantaggi di sicurezza e di costo già visti quando la moneta metallica è stata sostituita dai

titoli rappresentativi, si riduce al minimo l’impiego della ricchezza in attività infruttifere come la

moneta legale. Nasce così la cosiddetta moneta bancaria. La sua diffusione ha come presupposto

la fiducia del pubblico nell’affidabilità dei debiti bancari (depositi) come mezzo di pagamento (la

quale dipende a sua volta dal grado di stabilità raggiunto dalle banche).

7. I fattori che influenzano l’evoluzione della moneta

L’evoluzione storica degli strumenti di pagamento è influenzata da alcuni fattori i principali sono:

il costo, cioè gli oneri da sostenere in relazione alla produzione, all’utilizzo e al

mantenimento della moneta (trasferimento, sicurezza, perdita di valore reale, costo-

opportunità) -> l’evoluzione è segnata dalla ricerca di mezzi con costi di produzione e di

transazione sempre più bassi

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il rischio, quindi la possibilità che l’uso e la detenzione di un determinato mezzo di

pagamento possano generare perdite, come nel caso di furti, frodi o insolvenze.

la funzionalità, cioè la capacità del mezzo monetario di rendere un «servizio» in termini di

tempo di esecuzione dello scambio, affidabilità, informazione.

Dal punto di vista economico la moneta svolge almeno tre differenti funzioni:

Moneta come «mezzo di scambio» (definizione restrittiva di moneta)

Moneta come «unità di conto» (l’unità di misurazione del valore delle attività reali e

finanziarie e degli scambi)

Moneta come «riserva di valore», che si riferisce alla possibilità di trasferire il valore nel

tempo e di poterla riutilizzare per l’acquisto di beni e servizi. (presupposto per la sua

accettabilità)

8. Che cos’è oggi la moneta

Complessivamente, è sempre meno netta la separazione tra moneta e altre attività finanziarie; ciò

anche in relazione al continuo accrescersi della rapidità e della facilità di conversione tra le diverse

forme di detenzione della ricchezza. In senso più restrittivo, la definizione di moneta comprende il

“circolante”, cioè la moneta legale detenuta dal pubblico e i depositi monetari, cioè i depositi che

per la natura del contratto consentono un utilizzo come mezzo di pagamento (emissione di

assegni, per es.). Nel gergo economico statistico è l’aggregato M1.

L’innovazione finanziaria (in particolare la tecnologia) influenza la composizione di M1. Per

esempio la diffusione della rete di sportelli bancari e successivamente della rete di sportelli

automatici, consente una progressiva riduzione del circolante (delle scorte di moneta legale)

detenuto dal pubblico. Nello stesso tempo altre innovazioni altre innovazioni come le carte di

pagamento e i circuiti elettronici aumentano enormemente l’efficienza nell’utilizzo delle scorte

monetarie. Il circolante e l’aggregato M1 si riducono sempre più rispetto ai parametri

dell’economia reale: nei principali paesi industrializzati, il circolante rappresenta ormai un valore

molto basso comunemente compreso tra il 10 e il 30% del PIL.

Il secondo aggregato monetario utilizzato è M2, cioè la somma di M1 e dei depositi con scadenza a

2 anni. La componente aggiunta è rappresentata da strumenti finanziari (compresi i certificati di

deposito) che non consentono un diretto utilizzo come mezzo di pagamento, ma possono essere

convertiti rapidamente in moneta (o perché sono a vista o comunque a scadenza breve oppure

perché sono negoziabili). Pur non essendo mezzi di pagamento, la loro dimensione è rilevante ai

fini della stima del “potere d’acquisto” effettivamente nelle mani del pubblico, il quale potere di

acquisto si fonda non sulla moneta in senso stretto ma sulla possibilità di acquisirne rapidamente

la disponibilità.

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Infine M3 rappresenta un aggregato ancora più esteso, fino a ricomprendere componenti quali i

titoli di mercato monetario, le quote di fondi comuni monetari e le obbligazioni con durata fino a 2

anni. Uno dei tratti dell’innovazione finanziaria è di offrire strumenti finanziari che sono sempre

più efficaci nel combinare liquidità e rendimento.

M1 = Moneta circolante + depositi monetari

M2 = M1 + depositi con scadenza a due anni

M3 = M2 + titoli di mercato monetario, quote di fondi comuni monetari + obbligazioni con

durata fino a due anni

9. I circuiti reali e i circuiti monetari

L’utilizzo della moneta nel regolamento degli scambi comporta uno sdoppiamento dei circuiti

economici; ogni scambio si caratterizza cioè per 2 flussi di segno opposto:

quello dei beni/servizi dal venditore al compratore

quello della moneta dal compratore al venditore

Questi 2 flussi non sono necessariamente simultanei, il regolamento monetario potrebbe essere

posticipato (credito del venditore) o, più raramente, anticipato (credito del compratore).

Produttori e utilizzatori (dei beni e dei servizi) sono collegati da un duplice circuito, uno di natura

reale e uno di natura monetaria.

circuito dei beni/servizi e dei fattori produttivi (circuito reale)

circuito dei prezzi (ricavi) e delle remunerazioni del lavoro e del capitale (circuito

monetario)

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Si può osservare un’ulteriore distinzione tra:

circuito dei beni/servizi, costituito dai prodotti che vengono venduti agli utilizzatori finali

(flusso reale) e dai ricavi corrispondenti sotto forma di prezzo pagato ai produttori (flusso

monetario)

circuito dei fattori produttivi, rappresentato dalle prestazioni di lavoro o dagli apporti di

capitale (flusso reale) e dai redditi pagati come compenso delle prestazioni stesse (flusso

monetario)

I valori risultanti da questi 2 circuiti sono equivalenti, cioè il valore dei beni/servizi prodotti e

venduti corrisponde alla somma delle remunerazioni (compresi i profitti) pagate per la loro

produzione (reddito nazionale). Questi sono anche due possibili metodi per misurare il valore

dell’attività produttiva di un paese in un certo arco di tempo.

Il prodotto finale (Y) può, quindi, essere visto come somma del valore dei beni e servizi destinati al

consumo (C) e del valore dei beni di investimento utilizzati nelle attività produttive (I)

Y = C + I

La misura più comune di questo fenomeno è quella del Prodotto Interno Lordo (PIL), cioè di un

aggregato rappresentativo la produzione finale del paese e riferibile alle unità produttive operanti

all’interno del paese stesso.

Il Reddito Nazionale equivalente può essere visto nella sua ripartizione tra spesa per consumi (C) e

quota di reddito non consumata, cioè Risparmio (S):

Y = C + S

Il risparmio accumulato nel sistema è alla base delle spese d’investimento. in un’economia chiusa,

deve essere S = I, vale a dire che la formazione del capitale reale (I) è vincolata all’accumulazione

di risparmio e che la produzione deve essere sostenuta, oltre che dalla domanda per consumi (C),

da una domanda per investimenti (I) che corrisponde al pieno utilizzo del risparmio (S). in

un’economia aperta, la formazione del capitale si raccorda con l’accumulazione di S e con il saldo

degli scambi del paese nei confronti dell’estero. Ci sono due casi:

S < I (l’economia può avere un surplus di investimenti I rispetto al capitale disponibile S): in

tal caso la differenza sarà finanziata con risorse risparmiate in altri paesi, e ciò corrisponde

al saldo negativo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti (importazioni >

esportazioni)

S > I, che indica l’impiego di una parte del risparmio nazionale da parte di altre economie

(saldo positivo della bilancia dei pagamenti)

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10. La struttura finanziaria dell’economia: alcuni concetti base

Il risparmio e il patrimonio delle attività economiche.

Ogni soggetto (famiglia, impresa, ente) in un dato intervallo di tempo presenta un proprio bilancio

composto da uno stato patrimoniale ed un conto economico. Questi due prospetti colgono due

“aspetti” diversi ed importanti della situazione “economica” di un soggetto:

Conto economico - Dimensione di un fenomeno nel corso di un determinato intervallo-

Flusso. La differenza tra ricavi (reddito, Y) e costi (consumi, C) misura il risparmio (S),

ovvero: Y – C = S. Se il soggetto è una famiglia, il risparmio è la differenza tra i redditi

percepiti (stipendi e altri) e spese per consumi. Se si tratta di un’impresa, è la differenza tra

ricavi e costi di esercizio. Se si tratta di un ente della Pubblica Amministrazione, il risparmio

misura la differenza tra entrate e uscite correnti.

Stato Patrimoniale: Misura di un fenomeno in un determinato istante – Stock.

L’accumulazione del risparmio è destinabile ad incremento del proprio patrimonio; Tale

incremento viene registrato nello Stato Patrimoniale.

Il saldo richiama l’idea di reddito non utilizzato per fini correnti (consumi o uscite) e perciò

destinabile a incremento del “patrimonio” del soggetto (patrimonio familiare o capitale netto a

seconda che si parli di famiglia o impresa).

Attività e Passività finanziarie

Le unità economiche non si limitano all’accumulazione del risparmio, ma operano investimenti in

attività reali (beni aventi un valore intrinseco in quanto possono produrre servizi di utilità reale e

immediata per il possessore) e attività finanziarie (l’investitore vanta un diritto nei confronti del

reddito e della ricchezza presenti e futuri dell’emittente dello strumento finanziario, il quale a sua

volta, ha un impegno a soddisfare questo diritto). La moneta rappresenta un’attività finanziaria

speciale che si caratterizza per la diffusa accettazione come mezzo di pagamento. Il finanziamento

di questi investimenti, oltre che al patrimonio netto (che corrisponde quindi al risparmio

accumulato) può avvenire con il ricorso ai debiti (passività finanziarie).

Il riferimento a crediti/debiti porta a introdurre il concetto più generale di attività e passività

finanziaria. Prendiamo la definizione di strumento finanziario (contratto che prevede prestazioni di

natura patrimoniale e che intercorre tra un emittente (debitore) e un investitore (creditore). Per

l’investitore tale strumento può essere visto come un diritto patrimoniale (assieme ad altri diritti);

esso assume quindi la natura di Attività finanziaria (Af): cioè l’investitore vanta un diritto nei

confronti del reddito e della ricchezza presente e futura dell’emittente (debitore) dello strumento

finanziario, il quale a sua volta ha un impegno a soddisfare questo diritto. Il concetto di passività

finanziaria (Pf) è speculare a quello di attività finanziaria: lo stesso strumento finanziario, visto dal

lato dell’emittente (debitore, emittente di azioni, controparte di contratti di copertura di rischi),

rappresenta un impegno patrimoniale cioè appunto una passività finanziaria.

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È utile sottolineare la distinzione tra attività reali (Ar) e attività finanziarie (Af). Le Ar sono beni

aventi un valore intrinseco, in quanto possono produrre servizi di utilità reale e immediata per il

possessore, mentre le Af non hanno un valore intrinseco, ma rappresentano beni reali; sono

facilmente trasferibili (al contrario delle Ar); generano redditi per il possessore ma per l’economia

nel suo complesso tali redditi non corrispondono a produzione di beni/servizi. Non rappresentano

quindi produzione di nuova ricchezza, ma sono un modo poco costoso di mantenere/trasferire i

diritti sulla ricchezza e sul reddito. Se i mercati finanziari sono ben funzionanti, attraverso la

rappresentazione della ricchezza reale nelle Af si può sviluppare il processo allocativo delle risorse.

Composizione dello Stato Patrimoniale

Alcune definizioni:

Ricchezza finanziaria: stock di attività finanziarie detenute (Af)

Ricchezza finanziaria netta: ricchezza finanziaria – passività finanziaria (Af – Pf)

Ricchezza reale: stock di attività reali in essere (Ar)

Ricchezza reale netta: stock di attività reali al netto dei fondi di ammortamento (Ar – Fondi)

Ricchezza totale lorda: Af + Ar

Ricchezza netta: (Af – Pf)+(Ar – Fondi)

11. Il concetto di saldo finanziario

Il comportamento finanziario delle unità economiche può essere rappresentato attraverso lo

schema delle fonti e degli usi dei fondi.

Usi:

o Variazione attività reali Ar

o Variazione attività finanziarie Af

Fonti:

o Variazione passività finanziarie Pf

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o Variazione patrimonio netto S

Nb: Le grandezze flusso sono calcolate come differenza tra due grandezze stock riferite a date

diverse.

Il vincolo contabile dell’uguaglianza tra “fonti di fondi” e “usi di fondi”, è: I+∆Af = ∆Pf + S.

Il saldo finanziario (SF) di un’unità economica può è definito come divario tra risparmio e

investimento: SF =S – I. L’obiettivo del calcolo del saldo finanziario è quello di misurare l’eccedenza

(Sf > 0) o il deficit (Sf < 0) di risorse a fronte dei fabbisogni per investimenti. La qualificazione

“finanziario” si riferisce al fatto che:

un Sf>0 comporta necessariamente un riequilibrio “fonti-usi”, attraverso nuovi

investimenti in Af;

un Sf <0 comporta un ricorso a nuove Pf.

Da ciò deriva che: Sf = ΔAf – ΔPf

Dati il vincolo di bilancio (Y=C+I) e [SF = S-I] vale necessariamente: SF = Af - Pf

Il saldo finanziario quindi può essere visto sia come equilibrio tra grandezze reali (S e I), sia come

equilibrio speculare tra grandezze finanziarie (flussi di Af e Pf)

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12. I settori istituzionali

Per poter analizzare il comportamento finanziario delle diverse unità economiche attraverso il

saldo finanziario, è necessario rappresentare l’economia attraverso pochi soggetti. Questi ultimi

sono aggregati in classi, definite come raggruppamenti di unità istituzionali che, oltre a essere

omogenee, manifestano autonomia e capacità di decisione in campo economico-finanziario.

Società non finanziarie;

Società finanziarie:

o Istituzioni monetarie finanziarie;

o Altri intermediari finanziari;

o Ausiliari finanziari

o Imprese di assicurazione e fondi pensione.

Amministrazioni pubbliche:

o Amministrazioni centrali;

o Amministrazioni locali;

o Enti di previdenza e assistenza sociale.

4. Famiglie e istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie;

5. Resto del mondo.

13. Le modalità esistenti per il trasferimento delle risorse

Il trasferimento delle risorse dalle unità in surplus a quelle in deficit può avvenire mediante:

circuito finanziario diretto: attraverso strumenti finanziari di mercato che rappresentano

un rapporto contrattuale fra l'investitore (datore di fondi) e l’emittente (prenditore di

fondi). In questo caso si suppone l’esistenza di una compatibilità fra preferenze di

investitori (datori di fondi) ed emittenti (prenditori di fondi);

circuito finanziario indiretto: con l’inserimento fra le unità finali di uno o più intermediari.

Questi ultimi assumono di volta in volta la posizione contrattuale di debitore, nei rapporti

con le unità in surplus, e di creditore, nei rapporti con le unità in deficit.

In parte, mercati e intermediari sono sovrapposti: ciò indica che gli intermediari possono usare

strumenti finanziari negoziati nei mercati e possono esserne coinvolti nel funzionamento tecnico.

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Il sistema dei controlli sul sistema finanziario

1. Fondamenti dei controlli sul sistema finanziario

Il sistema finanziario è una parte dell’economia sottoposta a un insieme articolato di controlli da

parte dei pubblici poteri. Anche nei paesi tradizionalmente caratterizzati da un forte orientamento

ai principi del “libero mercato”, possiamo osservare la presenza di sistemi di regolamentazione e

di vigilanza che si rivolgono, seppur con intensità e metodi non sempre uniformi, all’attività

finanziaria: ai mercati e agli intermediari finanziari, così come agli operatori non finanziari

(imprese) quando questi si rivolgono ai risparmiatori.

Le ragioni fondamentali del controllo pubblico sul sistema finanziario sono riconducibili ai 4 punti

seguenti:

La funzione monetaria e il governo “monetario” dell’economia. La parte del sistema

finanziario rappresentata dalle banche è alla base dell’offerta di moneta. La moneta cioè è

costituita, oltre che dalla moneta legale (emessa dalla Banca centrale), dalla moneta

scritturale (o moneta bancaria), vale a dire da speciali forme di debito delle banche

(depositi a vista) che sono comunemente accettate come mezzo di pagamento. La moneta

bancaria rappresenta, anzi, la componente di gran lunga più importante dell’offerta

complessiva di moneta. Vi è un interesse generale:

o al buon funzionamento del sistema dei pagamenti (e quindi della funzione monetaria),

sia per ragioni di sicurezza e stabilità sia per ragioni di efficienza.

o nel regolare la quantità di moneta a disposizione dell’economia (equilibrio

domanda/offerta) e/o governare altre grandezze chiave della condotta della politica

monetaria (base monetaria, tassi di interesse, etc)

Questi due aspetti aiutano a spiegare l’esigenza (o comunque l’utilità) del controllo delle

banche, cioè di quella parte del sistema finanziario che svolge la funzione di produzione e

di offerta della moneta.

La tutela del risparmio e la protezione degli investitori. Il sistema finanziario svolge una

seconda importante funzione consistente nella mobilizzazione e nel trasferimento del

risparmio finanziario dalle unità in surplus verso quelle in deficit. Questa attività richiede

una forte componente fiduciaria, la quale è inevitabile in un contesto caratterizzato da

incertezze e rischi. Vi è un interesse nel fare in modo che il risparmiatore rafforzi la propria

fiducia nei confronti dei prenditori di fondi (tra essi, in primis, gli intermediari finanziari); a

tal fine è opportuno fissare regole cui devono sottostare i soggetti (intermediari o

operatori non finanziari) che offrono strumenti di investimento ai finanziatori; tali regole

servono a rafforzare l’affidabilità dei debitori (prenditori di fondi) e ad accrescere la

capacità di valutazione da parte dei creditori (datori di fondi).

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Le esternalità negative. Se i debitori che si considerano sono le banche, la crisi e

l’insolvenza assumono un rilievo che va al di là della tutela dell’interesse del singolo

investitore. La crisi bancaria può provocare esternalità negative per il sistema economico,

sotto forma di “contagio” verso altre istituzioni finanziarie, sfiducia e panico dei

depositanti, corsa gli sportelli per il ritiro dei depositi. Una crisi bancaria, o in senso più

ampio “una crisi finanziaria”, può determinare instabilità nella stessa economia reale.

L’asimmetria informativa e il fallimento del mercato. L’assunto di base è che il rapporto tra

creditore e debitore è intrinsecamente caratterizzato da un difetto di informazione a

danno del creditore; ne deriva un limite all’efficace selezione dei prenditori di fondi; in

particolare l’informazione non è sufficiente a stabilire una graduatoria di rischio e, quindi, a

definire il prezzo del credito in funzione del rischio. Le carenze informative, quindi, possono

determinare il fallimento del mercato. Lo scambio di beni come gli strumenti finanziari (per

i quali il prezzo è strettamente legato all’informazione) non può raggiungere un equilibrio

se è lasciato alle “libere forze del mercato”; ne consegue l’interesse delle pubbliche

autorità a fissare regole per rafforzare lo spessore e la qualità dell’informazione disponibile

agli investitori.

2. Assetto istituzionale delle attività di controllo

L’attenzione da parte dei pubblici poteri sull’attività finanziaria si traduce in interventi ai diversi

livelli dei poteri dello Stato:

Legislativo, per quanto attiene alla normativa primaria, volta a creare un quadro di regole

base per tutte le aree componenti il sistema finanziario: bancaria, mobiliare, assicurativa;

Esecutivo, con riguardo ai poteri di intervento attribuiti al Governo (o a comitati di ministri o a

singoli ministri) che si traducono o in politiche di indirizzo, o in normazione secondaria;

Amministrativo, rappresentato dalle Autorità di controllo, competenti per le specifiche

materie e che operano fondamentalmente sul terreno tecnico, attraverso le politiche e gli

strumenti di regolamentazione e vigilanza.

Gli ordinamenti garantiscono l’indipendenza della Banca centrale dal Governo. La ragione

fondamentale è che la Banca centrale è l’istituzione cui spetta la “tutela del valore della moneta”

(ciò può avvenire per es, perseguendo in modo rigoroso politiche monetarie non inflazionistiche).

Il governo può avere una diversa sensibilità a questo obiettivo; la sua politica di spesa pubblica

(raccomandabile sul piano sociale) potrebbe essere discutibile sul piano della stabilità monetaria.

L’assetto istituzionale del sistema finanziario italiano prevede la presenza di diverse Autorità di

controllo:

la Banca d’Italia, concentra diverse funzioni che riguardano l’attuazione della politica

monetaria (in via sussidiaria rispetto alla Banca Centrale Europea), la vigilanza creditizia e

finanziaria, la tutela nella concorrenza nel mercato del credito;

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la Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), ha il compito di controllare il

settore mobiliare, i mercati, l’attività di intermediazione mobiliare, gli obblighi informativi

delle società quotate e le offerte al pubblico di strumenti finanziari, la nascita di nuovi

mercati, il comportamento dei soggetti vigilati.

l’Isvap (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private e di Interesse collettivo), esercita il

controllo del mercato e delle imprese di assicurazione, attraverso le sue funzioni di

regolamentazione, vigilanza e autorizzazione.

la Covip (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione), è chiamata ad assicurare la

funzionalità del sistema di previdenza complementare e, a tale scopo, vigila sulla corretta e

trasparente amministrazione e gestione dei fondi. (art. 16 del D.lgs. 124/1993)

l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm), a cui compete la sorveglianza e la

repressione dei comportamenti (intese, posizioni dominanti, concentrazioni) che mettono in

discussione la libertà di concorrenza.

3. Gli obiettivi del controllo del sistema finanziario

Gli obiettivi del controllo si articolano nei due grandi ambiti degli obiettivi della politica monetaria,

e degli obiettivi della regolamentazione e vigilanza. I primi rientrano nel quadro più generale degli

obiettivi della politica economica, i secondi sono identificati negli obiettivi di:

stabilità del sistema finanziario. La stabilità risponde alle esigenze di: tutela del

risparmiatore, di funzionalità del sistema dei pagamenti e di efficacia del governo

monetario dell’economia.

efficienza del sistema finanziario. Efficienza è intesa nella duplice accezione di:

o efficienza operativa, che fa riferimento alla minimizzazione del costo per l’economia

reale dell’attività finanziaria;

o efficienza allocativa, che indica la qualità del processo di distribuzione delle risorse

verso gli impieghi alternativi. Il questo caso il grado di efficienza corrisponde alla

capacità di selezionare gli impieghi secondo una priorità data dal livello della

redditività attesa. In un mondo di risorse scarse, se queste vengono concentrate

sugli investimenti più produttivi, l’economia nel suo complesso raggiunge le

performance più alte.

Gli obiettivi di stabilità e di efficienza sono interdipendenti; si tratta di un trade-off: massimizzare i

risultati da un lato (stabilità) comporta costi crescenti dall’altro (efficienza). Tuttavia, efficienza e

stabilità, possono essere viste anche in un rapporto di complementarità; in qualche misura ciò

avviene quando la regolamentazione dell’informazione sul mercato finanziario assicura le

condizioni di corretto ed efficiente funzionamento del mercato stesso e limita anche i pericoli di

eccesso di volatilità dei prezzi, volatilità che potrebbe tradursi in crisi di sfiducia da parte degli

investitori. In senso più ampio, nel lungo termine, il rafforzamento dell’efficienza degli

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intermediari finanziari è condizione necessaria per accrescerne la capacità competitiva e quindi la

stabilità (in quanto dipende dal successo concorrenziale). In questa visione dunque la

competizione e l’efficienza sono presupposti per la stabilità.

4. Le autorità di controllo del sistema finanziario

La Banca d’Italia: nasce nel 1893 a un trentennio dall’unificazione politica, come risultato della

fusione di tre delle sei banche che allora operavano come “istituti di emissione” (Banca Nazionale

del Regno, Banca Nazionale Toscana, e Banca Toscana di Credito). L’atto di nascita conclude una

fase di profonda instabilità economica e finanziaria, nel corso della quale poco o nulla era stato

fatto per promuovere lo sviluppo delle strutture bancarie e creditizie, le quali in gran parte

riflettevano ancora le segmentazioni regionali preunitarie; non vi era un ordinamento giuridico

uniforme, le operazioni svolte erano molto limitate sia sul piano tecnico sia su quello della

clientela, non esisteva un sistema di controlli. Intorno alla funzione di “istituto di emissione”, la

Banca d’Italia sviluppa progressivamente una serie di altre attività che la trasformano nella più

complessa figura di “banca centrale”.

Le funzioni della banca d’Italia possono essere classificate in 4 principali aree funzionali:

come istituto di emissione, la BI, in quanto parte del SEBC, si occupa non solo

dell’emissione e del controllo della moneta legale, ma esercita un ruolo centrale

nell’ambito del “sistema dei pagamenti”;

come banca centrale, la BI concorre a definire gli indirizzi della politica monetaria e ad

attuarne l’esecuzione, in base al principio di sussidiarietà;

come organo di vigilanza, l’attività della BI è finalizzata a determinare condizioni di stabilità

e di efficienza del sistema finanziario; in parte queste funzioni si integrano con gli interventi

di competenza di altri organi di controllo, come la Consob e l’Isvap;

come organo di tutela della concorrenza, la BI ha il compito di sorvegliare la condotta di

mercato delle istituzioni finanziarie e di accertare eventuali situazioni e comportamenti

lesivi della concorrenza; in quest’ambito sul piano funzionale vi è uno stretto legame con

gli interventi di vigilanza; sul piano istituzionale vi è un’integrazione con l’attività

dell’AGCM a cui competono in via generale i poteri in materia antitrust.

La CONSOB: è stata istituita nel 1974 con il compito di controllare il mercato mobiliare e svolge

un’attività orientata alla tutela degli investitori e al miglioramento dell’efficienza e della

trasparenza del mercato. La sua attività si articola su diverse modalità e poteri d’intervento:

regolamentazione, ha competenze in merito alla prestazione dei servizi di investimento da

parte degli intermediari, agli obblighi informativi delle società quotate e alle offerte al

pubblico di strumenti finanziari;

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autorizzazione, i suoi poteri riguardano la pubblicazione dei prospetti dei documenti

relativi alle offerte pubbliche; l’istituzione di nuovi mercati regolamentati; l’esercizio delle

attività di gestione accentrata degli strumenti finanziari

Vigilanza, ha per oggetto le società di gestione dei mercati regolamentati; il funzionamento

ordinato e trasparente delle negoziazioni; la trasparenza e la correttezza di

comportamento degli intermediari e dei promotori finanziari;

Controllo, si riferisce alle informazioni fornite al mercato dalle società quotate e da chi

promuove offerte al pubblico di strumenti finanziari;

Monitoraggio, riguarda le eventuali anomalie nell’andamento delle negoziazioni,

soprattutto in relazione all’eventuale abuso di informazioni privilegiate (insider trading) e

all’aggiotaggio.

Le grandi aree di intervento della Consob possono essere riassunte nei seguenti punti:

sollecitazione all’investimento. Con questo termine si intende ogni offerta o messaggio

promozionale rivolti al pubblico finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti

finanziari;

gli obblighi di trasparenza degli emittenti di strumenti finanziari quotati. Questi si

distinguono a loro volta a seconda che riguardino la trasparenza dell’attività societaria

(eventi rilevanti nell’attività dell’emittente, operazioni straordinarie, eventi di carattere

periodico), oppure la trasparenza della proprietà azionaria;

i mercati regolamentati e i soggetti che li gestiscono. Le funzioni della Consob riguardano

essenzialmente l’autorizzazione dei mercati e la vigilanza sulle società di gestione dei

mercati stessi.

L'ISVAP. Nasce con legge nel 1982 e assorbe una parte delle funzioni di indirizzo e di controllo del

comparto assicurativo fino ad allora svolte direttamente dal ministero dell’Industria. Le sue

funzioni sono:

vigilanza, ha il compito di esercitare il controllo sulle imprese di assicurazione e più in

generale sugli operatori del mercato assicurativo (agenti, broker), per monitorarne la

gestione tecnica, finanziaria e patrimoniale e per verificarne l’osservanza alla normativa.

Concorre poi alla formazione dei provvedimenti del Ministero in materia di autorizzazione

per l’esercizio dell’attività e di quelli riguardanti la gestione delle crisi.

Analisi e Ricerca, in quanto svolge una funzione di ricerca sul settore assicurativo sia al fine

del controllo delle tariffe, sia per fornire supporto tecnico agli orientamenti e ai

provvedimenti di competenza del ministero dell’Industria;

Tutela della concorrenza: vi è una competenza in materia attribuita all’Isvap; tuttavia il

rapporto con l’Autorità garante è regolato in modo diverso da quanto accade per la BI per il

settore bancario-finanziario. In quest’ultimo caso la BI assume i provvedimenti “sentito il

parere dell’Autorità garante”. Per il settore assicurativo invece il meccanismo è capovolto;

e cioè previsto che l’Autorità garante decida “sentito il parere dell’Isvap”. (legge del 1990).

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La COVIP. E’ prevista dal D.lgs. del 1993 che traccia le linee fondamentali della riforma della

previdenza e istituisce i fondi pensione. Alla Commissione sono riservate le seguenti funzioni:

Vigilanza: l’attività comprende sia poteri propri (per es. tenuta dell’albo dei fondi

pensione, attività ispettiva, regole per la tenuta dell’informazione contabile, definizione di

regole per la trasparenza nei confronti dei partecipanti) sia ambiti di intervento che sono

complementari a quelli del ministero del Lavoro e della previdenza sociale (per es nel caso

di autorizzazione all’esercizio dell’attività o nel caso di crisi dei fondi pensione).

Analisi e ricerca: ci si riferisce ad analisi e previsioni sull’andamento delle attività

previdenziali utili sia ai fini di conoscenza generale, sia come supporto per le proposte di

modifica legislativa e regolamentare.

L’attività di vigilanza in particolare comporta rapporti e scambi fi informazioni con le altre autorità

di controllo. Quelli previsti espressamente riguardano l’AGCM e gli enti di controllo degli

intermediari che possono assumere la funzione di gestione per conto dei fondi pensione (banche,

SIM, e imprese di assicurazione)

L’AGCM. E’ stata istituita nel 1990 con il compito di vigilare su 3 aspetti rilevanti del

funzionamento delle regole di mercato:

le intese restrittive della concorrenza;

gli abusi di posizione dominante;

le operazioni di concentrazione tra imprese che comportino il pericolo di una riduzione

della concorrenza.

Gli obiettivi sottostanti queste attività sono sostanzialmente due:

garantire condizioni di libertà di impresa e quindi di accesso al mercato e di pari

opportunità;

tutelare i consumatori facendo in modo che la libera concorrenza si traduca in prezzi e

qualità dei prodotti più favorevoli.

Per quanto riguarda in particolare i settori bancario e assicurativo, le competenze dell’AGCM si

incrociano con quelle della Banca d’Italia e dell’Isvap. La Banca d’Italia ha il compito di applicare la

normativa a tutela della concorrenza nell’ambito del settore bancario. L’iter procedurale prevede

l’obbligo di richiedere all’AGCM il parere (non vincolante) sui casi esaminati. Per il settore

assicurativo, la situazione è rovesciata: la competenza di autorità garante è dell’AGCM che è

tenuta a chiedere il parere (non vincolante) dell’Isvap.

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5. La Banca Centrale e la politica monetaria

La politica monetaria è l’insieme di obiettivi, strumenti ed azioni volti ad orientare l’offerta del

credito e i mercati finanziari verso gli obiettivi di politica economica. Essa rientra (assieme alla

politica dei redditi e alla politica di bilancio) nell’ambito della politica economica, cioè nel sistema

di strumenti di governo dell’economia avente come obiettivi finali:

la crescita del reddito,

l’occupazione,

la stabilità interna della moneta (livello dei prezzi)

l’equilibrio della bilancia dei pagamenti.

La politica monetaria si riassume nella:

regolazione della quantità di moneta

e del livello dei tassi di interesse

per raggiungere obiettivi di politica economica.

Comprendere (e anticipare) gli interventi di politica monetaria è importante poiché questi

incidono sui comportamenti degli operatori e sulla stabilità dell’intero sistema finanziario. Gli

intermediari finanziari, e in particolare le banche, sono un importante canale di trasmissione della

politica monetaria.

Lo schema logico può essere esemplificato considerando le relazioni finanziarie che intercorrono

tra Banca centrale, banche e settori finali (famiglie e imprese). Un aumento dei finanziamenti della

Banca centrale alle banche (creazione di base monetaria) incrementa le riserve bancarie. --> Da ciò

consegue la possibilità di allargare il credito alle imprese; la liquidità che viene così immessa in

circolazione crea i presupposti per generare nuovi depositi. --> Maggiori crediti e depositi

rappresentano per imprese e famiglie un incremento di liquidità disponibile in grado di influenzare

positivamente la domanda (investimenti e consumi). In conclusione, da un impulso sotto forma di

base monetaria (strumento) si passa quindi a un aggiustamento della capacità delle banche di fare

nuovo credito all’economia (obiettivi operativi e intermedi) e, potenzialmente, a un effetto sui

comportamenti dell’economia reale (investimenti e consumi).

6. La Banca Centrale Europea, l‘Eurosistema e il Sistema

Europeo di Banche Centrali

Dal 1 gennaio 1999 (avvio della terza fase dell’Unione economica e monetaria) la Banca Centrale

Europea (BCE) è responsabile per la condotta della politica monetaria unica all’interno dell’area

euro. Le funzioni di politica monetaria sono, quindi, passate dalle Banche centrali nazionali (BCN)

alla Banca centrale europea (BCE) e al Sistema europeo di banche centrali (SEBC).

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L’istituto della politica monetaria unica si fonda sul Trattato Costitutivo della Comunità Europea

(versione emendata) e sullo Statuto del SEBC (Sistema Europeo di Banche Centrali).

Il governo monetario dell’economia che siamo abituati a vedere storicamente nella sua

espressione rigorosamente nazionale, viene trasformato in un sistema sovranazionale, sia per

quanto riguarda le istituzioni responsabili sia per l’ambito di riferimento (12 Paesi aderenti alla

Terza fase). In pratica, i paesi partecipanti all’area euro rinunciano alla loro sovranità monetaria

nazionale e la trasferiscono a istituzioni sovranazionali. Ciò è avvenuto prima con la fissazione dei

tassi di cambio irrevocabilmente fissi fra monete nazionali e poi con l’adozione della moneta unica

(euro). Parallelamente si predispone un sistema di coordinamento delle politiche di bilancio e di

rafforzamento delle politiche regionali. La Terza fase dell’Unione economica e monetaria ha

rappresentato il completamento di un iter complesso, quasi decennale:

Nella 1a (1° luglio 1990-fine del ’93) -> i risultati perseguiti sono stati: liberalizzazione del

mercato dei capitali, allineamento dei cambi nella banda stretta del Sistema monetario

europeo, divieto di finanziamento monetario del Tesoro e quindi rafforzamento

dell’autonomia delle banche centrali e infine coordinamento delle politiche monetarie e

valutarie;

Nella 2a (1994-1998) -> sono stati predisposti e attuati programmi pluriennali di

convergenza in materia di finanza pubblica e di stabilità dei prezzi ed è stato costruito

l’Istituto monetario europeo, che rappresenta il soggetto che prepara la nascita della BCE.

Il Trattato di Maastricht (febbraio 1992) rappresenta lo strumento attraverso cui sono state

promosse le innovazioni istituzionali (nascita della BCE) e il coordinamento delle politiche

economiche (criteri di convergenza per l’ammissione alla fase finale della moneta unica)

Dal punto di vista strutturale, le istituzioni europee sono organizzate in un sistema articolato in tre

3 diverse entità:

la Banca Centrale Europea (BCE) rappresenta il vertice istituzionale ed operativo del

sistema; gli organi decisionali della BCE governano il SEBC e l’Eurosistema;

il Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC) che è composto dalla BCE e dalle BCN dei

paesi che fanno parte dell’Unione Europea a prescindere dall’adozione della moneta unica;

l’Eurosistema che è composto dalla BCE e dalle BCN dei paesi che hanno adottato la

moneta unica. Di fatto la politica monetaria riguarda solo i Paesi dell’Eurosistema.

La distinzione tra Eurosistema e SEBC deriva dal fatto che la gestione della politica monetaria

comune si applica ai paesi che hanno adottato la moneta unica. I paesi “fuori dall’euro” (“in

deroga”) non hanno poteri in campo della politica monetaria unica; essi sono peraltro

rappresentati in uno degli organi del sistema, il Consiglio generale. Il sistema opera sotto la guida

di tre organi decisionali:

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il Consiglio direttivo. E’ l’organo decisionale più importante ed è composto dal Comitato

esecutivo e dai Governatori delle BCN dei paesi partecipanti alla moneta unica. Le sue

competenze riguardano le decisioni fondamentali della politica monetaria, in particolare la

definizione degli indirizzi, le direttive per l’implementazione e la supervisione

dell’attuazione della politica monetaria (che è in gran parte decentrata presso le BCN);

il Comitato esecutivo comprende il Presidente e il Vicepresidente della BCE e altri 4

membri. Tutti sono scelti dai governi dei paesi partecipanti “tra le persone di riconosciuta

levatura ed esperienza professionale nel settore monetario o bancario”. Il Comitato ha il

compito di dare attuazione alle decisioni di indirizzo di politica monetaria formulati dal

Consiglio: esso rappresenta l’organo di gestione ordinaria della BCE;

il Consiglio generale. E’ composto dal Presidente e Vicepresidente della BCE e dai

Governatori di tutte le BCN dei paesi dell’UE (anche di quelli non aderenti all’Euro). Non ha

competenze di politica monetaria nell’area euro e la sua funzione è limitata al

coordinamento tra autorità monetarie nazionali soprattutto verso i paesi “in deroga”.

I compiti istituzionali del SEBC sono stabiliti dal Trattato di Maastricht in 4 punti:

definire e attuare la politica monetaria della comunità;

svolgere le operazioni sui cambi;

detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta degli Stati membri;

promuovere e regolare il funzionamento dei sistemi di pagamento

Principi fondamentali dell’Eurosistema:

Indipendenza: nessun organismo comunitario o governo nazionale può impartire istruzioni

sulla politica monetaria; a tal fine:

o la BCE è dotata di un bilancio indipendente e di un capitale sociale sottoscritto dalle

BCN; o i membri del Consiglio Direttivo hanno un incarico piuttosto lungo (mandato

settennale) e quelli del Comitato Esecutivo possono essere eletti solo una volta; o le BCN non possono concedere credito al settore pubblico (divieto di finanziamento

monetario del Tesoro).

Responsabilità: a fronte di tale indipendenza la BCE è pienamente responsabile del suo

operato nei confronti del Parlamento Europeo e dell’opinione pubblica.

Trasparenza: la BCE è tenuta a pubblicare rapporti trimestrali e relazioni settimanali,

nonché un rapporto annuale da sottoporre al Parlamento Europeo, alla Commissione

Europea e al Consiglio Europeo; più in generale la BCE deve rendere note le motivazioni e

gli obiettivi della sua strategia di politica monetaria, affinché cresca la sua credibilità presso

il pubblico degli operatori economici.

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7. Gli obiettivi del Sistema Europeo di Banche Centrali

Il trattato di Maastricht stabilisce in modo netto che l’obiettivo principale (prioritario) del SEBC

(attraverso l’Eurosistema) è il mantenimento della stabilità dei prezzi; solo in subordine il SEBC

può operare per il sostenimento delle politiche economiche generali della Comunità. (art.2: “la

Comunità ha il compito di promuovere uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività

economiche, una crescita sostenibile, non inflazionistica, che rispetti l’ambiente, un elevato grado

di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il

miglioramento del tenore della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà

tra gli Stati membri).

Tale obbiettivo si fonda su:

il principio della neutralità della moneta nel lungo periodo:

o Nel lungo periodo variazioni della quantità di moneta in circolazione non incidono

sul reddito o sul livello di occupazione che dipendono da fattori reali (tecnologia,

crescita demografica, preferenze degli operatori) o istituzionali (politiche fiscali,

flessibilità dei mercati, contesto normativo); o Nel lungo periodo, l’unica grandezza macroeconomica correlata all’offerta di

moneta (variabile sotto il contro della BCE) è l’inflazione; o Di conseguenza, le politiche fiscali e dei redditi si occupano del perseguimento degli

obiettivi “reali”, mentre la politica monetaria contribuisce alla crescita creando

condizioni favorevoli (stabilità dei prezzi).

il monopolio della BCE nell’emissione di base monetaria. Il mantenimento della stabilità dei

prezzi si realizza tramite il controllo dell’offerta di base monetaria (una maggiore offerta di

moneta produce la crescita del tasso di inflazione).

In linea generale l’azione della Banca Centrale per la stabilità dei prezzi si può tradurre in un

sostegno per obiettivi economici più generali, come il tasso di crescita e le migliori prospettive di

occupazione. Ciò significa che le variazioni nell’offerta di moneta sono destinate ad avere effetti

sulle variabili nominali (livello generale dei prezzi), ma non direttamente su quelle reali (prodotto,

occupazione). La politica monetaria può cioè contribuire alla crescita reale attraverso le condizioni

più favorevoli rappresentate dalla stabilità dei prezzi. Sono invece le altre politiche (fiscali, di

bilancio) a sostenere gli obiettivi reali a medio termine.

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8. Definizione quantitativa di stabilità dei prezzi e vantaggi

Per stabilità dei prezzi si intende bassa inflazione ossia tassi di variazione dei prezzi al consumo

molto contenuti nel medio periodo: “incremento su base annua dell’Indice armonizzato dei prezzi

al consumo all’interno dell’area Euro al di sotto, ma in prossimità del 2% rispetto ai 12 mesi

precedenti”

Anche la deflazione (diminuzione prezzi) è un fenomeno negativo: ad esempio può causare un

aumento degli oneri per i debitori, disincentivi al consumo corrente, etc. Una definizione così

puntuale rende possibile valutare in modo più concreto l’operato della BCE e prevedere più

facilmente i futuri interventi di politica monetaria.

I principali vantaggi di un sistema dei prezzi stabile possono essere così sintetizzati:

rende più efficiente l’allocazione delle risorse, poiché gli agenti economici, imprese o

consumatori, colgono meglio le variazioni relative dei prezzi di beni e servizi;

riduce i tassi d’interesse nominali, poiché i creditori non domandano premi per

tutelarsi dalla perdita di potere d’acquisto del capitale prestato;

riduce utilizzi improduttivi di risorse, causati dal timore di ondate inflazionistiche (es.

scorte di magazzino eccessive);

riduce il ricorso all’evasione o all’elusione motivato dal tentativo di evitare il fenomeno

del drenaggio fiscale (nei sistemi progressivi una crescita nominale del reddito, dovuta

a inflazione, porta all’applicazione di aliquote via via maggiori);

evita che il possesso di riserve liquide sia penalizzante, diminuendo la domanda di

moneta e aumentando i costi di transazione.

9. IL controllo della base monetaria

Moltiplicatore monetario

Il moltiplicatore monetario è il rapporto tra l'offerta di moneta e la base monetaria esistenti in un

determinato momento nel sistema economico. Indica come varia l’offerta di moneta in seguito ad

una variazione della base monetaria da parte della Banca Centrale. E’ generalmente indicato con

una doppia con «mm» ed è dato dalla seguente formula:

mm=M/H

La quantità di moneta (M) è composta dalla moneta circolante (CU, moneta legale) e dai

depositi bancari (D, moneta fiduciaria)

M = CU+ D

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La base monetaria (H) è, invece, composta dalla moneta circolante (CU) e dalle riserve delle

banche presso la banca centrale (RE): riserve obbligatorie in misura pari al 2% delle

passività < a 2 anni e riserve libere in eccedenza rispetto a tale obbligo ed aventi funzione

di sopperire alle esigenze di liquidita delle banche in funzione della loro struttura del

passivo.

H = CU+ RE

Sostituendo le variabili M e H con le relative formule economiche, è possibile riscrivere il

moltiplicatore monetario nel seguente modo

Dove cu=CU/D e re=RE/D.

cu= propensione del pubblico a detenere scorte di base monetaria pari al rapporto tra la

liquidità detenuta dal pubblico sotto forma di monete e banconote ed i suoi depositi

bancari;

re= propensione delle banche a detenere scorte di base monetaria (riserve libere e

obbligatorie). Rappresenta la quota di depositi che le banche non impiegano concedendo

prestiti alla clientela o acquistando titoli e tengono come riserva obbligatoria o libera.

Il moltiplicatore monetario è determinato dal comportamento del pubblico nella scelta di

detenere più circolante o depositi (cu) e dalle decisioni del sistema bancario sulla percentuale di

riserve da mantenere a fronte dei depositi bancari del pubblico. Essendo la componente (re)

situata al denominatore e sempre minore di uno (re<1), è possibile affermare che il moltiplicatore

monetario (mm) è sempre maggiore di uno (mm>1). Ciò vuol dire che l'offerta di moneta è

maggiore della base monetaria o, in altri termini, che l'offerta di moneta, oltre che dalla base

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monetaria, creata dalla banca centrale, è costituita dalla cosiddetta moneta bancaria, creata dalle

banche raccogliendo depositi e concedendo prestiti o acquistando titoli (prestiti e titoli che, nel

loro complesso, costituiscono il credito bancario). L'effetto moltiplicativo trova la sua spiegazione

nel processo circolare che si innesca tra banche e loro clienti: questi ultimi depositano la liquidità

in eccesso, rispetto a quella che desiderano detenere, presso le banche, le quali, a loro volta, la

ridistribuiscono al pubblico sotto forma di prestiti o acquisto di titoli; il pubblico, però, trattiene

solo una parte della liquidità così ricevuta, depositando nuovamente il resto presso le banche,

sicché il processo continua a ripetersi, creando ad ogni passaggio nuovi depositi che, andandosi a

sommare a quelli già esistenti, aumentano l'offerta complessiva di moneta.

In conclusione, quanto maggiore è il moltiplicatore monetario (mm), tanto maggiore è la quantità

dell'offerta di moneta (M) che può essere ottenuta dalla base monetaria. Quanto minore è la

percentuale (re) delle riserve detenute dalle banche rispetto ai depositi bancari, tanto maggiore è

l'offerta di moneta (effetto moltiplicativo).

Noto il moltiplicatore della base monetaria è possibile stimare l’impatto di un intervento della BCE

sulla quantità di moneta in circolazione, a condizione che i coefficienti b e p siano stabili nel

tempo. Un aumento della base monetaria produce un incremento più che proporzionale

dell’offerta di moneta.

10. I meccanismi di trasmissione della politica monetaria

Bisogna vedere in che modo la politica monetaria influenza l’economia e in particolare i prezzi;

quali sono cioè i meccanismi di trasmissione degli interventi di politica monetaria.

La catena di trasmissione della politica monetaria inizia con la modifica dei tassi di

riferimento applicati dalla BCE alle operazioni di rifinanziamento del sistema bancario (base

monetaria);

Tali variazioni si ripercuotono sui tassi di interesse del mercato interbancario e sui tassi

applicati alle operazioni con la clientela per prestiti e depositi a breve termine;

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L’attesa di una variazione dei tassi di riferimento incide anche sui tassi a medio termine che

rispecchiano le aspettative degli operatori;

Le variazioni dei tassi si ripercuotono anche su altre variabili finanziarie come i prezzi dei

titoli e i tassi di cambio;

Sono influenzate anche le decisioni di risparmio e di investimento di famiglie ed imprese,

nonché l’offerta ed il ricorso al credito: se i tassi aumentano il consumo corrente

diminuisce a favore del risparmio e dell’investimento in titoli; contrarre un prestito diviene

più oneroso per le imprese e più rischioso per il creditore. Al contrario se i tassi

diminuiscono crescono il consumo, gli investimenti ed il ricorso ai finanziamenti;

Tutto questo si ripercuote sul livello di domanda aggregata: ad esempio, se la domanda

aumenta si possono generare spinte inflazionistiche;

Le variazioni dei tassi d’interesse incidono anche sui tassi di cambio, influenzando i prezzi

all’importazione e la competitività dei prodotti sul mercato internazionale.

Se è vero che nel lungo periodo la moneta non influenza la crescita reale dell’economia è

importante tuttavia che l’offerta di moneta sia in equilibrio con il fabbisogno dei mezzi di

pagamento corrispondente ai beni disponibili e ai prezzi, in quanto un eccesso di offerta di moneta

porterebbe a una domanda insoddisfatta di beni e quindi ad un rialzo dei prezzi; mentre una

carenza di offerta avrebbe effetti restrittivi sull’attività economica. Dal punto di vista operativo,

dunque, la capacità della Banca Centrale di attuare il suo disegno di politica monetaria si basa sulla

determinazione del livello dei tassi a breve, livello che a sua volta è strettamente legato alla

liquidità del mercato monetario. Quest’ultima condizione è sotto il controllo della Banca centrale,

dato il suo potere di emettere base monetaria attraverso le operazioni di rifinanziamento e

attraverso le operazioni di mercato aperto.

Gli effetti di una manovra espansiva:

Politica monetaria espansiva:

politica che, attraverso la riduzione

dei tassi di interesse voglia

stimolare l’offerta di moneta dalle

banche alle imprese e quindi gli

investimenti e la produzione di beni

e servizi.

Politica monetaria restrittiva:

politica che, attraverso l’aumento

dei tassi di interesse, riduca

l’offerta di moneta e quindi renda

meno conveniente investire e

produrre.

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11. Gli strumenti di controllo dell’offerta di base monetaria

La base monetaria è un’attività finanziaria per la quale si può ragionare in termini di mercato, i cui

soggetti sono la Banca centrale (che regola la “funzione di offerta”) e le banche (che esprimono un

fabbisogno di riserve, e quindi una “funzione di domanda”); il prezzo è rappresentato dai tassi di

interesse a brevissimo termine (i tassi ufficiali delle operazioni della Banca centrale e i tassi del

mercato interbancario).

I principali strumenti di politica monetaria possono essere suddivisi in tre grandi categorie:

Operazioni di mercato aperto;

Operazioni su iniziativa delle controparti;

Variazione del coefficiente di riserva obbligatoria.

le operazioni di mercato aperto sono operazioni di pronti/termine (quindi con effetti temporanei)

in cui la Banca è acquirente di titoli a pronti quando vuole immettere base monetaria e venditore a

pronti quando vuole ridurre la base monetaria disponibile al sistema bancario; in altri casi si tratta

di operazioni di acquisto o vendita a titolo definitivo, che comportano quindi una correzione

permanente nella base monetaria. Dal punto di vista tecnico, si distinguono in:

Operazioni di rifinanziamento principale; sono le operazioni di politica monetaria più

importanti, con le quali la BCE orienta i tassi d’interesse e immette liquidità nel sistema,

il tasso su queste operazioni rappresenta uno dei “tassi ufficiali” della BCE e costituisce

un segnale importante per la formazione delle aspettative del mercato. o Attuazione decentrata (BCN); o frequenza e durata settimanale; o operazioni temporanee (pronti contro termine o concessione di credito dietro

prestazione di idonee garanzie), o procedura standard (cioè secondo un programma prestabilito e rapide

procedure d’asta, accessibili alle istituzioni creditizie dell’area euro).

Operazioni di rifinanziamento a più lungo termine; con durata di 3 mesi, frequenza

mensile e modalità competitiva (asta standard); sono la modalità attraverso cui la BCE

soddisfa il fabbisogno strutturale di base monetaria.

Operazioni di fine tuning; Possono avere come obiettivo sia l’immissione che

l’assorbimento di liquidità. Possono assumere la forma di operazioni temporanee, ma

anche di acquisto o vendita di titoli a titolo definitivo. Dato che il loro scopo è

soprattutto quello di ridurre l’effetto di fluttuazioni impreviste dei tassi d’interesse,

queste operazioni non hanno una scadenza regolare e non seguono procedure

standardizzate;

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Operazioni strutturali, Sono utilizzate per regolare la posizione strutturale della BCE nei

confronti del sistema finanziario. Possono essere sia temporanee che definitive, sia

standardizzate che non.

le operazioni su iniziativa delle controparti. Si tratta di finanziamento marginale o di deposito

marginale di durata overnight e con la frequenza a discrezione delle controparti. Hanno lo scopo di

consentire alle singole banche di risolvere momentanee carenze/eccessi di base monetaria

(scadenza overnight, ovvero a 24 ore), senza influenzarne in modo significativo il volume

complessivo, ed evitando che gli squilibri si traducano in eccessiva volatilità dei tassi interbancari. I

tassi su queste operazioni rappresentano gli altri “tassi ufficiali” della BCE (con quello sul

rifinanziamento principale) e vanno a determinare una sorta di corridoio entro cui vengono

contenute le variazioni del tasso interbancario overnight: non c’è infatti ragione perché una banca

cerchi fondi sul mercato interbancario a un tasso superiore a quello del finanziamento marginale

della BCE o che impieghi a un tasso inferiore a quello del deposito marginale.

Variazione del coefficiente di riserva obbligatoria; un aumento del coefficiente di riserva, a parità

di altre condizioni, comporta una diminuzione dell’offerta di moneta e viceversa

12. La domanda di base monetaria del sistema bancario: le

riserve

Le banche sono al centro del sistema dei pagamenti, cioè di una complessa rete di transazioni

monetarie che servono al regolamento degli scambi sia dell’economia reale (acquisto/vendita di

beni e servizi all’ingrosso e al dettaglio), sia dell’economia finanziaria (acquisto/vendita di attività

finanziarie). La partecipazione al sistema dei pagamenti comporta quindi la gestione di flussi di

incasso e di pagamento cui corrispondono entrate ed uscite di base monetaria. E’ comprensibile

che ogni banca debba garantire sistematicamente la propria capacità di far fronte a tutte le

richieste di pagamento delle controparti; ciò sarà in parte possibile attraverso l’incrocio con i flussi

di base monetaria generati dagli incassi; ma data l’irregolarità e la non prevedibilità dei flussi

questo matching ideale non basterà. Sarà quindi necessario detenere scorte monetarie adeguate

rispetto alle previsioni di fabbisogno, che saranno detenute direttamente come disponibilità di

cassa presso i centri operativi delle banche (sede e sportelli) e, più signitificativamente, come

depositi interbancari o come depositi presso la Banca centrale.

Tali scorte (detenute per motivi operativi) costituiscono una parte delle “riserve bancarie”

considerate nel modello del moltiplicatore e rappresentano dunque una componente del

fabbisogno di base monetaria che le banche manifestano. L’altra parte della domanda di base

monetaria è data dalla riserva di liquidità obbligatoria, si tratta di un vincolo di riserva minima che

le banche devono detenere presso la Banca centrale (nel caso specifico presso le singole BCN) in

una determinata percentuale (attualmente 2%) delle passività con durata inferiore ai 2 anni.

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Il regime della riserva obbligatoria: le istituzioni monetarie che operano all’interno dell’area euro

sono tenute a mantenere una quota obbligatoria di riserve liquide depositate presso le BCN di

riferimento.

All’ammontare di riserve calcolato sull’aggregato di riferimento si sottrae un importo

fisso pari a 100.000 euro;

La riserva obbligatoria è remunerata ad un tasso pari alla media dei tassi sulle

operazioni di rifinanziamento compiute nel periodo di mantenimento;

Le banche non devono rispettare giornalmente l’obbligo di riserva, ma devono farlo in

media nel periodo di mantenimento;

Il coefficiente di riserva obbligatoria rappresenta uno strumento di politica monetaria,

finalizzato a:

o stabilizzare il tasso d’interesse sul mercato interbancario dei depositi;

o creare un fabbisogno strutturale di liquidità per tutte le istituzioni monetarie

dell’area Euro. Un aumento del coefficiente di riserva, a parità di altre

condizioni, comporta una diminuzione dell’offerta di moneta e viceversa.

13. La regolamentazione e la vigilanza del sistema finanziario

Per ordinamento delle attività finanziarie si intende l’insieme organico e complessivo delle norme

che disciplinano le attività e le istituzioni dell’intermediazione finanziaria in un dato contesto

politico-amministrativo, che in genere coincide con lo Stato, oppure con un contesto più ampio

(come per esempio l’Unione Europea). In Italia, tenendo conto della sua appartenenza

comunitaria, tali norme possono avere origine:

Comunitaria (le c.d. “direttive comunitarie”). La normativa comunitaria non ha diretta

applicazione nel territorio dello Stato se non attraverso un atto di recepimento e

attuazione;

Statale (leggi e decreti del Parlamento, decreti legislativi emanati dal governo per delega

del Parlamento). La norma legislativa viene detta primaria e si propone essenzialmente il

fine di disegnare il quadro istituzionale complessivo;

di origine inferiore (istituzioni e regolamenti emessi da organi espressamente previsti e

delegati dalla legge, come per es. la Banca d’Italia, la CONSOB, l’ISVAP e la COVIP). La

norma emanata da organi delegati viene definita secondaria (subordinata) e assume e

realizza finalità di regolamentazione più specifica e quindi di vigilanza.

Nel contesto italiano, coerentemente con l’impostazione condivisa a livello comunitario,

l’intermediazione finanziaria viene disciplinata per segmenti o tipologie di attività, a ognuna delle

quali corrisponde un ordinamento specifico:

Ordinamento delle attività bancarie e creditizie;

Ordinamento delle attività di gestione dei servizi di investimento;

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Ordinamento delle attività di gestione collettiva del risparmio;

Ordinamento dell’attività assicurativa.

L’obiettivo politico-istituzionale dell’UE consiste nella creazione di un ambito amministrativo in cui

sia consentita la libera circolazione di persone, informazioni, capitali, merci e servizi. In tale

prospettiva si collocano il concetto di mercato unico dei servizi finanziari e tutte le azioni

preordinate a istituirlo e realizzarlo. Storicamente gli Stati aderenti all’UE avevano sviluppato

differenti ordinamenti. La differente disciplina e il diverso grado di regolamentazione degli

intermediari nei diversi paesi comunitari avrebbero determinato situazioni

di disparità concorrenziale;

di disparità nella tutela dei soggetti in rapporto contrattuale con gli intermediari.

L’azione comunitaria si è perciò preposta l’obiettivo prioritario e preliminare di realizzare un

livello sufficiente di armonizzazione minima fra gli ordinamenti vigenti negli Stati membri,

disciplinando i seguenti profili degli intermediari finanziari:

elenco delle attività esercitabili;

capitale minimo iniziale;

controllo sugli assetti proprietari e sulle partecipazioni;

modalità di calcolo del patrimonio di vigilanza e dei coefficienti di solvibilità;

vigilanza su base consolidata;

controllo della concentrazione dei rischi (grandi fidi);

sistema di garanzia dei depositi;

regole di accertamento dei rischi di mercato;

modalità di contabilizzazione e di consolidamento;

pubblicità dei documenti contabili delle succursali estere di enti creditizi e finanziari.

Si può quindi affermare che i fondamenti dell’ordinamento “concordato” a livello comunitario

sono:

non specializzazione degli intermediari per tipi di attività svolta (quindi possibilità di

svolgere congiuntamente attività di intermediazione creditizia, mobiliare e di servizio

finanziario secondo un modello di banca universale);

attribuzione delle attività di investimento collettivo in valori mobiliari a titolo di riserva

esclusiva, a organizzazioni specializzate;

regolazione del grado di separatezza tra banca e impresa industriale sia a monte

(partecipazioni industriali nel capitale bancario) sia a valle (partecipazioni del capitale

bancario nel capitale industriale).

In forza degli accordi comunitari, ogni Stato aderente è tenuto (entro dati termini) a recepire

nella legislazione nazionale le direttive comunitarie e a darvi attuazione. Nell’esercizio del

dovere di recepimento-attuazione agli Stati comunitari sono riconosciuti alcuni gradi di

discrezionalità che possono essere usati per “adattare” la norma alla situazione nazionale

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(ordinamento preesistente). Tutto ciò avviene nel rispetto dei principi di “libertà di prestazione

di servizio” e di “libertà di stabilimento” di ogni intermediario autorizzato nel territorio

comunitario e quindi convivere nel mercato unico dei servizi finanziari. Tali principi si

realizzano mediante il criterio del mutuo riconoscimento, nel senso che (salvo eccezioni) ogni

ordinamento deve riconoscere la possibilità di ogni intermediario esterno all’ordinamento

stesso (ma comunitario) di operare in esso, in forza dell’autorizzazione dell’ordinamento di

appartenenza/provenienza.

14. Gli strumenti di vigilanza

Si è adottata una classificazione che si basa sulla natura degli interventi e delle finalità cui ogni

strumento persegue. La classificazione prevede 4 categorie di strumenti:

Vigilanza strutturale. Si tratta di un approccio alla regolazione e al controllo del sistema

finanziario che ha come campo di intervento la struttura del mercato. In altre parole, si

propone di determinare la configurazione di mercato (n° di imprese, quote di mercato,

campo di attività di ogni impresa, assetto di controllo del capitale proprio, ect..) più idonea

a perseguire gli obiettivi propri della vigilanza, e ha come campo di intervento la struttura

del mercato. Regolando la struttura del mercato si può –in linea teorica- influenzare il

livello di stabilità ed efficienza (che sono gli obiettivi finali della vigilanza in generale). In

altre parole, nei caratteri della struttura del mercato (per es. la concentrazione) si trovano

elementi importanti da cui dipende la condotta concorrenziale (comportamenti collusivi

piuttosto che competitivi).

D’altra parte l’intensità del confronto concorrenziale è uno dei fattori che spiega la ricerca

di performance sempre migliori, che è uno dei modi in cui può essere rappresentato

l’obiettivo di efficienza della vigilanza.

Fondamentalmente la vigilanza strutturale si propone di regolare la struttura dell’offerta in

un determinato mercato (tenendo conto della natura del prodotto e della struttura di

domanda) con lo scopo di disegnare una configurazione che massimizzi la dialettica

competitiva (con il vincolo di non superare un accettabile livello di instabilità). Tra gli

strumenti di intervento che rientrano nella vigilanza strutturale, i più importanti sono quelli

che toccano le seguenti aree:

o l’entrata nel mercato (intermediari di nuova costituzione, o che aprono una nuova

sede, o che offrono servizi senza sede fisica);

o l’assetto organizzativo degli intermediari operanti (operazioni di fusione,

incorporazione, passaggio di controllo, etc);

o la gamma delle attività che ogni categoria di intermediari (ogni singolo

intermediario) può svolgere;

o i requisiti degli azionisti degli intermediari e l’assetto di controllo societario;

o gli interventi sulle quantità e sui prezzi degli intermediari.

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Vigilanza prudenziale. Si tratta di strumenti di vigilanza che assumono la forma di “criteri

di gestione” a cui gli intermediari devono attenersi e che sono finalizzati al controllo a alla

delimitazione dei rischi. La distinzione fondamentale che si può osservare rispetto agli

strumenti strutturali è relativa al rispetto delle regole di mercato:

o gli interventi strutturali entrano con alta discrezionalità nelle condizioni di mercato

e, in qualche modo, arrivano fino a “gestire” il mercato (es: autorizzare o meno

l’entrata nel mercato o lo svolgimento di una determinata attività, fissare i limiti in

via amministrativa alle decisioni di quantità e prezzo);

o gli interventi di natura prudenziale evitano invece di condizionare direttamente il

mercato; esprimono delle “regole del gioco” che riguardano il “come” si opera nel

mercato stesso; non intervengono direttamente sulla “struttura del mercato” (i

soggetti, le attività, i prezzi); sono regole oggettive e neutrali tra i diversi soggetti

dell’offerta; sono trasparenti e stabiliti ex ante così da guidare in forma di incentivo

e/o vincolo gli intermediari verso equilibri economico-finanziari-patrimoniali

desiderabili.

I principali strumenti di vigilanza prudenziale (la BI adotta il termine “vigilanza

regolamentare”) comprendono:

o i coefficienti di bilancio e i requisiti patrimoniali applicati agli intermediari. Possono

essere rivolti a diversi obiettivi che rientrano in una più generale finalità di controllo

e limitazione dei rischi assunti nella gestione:

la solvibilità della controparte;

le variazioni di valore del portafoglio non immobilizzato;

le variazioni di valore connesse alle posizioni in cambi e su opzioni;

la concentrazione dei rischi;

le trasformazioni delle scadenze;

l’esposizione al rischio di tasso di interesse;

l’investimento in attività non liquide (immobili e partecipazioni);

altri rischi derivanti dall’operatività.

o l’adeguatezza organizzativa, intendendo con ciò:

la dimensione delle risorse tecniche, professionali, manageriali che un

intermediario deve possedere a fronte di programmi di attività che

comportano l’entrata in aree di mercato complesse e rischiose (es gestione

delle partecipazioni industriali, il market making nei mercati organizzati,

l’attività nei mercati derivati, etc) o che rappresentano investimenti

impegnativi (es, espansione territoriale, acquisizione di concorrenti, etc);

la presenza di strumenti operativi che permettano di rispettare il principio

dell’indipendenza organizzativa e gestionale tra aree di attività

dell’intermediario per le quali vi siano potenziali conflitti di interesse (per es.

il criterio della separatezza organizzativa e contabile che si applica

nell’intermediazione mobiliare);

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i requisiti di onorabilità, di competenza e di esperienza, che devono

possedere i soggetti che assumono posizioni nell’ambito degli organi

amministrativi e di controllo o che rivestono responsabilità di direzione.

Vigilanza informativa. Comprende tutti gli strumenti di comunicazione ed informazione

che, a vario livello, possono contribuire a ridurre le asimmetrie informative tipiche

dell’attività finanziaria. Vi sono diversi ambiti di applicazione e diversi contenuti

informativi:

o le operazioni finanziarie, nel senso delle caratteristiche tecniche su cui può essere

basato un primo livello di valutazione economica e di rischio;

o gli emittenti i titoli che formano oggetto dell’operazione (o il soggetto debitore); su

questi elementi si basa un 2° livello importante di valutazione del rischio;

o gli intermediari che, eventualmente, intervengono nei confronti di emittenti e

investitori (se si tratta di un’operazione di mercato mobiliare); per gli investitori

finali la valutazione dell’intermediario proponente può essere di grande importanza

ai fini della valutazione del rischio, e gli intermediari d’altra parte sono tenuti a

informare gli investitori dell’esistenza di particolari condizioni che possono far

nascere un conflitto di interesse potenzialmente dannoso per l’investitore stesso;

o gli intermediari (questa volta) nei confronti delle autorità di vigilanza, interessate a

controllare il buon andamento della gestione;

o gli organismi responsabili del funzionamento e della gestione dei mercati mobiliari,

chiamati a informare: da un lato il “mercato” (emittenti, investitori, intermediari,

analisti, etc) circa l’andamento tecnico (prezzi e quantità negoziati); dall’altro lato le

autorità di vigilanza sul mercato stesso.

Il risultato atteso da questa serie di interventi di vigilanza informativa si colloca nell’area

della trasparenza e della correttezza informativa per il mercato e per gli organismi di

controllo (condizioni di base per lo sviluppo di un sistema di rapporti contrattuali in cui il

pricing si avvicina ai requisiti dell’”efficienza del mercato”, che prevedono che la

quotazione degli strumenti finanziari rifletta in modo completo tutta l’informazione

disponibile.

L’importanza degli interventi di vigilanza informativa è apprezzabile soprattutto se si parte

dall’ipotesi (normale in qualsiasi rapporto di credito) che gli investitori e i creditori si

trovino in una condizione di svantaggio informativo rispetto ai soggetti finanziati; e da

questa asimmetria derivano comportamenti che possono portare al fallimento del

mercato. In particolare, i finanziatori, consapevoli di non essere capaci di valutare

pienamente il rischio dei loro prestiti, recuperano il costo delle perdite con un rialzo

generalizzato dei tassi di interesse applicati; da ciò deriva la probabile conseguenza che i

prenditori di fondi di migliore qualità, sentendosi penalizzati ingiustamente dal rialzo,

rinuncino al finanziamento. Il portafoglio prestiti subirebbe un degrado qualitativo che di

tradurrebbe in un tasso di perdita più alto, quindi in un ulteriore rialzo dei tassi.

Il processo (noto come adverse selection) potrebbe continuare fino a un impoverimento

insostenibile degli scambi di mercato. L’interruzione di questo circuito negativo

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richiederebbe che i finanziatori, supportati da informazioni di qualità e spessore adeguati,

fossero in condizione di valutare il rischio di perdita di ogni prestito e, quindi, di applicare

un tasso aggiustato per il rischio.

Vigilanza protettiva. Fa riferimento a strumenti di vigilanza applicati con finalità di

gestione delle situazioni di crisi degli intermediari, il termine evoca l’esigenza di far fronte

al principio della tutela del risparmiatore. Questo principio è di per sé di grande rilevanza

sociale ed economica e costituisce uno dei fondamenti della regolamentazione dei sistemi

finanziari; in più vi l’ulteriore considerazione che l’attività finanziaria è profondamente

influenzata dal contenuto fiduciario che caratterizza buona parte dei rapporti contrattuali

(questa condizione è più delicata nei rapporti che coinvolgono soggetti che si potrebbero

definire “risparmiatori non consapevoli”).

L’importanza della gestione accurata delle situazioni di crisi (e possibilmente della loro

prevenzione) si ricollega al problema delle “esternalità”: una situazione di crisi del singolo

intermediario, attraverso fenomeni di contagio, può estendersi a una vasta area del

sistema finanziario trasformando un problema circoscritto in una condizione di instabilità

sistemica. La sfiducia generalizzata verso il sistema finanziario comporterebbe allora costi

per l’economia reale, dovuti sia alla crisi dei circuiti di finanziamento, sia alle disfunzioni del

sistema dei pagamenti.

In linea generale tutto lo strumento della vigilanza in quanto rivolto a un obiettivo di

stabilità, ha funzioni “protettive” (di tutela) dell’interesse del risparmiatore; quindi bisogna

precisare la specificità degli strumenti che rientrano nella categoria della vigilanza

protettiva.

Vi sono 2 principali ambiti di intervento:

quello destinato alla prevenzione, cioè a evitare che situazioni aziendali di

temporanea difficoltà possano degenerare in uno stato di crisi grave, non

recuperabile. Gli strumenti principali relativi a quest’ambito sono:

i flussi di documentazione che intercorrono tra intermediario e organo di

vigilanza, che costituiscono la base della valutazione dello stato di salute

degli intermediari e su cui possono innestare tecniche di “allarme

preventivo”;

le situazioni di illiquidità delle banche (che possono essere affrontate

attraverso gli interventi di rifinanziamento della Banca centrale);

le situazione di difficoltà più serie, non solo nel profilo della liquidità (posto

che non siano irreversibili) che possono dare luogo a provvedimenti come

l’”amministrazioni straordinaria” (che comporta, tra l’altro, la sostituzione

degli organi amministrativi e di controllo in carica).

quello attivato quando la crisi si rivela irreversibile, e dunque l’unica soluzione è

quella della messa in liquidazione dell’intermediario. Le crisi irreversibili che

conducono alla liquidazione prevedono l’intervento dei “fondi di garanzia” (come il

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Fondo interbancario di tutela dei depositi, attualmente operante per le banche

italiane), strumenti che si propongono di tutelare i creditori degli intermediari messi

in liquidazione, facendo così fronte a 2 esigenze:

la tutela del risparmiatore, generalmente più forte se classificabile nella

categoria del “risparmiatore non consapevole” la limitazione del rischio

sistemico: si può assumere cioè che i risparmiatori non perdano la sfiducia

nel sistema proprio perché possono contare sulla garanzia del recupero del

loro credito; ciò è il presupposto per evitare fenomeni di contagio (il

pericolo cioè di estensione incontrollata della crisi, alimentata da un’ondata

di ritiro dei depositi);

La funzione stabilizzatrice dei “fondi di garanzia” è rilevante anche nelle

situazioni di crisi temporanea (questa volta il fenomeno è essenzialmente

aziendale e non di sistema) per evitare che il prelievo generalizzato dei

depositi aggravi la situazione.

15. L’ordinamento dell’attività bancaria e creditizia

L’Unione Europea ha individuato un ordinamento fondato su tre elementi distintivi:

non specializzazione degli intermediari: adozione del modello di banca universale;

Attribuzione delle attività di investimento collettivo in valori mobiliari ad organizzazioni

specializzate;

Regolazione del grado di separatezza tra banca ed imprese industriali sia a monte che a

valle.

La definizione di banca e di attività bancaria.

Il Testo Unico in materia bancaria e creditizia del 1993 stabilisce:

La banca è un’impresa autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria.

L’autorizzazione deve essere formalmente concessa dalle autorità competenti (Banca d’Italia).

Per attività bancaria si intende la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito. A tali attività si

aggiungono anche l’erogazione di servizi accessori salvo le riserve di attività previste dalla

legge (es. gestione fondi comuni di investimento). L’art.10 aggiunge che le banche esercitano,

oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, nonché attività connesse e strumentali

(come per es. la produzione di servizi informatici per proprio uso). Le altre attività finanziarie

esercitabili dalla banca sono quelle ammesse al “mutuo riconoscimento”. Con tale dizione la

norma intende identificare le attività finanziarie che le banche possono esercitare

(direttamente o indirettamente tramite società controllate nella forma del gruppo bancario) in

qualsiasi paese comunitario, in forza dell’autorizzazione ricevuta nel paese di origine (principio

dell’home country control).

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Le attività esercitabili dalla banca possono essere così sintetizzate:

Operazioni di raccolta di depositi o di altri fondi con obbligo di restituzione;

Operazioni di prestito (es. credito al consumo, credito con garanzia ipotecaria, credito

commerciale, factoring);

Leasing finanziario;

Servizi di pagamento;

Emissione e gestione di mezzi di pagamento (es. carte di credito, travellers cheque);

Rilascio di garanzie ed impegni di firma;

Operazioni in proprio o per conto della clientela in: strumenti del mercato monetario,

cambi, strumenti finanziari a termini e opzioni, contratti su tassi i cambio e di interesse,

valori mobiliari;

Partecipazione all’emissione di titoli;

Consulenza alle imprese;

Gestione e consulenza nella gestione dei patrimoni;

Custodia e amministrazione dei valori mobiliari;

Locazione di cassette di sicurezza;

Altre attività.

Requisiti per l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria:

Forma giuridica della società per azioni o della società cooperativa per azioni a

responsabilità limitata;

Versamento del capitale minimo richiesto (€10mln ovvero 5mln per le bcc);

Presentazione del programma iniziale delle attività da svolgere, dell’atto costitutivo e dello

statuto;

Requisiti di onorabilità dei soci;

Struttura proprietaria idonea;

Onorabilità e professionalità degli amministratori e dirigenti.

La partecipazione al capitale delle banche:

La legge bancaria si pone l’obiettivo di salvaguardare l’autonomia e separatezza della banca

rispetto ad interessi divergenti da quelli istituzionali. Ciò avviene mediante:

La necessità di autorizzazione preventiva per l’acquisizione, diretta o indiretta, di

partecipazioni superiori al 5% del capitale o che comportino il controllo della banca stessa.

Inoltre la normativa vieta l’acquisizione di partecipazioni superiori al 15% o di controllo a

soggetti che esercitino attività d’impresa in settori non bancari e non finanziari;

La Banca d’Italia ha obbligo di monitoraggio anche dell’esercizio concentrato del diritto di

voto.

Gli aspetti prudenziali e di vigilanza dell’attività bancaria:

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La BI emana (in conformità con il CICR "Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio")

disposizioni di carattere generale avente per oggetto:

l’adeguatezza patrimoniale: impongono alle banche il mantenimento di un coefficiente

minimo obbligatorio, detto “coefficiente di solvibilità”, che ha funzione di tutelare la

solvibilità della banca e fa riferimento alla composizione dell’attivo patrimoniale mediante

ponderazione delle sue diverse componenti in funzione della classe di rischio di

appartenenza. Tale coefficiente, inteso come rapporto tra patrimonio di vigilanza e attivo

patrimoniale ponderato per il rischio, deve assumere valori non inferiori all’8%; ed esso si

riferisce sia alla singola banca, sia all’insieme del gruppo bancario cui essa appartiene e in

cui eventualmente funge da capogruppo (distinzione tra coefficiente di solvibilità

individuale e coefficiente consolidato).

il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni: Le disposizioni riguardanti il

contenimento del rischio disciplinano i requisiti patrimoniali connessi con l’assunzione di

rischi specifici, secondo diverse configurazioni, che sono essenzialmente tre:

o la concentrazione dei rischi per grandi fidi (le disposizioni relative regolano le

dimensioni max individuali e aggregate dei grandi fidi assumendo come parametro

di riferimento il patrimonio);

o la trasformazione delle scadenze e l’esposizione al rischio di interesse;

o i rischi di mercato: possibilità che le attività finanziarie (principalmente valori

mobiliari) possedute dalla banca subiscano una variazione di valore per fatti di

mercato.

Le disposizioni riguardanti le partecipazioni detenibili attuano in via preliminare la

suddivisione fra 2 insiemi:

o partecipazioni in banche, in società finanziarie e in imprese di assicurazione.

L’autorizzazione è richiesta per l’acquisizione di partecipazioni superiori a:

10% del capitale della società partecipata e, in ogni caso, per le

partecipazioni di controllo,

Al 10% del patrimonio di vigilanza del partecipante.

L’acquisizione di partecipazioni in società strumentali è soggetta ad autorizzazione

preventiva qualora ne comporti il controllo.

o partecipazioni in altri soggetti indicati come “imprese non finanziarie”. In proposto

le disposizioni vigenti distinguono:

un limite complessivo, secondo cui il totale delle partecipazioni non può

eccedere il 15% del patrimonio della banca partecipante (tale limite si

riferisce alle imprese quotate nei mercati regolamentati, mentre viene

ridotto del 50% per le imprese non quotate);

un limite di concentrazione, che definisce il rapporto massimo fra singola

partecipazione detenuta e il patrimonio della banca. Esso vieta la

partecipazione al capitale di una singola impresa o gruppo di imprese

superiore al 3% del patrimonio bella banca partecipante;

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Un limite di separatezza che fissa al 15% del capitale dell’impresa

partecipata il limite massimo di intervento azionario della banca. Il

superamento di detta soglia è ammesso, purché il valore della

partecipazione sia inferiore all’1% del patrimonio del partecipante ed il

totale di tali eccedenze sia contenuto entro l’1% del patrimonio medesimo.

Le istruzioni della BI differenziano i 3 limiti menzionati, aumentandoli in relazione alla

circostanza che la banca abbia un patrimonio di rilevanza superiore a 1 miliardo di euro (banca

abilitata) oppure attui esclusivamente raccolta a medio e lungo termine (banca specializzata).

l’organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni;

Informativa da rendere al pubblico sulle materie dettate in precedenza.

Il gruppo bancario è composto alternativamente:

dalla banca capogruppo e dalle società bancarie, finanziarie e strumentali da questa

controllate

dalla società finanziaria capogruppo e dalle società bancarie, finanziarie e strumentali da

questa controllate, quando nell’ambito del gruppo abbia rilevanza la componente bancaria.

La legge bancaria definisce:

o le società finanziarie, come le società che esercitano, in via esclusiva o prevalente:

l’attività di assunzione di partecipazioni (aventi le caratteristiche indicate dalla BI);

una o più attività ammesse al mutuo riconoscimento escluse la raccolta di depositi

o di altri fondi con obbligo di restituzione (riservata alle banche), i servizi di

informazione commerciale e la locazione di cassette di sicurezza.

o le società strumentali, come le società che esercitano, in via esclusiva o

permanente, attività che hanno carattere ausiliario all’attività delle società del

gruppo, comprese quelle di gestioni di immobili e di servizi anche informatici.

o l’azienda capogruppo in funzione di 2 caratteri necessari: l’appartenenza alla

nazionalità italiana e l’autonomia da qualsiasi altra persona giuridica controllante.

In materia di gruppo bancario (o creditizio) le istruzioni di vigilanza della BI precisano che nel

gruppo viene a realizzarsi un disegno imprenditoriale unitario a direzione strategica accentrata e

che la capogruppo, avendo ruolo di referente alla BI ai fini della vigilanza consolidata, esercita

attività di direzione, coordinamento, e esercita pure un controllo strategico e un controllo

gestionale nell’interesse della stabilità del gruppo. Al gruppo bancario viene fatto obbligo di

pubblicità: esso è iscritto in un apposito albo tenuto dalla BI. La modalità di vigilanza applicata alle

banche si applica anche al gruppo bancario (vigilanza su base consolidata). In definitiva,

nell’ordinamento vigente, le attività di intermediazione finanziaria (cioè attività bancaria e altre

attività finanziarie) possono essere esercitate secondo 2 modelli istituzionali:

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il modello della “banca universale”, che consiste nel tipo di banca che esercita

congiuntamente e direttamente l’attività bancaria propria e le altre attività finanziarie

ammesse, con una diversificazione che può essere definita universale.

o il modello del “gruppo bancario”, che consiste nell’esercizio di attività bancarie e

finanziarie da parte di un unico soggetto economico mediante aziende

giuridicamente separate, ma dirette e coordinate secondo un disegno

imprenditoriale unitario a direzione strategica accentrata.

16. L’ordinamento dell’attività di gestione dei servizi di

investimento

I servizi di investimento e le imprese di investimento sono disciplinati dal Testo Unico che di fatto

recepisce le direttive CEE relative:

ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari;

all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento (e degli enti creditizi).

Secondo il Testo Unico per servizi di investimento si intendono le seguenti attività (quando hanno

per oggetto strumenti finanziari):

negoziazione per conto proprio;

negoziazione per conto terzi;

collocamento, con o senza preventiva sottoscrizione o acquisto a fermo, ovvero assunzione

di garanzia nei confronti dell’emittente;

gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi;

ricezione e trasmissione di ordini, nonché mediazione.

L’esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi di investimento è riservato alle

imprese di investimento e, previa autorizzazione della BI, alle banche. Le imprese di investimento

si distinguono in 3 categorie:

quelle italiane, denominate Società di Intermediazione Mobiliare (SIM);

quelle comunitarie;

quelle extracomunitarie

Le SIM possono prestare i servizi accessori e altre attività finanziarie, nonché attività connesse e

strumentali; ma è vietata loro:

la raccolta del risparmio fra il pubblico;

ogni attività di intermediazione dei pagamenti

l’emissione dei titoli, documenti e certificati rappresentativi dei diritti dei clienti.

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Le SIM devono essere iscritte a un apposito albo istituito presso la CONSOB, che autorizza

l’esercizio di servizi di investimento quando ricorrono specifiche condizioni, che sono del tutto

analoghe a quelle previste per le banche riguardo l’esercizio dell’attività bancaria.

Il Testo Unico provvede a definire i criteri generali e le forme contrattuali cui devono conformarsi i

soggetti autorizzati nello svolgimento dei servizi di investimento, al fine di tutelare il cliente e il

mercato; i criteri generali si riferiscono a:

diligenza, correttezza e trasparenza dei comportamenti;

adeguatezza dell’informazione fornita ai clienti;

scelta e comunicazione del benchmark, cioè del portafoglio virtuale di investimento

pubblicamente e oggettivamente rilevabile rispetto al quale possono essere confrontate le

scelte di investimento del gestore;

predisposizione di modalità organizzative idonee a prevenire rischi di conflitto di interessi;

assicurazione al cliente di adeguate condizioni di trasparenza e di equo trattamento, ove

possono sussistere situazioni di conflitto di interessi;

modalità di gestione indipendente, sana e prudente;

adozione di misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sugli strumenti finanziari e sul

denaro affidati.

Per quanto riguarda, invece, le forma contrattuale, il decreto stabilisce che i contratti relativi ai

servizi di investimento devono essere redatti in forma scritta e devono essere consegnati ai clienti.

La stipulazione di contratti in altra forma, deve essere regolata esplicitamente dalla CONSOB,

sentita la BI. Il legislatore mira ad aumentare la tutela del cliente; rafforzata:

dal fatto che il decreto inverte l’onere della prova, sancendo che negli eventuali giudizi di

risarcimento dei danni spetta alla SIM, alla banca o alla SGR l’onere della prova di aver

agito con la specifica diligenza richiesta;

dal principio della separazione tra i patrimoni dei singoli clienti e quello della SIM, della

banca o della SGR

Infine, con riferimento alla gestione di portafogli di investimento, i soggetti abilitati devono

applicare le seguenti regole:

rispetto delle istruzioni impartite dal cliente in ordine alle operazioni da compiere;

non contrarre per conto del cliente obbligazioni che lo impegnino oltre il patrimonio

gestito, salvo specifica istruzione scritta;

diritto del cliente di recedere in ogni momento dal contratto;

esercizio di eventuale diritto di voto in rappresentanza del cliente esclusivamente in forza

di procura scritta rilasciata da quest’ultimo.

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17. L’ordinamento dell’attività di gestione collettiva del

risparmio

La gestione collettiva del risparmio –disciplinata anch’essa dal TU- è il servizio che si realizza

attraverso:

la promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni di investimento e

l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti;

la gestione del patrimonio di Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR), di

propria o altrui istituzione, mediante l’investimento in strumenti finanziari, creditizi o altri

beni mobili e immobili.

L’esercizio dell’attività di gestione collettiva del risparmio è riservato ad imprese specializzate,

società di gestione del risparmio (SGR), società di investimento a capitale variabile (SICAV) e le

società di gestione armonizzate. Tali organismi, al fine di tutelare gli investitori sono sottoposti a

vigilanza della Banca d’Italia e alle norme di condotta per gli intermediari di valori mobiliari

definite dall’autorità di vigilanza.

Gli OICR sono:

i fondi comuni di investimento: Il fondo comune di investimento è un patrimonio collettivo

costituito dalle somme versate da una pluralità di partecipanti e investite in strumenti

finanziari, gestito in monte (gestione collettiva). Ciascun partecipante detiene un numero di

quote (tutte con valore uguale e con uguali diritti) proporzionale all’importo versato a titolo di

sottoscrizione. Il patrimonio del fondo costituisce patrimonio autonomo e separato da quello

della SGR e dal patrimonio dei singoli partecipanti, nonché da quello di ogni altro patrimonio

gestito dalla medesima SGR. Il fondo è “mobiliare”, poiché il suo patrimonio è investito

esclusivamente in strumenti finanziari emessi da imprese o enti quotati (tipicamente azioni e

obbligazioni). Di esso esistono di 2 forme:

o il fondo aperto, i cui il risparmiatore può, ad ogni data di valorizzazione della quota,

sottoscrivere quote del fondo oppure richiedere il rimborso parziale o totale di quelle

già sottoscritte. La SGR deve consegnare agli investitori –tramite la rete distributiva- il

prospetto informativo, che contiene informazioni esaurienti sulle caratteristiche

dell’investimento. Nei confronti dei sottoscrittori essa ha obblighi di corretta gestione,

di informazione e rendiconto, e di riacquisto delle quote;

o il fondo chiuso, in cui il diritto al rimborso delle quote viene riconosciuto ai

partecipanti solo a determinate scadenze predeterminate

le Società di Investimento a Capitale Variabile (SICAV). La Sicav, con sede legale

e direzione generale in Italia, ha per oggetto esclusivo l’investimento collettivo

del patrimonio raccolto mediante l’offerta al pubblico di proprie azioni. Le parti

di OICR sono le quote di fondi comuni di investimento e le azioni Sicav.

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L’elemento caratterizzante è costituito prevalentemente dalla specificità del

modello istituzionale:

la coincidenza tra patrimonio gestito e attivo patrimoniale della società garante

la variabilità del capitale sociale

la possibilità dell’esercizio del voto per corrispondenza

la riduzione dei quorum deliberativi

la periodicità almeno settimanale dell’emissione/rimborso a discrezione del

sottoscrittore

l’unicità del tipo di azioni (ordinarie), che peraltro possono essere sia

nominative sia al portatore, con differenziazione del diritto di voto (nel 1° caso il

sottoscrittore dispone di un n° di voti pari al n° delle azioni, mentre nel 2° caso

di un solo voto).

La Società di Gestione del Risparmio (SGR) è la società per azioni, con sede legale e direzione

generale in Italia, autorizzata a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio; e può anche:

o prestare servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto

terzi (attività svolta anche dalle SIM e banche autorizzate e non costituisce attività

esclusiva o riservata)

o gestire gli investimenti dei fondi pensione

o svolgere attività connesse e strumentali stabilite dalla BI, sentita la CONSOB

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Il trasferimento delle risorse finanziarie

1. Il regolamento degli scambi ed il sistema dei pagamenti

Nell’economia di mercato, i soggetti entrano in possesso dei beni e dei servizi necessari a

soddisfare i propri bisogni attraverso processi di scambio. L’attività di scambio è onerosa: infatti i

soggetti devono sopportare i costi derivanti sia dalla ricerca della controparte con cui effettuare lo

scambio, sia dal trasferimento materiale dei beni e dei servizi scambiati. Questi costi possono

essere ridotti in presenza di 5 condizioni che nel corso del tempo i sistemi economici hanno

continuamente sviluppato e perfezionato:

l’organizzazione dei mercati, che consentano la concentrazione delle contrattazioni nello

spazio e nel tempo, secondo criteri di specializzazione merceologica;

l’esistenza e la progressiva specializzazione di operatori commerciali, cioè soggetti

economici che svolgono sistematicamente e professionalmente, con adeguata

organizzazione, attività di negoziazione e di scambio di determinate categorie di beni e

servizi (questa figura generica introduce la nozione di broker e di dealer);

l’efficienza e il progresso della tecnologia dei trasporti (riguarda soprattutto il

trasferimento di beni e servizi nello spazio) e delle comunicazioni (si riferisce soprattutto

alla diffusione delle informazioni rilevanti per lo scambio: disponibilità di beni e servizi,

quantità domandate e offerte, prezzi);

la moneta, che svolge la funzione di corrispettivo (regolamento, pagamento) di qualsiasi

acquisizione di beni e servizi e che viene perciò definita mezzo di scambio o strumento di

pagamento;

il sistema giuridico, composto da norme codificate e da procedure/organizzazioni idonee a

garantirne l’applicazione e il rispetto, il quale svolge la fondamentale funzione di tutelare i

diritti dei soggetti che scambiano secondo date modalità contrattuali.

In particolare, la funzione della moneta si integra con quella più diversificata degli “strumenti di

regolamento dello scambio”. Le economie moderne si caratterizzano per la presenza di efficienti e

complessi sistemi di pagamento fondati principalmente su 2 generi di moneta: moneta legale e

moneta bancaria. La circolazione della moneta (trasferimento della moneta tra i soggetti del

sistema economico) si basa su “strumenti” che ne rendono efficiente l’impiego (assegno bancario,

assegno circolare, bonifico bancario, ricevuta bancaria, la cambiale, la carta di pagamento, il

trasferimento elettronico).

Volendo identificare i fattori che determinano la condizione di accettabilità e quindi l’accettazione

della moneta (di per sé “intrinsecamente inutile”) come mezzo di pagamento, occorre ricordare 2

circostanze principali e fondamentali:

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il valore legale della moneta, cioè il fatto che la legge rende obbligatoria l’accettazione

della moneta come modalità di estinzione dei debiti: il creditore non può rifiutare il

pagamento effettuato sottoforma di moneta legale;

la fiducia degli scambisti (cioè della generalità de soggetti economici prenditori di moneta)

rispetto all’aspettativa che la moneta conservi il potere di acquisto che le viene attribuito:

tale condizione di mantenimento di valore sostanziale dipende in via diretta dal soggetto

che emette la moneta, il quale assume ruolo di terza parte rispetto agli scambisti.

Ogni operazione di scambio si perfeziona con un pagamento (cioè un trasferimento contestuale o

successivo di moneta dal compratore al venditore). Pertanto il requisito fondamentale della

moneta consiste nella circostanza che essa sia accettata come mezzo di pagamento dalla totalità

dei soggetti costituenti il sistema economico e operanti nel mercato.

I soggetti emittenti moneta sono 2:

la Banca centrale, che emette moneta legale;

la banca commerciale, che emette moneta bancaria in via sostitutiva di quella legale e in

forza di un impegno formale di convertibilità della prima nella seconda.

Quindi, da un lato la Banca centrale (titolare dei poteri di politica monetaria) deve rispondere

all’aspettativa di stabilità del potere di acquisto della moneta legale; dall’altro le banche

commerciali offrono un efficace sostituto della moneta legale (il deposito in conto corrente), che è

in grado di ridurre in misura rilevante costi e rischi connessi con il suo uso. Tale deposito offre:

un servizio di custodia;

un servizio di incasso/pagamento, cioè di trasferimento della moneta nello spazio

mediante diversi strumenti tecnici (assegno, bonifico, ricevuta bancaria, carte di

pagamento). Il saldo disponibile in c/c è moneta bancaria, la cui accettazione come mezzo

di pagamento dipende dalla fiducia del detentore/prenditore nella capacità della banca di

convertire a richiesta tale moneta in moneta legale.

2. La domanda di trasferimento di risorse finanziarie nel tempo:

investimento e finanziamento

I diversi soggetti che compongono il sistema economico si caratterizzano per saldi finanziari

positivi e negativi; si manifesta quindi la necessità di un trasferimento delle risorse finanziarie nel

tempo.

Modello dell’accumulazione dei saldi finanziari

Nel corso di un dato periodo, ogni soggetto economico trasforma, mediante attività di scambio

monetario, i propri redditi o ricavi monetari in beni di consumo, servizi e investimenti reali,

impiegando gli strumenti del trasferimento delle risorse finanziarie nello spazio, cioè la moneta

nelle sue diverse forme tecniche. Idealmente, al termine del periodo, si forma un saldo finanziario

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(positivo o negativo), cioè un avanzo o disavanzo di potere di acquisto che segnalano

rispettivamente l’esistenza di un bisogno di investimento o di finanziamento. La formazione di

saldi finanziari identifica un bisogno di trasferimento delle risorse finanziarie nel tempo

(diversamente dall’attività di scambio che determina un bisogno di trasferimento delle risorse

finanziarie nello spazio).

il soggetto che dispone di un saldo finanziario positivo può alternativamente:

o conservare l’eccedenza nella stessa forma in cui si è manifestata, cioè la moneta,

che è un’attività finanziaria idonea a conservare il valore nel tempo; tuttavia questo

investimento potrebbe rivelarsi inefficiente perché a una caratteristica di totale

liquidità (potere di acquisto immediatamente utilizzabile associa un rendimento

nullo o basso;

o investire il potere di acquisto temporaneamente eccedente acquistando attività

finanziarie diverse dalla moneta. Il pagamento dell’attività finanziaria comporta

trasferimento di moneta dall’acquirente (datore, investitore e creditore) al

venditore (prenditore, ed eventualmente ma non sempre, anche emittente e

debitore). Si tratta di un trasferimento nel tempo poiché l’attività finanziaria è in

genere definita anche da una scadenza, al giungere della quale un trasferimento di

segno opposto estinguerà la stessa attività finanziaria.

il soggetto che “produce” saldi negativi ha, invece, la necessità di procurarsi risorse

finanziarie per coprire il proprio fabbisogno. Il prenditore di fondi chiede di anticipare una

data disponibilità futura di potere di acquisto e si impegna a restituire al datore le risorse

finanziarie ricevute. In questo caso il trasferimento nel tempo avviene mediante

costituzione di una passività finanziaria (speculare al concetto di attività finanziaria),

caratterizzata da una certa scadenza e idealmente progettata per soddisfare le preferenze

del datore di fondi.

Quindi, i potenziali investitori e prenditori di fondi ricercano, rispettivamente, opportunità di

impiego degli avanzi e di copertura dei disavanzi; essi hanno di fatto interessi complementari e

convergenti e sono quindi potenziali scambisti strumenti, mercati e intermediari definiscono e

consentono le modalità concrete dello scambio finanziario. In particolare l’efficacia/efficienza degli

strumenti finanziari deve essere anzitutto riferita alla loro funzione d’uso, cioè alla loro concreta

capacità di soddisfare i bisogni degli scambisti e di realizzarne gli obiettivi.

Settori:

il “settore famiglie; assume la posizione di investitore in attività finanziari;

i settori finali (“settore imprese non finanziarie” e “settore pubblico”) rappresentano i

prenditori di fondi;

i “settori intermedi” (come gli intermediari finanziari) svolgono la funzione di veicolo e

trasferimento, per circuito indiretto, delle risorse finanziarie.

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3. La funzione obiettivo dell’investitore

Occorre considerare gli elementi che guidano i comportamenti di investitori e prenditori di fondi

verso la conclusione di un’operazione di investimento/finanziamento, in funzione delle rispettive

esigenze e preferenze; si parla in questo caso di funzione obiettivo, relativamente di investitori e

prenditori di fondi.

Le scelte finanziarie dell’investitore, nell’ipotesi di razionalità del suo comportamento, sono

guidate soprattutto dalle variabili rendimento e rischio. Si tratta di una visione semplificata del

problema, poiché nella realtà l’investitore in genere persegue anche obiettivi e interessi di tipo

diverso. (es: esercizio di diritti proprietari non patrimoniali come nel caso del titolo azionario che

conferisce all’investitore poteri deliberativi, cioè poteri di indirizzo e controllo dell’attività

dell’impresa; oppure finalità prioritaria di finanziare investimenti reali di elevato interesse etico e

sociale subordinando la considerazione della combinazione rendimento/rischio). Inoltre l’ipotesi di

razionalità è in parte non realistica; infatti le scelte e i comportamenti dell’investitore sono spesso

condizionati da una situazione di razionalità “limitata”.

Rendimento. Il rendimento di un’attività finanziaria rappresenta l’espressione del risultato

economico dell’operazione, cioè una misura della redditività della stessa. Nel caso delle

attività finanziarie, per convenzione, il rendimento è espresso in termini percentuali e su

base annua.

La configurazione completa del rendimento tiene conto dell’intero profilo finanziario

dell’investimento e quindi dei seguenti elementi:

o prezzo di acquisto dell’attività finanziaria;

o redditi periodici che essa offre;

o valore di rimborso (o altrimenti prezzo di cessione prima della scadenza);

o oneri fiscali;

o costi di transazione (quali le commissioni da pagarsi all’accensione dell’operazione

e i costi di detenzione dell’attività).

Tenendo conto delle prime 3 componenti mediante un processo di attualizzazione (che

tenendo conto dei diversi tempi di manifestazione dei flussi di cassa futuri, consente di

“normalizzarli” al tempo presente), si calcola il rendimento dell’attività finanziaria, al lordo

degli oneri fiscali e dei costi di transazione. Qualora i redditi periodici e il valore di rimborso

o di cessione non siano noti con certezza ex ante, il rendimento può essere stimato in base

a opportune ipotesi probabilistiche in merito ai flussi di cassa attesi.

Il concetto di rendimento riconduce la valutazione di convenienza economica a un numero

puro (%). La determinazione del rendimento consente un immediato confronto tra

differenti investimenti in attività finanziarie, perché questo avviene su basi omogenee:

attraverso un n° puro, sullo stesso arco temporale.

Tuttavia, confrontare diversi investimenti sulla base del solo rendimento sarebbe

fuorviante stante la rilevanza, per qualsiasi investitore, del rischio delle diverse alternative.

Rischio. In campo economico, il concetto di rischio non fa riferimento necessariamente al

verificarsi di un evento negativo; piuttosto si lega all’impossibilità di prevedere con

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esattezza il risultato di una determinata operazione; ed è importante per misurare il grado

di incertezza che caratterizza ogni attività finanziaria. Le attività finanziarie possono

comportare diversi tipi di rischio:

o rischio di insolvenza, che definisce l’eventualità che il prenditore di fondi non sia in

grado di mantenere i propri impegni nei confronti dell’investitore; l’investitore cioè

è soggetto al rischio che la situazione economica-finanziaria della controparte si

deteriori;

o rischio di prezzo, che è tipico dei titoli mobiliari negoziati in un mercato: il prezzo

quotato subisce variazioni sia per ragioni che riguardano direttamente l’emittente

(rischio specifico), sia per fattori di carattere più generale che riguardano la

situazione dell’economia e del mercato (rischio sistemico);

o rischio di tasso di interesse, che colpisce le operazioni finanziarie strutturate nella

forma del contratto di credito regolato da un regime di tasso d’interesse fisso. da

un punto di vista dell’investitore. il rischio di tasso d’interesse dipende dalla

variazione dei tassi di interesse di mercato: se il mercato si orienta verso rendimenti

superiori a quelli garantiti dall’operazione in essere, la convenienza di quest’ultima

si riduce (poiché essa diviene relativamente meno redditizia);

o rischio di cambio, che riguarda un’attività denominata in valuta diversa da quella di

riferimento per l’investitore e si manifesta nel caso di variazione del tasso di cambio

tra le due valute;

o rischio di perdita del potere di acquisto, che colpisce un’attività finanziaria in

funzione dell’inflazione, che riduce il valore della moneta di denominazione (il

potere di acquisto del cash flow generato dal titolo si riduce);

o rischio di liquidità, corrisponde all’idoneità di un’attività ad essere convertita in

moneta. Più specificatamente, un’attività finanziaria è tanto più liquida quanto più

ridotti sono i costi e i periodi di attesa che il possessore deve accettare per veder

tornare il proprio investimento in forma liquida.

In via semplificata, si può dire che il rischio viene misurato dalla variabilità del suo

rendimento, in via assoluta o relativamente alla variabilità del rendimento del portafoglio

di mercato.

4. Relazione logica tra rendimento e rischio

La funzione obiettivo dell’investitore non considera il rendimento separatamente da rischio, anzi si

esprime con riferimento alla combinazione fra rendimento e rischio. È intuitivo pensare che fra i 2

fattori esista un rapporto di correlazione diretta (o di trade-off), nel senso che l’investitore è

disposto ad accettare combinazioni crescenti di rendimento e rischio.

Il rischio deve essere remunerato: pertanto, l’investitore acquista un’attività finanziaria (rischiosa)

soltanto se il suo rendimento atteso è remunerativo rispetto al suo rischio stimato.

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In generale, di fronte ad attività finanziarie alternative caratterizzate da eguale rendimento,

l’investitore preferisce quella dotata di rischio minore; analogamente tra attività finanziarie con

uguale rischio, egli preferisce quella con il rendimento atteso maggiore. Questo criterio non è

applicabile quando l’investitore si trova a decidere tra attività finanziarie caratterizzate da

combinazioni rendimento/rischio progressivamente crescenti. Infatti, se un’attività presenta sia un

rendimento che un rischio superiore ad un’altra, occorre possedere un criterio per stabilire se il

maggior rendimento remunera adeguatamente il maggior rischio. In altri termini, è necessario

determinare, a ogni specifico livello di rendimento (indicato sull’asse delle ordinate) e di rischio

(indicato sull’asse delle ascisse), il rapporto di cambio o scambio tra le quantità delle due variabili.

Assumendo come riferimento il rendimento di un’attività priva di rischio (risk free, come per.es un

titolo di Stato a breve scadenza), il maggior rendimento atteso da un’attività rischiosa viene

definito premio al rischio.

Lo strumento logico della c.d curva di indifferenza consente di determinare (dato il profilo

soggettivo psicologico e comportamentale di un certo tipo di investitore) l’adeguatezza del premio

al rischio. La curva di indifferenza è una funzione ideale che riunisce geometricamente i luoghi o le

coordinate/combinazione rendimento/rischio inter sostituibili o “indifferenti” per quello specifico

investitore. Le curve di indifferenza sono molte e variabili poiché, nello stesso tempo, ogni tipo di

investitore presenta una propria curva di indifferenza distintiva e lo stesso tipo di investitore

presenta curve di indifferenza diverse nel corso del tempo, secondo l’eventuale evoluzione e

cambiamento delle proprie preferenze. Le curve considerate hanno pendenza crescente a

denotare la circostanza realistica che in genere l’investitore presenta un profilo caratteristico di

avversione al rischio, cioè il maggior rendimento richiesto è più che proporzionale al maggior

rischio accettabile.

Il fatto che queste curve assumano pendenze molto elevate sta a indicare che per molti tipi di

investitori (la stragrande maggioranza) esiste una “soglia massima” di rischio insuperabile, oltre la

quale nessun premio al rischio, per quanto grande, verrebbe considerato sufficiente e

remunerativo.

L’appartenenza di un singolo investitore all’una o l’altra classe di propensione al rischio dipende

da una combinazione complessa di numerosi fattori (es: età, stock di ricchezza finanziaria e reale

posseduto, livello di reddito attuale, livello di reddito atteso e sua incertezza, stato di salute,

composizione familiare, coperture assicurativo-previdenziali, tasso di risparmio, etc).

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5. Variabili della scelta di finanziamento

Le variabili che intervengono nel processo decisionale della scelta di finanziamento sono il costo

ed il rischio.

Costo (dell’operazione di finanziamento). Esso è determinato dalle seguenti quantità:

o l’importo del finanziamento ricevuto;

o gli oneri periodici che esso comporta;

o il valore di rimborso;

o gli effetti dell’imposizione fiscale;

o l’insieme dei costi di transazione (costi di ricerca della controparte, di informazione,

di organizzazione dell’operazione e di gestione della stessa, etc).

Il metodo di calcolo del costo lordo del finanziamento è uguale a quello utilizzato per il

calcolo del rendimento dell’investimento e utilizza i primi 3 dati. Si tratta infatti di un

processo di attualizzazione che riconduce (mediante una procedura di sconto) tutti i flussi

di cassa generati dal finanziamento al momento presente, determinando il tasso interno

dell’operazione (il quale è un numero puro la cui utilità si esprime soprattutto nella sua

confrontabilità – assunte certe cautele - sia rispetto al costo di finanziamenti alternativi, sia

con il rendimento lordo degli investimenti effettuati)

Occorre in ogni caso tener presente:

o che tali confronti non tengono conto dell’effetto fiscale che, varia da soggetto a

soggetto e da situazione a situazione e dei costi di transazione,

o che (anche nel caso del finanziamento) i flussi futuri che non sono noti ex ante nel

loro ammontare e quindi sono sottoposti a incertezza.

Il rischio. Il prenditore di fondi (per la sua posizione di debitore) è esposto a rischi in parte

uguali e in parte diversi da quelli che caratterizzano le posizione dell’investitore, essi

(intrinseci alla passività finanziaria) sono:

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o rischio di tasso di interesse, (che tipicamente caratterizza i finanziamenti a tasso

fisso): in caso di diminuzione dei tassi di mercato nel corso della durata del

finanziamento, il prenditore di fondi si trova gravato da un costo del capitale -> di

quello corrente;

o rischio di cambio, che si concreta quando il prenditore sottoscrive una passività

finanziaria denominata in una valuta diversa da quella in cui egli effettua i propri

calcoli di convenienza economica e che è causato dalla possibile variazione del tasso

di cambio tra le due valute: l’eventuale apprezzamento della valuta di

finanziamento determina un maggiore costo di estinzione del finanziamento stesso;

o rischio di solvibilità o di “bancarotta”, correlato alla sostenibilità (da parte del

prenditore e dal duplice punto di vista economico e finanziario) delle obbligazioni

assunte con il contratto di finanziamento (pagamento della remunerazione,

restituzione del capitale alle scadenze convenute);

o rischio di instabilità delle fonti di finanziamento utilizzate, che dipende sia dalla

scadenza del finanziamento negoziato, sia dall’eventuale esistenza di clausole

contrattuali (dette covenants) che disciplinano il comportamento del prenditore e

possono determinare (qualora da questo non rispettate) il diritto del finanziatore a

chiedere il rimborso prima della scadenza;

o rischio di condizionamento da parte del finanziatore, quando questi abbia

contrattualmente il diritto di intervenire nell’indirizzo dell’attività dell’impresa.

Questo è tipicamente il caso del finanziamento nella forma

dell’emissione/sottoscrizione di titoli azionari.

Le relazioni logiche tra costo e rischi. In linea generale è corretto presumere che il

prenditore di fondi, secondo razionalità, abbia l’obiettivo di minimizzare il costo del

finanziamento, dopo le imposte, assumendo come vincoli determinate soglie dei diversi

rischi che possono essere compendiati in una generale esigenza di stabilità e di

controllabilità delle fonti di finanziamento. L’osservazione della realtà indica che fra costo e

stabilità/controllabilità sussiste una relazione inversa: infatti, nella gran parte dei casi, il

prenditore di fondi ha la possibilità di utilizzare forme di finanziamento che consentono

maggiore protezione dai rischi a condizione di sostenere un costo maggiore.

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Gli strumenti finanziari

Gli strumenti finanziari sono contratti che, fondamentalmente incorporano diritti di natura

patrimoniale (credito, proprietà, etc); in alcuni casi contengono anche diritti non patrimoniali

(come accade per le azioni e i relativi poteri amministrativi).

Generalmente con il termine "strumento finanziario" si fa riferimento ai valori mobiliari; agli

strumenti del mercato monetario (per esempio, buoni del tesoro, certificati di deposito e carte

commerciali), alle quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio e ai contratti su

strumenti derivati (per esempio, contratti di opzione, future, swap). I mezzi di pagamento, invece,

non sono strumenti finanziari.

In particolare, secondo l'art. 1 del d.lgs 24 febbraio 1998, n. 58 sono strumenti finanziari:

1. le azioni e gli altri titoli rappresentativi di capitale di rischio;

2. le obbligazioni, i Titoli di Stato e gli altri titoli di debito negoziabili sul mercato dei capitali;

3. gli strumenti previsti dal codice civile agli artt. 2346 e 2349 (strumenti partecipativi);

4. le quote di fondi comuni di investimento;

5. i titoli del mercato monetario;

6. qualsiasi altro titolo che permette di acquisire quelli indicati nei punti precedenti;

7. i contratti futures;

8. i contratti swap;

9. i contratti a termine;

10. i contratti di opzione;

11. combinazione di contratti e titoli indicati nei punti precedenti

I mezzi di pagamento, quali ad esempio i conti correnti, gli assegni bancari, la moneta, le carte di

credito, non costituiscono strumenti finanziari.

Gli strumenti finanziari costituiscono una forma di rappresentazione della ricchezza, una forma che

ne rende enormemente più semplice la detenzione e il trasferimento. Ad es. un titolo azionario è

una quota di partecipazione al capitale proprio di una società; una forma di partecipazione

“cartolare” alla proprietà di un complesso aziendale che è fatto per sua natura di cespiti reali. La

detenzione della ricchezza reale attraverso gli strumenti finanziari rappresenta un passaggio

fondamentale della nascita dell’economia moderna e del parallelo sviluppo del sistema finanziario.

1. Le funzioni degli strumenti finanziari

denominazione della ricchezza. Il singolo investitore ha di norma fondi disponibili che sono

una piccola frazione del valore complessivo di un’azienda produttiva; se questo valore

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viene incorporato in strumenti finanziari, diviene possibile regolare il loro rapporto unitario

per un ammontare sufficientemente piccolo in modo che il loro acquisto sia accessibile

anche per l’investitore più modesto;

Trasferimento della ricchezza. La circolazione degli strumenti finanziari avviene in modo

molto più rapido e semplice rispetto a quanto accade per la ricchezza reale. La

conseguenza più importante è che gli investitori godono di un grado più elevato di liquidità

dei loro impieghi (possibilità di comprare e vendere in un mercato) e possono quindi

rivedere continuamente le loro scelte;

Diversificazione del rischio. Gli strumenti finanziari rappresentano quote di ricchezza reale

(di aziende produttive o della spesa pubblica di un governo). In quanto tali sono

intrinsecamente rischiosi: gli investitori vedranno soddisfatti i loro diritti patrimoniali solo

se le attività finanziarie avranno risultati positivi assunti nelle previsioni, L’esposizione al

rischio è più sopportabile se ogni investitore può ripartire la propria ricchezza tra un

numero ampio di impieghi, piuttosto che destinare tutto a un singolo investimento reale.

Gli strumenti finanziari sono alla base di questa possibilità di distribuzione della ricchezza

tra una molteplicità di impieghi;

Separazione del rischio. Si fa riferimento in questo caso alla possibilità che ogni strumento

finanziario sia definito e costruito contrattualmente in modo da incorporare specifiche dosi

di rischio. Si possono disegnare strumenti a bassissimo rischio (titoli di stato a breve

termine), oppure strumenti ad alto rischio come le azioni di una società con prospettive

molto incerte, ma che, in caso di successo può fare profitti straordinari. Tra questi estremi

si colloca una gamma pressoché infinita di tipologie di strumenti; la regola fondamentale

che governa la loro distribuzione è: rischi più alti devono essere associati ad aspettative di

reddito a loro volta più alte. Questa gamma di alternative corrisponde alla necessità di

soddisfare categorie di investitori che si distinguono proprio per la loro propensione al

rischio.

2. Classificazione per natura dei diritti incorporati

Si può fare una distinzione fondamentale fra:

Strumenti che incorporano sia diritti di proprietà sia diritti di credito (titoli azionari, o più

genericamente, titoli rappresentativi del patrimonio delle società di capitali).

o Con riferimento ai titoli azionari, i diritti amministrativi che consentono l’esercizio

del diritto proprietario sono:

diritto di voto, che consente al socio di partecipare (mediante espressione di

voto in proporzione al n° delle azioni possedute) alle decisioni sottoposte a

delibera dell’assemblea dei soci (nomina del consiglio di amministrazione,

approvazione del bilancio, distribuzione dell’utile, cambiamento dello

statuto, aumento/riduzione del capitale, trasformazione della società,

liquidazione, etc). Si tratta di un diritto di importanza prioritaria poiché

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consente al soggetto che disponga della maggioranza dei voti espressi in

sede di deliberazione di esercitare il controllo proprietario della società;

diritto di impugnativa, che costituisce un’importante forma di tutela

dell’azionista soprattutto quando questo si trova in condizioni di minoranza;

diritto di recesso, (pure esso a tutela dell’azionista) che permette

all’azionista di uscire dalla compagine sociale quando eventuali delibere

assembleari innovano in modo sostanziale lo statuto della società (es:

modifica dell’oggetto sociale, o trasformazione della società). L’esercizio di

tale diritto fa sorgere a favore del socio uscente e a carico degli altri

azionisti, il diritto patrimoniale a farsi rimborsare;

diritto di opzione, che riconosce all’azionista il diritto di sottoscrivere le

azioni di nuova emissione (aumento di capitale) in proporzione alla

partecipazione posseduta, al fine di consentirgli il mantenimento della quota

di partecipazione (il diritto di opzione è alienabile).

o Gli aspetti patrimoniali o economici che definiscono il diritto di credito contenuto

negli strumenti finanziari di partecipazione sono:

diritto di partecipazione all’eventuale distribuzione degli utili (dividendo),

nella misura della quota di partecipazione. (NB: l’assemblea dei soci può

decidere di effettuare una ritenzione totale o parziale degli utili all’interno

della società, a scopo di autofinanziamento);

diritto al rimborso totale (in caso di recesso del socio o liquidazione della

società) parziale (riduzione del capitale sociale) della partecipazione

posseduta al suo valore corrente.

o NB: I diritti economici dell’azionista hanno carattere di "residualità"; infatti:

l’utile si determina dopo la remunerazione di tutti i fattori produttivi diversi

dal capitale proprio;

in sede di liquidazione della società, il patrimonio netto si ottiene dopo aver

soddisfatto (con il ricavato ottenuto cedendo e incassando le attività

patrimoniali) tutti i creditori della società.

Strumenti che incorporano esclusivamente diritti di credito (tra cui obbligazioni e prestiti),

e perciò il diritto a ottenere prestazioni economiche-finanziarie secondo modalità

contrattualmente prestabilite:

Le prestazioni economico-finanziarie legate a tali strumenti sono:

o pagamento, con frequenza prefissata, di una remunerazione a titolo di interesse,

che può essere sia predeterminata nell’importo (regime di “tasso fisso”) sia incerta

nell’ammontare (regime a “tasso variabile), la cui variabilità è tuttavia determinata

da prestabiliti parametri e regole di indicizzazione del tasso di interesse rispetto ad

altri tassi di mercato oggettivamente rilevabili. (es: le cedole de CCT è indicizzata al

rendimento dei BOT);

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o rimborso del capitale secondo scadenze e importi predeterminati, nella

maggioranza dei casi.

Alternativamente il tempo del rimborso:

o può essere deciso in modo discrezionale dal debitore prima di una scadenza max

prefissata;

o può essere richiesto in anticipo dal creditore quando specifiche clausole

contrattuali (covenants) prevedano la facoltà di questi di esercitare tale diritto nel

caso in cui il debitore non rispetti predeterminate condizioni (es: prestabilite

configurazioni della struttura finanziaria del passivo).

Gli strumenti delle due categorie sopracitate hanno per oggetto il trasferimento a titolo

oneroso di risorse finanziarie nel tempo e la loro funzione o finalità consiste principalmente

nell’investimento finanziario e nel finanziamento. Si differenziano tra loro soprattutto per il

fatto di attuare una diversa ripartizione o distribuzione del rischio tra i soggetti contraenti.

(E’ logico che l’investitore manifesti aspettative di rendimento maggiori nei confronti degli

strumenti di partecipazione a fronte della maggiore incertezza del rendimento stesso).

strumenti che incorporano il diritto discrezionale e/o l’obbligazione di comprare/vendere a

termine una data attività finanziaria (soprattutto sono contratti a termine e i cosiddetti

strumenti derivati come future, swap e opzioni). Essi hanno per oggetto strumenti

finanziari di partecipazione e/o credito, e la terminologia corrente li identifica come

“strumenti derivati” (o titoli derivati) per indicare che la loro struttura presuppone

l’esistenza di uno strumento finanziario che si potrebbe definire “base”.

Nell’ambito degli strumenti derivati occorre distinguere per la diversità dei diritti

incorporati e quindi per la loro diversa funzione, tra:

o strumenti che incorporano esclusivamente obbligazioni (diritti) reciproche a

termine concordate tra le parti (contratti future o financial future, contratti a

termine e contratti swap): In forza del contratto futuro, il singolo contraente si

obbliga ad acquistare (posizione lunga) o vendere (posizione corta) a un termine

futuro prestabilito (data di regolamento) e a un prezzo predeterminato (prezzo

future), una certa attività finanziaria. La diversa natura di quest’ultima consente

a sua volta di identificare 3 diversi tipi di strumenti o contratti:

gli interest rate future, in cui l’attività finanziaria sottostante è

rappresentata da titoli di Stato a lungo termine (es, il future sui BUND) o

da depositi interbancari a breve termine;

gli stock index future, in cui l’attività sottostante è costituita da indici

relativi ad azioni quotate sui mercati regolamentati (per es: future sul

MIB3016);

i currency future, in cui l’attività finanziaria sottostante è rappresentata

da una valuta (per es, dollaro, yen, ecc). Sono oggetto di scambio

limitato, poiché la loro funzione è svolta dai contratti a termine su valuta

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che possono essere assimilati agli strumenti derivati, pur non

appartenendovi formalmente.

La funzione economica fondamentale è di consentire al contraente di prendere “posizione”

nei confronti rispettivamente: dell’andamento futuro dei prezzi di attività finanziarie

sensibili ai tassi di interesse oppure delle quotazioni dei mercati azionari, oppure ancora

dei tassi di cambio. In proposito si distingue la categoria degli hedgers, cioè degli operatori

che, avendo assunto certe “posizioni” e volendone coprire i rischi in relazione alle proprie

aspettative, stipulano contratti future di segno opposto riferiti ad attività finanziarie

equivalenti a quelle su cui si è presa posizione. Viceversa formano la categoria degli

“speculatori” quei soggetti che utilizzano gli strumenti derivati per assumere una posizione

di rischio fondata su aspettative non condivise dal “sentimento” generale del mercato, al

fine specifico di trarne un profitto nel caso in cui la previsione formulata si rilevi ex post

verificata.

In generale il compratore di un contratto future guadagna nel caso in cui i prezzi correnti

delle attività finanziarie sottostanti aumentino oltre il prezzo future, mentre il venditore

realizza un profitto nel caso opposto, cioè qualora i prezzi correnti scendano sotto il prezzo

future.

Dal punto di vista formale, pure il contratto swap è costituito da obbligazioni contrapposte

riferite a date future, ma ne è diverso l’oggetto poiché i soggetti contraenti si impegnano a

scambiare i futuri pagamenti di interessi (per es flussi di interessi calcolati a tasso fisso

contro flussi di interessi calcolati a tasso variabile) oppure futuri pagamenti in valuta

(rispettivamente interest rate swap e currency swap).

Mediante questo particolare strumento derivato è quindi possibile trasformare i flussi di

interesse delle attività finanziarie oppure il loro rischio di cambio. Il regolamento dello

scambio è generalmente attuato mediante il pagamento delle differenze tra valori delle

obbligazioni delle parti.

o strumenti che incorporano il diritto discrezionale (opzione) di una delle due parti ad

acquistare o vendere a termine, a un prezzo stabilito (prezzo strike o prezzo di

esercizio) nei confronti dell’altra parte (titolare della contrapposta obbligazione a

vendere o acquistare) una data attività finanziaria. Contratti di opzione, in cui il

soggetto che compra questa facoltà discrezionale paga alla controparte venditrice

un prezzo (premio dell’opzione) che dipende dalla probabilità di esercizio

dell’opzione. Tale probabilità a sua volta dipende dall’andamento del prezzo

dell’attività finanziaria sottostante.

Nella prassi si distinguono contratti in cui l’opzione può essere esercitata soltanto a

una scadenza prestabilita (opzione europea) e contratti che prevedono invece la

possibilità di esercitare l’opzione entro una data prestabilita (opzione americana)

I contratti di opzione vengono classificati in funzione delle attività finanziarie

sottostanti, cui si riferiscono diritti e obbligazioni delle parti:

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opzioni su valori mobiliari (azione e obbligazioni);

opzioni su indici di borsa;

opzioni su valute;

opzioni su contratti future.

La differenza fondamentale dei contratti di opzione risiede nella particolare circostanza

della discrezionalità attribuita al compratore dell’opzione; il compratore non assume una

posizione definitiva (copertura/speculazione) rispetto al rischio di prezzo dell’attività

finanziaria sottostante, ma si riserva di assumerla: perciò la sua perdita massima potenziale

è definita dal premio pagato anticipatamente (caso di abbandono dell’opzione), mentre il

suo guadagno è definito dalla variazione favorevole del prezzo dell’attività finanziaria

sottostante al netto del premio (caso di esercizio dell’opzione).

3. Gli strumenti offerti dagli intermediari finanziari

La gamma è piuttosto ampia e può essere classificata in base alla tipologia di bisogno soddisfatto.

Trasferimento del potere d’acquisto nello spazio:

o ordini di pagamento: assegni, bonifici, carte di credito, etc;

o ordini di incasso: ricevute bancarie, effetti cambiari, etc;

o servizi diversi: cassa automatica ed erogazione automatica di contante (ATM).

Investimento:

o Passività nominali prodotte dagli intermediari: depositi in conto corrente, depositi a

risparmio, obbligazioni semplici, strutturare e garantite. Tutti questi strumenti

rendono noto nel contratto il valore alla scadenza o le modalità di calcolo;

o Passività di mercato prodotte dagli intermediari: quote di fondi comuni mobiliari e

azioni in società di investimento a capitale variabile. Il loro valore futuro è

indeterminabile;

o Servizi di negoziazione di valori mobiliari: l’intermediario può svolgere il ruolo di

broker o dealer;

o Servizi di gestione patrimoniale individuale;

o Polizze assicurative.

Finanziamento:

o Prestiti in moneta o in titoli: si distinguono in base alla scadenza (indeterminata,

breve, media o lunga), alle modalità di rimborso (a rate o in un’unica soluzione), al

calcolo degli interessi e al tipo di garanzia.;

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o Prestiti di firma: avallo, fideiussione, lettera di credito, etc. La banca garantisce le

obbligazioni che il soggetto assume verso clienti terzi.

o Crediti speciali: leasing, factoring, etc

o Prestiti al consumo: acquisto di beni durevoli;

o Assunzione di partecipazioni;

o Investment banking: consulenza alle imprese per l’acquisizione di risorse

finanziarie.

Gestione dei rischi e gestione finanziaria e assicurativa del cliente:

o Tipicamente le banche offrono strumenti sia per la copertura dai rischi speculativi

(attività di hedging) sia per il loro sfruttamento. Rientrano in questa categoria i

contratti a termine, gli swap,etc;

o Le società di assicurazione offrono strumenti per la copertura dei rischi puri: polizze

vita (pagamento di un capitale predeterminato), polizze danni (indennizzo).

In Italia le Banche non possono produrre contratti assicurativi, possono commercializzare polizze

prodotte da imprese di assicurazione.

4. La trasferibilità, la negoziabilità e la liquidità Fra i caratteri o le proprietà principali che concorrono a definire gli strumenti finanziari

merita considerazione prioritaria la trasferibilità. Vi sono strumenti finanziari il cui

contratto prevede la trasferibilità sia mediante semplice trasferimento materiale (titoli di

credito “al portatore”) o mediante girata (titoli all’ordine) e, viceversa, strumenti il cui

trasferimento di titolarità non è immediatamente attuabile, ma richiede procedure

abbastanza complesse (la cessione del credito) e onerose (costi di transazione). La

trasferibilità è un aspetto tecnico-contrattuale assai rilevante poiché essa consente la

circolazione degli strumenti finanziari successivamente alla loro emissione, cioè nel

cosiddetto mercato secondario. Gli strumenti di finanziamento/investimento trasferibili

per loro intrinseca natura sono i valori mobiliari (cioè le azioni e le obbligazioni); viceversa

un contratto di mutuo o di prestito non prevede la trasferibilità, anche se il relativo credito

può essere ceduto.

La trasferibilità è una caratteristica tecnica che consente l’effettivo trasferimento del titolo

di proprietà e/o di credito, ma l’effettiva cessione di uno strumento finanziario dipende

dalla sua negoziabilità o negoziazione concreta che a sua volta è favorita da altri caratteri

che definiscono lo strumento finanziario:

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o la standardizzazione; infatti quanto più standardizzato è uno strumento finanziario,

tanto minori sono la sua complessità e il costo di informazione per l’investitore o

acquirente;

o la divisibilità, cioè la possibilità di frazionare la negoziazione grazie al basso valore

unitario dello strumento, sia alla bassa quantità minima negoziabile, contribuisce ad

accrescere la negoziabilità degli strumenti trasferibili.

NB: la negoziabilità non dipende soltanto da caratteri intrinseci allo stesso strumento

finanziario, ma pure da condizioni esterne che qualificano l’organizzazione degli scambi di

quello strumento (mercato). A riguardo ha importanza prevalente:

la quotazione dello strumento finanziario, intesa come informazione oggettiva e

trasparente del prezzo dello strumento (e quindi idealmente del suo valore);

lo “spessore” e la frequenza degli scambi di un dato strumento.

La negoziabilità è un requisito necessario per definire la liquidità di uno strumento, intesa

come convertibilità in moneta. Tale convertibilità è tanto più concreta quanto minori sono:

o costo di ricerca della controparte;

o altri costi di transazione;

o perdita di valore eventualmente necessaria per ottenere un’immediata contropartita

di scambio. Queste quantità vengono considerate come “misure” della liquidità.

A sua volta, la liquidità dipende anche dalla durata residua dello strumento finanziario

(durata finanziaria o duration), in quanto un titolo di credito è tanto più liquido quanto più

prossima è la sua scadenza contrattuale che ne determina l’automatica trasformazione in

moneta. (es: i depositi bancari a vista, pur non essendo negoziabili, sono altamente liquidi).

Un ulteriore fattore di liquidità è il “rischio emittente”, cioè la liquidità è garantita alla

scadenza del titolo a condizione che vi sia certezza in ordine alla solvibilità dell’emittente.

La nozione di liquidità si trasfonde, infine, in quella di capacità monetaria, che si definisce

come capacità/idoneità di uno strumento a essere usato direttamente come mezzo di

pagamento, o comunque a essere convertito in moneta con costi, rischi e tempi

praticamente nulli (le attività finanziarie corrispondenti a questa caratteristica vengono

denominata “quasi moneta”).

5. La cartolarizzazione degli strumenti finanziari

La cartolarizzazione (securitization) è una tecnica finanziaria (e quindi anche uno strumento

finanziario complesso) appositamente progettato per trasformare strumenti finanziari non

trasferibili in altri strumenti finanziari trasferibili (e quindi negoziabili) e perciò auspicabilmente

liquidi.

Essa consiste nella combinazione delle seguenti operazioni e nell’interazione dei rispettivi attori:

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si identifica un certo “blocco” o portafoglio di crediti non trasferibili aventi caratteristiche

di relativa omogeneità per stato di solvibilità o per forma tecnica e i relativi debitori;

il proprietario (in genere una banca, originator) di questo portafoglio effettua la cessione

pro-soluto (liberandosi della responsabilità di insolvenza) dello stesso per un dato prezzo

(che consiste nella stima del valore attuale dei crediti) a una società specifica, detta società

veicolo (o special purpose vehicle, SPV);

a fronte dell’acquisto la SPV emette titoli obbligazionari (asset backed securities, o ABS cioè

titoli “sostenuti” da altre attività), il cui collocamento nel mercato mobiliare produce

l’entrata finanziaria che consente il pagamento del prezzo di acquisto/cessione; Le ABS

possono essere assistite da rating;

il portafoglio ceduto viene normalmente attribuito in gestione (servicing) alla stessa banca

cedente (originator) e i relativi flussi per interessi e capitali vengono trasferiti alla SPV, che

li destina al servizio, per interessi e capitale, delle obbligazioni (ABS) emesse, secondo

l’ordine di priorità eventualmente differenziato per diverse tranches di emissione (senior,

mezzanine, e junior).

La tecnica della cartolarizzazione produce diversi effetti positivi:

offre ai soggetti cedenti opportunità di smobilizzo di attività non liquide (quindi di

reperimento di liquidità);

contribuisce allo sviluppo quantitativo e qualitativo dell’offerta di “materiale finanziario” a

beneficio degli investitori, individuali e istituzionali, che ricercano opportunità di

diversificazione del portafoglio investimenti.

La tecnica della cartolarizzazione tende a trasferire i rischi del portafoglio “cartolarizzato” in capo

agli investitori nelle ABS: a limitare questo problema concorrono:

la valutazione “indipendente” del portafoglio ceduto (ruolo di arranger in genere svolto da

una investment bank);

l’intervento dei soggetti professionali per garantire per certi aspetti la performance del

portafoglio (credit enhancement);

l’attribuzione delle varie tranches obbligazionarie a trasparenti classi di rischio, distinte per

priorità decrescenti di rimborso (senior, mezzanine, e junior);

Per i profili e i contenuti sostanzialmente fiduciari che supportano il valore delle ABS:

o l’attività di cartolarizzazione è regolata da apposita legge (del ’99);

o la SPV deve iscriversi nell’elenco speciale degli intermediari finanziari sottostando alla

relativa regolamentazione e vigilanza;

o i titoli emessi dalla stessa SPV sono sottoposti ai controlli della BI.

Infine un’ulteriore potenzialità della tecnica di cartolarizzazione è che essa consente pure di

“finanziarizzare” le attività reali (es: portafoglio di attività immobiliari o magazzini di merci)

trasformandole in ABS, consentendo perciò ai relativi proprietari di attingere a una forma di

finanziamento diretto.

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6. Il rendimento, la sua prevedibilità e il rischio

L’identificazione delle componenti che determinano il rendimento è essenziale, in quanto

consente di comprendere le ragioni che giustificano la differenza tra il rendimento effettivamente

conseguito (storico, ex post) rispetto a quello previsto in sede di valutazione dell’investimento

(previsionale, ex ante). Le componenti del rendimento sono:

il reddito staccato, che rappresenta il pagamento periodico di cedole (per titoli

obbligazionari) o di dividendi (per titoli azionari). Essa presuppone l’esistenza di un flusso di

cassa in uscita per l’emittente che nel caso dei titoli obbligazionari sarà determinato in

funzione del tasso contrattuale fisso (es: BTP) o variabile (CCT); mentre nel caso dei titoli

azionari sarà definito discrezionalmente dall’assemblea dei soci (dividendo);

la differenza tra il valore di rimborso a scadenza (o il prezzo di vendita prima della

scadenza) e il prezzo d’acquisto. (nel caso dei titoli obbligazionari è prevista una scadenza e

valore di rimborso predefiniti; mentre l’indeterminatezza della scadenza dei titoli azionari

non consente di determinare un valore di rimborso);

i frutti ottenibili grazie al reinvestimento dei flussi finanziari periodici prodotti dal titolo

stesso.

Entrando più nello specifico ovvero in ordine crescente di incertezza del rendimento ottenuto:

nei titoli zero coupon, l’assenza di flussi intermedi e la detenzione del titolo sino a scadenza

elimina il rischio di ottenere un rendimento ex post differente da quello ex ante. Infatti

tutte le componenti di reddito sono certe;

nei titoli a cedola fissa, l’aleatorietà riguarda l’entità dei flussi di cassa e il reinvestimento

degli stessi titoli a cedola variabile;

nei titoli azionari, l’aleatorietà riguarda non solo l’entità ma anche l’esistenza dei flussi di

cassa e l’inesistenza di valore di scadenza del titolo.

Le considerazioni sin qui espresse non hanno tuttavia tenuto conto del rischio di credito,

del rischio di cambio e del rischio di prezzo. Pertanto, la quantificazione del rendimento

avviene ipotizzando una pluralità di scenari futuri possibili (es. legati a un fattore

macroeconomico o a eventi specifici dello strumento finanziario oggetto di valutazione) e

associando a ognuno di essi una probabilità di accadimento e un’ipotesi di rendimento

(approccio probabilistico piuttosto che deterministico).

Il rendimento del titolo e del portafoglio titoli sarà espresso come media ponderata dei

rendimenti, utilizzando come pesi le probabilità di accadimento dei singoli scenari.

In sede di valutazione di convenienza tra diverse ipotesi (per ognuna delle quali si indica il

rendimento e le probabilità associate ai diversi scenari che si potranno verificare), allo scopo di

quantificare il diverso livello di rischio, è opportuno introdurre una misura di rischio, denominata

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scarto quadratico medio (o deviazione standard), che quantifica la dispersione dei rendimenti

realizzabili in ogni scenario rispetto al rendimento medio. Nel caso dei titoli obbligazionari

potrebbe invece essere utile determinare la sensibilità del prezzo di un titolo alle variazioni dei

tassi di interesse mediante un altro indicatore denominato duration.

7. La durata residua e duration

Per durata residua si intende in prima approssimazione il tempo che intercorre fra il momento

presente e la data di estinzione contrattuale dello strumento, o scadenza (facilmente identificabile

nel caso dei titoli azionari). Tuttavia non sempre i contratti sottostanti gli strumenti finanziari

definiscono precisamente la scadenza; si hanno infatti:

strumenti finanziari a scadenza indeterminata con o senza preavviso delle parti contraenti

(es. deposito a risparmio, l’apertura di credito in c/c);

oppure strumenti con scadenza a vista a discrezione di entrambe le parti (es deposito in

c/c); o in altri casi ancora, il contratto da la possibilità di estinzione anticipata;

in altri casi la scadenza è prestabilita ma il contratto attribuisce all’emittente/debitore la

facoltà di estinzione anticipata, eventualmente verificandosi o meno date condizioni (call

option), oppure conferisce tale diritto all’investitore/sottoscrittore (put option);

In altri casi ancora la scadenza è un elemento meramente nominale, come per le azioni,

per le quali essa formalmente coincide con il termine della durata della società emittente.

In altri casi infine, attualmente rari, lo strumento finanziario non ha scadenza nel senso che

è perpetuo e non prevede quindi rimborso (es, debito consolidato in rendita perpetua,

emesso dallo Stato).

E’ necessario, quindi, chiarire che il tempo alla scadenza non misura correttamente la durata

finanziaria, poiché in genere nell’intervallo considerato, lo strumento finanziario produce flussi di

cassa per l’investitore (a titolo di pagamento degli interessi o più raramente di rimborso anticipato

parziale come nel caso del mutuo).

La durata finanziaria prende in considerazione i flussi monetari futuri generati dallo strumento e li

mette in relazione con il prezzo corrente del titolo ed esprime il tempo necessario per rientrare,

tramite il pagamento delle cedole, dall’investimento effettuato. In pratica la duration è una misura

di durata residua (n° di anni o di giorni alla scadenza) del titolo, calcolata ponderando ogni

scadenza futura con il rapporto tra il valore attualizzato del relativo flusso di cassa e il prezzo

corrente del titolo. Tale rapporto in sostanza misura il contributo di ciascun flusso al valore

complessivo del titolo (cioè quantifica la % di rientro monetario dell’investimento alla scadenza

indicata). Se ne desume che quanto maggiore è l’importo dei flussi di cassa intermedi pagati dallo

strumento finanziario, tanto minore è la sua durata finanziaria.

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8. Altri caratteri degli strumenti finanziari

La convertibilità. Il contratto sottostante allo strumento finanziario può prevedere che esso

possa essere trasformato, convertito in un altro strumento finanziario, a date condizioni

(es: obbligazione convertibile). La convertibilità può anche consistere nella facoltà di una

delle 2 parti di modificare un elemento contrattuale sostanziale dello strumento

considerato (per es. operare la trasformazione della modalità di determinazione degli

interessi da un regime di tasso variabile a uno di tasso fisso o viceversa; oppure la

sostituzione della valuta di determinazione dello strumento con altra valuta). Ovviamente

le opportunità di modificare lo strumento finanziario consentono di aumentarne utilmente

la flessibilità e l’adattabilità rispetto alle funzioni d’uso richieste dalle parti.

La valuta di denominazione. E’ la valuta in cui i flussi monetari di ogni strumento finanziario

vengono pagati/incassati, ed è definita dal contratto sottostante (dollari, yen, euro, ecc).

Contratti più complessi possono prevedere che la valuta di denominazione originaria possa

essere convertita in corso di contratto da una delle due parti a date condizioni (titoli di

credito dual currency); nel caso dei prestiti tale condizione viene denominata clausola

multicurrency. (fattispecie non molto frequenti).

Il costo di produzione e il costo di uso. La produzione di ogni strumento finanziario

comporta svariati costi, in relazione alle sue specifiche caratteristiche tecniche, giuridiche e

contrattuali Inoltre, ogni strumento finanziario comporta specifici costi d’uso,

particolarmente significativi con riferimento ai titoli di credito trasferibili, soprattutto dal

punto di vista dell’investitore. Tra i costi d’uso è tipico il costo di custodia che ogni

investitore sostiene. NB: i costi di produzione e di uso specifico dei singoli strumenti

finanziari fanno parte della più ampia categoria dei costi di transazione che

complessivamente caratterizzano lo svolgimento degli scambi finanziari.

La complessità e la scomponibilità. Si definisce complesso lo strumento che deriva dalla

combinazione contrattuale di due o più strumenti semplici o elementari. Per esempio,

l’obbligazione con warrant è un titolo obbligazionario elementare che comprende

sostanzialmente un’opzione (detta warrant) per il possessore di acquistare (a prezzo,

quanti e tempi prestabiliti) titoli azionari dello stesso emittente.

I titoli complessi vengono in genere definiti “titoli strutturati”, e la “Strutturazione”

consiste appunto nella configurazione dei caratteri elementari del titolo (scadenza, flussi

cedolari, modalità di rimborso) mediante contratti derivati, in genere nella forma di

opzioni, a favore di una delle 2 parti contraenti.

Viceversa, uno strumento finanziario può essere scomposto in strumenti ancora più

elementari; ad esempio nel caso di un titolo obbligazionario, la separazione del rimborso

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del capitale a scadenza dai flussi di interesse (operazione nota come coupon stripping) fa

nascere 2 strumenti finanziari sostanzialmente diversi:

o da un lato un titolo a cedola zero (ZCB, zero coupon bond)

o e dall’altro una rendita finanziaria a durata predeterminata.

Il regime fiscale. Ogni strumento finanziario si caratterizza per un proprio regime di

imposizione fiscale, che varia notevolmente in relazione al soggetto considerato

(prenditore o investitore) a seconda della sua natura giuridica e del sistema tributario di

appartenenza e che influisce in misura rilevante sulla convenienza dei vari soggetti a

utilizzare l’uno o l’altro strumento (es: nei titoli azionari i dividendi distribuiti non sono

deducibili; viceversa le cedole pagate sono deducibili nel calcolo del reddito imponibile del

soggetto emittente.

9. I Titoli di Stato

I titoli di Stato sono obbligazioni emesse periodicamente con lo scopo di finanziare il debito

pubblico e avere il denaro sufficiente affinché lo Stato possa svolgere le sue attività.

I titoli di Stato italiani vengono emessi dalla Repubblica Italiana, per il tramite del Ministero

dell’Economia e delle Finanze (MEF) che si avvale della collaborazione di Banca d'Italia per

l'organizzazione e la conduzione dell'attività di collocamento. Sono suddivisi in sette tipologie

di strumenti disponibili sia per gli investitori privati sia per gli istituzionali e si differenziano

essenzialmente per la durata dello strumento, la possibile indicizzazione e la modalità di

remunerazione degli interessi. Di seguito le diverse tipologie, riconducibili a tre ulteriori macro-

categorie: i Titoli di Stato zero coupon, a tasso variabile e a tasso fisso.

I Titoli di Stato zero coupon: strumenti che non prevedono la corresponsione di cedole

periodiche. La remunerazione è rappresentata dal rendimento implicito pari alla

differenza tra il valore nominale a rimborso ed il prezzo di emissione.

o Buoni Ordinari del Tesoro (BOT): sono titoli a breve termine che vengono emessi

in asta competitiva con scadenza a 3, 6 e 12 mesi, o qualsiasi altra durata

compresa entro l’anno (cosiddetti BOT flessibili). Al termine dell’anno il MEF

pubblica il calendario per le emissioni dei dodici mesi successivi. I collocamenti

avvengono di norma a metà mese per i titoli con scadenze a 1 anno e a fine

mese per i titoli con scadenza a 6 mesi. Le emissioni a 3 mesi avvengono, invece,

nell’asta di metà mese ma solo se sussistono particolari esigenze di cassa da

parte dello Stato, mentre le emissioni c.d. flessibili avvengono quando le

necessità di liquidità lo esigono. I titoli possono essere negoziati sul mercato

MOT in modalità tel quel, ed i contratti sono regolati due giorni dopo la

conclusione.

o Certificati del Tesoro Zero Coupon (CTZ): Sono titoli con durata pari a 24 mesi

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emessi tramite asta marginale mensilmente in concomitanza con i BOT a sei

mesi. Sono negoziati sul mercato MOT in modalità tel quel ed i contratti sono

regolati tre giorni dopo la conclusione.

I Titoli di Stato a tasso variabile

o Certificati di Credito del Tesoro (CCT): Sono titoli con la durata di 7 anni, emessi

tramite asta marginale, le cui cedole semestrali sono date dal rendimento annuale

dei Buoni Ordinari del Tesoro a sei mesi registrato nell’asta precedente l’inizio

godimento della cedola moltiplicato per 0,5 e dunque aumentato di uno spread di

15 punti base; sulla remunerazione dei titoli incide anche lo scarto d'emissione,

dato dalla differenza tra il valore nominale ed il prezzo di emissione. Sono negoziati

sul mercato MOT in modalità corso secco ed i contratti sono regolati tre giorni dopo

la conclusione.

o Certificati di Credito del Tesoro (CCTeu): sono titoli solitamente di durata di 7 anni

e mai di durata inferiore ai cinque anni, emessi tramite asta marginale, che pagano

cedole semestrali pari al tasso Euribor 6 mesi maggiorato di uno spread e

moltiplicato per la base di calcolo ACT/360. Il tasso Euribor è rilevato due giorni

lavorativi antecedenti il godimento della cedola. Come per i CCT, sulla

remunerazione incide anche lo scarto d'emissione. Sono negoziati sul mercato MOT

in modalità corso secco ed i contratti sono regolati tre giorni dopo la conclusione.

o Buoni del Tesoro Poliennali indicizzati all’Inflazione Europea (BTP€i): Sono titoli a

medio-lungo termine con scadenze a 5, 10, 15 o 30 anni, emessi mensilmente in

concomitanza dell'asta di fine mese, che garantiscono una protezione contro

l'aumento del livello dei prezzi in Europa. Infatti, sia il capitale rimborsato a

scadenza, sia le cedole semestrali di questi titoli sono rivalutati in base

all'andamento dell'inflazione europea, misurato dall'Indice Armonizzato dei Prezzi

al Consumo nell'area dell'euro (IAPC) con esclusione del tabacco. Sono negoziati sul

mercato MOT in modalità corso secco ed i contratti sono regolati tre giorni dopo la

conclusione. I valori mensili dell’indice Eurostat sono reperibili sul sito internet

dell’Ufficio Statistico Europeo: http://europa.eu.int/comm/eurostat/.

o BTP Italia: Sono titoli con scadenza a 4 anni che garantiscono una protezione contro

l'aumento del livello dei prezzi in Italia. Infatti, sia il capitale sia le cedole sono

rivalutati in base all'andamento dell'inflazione italiana, misurato dall'indice ISTAT

dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati (FOI), con frequenza

semestrale. Sono gli unici Titoli di Stato distribuiti esclusivamente sul mercato MOT

prima dell'emissione e del regolamento. A partire dalla data di emissione negoziano

in modalità corso secco ed i contratti sono regolati tre giorni dopo la conclusione.

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I Titoli di Stato a tasso fisso

o Buoni del Tesoro Poliennali (BTP): Sono titoli a medio-lungo termine con scadenze a

3, 5, 10 o 15 anni, emessi tramite asta marginale, che pagano cedole semestrali a

tasso fisso costante. I titoli a 3 anni sono emessi due volte al mese, i titoli a 5 e 10

anni sono emessi mensilmente in concomitanza dell’asta di metà mese ed infine i

titoli a 15 e 30 anni sono emessi trimestralmente. Sono negoziati sul mercato MOT

in modalità corso secco ed i contratti sono regolati tre giorni dopo la conclusione.

Meccanismi di collocamento dei titoli di Stato:

Asta pubblica: permette la partecipazione di una vasta platea di investitori (operatori

abilitati), garantisce trasparenza nell’operatività ed un elevato grado di competizione.

L’asta pubblica, per i vantaggi che apporta, è privilegiata dal tesoro italiano.

consorzio di banche selezionate tra gli operatori specialisti in titoli di Stato, che si

incaricano di raccogliere gli ordini di investitori finali (cosiddetto collocamento

sindacato). Si ricorre a questa seconda modalità per far fronte a circostanze particolari,

come ad esempio l’introduzione di nuove “forme” di titoli di Stato per le quali non si

conosce ancora l’interesse del mercato. Ad esempio si fa ricorso a questa tipologia

d’asta per i BTP indicizzati all’inflazione europea e per i BTP con scadenza molto lunga.

piattaforme di negoziazione elettroniche: questa modalità è stata introdotta per la

prima volta a partire dal 2012 quando furono emessi i titoli di Stato indicizzati

all’inflazione italiana. L’utilizzo di piattaforme di negoziazione elettroniche consente

una più agevole partecipazione anche ai piccoli investitori.

Le aste dei titoli di Stato sono effettuate presso la Banca d’Italia, in presenza di un funzionario del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), responsabile della regolarità dell’asta. Gli operatori abilitati presentano le proprie domande di partecipazione all’asta per via telematica, utilizzando la Rete Nazionale Interbancaria. Per ogni titolo di Stato in collocamento, ogni operatore:

può presentare le proprie richieste entro le ore 11.00 del giorno d’asta

può modificare più volte le proprie richieste, poiché il sistema considererà valida solo l’ultima domanda pervenuta in tempo utile.

Le richieste pervenute vengono riportate in una tabella e ordinate in maniera decrescente

rispetto al prezzo o crescente rispetto al rendimento. Quelle per i BOT vengono ordinate

tenendo conto dei rendimenti, mentre le richieste per tutte le altre forme di titoli di Stato,

vengono ordinate tenendo conto del prezzo che gli operatori sono disposti a pagare.

ll Tesoro attualmente utilizza due tipologie di aste:

l’asta competitiva in termini di rendimento per i BOT;

l’asta marginale con determinazione discrezionale del prezzo di aggiudicazione e della

quantità emessa per i CTZ, BTP, CCT/CCTeu e BTP€i.

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L’asta competitiva: logica e meccanismo di funzionamento Attualmente l’asta competitiva è riservata ai soli BOT. Le richieste provenienti dagli operatori abilitati (ogni operatore può presentare 3 richieste differenti, indicando per ciascuna il quantitativo richiesto ed il prezzo di sottoscrizione; gli importi complessivi di ciascuna offerta non possono comunque essere inferiori ad un milione e mezzo di euro) vengono ordinate in maniera decrescente rispetto al prezzo (o crescente rispetto al rendimento) e in tale ordine vengono soddisfatte fino al completo esaurimento della quantità richiesta. Le offerte rimangono segrete fino alla fase di aggiudicazione. Nel caso in cui le offerte con il rendimento più alto non possano essere totalmente accolte, si procede al riparto pro-quota. Ne deriva che, con l’asta competitiva, ciascuna richiesta accolta viene aggiudicata al tasso proposto dall’operatore. Per definizione, quindi, l’asta competitiva si conclude con una molteplicità di rendimenti. Partendo da questi, la Banca d’Italia calcola il rendimento medio ponderato e il corrispondente prezzo medio ponderato. Per evitare che vengano soddisfatte richieste “anomale” e non in linea con le richieste di mercato, la banca d’Italia provvede a calcolare:

un rendimento minimo accoglibile (o rendimento di salvaguardia): le richieste con

rendimento al di sotto di tale valore non vengono accolte per evitare che i rendimenti

siano poco convenienti per i risparmiatori;

un rendimento massimo accoglibile (o rendimento di esclusione): per escludere dalle

aste le domande speculative, ovvero quelle richieste che presentano rendimenti

troppo al di sopra della media.

In questo esempio si suppone di dover collocare 7 milioni di BOT. Nella tabella sottostante sono

riportati in ordine decrescente di rendimento le richieste pervenute da 4 intermediari abilitati.

La domanda è pari a 12 milioni di euro ed ha superato l’offerta (7 milioni).

Si provvede a determinare il prezzo minimo accoglibile (prezzo di salvaguardia) ed il prezzo massimo accoglibile (prezzo di esclusione). Non entriamo nel merito del calcolo. La procedura richiede una trattazione a parte: è complicata ed esula dall’attuale oggetto della trattazione.

Tenuto conto delle richieste pervenute, della quantità offerta, del prezzo minimo e massimo, i

BOT saranno collocati sul mercato tra i vari operatori secondo le modalità evidenziate in tabella:

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Come è facile comprendere, la logica dell’asta competitiva è sicuramente vantaggiosa per il Tesoro. Attraverso questo meccanismo il Tesoro si garantisce il collocamento sul mercato dei BOT alle migliori condizioni possibili. Dalla tabella si può immediatamente notare che, al crescere dei rendimenti, le quantità assegnate sono via via minori.

L’asta marginale: logica e meccanismo di funzionamento L’asta marginale è la tipologia d’asta utilizzata per il collocamento della maggior parte dei titoli

di Stato ad esclusione dei BOT.

Anche nel caso dell’asta marginale il Tesoro provvede ad ordinare le richieste in ordine

decrescente di prezzo (o crescente di rendimento).

La differenza rispetto all’asta competitiva è che le richieste accolte (ogni operatore può

presentare 5 richieste) vengono soddisfatte tutte allo stesso prezzo, che coincide con quello

meno elevato offerto dai partecipanti, ovvero con il prezzo dell’ultima richiesta accolta. Il prezzo

più basso al quale vengono successivamente soddisfatte tutte le richieste è chiamato prezzo

marginale.

Nel caso in cui le offerte al prezzo marginale non possano essere totalmente accolte, si procede

al riparto pro-quota.

Supponiamo che il Tesoro decida di collocare 30 milioni di euro di CTZ e che le richieste siano

pervenute secondo tale modalità.

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Poiché la domanda è stata maggiore dell’offerta, l’operatore D viene escluso dall’asta. Il prezzo più

basso offerto tra le richieste accolte è quello proveniente dall’operatore C. Tale prezzo

rappresenta il prezzo marginale al quale saranno soddisfatte tutte le richieste accolte. Come si può

facilmente comprendere la logica dell’asta marginale è particolarmente sfavorevole per il Tesoro.

In base a questa logica il lo Stato italiano è costretto a pagare interessi più alti anche a chi si

sarebbe accontentato di un rendimento minore.

Sebbene esista anche per l’asta marginale un prezzo di esclusione al di sotto del quale le richieste

non vengono proprio prese in considerazione, è certamente un meccanismo che incentiva una

gara al ribasso a tutto vantaggio degli investitori in titoli di Stato italiani e a svantaggio delle tasche

dei cittadini italiani.

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I mercati finanziari

Il termine “mercati finanziari” è usato per definire il concetto di “complesso di scambi aventi per

oggetto strumenti finanziari” e costituiscono un luogo fisico o virtuale nel quale vengono scambiati

tali strumenti.

1. Profili di classificazione Natura degli strumenti: mercati creditizi e mobiliari. Una prima classificazione attiene alla

natura degli strumenti negoziati; in particolare della presenza o meno dei requisiti di

trasferibilità/negoziabilità. Ne derivano conseguenze importanti che riguardano:

o il rapporto tra le controparti:

nei mercati creditizi è fortemente personalizzato, trattandosi di rapporti che

vengono definiti su base bilaterale e destinati a prolungarsi su tutta la durata

contrattuale;

nel mercato mobiliare (seppur con diversa intensità a seconda della

negoziabilità e velocità degli scambi), la posizione di investitore è instabile per

definizione e il rapporto con l’emittente è più impersonale.

o il significato dei prezzi negoziati:

nel mercato creditizio si tratta di prezzi negoziati bilateralmente e di cui si può

avere solo una parziale informazione ex post. (es. mercato dei depositi o prestiti

bancari, operazioni di leasing o mutui ipotecari);

nel mercato mobiliare i prezzi sono negoziati sulla base di proposte competitive,

di acquisto e di vendita, in cui il grado di liquidità delle negoziazioni rappresenta

un fattore di performance del mercato: indica la facilità di provvista di fondi

(nuove emissioni) e di smobilizzo degli investimenti in essere con un impatto di

prezzo limitato. La liquidità è direttamente legata a due fattori: lo spessore degli

scambi e la negoziabilità degli strumenti. In quest’ultimo aspetto, un mercato

mobiliare ha l’evidente vantaggio di poter dar luogo al circuito “secondario”

degli scambi, cioè tra investitori diversi dall’investitore iniziale.

Durata e funzione degli strumenti: mercati monetari e dei capitali

In relazione alla Durata:

o il mercato monetario ha per oggetto strumenti finanziari a breve termine

(normalmente entro i 12 mesi);

o il mercato dei capitali ha per oggetto strumenti a medio e lungo termine.

In relazione alla funzione dei circuiti finanziari che il mercato alimenta. Si assume in prima

approssimazione che:

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o nel mercato monetario, ha per oggetto strumenti a breve termine, prevalga la

funzione di gestione della liquidità degli operatori (impresa e intermediari

finanziari): si impiegano temporanee eccedenze di fondi e si finanziano temporanei

fabbisogni;

o nel mercato dei capitali, ha per oggetto strumenti a medio lungo termine, siano

alimentati, invece, i circuiti finanziari che, in rapporto alla durata della disponibilità

dei fondi, sono utili a soddisfare fabbisogni per investimenti in capitale fisso o

comunque impieghi che hanno un ciclo economico di rientro non breve.

Svolgimento temporale dello scambio: mercati cash e derivati

o I mercati cash (o spot) sono quelli in cui oggetto di negoziazione sono gli strumenti

base (azioni, obbligazioni, cambi) e in cui le transazioni prevedono uno scambio tra

titolo e denaro con consegna e pagamento immediati;

o I mercati derivati hanno per oggetto contratti che “derivano” appunto dagli

strumenti base; ciò nel senso che presuppongono la circolazione e la negoziazione

degli strumenti stessi. L’oggetto di tali contratti può essere una delle componenti di

uno strumento base (es il flusso di interessi di un’obbligazione), oppure il

diritto/obbligo a vendere/acquistare a termine un determinato strumento. I

mercati derivati e rientrano nella più ampia categoria dei mercati a termine.

Attività del mercato mobiliare: primari e secondari

o Il mercato primario è rappresentato dagli scambi in sede di emissione dei titoli,

quindi tra emittente e investitore iniziale. Funzioni fondamentali di questo

segmento di scambi sono quelle di rappresentare un canale di provvista di fondi per

gli emittenti e di costituire una modalità di investimento per i risparmiatori, e la

funzione generale di fissare un prezzo (segnale informativo per l’interno mercato).

o Il mercato secondario è costituito dalle negoziazioni che hanno per oggetto i titoli

mobiliari (trasferibili) già in circolazione. Gli investitori hanno interesse a ridefinire

continuamente la loro posizione in un determinato titolo (in aumento o in

diminuzione) e soprattutto sono interessati alla liquidità, cioè alla possibilità che il

titolo venga facilmente convertito in moneta senza ritardi e perdite di valore.

Taglio delle transazioni e natura degli operatori: mercati all’ingrosso e al dettaglio

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o Mercato all’ingrosso: è quello sul quale operano esclusivamente investitori

professionali e istituzionali che effettuano operazioni di controvalore unitario

elevato (ad esempio il mercato telematico dei titoli di Stato, MTS);

o Mercato al dettaglio: è quello sul quale operano investitori persone fisiche che

effettuano operazioni di controvalore relativamente contenuto e motivato

prevalentemente da esigenze di investimento.

Sistema di negoziazione di pricing adottato dal mercato: mercati ad asta e con market

making

o Nel mercato ad asta gli ordini di acquisto e vendita sono incrociati sulla base di

priorità di prezzo e di tempo. Il pricing è il risultato di un processo “order driven”,

in cui i flussi di acquisto e vendita vengono incrociati (scambi conclusi) sulla base di

priorità di prezzo (chi dà l’ordine normalmente mette un limite di prezzo) e di

tempo. I prezzi negoziati si muovono al rialzo (o ribasso) in funzione del prevalere di

ordini di acquisto che attirano contropartite di vendita (o acquisto) solo per prezzi

via via più alti.

o Nel mercato con market making si svolge un processo di pricing “quote driven”.

L’organizzazione del mercato prevede la presenza di intermediari finanziari che

operano come dealer (prendono posizioni in proprio) e con una specifica funzione

di market making, cioè di quotazione dei titoli. L’intermediario espone (in genere in

un circuito telematico) le proposte di prezzo e le quantità a cui è disposto a

comprare o vendere. Gli operatori del mercato, quando concordano con le

proposte, possono chiudere lo scambio direttamente in contropartita con il market

maker.

2. Le funzioni e la struttura dei mercati mobiliari

La principale funzione economica dei mercati finanziari è quella di contribuire all’efficiente

allocazione delle risorse finanziarie ai fini della formazione del capitale produttivo (in un sistema

economico, in linea teorica domanda e offerta di capitale devono tendere all’equilibrio e

l’investimento del capitale deve essere efficiente). Questa funzione è propria dei mercati finanziari

intesi in senso ampio, cioè relativi a tutte le tipologie di strumenti, compresi quelli creditizi.

Considerazioni più specifiche possono essere fatte con riferimento ai mercati mobiliari.

Le funzioni dei mercati mobiliari:

o funzione di finanziamento: l’emissione e il collocamento dei titoli nel mercato

primario (azioni, obbligazioni) corrispondono a una provvista di fondi per il soggetto

emittente;

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o funzione di pricing dei titoli negoziati e, implicitamente, di determinazione del

rendimento atteso per ogni titolo: poiché il rendimento atteso dall’investitore

rappresenta il costo del capitale per l’emittente, ne deriva un effetto diretto sulla

domanda di fondi e quindi, un’influenza sul processo allocativo;

o funzione di liquidità dei titoli: i titoli negoziabili danno luogo al mercato secondario

(alimentato dalle operazioni di investimento/disinvestimento degli operatori) che,

se è efficiente, rende liquidi i titoli indipendentemente dalla loro durata

contrattuale e tale liquidità equivale a minore rischio; ciò a sua volta comporta un

tasso di rendimento atteso più basso (dunque un costo del capitale più basso e una

più estesa finanziabilità degli investimenti);

o funzione di riduzione dei costi di transazione: i costi operativi del trasferimento

delle risorse possono essere ridotti se gli scambi stessi sono concentrati in una

struttura dotata di razionalità organizzativa (economie di scala, efficienza tecnica), i

costi di informazione per gli investitori, gli emittenti e gli intermediari, sono a loro

volta più limitati via via che le regole e le procedure del mercato rafforzano gli

obblighi di produzione e diffusione dell’informazione;

o funzione di trasferimento del controllo delle società per azioni (mercato per il

controllo): con specifico riferimento al mercato azionario, la negoziabilità dei titoli

rende possibile la ricomposizione degli assetti di controllo azionario delle società

emittenti; quando il possesso azionario è diffuso (public companies) il controllo

proprietario è instabile e ciò comporta un incentivo per l’azionista di controllo e per

il management a rafforzare la propria posizione attraverso migliori performance

aziendali e quindi quotazioni più alte delle azioni. Se ciò non avviene e il valore della

società scende, si apre la strada alla minaccia di take-over, cioè potenziali acquirenti

sono cioè incentivati a “scalare” la società proprio in funzione della sua

sottovalutazione.

Le componenti della struttura di un mercato mobiliare. La struttura di un mercato

mobiliare si articola su 3 componenti principali:

o I soggetti, riassumibili in 3 categorie principali:

intermediari (negoziatori);

gestori dei circuiti di negoziazione (gli enti gestori sono i soggetti

responsabili della messa a punto e del funzionamento dei circuiti di scambio

e di pricing);

autorità di controllo, tra cui, oltre le autorità pubbliche, assumono un rilievo

crescente le autorità di autoregolamentazione;

a queste categorie “interne” del mercato occorre poi aggiungere quelle degli

operatori che utilizzano il mercato, cioè gli investitori e gli emittenti.

gli strumenti scambiati;

le procedure di negoziazione e regolamento dello scambio.

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3. Il mercato monetario e il mercato dei cambi

In un’accezione ristretta e che fa riferimento all’oggetto delle negoziazioni, il mercato monetario è

rappresentato dall’insieme delle transazioni (sottoscrizioni, rimborsi, negoziazioni di mercato

secondario) su titoli a breve scadenza (di norma fino a 12 mesi). In un’accezione più ampia, invece,

il mercato monetario viene identificato in un’ottica “funzionale”: come l’insieme delle transazioni

di attività e passività finanziarie (negoziabili o no) che agevolano l’aggiustamento delle posizioni di

liquidità dei diversi operatori. In questa accezione ampia rientrano anche le operazione tra banche

e Banca Centrale e quelle del mercato interbancario. In generale, la presenza di un mercato

monetario efficiente consente di ridurre al minimo il costo-opportunità della detenzione di riserve

di liquidità, riserve che presentano rendimenti più bassi rispetto a impieghi alternativi. (es. la

detenzione di scorte di moneta comporta rendimenti nulli).

Per svolgere la funzione descritta è necessario che i titoli negoziati sul mercato monetario

presentino alcune caratteristiche:

Scadenza nominale breve o brevissima;

Alta negoziabilità sul mercato secondario: tagli accessibili, alta qualità dell’emittente,

presenza di forme di organizzazione efficiente del mercato secondario;

Impersonalità dei rapporti tra emittenti e sottoscrittori: tipica in generale di tutti i titoli

trasferibili.

I principali strumenti finanziari del mercato monetario:

Buoni del Tesoro (Enti pubblici) e Carte commerciali o Commercial Papers (emessi da

privati e da banche): ovvero delle obbligazioni a breve termine. La tassazione sui profitti da

buoni del tesoro è al 12,5% mentre le carte commerciali hanno una tassazione al 26%.

I contratti pronto contro termine (PCT): dove il cedente (in questo caso quasi sempre un

istituto bancario) cede dei titoli (di solito per un periodo compreso fra 1 mese ed i 6 mesi,

raramente si arriva a 12 mesi), e si impegna a riacquistarli ad una cifra determinata alla

scadenza prefissata. L’interesse su questo genere di contratto di solito viene pagato

anticipatamente. La tassazione dei profitti derivanti da contratti PCT dal 2014 è salita al

26% (tranne che i titoli sottostanti non siano titoli di stato o titoli equiparati).

Titoli di certificati di deposito: anche essi sono titoli di credito, nominativi o al portatore,

emessi per finanziare le necessità di “cassa” degli istituti bancari, che vengono emessi

praticamente a flusso continuo. Questi titoli documentano semplicemente un deposito

vincolato fino alla scadenza prestabilita e hanno un rendimento fisso o variabile collegato

esclusivamente a parametri finanziari ben definiti (LIBOR, EURIBOR, tasso nominale dei

BOT etc etc). Questi titoli non possono essere rimborsati prima della scadenza stabilita.

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Accettazione Bancaria: è un titolo di credito che rappresenta il futuro pagamento di una

determinata somma a favore del possessore. Strumento utilizzato quasi esclusivamente

nell’ambito del commercio internazionale.

4. La struttura e il funzionamento del mercato dei cambi La tipologia e l’oggetto delle transazioni:

o L’oggetto delle transazioni è la disponibilità di fondi denominati in valute diverse da

quella domestica; sul mercato dei cambi vengono pertanto definiti i prezzi della moneta

nazionale in termini di monete estere;

o Il trasferimento fisico della valuta è assolutamente marginale, si attuano normalmente

trasferimenti contabili;

o Per la natura delle operazioni svolte è un mercato prevalentemente all’ingrosso;

o Le operazioni svolte sono riconducibili ai contratti a pronti (liquidati entro 2 giorni), a

termine (liquidati entro 12 mesi) ed ai contratti derivati tipo future, swap e option.

Le funzioni del mercato dei cambi:

o Pagamenti correnti. Il mercato rende possibile il cambio delle valute necessario per

regolare scambi commerciali tra operatori di paesi diversi (e con monete diverse);

in questo senso rappresenta un fattore di facilitazione dei flussi di import ed export

tra paesi. A questa funzione di base si aggiunge poi quella di copertura del rischio di

cambio associato ai pagamenti commerciali. Importatori e esportatori sono soggetti

ai rischi di cambio allorché stabiliscono di pagare/riscuotere in una data diversa (in

genere successiva) rispetto a quella di definizione della transazione;

o Flussi finanziari internazionali. L’investimento dei capitali nei mercati azionari e

obbligazionari (o in qualsiasi altro strumento finanziario) prevede la scelta della

valuta in cui effettuare l’investimento stesso; il mercato dei cambi consente quindi

la sistematica ridefinizione della valuta di impiego della ricchezza finanziaria. Come

nel caso degli scambi commerciali, anche negli investimenti finanziari internazionali

si aprono posizioni di rischio di cambio e se l’investitore decide di coprirle farà

un’operazione di cambi a termine;

o Speculazione. I movimenti dei prezzi delle valute creano l’opportunità di compiere

operazioni a termine basate sulle aspettative di profitto legate alla capacità di

prevedere l’andamento dei prezzi stessi: gli operatori che prevedono un rialzo del

cambio compreranno a termine, quelli che prevedono un ribasso venderanno. In

questo modo il mercato tende a correggere gli errori di pricing e quindi ad

accrescere la sua efficienza.

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Gli operatori del mercato dei cambi:

o Operatori che utilizzano la valuta estere per concludere iniziative economiche o

finanziarie: es. importatori ed esportatori;

o Speculatori che operano per trarre profitto prevedendo l’andamento futuro dei

cambi;

o Arbitraggisti: si inseriscono nelle imperfezioni del mercato per ottenere profitti

contenuti, ma certi (es. diversa quotazione dello stesso tasso di cambio su piazze

diverse);

o Intermediari: agevolano l’incontro tra domanda ed offerta (definizione del prezzo

double way);

o Banche Centrali: gestione delle riserve valutarie ed azioni di politica economica e di

tutela della moneta nazionale.

5. Il mercato dei capitali

Il mercato dei capitali è costituito dalla negoziazione degli strumenti finanziari con scadenza

superiore ai 12 mesi. Principalmente si fa riferimento a due grandi settori:

quello dei titoli azionari;

quello dei titoli di debito, cioè obbligazioni emesse da autorità pubbliche (Tesoro dello

Stato o Enti) e da soggetti privati (come imprese e istituzioni finanziarie).

Data la loro durata medio-lunga, gli strumenti del mercato dei capitali rappresentano la fonte

elettiva per gli investimenti in capitale fisso, cioè a ciclo di utilizzo pluriennale; infatti si assume che

il cash flow dell’investimento sia la naturale fonte di rimborso dei finanziamenti ed è quindi

naturale prevedere una simmetria di scadenze.

6. Organizzazione e funzionamento del mercato azionario

Il settore del mercato dei capitali dedicato alle azioni è comunemente denominato borsa (mercato

azionario regolamentato), i cui elementi costitutivi e qualificanti sono:

la presenza di un soggetto giuridico proprietario e responsabile della gestione del mercato.

A tal proposito, è importante considerare il contesto giuridico entro cui il mercato è

inserito e i meccanismi gestionali. Il contesto giuridico richiama le strutture istituzionali e

proprietarie e principalmente il fatto che le borse siano soggette a disciplina pubblicistica o

privatistica.

l’esistenza di una struttura fisica e logistica di un mercato;

la definizione di requisiti per l’ammissione delle società o dei titoli alla quotazione, al fine

di garantire titoli agevolmente negoziabili ed emessi da società aventi requisiti economico-

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finanziari adeguati. I requisiti di ammissione riguardano sia le società, sia i titoli quotati. La

Borsa Italiana adotta i seguenti requisiti:

o le società devono possedere la capacità di generare ricavi in condizioni di

autonomia gestionale;

o i titoli devono essere liberamente trasferibili (no clausole limitative alle

negoziazioni sul mercato secondario);

o i titoli devono essere diffusi adeguatamente tra il pubblico degli investitori, creando

il cosiddetto “flottante” (25% del capitale) al fine di evitare il congelamento degli

stessi nel portafoglio dei soci di maggioranza e di garantire almeno potenzialmente

un’adeguata fluidità delle transazioni;

o devono avere una capitalizzazione di mercato di almeno 5 milioni di €;

o la standardizzazione dei contratti di compravendita, secondo contenuti e forme

predefinite (strutture contrattuali standard), in modo che l’accordo tra le parti si a

più rapido e agevole. NB: il tema riguarda, specialmente, le transazioni di mercato

secondario;

o Presenza di intermediari ufficiali che possano svolgere sia la funzione di broker

(negoziazione per conto altrui) che di dealer (negoziazione in conto proprio);

o Esistenza di organi di controllo super partes (es. Consob)

7. L’assetto dei mercati mobiliari italiani

In Italia i mercati mobiliari sono articolati in due diverse strutture societarie e proprietarie:

La Borsa Italiana S.P.A (a sua volta controllata dal London Stock Exchange, la borsa inglese)

che nasce con la privatizzazione della borsa, è la “società di gestione” a cui fa capo

l’organizzazione e la gestione dei mercati regolamentati, che coprono l’area più estesa

degli scambi mobiliari: azioni, obbligazioni, titoli di Stato al dettaglio, negoziazioni cash e

sui mercati derivati.

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o Il mercato azionario:

il mercato Telematico Azionario (MTA): è il mercato principale in cui sono

quotati, oltre alle azioni e agli strumenti con contenuto azionario

(obbligazioni convertibili, warrant) anche i certificati rappresentativi di

quote di fondi mobiliari e immobiliari chiusi. Al suo interno poi si articola per

segmenti di emittenti definiti in base alle caratteristiche dimensionali ed

economiche:

blue chips, cioè i titoli di alta capitalizzazione (oltre 1mld di €);

star, costituito da emittenti di capitalizzazione tra 40 e 1mld e

rispondenti ad alti requisiti informativi di corporate governance e di

liquidità;

segmento ordinario rappresentato da tutti gli altri emittenti.

L’MTA esprime vari indici utili per comprendere le quotazioni

MIV – Mercato degli Investment Vehicles Mercato dedicato ai veicoli di

investimento. E’ il mercato di riferimento per la quotazione di fondi e veicoli

societari, SPAC che investono in strumenti di Economia Reale

MTA International: il segmento dell'MTA dedicato ad azioni di emittenti di diritto

estero già negoziate in altri mercati regolamentati europei;

AIM Italia: Mercato dedicato alle aziende a bassa capitalizzazione con requisiti di

ingresso calibrati sulle esigenze delle PMI.

o Altri mercati:

SEDEX, il segmento in cui si negoziano strumenti come covered warrant e

certificates;

MOT, il mercato obbligazionario telematico in cui si negoziano obbligazioni

(eccetto quelle convertibili in azioni), titoli di Stato, eurobbligazioni e ABS,

cioè titoli derivanti da cartolarizzazione di crediti al dettaglio;

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TAH, After hours, il mercato telematico in cui è possibile negoziare dopo la

chiusura della Borsa, ma solo per gli strumenti dell’MTA (azioni) e del SEDEX

(covered warrant e certificates);

ETFplus, il mercato telematico in cui si negoziano quote o azioni di OICR

(SGR e Sicav);

IDEM, il mercato degli strumenti derivati (future e contratti di opzione su

valute, tassi di interesse e strumenti finanziari). Fanno eccezione i forward

che pur essendo dei contratti derivati sono negoziati in mercati OTC, over

the counter, cioè non regolamentati.

MTS SpA: gestisce il Mercato obbligazionario all’ingrosso dei Titoli di Stato (MTS) (non da

Borsa Italiana SpA). Si tratta del mercato in cui sono negoziati i titoli di Stato italiani o esteri

e titoli garantiti dallo Stato. Si tratta di un mercato (secondario) riservato solo agli

investitori istituzionali (banche, imprese di investimento, il Ministero del Tesoro e Banca

d’Italia), suddivisi in Primary dealers, operatori principali (market makers) che sanciscono il

prezzo di acquisto e di vendita di titoli di Stato, i Dealers, la controparte dei Primary

Dealers, cioè coloro che accettano o rifiutano i prezzi proposti dai market makers e gli

Specialisti. Il mercato MTS si suddivide, a sua volta, in due settori: cash (a pronti), Pct

(Pronti Contro Termine).

Borsa italiana e Opportunità per le PMI

Un’azienda sceglie di quotarsi in Borsa per:

raccogliere importanti risorse finanziare per accelerare lo sviluppo della Società e, in

particolare, per finanziare la crescita organica e le acquisizioni;

diversificare le fonti di finanziamento, riducendo la dipendenza dal sistema del credito;

utilizzare le azioni come moneta per acquisizioni e alleanze strategiche;

aumentare la credibilità della società grazie alla presenza di qualificati investitori nel

capitale;

aumentare la visibilità della società e rafforza la sua credibilità nei confronti di clienti e

fornitori a livello internazionale;

dare un valore oggettivo e trasparente alla Società;

dare flessibilità e liquidità all’azionariato consentendo ad alcuni soci di liquidare, in tutto o

in parte, la loro partecipazione;

motivare e coinvolgere il management nei risultati di un’impresa — aumentare lo standing

e la visibilità della Società.

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8. Il mercato obbligazionario

E’ l’insieme delle transazioni aventi per oggetto titoli debito aventi durata superiore ai 12 mesi,

tipicamente dai 3 ai 10 anni. Gli emittenti principali sono il tesoro e le banche.

In Italia dal 1994, anno della sua nascita, i titoli del debito al dettaglio vengono scambiati sul Mot,

il Mercato telematico delle obbligazioni che viene gestito da Borsa italiana. Oltre ai titoli di Stato e

internazionali, sulla piattaforma vengono scambiate obbligazioni convertibili, come bond societari,

obbligazioni sovranazionali e Abs. Tra i titoli di Stato quotati sul Mot, oltre a quelli italiani, figurano

quelli tedeschi, francesi, spagnoli, greci, austriaci e svedesi.

La piattaforma, l’unica regolamentata in Italia, si divide in due segmenti, DomesticMOT ed

EuroMOT. Le due strutture utilizzano un sistema di liquidazione diverso tra loro. Il primo segmento

sono infatti scambiati titoli di Stato italiani e altri bond liquidati con il sistema di liquidazione

nazionale Monte Titoli. Nell’EuroMOT vengono invece esclusivamente negoziati bond che possono

essere liquidati sui mercati esteri, come titoli di Stato stranieri, euro-obbligazioni della Repubblica

italiana, bond sovranazionali ed Eurobond.

Eurobond: sono obbligazioni che vengono emesse da paesi dell’area euro al posto dei titoli

classici del debito pubblico. Al momento della collocazione gli Stati emittenti offrono

all’investitore garanzie insieme o separatamente, in proporzione alla quota con cui

partecipano al capitale della Banca centrale europea (Bce).

Come funziona il MOT: Il modello è quello over driven. Borsa Italiana lo definisce un

sistema “in cui tutti i partecipanti al mercato (sia l’investitore retail attraverso la propria

banca che l’operatore professionale) possono inserire la propria proposta di acquisto o

vendita concorrendo direttamente alla formazione del prezzo”. Il mercato viene

regolamentato costantemente da Borsa italiana, che monitora i prezzi delle proposte di

contrattazione e dei contratti scambiati.

Primario e secondario: La maggior parte delle contrattazioni sul mercato del reddito fisso

avviene over-the-counter (I mercati OTC sono il complesso delle operazioni di

compravendita di titoli che non figurano nei listini di borsa, la cui funzionalità è organizzata

da alcuni attori, e le cui caratteristiche dei contratti che vengono negoziati non sono

standardizzate.) ed è composta dal mercato primario (dove un investitore compra le

obbligazioni emesse tramite il meccanismo di un’asta) e secondario (dove gli investitori

comprano e vendono a e da altri investitori titoli già emessi). Sul primario aziende, governi

e altre entità ottengono finanziamenti (prestiti) emettendo titoli del debito. Ci sono dei

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gruppi, come le banche d’affari, che si occupano della gestione della transazione,

chiedendo in cambio una commissione per il lavoro svolto. Il lavoro degli ‘underwriter’

consiste nel fissare una forchetta di prezzo iniziale per un titolo e poi venderlo

direttamente agli investitori. Una volta concluso il collocamento iniziale, la palla passa

al mercato secondario, che è il posto dove avviene la maggior parte degli scambi della

seduta. Sul secondario sono invece gli investitori con le loro proposte e transazioni a

stabilire i prezzi. Dal momento che gli investitori sono al contempo venditori e acquirenti,

sono i livelli di offerta e domanda a determinare il valore dei titoli obbligazionari

contrattati.

9. L’efficienza dei mercati finanziari

In campo economico e finanziario, l’efficienza può essere esaminata e misurata sotto differenti

angolature. Si fa riferimento ai 3 aspetti dell’efficienza:

Efficienza allocativa. Al mercato finanziario, nelle sue componenti creditizia e mobiliare,

viene di norma attribuita la funzione di garantire un’efficiente allocazione delle risorse

disponibili. In linea teorica esse devono essere distribuite tra le unità richiedenti secondo

un ardine di priorità basato sui rendimenti attesi dei possibili impieghi. L’efficienza è

propria di un mercato finanziario in cui i prezzi guidano le risorse verso la loro ottimale

allocazione ovvero, a parità di rischio, l’allocazione delle risorse premia i rendimenti

maggiori. Le condizioni indispensabili perché si possa parlare di mercato efficiente sono:

o la necessità che tutti gli attori del mercato siano informati sulle opportunità

disponibili;

o l’esigenza che le norme di condotta e i modelli gestionali degli investitori finali,

intermediari e prenditori siano orientati da funzioni obiettivo convergenti verso la

massimizzazione della propria funzione utilità (il che implica che si utilizzino criteri

di selezione degli investimenti fondati su un sistema di prezzi (rendimenti) in grado

di riflettere tempestivamente tutte le informazioni disponibili sulla situazione

economica-finanziaria del prenditore). In tale ipotesi, il sistema dei prezzi svolge

una funzione critica di vari aspetti:

riveste un ruolo allocativo, facendo affluire le risorse là dove sono più

scarse;

una funzione distributiva, determinando, in base alle risorse disponibili, le

quantità scambiabili;

una funzione informativa, aggregando informazioni e convogliandole al

mercato

Perché le 3 funzioni possano essere assolte correttamente è necessario che i prezzi

siano significativi e riflettano uno stato di equilibrio.

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Efficienza informativa. Affinché le risorse siano distribuite in modo ottimale (efficienza

allocativa), è strumentale e condizione necessaria un principio di efficienza informativa. Il

concetto di efficienza informativa, pur essendo estendibile a tutti i comparti del mercato

finanziario, è stato sviluppato con preciso riferimento al mercato mobiliare (in un contesto

cioè dove gli scambi hanno carattere impersonale e sono imperniati sulla circolazione di

valori con caratteristiche standardizzate e dotati del requisito della trasferibilità, il che

consente a domanda e offerta di trovare un equilibrio su prezzi efficienti).

o Un mercato – in termini statici - può essere definito efficiente sotto il profilo

informativo se:

i prezzi riflettono costantemente tutta l’informativa disponibile, e dato un certo

set di informazioni, non è possibile ottenere un beneficio economico facendo

leva su di esso;

gli operatori agiscono razionalmente in modo da massimizzare la propria

funzione di utilità L’ipotesi di mercato efficiente può essere disattesa a due

diversi livelli del processo di formazione del prezzo:

perché si crea un gap informativo fra i potenziali scambisti;

perché gli scambisti, operando in condizioni di razionalità limitata, non

riescono a formare correttamente un’aspettativa di rendimento.

o In termini dinamici, il livello di efficienza informativa è inversamente proporzionale

ai tempi di diffusione necessari al mercato per integrare nei prezzi nuove

informazioni e alla lunghezza del percorso che le informazioni devono compiere

perché si possa raggiungere un nuovo stato di equilibrio.

Il principio di efficienza informativa non va interpretato in modo assoluto; in relazione alle

informazioni contenute nel sistema dei prezzi, vengono identificati 3 diversi stadi di

efficienza informativa:

o efficienza debole, corrisponde allo stato in cui le attese di rendimento degli

investitori e, di riflesso, i prezzi incorporano tutte le informazioni storiche. Ciò vuol

dire che non c’è informazione relativa al passato dell’emittente e alla storia dei

prezzi dello strumento che possa consentire di trarre un beneficio di prezzo.

Soltanto chi dispone di informazioni a carattere prospettico (es investitori

istituzionali, investments bank, market makers, cioè specialisti nel produrre “nuova

informazione”) può trarre profitto da eventuali operazioni di arbitraggio;

o efficienza semiforte, presuppone che i rendimenti-prezzi riflettano l’informativa

pubblica. Sulla base di tale informazione quindi non è possibile conseguire profitti

basati su aspettative di variazione dei prezzi, i quali hanno già incorporato

completamente il valore dell’informativa disponibile (non solo dell’informazione

storica, ma anche relativa agli scenari economici e alle prospettive dell’emittente);

o efficienza forte, in cui i prezzi incorporano tutta l’informativa disponibile (sia

pubblica che privata, sia storica che prospettica); essa porta a negare la possibilità

di anticipare il mercato e quindi di negoziare valori mobiliari a condizioni

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vantaggiose sul piano economico. Tale ipotesi appartiene a una sfera più ideale che

reale nemmeno nei mercati più evoluti: nonostante le regole di trasparenza,

permangono informazioni “private” sfruttabili a proprio vantaggio degli insider

trader.

L’efficienza operativa. Il conseguimento dell’efficienza informativa e allocativa è

condizionato anche dalla sussistenza di condizioni di:

o efficienza tecnica (a livello microeconomico), cioè la necessità che gli intermediari,

(o gli stessi inventori finali in caso di scambio diretto) razionalizzino la propria

struttura dei costi in modo da limitare il peso degli oneri di transazione;

o efficienza funzionale (a livello di mercato), che fa riferimento a tutte quelle

condizioni atte ad agevolare l’incontro fra domanda e offerta e ad accrescere, di

riflesso, la significatività del sistema dei prezzi e la loro attitudine a informare

rapidamente e in modo efficiente gli operatori interessati.

Entrambi i concetti sono riconducibili a quello più generale di efficienza operativa.

La performance del mercato e la funzionalità delle forme organizzative possono essere

stimate sulla base dell’osservazione congiunta di parametri quali:

o lo spessore di un mercato, che dipende dall’esistenza di ordini di acquisto o vendita

basati su prezzi sia superiori che inferiori a quello corrente, secondo una

distribuzione ampia e fitta, tale da impedire variazioni dei corsi con forti

discontinuità. A tal fine, non è però sufficiente che ci sia un elevato volume di

scambi lungo la scala dei prezzi (potenziali o effettivi) ma è altresì necessario che gli

investitori (o chi agisce per loro conto) siano debitamente informati e possano

intervenire tempestivamente sul mercato;

o l’ampiezza, che è funzione della consistenza del volume degli ordini da eseguire per

ogni possibile livello di prezzo. In un mercato ampio, eventuali vuoti tra domanda e

offerta dovrebbero essere riassorbiti senza provocare oscillazioni troppo marcate

dei prezzi. Anche in questo caso il presupposto fondamentale è di carattere

informativo e risiede quindi nella rapidità con cui il più alto n° di operatori può

venire a conoscenza dell’afflusso di nuovi ordini sul mercato e rivedere le proprie

politiche di intervento

o l’elasticità, che dipende dalla tempestività con cui il mercato reagisce ai segnali

impliciti nelle variazioni di prezzo. Tale reazione deve avvenire senza soluzione di

continuità, in modo che eventuali squilibri tra domanda e offerta generino flussi di

ordini di segno opposto tali da produrre un effetto stabilizzatore dei prezzi.

Condizione atta a aumentare l’elasticità del mercato è l’immediata diffusione delle

informazioni su ordini eseguiti e proposti e sui prezzi praticati.

Tra condizioni di funzionalità del mercato ed efficienza informativa vi è pertanto un

rapporto biunivoco: infatti, se questi 3 parametri sono influenzati dal livello di efficienza

informativa, essi stessi, contribuendo a dare liquidità al mercato, accrescono l’efficienza dei

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meccanismi di pricing, favorendo il costante e tempestivo riallineamento dei prezzi al

valore intrinseco dei titoli negoziati.

10. I processi di intermediazione finanziaria

L’organizzazione degli scambi nel sistema finanziario: scambio diretto, assistito e intermediato.

L’osservazione degli scambi effettuati nel sistema finanziario consente di distinguere le seguenti

modalità organizzative di trasferimento:

Scambio diretto e autonomo, in cui i datori e prenditori di risorse finanziarie (o più

generalmente gli attori della domanda e dell’offerta) scambiano senza far ricorso ad alcun

intermediario, se non per ragioni meramente tecniche (es. esecuzione di ordini di

acquisto/vendita sul mercato mobiliare)

Scambio diretto e assistito, in cui gli attori della domanda e dell’offerta sono controparti

dirette, ma non negoziano autonomamente poiché sono assistiti da un intermediario che

svolge ruolo di ricerca e selezione della controparte per uno degli scambisti (es.

collocamento di valori mobiliari nel mercato primario per conto di un’impresa emittente

oppure la gestione di patrimoni mobiliari per conto di terzi);

Scambio indiretto o intermediato, in cui gli attori non scambiano direttamente e quindi non

divengono controparti dirette della negoziazione. Il trasferimento di risorse finanziarie si

realizza per circuito diretto o intermediato mediante l’intervento di uno o più intermediari

che assumono il ruolo di “scambista intermedio” che si costituisce debitore nei confronti

del datore primario di risorse finanziarie e creditore verso il prenditore finale di risorse:

quindi l’intermediario “interpone” il proprio stato patrimoniale tra questi due soggetti.

Nei primi 2 tipi di circuiti di scambio, gli strumenti finanziari impiegati sono costruiti dagli stessi

prenditori finali (secondo gli sui del mercato) e sono in prevalenza rappresentati da valori

mobiliari. Nel 3° tipo di circuito è, invece, lo stesso intermediario che produce gli strumenti

finanziari necessari per lo scambio, i quali assumono di solito la forma di attività/passività

finanziarie non trasferibili (se non mediante particolari tecniche di cessione e/o cartolarizzazione)

poiché in tal modo vi è maggiore opportunità di modellare i profili tecnico-giuridico-contrattuali

sulle preferenze degli scambisti.

Vi è una distinzione giuridica fondamentale: nello scambio diretto assistito l’intermediario agisce

per nome e per conto del cliente e perciò stipula contratti che hanno effetto giuridico ed

economico direttamente in capo a questi; diversamente nello scambio indiretto l’intermediato

sottoscrive in proprio gli effetti giuridico-economici dei contratti o strumenti (in genere due) posti

in essere per realizzare il trasferimento delle risorse.

Dal punto di vista formale e terminologico:

il complesso delle attività svolte dall’intermediario nell’ambito dei circuiti di scambio

diretto e assistito viene definito intermediazione mobiliare, in quanto essa si realizza in

genere su strumenti di mercato mobiliare.

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Mentre, l’attività di scambio indiretto e intermediato viene definita intermediazione

creditizia, per la veste di creditore/debitore normalmente assunta dall’intermediario

finanziario.

11. I caratteri dello scambio finanziario: durata e incertezza

Utilità dell’informazione e della tecnica contrattuale.

Lo scambio finanziario ha la funzione di trasferire risorse finanziarie tra le parti interessate.

L’oggetto dello scambio è rappresentato dalla proprietà delle risorse finanziarie per un certo

periodo di tempo. Lo strumento dello scambio è il contratto che definisce diritti e obblighi delle

parti. lo scambio finanziario è costituito da prestazioni monetarie (almeno 2) di segno opposto e

distanziate nel tempo: il datore di risorse finanziarie effettua una prestazione attuale

(trasferimento a titolo oneroso della proprietà di risorse finanziarie) in contropartita di una

prestazione futura del prenditore (consistente nella restituzione del capitale ricevuto e del

pagamento della remunerazione pattuita). Lo scambio finanziario non può essere concepito

astraendo dalla dimensione temporale (trasferimento intertemporale)

L’estensione temporale dello scambio finanziario produce la conseguenza che le due

prestazioni hanno intrinsecamente diverso grado di incertezza; infatti, la prestazione del

datore, una volta effettuata, è certa, mentre quella del prenditore è comunque aleatoria,

poiché è subordinata all’incertezza del suo comportamento e delle condizioni economico-

finanziarie future, che gli consentiranno o meno di adempiere alle obbligazioni assunte.

L’incertezza della prestazione differita non è solo “esterna”, cioè dipendente dalla

condizione soggettiva o oggettiva del debitore, ma può essere in parte “interna” al

contratto stesso, nell’ipotesi che questo contenga clausole che rendono variabile la

prestazione del prenditore (es. titolo obbligazionario indicizzato) oppure consentono ad

esso un’espressione di discrezionalità (caso del titolo azionario).

Il livello di incertezza dipende dall’informazione previsiva che il datore/investitore riesce ad

ottenere in merito ai profili di rischio dell’investimento. Infatti, per una decisione di

investimento appropriata occorre disporre ex ante dell’informazione maggiore

(completezza) e migliore (affidabilità) possibile. Completezza e affidabilità

dell’informazione hanno importanza cruciale sia nella decisione dell’investimento (fase

prescambio) sia nel controllo dell’andamento dell’investimento e del comportamento del

prenditore (fase post scambio).

12. I fattori di imperfezione del mercato finanziario

Esistono diversi fattori che possono condizionare, limitare o impedire lo scambio diretto di risorse

tra datori primari e investitori finali. Fattori di incompletezza/imperfezione del mercato

finanziario:

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L’asimmetria informativa e il comportamento opportunistico: motivi di astensione dello

scambio. L’analisi delle condizioni di contesto dello scambio finanziario mette in evidenza

che gli scambisti potenziali dispongono di informazioni limitate o incomplete in merito

all’esito prevedibile (rischio/rendimento oppure rischio/costo) del contratto finanziario.

Questa situazione di adeguatezza dell’informazione riguarda sia la quantità che la qualità

(attendibilità/incertezza) delle informazioni. Il problema riguarda principalmente il datore

di fondi, relativamente alla valutazione dei rischi impliciti nelle proposte di cambio dei

potenziali prenditori e dei relativi progetti di investimento (fase di ricerca/selezione).

Perciò il rapporto tra i potenziali scambisti è strutturalmente caratterizzato da una

situazione di asimmetria informativa a svantaggio dell’investitore potenziale. Inoltre, questi

subisce anche il rischio di comportamento opportunistico (moral hazard) della controparte,

che è in grado di sfruttare la propria condizione di superiorità informativa e che spesso

rappresenta la principale fonte di informazione. Ovviamente l’informazione insufficiente

(incompleta e inaffidabile) e l’aspettativa di comportamenti opportunistici agisce

negativamente sulle decisioni di investimento dei datori di risorse. (poiché l’incertezza

impedisce anche un’attendibile valutazione del rischio prospettico).

L'informazione è quindi asimmetrica e si creano 2 problemi:

o L’azzardo morale o l’opportunismo post-contrattuale prevede che le parti

interessate allo scambio (principale e agente) abbiano ex ante informazioni eguali

circa ogni aspetto rilevante ai fini del contratto, ma l’asimmetria informativa si

manifesti successivamente alla definizione del contratto. La parte che deve agire in

esecuzione del contratto è, cioè, in grado di compiere azioni non osservabili

dall’altro contraente (hidden action) o dispone di informazioni cui l’altra parte non

può accedere (hidden information). Un esempio di azione nascosta è quella del

contraente di una polizza assicurativa che compie azioni spericolate dopo avere

firmato il contratto, senza che l’assicuratore possa controllarlo.

o Si ha un problema di selezione avversa (opportunismo pre-contrattuale) quando,

prima del contratto, l’agente ha migliori informazioni sulle proprie caratteristiche

(o sulle caratteristiche del bene oggetto dello scambio) rispetto al principale (le

azioni dell’agente sono invece facilmente verificabili). A differenza dell’azzardo

morale, la variabile di interesse per il principale non è soggetta a modifiche da

parte degli agenti: i problemi sorgono poiché gli agenti appartenenti a una certa

categoria tentano di farsi passare per qualche altro tipo con caratteristiche

migliori. Una società di assicurazione ha un problema di selezione avversa se

assicura la vita di un cliente senza sapere che è malato di cuore,

La divergenza delle preferenze degli scambisti. Nella formazione della decisione di scambio

confluiscono le preferenze degli scambisti, le quali riflettono anzitutto le propensioni dei

soggetti che intendono scambiare. In proposito si suole distinguere fra:

o propensione al rischio;

o propensione alla liquidità.

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Assumendo l’ipotesi che gli scambisti dispongano di informazione sufficiente per formulare

una decisione di scambio, questo può di fatto realizzarsi soltanto alla condizione che le

rispettive propensioni siano convergenti; quindi la possibile divergenza delle preferenze dei

datori e prenditori individuali di risorse finanziarie determina una situazione di non

fattibilità dello scambio. In proposito, è importante considerare il problema a livello di

domanda e offerta aggregata di fondi: i soggetti dell’offerta di fondi esprimono

mediamente minore propensione al rischio e maggiore propensione per la liquidità,

rispetto ai soggetti della domanda di fondi. In altre parole:

o l’offerta di fondi per tipi di investimento a basso rischio e a scadenza breve eccede

la domanda;

o viceversa la domanda di fondi per progetti imprenditoriali ad alto rischio e a

scadenza protratta eccede l’offerta.

In questo modo il mercato realizza un volume di scambi inferiore al fabbisogno complessivo ed

è quindi incompleto (quindi la divergenza delle preferenze degli scambisti è un ulteriore

fattore di imperfezione del mercato)

Occorre tenere conto anche della razionalità degli operatori, in quanto presupposto

necessario e sufficiente per l’ottimizzazione delle decisioni di scambio. Tuttavia il

comportamento dei soggetti non è completamente razionale, visto che esso è condizionato

dall’incompletezza dei modelli decisionali utilizzati oltre che dall’utilizzo di modelli

semplificati e criteri approssimativi (razionalità limitata). Il limite della razionalità del

soggetto decisore dipende dalla combinazione di svariati fattori, come: il grado di

intelligenza, il livello di professionalità, le informazioni e le conoscenze possedute, la

capacità di concettualizzazione e modellizzazione, la cultura, l’organizzazione disponibile,

etc.

Tutto ciò contribuisce a condizionare l’efficienza delle scelte di scambio e quindi del

funzionamento del mercato. La condizione di razionalità limitata interagisce con quella di

informazione limitata: la disponibilità di informazione è condizione necessaria ma non

sufficiente della razionalità della decisione (infatti l’ulteriore condizione è che il soggetto

sia in grado di fare uso dell’informazione disponibile).

Un’ulteriore caratteristica dello scambio finanziario è la presenza di costi di transazione,

cioè l’insieme degli oneri che il soggetto sostiene per effettuare e gestire lo scambio. In un

mercato perfetto (in cui gli attori della domanda e della offerta sono completamente

razionali, informati e non esposti al rischio) l’ipotesi di assenza di costi di transazione è

coerente. Ma la realtà spiega invece la presenza di tali costi; dei quali i più rilevanti sono:

costo di ricerca delle opportunità di scambio;

costo di ricerca/acquisto delle informazioni;

costo di valutazione delle controparti potenziali;

costo di selezione delle opportunità valutate;

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costi di esecuzione dello scambio (tra cui i costi di analisi/progettazione delle modalità

tecniche contrattuali dello scambio stesso);

costi di valutazione dei rischi derivati dagli effetti dei possibili cambiamenti di mercato

sullo svolgimento dello scambio (costo di previsione di tassi di interesse, dei tassi di

cambio, del tasso di inflazione, etc);

costi di gestione dello scambio nel periodo compreso tra la stipulazione e la scadenza (costi

delle operazioni intermedie, costi di amministrazione e controllo, costi eventuali di

ricontrattazione, di risoluzione del contratto, di azione legale).

In relazione alla convenienza dello scambio importa soprattutto il costo unitario di transazione;

perciò il volume di risorse scambiate è un dato rilevante: una parte significativa dei costi varia in

misura meno che proporzionale rispetto al volume scambiato. Inoltre influisce la ripetitività dello

scambio: a parità di altre condizioni, la frequenza dello scambio consente di realizzare economie

nello sfruttamento ripetuto di alcuni costi fissi.

I costi di transazione possono determinare la non convenienza degli scambi, riducendone il

rendimento netto o aumentandone il costo netto; perciò contribuendo a ridurre il volume degli

scambi convenienti (e quindi fattibili) essi costituiscono un fattore importante di imperfezione del

mercato.

13. Le modalità organizzative dei mercati mobiliari e la

riduzione dei fattori di imperfezione e incompletezza

I mercati finanziari fondati sullo scambio diretto sono incompleti e imperfetti, e ciò costituisce una

ragionevole spiegazione dell’esistenza e dell’economicità degli intermediari finanziari, che

contribuiscono a migliorare il sistema di scambio complessivo perché rendono possibile il

trasferimento di risorse fra soggetti che, diversamente, si sarebbero astenuti dallo scambio.

I fattori che riducono le imperfezioni e le incompletezze del mercato:

l’organizzazione del mercato contribuisce ad attenuare l’asimmetria informativa,

aumentando (per quantità e qualità) l’informazione disponibile per il potenziale

investitore. In particolare nei mercati regolamentati vengono imposte normative regolanti

le procedure e i criteri di ammissione delle imprese emittenti valori mobiliari, gli standard

dell’informazione che questi devono periodicamente diffondere, ed eventuali obblighi di

certificazione dei bilanci (norme di disclosure e trasparenza). Inoltre nei mercati mobiliari

operano organizzazioni dedicate alla produzione di informazione (come le agenzie di rating

e i servizi di analisi finanziaria) nell’interesse dei soggetti che scambiano risorse finanziarie.

Nel contesto dei mercati regolamentati anche il problema dei comportamenti

opportunistici trova efficaci (ma parziali) soluzioni. Già la maggiore informazione

disponibile contribuisce a ridurre gli spazi e i campi in cui potrebbero manifestarsi

comportamenti opportunistici. Inoltre la regolamentazione definisce norme

comportamentali che limitano la discrezionalità degli operatori e quindi stabiliscono degli

standard deontologici. (es normative che regolano le offerte pubbliche di acquisto e di

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vendita, l’insider trading, i conflitti di interesse, la separatezza tra attività supposte

conflittuali, etc.) Nell’insieme la regolamentazione mira a prevenire il fenomeno o

l’eventualità che gli operatori possano o riescano a conseguire vantaggi "privati" a danno

del mercato "di tutti" (market abuse).

A prescindere dalla regolamentazione, è la stessa logica fiduciaria intrinseca allo scambio

finanziario che contribuisce a una spontanea autolimitazione dei comportamenti

opportunistici da parte dei soggetti interessati. Infatti le imprese ricorrono con periodicità

o continuità all’emissione di passività (per provvedersi di risorse finanziarie) e sono

consapevoli che i potenziali acquirenti/sottoscrittori fondano le proprie valutazioni e

decisioni sull’esperienza dei comportamenti e delle performance rilevate in periodi

precedenti. Perciò i comportamenti finanziari necessariamente si conformano alle regole

implicite delle relazioni di scambio continuative e durature, in cui la negoziazione può

essere mantenuta e ripetuta soltanto se le obbligazioni precedenti sono state assolte; nella

prospettiva della ripetibilità dello scambio, l’emittente ha interesse a conservare e

consolidare una "buona reputazione" (che costituisce un segnale rilevante per gli

investitori potenziali che non hanno avuto precedenti esperienze di scambio). Dunque la

necessità di preservare le relazioni fiduciarie, impedisce l’innesco di sequenze di

comportamenti opportunistici o perversi.

Per quanto riguarda la divergenza delle preferenze degli scambisti, nei mercati mobiliari si

è gradualmente sviluppata la diversificazione/specializzazione e l’innovazione degli

strumenti finanziari, con effetto di:

o miglioramento della loro specifica funzionalità rispetto ai bisogni degli operatori.

(aumento dell’efficienza derivante dallo sviluppo dei caratteri di standardizzazione,

trasferibilità, divisibilità e scomponibilità degli strumenti finanziari, in particolare

dei valori mobiliari);

o ampliamento delle opportunità degli emittenti e dei sottoscrittori di scegliere

soluzioni tecniche che graduano variamente la ripartizione del rischio fra i

contraenti (obbligazioni e azioni).

Infine, il miglioramento dell’efficienza dei mercati diretti si è manifestato nel progressivo

abbassamento del livello dei costi di transazione, grazie a:

o l’accentramento delle negoziazioni;

o il perfezionamento tecnologico e regolamentare dei meccanismi di scambio ad asta;

o lo sviluppo delle funzioni di market making;

o l’aumento del volume e della qualità dell’informazione pubblica (ottenibile

praticamente a costo nullo);

o la produzione di informazione privata (resa accessibile a costi progressivamente

minori);

In conclusione, svariate circostanze esogene e endogene concorrono a correggere e

rimuovere le condizioni di impedimento allo scambio finanziario diretto e quindi a

ridurre le situazioni di imperfezione dei relativi mercati; tuttavia i fattori di

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imperfezione producono ancora effetti rilevanti e la loro totale eliminazione non è al

momento prevedibile.

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Gli intermediari finanziari

1. Il ruolo degli intermediari: superamento delle imperfezioni di

mercato La funzione dell’intermediario finanziario rispetto alla situazione di asimmetria informativa

può essere rappresentata nel fatto che esso raccoglie, seleziona, elabora e utilizza

l’informazione come input fondamentale delle proprie decisioni di

investimento/disinvestimento e di quelle conferitegli con delega dalla clientela.

L’intermediario creditizio, interponendosi tra prenditori finali di fondi e datori primari,

acquisisce in proprietà e gestisce attività finanziarie (in genere prestiti e valori mobiliari)

assumendone in proprio i rischi e contemporaneamente produce passività (in genere

depositi o altri titoli di debito) caratterizzate da un livello di rischio assai inferiore; in

concreto l’intermediario creditizio colma il gap informativo esistente fra prenditori e datori

e opera in modo da rendere irrilevante la condizione di svantaggio informativo del datore

di fondi.

NB: L’informazione, destinata a compensare l’asimmetria informativa, costituisce una

risorsa produttiva riservata dell’intermediario. (il quale la rende disponibile al cliente solo

in termini generici). Nella letteratura teorica della materia, la descritta funzione di

"compensazione" dell’asimmetria informativa viene definita delegated monitoring, cioè di

controllo delegato.

Il problema della divergenza delle preferenze fra i soggetti della domanda e dell’offerta

(per quanto riguarda la durata dello scambio), viene risolto dagli intermediari creditizi, che

svolgono una funzione di trasformazione delle scadenze (negoziando contratti di credito e

di debito con scadenze differenziate: la durata media ponderata dei primi è in genere

superiore a quella dei secondi), soddisfacendo contemporaneamente bisogni di

finanziamento a scadenza non breve e bisogni di investimento caratterizzati da una

propensione per la liquidità. Il problema della divergenza fra il livello di rischio proposto dal

prenditore e quello (mediamente inferiore) accettato dall’investitore trova soluzione nella

capacità dell’intermediario di valutare, selezionare, comporre e controllare le opportunità

di investimento. Oltre allo sfruttamento di un consistente vantaggio informativo,

l’intermediario è in grado di applicare modelli e tecniche di collettivizzazione del rischio

(risk pooling) che gli consentono di realizzare "strutture di portafoglio", il cui profilo di

rendimento/rischio è migliore della media ponderata dei profili di rendimento/rischio dei

singoli investimenti che compongono il portafoglio stesso. In forza di questa capacità, egli è

in grado di proporre agli investitori sia "partecipazioni" al portafoglio di attività (modello

del fondo comune di investimento), sia proprie passività (modello dell’intermediario

creditizio), caratterizzate da un profilo di rischio attenuato. In ambedue i casi

l’intermediario svolge quindi una funzione di trasformazione del rischio.

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In particolare, nel secondo caso, l’intermediario creditizio assume in proprio i rischi degli

investimenti fatti ed è in grado di sostenerli poiché dispone di capitale proprio consistente

(il quale svolge una funzione fondamentale di garanzia e quindi aumenta il livello di

protezione dal rischio a vantaggio del sottoscrittore delle passività). In definitiva,

l’intermediario, trasformando sia le scadenze sia i rischi, realizza l’obiettivo di produrre

passività caratterizzate da rischio attenuato o nullo e a scadenza breve, o a vista, cioè

molto liquide, o comunque mediamente più liquide dell’attivo posseduto.

In questo modo, quindi, gli intermediari svolgono la funzione di produzione di liquidità,

contribuendo a migliorare il funzionamento del sistema e dei mercati finanziari. Inoltre la

disponibilità di attività finanziarie non rischiose e liquide rende praticamente irrilevanti i

problemi dello svantaggio informativo e della razionalità limitata dell’investitore.

Infine l’intermediario concorre pure a risolvere il problema dei costi di transazione. Esso

organizza combinazioni produttive di tipo industriale, con criteri di professionalità elevata e

di efficienza operativa e impiegando tecnologie avanzate. Inoltre egli opera in genere in

condizione di mercato competitivo. I costi operativi e il reddito dell’intermediario –

misurati dalla differenza tra ricavi e costi finanziari di gestione – rappresentano il costo

dell’intermediazione per il sistema economico, cioè il costo di transazione che l’insieme

degli intermediari addossa agli utenti per lo svolgimento delle funzioni di intermediazione.

Il livello unitario di questo costo (ottenuto rapportando questo al volume

dell’intermediazione, è generalmente basso e tendenzialmente decrescente per effetto di

diversi fattori, esogeni ed endogeni: progresso tecnologico, miglioramento organizzativo,

economie di scala e di diversificazione, pressione concorrenziale.

2. La domanda di servizi finanziari

I flussi generati dall’attività di scambio monetario degli attori tipici dell’economia (famiglie,

imprese e P.A), determinano saldi finanziari periodali positivi o negativi (generando così

disequilibrio di cassa).

Di conseguenza, ogni soggetto ha la necessità di realizzare una gestione finanziaria finalizzata

soprattutto a conseguire e mantenere nel tempo l’equilibrio finanziario in condizioni di

economicità. Ogni unità economica deve realizzare una gestione finanziaria volta a conseguire e

mantenere nel tempo l’equilibrio finanziario.

La gestione finanziaria del singolo soggetto è subordinata a un fondamentale criterio di

valutazione che riguarda sia l’efficacia (cioè idoneità a conseguire l’obiettivo di equilibrio) sia

l’efficienza (cioè la capacità di realizzare le condizioni di rendimento/rischio o alternativamente di

costo/rischio corrispondenti alle aspettative e alle propensioni del soggetto stesso).

La gestione finanziaria rappresenta il contesto in cui prende forma e da cui ha origine la domanda

di prodotti di servizi finanziari e assicurativi.

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3. Le attività degli intermediari finanziari

La nozione di attività è generica e complessa; quindi l’analisi delle attività degli intermediari deve

essere riferita a diverse chiavi interpretative:

Prodotti (e servizi) e Processi per i pagamenti, gli investimenti, i finanziamenti e la gestione

del rischio. La modalità più tradizionale di rappresentare le attività degli intermediari

finanziari è quella che fa riferimento all’output, cioè ai prodotti e ai servizi che questi

offrono sul mercato per soddisfare i bisogni finanziari dei diversi attori della realtà

economica. Il principio ispiratore di questo criterio di classificazione è la funzione d’uso dei

prodotti, che possono essere raggruppati per linee o famiglie:

o Strumenti e servizi destinati a soddisfare i bisogni di trasferimento del potere

d’acquisto nello spazio, legati alla necessità di eseguire e ricevere pagamenti:

ordini di pagamento (assegni, bonifici, carte di credito e debito);

ordini di incasso (ricevute bancarie, effetti cambiari, assegni all’incasso);

servizi diversi (di gestione monetaria o di cash management, servizi di

cassa automatica, servizi di erogazione automatica di contante –

automatic teller machines o ATM).

o Strumenti e servizi destinati a soddisfare bisogni di investimento, legati quindi alle

decisioni di accumulare ricchezza finanziaria e di trasferire risorse finanziarie a

tempi futuri:

passività nominali prodotte da intermediari finanziari (depositi in conto

corrente, depositi a risparmio, certificati di deposito e obbligazioni).

Vengono dette "nominali" poiché il loro valore monetario futuro alla

scadenza contrattuale è predeterminato;

passività di mercato prodotte da intermediari finanziari (quote di fondi comuni di investimento mobiliare e azioni di società di investimento a capitale variabile). Vengono definite di mercato perché il loro valore futuro è indeterminabile; in quanto esse sono rappresentazioni frazionarie di portafogli di attività finanziarie la cui composizione e valore possono variare continuamente in relazione alle decisioni di investimento del gestore e alle condizioni del mercato mobiliare;

servizi di negoziazione di valori mobiliari su ordine del cliente. L’intermediario può assumere ruolo di broker (ricerca della controparte e esecuzione della transazione con un terzo soggetto) o di dealer (offerta di contropartita diretta);

servizi di gestione patrimoniale individuale. L’intermediario, in forza del

mandato conferito dal cliente, gestisce il patrimonio del cliente

investendolo in valori mobiliari secondo i criteri definiti dal contratto,

con riferimento alla "linea di investimento" scelta dal cliente stesso

(categorie di titoli oggetto della gestione e profilo generale di rischio) e ai

limiti della delega attribuita al mandatario. In questo caso l’intermediario

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agisce in nome e per conto del cliente individuale, svolgendo attività di

consulenza, di gestione e di negoziazione nell’interesse del cliente

stesso;

polizze assicurative, che prevedono, a fronte dell’impegno dell’assicurato

di pagare uno o più premi, l’obbligo della controparte di effettuare la

prestazione indicata. (a titolo esemplificativo).

o Strumenti e servizi destinati a soddisfare bisogni di finanziamento, legati quindi alla

necessità dei soggetti richiedenti di anticipare nel tempo la disponibilità di potere di

acquisto in forza di un’obbligazione e di un’effettiva capacità di rimborso a

scadenza futura:

prestiti di moneta e di titoli, secondo diverse forme tecnico-contrattuali che

regolano principalmente le scadenze (indeterminata, breve, media o lunga),

le modalità di rimborso (in un un’unica soluzione o a rate), il calcolo degli

interessi (tasso fisso o variabile) e eventualmente il tipo di garanzia

(personale o reale, mobiliare o immobiliare);

prestiti di firma secondo diverse forme tecnico-contrattuali (avallo,

accettazione e fideiussione);

crediti speciali (locazione finanziaria o leasing e credito di factoring);

prestiti al consumo, finalizzati al finanziamento delle spese riferite

principalmente all’acquisto di beni strumentali (prestiti reali concessi

dall’intermediario a persone fisiche senza vincoli di destinazione, credito al

consumo finalizzato cioè erogato simultaneamente all’acquisto del bene

strumentale, e il margine di fido o dilazione di pagamento concessa

dall’intermediario al proprio cliente titolare di carta di credito);

assunzioni di partecipazioni, nel caso in cui l’intermediario eroghi il

finanziamento mediante acquisto di titoli rappresentativi di capitale proprio

di nuova emissione a favore di società di capitali, secondo limiti e condizioni

previste dalla normativa vigente;

servizi diversi (investment banking), finalizzati alla consulenza.

o Strumenti e servizi destinati a rendere più efficiente la gestione dei rischi che

caratterizzano la gestione finanziaria (attivo e passivo) e assicurativa del cliente. Gli

intermediari producono e offrono servizi e contropartite contrattuali idonee a

gestire i rischi speculativi, sia con finalità di copertura (hedging o limitazione del

rischio), sia con intento speculativo (sfruttamento dell’opportunità di guadagno

implicita nel rischio stesso): contratti a termine, opzioni, future, swap, forward, etc.

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Segmentazione dei destinatari. In cui si riferisce il concetto di attività al segmento di

clientela cui è indirizzato il servizio, classificando l’attività di intermediazione finanziaria in:

o private banking, cioè l’insieme dei prodotti e dei servizi che l’intermediario offre per

il soddisfacimento dei bisogni emergenti dalla gestione finanziaria della clientela

"privata" (essenzialmente delle persone fisiche e delle famiglie) appartenenti a

categorie di reddito e/o ricchezza finanziaria superiori alla media. Quindi il private

banking presuppone una modalità di "scambio relazionale" che viene usualmente

denotato con il concetto di relationship banking, cioè di esercizio dell’attività

bancaria sul fondamento di una relazione forte, duratura e multifunzionale con il

cliente. (il contenuto del servizio offerto è elevato, l’offerta di prodotto/servizio

personalizzata, cioè focalizzata sulla specificità della situazione del cliente);

o Corporate banking ovvero l’insieme di prodotti e servizi offerti dall’intermediario

alla clientela di imprese di dimensioni non piccole (in proporzione a quelle della

banca) e dotate di forma societaria. Si sostanzia in un’area di attività molto vasta

che aggrega prodotti e processi diversificati per consentire una gestione della

finanza ordinaria e straordinaria dell’impresa (gestione della tesoreria, delle attività

finanziarie, della struttura di indebitamento, delle emissioni, dei rischi, etc).

Tendenza verso la definizione di un rapporto collaborativo/consulenziale con il

cliente.

o Retail banking: Insieme delle attività bancarie che fanno riferimento alla

distribuzione al dettaglio di prodotti/servizi finanziari ai segmenti di clientela

minore (per dimensione individuale). La focalizzazione non è sulla componente di

servizio, ma sul livello di efficienza delle singole transazioni di prodotti/servizi

tipicamente standardizzati. L’intermediario segmenta la clientela retail per

omogeneità del bisogno e si avvale delle tecniche del marketing tradizionale

(transaction banking).

Esistenza ed estensione della delega:

o negoziazione in proprio, (caratterizzate da una relazione contrattuale di credito-

debito tra intermediario e cliente) appartengono a questa classe tutte le attività in

cui l’intermediario si pone come controparte diretta (in proprio nome e conto) del

cliente nello scambio finanziario e che modificano quindi la situazione patrimoniale

dell’intermediario. Gli scambi classici riguardano:

tutte le attività di finanziamento e di raccolta; -> in questo caso la

negoziazione in proprio comporta assunzione di rischio di credito

(solvibilità del cliente finanziato), rischio di liquidità (capacità

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tecnico-economica di far fronte alla richiesta di rimborso dei

creditori);

acquisto o vendita di valori mobiliari costituendosi quindi come

controparte diretta del venditore o acquirente -> l’intermediario (in

genere dealer o market maker) assume un rischio di credito (relativo

alla prospettica solvibilità del soggetto emittente) e un rischio di

mercato o di prezzo (dovuto alle mutevoli condizioni del mercato

mobiliare)

La negoziazione in proprio è tipica dell’intermediario creditizio e comporta la

gestione e trasformazione del rischio.

o negoziazione delegata: tutte le attività di scambio che l’intermediario svolge per

nome e per conto del cliente, cioè per sua delega o mandato (caratterizzate da una

relazione contrattuale di mandato). Le azioni del mandatario producono effetti

economici-giuridico in capo al mandante, perciò esse non determinano, se non

indirettamente, modificazioni nella contabilità dello Stato patrimoniale

dell’intermediario. Assume rilevanza l’ampiezza della delega formale conferita; al

riguardo è opportuno distinguere:

esecuzione di ordini conferiti dal cliente, in cui l’intermediario non ha

una significativa autonomia decisionale; il mandato contiene una

delega limitata (es: ordini di pagamento e di incasso o

compravendita di valori mobiliari);

attività svolte in nome e per conto del cliente in cui l’intermediario

riceve formalmente un mandato con contenuto più o meno ampio di

delega decisionale, il cui esercizio può modificare il rischio in capo al

cliente (es: contratto di gestione patrimoniale individuale; gestione

in monte del risparmio; merchant e investment banking).

NB: negoziazione in proprio e delegata si distinguono: per la diversa intensità del

rischio (maggiore nel 1° caso); per la diversa focalizzazione al cliente (maggiore ne

2° caso); per la diversa evidenza contabile: mentre la negoziazione in proprio è

rappresentata nello stato patrimoniale dell’intermediario, quindi l’intermediario

interpone il proprio stato patrimoniale tra datori e prenditori di fondi

("intermediazione pesante"); quella delegata trova rappresentazione nei "conti

d’ordine" ("intermediazione leggera").

o servizi di consulenza e di assistenza, caratterizzati da una semplice prestazione di

servizi. E’ assimilabile sostanzialmente ma non formalmente alla delega decisionale,

poiché con tali servizi l’intermediario contribuisce talvolta in modo fondamentale

sia alla formazione (fornendo informazione, conoscenza e valutazione) della

decisione finanziaria del cliente, sia alla definizione delle specificità esecutive della

stessa. Il contenuto di questa linea di attività consiste:

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nella fornitura di informazione utile o necessaria per il processo

decisionale;

nell’offerta di consulenza finanziaria per lo stesso fine;

nella ricerca di controparti idonee per lo scambio finanziario

progettato.

Queste attività integrano l’offerta di servizio dell’intermediario, assumendo una

funzione strumentale e di supporto alla negoziazione in proprio e delegata.

4. Le tipologie di intermediazione

In relazione agli strumenti finanziari utilizzati, le attività di intermediazione si possono distinguere

in:

intermediazione creditizia, che comprende qualsiasi attività di scambio che impieghi

strumenti finanziari non trasferibili e prodotti dall’intermediario per lo scambio

(essenzialmente prestiti e depositi);

intermediazione mobiliare, che è formata dalle attività di scambio che hanno per oggetto

strumenti finanziari di tipo mobiliare –cioè trasferibili e standardizzabili- emessi da

imprese, amministrazioni pubbliche e intermediari finanziari a scopo di finanziamento nel

circuito diretto, etc;

intermediazione assicurativa, che si basa sull’emissione di strumenti finanziari che hanno

per oggetto il trasferimento dei rischi puri dagli assicurati alle imprese di assicurazione.

Queste 3 forme di intermediazione costituiscono (congiuntamente) l’intermediazione finanziaria;

esse sono definite esclusivamente dal tipo di strumento finanziario impiegato e non dall’emittente

o produttore del medesimo.

5. Le principali categorie di intermediari finanziari: Le banche

Le banche dopo la riforma del 1993

La definizione normativa di banca si basa sul criterio minimo dell’esercizio sistematico e congiunto

delle attività di raccolta del risparmio tra il pubblico e di concessione del credito. Tuttavia, la

normativa applicata dal ’94, ispirata a un modello europeo di "banca universale", ammette un

campo di operatività molto ampio: dall’intermediazione creditizia all’intermediazione mobiliare,

dalla negoziazione in conto proprio alla negoziazione delegata, dai servizi di pagamento all’attività

di servizio.

La configurazione che le banche possono assumere va da un estremo rappresentato dalle

condizioni minime per poter avere la qualifica di banca (raccolta del risparmio tra il pubblico ed

esercizio del credito), all’altro estremo rappresentato dalla presenza a tutto campo nelle attività

finanziarie.

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Fino al 1993 in Italia il sistema bancario ha svolto la sua attività sulla base del principio della

specializzazione funzionale e di durata. Le banche si distinguevano infatti in banche di deposito,

che si concentravano sulle brevi scadenze e istituti di credito speciale, per le operazioni a medio-

lungo termine.

Gli elementi distintivi della banca sono legati ad alcuni principali aspetti economici:

lo svolgimento della funzione monetaria, che si basa sull’accettazione dei debiti bancari da

parte del pubblico come mezzo di pagamento. Tale accettazione presuppone a sua volta

che la singola banca e il sistema bancario godano della fiducia del pubblico. Storicamente

questa funzione ha rappresentato la specificità (per certi aspetti "l’unicità") delle banche

nel sistema finanziario, a cui si sono collegati controlli di politica monetaria e controlli di

vigilanza (a tutela della stabilita e del risparmiatore);

la funzione di trasferimento delle risorse finanziarie tra unità finali in surplus e in deficit. La

banca, nello svolgimento di questa funzione:

o si inserisce nel circuito creditizio, il che comporta l’assunzione di posizioni di

negoziazione in proprio (e dunque dei rischi connessi);

o attua la trasformazione delle scadenze, assume cioè posizioni attivo/passivo che

implicano una trasformazione delle scadenze dal breve al medio-lungo termine;

o svolge una funzione di selezione ex ante (di finanziamenti) e di controllo ex post

(affinché i soggetti finanziari non tengano comportamenti di moral hazard).

la funzione di trasformazione e gestione del rischio. La trasformazione comporta:

o dal lato del passivo, la diversificazione delle posizioni, in una logica di "grandi

numeri", rende stabile la disponibilità di fondi;

o dal lato dell’attivo, la diversificazione rende accettabile il rischio di portafoglio.

o La gestione del rischio, invece, fa riferimento allo svolgimento di attività che hanno

come scopo il trasferimento dei rischi tra operatori economici e finanziari.

6. Il bilancio delle banche

In Italia e nei paesi dell’Unione europea è stata adottata una regolamentazione contabile

derivante dai cosiddetti "Principi contabili", tali principi sono noti con la sigla IAS (International

Accounting Standards) o con la sigla introdotta recentemente IFRS (International Financial

Reporting Standards).

L’evoluzione normativa dei bilanci verso l’assetto IAS-IFRS risponde alla volontà di perseguire gli

obiettivi di comparabilità e di trasparenza delle informazioni.

Il bilancio di una banca è comunque centrato sui tradizionali documenti contabili: stato

patrimoniale, conto economico, nota integrativa. Il moderno bilancio IAS prevede inoltre una serie

di altri documenti a integrazione delle informazioni emergenti dai 3 documenti di base; tra tali

documenti ricordiamo:

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101

Conto delle variazioni del patrimonio netto

Rendiconto finanziario

Relazione degli amministratori sulla gestione

Lo Stato Patrimoniale: lo stato patrimoniale di una banca è redatto a sezioni contrapposte:

o L’Attivo, che comprende gli investimenti e i crediti; cioè le attività o asset. (forme di

impiego delle risorse finanziarie), In cui le voci sono distinte prioritariamente per

natura; e con riferimento alle voci più importanti sono classificate anche per "categoria

di controparte".

o Il Passivo, che comprende i debiti ("passività" o liabilities) e le voci del capitale netto

(equity), che nel caso delle banche è indicato con il termine "patrimonio" (forme di

finanziamento, cioè le modalità con cui la banca in un dato istante effettua la raccolta

di risorse finanziarie necessarie allo svolgimento della propria attività). Le voci del

passivo sono distinte per natura, talvolta per controparte e in alcuni casi anche per

classi di scadenza. Il passivo di Stato patrimoniale comprende anche le voci del

patrimonio, e quindi tutte quelle che indicano le fonti di finanziamento di competenza

dei soci: il capitale sociale; le riserve sovrapprezzo azioni, le riserve di rivalutazione, e

tutte le altre riserve e i fondi di natura patrimoniale; l’utile (o perdita) dell’esercizio.

Il conto economico: esso riepiloga i componenti positivi e negativi di reddito, ed è redatto a

scalare. La forma verticale (o "progressiva") facilita l’individuazione del contributo offerto

dalle diverse aree di business alla formazione del risultato netto, perché mette in evidenza

una serie di margini reddituali che progressivamente conducono alla misura dell’utile (o

della perdita) netto dell’esercizio in esame.

La composizione dell’attivo e del passivo del sistema bancario

L’attivo è composto dagli investimenti dei fondi raccolti a titolo di capitale proprio e di

debito; essi comprendono principalmente:

o i prestiti, costituiscono la componente caratteristica dell’intermediazione creditizia

attuata dalle banche, mediante strumenti finanziari non trasferibili. Il volume e la

composizione dei prestiti sono determinati dalle scelte di diversificazione del rischio

a livello settoriale, geografico e di segmento di clientela. Esse sono guidate dagli

obiettivi del soggetto economico, nel quadro del sistema di vincoli di vigilanza che

regolano in particolare la concentrazione dei fidi. Le sofferenze sono i crediti delle

banche nei confronti di soggetti in stato di insolvenza: rappresentano quindi una

componente dell’attivo che indica un livello elevato di esposizione al rischio di

perdita.

o i titoli, formati principalmente da titoli di Stato e obbligazioni, che costituiscono le

relazioni strutturali esistenti tra la banca (tradizionalmente intermediario creditizio)

e il mercato mobiliare. Tali investimenti in titoli hanno sia fini di liquidità (infatti

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sono liquidabili con facilità e senza apprezzabili rischi di prezzo), sia scopi di reddito

(per i ricavi finanziari derivanti da: l’incasso di interessi periodici, incassi alla

scadenza o per vendita sul mercato, ed eventuali plusvalenze determinate

dall’eventuale differenza positiva tra prezzi di rimborso/vendita e valori di carico).

All’interno di questa voce si collocano le azioni e le partecipazioni, cioè le quote di

minoranza nel capitale proprio di altre imprese a scopo di finanziamento: sia le

quote di controllo nelle società che compongono il gruppo bancario, sia le

partecipazioni minori in imprese che, pur non facendo parte del gruppo, sono

comunque strumentali per le strategie della banca considerata.

o le attività sull’estero

Il Passivo è in gran parte formato dalle attività di acquisizione di fondi a titolo di

indebitamento (passività delle banche). In tal senso proprio la "raccolta bancaria"

comprende:

o i depositi (depositi a risparmio, certificati di deposito, buoni fruttiferi e conti

correnti passivi da clientela ordinaria);

o ° le obbligazioni;

o ° le operazioni pronti contro termine (consistono nella vendita temporanea di titoli

con previo accordo di riacquisto);

o °i rapporti interbancari che, in quanto passivi, possono essere sviluppati a scopo di

indebitamento, oltre che per le altre finalità già dette;

o °la provvista sull’estero, che consente l’acquisizione di risorse finanziarie

denominate in valuta estera.

La struttura del conto economico del sistema bancario

Il conto economico della banca viene rappresentato in forma scalare, cioè evidenziando il processo

di formazione dell’utile netto passando fra diverse nozioni di margine. Fra queste, assume

rilevanza il "margine di intermediazione", poiché rappresenta in un certo senso, il margine lordo

industriale dell’intermediazione finanziaria. Il margine di intermediazione è dato dalla somma di:

Margine di interesse, formato dalla differenza fra ricavi finanziari da interessi attivi e costi

finanziari per interessi passivi. (costituisce il margine caratteristico formato dalle attività di

negoziazione in proprio, nelle quali ha un peso prevalente l’intermediazione creditizia);

Altri ricavi netti, formato dalla differenza fra commissioni e provvigioni attive e passive,

relative a diverse forme di servizi dati o ricevuti (per es di negoziazione).

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7. Nota integrativa e conto economico

La nota integrativa è la parte del bilancio più ricca di informazioni sui fatti di gestione: per avere un

quadro complessivo è indispensabile la lettura integrata e coordinata dello SP, C.E e della nota

integrativa

la Nota integrativa presenta due caratteristiche distintive:

è un documento di tipo "analitico" (mentre lo SP e il CE sono documenti di tipo "sintetico);

esso propone tre fondamentali tipi di informazioni:

o significativi elementi di dettaglio relativamente alle voci dello SP e del CE (sotto

forma di tabelle); ciò avviene "esplodendo" tali voci nelle loro componenti

principali;

o informazioni ulteriori -con riferimento alle stesse voci già presenti nello SP e nel CE-

elaborate in modo da dare immediata evidenza dei rischi che insistono sulle diverse

aree della gestione;

o informazioni relative a variabili gestionali che nello SP e nel CE non ci sono. Es. n°

dei dipendenti; e soprattutto le "operazioni fuori bilancio" (off-balance sheet

transactions), riconducibili: agli impegni irrevocabili da parte della banca a erogare

un finanziamento su richiesta del cliente (lending commitment), alle obbligazioni

accessorie (contingent liability), etc.

è un documento sia quantitativo che qualitativo (mentre lo SP e il CE sono solo quantitativi)

che lo rende ad altissima utilità intensità informativa. La natura di documento qualitativo

emerge in particolare da due elementi:

o articolata descrizione dell’effettiva applicazione da parte della banca dei criteri di

valutazione imposti dalla normativa;

o I dettagli delle voci di bilancio devono essere arricchiti di commenti, cosi da

agevolare la lettura e l’interpretazione dell’intero bilancio.

8. Valutazione dei titoli e dei crediti

Il principio contabile internazionale IAS 39, con riferimento alle attività finanziarie disciplina i

relativi profili di contabilizzazione (recognition), classificazione (classification) e valutazione

(measurement). Per quanto riguarda i titoli del portafoglio di proprietà, le disposizioni in materia

di valutazione sono legate a quelle in materia di classificazione: la banca deve allocare i titoli che

inserisce in portafoglio in una di tre distinte categorie previste dalla normativa e quindi con

modalità diverse per ogni categoria, svolge il corrispondente procedimento di valutazione. La

classificazione di titoli di proprietà necessaria ai fini valutativi è scarsamente influenzata dalle

caratteristiche tecniche dei titoli stessi, ma dipende soprattutto dalle finalità che la banca

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persegue con la loro acquisizione (concetto del c.d. management intent). Le categorie previste

dallo IAS 39 per classificare le attività finanziarie sono 3:

I titoli held for trading (HFT), cioè titoli che la banca ha acquistato con un intento di

negoziazione di breve periodo, mirando all’ottenimento di un profitto speculativo legato

alle fluttuazioni di prezzo sul mercato;

I Titoli Held To Maturity (HTM), cioè titoli che presentano determinate caratteristiche

tecniche quale la scadenza fissa e i pagamenti fissi preordinati e che la banca ha acquistato

con un intento di detenzione in portafoglio fino alla scadenza; solo in casi eccezionali e

esplicitamente previsti dalla disciplina contabile, la banca può infatti cedere un titolo HTM

prima della scadenza;

I titoli Available For Sale (AFS), disponibili per la vendita, cioè titoli che la banca ha

acquistato con un generico intento di detenzione per lungo tempo, ma che potrebbero

essere ceduti sul mercato in ogni momento, se le condizioni venissero giudicate favorevoli.

I criteri di valutazione previsti dallo IAS 39 sono 2:

Il fair value: impone di valutare un titolo al suo valore di mercato, stimato alla fine

dell’esercizio:

o Se il titolo è quotato (negoziato su un mercato di borsa e per esso sono disponibili

prezzi "pubblici"), la banca utilizzerà il prezzo di mercato dell’ultimo giorno prima

della chiusura dell’esercizio;

o Se il titolo non è quotato, la banca dovrà utilizzare come best proxy del fair value: il

prezzo medio di mercato di un campione di titoli quotati simili per caratteristiche a

quello oggetto di valutazione, o, alternativamente, il suo valore attuale netto

(stimato attraverso un procedimento di attualizzazione dei suoi flussi di cassa a un

tasso espressivo delle caratteristiche di rischio che il mercato finanziario gli

attribuirebbe ragionevolmente).

Il criterio del "costo ammortizzato": impone di valutare un titolo sulla base del prezzo a cui

la banca lo ha effettivamente acquistato (il suo "costo" appunto) tenendo conto anche di

alcune ulteriori componenti accessori di costo (es, le commissioni pagate a un eventuale

intermediario). Il valore di costo del titolo in portafoglio può essere rettificato in

diminuzione (dando luogo a una svalutazione o "rettifica") in presenza di condizioni di

rischio creditizio che possono caratterizzare l’emittente.

La differenza fondamentale tra i 2 criteri di valutazione risiede nel fatto che applicando il fair value

il valore di bilancio (detto anche book value) degli asset in portafoglio può oscillare nelle 2

direzioni (in aumento o in diminuzione) in funzione dell’andamento dei prezzi di mercato (quindi

se le variabili di mercato sono caratterizzate da particolare volatilità, ugualmente volatili saranno i

valori contabili dei titoli); il valore di bilancio dei titoli valutati al costo ammortizzato è invece

soggetto fisiologicamente a variazioni di più ridotta intensità, sia perché le oscillazioni sono

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unidirezionali (il titolo può esser svalutato ma mai rivalutato) sia perché le eventuali svalutazioni

dipendono dalle condizioni dell’emittente e molto poco dalle condizioni di mercato.

Relativamente alla stima contabile dei crediti della banca (fase critica), lo IAS 39 dispone che la

banca valuti i propri crediti sulla base del criterio del costo ammortizzato, ma sono definite con

una certa precisione le fasi del c.d. procedimento di impairment, in ordine al quale i crediti

possono subire delle svalutazioni (in tal caso il C.E accoglierebbe direttamente tali svalutazioni alla

voce "rettifiche di valore"). Il procedimento di impairment è quella fase di valutazione, in cui la

banca identifica all’interno del proprio portafoglio crediti tutte le singole posizioni per le quali è

prevedibile un inadempimento (anche se solo parzialmente) da parte del debitore nel pagamento

puntuale degli interessi e nel rimborso puntuale del capitale prestato.

Lo IAS 39 elenca una serie di situazioni in presenza delle quali la banca deve considerare un credito

come impaired; tra cui citiamo le seguenti:

l’esistenza di significative ed evidenti difficoltà finanziarie del debitore;

Il verificarsi di un mancato pagamento degli interessi o del capitale su un debito in essere

(es il debitore non ha pagato al tempo previsto contrattualmente la rata di un mutuo);

la possibilità che il debitore avvii entro breve tempo una procedura concorsuale o un piano

di ristrutturazione finanziaria.

Se la banca accerta il verificarsi di tali situazioni, i crediti impaired sono sottoposti a una

valutazione in senso stretto; il loro valore contabile è in questo caso stimato attualizzando, al tasso

di interesse originario del credito, i flussi di cassa futuri (a loro volta stimati tenendo conto delle

mutate condizioni economiche finanziarie del debitore). Se (presumibilmente) la stima dei flussi di

cassa determinerà valori più bassi rispetto ai valori contrattuali (e/o momenti di pagamento più

lontani nel tempo rispetto a quelli originariamente previsti), il valore contabile del credito dovrà

essere svalutato e la differenza tra il valore originario e il valore così stimato sarà imputata alla

voce "rettifiche di valore".

9. La trasformazione delle banche: dall’attività creditizia in

senso stretto al corporate e all’investment banking

La riforma del 1993 ha definito un modello di banca cui è permesso –potenzialmente- di operare

su un’ampia forma di attività finanziaria. Ciò ha significato il progressivo abbandono del modello

storico strettamente ancorato all’attività creditizia, e per di più, a breve termine.

Uno dei campi in cui la banca tende a diversificare la propria attività è quello cosiddetto del

corporate e dell’investment banking; con tali termini vengono indicate diversi tipi di attività

finanziarie, che hanno in comune la specificità di offrire strumenti e servizi destinati alla gestione

finanziaria dell’impresa, della famiglia e della clientela istituzionale. Nel nostro ordinamento, non

esiste una relazione univoca tra le attività di corporate e investment banking e una specifica figura

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istituzionale di intermediario: queste vengono quindi svolte da intermediari diversi, secondo scelte

strategiche soggettive di maggiore o minore diversificazione del portafoglio di attività. Infatti:

le banche sono abilitate a svolgere direttamente attività di intermediazione mobiliare, (sia

di mercato primario sia di mercato secondario) e attività di merchant banking (in

particolare l’assunzione di partecipazioni azionarie);

le società di intermediazione mobiliare, vengono a loro volta abilitate a svolgere attività di

intermediazione mobiliare, in modo analogo alle banche;

gli altri intermediari possono svolgere servizi di assunzione di partecipazioni, di cash

management e di intermediazione in cambi.

Le banche d’investimento, chiamate in inglese investment bank, svolgono tre funzioni economiche

fondamentali: provvedono a finanziare società di capitali sottoscrivendo e collocando le nuove

emissioni di titoli, operano come intermediari sui mercati mobiliari e offrono consulenze sulle

operazioni di emissione, acquisto e vendita di titoli e su altre questioni di natura finanziaria.

Diversamente dalle banche commerciali, i cui compiti principali sono accettare depositi e

concedere prestiti a breve termine a imprese e famiglie, le banche d’affari sono impegnate,

soprattutto, nei finanziamenti a lungo termine.

Le aree di attività delle banche d’investimento si possono sintetizzare in:

Corporate Lending: le attività di prestito bancario (real estate financing, trade financing,

cash management financing e prestiti di medio-lungo termine);

Corporate and Investment Banking: le attività di consulenza legale, fiscale e finanziaria e di

intermediazione.

Nel dettaglio possiamo suddividere le macro-area dell’investment banking in:

o Capital Markets ovvero tutte le attività relative alla gestione degli strumenti

finanziari emessi dai clienti della banca (obbligazioni, azioni e derivati). Nel

mercato primario, corrispondente all'emissione dello strumento, include

quattro fasi: origination, arranging and advisory, selling and placing,

underwriting; nel mercato secondario, che include ogni attività successiva

all'emissione (attività di dealing, brokerage e di market making).

o Corporate Finance: supporto finanziario ad un'azienda per sostenere le sue

decisioni strategiche (fusioni e acquisizioni, joint venture, spin-off, attività di

ristrutturazione).

o Private Equity o Merchant Banking: attività finanziarie mediante le quali un

investitore istituzionale rileva quote di una società sia acquisendo le azioni, sia

portando nuovi capitali all'interno di una società obiettivo.

o Project Finance: operazioni di finanziamento a lungo termine, che consistono

nell'utilizzo di una società neocostituita denominata veicolo (SPV, Special

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Purpose Vehicle) la quale serve a mantenere separati gli assets del progetto da

quelli dei soggetti proponenti l'iniziativa d'investimento.

o Risk Management: offerta di servizi finanziari volti a limitare il rischio del cliente,

sia esso di natura industriale o finanziaria (legato alla volatilità dei prezzi).

10. Le società di intermediazione mobiliare (SIM)

Le SIM, costituite nella forma giuridica di Spa presentano lo status di "imprese di investimento di

diritto italiano". Fino a oggi hanno rappresentato il punto nodale nell’offerta dei servizi di

investimento nel ns paese; tuttavia le SIM operative tendono a diminuire dell’intensificarsi delle

tensioni concorrenziali e lo spostamento delle attività verso le banche e le SGR.

L’attività delle SIM si caratterizza per lo svolgimento dei servizi di investimento, classificati in 4

grandi categorie:

la negoziazione di strumenti finanziari per conto proprio (dealing) e per conto terzi

(brokerage);

il collocamento di strumenti finanziari con garanzia (underwriting) o senza garanzia

(selling) di sottoscrizione a favore dell’emittente;

la gestione individuale di portafogli di strumenti finanziari;

la ricezione e la trasmissione di ordini di negoziazione di strumenti finanziari

I 4 campi si distinguono quanto a competenze e a condizioni operative necessarie:

il dealing e l’underwriting implicano la gestione di un portafoglio titoli di proprietà e

quindi l’assunzione dei correlati rischi di mercato (di prezzo, di cambio, di tasso di

interesse);

le attività di brokerage, di selling, di gestione patrimoni e di ricezione/trasmissione di

ordini rappresentano, invece, attività di servizio per conto terzi, per le quali

l’intermediario non assume posizioni in proprio, sopportando profili di rischio meno

intensi, riconducibili al rischio operativo (mancata copertura dei costi fissi necessari al

funzionamento della struttura aziendale).

Tali caratteristiche possono essere ricondotte alle 2 diverse rappresentazioni di bilancio:

per una SIM dealer o underwriter: la presenza di debiti finanziari nel passivo è legata alla

naturale propensione delle SIM in esame a finanziare le posizioni in titoli agendo sulla

leva finanziaria (grado di indebitamento), ovviamente controllandone il livello in funzione

della propensione al rischio degli azionisti. Le voci "profitti" e "perdite" da operazioni

finanziarie identificano i risultati realizzati attraverso le negoziazioni di titoli sul mercato

secondario. Infine i costi operativi comprendono costi fissi (spese per il personale e

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ammortamenti a fronte degli investimenti in immobili e attrezzature telematiche per

l’esecuzione delle operazioni e la raccolta delle informazioni) e costi variabili.

Nel caso di una SIM dealer/underwriter il punto nodale risiede nella capacità di generare

un margine positivo (tra le componenti positive e negative di reddito derivanti) dalla

gestione del portafoglio di proprietà (detto "margine di intermediazione"), che deve a sua

volta essere in grado di coprire il totale dei costi operativi.

per una SIM di servizio (la struttura contabile si semplifica notevolmente): Il conto

economico mette in evidenza come l’equilibrio reddituale si fonda sulla capacità di

generare un flusso di commissioni attive in grado di coprire il complesso dei costi di

struttura.

Una SIM, come ogni altra impresa, deve esercitare una serie di opzioni strategiche e operative per

indirizzare la propria condotta concorrenziale, esaminando alcuni aspetti critici:

Collegamento tra SIM e banche, in termini societari e operativi:

o Le SIM c.d "di emanazione bancaria" sono espressione di banche in genere di

grande dimensione, che decidono di localizzare presso una società

giuridicamente distinta (la Sim appunto) l’offerta di taluni servizi di investimento;

l’attività di queste Sim è alimentata soprattutto dal gruppo di appartenenza, non

hanno dunque problemi di reperimento di nuova clientela o di consolidamento di

quella esistente, ciò comporta il sostenimento di minori costi operativi; a fronte

di ciò le Sim bancarie beneficiano peraltro di minimi gradi di libertà nella

definizione delle politiche di mercato (segnatamente del prezzo di servizi offerti),

che vengono condizionati dalla banca capogruppo.

o Diversamente, le SIM "indipendenti" sono emanazione di operatori individuali

che agiscono nel settore dei servizi di investimento considerando le banche

alternativamente come concorrenti (se offrono gli stessi servizi di investimento)

o come clienti (ciò accade ad es quando una banca chede alla Sim lo svolgimento

di un determinati servizio) . Le Sim indipendenti sono naturalmente

caratterizzate da ampi gradi di libertà nella definizione delle politiche di mercato,

ma affrontano costantemente l’impegno del reperimento della clientela, del suo

mantenimento, delle tensioni concorrenziali (tipiche di una struttura di offerta

"non protetta") e del correlato sostenimento di costi operativi più elevati della

media del settore.

Tipo di clientela prevalentemente servita:

o clientela istituzionale (banche, compagnie di assicurazione, fondi comuni di

investimento, fondi pensione, etc). L’impegno operativo e i correlati costi di

struttura sono più elevati, vanta di una forza contrattuale maggiore;

o clientela di tipo privato (famiglie e in genere investitori "non professionali").

Lavorare nei confronti di clientela privata significa governare relazioni di scambio

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con molti clienti che alimentano operazioni di basso importo unitario. I prezzi

unitari applicati nei confronti della clientela privata sono in genere sensibilmente

più elevati. L’underwriting e il selling si svolgono tipicamente nei confronti di

clientela istituzionale; i restanti servizi possono invece essere offerti sia a

controparti istituzionali sia a controparti di tipo privato o a una combinazione

delle due tipologie di clientela; in tal senso l’attività può caratterizzarsi per la

prevalenza di offerte di servizi all’"ingrosso" o "al dettaglio".

Modalità di distribuzione, Il modello distributivo "tipico" dell’impresa di investimento non

può essere generalizzato perché dipende in primo luogo dal tipo di servizio offerto:

o Nel caso di servizi caratterizzati da un ridotto grado di personalizzazione e

fondati su flussi informativi governabili attraverso una rete telematica o

telefonica (es: servizi di negoziazione per conto di terzi) la distribuzione intesa in

senso fisico di fatto non esiste. Questo accade perché il prodotto, essendo noto e

standardizzato, non richiede di essere "presentato".

o Nel caso di servizi a maggiore contenuto di personalizzazione, dato che questi

sono più articolati in termini di caratteristiche tecnico-economiche richiedono

una maggiore attenzione nella definizione dell’accordo contrattuale tra

l’intermediario (gestore) e il cliente(investitore) (es: gestione individuale di

portafogli); in questo caso il problema della distribuzione esiste ed è critico.

Scelta del portafoglio di servizi offerti. La SIM può richiedere l’autorizzazione a svolgere

uno o più (o tutti) servizi di investimento previsti dalla normativa, selezionando la propria

posizione strategica sulla scala che ha per estremi:

o Specializzazione, se la SIM possiede competenze specifiche e intende

concentrare il proprio impegno in una sola area operativa, consolidando la

posizione sul mercato.

o Diversificazione, Le sim che offrono congiuntamente tutti i servizi di investimento

(intermediari polifunzionali); tale opzione consente di raggiungere più

rapidamente la grande dimensione complessiva (seppur operando su comparti

distinti) sfruttando così l’effetto positivo delle economie di scala; inoltre possono

manifestarsi economie di scopo, con effetti positivi sulle strutture di costo e sulla

redditività complessiva.

11. Le società di Leasing

Società di leasing. Secondo le norme vigenti per tutti gli intermediari finanziari non bancari, la società di leasing esercita la propria attività iscrivendosi all’apposito elenco generale tenuto dall’UIC e risultando così sottoposta alla vigilanza della Banca d’Italia. Le condizioni necessarie per l’iscrizione sono:

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forma giuridica di società per azioni, in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata o della società cooperativa;

versamento di capitale sociale in misura non inferiore a 5 volte il valore minimo previsto per le società per azioni;

possesso dei requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale della società e di professionalità degli esponenti aziendale.

Inoltre le società di leasing sono sottoposte a una disciplina sull’adeguatezza patrimoniale e sulla dimensione dei rischi sostenuti, secondo un’impostazione di vigilanza prudenziale in linea con gli indirizzi generali di controllo già assunti nei confronti del sistema bancario. Le società di leasing svolgono principalmente un’attività creditizia mediante la stipulazione di contratti di locazione finanziaria, che svolgono implicitamente la funzione di soddisfare fabbisogni finanziari di investimento. Il contratto di leasing è un contratto mediante il quale una parte (società di leasing, locatore) concede in locazione all’altra (cliente, locatario) per un tempo determinato e in contropartita di un canone periodico, il bene acquistato o fatto costruire dal locatore o su scelta del locatario, con facoltà per quest’ultimo di acquistare la proprietà del bene a condizioni prefissate. La conseguenza di questa formula è che la proprietà del bene locato appartiene alla società di leasing, fino all’eventuale riscatto da parte del cliente. Le società di leasing finanziano in genere investimenti produttivi sia beni mobili che immobili; ciò non esclude che le società di leasing svolgano pure una funzione di finanziamento al consumo.

12. Le società di Factoring

Le società di factoring sono intermediari finanziari il cui oggetto consiste nell’esercizio dell’attività

di acquisto dei crediti commerciali da imprese. L’attività si basa su un contratto di cessione pro

soluto (cioè con rischio di credito a carico del cessionario) o pro solvendo (cioè con rischio a carico

del cedente), di crediti commerciali a una società specializzata (factor), ai fini di gestione, incasso,

ed eventualmente di finanziamento del cedente.

Le società svolgono pertanto un insieme di servizi finanziari e di altra natura, tra i quali anche

l’attività di intermediazione creditizia, secondo la seguente articolazione:

servizi informativi riferiti alle condizioni finanziarie della clientela commerciale;

servizi di amministrazione, gestione, incasso dei crediti commerciali;

servizi legali per il recupero crediti;

servizi di garanzia del buon esito dell’incasso (pro soluto);

anticipazione parziale del valore dei crediti ceduti.

13. I fondi comuni di investimento

I fondi comuni possono essere genericamente definiti come forme di investimento collettivo (o di

gestione in monte del risparmio). Dal punto di vista giuridico, e anche sostanziale, il termine

"comune" sta a indicare che il patrimonio ottenuto per somma dei conferimenti dei partecipanti è

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indiviso e che il fondo è una comunione indivisa di beni di cui ciascun partecipante è

comproprietario per la quota versata. La formula del fondo comune di investimento prevede che:

il patrimonio è gestito da un’apposita società di gestione del risparmio (SGR);

il patrimonio del fondo è distinto sia da quello della società di gestione, sia da quello dei

partecipanti;

le quote di partecipazione al fondo comune hanno tutte uguale valore e eguali diritti, e

sono rappresentate da certificati nominativi o al portatore;

la quota di partecipazione viene definita "passività di mercato" (concetto opposto a quello

di "passività nominalistica") poiché il suo valore dipende dal valore di mercato del

patrimonio del fondo (caso del fondo aperto) e dalla quotazione della quota nel mercato

regolamentato (caso del fondo chiuso); in ogni caso la quota non costituisce una passività

della società di gestione, se non nel senso particolare di obbligazione della stessa a fronte

delle richieste di riscatto esercitate dai partecipanti a termine del regolamento.

i fondi comuni si differenziano sia per la modalità di funzionamento (aperti e chiusi) sia per

il tipo di bene oggetto dell’investimento collettivo (valori mobiliari o beni immobili)

Il fondo è "aperto" se il partecipante/sottoscrittore ha in ogni momento la facoltà di

investire nel fondo (acquistando perciò quote di nuova emissione al prezzo corrente) o di

disinvestire dal fondo stesso (esercitando il riscatto delle quote e ottenendo quindi in

tempi brevi il controvalore monetario delle stesse, al prezzo corrente). Ne consegue che il

patrimonio del fondo è variabile per effetto degli ingressi e delle uscite.

Viceversa, il fondo è "chiuso" se, trascorsa la sua fase costitutiva, non possono accedervi

nuovi sottoscrittori/partecipanti, mentre quelli entrati hanno la facoltà di esercitare il

riscatto non prima di una predefinita scadenza; in tal caso la liquidità della quota viene

favorita dal fatto che questa è trasferibile e che il trasferimento può essere concretamente

agevolato dalla quotazione stessa in un apposito mercato.

Il funzionamento del fondo presuppone l’interazione di 4 soggetti:

il sottoscrittore, o partecipante al fondo;

la società di gestione del risparmio, che investe in titoli e in altre attività finanziarie le

somme versate dai partecipanti al fondo; essa inoltre, a titolo di mandatario e non di

proprietario, provvede alla negoziazione (compravendita) dei valori mobiliari gestiti,

all’esercizio dei diritti inerenti ai titoli, all’eventuale distribuzione dei proventi e a ogni

altra attività di gestione;

la banca depositaria, che ha il compito di custodire il patrimonio del fondo e svolge

compiti di accertamento della conformità delle operazioni della società di gestione

rispetto alle norme vigenti e al regolamento del fondo;

il collocatore, che è il soggetto autorizzato a collocare le quote dei fondi presso il

pubblico.

La combinazione fondo comune più società di gestione costituisce una forma di intermediazione

poiché essa si interpone tra datori di fondi (investitori/sottoscrittori) e prenditori finali di risorse

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(le imprese emittenti); tale intermediazione ha in parte un ruolo sostitutivo dello scambio

indiretto e diretti: si tratta di una modalità particolarmente di strutturata di scambio diretto

assistito. Pertanto ci si trova di fronte a una forma di intermediazione "leggera" nel senso che non

vi è formale interposizione di bilancio, ma tale intermediazione si realizza secondo un modello

forte di negoziazione delegata che si caratterizza per la circostanza di utilizzare un tipo di delega

talmente ampio –per così dire "totale"- da rendere il modello istituzionale nella sostanza molto

simile e prossimo alla negoziazione in proprio.

Il processi produttivo della SGR ha per oggetto la gestione del portafoglio delle attività del fondo;

le funzioni dell’intermediazione attuata sono:

trading: valutazione e selezione degli investimenti del fondo;

negoziazione accentrata, acquisto e vendita di valori mobiliari per quantità unitarie

rilevanti;

trasformazione del rischio: il rendimento della quota è = al rendimento medio delle attività

in portafoglio, mentre il suo rischio (misurato dalla volatilità del rendimento stesso) è

inferiore alla media ponderata dei rischi delle singole attività del portafoglio;

trasformazione delle scadenze e produzione di liquidità, la scadenza della quota è

formalmente a vista e il riscatto può essere esercitato in ogni momento al prezzo corrente,

mentre la scadenza media ponderata del fondo ha valori più o meno elevati (a seconda

della composizione degli investimenti), la liquidabilità delle attività del fondo è molto

elevata, dato che si tratta sempre di valori mobiliari quotati, ma essa subisce cmq rischi di

prezzo variamente rilevanti a seconda della specifica attività finanziaria considerata

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Strumenti bancari a supporto delle aziende

1. Il ciclo finanziario dell’impresa

La durata e la dinamica del ciclo finanziario dell’impresa sono determinate da (il ciclo di impresa

più realisticamente può essere rappresentato dalle seguenti quantità):

Intensità di capitale: misurata dal rapporto fra capitale investito e vendite del periodo [Cit /

Vt], e che sta ad indicare la quantità di capitale che l’impresa deve costantemente

mantenere investita in vari fattori produttivi per realizzare un dato volume di vendite, in

condizioni di pieno utilizzo della capacità produttiva disponibile.

Tasso di sviluppo delle vendite: che indica la variazione del fatturato nel periodo

considerato (calcolata come variazione relativa) Tsvt = (Vt – Vt-1)/ Vt-1;

Capacità di autofinanziamento dell’impresa rispetto alle vendite (o risorse incrementali

generate internamente): Frt/Vt: e indica la capacità di generare internamente risorse

finanziarie. (Frt = utile + ammortamenti + accantonamenti).

Conoscendo le variabili sopra elencate, è possibile rappresentare il punto di equilibrio finanziario

(Bilanciamento fonti tra finanziamenti e impieghi nel breve e nel lungo periodo) dell’impresa in

senso dinamico cioè tenendo conto della variazione nel tempo del tasso di sviluppo delle vendite,

della capacità lorda di autofinanziamento e dell’intensità di capitale nei diversi momenti della vita

dell’impresa.

Per ogni fase del ciclo di vita di un’azienda è necessario attuare una gestione finanziaria efficiente

ovvero che sia in grado di assicurare l’equilibrio monetario dei flussi di cassa utilizzando sia fonti di

finanziamento esterno che interno, minimizzare il costo del capitale acquisito nelle diverse forme

tecnico-contrattuali, ottimizzare la struttura finanziaria governando la leva finanziaria (rapporto

tra capitale di terzi capitale proprio) e programmare nel tempo le decisioni di

aumento/diminuzione del capitale proprio e decisioni di indebitamento.

Fasi del ciclo di vita:

Fase di introduzione (l’impresa entra progressivamente nel mercato): In questa fase il

fatturato tende a crescere rapidamente, per cui il suo tasso di sviluppo aumenta. Tuttavia,

l’intensità di capitale si presenta inizialmente molto elevata, con tendenza alla

diminuzione; cioè è dovuto al fatto che:

o la capacità produttiva inizialmente installata è sovradimensionata rispetto alle

concrete possibilità di fatturato immediato ed è progettata in funzione dei livelli di

fatturato attesi;

o la dimensione complessiva dell’investimento è elevata per il fatto che gli

investimenti fissi e tecnici non presentano un grado di ammortamento

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apprezzabile, gli investimenti immateriali (spese capitalizzate di R&S, di lancio, etc)

devono ancora in larga parte essere recuperate, gli investimenti in capitali di

esercizio (crediti v/clienti e scorte di magazzino) è necessario che siano maggiori

nella fase iniziale;

o Il margine lordo di autofinanziamento è in genere piuttosto contenuto; ciò dipende

da: dalle condizioni di equilibrio tra ricavi e costi e quindi dai margini di redditività

lorda e dal fatto che i limitati volumi di produzione iniziale non consentono il

raggiungimento della massima efficienza operativa (in un momento successivo

l’aumento di tali volumi potrò eventualmente dare luogo allo sfruttamento di

fenomeni noti di economie di costo e di scala). Infine, in questa fase, è tipico che la

condizione finanziaria di impresa presenti una condizione di disavanzo, cioè il flusso

di cassa periodale sia negativo ed evidenzi quindi un elevato fabbisogno finanziario

esterno.

Fase di crescita: In questa fase il tasso di sviluppo del fatturato cresce fino a un valore

massimo, successivamente si stabilizza per tempi più o meni lunghi, e infine comincia a

diminuire. Parallelamente, l’intensità di capitale mantiene inizialmente valori elevati poiché

l’aumento delle vendite determina lo sviluppo della capacità produttiva e l’espansione

degli investimenti in capitale fisso; successivamente lo sviluppo decrescente del fatturato

provoca un rallentamento dei nuovi investimenti in capitale fisso. La capacità di

autofinanziamento lordo tende a stabilizzarsi su valori superiori alla fase precedente (ciò

dipende dai vari fenomeni di economie di costo e dal fatto che il consistente flusso degli

ammortamenti risulta gradualmente meno impegnativo dal rinnovo, decrescente, degli

impianti esauriti). In definitiva, in ipotesi di successo competitivo dell’impresa (andamento

"normale" in questa fase") porta l’impresa a un punto di equilibrio, o di break-even. Al

conseguimento del quale, il fabbisogno finanziario cumulativo raggiunge il valore massimo,

così come la dimensione del capitale investito

Fase di maturità: il fatturato cresce a tassi sempre più contenuti fino ad annullarsi,

l’intensità di capitale si riduce marcatamente perché non sono necessari investimenti in

ulteriore capacità produttiva, si generano elevati flussi di autofinanziamento, la

disponibilità finanziaria generata consente il graduale rimborso dell’indebitamento e

l’eventuale restituzione del capitale proprio.

Al termine del ciclo l’impresa è stata gradualmente in grado di restituire i fondi ai diversi

soggetti finanziatori insieme alle spettanti remunerazioni (interessi, dividendi).

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2. Il livello massimo di indebitamento accettabile di un’impresa

Nella scelta delle fonti di finanziamento da utilizzare per realizzare un investimento, ossia nella

scelta tra capitale proprio o capitale di debito, uno degli elementi da considerare è la c.d. leva

finanziaria. Conviene finanziarsi con capitale proprio o indebitarsi? Qual è il mix ottimale tra fonti

interne e fonti esterne di finanziamento?

La leva finanziaria aiuta a fornire una risposta sulla base della relazione che lega il ROE (return on

equity), che misura la redditività del capitale proprio, al ROI (return on investment), che misura la

redditività del capitale investito, al costo dell’indebitamento (i) e all’indice di indebitamento e,

quindi, alla struttura finanziaria prescelta.

In particolare la formula di disaggregazione del ROE che esprime la leva finanziaria è la seguente:

ROE = [ROI + (ROI – i) * Debiti finanziari / Capitale proprio] * (1 – aliquota fiscale)

dove:

ROE = risultato d’esercizio/capitale proprio;

ROI = risultato operativo/capitale investito.

Analizzando pertanto la relazione tra ROI e costo dell’indebitamento (i) è possibile determinare

l’effetto, positivo, negativo o nullo, che un maggior indebitamento determina sulla redditività del

capitale proprio (ROE).

In caso di ROI pari al costo dell’indebitamento (i), la scelta tra fonti esterne ed interne non

produce alcun effetto sul ROE;

mentre nel caso in cui il rendimento dell’investimento sia inferiore al costo

dell’indebitamento, conviene limitare il ricorso al capitale di terzi perché il suo aumento

provoca un effetto moltiplicatore negativo sul ROE.

Se invece il ROI è maggiore del costo sopportato per ottenere capitale da terzi, l’effetto

leva è positivo (ROI > i): conviene ricorrere al capitale di terzi per finanziare l’investimento

perché ciò determina un effetto moltiplicativo sul ROE, tenendo conto che il rapporto

debiti finanziari/capitale proprio aumenta. E tanto più elevato è lo spread tra ROI ed i,

tanto maggiore è l’effetto positivo sul ROE.

Se ad esempio il rendimento operativo previsto per un investimento è pari al 7% contro un costo

dell’indebitamento pari al 3%, ho convenienza a finanziarmi all’esterno per realizzare

l’investimento alla luce spread positivo del 4%. Oltretutto più aumenteranno i debiti finanziari, più

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elevato sarà l’indice di indebitamento (debiti finanziari/capitale proprio) e quindi maggiore sarà

l’effetto moltiplicativo sulla redditività dell’equity.

Un esempio aiuterà a capire il concetto.

Supponiamo di dover realizzare un investimento di 1.000.000 € per il quale ci si attende un ROI del

20%. Il tasso di interesse applicato dalla banca disposta a finanziare l’investimento è pari al 6% e

l’aliquota fiscale per semplicità viene fissata al 50%.

La prima ipotesi prevede l’acquisto con capitale proprio: l’effetto sul ROE sarà il seguente.

Posto che il risultato operativo sarà pari a 200.000 € (20% di 1.000.000 €), in assenza di oneri

finanziari, in quanto l’investimento è finanziato interamente con capitale di rischio, il risultato

d’esercizio (al netto delle imposte) sarà pari a 100.000 €, con un ROE (100.000€/1.000.000€) che si

attesta pertanto al 10%.

Se si decide, invece, di finanziare l’investimento per l’80% (800.000 €) con capitale di terzi e per il

20% (200.000 €) con capitale proprio, il risultato d’esercizio risentirà degli oneri finanziari

(6%*800.000 €) e dell’aliquota d’imposta, attestandosi a 76.000 €. Il ROE risulterà pertanto pari al

38% (76.000 €/200.000 €).

Se invece lasciamo invariati tutti i termini tramite il ROI atteso, che lo fissiamo al 10%, nel primo

caso (finanziamento con capitale proprio) il ROE sarà pari al 5%, nel secondo al 13%.

Il tutto era prevedibile anche solo osservando la formula sopra espressa, ed evidenzia che in

presenza di spread positivo (14% o 4%), aumentare il ricorso al debito consente di incrementare il

ROE (dal 10% al 38% nella prima ipotesi, dal 5% al 13% nella seconda), e tanto maggiore è lo scarto

tanto l’aumento del ROE è significativo.

Come tutte le leve a disposizione è bene non sfruttare al massimo lo spread potenziale

e mantenere un certo livello di sicurezza: è sempre meglio evitare il ricorso esclusivo al debito.

L’incremento dell’esposizione verso terzi produrrà infatti un deterioramento del profilo di rischio

dell’azienda, che si troverà ad avere una struttura finanziaria meno solida, un peggioramento

del rating, che si tradurrà molto probabilmente in un incremento del costo dell’indebitamento, e

quindi del tasso di interesse applicato (i).

All’aumentare del costo del denaro lo spread si riduce e potrebbe arrivare a superare la redditività

operativa degli investimenti, che si può comunque modificare nel tempo, portando la leva

finanziaria a funzionare in termini esattamente opposti, con un effetto boomerang negativo sul

ROE.

L’aumento dell’indebitamento produce oltretutto un rischio anche dal punto di vista economico,

con un aumento degli oneri finanziari, e quindi un impatto sul risultato d’esercizio.

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la redditività del capitale migliora se la redditività del capitale investito (ROE) risulterà superiore

al costo dell’indebitamento (ovvero al tasso di interesse applicato sul debito)

la redditività del capitale peggiora se gli oneri finanziari da sopportare per ottenere il prestito

dei capitali superano la redditività dell’investimento

Si parla di effetto leva per sottolineare la capacità dell’indebitamento di ampliare la redditività

aziendale. In tal senso, il ricorso a capitali di terzi funge da moltiplicatore delle opportunità di

investimento. Se la congiuntura è favorevole l’effetto leva è positivo e in questo modo viene

remunerato l’indebitamento, ma se l’effetto leva è negativo l’accresciuto indebitamento si traduce

in situazione di debolezza aziendale.

L’utilizzo della leva finanziaria varia notevolmente da settore e settore di attività. Ci sono molti

settori in cui le imprese operano con un alto grado di leva finanziaria. I negozi al dettaglio, le

compagnie aeree, i venditori di alimentari, le aziende di servizi e gli istituti bancari sono gli esempi

più classici.

3. Equilibrio finanziario di un’impresa

Il finanziamento dell’impresa avviene attraverso mezzi finanziari messi a disposizione dalla

proprietà o attraverso finanziamenti di capitale di terzi (finanziamenti, prestiti, dilazioni di

pagamento, ecc).

Saper scegliere le migliori fonti di finanziamento non è cosa facile. Soprattutto perché la scelta di

una piuttosto che di un’altra può portare l’impresa in squilibrio finanziario, mettendo a

repentaglio la continuità aziendale. Di seguito bisogna analizzare le principali fonti di

finanziamento a disposizione delle imprese. L’obiettivo è quello di individuare l’equilibrio

finanziario ottimale per ogni impresa, attraverso il mix tra le varie fonti di finanziamento.

La gestione finanziaria di un’impresa è uno degli aspetti più delicati dell’intera attività aziendale.

Immobilizzare troppa liquidità o al contrario non avere fonti di finanziamento flessibili e

programmate può portare a conseguenze disastrose per la vita dell’impresa.

Diventa quindi fondamentale possedere le adeguate conoscenze per identificare e risolvere

le problematiche finanziarie che le imprese potrebbero trovarsi ad affrontare. In questo senso il

concetto di “equilibrio finanziario” diventa elemento essenziale.

Da un punto di vista strettamente aziendale un’impresa si trova in una situazione di equilibrio

finanziario quando:

le fonti di finanziamento a breve termine finanziano gli impieghi finanziari a breve

e

le fonti di finanziamento a lungo termine finanziano gli impieghi a lungo termine

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In pratica la struttura finanziaria di un’impresa è equilibrata quando le fonti di finanziamento

(capitale proprio o di terzi), sono destinate al fabbisogno finanziario durevole (acquisto di

immobilizzazioni). Mentre altre fonti di finanziamento correnti (prestiti dei soci, o fidi per elasticità

di cassa), sono destinati a finanziare impieghi finanziari di breve periodo.

E’ indubbio che nell’arco della vita aziendale si possono verificare situazioni di insufficienza

finanziaria legate all’esigenza di espandere la propria attività, se non nei casi più gravi da crisi di

mercato. In questi casi conoscere i corretti strumenti finanziari da utilizzare può fare davvero la

differenza, tra sopravvivenza ed estinzione dell’azienda.

4. Struttura delle Fonti di Finanziamento

L’obiettivo da raggiungere per ogni impresa, come abbiamo visto è l’equilibrio finanziario. Si tratta

di raggiungere il corretto mix tra le varie fonti di finanziamento possibili.

Tuttavia, non è una cosa così semplice da raggiungere. Per ottenere l’equilibrio finanziario è

necessario individuare le caratteristiche essenziali di una struttura finanziaria.

Caratteristiche che possano renderla solida ed in grado di sopportale le difficoltà finanziarie a cui

un’impresa può andare incontro nella sua vita.

Le caratteristiche fondamentali degli strumenti di finanziamento delle imprese, possono essere

così schematizzate:

Omogeneità. I capitali investiti devono essere omogenei rispetto al tipo di fabbisogno da

coprire. Per esempio se si intende acquistare un immobile sarà più opportuno pensare ad una

forma di finanziamento a medio-lungo termine piuttosto che a breve. La quale può essere più

adatta alle coperture legate all’attivo circolante;

Flessibilità. Capacità di modificare la struttura finanziaria in relazione all’evoluzione degli eventi

aziendali. In modo da riprodurre un costante equilibrio tra impieghi e fonti;

Elasticità. La possibilità per l’impresa di avere maggiori margini di manovra nelle sue scelte

finanziarie;

Economicità. La massimizzazione del differenziale tra rendimento dell’investimento, inteso

come profitto legato alle vendite, e costo del capitale proprio o di terzi.

Raggiungere l’equilibrio finanziario attraverso il raggiungimento di questi principi non è semplice,

tuttavia, raggiungere questo obiettivo può portare l’impresa a ridurre il rischio di insolvenza e

il rischio di illiquidità. Il rischio di insolvenza è legato all’incapacità di onorare gli impegni a medio-

lungo termine. Il rischio di illiquidità è legato al momentaneo deficit di cassa durate lo svolgimento

dell’attività di impresa.

5. Le fonti di finanziamento aziendali

Come abbiamo visto, ogni azienda, per lo svolgimento della sua attività, necessita di risorse

finanziarie, sotto forma di capitale.

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Gli strumenti di finanziamento cui un’impresa può ricorrere possono essere di due tipi:

Finanziamenti a titolo di capitale proprio (aumenti di capitale sociale);

I Finanziamenti a titolo di capitale di terzi (finanziamenti, prestiti, dilazioni di pagamento

concesse ai fornitori).

Finanziamenti a titolo di capitale proprio

Il capitale sociale rappresenta il valore dei conferimenti effettuati dai proprietari dell’impresa,

dalla sua costituzione e successivamente, e dagli utili prodotti dalla gestione e non distribuiti dai

proprietari (autofinanziamento). Gli aumenti di capitale sociale possono essere gratuiti (aumento

di capitale nominale) oppure a pagamento (aumenti di capitale reale).

Aumenti gratuiti di capitale

o Gli aumenti gratuiti di capitale sociale sono disciplinati dall’articolo 2442 c.c., il quale

dispone che l’assemblea può disporre di aumentare il capitale imputando a capitale le

riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili. Negli aumenti gratuiti di

capitale c’è soltanto una diversa imputazione di alcune poste ideali del patrimonio

netto che non determinano una vera e propria fonte di finanziamento reale, ma

soltanto nominale. Questo in quanto con questo strumento si va soltanto ad

aumentare il valore delle partecipazioni sociali in possesso dei soci (o azionisti), senza

un incremento del patrimonio sociale.

In questo tipo di operazione le azioni di nuova emissione devono avere le stesse

caratteristiche di quelle in circolazione, e devono essere assegnate gratuitamente agli

azionisti in proporzione a quelle da essi già possedute, (articolo 2442 co. 2 c.c.).

o Aumenti di capitale a pagamento, invece, determinano la principale fonte di

finanziamento interna delle società. Con questa operazione si genera un aumento del

patrimonio sociale per effetto dei conferimenti. L’aumento di capitale non può essere

eseguito fino a che le azioni precedentemente emesse non siano interamente liberate.

In caso di violazione, gli amministratori sono solidalmente responsabili per i danni

arrecati ai soci ed ai terzi, (articolo 2438 c.c.). Il procedimento di aumento di capitale

sociale è rimesso all’assemblea straordinaria dei soci, alla presenza di un notaio. Lo

statuto sociale, può tuttavia attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il

capitale fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di 5 anni dalla

data dell’iscrizione della società nel R.I. (articolo 2443 c.c.). Per quanto riguarda gli

obblighi pubblicitari, nei 30 giorni dall’avvenuta sottoscrizione delle azioni di nuova

emissione gli amministratori devono depositare per l’iscrizione nel registro delle

imprese un’attestazione che l’aumento del capitale è stato eseguito, (articolo 2444

c.c.). Se l’aumenti di capitale avviene tramite versamenti in denaro, i sottoscrittori

devono, versare alla società almeno il 25% del valore nominale delle azioni sottoscritte.

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Inoltre, se le azioni sono emesse con sovrapprezzo, questo deve essere interamente

versato, (articolo 2439 c.c.).

Se l’aumento di capitale avviene mediante conferimento di beni in natura o crediti, le

azioni corrispondenti devono essere interamente liberate, al momento della

sottoscrizione, (articolo 2342 comma 3). Inoltre, chi conferisce beni in natura o crediti

deve presentare una relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale,

contenente la descrizione dei beni conferiti, e l’attestazione che il loro valore è almeno

pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale.

Finanziamenti a titolo di capitale di terzi

Oltre al finanziamento con capitale proprio l’impresa può finanziarsi anche ricorrendo al capitale di

terzi, cercando di tenere sempre in equilibrio il rapporto tra mezzi finanziari propri e di terzi

dell’impresa. I principali mezzi di finanziamento esterni possono essere i seguenti:

Finanziamenti a medio/lungo termine erogati da banche: I Finanziamenti bancari a medio-

lungo termine sono contraddistinti da una scadenza contrattuale superiore a diciotto mesi

e, generalmente entro i 60/72 mesi. A differenza dei finanziamenti bancari a breve termine

(destinati in maniera indifferenziata al finanziamento del capitale di esercizio delle

imprese), questa tipologia è indicata come credito di scopo perché si rende necessario

stabilire una stretta relazione tra il prestito erogato e l’investimento destinato ad essere

finanziato. Risulta difficile delimitare il grado di rischio insito nel prestito perché più le

scadenze sono protratte nel tempo maggiori risultano le difficoltà di previsione

dell’andamento futuro dell’impresa affidata e, di conseguenza, le possibilità di errori di

valutazione e rischi di perdita.

Il Mutuo: Il mutuo è quel contratto bancario in cui si prevede l’erogazione in un’unica

soluzione di una somma di denaro a favore di un beneficiario (mutuatario) che si impegna a

restituire l’importo preso a prestito secondo un piano di rimborso che stabilisce la

periodicità e l’ammontare delle rate.

o MUTUO IPOTECARIO: concesso dietro prestazione di una garanzia reale tramite

costituzione di ipoteca. Per legge, l’ipoteca è una garanzia costituita mediante iscrizione

nei pubblici registri immobiliari su un determinato immobile (una casa, un terreno,

ecc.): essa attribuisce al creditore il diritto di far espropriare e di far vendere detto

bene con il beneficio di trattenere, dal ricavato della vendita, tutto ciò che gli è dovuto

dal debitore per capitale, interessi e oneri accessori. Tale diritto di espropriazione e

vendita può essere esercitato anche nei confronti di terze persone, a cui

eventualmente il debitore abbia venduto l’immobile dopo l’iscrizione dell’ipoteca.

L’ipoteca è costituita con atto notarile e con la specifica formalità dell’iscrizione nei

registri immobiliari, che ha efficacia per 20 anni, al termine dei quali l’ipoteca si

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estingue, se non è stata rinnovata alla scadenza su domanda del creditore. Su uno

stesso immobile possono essere iscritte anche più ipoteche, contraddistinte in ordine di

tempo da un numero d’ordine (cosiddetto grado dell’ipoteca) e, in caso di esproprio o

vendita dell’immobile, il ricavato soddisfa prima il creditore garantito da ipoteca di

primo grado, poi quello garantito da ipoteca di secondo grado, e cosi via.

o MUTUO CHIROGRAFARIO: Il mutuo chirografario, invece, è un mutuo fiduciario, basato

solo sulla firma del cliente, ed è tipico di chi ha una busta paga o è un libero

professionista, in quanto per poterne usufruire occorre dimostrare di possedere un

buon reddito costante da almeno tre anni

Il piano di ammortamento può essere costruito secondo due procedimenti:

A quote capitali costanti (ammortamento italiano), in cui la rata è decrescente

perché composta da una quota capitale, che rimane invariata per tutta la durata

del prestito, e una quota interessi decrescente, perchè calcolata sul debito

residuo;

A rata costante (ammortamento alla francese o progressivo), in cui la rata,

costante per l’intero periodo, è composta da una quota capitale crescente e una

quota interessi decrescente.

Al mutuatario è concessa la facoltà di estinzione anticipata del prestito decorso

un certo periodo di tempo (non inferiore a dodici mesi dalla data di erogazione

del mutuo) dietro pagamento di una penale compresa tra lo 0,50 e il 3% da

calcolarsi sul debito residuo;

L’importo massimo erogabile è generalmente pari all’80% del valore dei beni

ipotecati. Il limite può essere elevato fino al 100% solo nel caso in cui vengano

prestate garanzie integrative (pegno su titoli, fideiussioni bancarie, polizze

fideiussorie di compagnie assicurative, ecc.);

Può essere previsto un periodo di pre-ammortamento, in cui il mutuatario si

impegna al pagamento dei soli interessi calcolati sull’intero debito.

o Elementi di costo

Tasso d’interesse, concordato tra le parti al momento della richiesta di mutuo e

indicato dal contratto. Può essere: o Fisso, quando indipendentemente dalle

condizioni di mercato e/o dalle esigenze di una o entrambe le parti, il tasso

applicato rimarrà costante per tutta la durata del contratto, o Variabile, quando

è previsto che il tasso si adegui al mutamento delle condizioni di mercato.

Risulta dalla somma di due parti: un tasso di mercato e uno spread fisso; i

parametri di riferimento più utilizzati sono l’Euribor, l’Eurirs, Tasso BCE.

Spese notarili, relative all’atto di erogazione del mutuo e all’iscrizione

dell’ipoteca presso la Conservatoria dei registri immobiliari;

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Spese di istruttoria e di perizia per la valutazione della garanzia reale;

Imposta sostitutiva e premio assicurativo contro l’incendio e/o il furto del bene

nonché sulla vita e sugli infortuni del mutuatario.

il leasing finanziario: Il leasing è una forma di finanziamento a lungo termine, utilizzata

solitamente dalle imprese come alternativa all’acquisto diretto di immobilizzazioni strumentali

all’attività produttiva. Il leasing è un contratto con il quale un istituto erogante mette a

disposizione dell’azienda un bene mobile o immobile, dietro il versamento di un canone

periodico. L’impresa utilizzatrice individua un bene di cui necessità. L’acquisto dello stesso, e il

conseguente pagamento del fornitore, avviene però ad opera della società di leasing

(locatore) che diviene quindi proprietaria del bene. Quest’ultimo viene consegnato all’impresa

(locatario) che si impegna a corrispondere un canone periodico alla società di leasing per tutta

la durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore potrà scegliere tra tre

alternative:

o Restituire il bene oggetto del contratto di leasing;

o Rinnovare il contratto, con la corresponsione di un canone più ridotto rispetto al

precedente;

o Acquistare il bene stesso, mediante il pagamento di un prezzo prefissato alla stipula

del contratto (prezzo di riscatto), diventandone proprietario.

I Prestiti obbligazionari: L’emissione di prestiti obbligazionari è una forma di finanziamento

a lungo termine, cui possono ricorrere le società per azioni e in accomandita per azioni.

L’emissione di prestiti obbligazionari consente di reperire nuovi capitali mediante l’offerta

al pubblico di titoli di credito. Infine, l’emissione di prestiti obbligazionari può essere

demandata dall’assemblea straordinaria all’organo amministrativo. Ai sensi dell’art. 2412

c.c. le società possono emettere obbligazioni, al portatore o nominative, per una somma

complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle

riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato. (limiti superati da normativa

minibond). Le Srl possono emettere prestiti obbligazionari sottoscrivibili solo investitori

istituzionali (sottoposti a vigilanza BKI) senza limiti quantitativi all’emissione.

Finanziamenti a breve termine erogati da banche

ll fido bancario, o affidamento, è definito come l'impegno assunto da una banca a mettere

una somma a disposizione del cliente, o di assumere per suo conto un'obbligazione nei

confronti di un terzo. Gli affidamenti bancari si articolano in diverse forme tecniche che

potremmo riassumere nelle seguenti categorie:

o Fidi di cassa ed assimilati: si tratta principalmente del classico scoperto di conto

corrente, la linea di credito più utilizzata, e anche più costosa per il cliente. Essa

consente di avere un'apertura di credito sul proprio conto corrente, che si

esplicita nella possibilità per il cliente di utilizzare in qualsiasi momento ed in

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qualsiasi modo le somme messe a disposizione da parte dell'istituto di credito

affidante, di norma senza preavviso e senza particolari obblighi di restituzione in

termini temporali. Si tratta sicuramente di una linea di credito comoda per

l'impresa o il privato che ne beneficia, tuttavia le banche affidanti preferiscono

un utilizzo elastico di detta linea di credito, e tendono a ridurre o a revocare gli

affidamenti caratterizzati da utilizzi pieni e statici.

o Smobilizzo crediti, definito anche come castelletto bancario: è una categoria

piuttosto ampia che riguarda quelle linee di credito che consentono lo

smobilizzo dei crediti che il soggetto richiedente vanta nei confronti di soggetti

terzi. In tale categoria si ravvisano principalmente i seguenti tipi di affidamento:

i fidi cosiddetti di portafoglio composti da anticipo, sconto e credito

effetti, dove si intendono per effetti le ricevute bancarie e le

classiche cambiali.

l'anticipo fatture, a sua volta articolato in anticipo fatture con cessione e

senza cessione del credito. Anticipo fatture: è una procedura di

finanziamento che prevedere l'anticipo di liquidità su una o

più fatture ancora da saldare in cambio di un interesse sulla somma da

ricevere. Si tratta di un accordo stretto con la tua banca in una forma

simile ad un normale fido ma con interesse ridotto. Vale a dire che la tua

banca ti permette di avere subito a disposizione i soldi (solitamente non

l'intera somma ma il 70% o 80%) a patto che li restituisca con una

percentuale di interessi e commissioni una volta ricevuto il pagamento.

Tipi di anticipo fatture: Possiamo definire 2 diversi tipi di anticipo fatture

in base a chi si occupi di ricevere il pagamento del cliente e della

restituzione dei soldi. Precisamente parliamo di:

mandato all'incasso se la banca anticipa la somma e, al momento

del pagamento della somma sul conto bancario da parte del

debitore, la banca ha il permesso di dedurre quanto dovuto per

l'anticipo dal totale e trasferire il resto.

cessione del credito se la banca dopo aver messo a disposizione

l'importo ha un rapporto diretto con il debitore per recuperare il

credito. In questo caso al momento del trasferimento al creditore,

il debitore riceve una notifica con tutte le informazioni necessarie

e i termini di restituzione dell'importo. Questa notifica viene

spesso seguita da una conferma di accettazione come garanzia

di credito.

Con l’anticipo su fatture una banca, previa concessione di un fido, anticipa ad

un’impresa l’importo delle fatture emesse da quest’ultima.

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Il portafoglio salvo buon fine consiste, invece, nell’anticipo da parte di una banca

dell’importo delle ricevute bancarie.

Fidi di firma: si tratta di garanzie prestate dall'istituto di credito a favore di terzi per conto

del soggetto richiedente, la forma tecnica più diffusa è sicuramente

la fideiussione bancaria. Esistono fideiussioni del dare e del fare. Le fideiussioni del dare

garantiscono il capitale che la garanzia espone come valore facciale di incasso. Le

fideiussioni del fare garantiscono l'adempimento di lavori e prestazioni anche in forma

finanziaria ma finalizzati a questi precisi scopi.

le Ricevute Bancarie (detta anche RI.BA. oppure semplicemente Riba) è un servizio

bancario di incasso che consente alle aziende creditrici di riscuotere le proprie fatture

attraverso la rete di sportelli automatici. È uno strumento finanziario usato per la gestione

aziendale, aperto a tutti, con cui il creditore dichiara di aver diritto a ricevere dal debitore

(tramite esibizione di documenti giustificativi) una somma di denaro versata a mezzo banca

a saldo di una determinata fattura e autorizza la banca alla riscossione dell'importo

indicato, secondo le istruzioni impartite dal cliente. L'operazione si distingue dallo sconto

bancario in quanto il cliente non cede il proprio credito alla banca, ma le conferisce solo un

mandato in rem propriam all'incasso, accompagnandolo dalle ricevute di pagamento

quietanzate. La banca, a sua volta, mette a disposizione del cliente (se ha stipulato un

contratto di anticipo di effetti al salvo buon fine), mediante accredito in conto corrente

(ovvero l'utilizzo di fido dedicato), il relativo importo senza attendere la scadenza e la

riscossione dal terzo debitore, restando tutelata dal carattere irrevocabile dal mandato

all'incasso per il recupero del credito così concesso al proprio cliente.

Processo di funzionamento di una ricevuta bancaria:

o il creditore compila la ricevuta bancaria contestualmente alla fattura e la

consegna alla propria banca;

o la banca d'appoggio del creditore invia il documento, apponendo una girata

“valuta per l'incasso” come se si trattasse di una cambiale, alla banca

d'appoggio del debitore;

o quest'ultima invia al debitore un avviso di pagamento (normalmente una

fotocopia della stessa ricevuta);

o il debitore, ricevuto l'avviso, si presenta agli sportelli della banca alla scadenza

stabilita, effettua il pagamento e ritira la ricevuta bancaria che, essendo già

firmata dal creditore, funziona come documento di quietanza;

o la banca che ha riscosso l'importo comunica all'altra banca l'avvenuta

riscossione.

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o la banca d'appoggio del debitore accredita l'importo sul conto corrente della

banca del creditore.

L’impresa, che anche per questo tipo di operazione deve aver ottenuto un fido,

presenta le ricevute bancarie mediante una distinta in cui gli effetti sono

elencati in ordine di scadenza. La banca accredita sul conto corrente

dell’impresa l’importo totale della distinta e addebita le relative commissioni.

Alla scadenza di ogni ri.ba., in caso di buon fine, il debitore (cliente dell’impresa)

effettua il pagamento direttamente alla banca. In caso contrario l’importo

dell’effetto insoluto, anticipato dalla banca, viene addebitato sul conto corrente

dell’impresa.

lo sconto di cambiali: con questa operazione l’azienda cede le proprie cambiali ad una

banca ricevendone in cambio il netto ricavo, che è la differenza fra valore nominale

dell’effetto e gli oneri trattenuti dalla banca costituiti dallo sconto (calcolato sul periodo

intercorrente fra data di ammissione allo sconto e scadenza dell’effetto) e dalle

commissioni di incasso. In questo caso l’ente creditizio svolge sia una operazione di servizio

(incasso effetti) sia una operazione di finanziamento (anticipo dell’importo dell’effetto). I

momenti essenziali dell’operazione essenziali sono: l’azienda invia gli effetti alla banca per

lo sconto. La banca, dopo averne accertato la validità, accetta le cambiali allo sconto,

calcola interessi e commissioni e accredita il netto ricavo in c.c. Alla scadenza: se la

cambiale viene pagata l’operazione ha buon fine e non si avrà alcun seguito; se la cambiale

viene pagata la banca provvede a far elevare formale protesto l’operazione ha buon fine e

non si avrà alcun seguito. Con lo sconto di cambiali un’impresa presenta ad una banca una

cambiale al fine di smobilizzare il credito prima della scadenza. La banca, che deve aver

concesso all’impresa un fido, valuta la regolarità dell’effetto, decide se concedere o meno

lo sconto e calcola l’importo da anticipare.

Il factoring, infine, è un’operazione che prevede la cessione di massa di crediti vantati da

un’impresa ad una società di factoring, che si impegna a riscuotere gli stessi. La cessione di

crediti può avvenire pro-solvendo e pro-soluto. Nel primo caso la società di factoring

acquista i crediti con diritto di rivalsa sull’impresa cedente. La cessione pro-soluto, invece,

non prevede il diritto di rivalsa, quindi la società di factoring si addossa il rischio di

insolvenza.

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Il Rating

Il rating è un giudizio che viene espresso da un soggetto esterno e indipendente, l’agenzia di

rating, sulle capacità di una società di pagare o meno i propri debiti. L’agenzia di rating valuta

la solvibilità di un soggetto emittente obbligazioni; in altri termini attribuisce un giudizio circa la

capacità della stessa di generare le risorse necessarie a far fronte agli impegni presi nei confronti

dei creditori. Tale giudizio è sottoposto a revisione

periodica.

Per emettere il giudizio sulla qualità del debito di una società l’agenzia di rating avvia una

procedura che prevede l’analisi delle caratteristiche economico-finanziarie della società in

questione. Viene quindi analizzato il bilancio in tutte le sue componenti e vengono analizzati

parametri come la redditività dell’azienda, la sua capacità di produrre risorse e reddito, la

remunerazione del capitale, i flussi di cassa, i rapporti fra i mezzi propri e il debito e così via.

Gli analisti dell’agenzia di rating devono infatti confrontare i parametri della società sotto esame

con quelli delle altre società del settore in cui essa opera e devono quindi analizzare anche le

caratteristiche del settore stesso e l’andamento del mercato. Oltre ai fattori quantitativi gli analisti

di una società di rating devono cercare di valutare fattori qualitativi come l’affidabilità e le capacità

del management dell’azienda e la credibilità dei progetti e degli obiettivi che la società sotto

esame si è imposta.

In genere per garantire il corretto svolgimento di questa serie di analisi la società sotto esame si

impegna a fornire tutte le informazioni e la documentazione necessarie alla stessa agenzia di

rating compilando un questionario elaborato dall’agenzia di rating sulla base delle prime

informazioni ottenute. Per avviare una corretta analisi delle attività, e dell’affidabilità, di una

società è inoltre necessario che l’agenzia di rating consulti la “Centrale dei rischi” e monitori tutti i

movimenti di denaro e le attività dell’azienda in oggetto. In una seconda fase gli analisti si recano

in azienda per incontrare la dirigenza e valutare il suo operato: dopo aver incontrato i vertici

aziendali gli analisti, completate le ultime procedure di controllo sui dati ottenuti, sottopongono

una raccomandazione ad un comitato di credito, composto da specialisti di settore, dal direttore

generale e dagli esperti del credito dell’agenzia. Il processo di attribuzione del rating dura

solitamente 90 giorni ma i tempi possono essere accelerati per far fronte a particolari scadenze o

altre esigenze.

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Una volta stabilita la valutazione da assegnare e decisa la pubblicazione dei risultati, il rating è

pubblicato per mezzo di un comunicato stampa sul sito dell’agenzia e tramite i principali mezzi di

informazione finanziaria a livello mondiale.

Il rating è assegnato contrassegnando la valutazione secondo diverse scale di valori che variano in

base all’agenzia che si occupa di emettere il rating stesso. La scala dei valori che possono essere

assegnati è comunque una scala alfabetica. Nel caso dell’agenzia Standard & Poor’s i giudizi

variano da “AAA”, il giudizio che indica il massimo grado di solvibilità di una società, alla D che

indica invece lo stato di una società insolvente. Nel caso dell’agenzia Moody’s la scala di valori è

leggermente diversa e prevede come rating più basso una C. Poiché in base ai giudizi delle agenzie

gli investitori retail e istituzionali valutano le loro strategie di allocazione del capitale alcune

distinzioni molto importanti sono da segnalare. In genere un rating che giunga fino al limite

minimo della tripla B (BBB) viene considerato un investment grade, ossia un investimento

relativamente sicuro sul quale possono indirizzare i propri capitali anche gli investitori istituzionali

come le grandi banche d’affari. Al di sotto di questa soglia un titolo acquista una rischiosità troppo

elevata e perciò in genere le obbligazioni con un rating inferiore a BBB vengono

chiamate speculative. Bisogna infatti osservare che tanto maggiore è il rischio che un investitore

corre nell’acquistare un’obbligazione, tanto maggiore è il tasso d’interesse che questa paga. Per

questo motivo i titoli più rischiosi sono anche i più redditizi.

Un’altra classifica tipicamente utilizzata dalle agenzie di rating prevede una divisione delle analisi

su un arco temporale di breve, medio o lungo termine con una scansione che può andare da un

periodo della durata di un mese a un periodo lungo anni. Avviene spesso che un’agenzia emetta

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due rating diversi su diversi periodi e che per esempio classifichi il debito di una società sul breve

termine e sul lungo termine. Indicazioni importanti della gestione di una società possono derivare

proprio dall’analisi della sua capacità di fare fronte sia alle esposizioni sul breve periodo o sia a

quelle necessità intimamente collegate alla gestione ordinaria delle sue attività.

La Centrale Rischi

La Centrale dei Rischi (CR) è un sistema informativo sull'indebitamento della clientela verso le

banche e le società finanziarie (intermediari).

Gli intermediari comunicano mensilmente alla Banca d'Italia il totale dei crediti verso i propri

clienti: i crediti pari o superiori a 30.000 euro e i crediti in sofferenza di qualunque importo. La

Banca d'Italia fornisce mensilmente agli intermediari le informazioni sul debito totale verso il

sistema creditizio di ciascun cliente segnalato.

La Centrale dei Rischi ha l'obiettivo di:

migliorare il processo di valutazione del merito di credito della clientela

innalzare la qualità del credito concesso dagli intermediari

rafforzare la stabilità finanziaria del sistema creditizio.

La Centrale dei Rischi favorisce l'accesso al credito per la clientela "meritevole".

I dati della CR sono riservati. Chi vuole conoscere la propria posizione presso la Centrale dei Rischi

può rivolgersi alle Filiali della Banca d'Italia. Per la correzione di eventuali errori nelle segnalazioni,

l'interessato deve rivolgersi direttamente all'intermediario. Le informazioni anagrafiche dei

soggetti segnalati in Centrale dei Rischi sono registrate nell'Anagrafe dei soggetti.