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[Douglas R Hofstadter] Ambigrammi Un Microcosmo i(BookZa.org)

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DOUGLAS R. HOFSTADTER

AMBIGRAMMI

un microcosmo ideale per lo studio della creatività

hopefulmonster

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Titolo originale AMBIGRAMS Traduzione di Fulvio Salvadori con la collaborazione dell'autore Prefazione di Scott Kim Progetto grafico di Giancarlo Bicocchi (Santa Teresa, 23 maggio 1987)

Prima edizione: Hopeful Monster editore Firenze, 1987

© 1987. Hopeful Monster editore Firenze ISBN 88-7757-006-7

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INDICE

PREFAZIONE 11 I. INTRODUZIONE ALL'AMBIGRAMMATICA

Che cos'è un ambigramma? 17 La varietà degli ambigrammi 18 L'evoluzione delPambigrammatica... 27 ...e del nome "ambigramma" 31 Ambigrammi stiracchiati, ambigrammi naturali 32 Alcuni cugini degli ambigrammi 37 II. LA CREAZIONE DI AMBIGRAMMI

Tre abilità chiave nell'ambigrammatica 39 Le cinque fasi della creazione 40 La percezione e le nostre categorie mentali 42 L'equilibratura: cuore del processo creativo 46 Decisioni discrete e decisioni continue 49 Domande preconfezionate e domande spontanee 52 Modelli militari e modelli anarchici del pensiero 54 Osserviamo da vicino la creazione di un ambigramma 56 III. LA PROBABILITÀ DI SUCCESSO

È difficile fare ambigrammi? 68 Perché si può fare in pratica un ambigramma su ogni nome? 69 Le sedici operazioni di simmetria 71 La distorsione curata delle lettere: il segreto degli ambigrammi 78 Il raggruppamento e la nozione di "entità indivisibili" 79

IV. IL SOGNO DELLA MECCANIZZAZIONE DELL'AMBI-GRAMMATICA La creazione meccanizzata e gli "ambialfabeti" 85 Tristi ambigrammi, privi di magia 88 Sette difficoltà per un approccio troppo meccanico 92

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Esplosioni combinatorie e creature creative Il riconoscimento delle forme e la percezione umana Un'analogia tra numeri primi e entità indivisibili 95 98 99

V. AMBIGRAMMI E ANALOGIE La distorsione curata delle categorie: il segreto delle analogie 101 Tre tipi di analogie e di ambigrammi 103 La selezione naturale e l'inesistenza di ambigrammi brutti 105 Gli ambigrammi: creazioni oppure scoperte? 109 Il ruolo della fortuna nell'ambigrammatica 112 L'elasticità delle parole... 116 ...mette in dubbio la validità delle analogie? 120 Le operazioni di simmetria applicate alle analogie 123 L'attrattiva irresistibile del superficiale 130 Coincidenze, miracoli, e un detto di Enrico Fermi 131

VI. LA LETTURA E LE LETTERE Lezioni apprese dagli ambigrammi favoriti 137 Quattro principi religiosi 139 La concorrenza tra pressioni mentali incommensurabili 143 Quell'odioso puntino sulla " I " maiuscola 145 Eppure si legge: il caso di "Johann Sebastian Bach" 149 Orde di "ricognitori" microscopici al lavoro nel cervello 154 Concetti diffusi e sovrapposti 155 L'effetto di puntellamelo percettivo 158 I ruoli e la struttura nascosta dei concetti 161 L'influenza dell'accoglienza pubblica 167 Cosa si aspetta l'ambigrammista dal pubblico 169 Ambigrammi in altri sistemi di scrittura 170

VII. CREAZIONE CONTRO SCOPERTA II paradosso del credito 179 I romanzi e le sinfonie come mere scoperte 181 Due miti simili: il libero arbitrio e la novità creativa 183 Delitto e castigo scritto da Elio Vittorini? 187 II ruolo del caso e dell'arbitrio 188 Slittabilità e rivelazione 190 Le ambimelodie 191

Vili. LETTERA E SPIRITO La creatività modellata in micromondi 192 Mini-analogie alfabetiche e grafiche 193 Sempre aspettare l'inaspettato! 199

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AMBIGRAMMI Le venti regioni d'Italia 201 Città italiane 211 Persone 239 Musicisti 257 Vari 265 BIBLIOGRAFIA 271

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Hopeful Monster ringrazia Adelina von Fürstenberg

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PREFAZIONE

E benvenuta sia la Sala a Specchi di Douglas Hofstadter! Se que-sto fosse il mio libro Inversions, leggereste la prefazione di Doug Hofstadter, mentre quella che state leggendo è la mia prefazione al libro di Doug. Quando Doug scrisse la prefazione alla mia rac-colta di scritte simmetriche, gli dissi che un giorno speravo di fare altrettanto per i suoi caratteri disegnati. Sono contento di poter dire che il ciclo è chiuso. Gli "ambigrammi", come li chiama Doug, hanno regole sempli-ci: basta scrivere un nome, o una parola, allo stesso tempo leggi-bili e simmetrici. È ovvio che la leggibilità è nell'occhio di chi leg-ge, e che si ottiene la simmetria in molti modi. Per ciascun nome ci sono perciò molte vie possibili da esplorare. Resto sempre affa-scinato dalla gamma di stili diversi adottata dagli "ambigrammi-sti" di mia conoscenza. Doug, ad esempio, preferisce lettere maiu-scole disegnate con linee a larghezza costante, mentre io sono più propenso a usare minuscole con linee a spessore variabile. Con Doug amiamo sfidarci nel raggiungimento di nuove vette del-l'assurdo. In questa raccolta, egli ha composto ambigrammi in-troducendo novità importanti: l'oscillazione (come in "Mozart Quartet" Fig. p. 259), la rotazione di 90 gradi (come in "David Moser", Fig. 12), l'interscambio di minuscole e maiuscole ("Don Byrd", Fig. 5), lettere che compaiono dal nulla (si noti come la " o " di " T o m " si nasconda all'interno di "Lehrer" nella Fig. p. 263). La " S " eccessiva di "Sondra" (Fig. 37) mi richiama alla mente l'amore di Doug per i pezzi per piano di George Gershwin. Ger-shwin dev'essere stato felice di aver immaginato accordi inimma-ginabili, insensatezze armoniche, eppure avendo osato trovare ta-

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li accordi, sempre era capace di inserirli in contesti in cui non solo risultavano accettabili ma anche gradevoli. Niente di diverso ac-cade negli ambigrammi. Una figura che può dapprima apparire insensata dal punto di vista dell'alfabeto, come la " y " di "Nan-cy" (Fig. 3), acquista un senso nel contesto del nome. Come mi disse una volta il mio amico Jef Raskin, nell'improvvisazione mu-sicale più importante che entrare nelle situazioni è saperne usci-re. Lo stesso avviene negli ambigrammi: i principianti sanno be-nissimo come restare impigliati nelle complicazioni, ma solo gli esperti conoscono come sciogliere i nodi. Ma, al di là della frivolezza del gioco, qual'è il punto? A che sco-po sottoporre le lettere a queste penose contorsioni? Forse Hof-stadter non sa come si fanno le lettere? La risposta usuale sarebbe quella di dare un valore romantico ai giochi intrapresi dagli adul-ti: " È uno scienziato serio; non è sorprendente che trovi anche il tempo per questi giochi?". Ma così si emargina il gioco e lo si tratta come un lusso. Non è la mia opinione, e scrivere questa prefazio-ne mi ha offerto l'opportunità di scorgere la connessione fra fri-volezza e gravità. Doug, in effetti, pensa al funzionamento del pensiero. Crede che il pensare non si riduca a una catena di argomenti logici, ma che sia una nube di associazioni fuggitive, come le inattese intercon-nessioni di idee che emergono con particolare chiarezza nelle ana-logie, nelle battute, nei lapsus di lingua e di mano. Per Doug, i pensieri più gravi posseggono la stessa tessitura dei giochi di paro-le più leggeri. Pertanto il Gioco, nel senso più ampio, non è qual-cosa che si fa a tempo perso, ma ciò che facciamo tutto il tempo. O, almeno, che noi facciamo tutto il tempo. Io e Doug amiamo gingillarci con le idee, distorcerle per poi ricombinarle in modi astru-si spingendole fino ai loro limiti, e anche al di là. Molti considerano il libro di Doug, Godei, Escher, Bach, come una grande sintesi, ed è vero che gl'interessi di Doug siano molto vasti. Per me, tuttavia, l'aspetto più significante e ispirante che colgo nei suoi scritti è la voglia, o piuttosto dovrei dire la brama, di giocare, di esplorare ie idee nelle loro associazioni a livelli mol-teplici (anche a rischio di apparire ridicolo a volte). In particola-

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re, Doug si sente a suo agio con le stravaganze del paradosso e dell'autoreferenzialità. Anche la mia mente è affollata da tali as-sociazioni, ma è soltanto dopo aver incontrato Doug che ho im-parato a rispettarle. Detto ciò, quel che amo di più negli ambigrammi, non è la com-plessità, ma il fatto che siano personalizzati. Quando osservo un ambigramma di qualcuno che non conosco, attraverso di esso rie-sco a farmene una certa immagine. Spero perciò che anche voi pos-siate ricevere un'immagine di Doug per mezzo dei suoi ambigrammi e, scoprendone i trucchi e le strutture, trarne altrettanto piacere di quanto ne ebbe lui nel farli.

Scott Kim

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DIALOGO TRA GEBSTADTER E HOFSTADTER

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I. INTRODUZIONE ALL'AMBIGRAMMATICA

Nel saggio che segue, in forma di conversazione tra me e il mio alter ego, Egbert B. Gebstadter, sono esposte le mie vedute su un tipo di arte che esercito da molti anni. Certe domande poste nel prosieguo sono le più comuni tra quelle in cui mi sono imbattuto mostrando alla gente i miei ambigrammi; altre ancora toccano li-velli profondi rispetto all'attività stessa della loro creazione — anzi della creazione in generale. Io penso alle mie ipotesi sulla creativi-tà in questo campo come ipotesi sulla creatività in generale, per-ché sono convinto che questo campo curioso e divertente sia rap-presentativo di qualsiasi altro in cui si esprima l'esercizio della crea-tività, come l'improvvisazione e la composizione musicale, l'arte visiva di ogni genere, i giochi di parole, la letteratura, e la scoper-ta matematica o scientifica.

Che cos 'è un ambigramma? G e b : Bene, cominciamo dall'ovvio. Cos'è un ambigramma?

H o f : Un ambigramma è un gioco di parole visivo di tipo speciale: un disegno calligrafico che possiede due (o più) interpre-tazioni chiare come parole scritte. Si può saltare a volontà dall'u-na all'altra delle letture rivali, spostando di solito materialmente il punto di vista (muovendo in qualche modo il disegno), e più ra-ramente alterando semplicemente qualche decisione percettiva (ro-vesciando internamente un commutatore mentale, per così dire). Talvolta le due letture diranno cose diverse, altre volte identiche. Un ambigramma le cui letture sono diverse si chiama eterogram-ma\ uno con letture identiche, omogramma. Nel tipo più comune di ambigramma, le due interpretazioni ruo-tano di 180 gradi l 'una rispetto all'altra — cioè si ottiene una se-conda lettura dalla prima semplicemente girando il foglio. Questo si chiamerà ambigramma mezzo-giro. Se ne può avere un esempio nella Fig. 1, che è un omogramma mezzo-giro sulla parola inglese "Ambigram".

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G e b : Gli ambigrammi, almeno quelli di questo tipo, sono una varietà dei palindromi?

H o f : Non esattamente, anche se questa è un'impressione co-mune. Un palindromo è una parola o una frase che letta dalla fine all'inizio dice la stessa cosa che letta dall'inizio alla fine. Questa proprietà non dipende in alcun modo dall'aspetto visivo della fra-se, ma soltanto dalla sequenza in cui sono disposte le lettere che la compongono. Un ambigramma invece è un fenomeno intrinse-camente visivo, quasi un'illusione ottica (benché non si tratti cer-tamente di un'illusione). Tuttavia molta gente non può fare a me-no di vedere negli ambigrammi mezzo-giro (e in altri tipi di ambi-grammi) dei palindromi; in effetti sono cugini alla lontana, con una forte rassomiglianza di famiglia. Poiché gli ambigrammi di questo tipo sono i più facili da eseguire (e pertanto i più comuni), e di solito sono anche simmetrici (come nella prima Fig.), molte persone giungono alla conclusione che per un verso o per un altro ogni ambigramma debba essere di necessi-tà simmetrico, mentre non è assolutamente così. La simmetria ha molto a che vedere con gli ambigrammi, ma non per questo tutti gli ambigrammi sono simmetrici! E nemmeno tutti gli omogrammi.

La varietà degli ambigrammi G e b : Vedrei volentieri un omogramma asimmetrico, ma pri-ma è bene stabilire quali altri tipi di ambigrammi ci sono.

H o f : Bene, oltre alle rotazioni di 180 gradi vi sono quelle di 90 gradi — i quarti di giro, in cui una lettura interesserà la nor-male sequenza orizzontale, mentre l'altra riguarderà una striscia verticale di lettere. Un eterogramma quarto-di-giro che si legge "Fu-ga" nel senso verticale e "Bach" quando lo si ruota di 90 gradi in senso orario è mostrato nella Fig. 2. Come si vede, è tutto me-no che simmetrico! Siamo partiti qui dalla lettura verticale, men-tre di solito si parte da quella orizzontale. Per convenzione si dice che questo è un quarto-di-giro a senso antiorario, perché una ro-

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1. Un mezzogiro omografico

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u a W O C v

2. Un quarto-di-giro antiorario eterografico 3. Un quarto-di-giro orario eterografico

4a. Una riflessione muro eterografica 4b. Una riflessione lago eterografica

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tazione in senso antiorario ne trasporta la lettura orizzontale sulla verticale. Si noti come ciò trasformi la fine di "Bach" nell'inizio di "Fuga" . Ciò vale per ogni quarto-di-giro a senso antiorario. Naturalmente sono ugualmente possibili quarti-di-giro a senso ora-rio, che trasportano l'inizio sull'inizio. Ne é un esempio la Fig. 3, un eterogramma quarto-di-giro a senso orario su "Rober t" e "Nancy". Gli ambigrammi quarto-di-giro sono un po' più diffi-cili a farsi di quelli mezzo-giro, pertanto sono più rari. C'è un'altra possibilità importante: far sì che una lettura sia la ri-flessione dell'altra. Poiché la si può ottenere con uno specchio a muro (superficie verticale) o sullo specchio d'acqua di un lago (su-perficie orizzontale), ci si renderà conto come essa dia luogo a due tipi di ambigramma ben distinti. A visualizzare questo contrasto propongo la Fig. 4a, un ambigramma a riflessione muro, e la Fig. 4b, un ambigramma a riflessione lago-, in ambedue si legge "Sie-na" per un verso e "Pa l io" nell'altro (illustrando lo scritto famo-so "Chi scrive Siena scrive Palio"). Se non si ha a portata di ma-no uno specchio, si possono osservare le figure dal retro della pagina. Una variazione minore ma curiosa su questo tema è la riflessione di una scritta verticale. La Fig. 5a mostra una riflessione-fogo ver-ticale che si legge "Don Byrd" in ambedue i sensi, la Fig. 5b una riflessione-muro in cui si legge ancora "Don Byrd", una volta maiu-scolo e una volta minuscolo!

G e b : Che ne dici: quest'ultimo è un omogramma o un ete-rogramma? In un senso le due letture sono le medesime, mentre in un altro sono diverse.

H o f : Per me è indifferente. Ma se lo pensi come un omo-gramma, allora hai trovato l'omogramma asimmetrico che cerca-vi. Di tanto in tanto si sono fatti degli ambigrammi che possiedono una simmetria più nascosta, combinazione di riflessione e quarto-di-giro. Si chiamano ambigrammi giravolta. La Fig. 6 ne è un esem-pio: si legge "Perugia" sia in verticale che in orizzontale do-

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po una riflessione muro e una rotazione a senso orario. Questa è un'altra situazione limite: si tratta di un omogramma asimme-trico o di un eterogramma?

G e b : Lo chiamerei piuttosto un omogramma asimmetrico.

H o f : Anch'io, credo. Se cominciamo dalla lettura orizzon-tale e prima lo giriamo in senso antiorario, e poi lo voltiamo (cioè lo riflettiamo a muro), ne otterremo la lettura verticale: sarà per-tanto una giravolta a senso antiorario. Si noti la concordanza di questa terminologia con quella degli ambigrammi quarto-di-giro: " a senso orario" significa "inizio con inizio", e " a senso antio-rario" significa "inizio con fine".

G e b : E se a un mezzo-giro combiniamo una riflessione?

H o f : Niente di nuovo: da una riflessione muro risulta una riflessione lago, e viceversa, come puoi accorgerti da solo. Infine, come ho già accennato prima, è perfino possibile che due letture diverse di un ambigramma oscillino tra loro, intervenendo solo uno spostamento percettivo del punto di vista, senza che tut-tavia ve ne sia uno materiale — lo spostamento sta totalmente nella testa di chi guarda. Casi simili ricordano i disegni ambigui o biu-nivoci come il famigerato "cubo di Necker" della Fig. 7a, che può fluttuare tra avanti e dietro, spesso sfuggendo al controllo di chi guarda. La Fig. 7b è un esemplare di ambigramma a oscillazione che fluttua tra le due interpretazioni di "Scot t" e "Kim". (Per ragioni che non capisco interamente, gli italiani tendono a leggere "Kim" facilmente ma "Scot t" difficilmente, mentre per gli ame-ricani è quasi indifferente.) Per finire, è essenziale che un ambigramma sia un oggetto elegan-te da un punto di vista calligrafico perché possa essere considera-to ben fatto: le sue linee saranno armoniose, la sua forma com-plessiva dimostrerà una uniformità di stile senza svolazzi inutili, e così via.

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Sa. Una riflessione lago, con gramma 5b. Una riflessione muro, con gramma verticale verticale

6. Una giravolta antioraria omografica

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7a. Il cubo di Necker, che oscilla tra due 10. L 'alfabeto scritto da Scott Kim come interpretazioni stabili una riflessione muro

7b. Un ambigramma a oscillazione

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G e b : In un certo senso, qualsiasi campione scritto è un omo-gramma a oscillazione che si sposta tra due letture identiche. Ma questo è un caso degenerato, proprio banale. Mi chiedo però se non esista da qualche parte un omogramma a oscillazione non banale.

H o f : Un indovinello molto grazioso! Ci penserò sopra.

G e b : Bene! Dimmi — perché gli ambigrammi si fanno di solito sui nomi delle persone, più che sulle parole?

H o f : Perché prima di tutto gli ambigrammi sono apprez-zati come regali ed è una gioia farli per gli amici. Ricevere qualco-sa di esclusivamente personale è una piacevole esperienza per chiun-que, specialmente se questo qualcosa ha il valore, come nel caso degli ambigrammi, di una sorpresa che si rinnova ogni volta che 10 si mostra — vi è come un senso di magia che viene evocato. Per una coppia, poi, può esser romantico vedere i propri nomi fu-si insieme in un disegno armonioso. Una volta un mio amico, Randy Read, ha commentato: "Il più tenero atto d'amore è manipolare 11 nome dell 'adorato" — un pensiero incantevole. Una seconda ragione è che molti nomi sono internazionali e per-tanto restano leggibili anche se li sposta da un paese a un altro. Ciò vale soprattutto per i nomi di personaggi o luoghi famosi, ma anche per molti nomi più comuni. Non c'è tuttavia niente di sba-gliato nel fare ambigrammi su parole ordinarie, come per esem-pio nella Figura 8, che sarebbe utile nei negozi.

L'evoluzione dell'ambigrammatica... G e b : Chi ha inventato gli ambigrammi?

H o f : Non saprei dirlo con precisione. Martin Gardner pre-senta alcuni ambigrammi mezzo-giro nelle sue note al libro Oddi-ties and Curiosities of Words and Literature di C.C. Bombaugh, che risalgono abbastanza indietro nel tempo. Uno degli esempi fu

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pubblicato sullo Strand Magazine già nel 1908: pertanto l'idea è almeno altrettanto vecchia — ma con ogni probabilità è più anti-ca. Per quanto mi riguarda, incontrai per la prima volta il concetto di ambigramma presso il mio vecchio amico Peter Jones, che l'a-veva inventato per conto proprio, all'incirca nel 1964. (Vedere al-la Fig. 9, un ambigramma quarto-di-giro a senso antiorario sul suo nome). Insieme ci mettemmo a giocare con i nostri nomi e con quelli degli amici. Alcuni di questi tentativi erano ingegnosi, ma per lo più erano buffi e brutti. Ho l'impressione che l'idea avesse conquistato più me di Peter, perché continuai il gioco più a lun-go, benché probabilmente non ne abbia fatti più di una dozzina nel periodo di alcuni anni. Circa dieci anni dopo Peter Jones, Scott Kim, allora studente li-ceale, ebbe di nuovo e in maniera autonoma questa idea. Fu ap-pena prima che c'incontrassimo (nella primavera del 1976). Passò poco tempo e scoprimmo di avere in comune questo strano gioco con le lettere; tutti eccitati ci scambiammo allora i nostri ambi-grammi (benché allora non avessero ancora questo nome). Quelli di Scott erano migliori della maggior parte di quelli che Peter e io avevamo fatto, e da allora Scott perfezionò sempre di più il suo stile fluido e prodigioso. Direi che Scott è l'ambigrammista mi-gliore che esista. Ha fatto migliaia di ambigrammi, e nel 1981 uscì un libro dal titolo Inversions, che riuniva i migliori. Io scrissi la prefazione. Come esempio della sua maestria si veda la Fig. 10, un bellissimo alfabeto a riflessione muro, eseguito da Scott nel 1980. Alcuni degli ambigrammi meglio riusciti di Scott vennero pubblicati nel 1979 nella rubrica "Games" della rivista mensile Omni come "de-signature". Fu anche aperta una gara tra i lettori per le migliori "designature", e alcuni numeri dopo Omni pubblicò i vincenti. Nello stesso periodo Martin Gardner mostrò alcuni dei migliori lavori di Scott Kim nella sua rubrica su Scientific American. Per questo molti associano gli ambigrammi a queste pubblicazioni.

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8. Una riflessione muro che sarebbe uti-le ai negozianti

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DIVISION 11

9. Un quarto-di-giro sul nome di un am-bigrammista in pensione

11. Un ambigramma molto stiracchiato

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... e del nome "ambigramma" G e b : Si ha l'impressione che vi sia una certa indecisione sul nome. Hai detto che sono stati chiamati "designature" e "inver-sioni", oltre che "ambigrammi". Il primo termine è certamente goffo e suona male. "Inversioni" sembra migliore. Ma la parola "ambigramma", da dove è uscita?

H o f : "Ambigramma" è una parola composta con un pe-digree linguistico un po' dubbio. A dire il vero, non amavo il ter-mine "inversioni" di Scott: mi sembrava troppo debole e non co-municava l'essenza del fenomeno. Dopo alcuni anni, perciò, mi misi a cercare un termine più vivace. Alcuni amici si unirono alla ricerca, e dallo sforzo comune uscì fuori "ambigramma", che con-siste nel prefisso latino "ambi-" che significa "doppio" (come in "ambiguo"), e nel radicale greco "gram", che significa "campione di scrittura". Perciò la maniera più semplice per definire gli am-bigrammi è "campioni ambigui di scrittura". Mi rendo conto ora che sarebbe stato più corretto, dal punto di vista della purezza etimologica, usare il prefisso greco "amphi-" (o "anf i " , in italiano), che significa " a doppio senso", come in "anfibio", oppure come nella strana parola "anfisbena", che si-gnifica "un serpente che ha una testa a ciascuna estremità", inve-ce dell '"ambi" latino. In questo caso il termine sarebbe stato "an-figramma", o forse perfino "anfonimo" ("nome a doppio sen-so"). Tuttavia quando trovammo il termine "ambigramma", era-vamo convinti che "ambi-" fosse greco. Probabilmente è stato me-glio così, poiché "anfigramma" o "anfonimo" suonano meno con-tagiosi di "ambigramma", e la nostra comunità è ormai assuefat-ta al termine.

G e b : Vuoi dire che esiste una comunità di ambigrammisti?

H o f : Ce n'è una, ma non troppo vasta. Conosco meno di dieci persone che praticano l'ambigrammatica regolarmente e con competenza. Ed è interessante notare come ciascuno di essi, senza

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eccezione, abbia trovato per proprio conto un nome da dare alle sue creazioni. Scott Kim continua a chiamarle per lo più "inver-sioni", anche se talvolta passa ad "ambigrammi". Naturalmen-te, io uso solo "ambigrammi". Per i suoi lavori, Greg Huber ha inventato il nome spassoso " i f f y g l y p h " ("glifica dubbiosa"), men-tre Roy Leban (gemello di Bruce) disegna solo "twinonyms" ("ge-mellonomi"). Un artista di New York, Robert Petrick, chiama ciò che fa "Symmetricks" — parola composta da "symmetry" ("sim-metria") e " t r icks" ("trucchi") e per di più rima col suo cogno-me. E, buon ultimo, Alejandro López, uno psicologo cileno re-centemente infettato da questa mania, bolla ogni sua creatura con il nome di "abrapalabra" — che suona simile a "abracadabra" dove "palabra" ("parola" in spagnolo) è stato sostituito a "cadabra" . Io uso la parola "ambigramma" come termine generale che com-prende tutte le varietà, benché solleciti ogni nuovo ambigrammi-sta a cercare un nome originale per le sue creazioni. Nell'inglese c'è spazio per molti altri, come per esempio "flip-'n-see" ("gira-e-guarda", ma che, pronunciato "flippancy", diviene "insolen-za, monelleria"); oppure "see-saw" ("altalena", oppure "vedi-vidi"), o anche "polygrok" (nei circoli fantascientifici, "grok" è usato nel significato di "capire"). Un termine ulteriore coniato da Greg Huber è "Looney Runes" (da "Looney Tunes", i famo-si cartoni animati). A dire il vero, anche trovare nuovi nomi per gli ambigrammi è un'arte. Spero che i lettori italiani si divertano a trovare nomi alternativi in italiano.

Ambigrammi stiracchiati, ambigrammi naturali G e b : Come viene stabilito se un ambigramma è riuscito o meno?

H o f : Una domanda terribile! I pochi accenni che ho fatti in precedenza sull'eleganza sono solo la punta dell'iceberg. Natu-ralmente non esiste alcun modo in cui io possa caratterizzare in assoluto i fattori che rendono qualcosa visivamente più o meno

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elegante. Tuttavia vorrei aggiungere alcune osservazioni sull'argomento. Come ho detto prima, è importantissimo rendere minima la com-plessità dell'oggetto nel suo insieme, o "gramma". Ora, quasi ogni ambigramma contiene dei pezzetti estranei che devono essere igno-rati nell'una o nell'altra lettura — ma fino a che punto? Perché la faccenda sia più chiara possibile, prendiamo come caso estre-mo l'ambigramma alquanto sospetto sulla parola "Bivisione", mo-strato alla Fig. 11. Questo ambigramma (qualcuno rifiuterà di accettarlo come tale) è uno scherzo, ma uno scherzo che ha del serio. Tutti ignoriamo il "Bivisione" capovolto che si trova sopra quello normale finché non lo avremo girato, e dopo ignoreremo la forma che appena prima guardavamo, mentre fisseremo la no-stra attenzione sulla forma che fino a un momento fa ignorava-mo. Questo gramma è così carico di linee superflue che forse sia-mo troppo generosi a chiamarlo "ambigramma". Ma dove porre la linea di confine? Qual'è la quantità di svolazzi decorativi che è eccessiva? Dopotutto nei migliori ambigrammi si sfrutta il medesimo effetto — solo lo si fa con maggiore sottigliez-za. I buoni ambigrammi si affidano alla disponibilità che ha la gente ad accettare senza protestare una certa quantità di ciò che appaia "decorazione innocente". È per questo che un senso intuitivo della selezione inconscia che l'osservatore opera su ciò che deve ignora-re è un'abilità chiave che sottostà a ogni far ambigrammi. Per non affrontare la questione in modo esagerato, proporrò un caso più normale del precedente — quello mostrato nella Fig. 12 . Qui l'estroso contorno che circonda "David", benché super-fluo, può essere "scusato" in quanto apporto di disegno elegan-te. Tuttavia ci si può chiedere perché la quarta parte a destra del contorno sia blu, mentre il resto è nero. Voltandolo di 90 gradi in senso antiorario si scoprirà perché: girata, questa parte del con-torno diviene la lettera " M " in "Moser"! L'intero contorno è per-ciò un espediente che ha un solo scopo — "giustificare", in un certo senso, l'introduzione di una lettera in più nella lettura # 2. Tre quarti del contorno agiscono da "copertura" per la quarta parte — un esempio ottimo di come "nascondere le tracce". Ma trucco

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o no, funziona — l'occhio non si ribella. Il "Bivisione" rovescia-to invece si faceva notare come un pollice gonfio e non contribui-va certo al disegno; era perciò "senza scuse". Naturalmente la li-nea di confine tra "elementi di disegno elegante" e "stravaganze inescusabili e gratuite" è vaga e soggettiva. Non vi è dubbio tutta-via che i buoni ambigrammi cadono tutti nella prima definizione, mentre quelli cattivi stanno nell'altra. Virtualmente ogni ambigramma richiede da parte dell'artista una qualche distorsione delle forme letterali. Ma, naturalmente, vi so-no le eccezioni. Un esempio semplice è la parola " N O O N " ("po-meriggio', Fig. 13) che, stampata in lettere maiuscole senza ter-minazioni (questo per gli esperti che sanno che una " N " maiu-scola di solito ha la lineetta di terminazione al culmine e non sul margine basso della diagonale), forma un elegante ambigramma mezzo-giro senza alcuna distorsione. Un altro esempio è " t idbit" ("bocconcino", Fig. 13) che, stampato in minuscole, in caratteri austeri senza terminazioni (in cui le " t " in basso non si pieghino), è un buon omogramma a riflessione-muro. Vi è ancora "DEBBIE" (Fig. 13) che (prese ancora le opportune misure) è un buon omo-gramma a riflessione-lago. Un omogramma quarto-di-giro attraente e del tutto agevole è "OHIO" (Fig. 13) che funziona semplicemente allargando molto le terminazioni in alto e in basso alla " I " . Per mostrare che non tutti gli ambigrammi "naturali" sono omogram-mi, ho incluso il piccolo eterogramma su "eye" ("occhio") e "aha" per concludere la Fig. 13. Ma come ho detto prima, queste sono eccezioni. In generale per fare un ambigramma si devono distorcere in molti modi le lettere, talvolta facendo curve insolite, talvolta escludendo in tutto o in parte le lineette, talvolta aggiungendo qua e là tratti o arricciola-ture — elementi essenziali per una lettura, ma non per l'altra. L'arte degli ambigrammi consiste anche nel conoscere con quanta grazia — o meglio, invisibilità — possano essere inserite le distor-sioni necessarie alla lettura # 1 nelle forme letterali che compon-gono la lettura # 2.

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NOON l i p R tidbit DEBBIE O

13

12. Un ambigramma meno stiracchiato 13. Alcuni ambigrammi naturalissimi

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15 K M 14. Un quarto-di-giro orario dove due let- 15. Un'al tra realizzazione concreta dello

tere nella prima lettura ne fanno una stesso scheletro concettuale che sotto-nella seconda stà alla Fig. 7b

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Alcuni cugini degli ambigrammi G e b : Lo pseudo-ambigramma "Bivisione" mi riporta alla mente il modo con cui l'artista John James Audubon risparmiava carta scrivendo lettere agli amici. Riempiva una pagina nel modo usuale, poi la ruotava di 90 gradi e continuava a scrivere sopra alla scrittura precedente. In questo modo poteva mettere in una pagina il doppio di scrittura. Si può dire che ciò sia in qualche modo ambigrammatico? H o f : Lo direi una specie di caso limite. Si vede una cosa per un verso e qualcosa di diverso nell'altro, sempre ignorando l'altra faccenda. Ma non c'è senso del gioco e della magia, che so-no essenziali. È per questo che non considero le lettere di Audu-bon come ambigrammi. D'altro canto, se si cercano strani casi li-mite, perché non prendere allora semplicemente la parola "MEN-SWEAR", che in America si vede in ogni supermercato? Si può leggere simultaneamente "Mens wear" ("Abbigliamento per uo-mo") e "Men swear" ("Uomini giurano"). Un altro dei miei fa-voriti è ' ' S UPERBO WL ' ' (una grande partita di football ameri-cano), che si può leggere anche "Superò owl" ("Gufo superbo"). Ambedue sono varianti sul tema degli ambigrammi oscillanti. La differenza consiste nel fatto che nessuno di questi dipende dalla presentazione visiva delle parole che ci sono coinvolte. Gli ambi-grammi sono essenzialmente degli oggetti visivi, pertanto debbo ribadire che questi esempi, secondo la mia opinione, devono esse-re esclusi dalla categoria intesa in senso stretto.

G e b : Cosa dire allora dei rovesciamenti tra figura e sfondo come nei bellissimi disegni di M.C. Escher che riempiono tutta una superficie? Può esser fatto qualcosa di simile con le parole? H o f : Certo. Scott Kim ne ha fatti alcuni, e perfino io uno o due. Però, non so per quale ragione, non sono stato preso da questo tipo particolare di ambigramma. Come sfida non mi sem-bra abbastanza attraente, ma non saprei indicare con chiarezza il perché.

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Un'altra variazione marginale sul tema degli ambigrammi è il con-cetto familiare delle parole le cui lettere sono fatte a loro volta con lettere o parole più piccole. Un esempio estremo è la "figura-MU" che si trova nel mio libro Godei, Escher, Bach, in cui ho costruito le lettere della parola zen " M U " con molte versioni di "OLISMO" e "RIDUZIONISMO", e queste ancora con altre versioni di "RI-DUZIONISMO" e "OLISMO" più piccole, che finalmente era-no composte con numerosissimi minuscolissimi " M U " . Questo "poligramma" poteva dunque esser letto a quattro livelli distinti! La figura-MU era senza dubbio un tentativo sulla strada della ma-gia, e inoltre si trattava di qualcosa di intrinsecamente visivo: era pertanto vicina allo spirito degli ambigrammi.

G e b : Ma le lettere in un ambigramma non devono essere all'incirca della stessa misura? H o f : Certo, è una delle premesse non espresse dell'ambi-grammatica. D'altronde devo rinnovare la domanda: dove trac-ciare la linea di confine? La Fig. 14 mostra un quarto-di-giro a senso orario sul nome "Francisco Claro", in cui, salvo la " o " , due lettere in una lettura ne fanno una nell'altra. Considero ciò del tutto accettabile. Bisogna convenire pertanto che i confini del-la nozione di "ambigramma" sono alquanto evanescenti.

G e b : Poiché stiamo prendendo in considerazione tipi estremi di ambigramma — o mancati per poco — perché allora non le facce che rovesciate divengono altre facce, o i quadri di Salvador Dalì nei quali si nascondono crani, persone, e altre cose inaspettate?

H o f : Abbandonando del tutto il campo della parola scrit-ta, stai veramente forzando il concetto! Del resto non diversamente da come io forzo la parola "bat tu ta" se definisco gli ambigrammi come "battute visive": normalmente, "bat tu ta" ha un significa-to linguistico più che grafico. In una definizione del genere, "bat-tuta" passa velocemente dall'uno all'altro di due significati — uno metaforico e uno letterale — e parte del piacere nello scrivere o

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nel leggere una metafora come questa consiste nella tensione, os-sia il senso del distacco e della distanza concettuale tra due sensi. Vi è una sorta di "s t rappo" subliminale che procura una piccola puntura eccitante, come il sapore dell'anidride carbonica in una bibita gassata. Negli ambigrammi, come nelle metafore, due interpretazioni so-no in lotta tra loro, e in essi si ha realmente l'esperienza di questo strappo stimolante, come una tensione o un eccitamento. Senza questo piccolo strappo, senza questa sollecitazione di piacere-dolore, gli ambigrammi non sarebbero di nessun interesse per la gente. Perciò sono d'accordo con la connessione da te accennata: gli am-bigrammi sono parenti prossimi di tutti quei fenomeni dove inter-pretazioni rivali sono in competizione tra loro, e ognuna tenta di avere la meglio sull'altra, ciascuna col suo fascino da esercitare. Ma io credo che sia l'ora di discutere gli ambigrammi puri, per tornare poi, forse, a connessioni più astratte.

II. LA CREAZIONE DI AMBIGRAMMI

Tre abilità chiave nell'ambigrammatica G e b : Quali sono le abilità richieste per fare un buon ambigramma?

H o f : A mio avviso, nell'arte ambigrammatica si richiedo-no tre capacità principali:

1. Immaginazione: l'abilità di guardare una cosa e in essa vederne molte altre.

2. Autocensura: l'abilità di rendersi conto quando un'idea debba esser messa da parte perché le creazioni fondate su di essa sono troppo forzate.

3. Grazia: l'abilità manuale di disegnare curve eleganti, an-goli, linee diritte, ecc.

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Naturalmente, ognuna di queste è in sé un insieme di sottoabilità, che a loro volta possono essere divise, e così via. Credo però che questi tre siano i pilastri principali dell' ambigrammatica. Inoltre si tratta di tre abilità del tutto distinte, di cui una o due possono essere presenti in una singola persona senza che lo siano le altre. Per esempio, il difetto di gran lunga più comune nei principianti è una esuberanza di immaginazione combinata con una quasi to-tale mancanza di autocensura e di grazia. Probabilmente questo succede perché la maggior parte della gente che viene catturata dal-l'interesse per gli ambigrammi rimane eccitata daM'idea, ossia dalla magia della lettura doppia, che viene considerata niente più che il trucco di distoreere le lettere. Purtroppo, però, poche persone hanno studiato con serietà e nel dettaglio le forme letterali, e quindi un principiante tipico non ha molta pratica nel disegnarle con cu-ra. Nonostante ciò, vi si tuffa dentro, crea "grammi" scadenti o goffi, per lo più illeggibili, ed è incapace di riconoscere i propri difetti. E ci vuole poi una buona dose di esercizio e di critica per portarlo ad accorgersi degli errori nei suoi primi tentativi.

Le cinque fasi della creazione G e b : Quale processo si segue per fare un ambigramma?

H o f : Esporrò qui di seguito quelli che considero i passaggi chiave. Naturalmente è mia impressione che questo schema, lungi dall'essere circoscritto nei limiti dell'ambigrammatica, rappresen-ti invece le fasi fondamentali di processi creativi più generali. Lo schema è questo:

1. Trovare uno "scheletro concettuale" (più uno progre-disce e più uno riesce a farlo nella propria testa).

2. Fare un primo schizzo (sarà necessario tracciarlo su un pezzo di carta, in modo da vedere se l'ispirazione che lo sostiene ha qualche speranza di riuscita — in caso con-trario, tornare da capo).

3. Equilibratura — il cuore del processo.

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4. "Dare corpo" (cioè, aggiungere quello che chiamo "stile di superficie"). Questo stadio è facoltativo.

5. Rifinitura. Esaminiamo queste fasi una per una. Ciò che voglio dire con "sche-letro concettuale" è un piano astratto per un ambigramma che pre-veda quali lettere saranno convertite in altre, insieme a idee grezze sui modi di farlo, ma senza dettagli grafici. Per esempio, parte di uno scheletro concettuale che rovesci "Keith" in "Kevin" può es-sere il semplice lampo intuitivo di u n ' " H " maiuscola che si tra-sforma in una " N " maiuscola, una volta opportunamente incli-nata e portata nella posizione giusta la sbarra, e sottoposta a una riflessione-lago. Questa idea implica una conoscenza della " H " -ità e della "N"-i tà , ma non comporta uno stile particolare o una quantità di decisioni minuziose. Naturalmente uno scheletro con-cettuale per un intero ambigramma coinvolge altrettanti abbozzi mentali per tutte quante le lettere. Rispetto all'ambigramma, lo scheletro concettuale è come il pia-no di attacco di un generale per una battaglia: molte decisioni — la maggior parte, in effetti — o non sono state ancora prese, o sono lasciate ad operatori di minore livello. Sono stati decisi solo alcuni punti chiave: quale operazione di simmetria usare (rotazio-ne, riflessione, ecc.); quali lettere di una lettura saranno "appli-cate su" quali lettere dell'altra lettura; la cassa di ciascuna lettera (alta o bassa); quali parti in ciascuna lettera siano più adatte ad essere allargate, ridotte, piegate, ecc. Perciò uno scheletro concet-tuale non è assolutamente un disegno; è "un barlume nell'occhio della mente" — un piccolo insieme di idee chiave che potrebbero realizzarsi in maniere diverse e che potrebbero quindi condurre a un ventaglio di disegni differenti, uniti però da un'affinità di fa-miglia. Per esempio, metti a confronto i due "cugini" delle Figg. 7b e 15 — essi partecipano dello stesso scheletro concettuale, ma sono del tutto diversi nei particolari. Uno scheletro concettuale è pertanto più simile a una corta frase verbale che a un'entità pittorica. Attenzione, però — questa at-traente proposta ha un'aspetto che inganna: uno scheletro concet-

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tuale è in realtà un'intuizione, e come tale non lo si può completa-mente catturare a parole, perché vi è sempre nell'intuizione un "gio-co" che sfugge alla presa di qualsiasi insieme di parole si scelga per tentare di descriverlo esplicitamente. È come nelle leggi (che si esprimono sempre con parole): si deve riconoscere che è lo spi-rito e non la lettera della frase ciò che conta. Perciò si può dire che uno scheletro concettuale è "lo spirito che sottostà a una fra-se concisa che progetta un piano di battaglia in previsione di un atto creativo".

La percezione e le nostre categorie mentali G e b : Non vi hai mescolato un po' troppe metafore?

H o f : È probabile, ma mi sembra corretto. In ogni modo, per creare o scoprire uno scheletro concettuale, comincio di solito col buttar giù, scrivendola, una delle letture che ho preso di mira, una delle letture bersaglio, in lettere maiuscole, a stampatello. Poi posso girare il foglio, oppure scorrerlo semplicemente con lo sguar-do da destra a sinistra. Sono alla ricerca di possibilità. Se la mia immaginazione, nell'osservare la parola da una prospet-tiva particolare, si accorge che vi è un potenziale da sfruttare, mi fermo e considero con cura ambedue le letture, per verificare che a ogni lettera della prima lettura ne corrisponda una della secon-da, e viceversa. Per tutto questo tempo naturalmente la mente de-ve restare apertissima. Il fatto che vi sia una " A " maiuscola di-nanzi ai miei occhi non mi deve impedire di immaginarla come una " a " minuscola oppure anche una " a " corsiva. La parola sulla carta serve soprattutto come ausilio mentale, per non dover tener presenti tutte insieme e contemporaneamente le lettere nei due sensi. A volte scrivo accanto l'altra lettura-bersaglio, con diversa orien-tazione. Ma se non ho carta a portata di mano, posso spesso an-che farne a meno. Va da sé, però, che ci vuole una buona dose di pratica per arrivare a possedere l'abilità di visualizzare parole alla rovescia, o sottosopra, senza perdere la testa. Il primo schizzo è una prova critica dello scheletro concettuale. Come ho già detto, è necessario realizzarlo su carta. C'è una ra-

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gione semplice: si vuole che i nostri occhi facciano per noi il lavo-ro che conta! Questa è la fase dove i giudizi sulla qualità dell'ap-partenenza categoriale sono critici. Voglio dire: questa forma in che misura è riconoscibile come una " A " ? Quante possibilità ci sono che possa essere scambiata, diciamo, per una " S " ? Si deve posare uno sguardo nuovo e obiettivo sul nostro disegno per realizzare questo genere di giudizi. Dopotutto si cerca di si-mulare la vista degli altri nella nostra mente. Il primo compito che ci si presenta è far sì che ambedue le letture abbiano solidità. Per ottenerlo dovremo combattere due insidiose tendenze, complemen-tari tra loro: (1) la tentazione a dichiarare con precipitazione una forma che è solo un aspirante candidato, membro effettivo della categoria letterale che abbiamo prescelta, mentre in effetti questa categoria è una società esclusiva che richiede requisiti tali che non sono stati soddisfatti, e (2) la resistenza a riconoscere che una da-ta forma è, nonostante tutti i nostri sforzi, un membro più forte presso un 'altra categoria, rivale di quella per cui l'avevamo pre-parata. Per combattere queste tendenze inconscie che affiorano quando ci mettiamo ad osservare gli schizzi, si deve fare al con-trario uno sforzo cosciente per restringere i criteri di ammissione nelle categorie desiderate mentre si allenteranno i criteri di ammis-sione alle altre categorie. È semplice a dirsi, ma in realtà è difficilissimo imporre alla nostra mente inconscia il modo di comportarsi. Può accadere, ad esem-pio, che dopo aver delineato uno scheletro concettuale nella no-stra testa, ci si renda conto che la pressione da esso esercitata su di una " R " particolare può volgere le cose in modo che questa si avvicini pericolosamente alla categoria " A " ; restiamo così sul chi vive rispetto a questa possibilità mentre continuiamo il nostro lavoro sulla carta. Ma, nel corso di questo primo approccio, men-tre stiamo attenti ad evitare la trappola della " A " , può darsi che si distorca la " R " in modo tale che ora questa venga attratta peri-colosamente dal campo delle " H " o delle " K " . È essenziale che il nostro scandaglio sappia cogliere con il nuovo sguardo tutto que-sto nelle forme che abbiamo disegnate! In altre parole, non è sufficiente evitare trappole (categorie rivali)

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che siano state previste — bisogna anche essere abbastanza avver-titi da riconoscere trappole impreviste, e persino modi imprevisti di cadere nelle trappole previste. In effetti il pericolo più grande consiste nel cadervi e nemmeno accorgersene! Il sentiero in cui ci siamo addentrati è pieno di trabocchetti maligni, dove forse l'abi-lità maggiore sta nel sapere quando siamo stati presi in una trappola!

G e b : Che incubo! Ma come posso, io ambigrammista, guar-darmi da trappole di cui nemmeno sospetto l'esistenza? Non le vedo avvicinarsi, non so se vi sono caduto. Suona come un paradosso.

H o f : In realtà si tratta tutt 'altro che di un paradosso. In-fatti noi possiediamo un sistema percettivo che agisce in modo si-mile tutto il tempo. Si va continuamente incontro, e li si ricono-sce, a oggetti di ogni genere che non avevamo minimamente anti-cipato. Il nostro sistema percettivo è fatto proprio per questo. È un sistema parallelo altamente specializzato nel combinare milio-ni di micro-segnali simultanei e indipendenti in un unico esito col-lettivo: il riconoscimento di un singolo membro categoriale. Vi è tuttavia una differenza tra le situazioni quotidiane e gli ambi-grammi: per lo più il mondo reale è "ben disposto" con noi; for-nisce membri forti di categorie familiari in modo che èssi siano "votat i" quasi all'unanimità e non si debba rivolgere troppa at-tenzione alle frange minoritarie che chiedono l'inserimento in al-tre categorie (del resto non è un caso che il mondo offra membri solidi alle nostre categorie mentali, poiché possediamo, grazie al-la evoluzione umana e alla nostra personale, un insieme di catego-rie esattamente in sintonia con il mondo). Gli ambigrammi invece mettono alla prova il nostro sistema per-cettivo in maniera insolita: essi contengono oggetti visivi che su-scitano votazioni molto meno certe della maggior parte degli sti-moli visivi che s'incontrano nella vita di tutti i giorni. Di conse-guenza, da ambigrammisti, dovremo riporre maggiore attenzione a tutti i partiti che ricevono un numero significativo di suffragi,

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persino in presenza di una forte pluralità o di una maggioranza. Molta gente, quando inizia a fare ambigrammi, non sa ascoltare ciò che tenta di dirgli il suo sistema percettivo. Ci sono troppe vo-cine che rumoreggiano tutte insieme: " È un' " A " ! " , " È u n ' " R " ! " , " È u n " ' A " ! " , "È u n " ' H " ! " , " È un' " R " ! " , "È una " K " ! " , " È u n " ' A " ! " , " È u n ' " H " ! " , ecc., ecc. — ed è difficile raccapezzarsi tra la folla, tanto che uno è portato ad ascoltare so-lo le voci più forti; va a finire che gli ambigrammi dei principianti sono spesso pieni di lettere che evocano molti sapori indesiderati. Quando si lega insieme una sequenza di forme, ciascuna delle quali suggerisce solo debolmente la categoria desiderata mentre ema-na aromi di altre categorie, la sequenza intera può sì o no rag-grupparsi in un tutto riconoscibile. Vi è una specie di massa criti-ca; se non se ne supera la soglia, il nostro ambigramma si afflo-scerà. Questo effetto di massa critica è una delle qualità magiche degli ambigrammi, per cui un'intera parola improvvisamente ci diviene evidente malgrado la presenza di alcune componenti letterali an-cora deboli — ma ciò non avverrà a meno che non vi siano abba-stanza lettere forti da compensare e rinforzare le parti deboli.

G e b : Interrompo per un momento la tua presentazione delle cinque fasi. Vorrei sapere se tutto ciò è solo da prendersi come un commento filosofico, oppure se sono dei consigli pratici per futuri ambigrammisti. Voglio dire, credi che leggendo queste de-scrizioni, uno possa superare di slancio le fasi intermedie e arriva-re senz'altro all'apice dell'ambigrammatica?

H o f : Vorrei pensarlo, ma mi sembra senza speranza. Sfor-tunatamente, e ciò vale in ogni campo, non esistono scorciatoie per divenire esperti; la pratica è sempre indispensabile. Essere sta-ti messi in guardia, però, su certi fatti, può abbreviare il tempo necessario all'acquisizione di questa abilità. Ma vi è un altro lato di questi commenti che deve essere preso in considerazione: essi sono anche un tentativo di delineare una teoria della creatività che possa essere provata su modelli per calcolatore. Perciò non è esat-

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to dire che si tratta di un commentario filosofico. Ma ora lasciami tornare alle mie cinque fasi.

L'equilibratura: cuore del processo creativo L'equilibratura è il cuore (o più prosaicamente il pernio) della crea-zione ambigrammatica. Entra in gioco quando siamo sufficiente-mente convinti che lo scheletro concettuale funzionerà, anche se permangono delle difficoltà da appianare. Metteremo allora alla prova prima una variante di una lettera e poi l'altra. Si esagererà qui una sbarra e là si diminuirà la coda ad una voluta. Si penderà di un pochino questa linea e metteremo un ricciolino a quest'al-tra. Faremo esperienze diverse con i puntini della " i " e le sbarret-te della " E " . È ovvio che a ogni modifica sulla lettura # 1 corrisponde ipso facto una modifica sulla # 2, e ciò che su una dà forza, sull'altra inde-bolisce. Si continua ad andare avanti e indietro finché, dopo aver tentato molte varianti, non se ne troverà una che a nostro giudizio fa le due letture non solo forti, ma ugualmente forti. E se una let-tura risulta più chiara dell'altra, sappiamo che dobbiamo ancora darci da fare.

G e b : E se, nonostante i migliori sforzi, dal processo di equi-libratura non esce un ambigramma soddisfacente?

H o f : Allora bisogna proprio avere il coraggio di lasciarlo perdere e tornare al tavolo da disegno — ossia alla fase dello sche-letro concettuale. Se però il processo di equilibratura raggiunge lo scopo, avremo lo schizzo (probabilmente ancora a lapis), in pratica già buono, di un ambigramma. Giunti a questo punto, si può decidere di met-tere qualche abbellimento lieve ma inutile, oppure di lasciarlo in una forma più austera. Se scegliamo la prima possibilità, aggiun-geremo allora quello che io chiamo stile di superf_̣̣_(dico "di su-perficie" perché la parte più profonda — lo scheletro concettuale — rimane inalterato). Un buon esempio del contrasto tra queste due possibilità lo si può avere alla Fig. 16, che mostra due am-

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a

b

16

16a. Una realizzazione alquanto primiti- 16b. Una realizzazione più sofisticata del-va di uno scheletro concettuale dato lo stesso scheletro concettuale, usan-

do molto "stile di superficie"

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bigrammi mezzo-giro su "Josh Bell". La versione più austera è senza dubbio gradevole, ma quella ad aree piene è forse più ele-gante. Ed è stile di superficie! Aggiunte simili si fanno più per la platea che per i puristi: in altre parole, si tratta di fronzoli. Ma, sfortunatamente, anche i puristi sono sensibili al fascino dei fron-zoli, e se non facessimo queste aggiunte, convinti che non ne val-ga la pena, scopriremmo che i nostri ambigrammi sarebbero ap-prezzati meno di quello che speravamo. G e b : Sembra che questo stile di superficie non ti vada mol-to a genio. Anche il termine suona peggiorativo.

H o f : Insomma, ho a proposito sentimenti contrastanti. Direi che lo stile di superficie è un po' come un cosmetico. Se lo si usa con parsimonia e giudizio, allora può darsi che dia dei risultati, ma se si esagera, l'esito sarà spaventoso! Per molto tempo ho re-sistito alla tentazione di aggiungere stile di superficie ai miei am-bigrammi, ma da qualche tempo ne faccio un uso sempre più frequente. Tuttavia è necessario tener presente questa avvertenza: non si de-ve confondere l'aggiunta di uno stile superficiale con l'atto dell'e-quilibratura! Per quanta ornamentazione ad effetto si metta, questa non compenserà mai il fatto che sotto vi siano delle brutte idee; anzi, la sovrabbondanza di uno stile superficiale di solito fa in modo che gli ambigrammi appaiano molto "preziosi" — un risultato ov-viamente non desiderabile. La fase finale delTambigrammatica è la rifinitura, che è il momento in cui il disegno viene tracciato con cura a inchiostro, facendo sì che ogni curva, ogni linea, ogni angolo, ogni spigolo, ecc. siano il più perfetti possibile. Eventualmente dovremo ripetere fino a quattro o cinque volte l'operazione, prima di essere soddisfatti del risultato finale.

Decisioni discrete e decisioni continue G e b : Ci sono delle differenze qualitative fra le cinque fasi, o esse si confondono l'una nell'altra?

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H o f : Una domanda interessante! La distinzione popolare tra "differenza qualitativa" e "differenza quantitativa" tocca pro-prio il cuore del problema. Si può dire grosso modo che la mag-gior parte delle decisioni qualitative in un ambigramma vengono prese nella fase dello scheletro concettuale, mentre per lo più le decisioni quantitative vengono prese invece nelle fasi posteriori. In questo senso, sì, vi è una differenza, almeno tra certe fasi. Ma vorrei essere più preciso, e per questo prenderò in prestito dalla matematica alcuni termini, in modo da chiarire meglio anche la distinzione che fa il senso comune tra "differenza qualitativa" e "differenza quantitativa". Per essere più precisi, la contrapposi-zione è tra "variabili continue" (si pensi al tasto del volume del televisore che scorre in modo uniforme) e "variabili discrete" (ad esempio il tasto che seleziona i canali e scatta quando si passa da un canale ad un altro). Un altro modello utile è la distinzione che intercorre a un esame tra la domanda a cui si debba rispondere per esteso, e la domanda che richieda una scelta tra vero e falso o fra alcune risposte già fatte. Le domande vero/falso o a risposte multiple ci costringono a prendere decisioni discrete, mentre le risposte per esteso permet-tono gradualità e sfumature, e pertanto hanno un maggiore grado di continuità. Nel linguaggio è possibile procedere destreggiando-si uniformemente nonostante la granulosità del medium (cioè a di-spetto del fatto che mettere una parola al posto di un altra è un cambiamento discreto). Essendovi una gran quantità di sinonimi in prossimità di ogni parola, permette di mettere a registro un pas-saggio praticamente in modo continuo. In ambigrammatica, si può cogliere questa differenza nella seguente contrapposizione: "Questa lettera dovrà essere maiuscola o mi-nuscola?" (che richiede una decisione discreta con due sole rispo-ste possibili), e, per contro: "Fino a che punto oserò curvare que-sta linea verticale di norma diritta?" (che richiede una decisione di natura continua che può essere oggetto di una messa a punto accurata). Decisioni continue di solito coinvolgono variazioni molto piccole, ma in compenso saranno in gran numero, mentre decisio-

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ni discrete che sono in numero minore generalmente avranno ef-fetti più macroscopici. Uno scheletro concettuale tende ad essere composto da tutte le de-cisioni discrete più importanti, insieme ad alcune di quelle conti-nue ma allo stato di abbozzo e suscettibili di essere messe a punto in uno stadio ulteriore. Una importante decisione discreta sarà, per esempio, fare " O H I O " con un quarto di giro a senso anti-orario. Componente chiave in questa decisione sarà l'accorgimento che la " I " può scambiarsi con la " H " per mezzo di sbarrette ab-bastanza grandi. Pertanto una decisione continua, ma solo abboz-zata, sarà quella che le sbarrette della " I " dovranno essere "mol-to larghe", ma tralasciando di determinarne le esatte dimensioni per una fase ulteriore. Poi, nella fase di equilibratura, che tende piuttosto ad essere connessa con variabili continue, si potrà "gi-rare la manopola" che regola l'ampiezza delle sbarrette. Quest'o-perazione a grana fina farà un compromesso tra la "H- i tà" e la "I-ità". Peraltro non sono escluse in questa fase decisioni discrete su piccola scala; un esempio lo abbiamo nella scelta tra l'aggiunta o meno di sbarrette all'apice e alla base delle due aste della " H " (che una volta ruotata diventano le sbarrette di una " I " ) .

G e b : Sembra esserci una certa somiglianza tra la fase dello scheletro concettuale e quella dell'equilibratura.

H o f : È vero. La differenza in gran parte è una questione di proporzioni. La fase scheletro concettuale è di gran lunga più discreta che continua, mentre la fase di equilibratura è l'inverso. Prima ho paragonato lo scheletro concettuale a una breve frase verbale. Ma forse una immagine più accurata sarebbe quella di un insieme di risposte a un esame, la maggior parte del tipo vero/fal-so o a scelta multipla (discrete), con inserite alcune risposte del tipo esteso (continue) ma redatte in modo succinto. Nella fase di equilibratura, invece, le risposte a domande discrete (almeno la maggior parte) fatte nello stadio precedente vengono rispettate, mentre sarà permesso soddisfare alle domande continue con mag-giori dettagli, e anche porre nuove domande di minore importan-

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za (e rispondere ad esse) rispetto al voto che si vuole raggiungere. Domande preconfezionate e domande spontanee

G e b : Non si possono pensare le domande dell'esame come "confezionate" e estratte da "contenitori" che hanno per etichette le lettere nei nomi in questione? Se no, da dove provengono le domande?

H o f : Naturalmente, le domande primarie, quelle assoluta-mente fondamentali, sono preconfezionate e risiedono dunque nella memoria, ma le domande successive che formano la vasta mag-gioranza, date soltanto le lettere dei nomi dell'ambigramma, non possono affatto esser previste. Queste domande si elaborano in-vece dinamicamente durante lo sviluppo. Una tipica domanda ad alto grado di confezionatura sarà: "Quale operazione di simme-tria usare?" E un'altra, generica per ogni lettera: "Maiuscolo o minuscolo?". Ve ne sono poi altre, confezionate, in corrispondenza di ogni lettera particolare, come, riguardo alla " H " maiuscola, "Quanto dovrà essere alta la sbarra?". Ma, una volta che avremo preso questo genere di decisioni stereotipe, allora queste e i singo-li impulsi provenienti dalla sfida che quell'ambigramma partico-lare rappresenta genereranno una schiera di domande supplemen-tari che mai sarebbe stato possibile prevedere. Per esempio, non ha senso una domanda preconfezionata come questa, che scattasse ogni volta si ha a che fare con una " H " maiu-scola: "Quanto deve essere grande lo svolazzo al di là del limite destro della sbarra?" Essa potrebbe assumere un senso, e pertan-to esser costruita all'occorrenza, se stessimo tentando di converti-re una " H " maiuscola corsiva in un'altrettanto maiuscola " F " corsiva, con una rotazione di 90 gradi — ma certamente non è una domanda valida per ogni circostanza! Mettere una domanda del genere nel repertorio prestabilito di domande significa fare una serie di illazioni gratuite sulle lettere — qualcosa di simile a "Quando hai smesso di picchiare tua moglie?". Questa domanda presuppo-ne che sia un uomo la persona a cui viene rivolta, che abbia una moglie che era solito picchiare, e che adesso ha smesso!

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Forse sono permesse presupposizioni in situazioni estremamente stereotipe, ma gli ambigrammi sono completamente all'opposto; in effetti si opera su situazioni categoriali limite, facendo alle let-tere le cose più strane che si possano sognare! Nessun questiona-rio prestabilito può sperare di anticipare le insolite possibilità che saltano in testa a una persona creativa sottoposta a un miscuglio imprevisto di pressioni mentali. Questi vedrà sempre le cose in modo peculiare, e il suo scheletro concettuale contemplerà pertanto del-le domande che non avrebbero senso nello scheletro concettuale di un altro. Questa specie di "visione" comporta una continua interazione men-tale tra lettere (cioè, categorie astratte) e forme letterali (cioè, fi-gure geometriche). Nel corso di questo processo si fa la prova, nella propria testa, di un gran numero di realizzazioni concrete delle ca-tegorie, e molte di loro sono davvero strane, per non dire altro! In effetti, purché rimangano sicuramente nella testa, queste "for-me virtuali di lettere" possono anche violare i sacrosanti confini categoriali! Tuttavia queste forme illegittime e fantasmagoriche che guizzano momentaneamente in mondi proibiti possono profonda-mente influenzare lo scheletro concettuale che alla fine sarà adottato.

G e b : Tutto ciò richiama alla mente la strana nozione, in fi-sica, delle "particelle virtuali", intermediarie effimere nelle inte-razioni tra particelle reali, che — purché rimangano strettamente inosservate ("nella testa di Dio", per così dire) — possono anche violare il sacrosanto principio della conservazione dell'energia. Tut-tavia queste particelle illegittime e fantasmagoriche che guizzano momentaneamente in mondi proibiti possono profondamente in-fluenzare il risultato osservabile dell'interazione a cui partecipano.

H o f : Mi hai preceduto di un soffio. Stavo per fare la stessa analogia. Ebbene, sono molte le idee più o meno ridicole, scartate veloce-mente, ma alcune di esse vengono trattenute più a lungo, e quelle che superano l'esame di una critica attenta diventano componenti

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dello scheletro concettuale emergente. Benché in gran parte questo processo ci appaia cosciente, tuttavia nella gran maggioranza avviene a un livello inconscio, in quel va-sto sciame di attività parallele che accadono nel nostro cervello. In pratica tutte le decisioni discrete iniziali — quelle chiave — af-fiorano dalla struttura profonda delle nostre categorie intuitive: il senso inesprimibile a parole delle loro zone sicure e quelle a ri-schio, del loro modo di sovrapporsi e di dividere il territorio men-tale. Per costruire dei buoni scheletri concettuali, si dev'essere in possesso di un repertorio sofisticato e sottile di categorie letterali, e per acquistarlo ci vuole molta pratica. G e b : Queste cinque fasi rispettano sempre un medesimo or-dine? Non ritornano mai su se stesse? H o f : Ho presentato le mie cinque fasi in sequenza crono-logica, un'approssimazione molto grezza di ciò che avviene nella realtà; le cose naturalmente sono spesso molto più complicate. Non è insolito che eventi in uno stadio avanzato abbiano effetti retroat-tivi. Per esempio, un piccolo abbellimento, inteso solo come ag-giunta di stile superficiale, talvolta può rivelare l'esistenza di un modo radicalmente diverso per realizzare una parte dell'ambigram-ma. In tal caso si fa ritorno, almeno per quanto riguarda quella parte, alla fase dello "scheletro concettuale". Anche un minimo ghirigoro aggiunto al momento dell'esecuzione finale a inchiostro può suggerire d'improvviso un intero concetto nuovo, trasportan-doci indietro al primo stadio; e a questo punto si può innescare tutta una girandola di nuove intuizioni che possono condurre in-fine a un ambigramma completamente modificato.

Modelli militari e modelli anarchici del pensiero G e b : Ma ciò manda in malora la tua metafora dello schele-tro concettuale come "piano di battaglia", poiché gli "agenti di basso livello", che di solito si pensa abbiano solo responsabilità minori, stanno ora interferendo alla grande con il piano e forse ne suggeriscono perfino il completo ripensamento.

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H o f : È vero. John McCarthy, una figura importante nel campo dell'intelligenza artificiale, disse una volta che uno degli aspetti chiave del comportamento intelligente è che "scopi subor-dinati non devono mai poter sfuggire agli scopi che li hanno pro-dotti". Intendeva dire che, in un sistema cognitivo, i comandi de-vono viaggiare solamente verso il basso; non vi deve essere insu-bordinazione, come, per dire, quando dita disubbidienti costrin-gono un jazzista ad abbandonare la linea di improvvisazione — perché è questa invece che impone alle dita cosa fare! In breve, McCarthy e molti altri nell'intelligenza artificiale credono nella me-tafora della mente come una gerarchia militare strutturata rigida-mente dall'alto verso il basso. Per quanto mi riguarda ho una visione diametricalmente opposta. Io resto deliziato quando gli scopi subordinati "sfuggono"! Ado-ro il reinserimento circolare di effetti di basso livello su piani di alto livello. Ciò produce spesso conseguenze deliziosamente inat-tese! Infatti è mia opinione che il cuore del processo creativo sia un continuo movimento avanti e indietro, in cui le idee astratte, che nella nostra mente interagiscono con le loro realizzazioni con-crete "là fuori" , generano ancora nuove idee astratte, e così via, in circolo.

G e b : Pensi che una delle fasi comporti maggiore creatività delle altre? H o f : A prima vista sembra che la prima fase, quella dello scheletro concettuale, sia la più creativa. Ma non è del tutto esat-to, poiché le idee brillanti non bastano a fare un ambigramma crea-tivo. Anche nelle ultime fasi c'è ancora molto spazio per idee bril-lanti. Direi che tutte e tre le abilità critiche di cui ho parlato prima — immaginazione, autocensura, grazia — sono presenti, anche se in quantità differenti, in tutte e cinque le fasi. La fase dello sche-letro concettuale ha un'alta intensità immaginativa; non si preoc-cupa molto perciò dell'autocensura ed è quasi del tutto indiffe-rente alla grazia. Le due fasi successive — il primo schizzo e l'e-quilibratura — tendono a impiegare un po' meno immaginazio-

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ne, ad accentuare l'autocensura, e vi è una buona quantità di gra-zia. Gli ultimi due stadi — il dar corpo e la rifinitura — mancano quasi completamente di voli di fantasia, e, specialmente nell'ulti-mo stadio, la grazia è tutto.

Osserviamo da vicino la creazione di un ambigramma G e b : Perché non fai qualche esempio a sostegno di tutta que-sta astrazione teorica?

H o f : È una buona idea. Mostrerò come sono arrivato a un ambigramma — forse non molto buono, ma che può tornare utile per una dimostrazione — sulla parola "wo//" ( "muro" : natural-mente mi sentivo obbligato a fare una riflessione-muro su "muro"!) . Ho battuto qui la parola in minuscolo, ma non è che sia obbligato alle minuscole. Stò mirando a una riflessione-muro, devo voltare perciò fronte in dorso e viceversa, e mettere a confronto la " w " — con cosa? con la "1"? Appaiamento dubbiosissimo: la lettera più pasciuta dell'alfabeto con quella più magra! Considero allora se non sia il caso di non guardare solo all'ultima "1" come corri-spettivo della " w " — e in effetti perché non le ultime due "1" prese come unità? Si noti però che, seguendo questa via, dovrò usare per forza una " W " maiuscola, poiché le "1" sono lettere alte. Ma funziona — le iniziali di solito sono scritte in maiuscolo. A pro-posito, per tutto questo tempo sono rimasto nella fase della rifles-sione: niente è sulla carta e tutto è ancora nella fase dello schele-tro concettuale. G e b : Ho un problema — come possono due tratti verticali essere percepiti, una volta specchiati, come quattro tratti obliqui?

H o f : Questa è la domanda giusta. Un suggerimento: incli-niamo le "1" divaricandole leggermente in alto l 'una dall'altra, e mettiamo due gancetti in basso: nessuna di queste operazioni com-prometterà troppo la loro "P'-ità, ma ambedue contribuiranno alla

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"w"-ità. Naturalmente il gancio in basso alla seconda "1" sarà rivolto a sinistra mentre quello sulla prima sarà a destra, il che non è proprio entusiasmante, ma aspettiamo a vedere cosa succede sulla carta.

G e b : E ciò che sta in mezzo alla parola?

H o f : Rimane la " a " . Vogliamo adottare la minuscola? Sì, se è possibile: "Wal l" è decisamente preferibile a "WA11". Ebbe-ne, una " a " riflessa rimane ancora una " a " ? Certo, se usiamo la forma alternativa, la " a " (che in fondo non è che una " o " con un gancio in basso a destra), poiché non è dannoso mettere un gan-cio anche in basso a sinistra. Così facendo rafforziamo l'apparen-za corsiva: sembra che vogliamo congiungere la lettera con la precedente. Può darsi che a questo punto abbiamo a disposizione un buon sche-letro: tutte le parti sono state considerate, e siamo pronti a passa-re allo stadio del primo schizzo (lo si può vedere alla Fig. 17a). Cosa ne pensiamo? Rammenta: dobbiamo guardarlo con una vi-sta nuoval Dobbiamo tentare di ignorare che conosciamo già ciò che deve dire; fingiamo perciò di guardarlo per la prima volta. Se-condo questa nuova prospettiva ci accorgiamo di un piccolo pro-blema, che forse è importante. Le due "1" costituiscono insieme una forma identica rispetto alla " w " iniziale, di modo che con la nostra nuova vista sgombra potremo vedere l'ambigramma appe-na nato sia come " W a W " che "llall", e per niente "Wall" . È un effetto molto forte? Se siamo onesti con noi stessi, dovremo am-mettere di sì.

G e b : Che cosa si può fare?

H o f : Questa domanda introduce alla fase dell'equilibratu-ra. Per cominciare non ci è vietato prendere alcune decisioni di-screte. Cosa accade se aggiungiamo degli occhielli in cima alle due "1" in modo da rafforzarne l'aspetto corsivo che era stato già in-trodotto attraverso la " a " ?

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G e b : Va bene, ma ciò aiuterà o danfteggerà la " W " ?

H o f : Non è chiaro: dobbiamo provare. Si tenga conto che abbiamo appena creato un mini scheletro concettuale, o mini-piano, e ora stiamo per metterlo alla prova mediante il primo schizzo; stiamo apportando cioè leggere modifiche su tutta la figura che abbiamo dinanzi disegnata sulla carta. Dopo passeremo ad equi-librare il mini-schizzo (gli occhielli), girando le sue mini-manopole. Ciò dimostra come la fase di equilibratura sia in sé un microco-smo rispetto all'intero processo di creazione degli ambigrammi. Non dovrebbe essere una sorpresa. È solo un aspetto di questa te-si intuitiva: "Ogni atto creativo è composto di altri piccoli, e piut-tosto minori, atti creativi". Questa tesi, ripetuta, porta all'altra: "Ogni atto creativo è fatto di una miriade di minuti atti appena creativi". Viene favorita così l'idea di una possibile meccanizza-zione della creatività, anche se solo in senso molto teorico e gene-rale. In ogni modo il primo schizzo, che ha le "1" con gli occhiel-li, è mostrato alla Fig. 17b. Quasi per miracolo appare come gli occhielli aiutino, anche se di poco, sia le "1" che la " w " .

G e b : Come mai? Dopotutto, le due forme sono identiche come lo erano prima. Cos'è successo?

H o f : Non si sa con precisione. Una cosa interessante negli ambigrammi è che non si può sempre essere esattamente sicuri del perché. Basta il sistema percettivo ad avvertirci se funzionano o meno; e saremo contenti quando la risposta è positiva! Non c'è bisogno di sottomettere ad analisi il nostro successo. Dobbiamo ancora chiederci: "Questo successo è veramente un suc-cesso? "Wal l" si legge senza esitare? Oppure è possibile che " W a W " e "Hall" siano ancora dei rivali temibili?" Non è pur-troppo possibile dare una risposta chiara, e se la lettura desidera-ta non risulta avere la meglio sulle concorrenti, allora vuol dire che il nostro ambigramma non è abbastanza forte. Perciò dovre-mo soppesarlo ancora un po' , prima di abbordare lo stadio dello stile di superficie e passarlo a inchiostro.

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17a. Il primo schizzo per una riflessione 17b. L 'ambigramma che risulta dopo ai-muro su " W a l l " cune modifiche dello schizzo prece-

dente

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18a. Il primo schizzo per una riflessione I8c. Il risultato finale: una riflessione i m -muro su " W A L L " in maiuscole ro su " W A L L "

18b. Due tentativi di schizzo creati allo 19. La Fig. 18c italianizzata: una rifles-stadio di equilibratura sione muro su " m u r o "

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20a. Il primo schizzo per una riflessione 20c. Una riflessione lago su " l a k e " lago su " l a k e " 21. La Fig. 20c italianizzata: una rifles-

20b. Una variante dello stesso sione lago su " l a g o "

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22. Diverse variazioni sul tema " U S A " come mezzogiro

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23a. Una riflessione muro omografica per una giovane ragazza

23b. Una riflessione muro eterografica per due giovani ragazze

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Torniamo dunque alla fase dello scheletro concettuale. Il traboc-chetto è questo: la " W " è l'immagine speculare di se stessa, e questo vale anche per le due "1": cioè, riflesse, rimangono uguali. Ora, la radice del problema è che stiamo usando una lettera che è del tutto simmetrica ( "W") , e un altro paio di lettere ("11") che lo sono altrettanto. Che accade allora se "slittiamo" un po' e tentia-mo qualche variante? Potremmo provare la " L " maiuscola al po-sto della "1" minuscola. Una " L " e una "1" non sono così diver-se, ma mentre "11" è la propria riflessione-muro, ciò non vale cer-to per " L L " . Questo è un segnale favorevole. Inoltre, " L L " con-tiene quattro tratti, lo stesso numero che in " W " — altro segnale favorevole. Per di più, inclinando leggermente le due " L " , otter-remo quasi una " W " . Bisogna però stare attenti a non esagerare nell'inclinazione, per non cancellare del tutto la "L"- i tà . D'altro canto, con un'inclinazione leggera, non otterremmo nessun effet-to " W " . Essendo passati alle maiuscole, vorremmo usare anche una " A " maiuscola in mezzo. E siamo fortunati: la " A " è anche la propria riflessione-muro, così funziona da sé senza problemi. Tentiamo allora un primo schizzo e facciamone l'equilibratura, (vedere Fig. 18a). Sembra che ci siamo — solo che la " W " è un po' più forte di " L L " : la lettura può anche essere " W a W " . È ne-cessario qualche ritocco. Tipico della fase di equilibratura sarebbe provare a curvare le va-rie parti della " L " , lasciare che s'incrocino, oppure lasciare che si tocchino o non si tocchino appena, e così via. Per dare un idea di tutto questo lavorìo che avviene nella mente di chi opera, sa-rebbe necessario un film e non una serie di figure; perciò il meglio che io possa fare è mostrare un paio di varianti (Fig. 18b), e poi il risultato finale, a cui è stato aggiunto lo stile superficiale ed è stato rifinito (Fig. 18a).

G e b : Per i lettori italiani, non potresti fare una riflessione muro su « muro »?

H o f : Volentieri! (Fig. 19)

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Un altro esempio semplice usando una simmetria diversa G e b : Devo dire che mi piacciono tutte le versioni di ' 'Wall' '. Ma ora che hai fatto una riflessione-muro su "wall" ("muro") , che ne dici di una riflessione-lago su "la/ce" ("lago")?

H o f : Non è una cattiva proposta. Più facile dell'altra, an-che se comporta difficoltà differenti. Devo dire che queste sono sfide ambigrammatiche atipiche, dato che le operazioni di simme-tria sono state preordinate, mentre di solito si lascia che su ciò sia l'ambigrammista a decidere. Ma questi esempi, per fortuna, acca-de che funzionino. Omogrammi a riflessione-lago trasportano quasi sempre ciascuna lettera su se stessa. Significa che avremo successo solo se trovere-mo delle versioni delle quattro lettere "1", " a " , " k " , e " e " che appaiono le stesse una volta sottoposte a una riflessione-lago. Ciò sembra escludere la " L " e la " A " maiuscole, e la " k " e la " e " minuscole, mentre ci viene imposta la forma alternativa minuscola: " a " , in quanto può esser disegnata lago-simmetricamente. Ne de-riva un primo scheletro concettuale che ha questa forma: " l a K E " . Infine, la "1", per essere lago-simmetrica, dovrà avere una parte discendente che rispecchi quella ascendente. La Fig. 20a mostra il primo schizzo. È perfettamente lago-simmetrico e del tutto leggibile, ma vi è qualcosa di fastidioso: co-minciare una parola con una minuscola e finire con una maiusco-la, è proprio stonato! Ma, anche se a prima vista sembra impossi-bile, perché non proviamo a volgere tutta quanta la faccenda in lettere minuscole? In tal caso ci immagineremo una " k " minuscola la cui asta sia estesa in basso a riflettere nello specchio la parte in ascesa (come nella "1"). Ciò ci fornirà qualcosa che somiglia a una " k " minuscola lago-simmetrica. Vi è inoltre un tipo di " e " minuscola che è rotonda come la " e " , ma lago-simmetrica come la " E " maiuscola, e che somiglia un po' alla epsilon greca minu-scola. La useremo. Il nostro nuovo scheletro concettuale, perfe-zionato, è pronto! Il primo schizzo di questa versione è mostrato nella Fig. 20b. Di-

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sturba meno della Fig. 20a, anche se l'asta allungata verso il bas-so della " k " dà un po' di fastidio. Ma con qualche equilibratura, e con aggiunto un po' di stile superficiale, appare come nella Fig. 20c, e la versione italianizzata nella Fig. 21.

G e b : In questo esempio il tuo stile di superficie è in certo modo "onomatopeico", o comunque si dica quando una forma visiva fa eco al proprio contenuto. Sto tentando di pescare la pa-rola giusta.

H o f : L'ambigramma è un po' tirato per i capelli. Sono senza scuse! Farei qualsiasi cosa per rendere un ambigramma più leggibile!

G e b : Pensi che questi esempi siano sufficienti, o che un al-tro potrebbe essere utile?

H o f : Ho un altro esempio che penso possa interessare. La sfida è questa: "Fare qualcosa d'interessante con " U S A " " . Lo scheletro concettuale si mostra da sé: un mezzo-giro per cui la " A " diventa la " U " , e la " S " se stessa. Non vi sono difficoltà. L'inte-resse si concentra tutto sull'equilibratura: c'è una piccola discre-panza fra la " A " e la " U " che proprio non vuol togliersi di mez-zo — la sbarra. In questo caso un ambigrammista ha a disposizione molte possi-bilità. Ne ho illustrate diverse nella Fig. 22. La prima è quella di togliere decisamente la sbarra in modo che la " A " appaia in stile modernista. Viene poi il punto al posto della sbarra, oppure la sbarra curva che dà alla " U " un doppio fondo. Una soluzione ingegnosa è quella di estendere la " S " fin dentro alla " A " e alla " U " in modo da fornire una sbarra alla " A " e disturbare solo marginalmente la " U " . Vi è una quantità di possibilità, e inoltre le loro varianti che derivano da quanto si faccia acuta la " A " , curva la " S " , e così via. Milioni di mini-varianti! È un esercizio mini-mo, ma che richiede abbastanza astuzia, perché siamo alla ricerca

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della perfezione — che tuttavia non ci sta a farsi raggiungere! Bi-sognerà quindi accettare qualche leggera imperfezione, in un mo-do o in un altro.

III. LA PROBABILITÀ DI SUCCESSO

È difficile fare ambigrammi? G e b : Hai fatto vedere come si fanno ambigrammi usando parole molto brevi. Ma non sono sfide molto facili?

H o f : Non necessariamente. Non vi è alcun rapporto stret-to tra lunghezza e difficoltà. Ho trovato il nome " J o h n " una del-le sfide più ostiche — quasi impossibile! E uno dei più lunghi — cambiare "Alejandra" in "Magdalena" — è stato anche uno dei più facili e meglio riusciti. All'inizio, in realtà, la sfida non era esattamente questa. Ho co-minciato con l'idea di fare una riflessione-muro soltanto su "Ale-jandra" . Avevo finito e stavo valutando pregi e difetti (Fig. 23a), avendo nello stesso tempo in mente il nome "Magdalena", perché Alejandra e Magdalena sono sorelle e volevo fare un am-bigramma per ciascuna. Improvvisamente, dall'omogramma che avevo appena terminato, mi saltò agli occhi "Magdalena", quasi altrettanto chiaro di "Alejandra". Continuavo a non credere ai miei occhi, ma l'impressione persisteva. C'era lì tutto il necessa-rio per convincermi a convertire questo mediocre omogramma in un eterogramma tutto nuovo e abbastanza sorprendente. Invece di fare un omogramma per ogni sorella, mi accontentai allora di un solo ambigramma per tutte e due! (vedi Fig. 23b)

G e b : In generale, quanto tempo ti è necessario per fare un ambigramma veramente forte?

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H o f : Dall'inizio alla fine, e lavorando senza interruzioni, credo circa un'ora per un ambigramma di cui possa andar fiero. La maggior parte del tempo se ne va nel provare una gran quanti-tà di varianti vicine tra loro, prima a lapis e poi a pennarello. De-vo dire che è un lavoro noioso, ma che ripaga. Il tempo più lungo che abbia impiegato, credo ammonti a quattro o cinque ore. Ma tali statistiche possono ingannare per un paio di ragioni. Prima di tutto, a volte non ci vogliono più di una trentina di secondi per trovare uno scheletro concettuale, e un paio di minuti per produr-ne una versione a inchiostro accettabile. Per seconda cosa, per con-durre Pambigramma alla sua forma migliore, a me necessita la con-troreazione degli altri. Ciò richiede tempo. E il tempo che scorre mentre non sto lavorando mi procura l'obiettività necessaria per percepirlo come nuovo e perfezionarlo in quanto tale. Come quan-tificare allora questo tempo necessario alla "separazione"? Riassumerò così tutta la faccenda: se fossi un personaggio da fia-ba, prigioniero in una cella solitaria nelle segrete di un castello, e il mio destino dipendesse dalla creazione di un bell'ambigram-ma sui nomi dei miei aguzzini, sarei sicuro di me se mi avessero concesso cinque ore, non del tutto disperato se avessi a disposi-zione un'ora, ma spaventato a morte se i minuti fossero solo dieci!

Perché si può fare un ambigramma in pratica su ogni nome? G e b : Credi di essere capace di fare un ambigramma su qual-siasi nome, vero?

H o f : Ebbene, pare che possa combinare sempre qualcosa di interessante, anche se non di spettacolare. Questo deriva dal fatto che per ogni nome esiste una gran quantità di strade da esplorare, un fatto che giunge del tutto inaspettato ai principianti. Tre sono i fattori (letteralmente fattori, nel senso della moltiplicazione) responsabili di questo grande numero. Essi sono: (1) il numero delle varianti nominali; (2) il numero delle varianti letterali; (3) il numero delle operazioni di simmetria. Esaminiamoli uno alla volta. Il primo fattore, dunque, è il gran numero di varianti nominali.

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Per esempio, sarei felice di ricevere un ambigramma sul mio no-me per una qualunque delle seguenti forme:

Douglas D. Hofstadter

Doug Hofstadter Douglas R. Hofstadter

Douglas Richard Hofstadter Douglas Hofstadter

D.R. Hofstadter Hofstadter

Doug

Ci sono ancora altre possibilità, ma credo di aver reso l'idea. Si può tranquillamente affermare che per ogni nome ve ne siano all'incirca 10. Se poi si fa un'ambigramma per una coppia, queste possibilità aumentano, poiché ciascun nome ha il suo gruppo di varianti. Naturalmente alcune di queste saranno subito scartate qua-li accoppiamenti potenziali. È arduo immaginare un buon ambi-gramma tra "Martha Washington" e "Geo" . Il secondo fattore, le svariate forme alternative per ogni lettera, è collegato al primo. È ovvio che se ammettiamo cambiamenti conti-nui, otterremo un numero infinito di forme diverse; ci preoccupe-remo allora solo delle "forme platoniche" nettamente distinte, e associate ad ogni lettera — più specificatamente, queste saranno le forme maiuscole e minuscole a stampatello, e quelle minuscole e maiuscole in corsivo. In breve, ci sono quattro diverse forme di base per lettera — o quattro caratteri, come li chiameremo d'ora in avanti. Tenendo conto, però, che è disdicevole di solito per una lettela corsiva e maiuscola apparire in altra posizione se non all'i-nizio di una parola o di un nome, penso che il numero medio di caratteri per lettera possa essere ridotto a tre. Per molte lettere tut-tavia ve ne sono meno, per altre più. Per esempio tutti e quattro i caratteri della " c " sono simili tra loro tranne che per la grandez-za, e pertanto si riducono in pratica a uno solo (o uno e mezzo, se si preferisce). Per la " g " minuscola a stampatello vi sono invece

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due forme platoniche distinte: " g " e " g " , il che aumenta a cinque il numero dei caratteri associati a questa lettera. Quando si fa un censimento dei membri delle famiglie — siano queste numerose, come nel caso della " G " , o poche, come nel ca-so della " C " — risulta una media ragionata di circa due caratteri diversi per famiglia — o due e qualcosa. Perciò, prendendo un nome di sole quattro lettere come "Tina" , avremo due o tre caratteri in corrispondenza di ciascuna posizione: " T " e " t " ; " I " e " i " ; " N " e " n " ; e " A " e " a " , e " o " . Ne deriva un totale di venti-quattro forme — varianti caratteriali — del singolo nome "Tina" .

TINA TiNA tINA tiNA TINa TiNa tlNa tiNa TINc. TiNa tINa tiNa TInA TinA tlnA tinA Tina Tina tlna tina Tina Tina t ino tino

Naturalmente non tutte queste varianti appaiono attraenti scritte in questo modo, ma, disegnate curvando in modo appropriato le loro linee, possono diventare tutte accettabili, e forse anche seducenti.

Le sedici operazioni di simmetria L'ultimo fattore moltiplicativo è il numero delle operazioni distinte di simmetria che un ambigrammista può sfruttare. Esse sono pre-cisamente 16, e questa è la loro lista:

mezzo-giro (gramma orizzontale); mezzo-giro (gramma verticale);

riflessione-muro (gramma orizzontale); riflessione-muro (gramma verticale); riflessione-lago (gramma orizzontale); riflessione-lago (gramma verticale);

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quarto-di-giro a senso antiorario (nome # 1 orizzontale, nome # 2 verticale);

quarto-di-giro a senso antiorario (nome # 2 orizzontale, nome # 1 verticale);

quarto-di-giro a senso orario (nome # 1 orizzontale, nome # 2 verticale);

quarto-di-giro a senso orario (nome # 2 orizzontale, nome # 1 verticale);

giravolta a senso antiorario (nome # 1 orizzontale, nome # 2 verticale);

giravolta a senso antiorario (nome # 2 orizzontale, nome # 1 verticale);

giravolta a senso orario (nome # 1 orizzontale, nome # 2 verticale);

giravolta a senso orario (nome # 2 orizzontale, nome # 1 verticale);

oscillazione (gramma orizzontale); oscillazione (gramma verticale).

Si noti come tante possibilità siano associate alle rotazioni di 90 gradi perché esse ci mettono a disposizione due gradi differenti di libertà: (1) quale nome sarà verticale e quale orizzontale, e (2) se quello orizzontale debba esser girato in senso orario o antiorario per ottenere quello verticale. Tutto diventa più chiaro se si esami-na il "Gramma Sutra" (Fig. 24), dove ogni operazione di sim-metria viene illustrata usando i nomi "Doug" e "Carol" . Si noti come diverse varianti caratteriali siano sfruttate negli ambigram-mi basati sulle diverse operazioni di simmetria.

G e b : Ci sono veramente un bel po' di strade da esplorare prima di abbandonare una data sfida.

H o f : Non c'è dubbio. E perché se ne possa avere una valu-tazione numerica, prendiamo i valori tipo di questi tre fattori, e

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24. Il " G r a m m a Sut ra" -16 eterogram-mi su " C a r o l " e " D o u g " , usando tutte le operazioni di simmetria pos-sibili, con grammi orizzontali e verticali:

24a, b: mezzogiri 24c, d: quarti-di-giro orari 24e, f: quarti-di-giro antiorari 24g, h: oscillazioni

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24i, 1: giravolte orarie 24m, n: giravolte antiorarie

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riflessioni muro 24q, r: riflessioni lago

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facciamo la loro moltiplicazione. Si è detto che ci sono circa 10 varianti nominali. Prendiamo come lunghezza media delle varianti, diciamo, 7 lettere. Vi sono circa due forme per ogni lettera, e dunque, per una variante nominale tipica, avremo 2 7 , cioè 128 varianti caratteriali (che arrotondia-mo a 100). Vi sono inoltre le 16 operazioni di simmetria, che ab-bassiamo a 10 per semplificare. Moltiplicando, avremo allora 10 volte 100 per 10, o 10.000potenziali strade aperte all'esplorazione di un singolo nome prima di rinunciare alla sfida. In un certo senso si tratta di una stima eccessiva, perché può acca-dere in molti casi che le strade si accavallino tra loro e si confon-dano. Per esempio, i vari caratteri di una stessa lettera, pur nella loro diversità, molte volte si rassomigliano ( " T " e " t " , per esem-pio). Perciò non vi sarà molta differenza a lavorare sulle varianti caratteriali " P a t " e " P a T " (benché dipenda in qualche misura da quali operazioni di simmetria tenteremo). Una simile asserzione vale per le varianti nominali diverse. Per esempio se si prendono in considerazione i problemi che sorgono provando "Ronald", cer-tuni di essi si presenteranno anche con "Ronnie". Le due vie di attacco in realtà non sono diverse al cento per cento. Infine, benché tutte e 16 le operazioni di simmetria siano tra loro distinte, alcune pongono problemi che hanno in comune con le al-tre. Prendiamo il nome "Helen". Supponiamo che sia in maiu-scolo: "HELEN" . Se si vuol fare una riflessione-muro, si presen-ta subito il quesito di come convertire una " E " diritta in una " E " riflessa. Se non si giunge a una soluzione, si può decidere allora di passare a un ambigramma mezzo-giro. Il problema opposto che si porrà — "Come girare una " E " di 180 gradi e ottenere un'altra " E " ? — risulterà essere lo stesso di prima! Il fatto è che la " E " — almeno nella sua forma essenziale — ha una simmetria inter-na. Questo fatto può essere di aiuto in certe situazioni (in cui può essere sfruttato direttamente), ma darà fastidio in altre (perché ri-duce il numero delle potenziali vie di ricerca che possono essere coronate da successo). Insomma, 10.000 sembra una stima ecces-siva. Forse dovremmo ridurre il numero a 1.000.

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La distorsione curata delle lettere: il segreto degli ambigrammi D'altra parte, ho tralasciato altri due fattori che sono importanti, ma più difficili da quantificare. Essi alzeranno di nuovo il conto, benché non sia facile dire di quanto. Ambedue hanno a che fare con l'immaginazione dell'artista alle prese con microproblemi. Ad esem-pio, come convertire una " R " in una " U " con una riflessione-muro? Si presuppone che i caratteri siano stati stabiliti (tutte e due le lettere sono in stampatello e maiuscole), e lo sia altrettanto l'operazione di simmetria. Ma anche così, le possibilità di ricerca rimangono nume-rose! Un ambigrammista con un'immaginazione mediocre non ve-drà tutte le possibilità che saranno intraviste da un altro con imma-ginazione più vivace. Come si possono distorcere le due lettere per-ché appaiano un po' più simili tra loro? Quali parti di una lettera saranno sovrapposte a quali parti di un'altra? Ci sono parti di una lettera che sembrano a prima vista "più mol-li" o più flessibili di altre, come la "proboscide" scendente della " R " , che può essere sia corta che lunga, diritta oppure curva. Si parte sempre lasciando fluttuare nella mente le parti molli di una lettera, immaginandosi come questa possa arrivare a somigliare a un'altra. Ci saranno comunque vincoli imposti dalle parti che nell'altra lettura non sono flessibili. Nel caso della " U " , due aspetti non flessibili sono l'apertura in alto e la chiusura in basso. Ma si può far scendere e risalire la proboscide molle della " R " in modo da creare una " R " che allo stesso tempo sia compatibile con le inflessibili esigenze della " U " . Spesso le estremità delle linee sono molli come proboscidi: ritrai-bili, estensibili, flessibili — mentre gli spazi vuoti all'interno delle lettere (e anche tra le lettere) sono critici e quindi non flessibili. Le giunture di linee (come il vertice di una " A " o i tre punti di giunzione di una " E " ) tendono ad essere critiche, ma meno degli spazi vuoti. Così un piccolo spostamento discreto può far sì che una giuntura si apra appena. Per creare una breccia in un singolo tratto (come nella " U " ) , ci vuole una pressione considerevole, e dunque c'è molta resistenza contro azioni simili. Più agevole ri-sulta, naturalmente, agitare la "proboscide". Ciò suggerisce una

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specie di gerarchia sulla malleabilità di una data categoria lettera-le, tenendo conto del desiderio che la forma grafica rappresenti un membro tanto centrale della categoria quanto possibile:

Cambiamenti continui: 1. Muovere la proboscide; 2. Ridurre o allargare intere zone;

Cambiamenti discreti:

3. Aprire una breccia in una giuntura (il che, per inciso, crea nuove mini-proboscidi);

4. Tagliare un segmento (che crea ancora nuove mini-proboscidi);

5. Chiudere una breccia.

Micro-ambigrammi come questo, malgrado la loro piccolezza, pos-sono essere affrontati in molti modi. Posso buttar giù un numero: 10, che può essere una valutazione prudente, ma anche il contrario.

Il raggruppamento e la nozione di "entità indivisibili". Il secondo fattore concernente l'immaginazione è più insolito e sot-tile. Riguarda il fatto che due lettere vicine nella lettura # 1 pos-sono apparire nella lettura # 2 come una sola lettera. In questo caso, perciò, non sarà necessaria una corrispondenza lettera su let-tera passando da una lettura all'altra. In ambigrammatica questo effetto di "raggruppamento" è uno degli strumenti più comuni e utili. Tramite suo accade che una parte dell'ambigramma, vista per un verso appare una sola lettera, e nell'altro ne diviene due, o anche tre. Un buon esempio di questo effetto è quello della Fig. 25a, dove " E T H " , parte finale di "ELIZABETH", diviene nel-l'altra lettura una sola lettera, la regale " R " in fronte alla "RE-GINA". Un po' forzato, forse, ma ancora leggibile. L'effetto di raggruppamento è ancora più sottile di quanto appaia dal primo approccio. Per renderlo più chiaro, introdurrò il con-cetto di entità indivisibile. Si chiama "enti tà" ogni gruppo di let-tere interno alla lettura # 1 che si trasformi tutto insieme in un

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altro gruppo di lettere nella lettura # 2 . Importante è che ogni en-tità contenga solo lettere intere in ambedue le letture — che non contenga cioè frammenti di lettere che debordino un lato o l'al-tro. Pertanto un'entità è in sé un piccolo ambigramma dentro uno più grande (benché non si tratti in generale di una parola intera). Un ambigramma abbastanza lungo può essere scomposto in una sequenza di entità in successione. Una entità indivisibile vuol dire una entità che non può essere sot-toposta ad ulteriore scomposizione. L'entità " E T H " - " R " nella Fig. 25a è, per esempio, una entità indivisibile (non la si può scom-porre ulteriormente, perché facendolo dovremmo spezzare la " R " ) . Un'entità divisibile sarà il pezzo che si legge " B E T H " da un lato e " R E " dall'altro, perché consiste di due entità indivisibi-li adiacenti. In breve, ogni ambigramma può essere segmentato in una sequenza di entità indivisibili analogamente alla scomposizio-ne di un numero intero in numeri primi. (Un'entità divisibile sa-rebbe analoga a un fattore non primo). Per porre in evidenza le entità indivisibili si possono separare con delle sbarrette, o sepa-rarne i confini all'interno dell'ambigramma, come nella Fig. 25b, in cui cinque entità indivisibili sono così disposte:

EL I IZ I A I B I ETH R I E I Gì I N I A

Il più difficile a immaginarsi sarebbe un ambigramma lungo com-posto di una sola entità indivisibile — ossia non scomponibile in entità minori: un tale ambigramma non potrebbe essere scoperto se non come un tutto; cioè, il suo scopritore non lo avrebbe potu-to scoprire suddividendo le difficoltà in una serie di sottoproble-mi da affrontarsi separatamente.

G e b : Hai mai fatto un ambigramma simile?

H o f : No, non conosco ambigrammi che posseggano que-sta proprietà più lunghi di poche lettere; ma sono sicuro che si riu-scirà prima o poi a scoprirne uno molto lungo. (Naturalmente non

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25a. Un ambigramma che illustra l'idea 25b. Lo stesso ambigramma, scomposto di raggruppamento in cinque "enti tà indivisibili"

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26. Un eterogramma che contiene un'en-tità indivisibile abbastanza lunga

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è necessario che un simile tour de force significhi anche che si debba trattare dell'unica soluzione per la sfida ambigrammatica in que-stione; ci potranno o non ci potranno essere Elitre soluzioni più sem-plici, cioè separabili in entità più corte.) La Fig. 26 mostra la risposta più vicina che io abbia dato a questa sfida insolita. È una riflessione-muro su "CYRIL ERB" (cia-scuna metà è un eterogramma giravolta a senso antiorario). Vi so-no solo due entità indivisibili: la " C " diventa la " B " mentre "YRIL" diventa — tutto insieme — " E R " . Non è che " Y R " di-venti " E " oppure " I L " diventi " R " ; anzi, tutto s'intreccia in una singola pesante entità indivisibile. I principianti e i non addetti associano subito lettere singole e en-tità indivisibili — cioè fanno corrispondere esattamente tra loro le singole lettere nelle due letture. È comprensibile, ed è anche il modo in cui si deve cominciare.

G e b : Insieme a Peter Jones, hai cominciato così?

H o f : Sì, Peter e io non abbiamo avuto l'idea del raggrup-pamento; ne ho imparato il segreto e le possibilità da Scott Kim. Comunque, anche dopo aver visto con quanta eleganza faceva uso di questo mezzo, mi sono astenuto per un certo tempo da appli-carlo. Sono convinto che la ragione principale consiste nel fatto che, fin da bambino, sono stato ossessionato dalla leggibilità del-la mia scrittura, tanto che mi sono sempre preoccupato di dare confini molto chiari alle mie lettere. A stampatello lo si ottiene automaticamente, ma scrivendo in corsivo s'introduce una certa confusione; così io, scrivendo, uso sempre caratteri a stampatello invece di quelli in corsivo. È un'abitudine che ho acquistato da ragazzo e che si è prolungata nell'ambigrammatica, tanto che ini-zio sempre dal prendere in considerazione lettere a stampatello pri-ma di passare a quelle corsive. Scott, al contrario, usa iniziare con queste ultime, poiché l'idea di lettere dai confini incerti non l'ha mai minimamente inquietato. Per questi vecchi pregiudizi, imparati da bambini, vi sono tra noi notevoli differenze stilistiche. Per esempio, benché ormai abbia

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accolto completamente l'idea del raggruppamento, mi accorgo che la utilizzo meno frequentemente di Scott. Talvolta ci cimentiamo nelle stesse sfide e i due ambigrammi risultano simili, eccetto il fatto che Scott usa da qualche parte un raggruppamento, mentre io lo evito. In ogni caso, moltissimi ambigrammi — quasi tutti quelli a riflessione-lago, e soprattutto gli omogrammi che usano quella sim-metria — hanno la proprietà che ogni entità indivisibile è una let-tera in ambedue le letture. Ma è proprio l'abilità di individuare possibili entità indivisibili più lunghe, anche se strane, che è parte essenziale dell'inventiva che porta alla creazione di ambigrammi ingegnosi. Per esempio, una entità indivisibile che trasformi due lettere in tre può essere I'intuizione-chiave — il punto critico — che permette una riuscita altrimenti impossibile. Sfortunatamente non si può dare una stima attendibile del nume-ro delle scomposizioni in entità indivisibili che rivestono un qual-che potenziale per una sfida ambigrammatica data. Mentre è au-toevidente il numero delle lettere che compongono una parola, è difficile stimare il numero delle scomposizioni "accettabili". Di-rei che vi sono dalle 5 alle 25 maniere di spezzare un nome tipo (o un paio di nomi) in sequenze di entità indivisibili plausibili. In nome della concretezza e della semplicità, userò di nuovo il nume-ro 10, che probabilmente è troppo basso; ma, dopotutto, chi po-trebbe dare un significato preciso alla parola "plausibile"? Non è oggettivo, e qui sta la fregatura. In ogni caso, ci troviamo in possesso di due ulteriori moltiplicato-ri per 10 (pressappoco) che compensano l'altra divisione per 10 (all'incirca) che abbiamo fatto prima. Così, da una prima stima di 10.000 possibilità siamo scesi a 1.000, ed ora voliamo a 100.000.

G e b : È formidabile!

H o f : Non è vero? E tutto questo, ti rammento, riguarda solo lo scheletro concettuale ancora lontano dall'ambigramma schiz-zato, equilibrato, ingrassato e rifinito. Il numero sarebbe ancora più mostruoso se avessimo tenuto conto delle innumerevoli deci-

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sioni microscopiche e continue che entrano in gioco più tardi. Ho messo finora in evidenza la quantità di strade che si aprono di-nanzi all'ambigrammista, per sottolineare la probabilità che pri-ma o poi si trovi una qualche soluzione più o meno gradita. In altre parole, ho tentato di esorcizzare il quasi-mistero della risol-vibilità di ogni nome. Benché i precedenti calcoli non possano "giu-stificarlo", almeno fanno capire che la produzione di un ambi-gramma su richiesta non è un miracolo che vada contro ogni pro-babilità. Vi sono infatti tante vie possibili che è lecito aspettarsi una buona soluzione.

IV. IL SOGNO DELLA MECCANIZZAZIONE DELL'AMBIGRAMMATICA

La creazione meccanizzata e gli "ambialfabeti" G e b : Ma come può un essere umano prendere in esame tutte queste possibilità? La grandezza dei numeri che vi sono coinvolti, non consiglia come opportuna l'introduzione del calcolatore? Non sarebbero infatti i calcolatori più bravi degli umani a creare ambigrammi?

H o f : È una domanda ricorrente. Non so perché tanta gen-te creda che i calcolatori hanno a che fare con gli ambigrammi. Non vi è, infatti, alcun nesso reale. Tuttavia accade spesso che le persone a cui mostro i miei lavori mi chiedano: "Oh, li ha fatti il tuo calcolatore?". G e b : Per quale ragione pensi che accada?

H o f : Ci ho pensato su. In parte sarà perché sanno che fac-cio molto uso del calcolatore. Ma c'è di più. (Dopotutto, quando mostro un articolo che ho terminato, non mi si chiede se è stato scritto dal calcolatore!) Se posso azzardare una risposta, credo sia

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perché la gente si accorge benissimo che ci vuole un'estrema pre-cisione (anche se il tipo di precisione le rimane molto vago) per produrre una struttura perfettamente simmetrica; e dato che mol-ti ambigrammi sono simmetrici, e precisione e esattezza vengono associati al calcolatore, allora basta sommare due più due per con-cludere che per forza gli ambigrammi devono esser fatti dal calco-latore! Anche persone addette ai lavori mi fanno talvolta la stessa domanda. Nel caso di tali esperti, il presupposto di fondo forse è questo: "Ne-gli ambigrammi si ruota una lettera e se ne ottiene un'altra, giu-sto? Dunque, quante sono le coppie possibili di lettere? C'è " A " su " A " , " A " su " B " , ecc., fino ad " A " su " Z " . Poi c'è " B " su " A " , " B " su " B " , e così via. Il risultato (per l'alfabeto ingle-se) ammonta a 26 2 , cioè 676. Naturalmente " B " su " A " è lo stesso che " A " su " B " , ecc. — perciò il risultato scende a 351. Allora, perché non costruire una specie di "ambialfabeto" con 351 "ambilettere", con il quale uno possa sbizzarrirsi a fare ambigrammi su qualsiasi nome gli salti in testa, semplicemente collegando insieme le ambilettere appro-priate? Si vuole girare " D O U G " su se stesso con una rotazione di 180 gradi? Si prenda allora l'ambialfabeto a rotazione 180 gradi e si cerchi l'ambilettera che trasforma " D " in " G " , e quella che trasforma " O " in " U " . Si copiano poi queste due forme una ac-canto all'altra prima per un verso e poi sottosopra (e nell'ordine contrario) — ed ecco fatto! Se si desiderano invece ambigrammi a riflessione, si userà un ambialfabeto di lettere riflesse — e così via. In totale gli ambialfabeti saranno 16 (uno per ogni operazio-ne di simmetria). Così la magia ambigrammatica sarà codificata una volta per tutte. E naturalmente, non esiste strumento miglio-re del calcolatore per immagazzinare gli ambialfabeti e stampare le ambilettere.

G e b : A prima vista sembra plausibile, anche se hai preso un po' in giro l'idea.

H o f : Certo che l'ho fatto! poiché credo che questa sia un'im-

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magine sbagliata anche se molto comune sulla vera natura degli ambigrammi. Si fantastica che debbano valere anche per loro le regole valide per i numeri interi: più precisamente, che sempre le stesse componenti primarie (grosso modo) continuino a saltar fuori quando si scompongono molte entità diverse scelte a caso. Per esem-pio, con una manciata di piccoli numeri primi, si otterranno, usando la moltiplicazione, tutti i numeri interi (meno una minima percen-tuale) tra 1 e 1.000.000 (e con due manciate di primi — diciamo quelli sotto 30 — la percentuale degli esclusi sarà addirittura minuscola). Questa metafora vorrebbe avvalorare l'idea che esista un reperto-rio ragionevolmente piccolo di entità indivisibili ad alta frequenza — moduli pronti ad essere continuamente riusati — con cui si possa costruire praticamente ogni ambigramma. Certo, di quando in quando, qualcuno necessiterà di nuove entità indivisibili da inven-tarsi e da aggiungere al repertorio, proprio come avendo a che fa-re con molti numeri grandissimi presi a caso, ci s'imbatterà infine in uno che contiene una novità, come ad esempio 10.787, i cui fat-tori sono 7 e 23 (già catalogati) e 67 (che è nuovo). I membri co-nosciuti del repertorio ad alta frequenza dovrebbero perciò essere sufficienti ad affrontare la quasi totalità delle situazioni ambigram-matiche tipo. Questo almeno è il punto di vista della metafora pro-posta. Tuttavia ribadisco che, nonostante sia seducente, si rivela una delusione totale l'idea di un calcolatore capace di produrre ambigrammi di alta qualità per mezzo di un simile ambialfabeto (o meglio, con un insieme di 16 ambialfabeti).

G e b : Ne devo dedurre che un vecchio ambigrammista uma-no come te non possiede ambialfabeti mentali? Che t'inventi al-l'occorrenza e sempre di nuovo quello di cui hai bisogno? Che non hai nessun trucco memorizzato?

H o f : Oh, no, sarebbe per lo meno un travisamento della realtà se negassi di avere un qualche repertorio di mini-soluzioni già pronte — piccoli moduli memorizzati. Naturale che li ho! Ma la maggior parte dei moduli memorizzati che possiedo sono tut-

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t'altro che forme grafiche perfezionate; di solito non sono che com-ponenti astratte che mi permettono di costruire velocemente gli sche-letri concettuali.

Tristi ambigrammi, privi di magia G e b : Cosa accade se, limitandoti ai moduli a lettere singo-le che hai fatto prima, tenti di rispondere a nuove sfide ambigrammatiche?

H o f : È un po' come salire una corda con una mano legata dietro la schiena. Ma, dammi un tema, e si vedrà cosa posso fare.

G e b : Bene — il più ovvio da proporre è certamente "John ' ' . E che ne dici poi, di "Tina"?

H o f : Ebbene, con la limitazione dei moduli "preconfezio-nati", c'è una sola operazione di simmetria che posso far funzio-nare in entrambi i casi, e nessuno dei due ambigrammi che ne ri-sultano è tale da entusiasmare (vedi Fig. 27). Sono ambedue riflessioni-lago sui nomi in orizzontale — un approccio che di so-lito non pone alcuna difficoltà. La soluzione per "T ina" è parti-colarmente deludente, data la confusione fastidiosa di caratteri e di stili.

G e b : La soluzione per " J o h n " non è però così cattiva, non ne convieni anche tu?

H o f : Posso arrivare a dire che è più gradevole. Ma merita che su di esso mi dilunghi ancora. Quando più addietro ho detto che avevo faticato molto a fare un ambigramma su " J o h n " , in-tendevo dire che era stato difficile farne uno di cui potessi andar fiero — qualcosa di inaspettato, difficile, e soprattutto un po' ma-gico. Con ciò voglio dire che non desideravo niente di banale, ma piuttosto qualcosa come una riflessione-muro sul nome scritto in orizzontale, o un mezzo-giro, un quarto-di-giro, una giravolta. Que-

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n > 28

27. Due riflessioni lago omografiche ot-tenute usando "moduli preconfezio-nat i" per tutte le lettere (da parago-nare con le Figg. 28 e 40)

28. Un mezzogiro creativo su " J o h n " , o t t e n u t o u t i l i z zando il raggruppamento

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burbera 29

29. Una coppia felice combinata in cie-lo: " B a r b a r a " e "Michae l"

30. Una corrispondenza alquanto forza-ta sui nomi degli interlocutori

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ste sì che sarebbero state delle imprese di cui portar vanto, perché non è facile "sposare" " O " con " H " o " J " con " N " . È proba-bile che non abbia mai preso in considerazione la simmetria sfrut-tata nel " John" della Fig. 27a, per la semplice ragione che gli omo-grammi a riflessione-lago sono così banali che non sorprendono, non c'è magia. E questo non fa eccezione — è proprio blah!

G e b : Allora qual'è stata infine, per fare un paragone, la tua soluzione non meccanica su " John"?

H o f : È il mezzo-giro della Fig. 28. Non m'incanta, ma al-meno è più interessante della meccanica riflessione-lago let-tera-su-lettera. G e b : Vi è almeno un pochino di magia?

H o f : Mi piace pensarlo. Il punto è che l'approccio attra-verso ambialfabeti meccanici può fornire "soluzioni", ma queste sono nella quasi totalità esteticamente deboli, per lo più banali e prive di magia, tanto che non c'è da esserne certo orgogliosi. Non ripeterò mai abbastanza quanto la magia — cioè, idee inaspettate — sia importante nell'ambigrammatica. Un ambigramma imper-fetto ma con della magia vale molto di più di uno perfetto ma ba-nale. Questi ultimi sono una barba! Perché chi legge possa avere un'idea delle probabilità di successo con moduli prefabbricati lettera-su-lettera, suggerisco alcune sfi-de omogrammatiche sui seguenti nomi:

Anna Erica Juan Frank Paolo Irina Sandra Vicki Melody Gonzalo

Quelli sulla prima linea non pongono particolari difficoltà, ma quel-li della seconda si riveleranno compiti particolarmente difficili, e forse impossibili. Tuttavia possono esser risolti tutti, una volta ri-mossa la costrizione sull'uso di moduli a lettere singole.

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Sette difficoltà per un approccio troppo meccanico G e b : Sei stato chiaro. Ma scommetto che vi saranno esper-ti pronti ad obbiettare che si potrebbero avere programmi per cal-colatore più sofisticati, basati su ambialfabeti molto più estesi. E a questi come risponderesti?

H o f : Che sono convinto dell'impossibilità dell'idea che un calcolatore riesca a produrre ambigrammi di alta qualità tramite una ricerca esauriente. La seguente serie di sette punti dimostrerà, spero, perché io sia così scettico in proposito:

1. Delle circa 300 e rotti ambilettere richieste per comple-tare un ambialfabeto, molte danno soluzioni eleganti, ma molte altre — incluse combinazioni che si presenta-no molto spesso — ne danno di orrende; perciò basta che un ambigramma ne contenga soltanto una per risul-tare debole; due, poi, sono fatali. ( " O " in " H " ad esem-pio, è una bella sfida.) Programmatori umani, quindi, non solo dovranno creare tutte le ambilettere, ma an-che dar loro delle qualifiche — o "valori di rischio", per così dire — in modo da permettere che la qualità complessiva di un ambigramma (o almeno la sua leggi-bilità) sia valutata sulla base delle qualifiche delle sue componenti. Ne consegue il punto seguente...

2. Si presume che un ambialfabeto sia composto con le mi-gliori ambilettere a conoscenza del suo disegnatore. Dun-que, un ambigramma il cui valore-di-rischio ci disturbi perché supera un punto critico non potrà comunque es-ser perfezionato aggiungendo un'ambilettera migliore, perché se una tale ambilettera esistesse, avrebbe dovuto far parte dell'ambialfabeto fin dall'inizio! La sola via d'uscita è quindi quella di prendere in esame altre sim-metrie o altre varianti nominali. Questo costringerebbe il calcolatore a contenere non solo 16 ambialfabeti (uno per ogni tipo di simmetria), ma altresì una lunga lista di varianti nominali come "Elizabeth", "Liz" , "Bet-

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ty" , "Beth" , ecc. (Ancora una possibilità: il calcolato-re potrebbe chiedere in anticipo una lista di varianti ac-cettabili del nome proposto, ma si ridurrebbe così il bello della cosa.)

3. Molti degli ambigrammi costruiti lettera-su-lettera (cioè con entità indivisibili costituite da una sola lettera) so-no passabili, ma molti sono troppo "arrischiati". Ora, per un ambigrammista umano, la scappatoia più comu-ne è tentare un qualche raggruppamento (cioè, entità in-divisibili più lunghe). Ma il raggruppamento è molto di più di una semplice scappatoia; anzi, è la sola strada pos-sibile per un ambigramma che coinvolga nomi con con-teggi letterali disuguali. Quando siano nomi di diversa grandezza ad essere applicati l 'uno sull'altro, anche 16 ambialfabeti completi di 351 irreprensibili ambilettere ciascuno risultano insufficienti. Vi sono 17.576 entità in-divisibili per tre lettere, e moltissime di più per quattro, cinque, ecc. Chi può trovare — calcolarne il rischio — le centinaia di migliaia di entità indivisibili più lunghe, necessarie a un calcolatore per il suo repertorio permanente?

4. Se si prende in considerazione un nome al livello delle lettere, non vi saranno dubbi sulla sua composizione; se al contrario cerchiamo di spezzarlo in entità più este-se, allora si presenteranno molti modi di farlo. Quali let-tere combinare tra loro e quali lasciare da sole (ammes-so ve ne sia qualcuna)? Quale estensione dare alle enti-tà? Tutte queste domande sono relative sia all'uno che all'altro dei lati dell'ambigramma (o che è lo stesso, ad entrambi i nomi). Il numero delle possibilità ammonta a un totale formidabile, specialmente se si ha a che fare con nomi lunghi.

5. Nei punti precedenti ho avanzato la possibilità di asse-gnare "valori di rischio" fissi alle ambilettere o alle en-tità più estese. Anche qui vi è dell'ottimismo. Per quan-

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to riguarda il riconoscimento, ogni nome contiene zone che sono più critiche di altre; e lettere in zone più criti-che possono avere un grado di illeggibilità maggiore di quelle che sono in zone critiche — ma di quanto? Fin dove si può spingere una zona a cedere leggibilità in mo-do che un'altra zona aumenti la sua? Il calcolatore do-vrà riconoscere quali zone sono critiche e quanto lo so-no (dopotutto "critico/non critico" non è una distin-zione binaria). Gli umani dovrebbero compilare un ca-talogo mostruoso in cui sia stabilita e annotata la lista completa dei nomi che possano presentarsi nelle sfide ambigrammatiche (e in quanto, ovviamente, è impossi-bile predire quali nomi si presenteranno, significa in real-tà la lista di tutti i nomi della terra). E non dimentichia-mo che essendo due i nomi coinvolti, ogni segmento pre-senta due valori critici! Cosa fare se nella lettura # 1 una data area è supercritica e non lo è invece nella lettura # 2? Non sarà indispensabile in tal caso per il calcola-tore possedere un ventaglio di ambialfabeti sbilanciati ognuno dei quali contenga centinaia di ambilettere (e di conseguenza migliaia di ambientità) che appaiano più forti da un lato che dall'altro? Quanti di tali ambialfa-beti, e con quanti livelli diversi di squilibratura, saran-no necessari per ogni operazioni di simmetria?

6. I segmenti critici per il riconoscimento di un nome non sono determinati dal nome in astratto, ma dipendono in concreto dalla variante caratteriale usata. Qualcosa che nel corsivo è critico non lo è necessariamente nei ca-ratteri maiuscoli a stampatello, per esempio. Pertanto, il catalogo annotato di tutti i nomi possibili sovramen-zionato dovrà essere ancora, e di molto, allungato per permettere l'ingresso di tutte le varianti caratteriali pos-sibili (ricordi, sopra, le 24 varianti di "Tina"?). Per di più, tra queste, alcune sono apprezzabili in sé (ad esem-pio "Tina") , mentre altre sono abbastanza sgradevoli (ad esempio "tiNA"); pertanto dovrà essere indicato per

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ciascuna variante caratteriale il livello di gradevolezza, e se ne dovrà in qualche modo tener conto nel totalizza-re il "punteggio" totale delPambigramma. Questa que-stione dello stile e della gradevolezza introduce all'ulti-mo dei miei sette punti, il colpo di grazia...

7. Oltre la leggibilità, gli ambigrammi devono possedere bellezza. Questo punto non è stato ancora discusso, per-ché la bellezza è una proprietà globale, e anche uno sprovveduto si accorgerebbe dell'incongruenza di asse-gnare un "valore di bellezza" fuori del contesto a cia-scuna ambilettera presa da sola; non importa infatti quanto possono esser belle cinque lettere una per una, se queste appartengono a stili diversi: il loro accostamen-to risulterà una frittata. Un ambigramma che voglia at-trarre l'attenzione di spettatori umani (che dopotutto si presume costituiscono il pubblico), deve possedere uni-tà e grazia stilistiche. Sono qualità che possono essere sviluppate solo per stadi, e quando questi comprenda-no la ricerca di uno scheletro, lo schizzo, l'equilibratu-ra, il dar corpo, e la rifinitura, cioè le cinque fasi con-template sopra, e in più, naturalmente, l'inevitabile ef-fetto di retroazione e le modifiche che risultino da un esame e da un giudizio percettivi. Solo a partire da un simile processo per tentativi ed errori — esattamente l'op-posto di un programma che adoperi entità "preconfe-zionate" già pronte all'uso — potrà essere costruito un ambigramma attraente e leggibile.

Esplosioni combinatorie e creature creative G e b : Sembri avercela con i calcolatori a proposito degli am-bigrammi. Perché questa reazione viscerale?

H o f : Perché è solo uno dei molteplici esempi dell'impres-sione oltremodo semplicistica che molte persone coinvolte con i calcolatori — e nel campo dell'intelligenza artificiale sono in mol-

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ti a pensarla così — hanno del grado di sofisticazione della mente umana. C'è una forte tendenza a credere che il calcolatore possa fare tutto quello che una persona fa, e anche meglio, una volta trovate le "regole" giuste e si sia immessa abbastanza "conoscen-za" . I programmi che contengono sia queste regole che questa co-noscenza si chiamano "sistemi esperti", e spesso li si spaccia per successori (persino più bravi) degli esperti umani nei settori tecni-ci più diversi, quali la diagnostica medica, l'esplorazione petroli-fera, e in centinaia di altri campi limitati come questi. Credo che queste pretese siano non solo clamorosi nonsensi, ma anche insul-ti profondi allo spirito umano. Ho tentato, nei sette punti precedenti, di distruggere uno di questi miti sulla competenza del calcolatore, mostrando la incredibile quantità di informazioni che avrebbe dovuto immagazzinare. (Que-sto tipo di enormità moltiplicativa prende comunemente il nome di "esplosione combinatoria".) Tuttavia, non vorrei aver dato trop-pa importanza ai numeri, perché così darei l'impressione che, ben-ché attualmente il problema si presenti come insolubile, una volta che i calcolatori diventassero abbastanza grandi e veloci, allora sa-rebbero capaci di fare ambigrammi al livello dei migliori ambigram-misti umani. In realtà, il problema è che tutta l'impostazione è priva di fondamento; in quanto fallisce a tanti livelli diversi l'essenza del problema, dubito che la velocità e la grandezza dei calcolatori abbiano la minima importanza. Questa non è, per carità, una polemica sulla possibilità di model-lare il processo creativo nel calcolatore! Lo è invece contro la si-mulazione computerizzata di un tale processo senza tener conto assolutamente dell'essenza della creatività. Bisogna basarsi sulla percezione e il giudizio, tentando di fare un modello con tutte e cinque le fasi che ho sottolineato prima, incluso l'effetto di retroa-zione. Ecco ciò che credo sia giusto, ed è anche la via, ancora pic-cola in verità, che ho intrapreso nelle mie ricerche scientifiche. È per questo che la mia reazione verso un modo primitivo di affron-tare il problema tende ad essere viscerale.

G e b : Hai messo bene in evidenza come, una volta che l'am-

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bigrammatica la si affronti meccanicamente, si raggiungono cifre astronomiche. Per quanto mi riguarda non posso nemmeno ten-tare di immaginare quali dimensioni gigantesche raggiungerebbe un catalogo annotato che dovesse tener conto di tutti i nomi e di tutti gli ambialfabeti con tutti i possibili livelli di squilibratura. Per-ciò accetto le tue conclusioni basate sull'immensità dei numeri, sul-l'impossibilità di meccanizzare l'ambigrammatica seguendo que-sto metodo. Ma il tuo argomento non prova con eguale efficacia che anche per le persone è impossibile far ambigrammi? E dato che ciò è evidentemente assurdo, qualcosa, da qualche parte, non funziona.

H o f : È vero — c'è qualcosa che non va. Farò un'analogia. Sia le persone che i calcolatori giocano a scacchi, e alcuni calcola-tori ultimamente anche molto bene. Ma persone e calcolatori, se consideriamo bene la cosa, giocano in maniera diametricalmente opposta. I calcolatori scorrono ogni ramo dell'immenso albero bi-forcante delle possibilità — "io faccio questa mossa, tu rispondi con quella, poi io faccio quest'altra mossa, e tu . . ." — fino al com-pletamento di ogni mossa immaginabile: ogni mossa legittima viene presa in considerazione, poi ogni contromossa legittima, e poi ogni contromossa di ogni contromossa legittima, e così via per un fu-turo remoto. Alla lettera, milioni di posizioni possibili sulla scac-chiera, con il pericolo e l'attrazione che esercitano, vengono esa-minate in pochi secondi, prima di scegliere quale mossa fare. Si tratta di un approccio al gioco per "forza bruta", che però fun-ziona in maniera impressionante. Tuttavia, in molte esperienze di psicologia, si è riscontrato che le persone, nello scegliere che mossa fare, non si comportano asso-lutamente così. In effetti le persone — e anche quelle che sanno appena giocare — non si accorgono della maggior parte delle mosse legittime previste dalla situazione, anzi non le prendono nemme-no sul serio come possibilità. Individuano istintivamente, e si con-centrano poi, su due o tre che sembrano funzionare. Tentando di immaginarsi le conseguenze, considerano solo quelle contromos-se che per l'avversario apparirebbero "ragionevoli". A volte tut-

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to questo lavorìo mentale può portarle a considerare una mossa non considerata all'inizio, ma è raro. In definitiva, le persone si distinguono dai calcolatori in quanto ignorano l'esplosione com-binatoria dei mondi biforcanti. Ho fatto questa analogia perché penso la stessa cosa per quanto riguarda gli ambigrammi: le persone posseggono una abilità di elu-dere l'esplosione combinatoria che affiora quando si considera il problema dal punto di vista del calcolatore. Quando affronto una nuova sfida ambigrammatica, di solito mi rendo conto di non più di una o due vie di uscita, e non sono per niente schiacciato dal mostruoso numero di possibilità; anzi molto spesso sono disorien-tato per la loro mancanza! È molto curioso che le persone non av-vertano alcun senso — almeno sul livello cosciente — delle innu-merevoli strade di approccio a qualsiasi sfida ambigrammatica.

Il riconoscimento delle forme e la percezione umana G e b : E allora come fanno le persone a giocare a scacchi e a fare ambigrammi? Non può essere per magia!

H o f : Giusto. È che le persone nascondono nel proprio cer-vello un asso che è il riconoscimento delle forme, ossia la possibi-lità di vedere proprietà astratte estraendo l'essenziale di una situa-zione da un mucchio di dettagli. Ciò avviene perché nella mente sono in funzione grandi quantità di attività simultanee in movi-mento. Questo si chiama parallelismo del cervello. In realtà non è chiaro come avvenga questa "estrazione di essenza", benché qual-che scienziato che lavora nel campo della conoscenza abbia svi-luppato modelli che propongono spiegazioni parziali. Succede che un approccio per "forza bruta" agli scacchi funzioni maledettamente bene, il che dimostra come l'esplosione combina-toria degli scacchi sia relativamente ristretta, abbastanza perché i calcolatori possano controllarla. Per questo fanno sì bella figura con le persone, anche giocando in maniera totalmente diversa. Sono convinto che il campo ambigrammatico, molto meno coin-

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volto con la matematica, sia in compenso molto più difficile da espugnare, impiegando la forza bruta. Se si vuole automatizzare l'ambigrammatica, l'approccio dovrà seguire i modi delle persone piuttosto che tentare di combattere l'esplosione combinatoria con la velocità e con la quantità di memorizzazione. Come ho detto prima, la via che seguo è questa, benché al momento non stia af-frontando l'ambigrammatica di petto, perché sarebbe troppo dif-ficile. Per tirare le somme, non sono in definitiva contrario alla meccanizzazione dell'ambigrammatica, o a simili attività creative — anzi l'opposto. La mia avversione è diretta soltanto verso chi pensa che la sola cosa da fare sia l'impiego della forza bruta nella forma di mostruose catalogazioni di regole, cenni, soluzioni stan-dard, e quant'altro mai!

G e b : Se ho ben afferrato, sei favorevole a un modello in cui la percezione sia la chiave di tutto.

H o f : Sì, perché la percezione — specialmente nella sua for-ma più astratta — trascende ogni campo particolare; è generica e flessibile, caratteristiche necessarie alla creazione. Creatività è l'abilità di trovare costantemente nuovi punti di vista sfruttabili. Mi è alieno il pensare che atti creativi siano solo il ri-sultato dell'accostamento di un certo numero di soluzioni memo-rizzate, non importa quanto astute, tratte da una specie di catalo-go prefissato, non importa quanto grande. Mi sembra che un si-mile accostamento preluda solo a produzioni sterili.

Un'analogia tra numeri primi e entità indivisibili G e b : Questo mi riporta indietro all'idea di fare ambigram-mi per mezzo di un repertorio fisso di entità indivisibili. Penso tu abbia formulato una buona analogia confrontando la scomposi-zione di un ambigramma in entità indivisibili con la scomposizio-ne di un intero abbastanza grande in numeri primi. Ma i commen-ti ulteriori hanno invalidato questa analogia, o no?

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H o f : Sì e no. In un senso l'analogia non regge, semplice-mente perché non vi sono entità ad alta frequenza che continuino a saltar fuori nella "fattorizzazione" degli ambigrammi. D'altro lato, se si osserva tutta la faccenda da un punto di vista legger-mente spostato, allora l'analogia si rafforza di nuovo. Uno degli aspetti più significativi, per quanto riguarda i numeri primi, è che essi sono in numero infinito. Pertanto:

Nessun insieme finito di numeri primi permetterà di affron-tare con successo qualsiasi sfida di fattorizzazione di inte-ri; l'insieme requisito di primi è infinito.

Questo fatto ha un equivalente stretto nella mia maniera di consi-derare le cose:

Nessun ambialfabeto finito di entità indivisibili permette-rà di affrontare con successo qualsiasi sfida ambigramma-tica; l'insieme requisito di entità è infinito.

(Ad essere esatti, devo dire che l'insieme richiesto di entità indivi-sibili è così grande che in pratica è effettivamente infinito.) Così, sottolineando certi aspetti di una singola analogia e mini-mizzandone altri, possiamo destreggiarci ed usare la medesima ana-logia per sostenere punti di vista opposti. A sostegno della nuova conclusione, mettiamo in evidenza l'eterna novità dei numeri pri-mi, mentre non diamo importanza al fatto che un insieme relati-vamente piccolo di numeri primi può aver ragione della maggior parte delle "scomposizioni in fattori", in un raggio abbastanza vasto.

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V. AMBIGRAMMI E ANALOGIE

La distorsione curata delle categorie: il segreto delle analogie G e b : La tua analogia è provocatoria, così come lo è il tuo modo di cambiare di enfasi per non dover abbandonare l'analo-gia. Non tenti mica, tra le righe, di fare una connessione tra ambi-grammi e analogie?

H o f : Certo. È appunto la questione che voglio discutere. In che senso gli ambigrammi sono come analogie?

G e b : Ebbene, spiegalo, ti prego!

H o f : Sono contento che me lo abbia chiesto. Lascia che pro-vi a spiegare prima cos'è un'analogia. È la messa in corrisponden-za di due strutture (o due situazioni) l'una sull'altra in modo che aspetti salienti di ciascuna struttura abbiano controparti distinte nell'altra, mentre aspetti minori possono o meno non averne. Si deve sentire che l'essenza di ciascuna struttura è rispettata e la si ritrova, specchiata, nell'altra struttura. Se per esempio si traspor-ta lo scandalo americano del Watergate su quello francese più re-cente del Greenpeace, non ci si deve aspettare di trovare "il G. Gordon Liddy dell'affare Greenpeace" o, per contro, "la Nuova Zelanda dell'affare Watergate". G. Gordon Liddy è stato senza dubbio un personaggio pittoresco, ma non ha molto a che fare con l'essenza del Watergate. E il fatto che il Rainbow Warrior sia sta-to affondato al di fuori delle acque territoriali francesi è irrilevan-te per quanto riguarda lo scheletro concettuale dello scandalo. L'es-senziale di ambedue le situazioni è che sia stato commesso un cri-mine, il quale fu in seguito messo in connessione con dei governi nazionali, che alti funzionari di questi governi abbiano manovra-to per coprire il loro coinvolgimento, che queste manovre siano venute a galla dopo inchieste giornalistiche e ufficiali che portaro-no, infine, alle dimissioni di vari alti funzionari.

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Alcune coppie di situazioni sembrano intrinsecamente andare più d'accordo di altre. Molti trovano che l'assassinio di Kennedy e quel-lo di Lincoln si assomigliano in modo impressionante. L'Afgani-stan è stato spesso chiamato "il Vietnam sovietico", e poche per-sone trovano da ridire sul paragone. Il conflitto religioso interno al Libano ricorda da vicino quello dell'Irlanda del Nord. Ma al-trettanto spesso, analogie che colpiscono nel segno appaiono co-munque molto meno evidenti. Mi ha colpito una volta un titolo in un giornale che dichiarava l'in-segnamento in America "la Beirut delle professioni", che ha ri-chiamato subito alla mia mente l'immagine di una città una volta gloriosa e ora devastata — ma perché il trasferimento fosse effet-tuato, dovetti tralasciare allora il fatto "inessenziale" che Beirut è una città, e trasportarne l'immagine, molto astratta, su di una "professione". Era un'equazione ingegnosa, e andava diretta al-lo scopo. I vignettisti politici vivono di questo genere di intuizio-ni. Ma se ci si pensa su, Beirut e l'insegnamento non hanno niente a che fare tra di loro, e pochi li metterebbero in comune di primo acchito se, un giorno, il titolo di un giornale non le facesse uguali e noi non ci trovassimo volenti o nolenti ad assentire all'istante alla loro somiglianza. Un fulmine a ciel sereno!

G e b : Ma se era vero tutto il tempo, perché non era eviden-te anche tutto il tempo? Era un fatto obbiettivo e palese che Bei-rut e l'insegnamento potevano essere applicati così bene l'uno sul-l'altro? O l'apparente somiglianza non è che un'illusione dovuta a qualche strana eccentricità del sistema categoriale umano? Le nostre menti sono così avide di somiglianze, oppure disposte ad accettar tutto, che qualsiasi coppia di situazioni può essere proiet-tata I'una sull'altra in modo analogico, tanto da farci credere che stia accadendo qualcosa di reale?

H o f : Tutto questo meditar retorico può essere passato pari pari nel mondo degli ambigrammi. Si può rappresentare ogni coppia di parole l'una sull'altra? Alcune sembrano meglio disposte all'ac-coppiamento, e infatti alcuni ambigrammi ci colpiscono come mi-

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racoli. Cose che sembravano non aver niente a che fare tra loro — due nomi come "Michael" e "Barbara" , per esempio — im-provvisamente si rivelano somiglianti in modo impressionante (vedi Figura 29).

G e b : Un fulmine a ciel sereno!

H o f : Ma se era vero tutto il tempo, perché non era eviden-te anche tutto il tempo? Era un fatto obiettivo e palese che "Mi-chael" e "Barbara" potevano essere applicati così bene l'uno sul-l'altro? O l'apparente somiglianza non è che un'illusione dovuta a qualche strana eccentricità del sistema categoriale umano? Le nostre menti sono così avide di somiglianze, oppure disposte ad accettar tutto, che qualsiasi coppia di parole può essere proiettata l'una sull'altra in modo ambigrammatico, tanto da farci credere che stia accadendo qualcosa di reale?

Tre tipi di analogie e di ambigrammi G e b : Sembra tu sia convinto del nesso tra ambigrammi e analogie.

H o f : Sì, per gran parte li vedo coincidere. È una delle ra-gioni per cui sono così interessato agli ambigrammi. Mi pare che vi siano due tipi di analogie (benché questa distinzione vada presa cum grano salis: le analogie possono disporsi in un punto qualsia-si dell'intervallo). Il primo tipo è l'analogia trasparente — per esem-pio quella tra gli assassinii di Lincoln e Kennedy, dove la connes-sione è così ovvia e agevole che chiamarla "analogia" sembra quasi un artificio. Per chiunque abbia familiarità con ambedue le situa-zioni, sarebbe offensivo far notare il parallelismo — dire, ad esem-pio, "Il ruolo di John Wilkes Booth è stato ricoperto da Lee Har-vey Oswald". All'altro estremo rispetto all'analogia "trasparen-te" è la corrispondenza forzata, che costituisce i ferri del mestiere dei vignettisti politici e dei panfletisti satirici, i quali vivono indi-viduando insolite rassomiglianze e portandole ad altezze inaspet-

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tate. L'uno o l'altro degli eventi che entrano nella combinazione sarà "deformato concettualmente", ma si fa confidenza nella di-sponibilità dei lettori ad accettare ed essere influenzati da queste somiglianze. La connessione tra Beirut e l'insegnamento è di que-sto tipo. Agli ambigrammi si applica lo stesso genere di distinzione. Alcuni risultano trasparenti, come "tidbit" (Figura 13); altri forzati, co-me "Douglas R. Hofstadter/Egbert B. Gebstadter" (Figura 30). Niente in questi nomi sembra suggerire che essi funzioneranno una volta accoppiati — eppure funzionano (o meglio, si può fare in modo che funzionino). Molti degli ambigrammi più interessanti sono corrispondenze forzate, altrimenti non vi sarebbe magia.

G e b : Non ti sembra che "corrispondenza forzata" abbia un suono un po' sgradevole? Non fa venire in mente un matrimo-nio combinato che risulta un disastro?

H o f : Buona osservazione! Forse sarà bene trovare un altro termine. In effetti, il campo del sentimento che hai introdotto me-rita di essere sondato più in profondità. È pieno di vocaboli sug-gestivi che fanno al caso nostro. Alcune storie d'amore sembra che siano state combinate in cielo. Sono queste le coppie felici, rare come denti di gallina. Ci sono poi quelle che sembrano inferni in terra, eppure durano — spesso per ragioni sociali, di famiglia, o simili. Queste sono le coppie forzate. La maggioranza, tuttavia, ha le sue radici in una affinità all'inizio avvertita istintivamente, da cui emerge grado a grado un accordo complesso e sottile. Que-ste coppie non sono né forzate né felici, sono soltanto coppie fun-zionanti. Questi tre termini stanno a simbolizzare uno "spettro di affinità naturale" che può essere applicato indifferentemente alle storie d'amore, alle analogie, o agli ambigrammi.

G e b : Se si continua questo paragone tra ambigrammi e storie d'amore, allora si può dire che un ambigrammista è come uno che combina matrimoni — uno che nota affinità tra dei suoi amici, e li mette insieme.

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H o f : È così, ma c'è dell'altro. Un ambigrammista copre non solo il ruolo di quello che combina matrimoni, ma anche di quello che è prodigo di consigli — ossia dedica sforzi notevoli perché la storia vada avanti senza intoppi. Ma anche qui ci sono delle diffe-renze notevoli. Per esempio se il matrimonio fallisce, il consiglie-re si sentirà in qualche modo responsabile, e persino colpevole o meschino. Te lo immagini un ambigrammista che si sente colpe-vole perché un ambigramma riesce male? Il fatto è che può sem-pre cercare un'altra simmetria o un'altra variante nominale o una caratteriale, e così via. Nelle storie d'amore invece non ci sono certo questi gradi di libertà! E poi gli ambigrammisti sono fieri dei loro lavori e li mostrano con piacere. I consiglieri matrimoniali per contro non possono certo esibire la documentazione delle storie d'amore che hanno tenuto a galla.

G e b : Il fatto di possedere un campionario dà l'impressione che si abbiano solo meravigliosi successi, il che è ridicolo.

H o f : Non del tutto. Potrei perfino pretendere che non esi-stano brutti ambigrammi perché i mostri sono uccisi alla nascita, o abortiti prima di nascere, oppure non sono nemmeno concepiti, il che succede più spesso. Perciò tutti quelli che si vedono saranno per definizione i sopravvissuti — individui robusti che sono i su-perstiti della spietata "selezione naturale" eseguita dall'ambigram-mista stesso. E dunque, io pretendo che proprio come non esiste nessuna specie inadatta, così non vi saranno nemmeno cattivi ambigrammi.

La selezione naturale e l'inesistenza di ambigrammi tyutti G e b : Aspetta un momentino! Prima gli ambigrammi era-no analogie, poi storie d'amore, e ora bambini deformi e specie a diverso grado di adattamento. Una bella mescolanza di metafore!

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H o f : Sono desolato per questa improvvisa proliferazione, ma ti faccio notare che anche tu hai contribuito con una. In ogni modo, tutte hanno la loro ragione di essere. Per esempio, gli am-bigrammi esibiti sono come sopravvissuti, e altrettanto si può dire delle analogie pubblicate, perché quelle tra loro che sono veramente mostruose, se non sono uccise appena nate, allora sono abortite oppure nemmeno concepite. Qualsiasi analogia si tenti accostan-do il ponte Watergate e l 'affare Golden Gate morirebbe in fasce. Naturalmente vorrei poter dire che il paragone si applica anche alle storie d'amore — vale a dire che non ve ne sono di brutte — ma sfortunatamente, circostanze complesse di ogni genere congiu-rano nell'iniziare una storia e nel farla continuare, come accade con un bambino tragicamente deforme tenuto in vita artificialmente da malintesi indirizzi sociali.

G e b : E questo tipo di tragedia sociale, che corrispondenza avrebbe tra gli ambigrammi?

H o f : Uno veramente squallido, conservato ed esibito con quelli buoni per qualche ragione estranea ma importante per il crea-tore. Ma è difficile immaginare una cosa del genere.

G e b : E il tuo "Bivisione"?

H o f : D'accordo, ma di solito, gli ambigrammi di bassa qua-lità retrocedono gradualmente sul fondo del campionario, finché non vengono tolti definitivamente. Accade così che il pubblico abbia l'impressione che ogni ambigramma tentato riesca bene! Ma è sba-gliato, per la ragione che quelli che non vogliono saperne di fun-zionare non saranno mai portati a termine — in effetti la maggior parte di essi non è presa in considerazione, nemmeno allo stato embrionale. In altre parole, nozze veramente forzate, o non sono mai proposte, oppure sono subito disdette. E, per sottolineare an-cora la connessione, ciò ha valore sia per le analogie che per gli ambigrammi.

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31. Una proprietà nascosta del nome " G u t h " , scoperta da Greg Huber

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Gli ambigrammi: creazioni oppure scoperte? G e b : Dopo tutta questa discussione, c'è qualcosa che mi frul-la in testa, che ha a che fare con l'obbiettività e l'esistenza a priori di oggetti così eterei come le analogie e gli ambigrammi. La met-terò in questo modo: un buon ambigramma è una proprietà in-trinseca alle parole che contiene, oppure è solo una proprietà del-la nostra piente? E se è obbiettivo o intrinseco, quale originalità sarà attribuita a chi lo disegni?

H o f : La tua domanda mi fa venire in mente un bellissimo fatto accaduto a Greg Huber. Egli fece una specie di "iffoglifi-co" — anzi non proprio un "iffoglifico", ma un giroglifico — sul nome "Gu th" (vedi Fig. 31). Qui ogni lettera è esattamente della stessa forma; semplicemente la si prende dal basso, la si fa ruotare 3 volte di 90 gradi in senso antiorario, e si ottiene il nome. È un'idea apprezzabile, inventiva, ma quando Greg la mostrò a Alan Guth per cui l'aveva realizzata, questi sembrò moderatamente interessato ma non particolarmente colpito. Disse: "Oh! non sa-pevo che il mio nome avesse in sé questa proprietà!"

G e b : Che discorso è questo! È come se improvvisassi un bel-lissimo pezzo sul pianoforte di un amico e questi dicesse: "Oh! — non sapevo che questa musica fosse nel mio piano!". Mi riter-rei offeso!

H o f : Ed a ragione. Tuttavia l'osservazione di Guth, ben-ché fatta senza pensare, sembra meno assurda e offensiva di quel-la del tuo ipotetico amico. Dopotutto, una volta che lo si è fatto notare, sembra esserci una effettiva rassomiglianza tra tutte e quat-tro le lettere che compongono il cognome "Guth" . Quella rasso-miglianza era lì per tutto il tempo, in attesa che qualcuno, guar-dando con abbastanza attenzione, la scoprisse. Presente, o no? In-venzione o mera scoperta? Creazione, o semplice osservazione? Molti ambigrammi e molte analogie sembrano porsi a metà stra-da tra queste possibilità. Altre cadono vicino all'uno o all'altro

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degli estremi. Poco prima ho menzionato delle analogie che stan-no alle due estremità dello spettro. E per gli ambigrammi? Ve ne sono alcuni (vedi Fig. 13) talmente evidenti che è fuori luogo parlare d'invenzione; altri sembrano più nuovi, prendono in con-tropiede l'intuizione, forse hanno anche della magia (a prima vi-sta, almeno). Ma una cosa va messa in chiaro: alcuni ambigrammi sono obbiet-tivamente forti, altri obbiettivamente deboli. Non è proprio il ca-so di dire che "tutto va" . Le menti umane — per esser precisi, i nostri sistemi categoriali — non sono disposte ad accettare ogni corrispondenza si voglia appioppare loro; non più, per lo meno, di quanto si possa imbastire una storia d'amore con una coppia qualsiasi. Sorprende tuttavia nell'uso dei concetti quanta flessibi-lità vi sia in essi — fino a che punto possano esser distorti — e nello stesso tempo come abbiano confini oltre i quali non è possi-bile andare, cosicché siano pronti ad opporre una strenua resistenza a una combinazione troppo stiracchiata.

G e b : Ancora non riesco a mandar giù la frase di Guth. È un'osservazione stranissima. Come si può dire una cosa simile?

H o f : In realtà c'è dell'altro a proposito di questa storia. Greg rispose all'osservazione di Guth, "Posso fare così con qualsiasi nome". E Guth non seppe opporre altro che "Hmmm. . . " .

110 G e b : È divertente, ma cosa voleva dire Greg con "fare co-sì"? È senza dubbio una pretesa curiosa.

H o f : Sono d'accordo. Certamente non intendeva niente che fosse vicino al significato letterale (non è nemmeno chiaro quale fosse alla lettera il significato della millanteria di Greg!). Ma in sostanza Greg voleva dire: "Dammi un nome qualsiasi, e ti mo-strerò una sua proprietà che non conoscevi". E questo è uno dei trucchi che sono a disposizione dell'ambigrammista: egli esplora molte strade per trovarne infine una che comporti una soluzione soddisfacente; rivela allora questo risultato ma senza menzionare

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tutte le altre innumerevoli vie che sono risultate vicoli ciechi. Al destinatario rimane pertanto l'impressione che quella sia stata la sola via intrapresa (benché l'ambigrammista non l'abbia mai det-to in modo esplicito). Certo sembra un colpo di fortuna. Da coppie cui avevo fatto ambigrammi sui due nomi, spesso ho avuto più o meno questa reazione: "Quanto sei stato fortunato che i nostri due nomi avessero lo stesso numero di lettere!". Tali esclamazioni mi divertono sempre. Mi ricordano la seguente af-fermazione ingenua, ma apparentemente scientifica: "La vita sul-la terra esiste solo grazie al miracolo di un rapporto fortuito tra i livelli di energia del carbonio, senza il quale non vi sarebbe nes-sun ciclo del carbonio e dunque nessuna evoluzione della vita sul-la terra". Bene, se si tenta di scalare una parete e non ci si fa per una via, si torna indietro e si tenta da un'altra parte. Quando si arriva in cima si potrà dire a noi stessi: "Sei stato proprio fortu-nato per quella cornice che era lì!". Ma sai dentro di te che vi era-no migliaia di altre vie, e che ce l'avresti fatta prima o poi con qualcuna. Anche la vita, in una forma o l'altra, si sarebbe prima o poi evo-luta, aiutata o bloccata che fosse dalla disposizione dei livelli di energia del carbonio — e come accade con la vita e lo scalare mon-tagne, così accade anche per gli ambigrammi. Il fatto che Michael avesse sposato Ruth invece di Barbara, o che la sorella di Alejan-dra fosse stata Carmen invece di Magdalena, avrebbe influenzato di poco la fattibilità dei relativi ambigrammi. Per fare ambigrammi, nomi a lunghezza diseguale non sono me-no adatti di quelli a lunghezza uguale. Talvolta è richiesto un rag-gruppamento astuto, un'altra un quarto-di-giro fa al caso nostro, e così via. Tutte le volte è diverso. Ma i possessori dei due nomi coinvolti, ignari della ricchezza del mondo degli ambigrammi e ve-dendo i loro nomi accoppiati, restano perplessi e non s'immagi-nano come "c iò" — ai loro occhi definito dalla particolare ope-razione di simmetria, dalla scelta particolare di lettere da capita-lizzare, dallo stile particolare, ecc. nel gramma che osservano — possa essere applicato ad altro nome che sia. E in questo hanno ragione, perché "c iò" , così strettamente definito, non può esser

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fatto che con pochissimi nomi. Se mi fossero state date a priori tutte le restrizioni che definiscono "c iò" ai loro occhi, allora mi sarei sentito incredibilmente fortunato nel momento del successo — così come mi sarei sentito incredibilmente fortunato di arrivare in cima a una parete, se la strada da percorrere fosse stata arbitra-riamente predisposta da qualcuno ignaro di scalate! Mi è successo un paio di volte di fare un ambigramma su un no-me e di accorgermi solamente dopo di averlo trascritto male (le persone a cui erano dedicati gli ambigrammi erano troppo imba-razzate per farmelo presente, ma qualcuno me lo ha fatto notare). Ogni volta ho potuto riparare al fallo, o rifacendo tutto l'ambi-gramma, o addirittura inventandolo da capo e sul posto. Rime-diare così velocemente e dinanzi a un pubblico mi ha fatto sentire proprio bravo, e, dal di fuori, dev'essere apparso agli altri un ve-ro atto di magia.

Il ruolo della fortuna nell'ambigrammatica G e b : Quale ruolo diresti gioca la fortuna, seppur ne gioca qualcuno, nella creazione degli ambigrammi?

H o f : Una domanda stimolante. Gli ambigrammi hanno con la fortuna un curioso rapporto ambivalente. Ogni buon ambigram-ma è, per qualche aspetto, un esempio di buona fortuna; ma è an-che, per qualche altro aspetto, un esempio di cattiva fortuna. Si prenda la riflessione-muro "Michael-Barbara" della Fig. 29. Quan-do la scoprii mi eccitai moltissimo nel vedere come i due nomi s'in-castrassero bene insieme, ma nello stesso tempo, e proprio per que-sta ragione, avvertii con disappunto la concidenza della " i " in "Mi-chael" con la " a " mediana in "Barbara"; senza questo conflitto, l'ambigramma sarebbe stato quasi perfetto, maledizione! Ma l'esempio di intreccio di buona e cattiva fortuna che preferi-sco è il mio ambigramma a oscillazione su "Scott Kim" (Fig. 7b).

G e b Dove sta la buona fortuna?

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H o f : Ebbene, non ti sembra una gran fortuna che con una " S " e una " C " , l 'una accanto all'altra, si possa fare una elegante " K " , e con due " T " morbide che si appoggino, una " M " del tut-to credibile? Ma forse non si deve ricercare in questi due fatti la fortuna, per-ché si tratta delle basi stesse per cui l'ambigramma è possibile. Do-potutto, soltanto quando si trovano sufficienti rassomiglianze, si può tentare di fare uno scheletro concettuale; e in questo caso le due coincidenze ci forniscono una base adeguata per tentare.

G e b : Fin qui tutto giusto. Ma, e della cattiva fortuna che ne dici?

H o f : Non è un peccato che " O " e " I " debbano coincide-re? Sono così diverse — " O " fondamentalmente un cerchio vuo-to, " I " un'asta lunga e stretta — praticamente inconciliabili. Il solo compromesso che può esser tentato tra loro è diretto e primi-tivo: un'ellisse semivuoto, allungato, e accettabilmente sottile. Questa è la prima delle sfortune. La seconda è 1"'esplosione com-binatoria", piccola ma che mantiene il suo potere distruttivo e che avviene in ogni ambigramma a oscillazione composto da più di una entità indivisibile. Il fatto è che tutte le entità indivisibili sono li-bere di oscillare indipendentemente l 'una dall'altra, dando luogo a un vortice di letture indesiderate e potenzialmente rivali. Più en-tità indivisibili ci sono, e più grande risulta l'esplosione (un nume-ro n di esse dà 2" letture), come si può osservare qui sotto:

SC o TT o o o K I M

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Poiché ci sono tre entità indivisibili, si avranno 2 x 2 x 2 = 8 vie di-stinte per attraversare questa "re te" , ossia:

SCOTT SCOM SCITT SCIM KOTT KOM KITT KIM

Il solo fatto che favorisca le due interpretazioni desiderate è che siano nomi familiari. La seconda sfortuna è quindi la molteplicità d'interpretazioni, conseguenza inevitabile in un ambigramma a oscillazione con più di una entità indivisibile. Ma ecco un po' di fortuna correre in nostro aiuto! E c'è anche un modo particolarmente elegante per vedere come. S'inclini l'am-bigramma in modo da accostare gli occhi in basso alla pagina; guar-dando da questa posizione, "SCOTT" dovrà emergere chiaro e distinto. Al contrario, se lo si inclina in modo che gli occhi siano vicini al lato di destra della pagina o a quello di sinistra, allora sarà la volta di " K I M " ad apparire con forza.

G e b : Un effetto stupefacente! Cosa c'è dietro?

H o f : Lo stesso principio vale nell'arte anamórfica, dove, se si guarda da un'angolatura insolitamente obliqua, per effetto della prospettiva emerge qualcosa di inaspettato. Accade lo stesso qui, in quanto alcune delle lettere sono scritte sottili, altre larghe.

114 La diversa inclinazione della pagina tende a cancellare ora l'uno ora l'altro degli stili di scrittura. In modo specifico, le lettere sot-tili sono la " S " , la " O " e, fino a un certo punto, le " T " , mentre le larghe sono " K " , " I " e " M " . Perciò il nome "KIM" è fatto per intero con lettere k • he, e "SCOTT", al contrario, di lettere sottili (eccettuata la " C " che tuttavia ci è imposta dopo la visione della "S") . Si tenga presente che tutto ciò non è dipeso da me; i suoi genitori avrebbero potuto chiamare Scott "Scim Kott", e in tal caso l'am-bigramma a oscillazione sarebbe stato debolissimo; e lo sarebbe stato perfino nel caso che "Scim" e "Kott" fossero stati nomi reali

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(al posto di "Scot t" e "Kim"), perché le lettere avrebbero sempre larghezze sbagliate. Così risulta che sono stato fortunato, e non sfortunato, che la " O " e la " I " coincidessero, perché così è stata eliminata quel poco di "sfor tuna" che rimaneva. Ne è derivato infine un ambigramma simile al cubo di Necker, nel quale, nonostante le due interpreta-zioni ad ogni angolo (che, se ci pensi, fanno 2 8 o 256 modi diver-si e possibili di vedere l'insieme), tutti gli angoli oscillano in modo sincronizzato, cosicché ci sono soltanto due modi distinti di vede-re il tutto. È un bellissimo effetto, e la ragione principale per cui sono tanto orgoglioso di questo ambigramma.

G e b : Ma non hai detto proprio ora che era un caso? Allora che merito ne hai? Non è assurdo o presuntuoso esserne fiero?

H o f : Assolutamente no. Un fotografo sempre pronto a scat-tare eventi inaspettati acquista a giusta ragione molto credito, ap-punto per la sua prontezza. È vero talento saper cogliere al volo ciò che d'interessante accade dinanzi a noi e così "sfruttare il mo-mento". Alla fine la morale è: "Afferra la palla e scappa!".

G e b : È una maniera divertente di vedere le cose, che sotto-linea ancora una volta l'intrico della questione imbrogliatissima: "Invenzione oppure scoperta?".

H o f : Sono d'accordo. In un certo senso, vi è in ogni ambi-gramma tanto la buona che la cattiva sorte, eppure, in un altro senso, la fortuna non vi ha niente a che fare. Si può mettere anche così: a ciascun nome corrisponde un numero inconcepibile di mo-di di scriverlo; questi formano una specie di "spazio" in cui si può circolare come meglio ci aggrada. Un buon ambigrammista ha il fiuto di "avvertire" le regioni più promettenti in questo spazio, e, dato un tempo sufficiente, pescherà senza dubbio qualche perla rara. Invece un dilettante che si muova con meno efficienza, im-piegando lo stesso tempo, riuscirà a estrarre soltanto qualche esem-plare grezzo. Ma se si vanno ad esaminare le perle abbastanza da

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vicino, ci accorgeremo che anch'esse hanno dei difetti, e questi ci daranno quasi altrettanto fastidio degli esemplari grezzi. Nessun ambigramma è perfetto, benché alcuni siano senza dubbio migliori di altri. E altrettanto si potrebbe dire delle analogie.

G e b : Qualcosa non mi va in questo accostamento di ambi-grammi e analogie. Tenterò di spiegarlo a parole. Ogni ambigram-ma, così come ogni analogia, coinvolge una forte sottolineatura di certe parti delle due entità in questione, mentre ne minimizza altre. Non si ricorre allora a una specie di inganno?

H o f : Purché i due nomi si leggano con facilità, dov'è l'in-ganno? Questo è un dato di fatto!

L'elasticità delle parole. . . G e b : È giusto, ma c'è ancora qualcosa d'ingannevole. Con analogie apparentemente buone, si può paragonare una situazio-ne data con un gran numero di altre situazioni. Certe di queste analogie sosterranno tesi del tutto opposte! In modo simile gli am-bigrammi mostrano come le parole e i nomi posseggano una sor-prendente elasticità, ossia la disponibilità ad essere accoppiati con molti partner diversi. H o f : Certo. La famiglia Mather ci fornisce un insieme istrut-

775 tivo di esempi (vedi Fig. 32). Si consideri come il cognome "Ma-ther" sia disposto ad "accoppiarsi", per così dire, con tre diversi nomi: "Norman" , "Mary" e " T o m " — ognuno a modo suo. E si noti anche, per inciso, come "Mather" si distenda per intero sia su "Norman" che su "Mary" , mentre con " T o m " è tutt'altra faccenda. La Fig. 32a è un eterogramma solo perché non l'ho tra-scritto, ruotato sotto se stesso; altrimenti sarebbe stato un omogram-ma che si sarebbe letto "Norman Mather" da ambedue le parti. Qui era solo questione di scelta. Al contrario, per quanto riguar-da la Fig. 32c, non avevo scelta, perché da come ho tracciato " T o m " e "Mather" , è impossibile districarli.

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Aaw J O M J W T H Q X

32

32a. Una superentità indivisibile ("super-pr imo") banale, dove ciascuna let-tura consiste in una sola parola

32b. Un prodotto di tre superprimi banali

32c. Un superprimo non banale consi-stente in due parole inestricabilmente fuse; cioè, qualsiasi taglio dividereb-be una delle due parole o nella pri-ma o nella seconda lettura

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G e b : Non è un po' l'idea delle entità indivisibili, ma ripro-posta a un livello più grande?

H o f : Esattamente. La nozione di "ent i tà" è stata definita come un pezzetto di ambigramma che, sia nell'una che nell'altra lettura, non contiene frammenti di lettera che sporgono. Definia-mo ora una superentità come un pezzo di ambigramma che non contiene frammenti di parola che sporgono. Come prima si può "scomporre" l'ambigramma nelle sue superentità indivisibili. Na-turalmente gli ambigrammi hanno di solito solo una parola in cia-scuna lettura, così che non è possibile dividerli in superentità più piccole. Sono dei "superprimi", ma in senso banale, poiché posseggono soltanto un nome in ogni lettura. È il caso della Fig. 32a. Ci sono poi degli omogrammi a due parole come "Josh Bell" (Fig. 16), che sono il prodotto di due identici eterogrammi super-primi — all'incirca come fare il quadrato di un numero primo. Tale è la Fig. 32b, se si considerano solo la riga in alto e quella in basso, ignorando l ' "Adele" omografica che sta al centro. Se si aggiunge "Adele", la Fig. 32b diviene un prodotto di tre super-primi. Ma la Fig. 32c, pur contenendo due nomi in ciascuna let-tura, non può essere scomposta — è un superprimo omografico non banale. (Per un superprimo eterografico non banale, vedere la Fig. 30.)

G e b : Non è forse "superprimo non banale" solo un modo manierato per dire che i bordi dei nomi non coincidono nelle due letture?

H o f : Sì — ma non è spassoso far sì che l'ambigrammatica suoni così tecnica? In effetti odio essere oscuro. Ma ho trovato a più riprese, quando mi sono presa l'incombenza di inventare ter-mini precisi per fenomeni già intuiti e già descrivibili con facilità impiegando frasi lunghe, che qualcosa si cristallizzava nella mia mente e le idee acquistavano una flessibilità maggiore — e questo

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solo perché erano state trasposte in termini tecnici. Ma è impor-tantissimo non esagerare. Mi sono ripromesso di non subissarti di gergo.

G e b : Grazie! Ora, c'è qualcosa che non mi torna nella Fig. 32c. Consiste di due nomi per lettura, ma poiché i tagli tra i nomi non si allineano, ci sono in realtà due tagli all'interno. Come suc-cede allora che il taglio supplementare — quello tra "Mat" e "her" — resti invisibile?

H o f : È uno dei miei trucchetti preferiti. Dipende dal fatto che in gran parte responsabile della " T " maiuscola sia la sbarra che, più lunga è, fino a un certo punto, più forte è la " T " . An-che, con una sbarra lunghissima sulla " T " , "Mather" continua a reggere senza essere tagliato. Ma nell'altra lettura, la sbarra è solo uno svolazzo decorativo che esce dalla " M " , e più lunga è e più separa la " M " da ciò che la precede. Così si crea un taglio. Allora, questa piccola simbiosi della " T " e della " M " porta be-neficio a tutte e due le letture. Si noti anche, incidentalmente, che alcune particole "magiche" come queste fanno in modo che ten-dano a svanire i tagli indesiderati tra nome e cognome nella Fig. 30.

. . .mette in dubbio la validità delle analogie? G e b : C'è dell'eleganza! Vedo cosa intendi con "sfruttare il momento"! Ma vorrei tornare alle analogie, a quello che vi tro-vavo di sconcertante, e adesso mi pare così evidente anche negli ambigrammi. Il nome "Mather" appare tanto docile e flessibile che ci dà l'impressione di esser disposto ad accoppiarsi con tutto. E se così è, non si sta facendo un gran polverone? O forse, e mi riferisco alle analogie, non ci sentiremmo imbrogliati se scoprissi-mo che ogni coppia di concetti può essere applicata l'una sull'al-tra in modo convincente? In questo caso, che valore dare alle ana-logie? Non ci sarebbe più concesso di credere che in ciascuna di esse vi si una qualche verità, in quanto ne esisterebbero di altret-tanto attraenti in grado di sostenere tesi rivali.

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H o f : Sembra che il punto dove vai a mirare sia questo: può la quasi-universale fattibilità degli ambigrammi suscitare dubbi sulla validità delle analogie in generale?

G e b : Sì, credo sia proprio questo che mi preoccupa.

H o f : Ebbene, ammetto che anche a me ha dato da pensa-re. Ma dopo aver meditato il problema in lungo e in largo, sono giunto alla conclusione che le analogie non corrono alcun perico-lo. Credo che per mezzo degli ambigrammi si possa dimostrare — o rivelare — come le vie "lì in attesa" per la percezione di qualsi-voglia situazione siano sorprendentemente varie. Tuttavia — ed è questo l'importante — non tutti i punti di vista sono interessanti alla stessa misura, o almeno non del tutto. E pertanto neanche tutti gli ambigrammi sono ugualmente attraenti. Solo una piccola par-te va a gonfie vele. Alcuni sono irresistibili, ma la maggioranza — anche se molti sono forti in apparenza — non raggiunge que-sto livello. Ne ho fatti un mucchio che non avrei incluso in questa raccolta, e un bel po' che sento estremamente deboli. E figurati tutti quegli ambigrammi che non mi sono neppure sognato di fa-re, tanto erano pietosi! Si deve in ogni modo andare cauti nel valutare sentenze vaghe co-me "Per ogni coppia di nomi, l'uno può essere applicato sull'al-tro in modo da fare un ambigramma forte", e "Per ogni coppia di situazioni, l 'una può essere applicata sull'altra in modo da fare un'analogia forte". È possibile sia vero, ma anche se lo è, non per questo significa che, tramite analogie, sia possibile sostenere con ugual forza tutti i punti di vista di un dato argomento! Per rendere più persuasivo il mio punto di vista, farò ricorso (un po' circolarmente) a un'analogia! Spero che la troverai convincente (ma anche se così fosse, data la presente discussione, non dovresti prender tanto sul serio questi sentimenti...). Si pensi a due avvocati che discutono in tribunale, mettiamo, il caso del vecchio macinino che arrugginisce abbandonato nel cor-tile di un certo Maurizio. La questione è se esso ricada nei termini della legge che dice: "Tutte le auto devono essere assicurate", op-

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pure no. L'avvocato di Maurizio afferma che la vecchia ferraglia altro non è che un pezzo di scultura nel giardino di casa. Aggiun-ge poi che il termine "au to" non è per niente adatto, in quanto mancano parti del motore; la si dovrebbe piuttosto chiamare "scul-tura", e naturalmente non è il caso di assicurare una scultura! L'al-tro avvocato paragona invece una vecchia auto priva di una parte qualsiasi del motore a una nuova e in perfette condizioni, ma sen-za chiave di accensione; sono due masse di metallo del tutto iner-ti, indifferenti al fatto del vecchio e del nuovo, finché vi s'infili un certo altro pezzo di metallo, la "chiave", nel luogo appropria-to: ecco allora la cosa animarsi, impaziente di muoversi. Chi ha ragione dei due avvocati? Ebbene, nonostante l'opinione a favore dell'uno o dell'altro, si dovrà comunque convenire che gli argomenti di ambedue sono solidi, interessanti, e almeno in parte validi. Non avrebbe però la stessa validità la tesi di un terzo avvo-cato che sostenesse come in realtà il macinino altro non era che un grosso accendino a ruote, e con vari accessori extra. Potrei por-tare altri esempi di analogie ancora più deboli, ma non è il caso di annoiare. In breve: non tutte le analogie hanno lo stesso potere di convincimento. Gli avvocati passano molto tempo a ricercare somiglianze tra si-tuazioni; non è che prendano le prime che passano loro per la testa e poi le sostengano costi quel che costi. Ogni data situazione ha dei "caratteri" che le sono naturali — dei tasti che è facile premere — di cui bisogna andare in cerca. Certo, niente impedisce che ci si possa sforzare a fare paragoni con qualsiasi cosa, e inoltre può accadere che le circostanze ci costringano ad usare una certa analogia. In que-sto caso, la possibilità di darla a bere alla gente dipende dall'abilità e dalla cura con cui si nascondono i difetti. In modo simile, possono darsi circostanze in cui un ambigrammi-sta sia costretto all'applicazione, uno sull'altro, di due nomi, fa-cendo uso di una operazione di simmetria prestabilita. E allora, sì che si tratta di una corrispondenza forzata, proprio come il tuo matrimonio arrangiato! In tal caso vi è necessità di un grande col-po di scena. Aggiungendo una quantità di stile superficiale, è pos-sibile nascondere le debolezze dello scheletro concettuale, proprio

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come può essere d'aiuto, quando non si ha niente da dire, una gran-de esibizione di stile oratorio. In ultima istanza, però, questi truc-chi di solito non funzionano, e per la semplice ragione che non tutte le situazioni o tutti i nomi possono essere paragonati con ugua-le successo l'uno con l'altro. Gli ambigrammi riescono bene così spesso perché, come ho detto prima, vi sono molti gradi di libertà nascosti. Un ambigrammista esperto impara a lasciarsi guidare dai modi in cui le parole stanno insieme, piuttosto del contrario. Alla fine si scopre che soltanto queste varianti nominali, e solo queste, funzionano insieme, usando queste operazioni di simmetria, e so-lo queste, e comunque solo fino a un certo grado. Anche gli avvocati si lasciano piuttosto guidare dalle loro analo-gie, e così facendo trovano i migliori argomenti possibili a soste-gno dei loro clienti. Non significa, però, che tutti gli argomenti siano ugualmente efficaci. La giuria sarà invece variamente influen-zata a seconda degli argomenti portati.

Le operazioni di simmetria applicate alle analogie G e b : Vuoi dire che esiste un equivalente, valido per gli av-vocati e per ogni altro creatore di analogie, dei gradi di libertà na-scosti che l'ambigrammista ha a disposizione? Per esempio, se si tenta un'analogia tra la situazione # 1 e la situazione # 2, e ci si accorge che non va, esiste un qualche modo corrispondente al far voltare su se stessa la situazione # 2, oppure a rovesciarla sot-tosopra? E esiste ancora qualcosa di simile alle varianti nominali o a quelle caratteriali?

H o f : Certo! Spostare l'enfasi su certe parti dell'analogia — mettere a fuoco certi aspetti e abbassarne altri — è simile al tenta-re altre varianti nominali o caratteriali. Non si tratta di sposta-menti enormi, globali, discreti, come potrebbe essere passare da una operazione di simmetria ad un'altra — è più simile alla ricer-ca di una sintonia fine. D'altronde, anche nella creazione di ana-logie vi sono gli equivalenti degli spostamenti globali e discreti.

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G e b : Puoi darne un esempio?

H o f : Con piacere. Paragonando la Polonia alla California, potrei sovrapporre Varsavia a San Francisco e Cracovia a Los An-geles, perché vi è fra loro una certa corrispondenza geografica. D'al-tro lato, la corrispondenza funziona molto meglio per aspetti di-versi se Varsavia viene sovrapposta a Los Angeles e Cracovia a San Francisco. Dopotutto, Varsavia e Los Angeles sono più gran-di, estese, ricche e famose di Cracovia e San Francisco, che dalla loro parte hanno invece una certa affinità che deriva dalla storia, dall'eleganza, e dalla raffinatezza. Qui non ho fatto altro che scam-biare i ruoli all'interno dell'analogia.

G e b : Come chiameresti quest'operazione di simmetria: "ri-flessione", "rotazione", o cosa?

H o f : Direi piuttosto una riflessione-lago, perché si scam-biano nord e sud. Se si fosse trattato di est e ovest, avrei detto una riflessione-muro, e una rotazione di 90 gradi se avessi avuto a che fare con uno scambio nord-sud, est-ovest.

G e b : Puoi spiegarti meglio?

H o f : Bene. Se cercassi una applicazione dell'India sugli Stati Uniti, dividendo i due paesi nelle loro due metà tradizionali, la settentrionale e la meridionale, e se tentassi poi un accoppiamen-to, forse lo troverei e forse no. Non ne so abbastanza dell'India per dirlo con sicurezza. Ma supponiamo di no. Potrei allora con-cludere che una migliore soluzione sarebbe quella di accoppiare l'India del nord con la parte occidentale, e l'India del sud con la parte orientale degli Stati Uniti. In tal caso non avrei solo scam-biato le vecchie convenzioni che dividono gli Stati Uniti, ma ne avrei spezzato le parti, e operato una specie di raggruppamento concettuale.

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G e b : È un buon esempio. Ma accade veramente qualcosa di simile anche quando si fa un ambigramma quarto-di-giro o una giravolta?

H o f : Nei quarti-di-giro e nelle giravolte, questo tipo di rag-gruppamento accade spesso. Benché l'ambigramma in sé lasci piut-tosto a desiderare, trovo che è un esempio particolarmente adatto quello mostrato nella Fig. 33, una giravolta in senso antiorario su "Fred Chiù". Il cognome è molto simile a "OHIO" , e non pre-senta difficoltà. Considerandolo inevitabile, sono stato costretto a tentare la stessa operazione di simmetria anche sul nome. Ecco che si presenta uno degli accoppiamenti forzati. Nella mia solu-zione, " F R E D " contiene al suo interno un raggruppamento inso-lito: le metà in basso della " R " e della " E " si combinano a for-mare la " R " nella seconda lettura, mentre le metà in alto forma-no la " E " nella seconda lettura.

G e b : Non male!

H o f : È divertente andare alla ricerca di ciò che corrispon-de nella creazione di analogie alla rotazione, alla riflessione, e co-sì via; ma è anche un po' sciocco, perché è solo un caso che io abbia scelto un'analogia geografica, di per sé bidimensionale. In generale, le analogie sono operazioni concettuali e pertanto pluri-dimensionali; gli ambigrammi invece sono fondamentalmente bi-dimensionali. Significa che vi sono in potenza nelle analogie molti più tipi di scambio globale dei ruoli che negli ambigrammi, anche se non è facile classificarli in termini geometrici. C'è un caso speciale di scambio dei ruoli che trovo molto interes-sante e che ci permette di spingere il paragone tra ambigrammi e analogie su di una strada divertente. Si tratta dell'applicazione ana-logica di una situazione su se stessa.

G e b : Sembra un'operazione banale.

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H o f : Come la intendo io, non è banale! Se Alessandro ar-riva sempre in ritardo nonostante sappia che sua moglie Giovan-na è maniaca della puntualità, e se Giovana perde continuamente gli oggetti benché conosca come questo faccia saltare per aria Ales-sandro, allora esiste un senso per cui ciascuno sta facendo "la stessa cosa" all'altro. Non è come sovrapporre un matrimonio ad un'al-tro, ma lo si applica a se stesso invertendo i ruoli. Una tale analo-gia è come un omogramma, dato che si mettono in corrisponden-za due cose identiche. Un'analogia più ordinaria, tra due diversi matrimoni nei quali i mariti sono sempre in ritardo, è invece come un eterogramma.

G e b : Così siamo arrivati persino alle "omonalogie" e alle "eteronalogie"! La connessione tra analogie e ambigrammi si spin-ge più lontano di quanto pensassi! Posso accorgermi come interscambi di ruoli siano simili agli spo-stamenti globali che avvengono nella riflessione e nella rotazione — ma alla oscillazione, cosa mai può corrispondere? Esiste forse una "analogia bi-stabile" nella quale, mentre si osserva una si-tuazione, questa balzi avanti e indietro tra due interpretazioni che sono distinte, ma anche analoghe?

H o f : Nessun problema. Si supponga che due rivali in affa-ri siano anche innamorati della stessa persona, e che questa a sua volta sia alla testa di una terza società con cui le altre due si vo-gliono fondere. Fino a questo punto abbiamo due triangoli distin-ti ma analoghi che coinvolgono i medesimi attori in ruoli simili. Come situazione è già abbastanza scabrosa, ma è possibile ren-derla anche più intricata. Se tutti e tre insieme escono a cena, avre-mo una situazione sovraccarica di significato. In effetti ogni mos-sa da parte di ciascuno potrà essere " let ta" a due livelli, a secon-da della "veste" in cui lo vediamo. I creatori di analogie godono quindi degli stessi gradi di libertà nascosti da cui dipendono gli ambigrammisti. Gli avvocati, e spe-cialmente i buoni avvocati, sono soliti far uso della larga gamma di trasformazioni discrete o continue che esiste, per trasformare

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CHIÙ 33

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34

33. Una giravolta antioraria ottenuta usando nelle lettere " R E " il princi-pio di raggruppamento in un modo bidimensionale

34. Diversi abbozzi sul nome "David Moser"

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mentalmente una data situazione in altre. Può darsi però che in-tervenga la sfortuna, e una trasformazione del tutto innocente ri-veli inaspettatamente un'analogia favorevole alla parte avversa! E allora si dovrà faticare per prendere le contromisure. È come negli scacchi: siamo molto più tranquilli quando si sono anticipa-te le mosse dell'avversario e siamo pronti con le contromosse. Insomma, la frase sensata: "Due situazioni qualsiasi possono es-sere applicate l'una sull'altra per produrre un'analogia forte" non deve significare: "Due situazioni qualsiasi possono essere appli-cate l'una sull'altra per produrre un'analogia forte tale da favori-re un punto di vista prestabilito". Questo è insensato! Il punto di vista non può esser prestabilito; è, invece, una variabile che as-sume valore in funzione del risultato. È quello che voglio dire con "lasciarsi guidare dalle analogie". Un processo simile si verifica nella ricerca scientifiche o nella creazione letteraria. Dovunque ci accada di pensare a una analogia, ne siamo padroni solo fino a un certo punto, perché in un altro senso essa s'impadronisce di noi e ci conduce per sentieri imprevisti.

G e b : Operando con due nomi che, nonostante ogni torsio-ne e ogni rigiro, non ne vogliono sapere di stare insieme, non hai l'impressione che la coppia in questione — cioè le due persone — è male assortita? H o f : Lo confesso, a volte pensieri come questi, del tutto irrazionali, mi frullano per la testa. Un'altra forma di irrazionali-tà, ma più galante, è la sensazione che quando "scat ta" l'accordo tra due nomi, sia di buon auspicio per la riuscita di una storia d'a-more. Credo sia insito nella natura umana non poter fare a meno di leggere, in coincidenze banali contenute nelle parole, messaggi riguardo alla realtà. Ma, a proposito di nomi che sembrano resistere ad ogni tentativo di ambigrammazione, ho trovato che se lo si desidera sufficiente-mente (la persona coinvolta è, diciamo, un amico stretto), allora succede quasi sempre di trovare una soluzione — vi è solo biso-gno del tempo necessario all'esplorazione di un numero sufficien-

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te di vie bizzarre. Ripetutamente mi accade di tralasciare una ri-cerca in apparenza senza speranza, soltanto per riprenderla più tardi con rinnovata energia — e, quasi sempre, riesco a trovare una buo-na soluzione, il che sembrava del tutto improbabile, quando ave-vo la certezza che essa non avesse nessuna possibilità di esistere. Alcune delle mie ricerche più pietose sono state quelle richieste dal nome del mio amico David Moser (vedi Fig. 34, un dossier di ten-tativi penosi, che però danno l'idea come io esplori un certo nu-mero di strade per rendermi conto se portano da qualche parte; in questo caso si trattava di strade senza sbocco). Ho tentato mol-te vie con disperazione crescente, finché non rinunciai. Eppure, alcune settimane dopo questi fiaschi avvilenti, ho tentato di nuo-vo, e sono giunto a un quarto di giro del tutto di mio gradimento (Fig. 12). Non sono ancora sicuro di potere combinare qualcosa di veramente buono in qualsiasi situazione, ma spesso, quando sono sotto pressione, riesco a stupire me stesso.

L 'a t t ra t t iva irresistibile del superficiale G e b : Per una debolezza umana, si legge nei simboli più di quanto vi sia in realtà — secondo te, questo effetto ha un'influen-za sul grado di validità che le persone attribuiscono alle analogie?

H o f : Certo. Si prenda di nuovo l'analogia Watergate-Greenpeace. Se vi fosse stata una figura dal nome "Liddy" sullo sfondo dello scandalo francese, o un aggancio neozelandese in quel-lo americano, 1'"impatto" o l'attrazione dell'analogia ne sareb-bero risultati rafforzati, a scapito forse della validità oggettiva. Per quanto ne so, non vi fu niente di simile, ma accadde qualcosa di meno spiacevole per cui questa analogia si fece strada nella mia mente: qualche bello spirito fece notare come " Underwalergate" fosse un nome più appropriato per uno scandalo che contemplava una nave affondata. Per me fu come la ciliegina sulla torta: non era profondo, ma fece scattare l'analogia.(Anche alla caduta di Nixon si è dato talvolta l'appellativo di " Waterloogate" — mira-bile allusione alla caduta di Napoleone, ambigrammaticamente ce-

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lebrata nella Fig. 35). Connessioni come queste, superficiali ma orecchiabili, spesso fanno la differenza tra ciò di cui la gente non si accorge e ciò che invece ricorda. Trovando abbastanza di questi ingredienti, si potrebbe con-fezionare un"'analogia di successo", anche se a basso contenuto. Le migliori analogie sono naturalmente quelle che combinano la profondità del contenuto analogico con l'attrazione di una forma simbolica. Portando avanti la nostra giustapposizione tra analogie e ambi-grammi, aggiungerò che i più memorabili tra questi ultimi sono quelli il cui contenuto (parole) è limpido e piacevole, e la cui for-ma (stile di superficie) rispecchia il contenuto in modo evidente-mente simbolico. Un buon esempio è il "Josh Bell" della Fig. 16, con il gioco visivo sul nome "Bell". Se avessi messo il solito pun-tino sulla " j " , me ne sarei trovato un'altro, indesiderato, sotto "Bell"; in questo modo, invece, il punto che sta sotto contribui-sce a "far trillare il campanello". ("Bell" in inglese significa sia "campana" che "campanello"). Questa ciliegina, benché inu-tile e ininfluente rispetto allo scheletro concettuale, contribuisce a rendere appetibile l'ambigramma a un grado che non sarebbe stato certo raggiunto aggiungendo un semplice circoletto.

G e b : Rigiriamo ancora la questione. Hai affermato di riu-scire in un ambigramma accettabile su qualsiasi nome, soltanto de-siderandolo abbastanza. Vale anche per le analogie?

Coincidenze, miracoli, e un detto di Enrico Fermi H o f : Direi che si può quasi sempre trovare un modo inte-ressante di applicare, l 'una sull'altra, due situazioni. E, cercando seriamente, si possono trovare anche delle "ciliegine" che, attraen-do le persone, le distraggano dai difetti importanti. Per molti, ad esempio, l'assassinio di Lincoln e quello di Kennedy sono senz'al-tro analoghi per grandi linee, ed è sufficiente; altri, invece, si sen-tono in qualche modo spinti ad andare alla ricerca di "risonanze cosmiche" tra i due eventi. Grazie agli sforzi di questi trafficoni

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del misticismo, sono in grado di mostrare la lista seguente di pa-rallelismi, alcuni stimolanti, altri meno:

1. Tra l'elezione di Lincoln e quella di Kennedy corrono 100 anni (1860, 1960); ad ambedue venne sparato alle spalle e vennero colpiti alla testa, di venerdì.

2. Tra le date di nascita dei due assassini (Booth, Oswald) correvano 100 anni (1839, 1939).

3. Sia a Lincoln che a Kennedy sono succeduti degli ex-senatori a nome "Johnson", nati a 100 anni di distanza l 'uno dall'altro (1809, 1909).

4. Il segretario personale di Lincoln si chiamava "Kenne-dy", il segretario personale di Kennedy si chiamava "Lincoln".

5. Booth sparò a Lincoln in un teatro e fuggì in un magaz-zino, Oswald sparò a Kennedy in un magazzino e fuggì in un teatro.

6. "Lincoln" e "Kennedy" contengono lo stesso numero di lettere.

7. "Andrew Johnson" e "Lyndon Johnson" contengono lo stesso numero di lettere.

8. "John Wilkes Booth" e "Lee Harvey Oswald" conten-gono lo stesso numero di lettere.

9. Ambedue i Johnson ebbero come oppositori alla riele-zione candidati il cui nome cominciava con " G " .

Non è una lista impressionante?

G e b : Non c'è dubbio. Come la si deve interpretare?

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H o f : Ebbene, alcune coincidenze — quella dei nomi dei se-gretari, ad esempio — sono talmente insolite che persino un anti-mistico incallito come me prova un brivido di mistero. Ma per quan-to riguarda la maggior parte di esse — specialmente le ultime — sembrano appartenere a quel genere di cose che è possibile scova-re frugando abbastanza e usando le frasi appropriate. È certo che a prima vista i tre "100" sono impressionanti; ma se ci si pensa su, ci si rende conto che quando due eventi analoghi e abbastanza complessi accadono a circa 100 anni di distanza l'uno dall'altro, proprio per la loro complessità forniranno, a chi è in cerca di coin-cidenze secolari, fatti in abbondanza in cui andare a rovistare. E che dire poi di tutti i fatti non menzionati perché non contribui-scono all'analogia? Per esempio: quando erano nate le vedove? Quali erano i loro nomi? Quando erano nati Lincoln e Kennedy stessi? Quando furono assassinati? In quali mesi? In quali stati? Quali città? Con quali lettere iniziano i nomi delle città? E così via all'infinito. Tuttavia la "risonanza cosmica" tra Lincoln e Kennedy è stupe-facente, e non c'è dubbio che ammette un numero sorprendente di coincidenze, statisticamente parlando. Ma è proprio ciò che sta-tisticamente ci si aspetta: più o meno una volta su cento un evento con probabilità dell'un per cento dovrà accadere! E quando acca-de, se si è mistici, lo si farà notare e se si è anti-mistici, si faranno notare tutti gli altri eventi che non sono stati notati. Succede pressappoco la stessa cosa con gli ambigrammi; se si tro-va una rassomiglianza che ci colpisce nella fase dello scheletro con-cettuale, allora la si sfrutta per quanto è possibile! Si dedica poi molto più tempo del normale nelle fasi mediane, e si aggiunge in-fine una buona dose di stile superficiale per terminare il tutto. Se si giocano bene le carte che abbiamo in mano, ci ritroveremo un ambigramma tanto splendido e all'apparenza inevitabile che chiun-que lo voglia mettere in discussione apparirà come un guastafe-ste! Inoltre, quando si metterà insieme una raccolta di ambigram-mi, si evidenzieranno solo i migliori, mentre i malriusciti li sot-trarremo alla vista. È naturale che, più ambigrammi si fanno, e più sarà facile imbattersi in una "risonanza cosmica" tra nomi,

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del tipo "Lincoln-Kennedy" (come la mia scoperta di "Michael-Barbara"); essa rappresenterà allora una notevole acquisizione per il nostro repertorio. Per inciso, non c'è bisogno, per fare un ambigramma magnifico, di una percentuale così bassa come l'un per cento; infatti il fisico Enrico Fermi disse una volta: " È miracolo uno su dieci".

G e b : Che voleva dire con questa misteriosa affermazione?

H o f : Chissà. Io la prendo così: la gente si stupisce eccessi-vamente per eventi che hanno una probabilità su dieci. Questa idea, trasposta nell'ambigrammatica, significa che sfruttando coincidenze minime, si possono fare ambigrammi che sembrano miracolosi.

G e b : Nei cognomi "Lincoln" e "Kennedy" ci sono abba-stanza coincidenze minime per costruire su di essi un ambigram-ma che abbia del miracoloso?

H o f : Sicuro! Ossia, non proprio miracoloso, ma almeno ri-spettabile — altrimenti dovrei mangiarmi il cappello dopo tutte queste fanfaronate. La mia soluzione è quella della Fig. 36. G e b : Leggibile. Ma "Lincoln" comincia con lettere corsi-ve e termina con maiuscole a stampatello. La " i " , poi, fa vera-mente pietà.

H o f : Piuttosto direi comica. Dipende da come la si guar-da. In un certo senso, dà carattere — aggiunge un po' di pepe. Talvolta nel fare un ambigramma ci si accorge come difetti vistosi o trucchi ridicoli risultino, curiosamente, affascinanti per la gen-te; si decide allora che, nonostante tutto, l'ambigramma ci piace così com'è. È il caso dell'omogramma mezzo-giro su "Sondra" (Fig. 37). All'inizio ebbi la seducente visione della " N " che, ruo-tando, diventava se stessa, e della " O " che si sovrapponeva alla " D " . Di conseguenza, fui costretto ad accettare la sfida della " S " su " R A " , che mi apparve dapprima senza speranza. Ma arrivai

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35. Una celebrazione ambigrammatica 36. Un ambigramma presidenziale del "Water loogate"

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37. Una corrispondenza forzata ma for-tunata tra " S " e " R A "

38a. Un pietoso tentativo su "Policansky" 38b. Un tentativo più felice sullo stesso

nome

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in qualche modo intuitivo all'idea che, tra gli svolazzi di una " S " corsiva, avrei forse potuto scovare le arricciolature necessarie per una " R " e una " A " . Feci dunque un tentativo: presi qualche ri-schio nel disegno, lo giudicai del tutto senza senso, e comunque lo mostrai alla gente. Piaceva, con mia grande sorpresa. Ormai anch'io ne sono contento! E provo più o meno lo stesso sentimen-to per il "Lincoln-Kennedy". Non contento di aver fatto un ambigramma sui cognomi di questi due presidenti, sto meditando di farne uno sui cognomi dei due successori.

G e b : "Johnson" e "Johnson"?

H o f : Sì, un omogramma a oscillazione — che oscilla tra i cognomi di questi due presidenti.

G e b : Non m'impressiona. Un'altra versione banale. Dovrai fare di meglio!

H o f : Vedremo.

VI. LA LETTURA E LE LETTERE

Lezioni apprese dagli ambigrammi favoriti G e b : Bene, abbiamo toccato diversi punti di rilevanza filo-sofica; rifacciamoci a qualcosa di più pratico. Mi hanno divertito i tuoi rozzi abbozzi su "David Moser". Quali altri tuoi ambigrammi — brutti o no — trovi interessanti? H o f : È sempre uno spasso parlare degli ambigrammi mal riusciti, anche se sono nostri. Vi è però un piccolo problema da superare: getto sempre i peggiori! Non sempre, a dire il vero, per-ché conservo alcuni dei fallimenti più flagranti proprio per rispon-

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dere a domande simili. Nella mia collezione ve ne sono miei e di altri, ma qui non voglio mettere nessuno in imbarazzo. Nella Fig. 38 mostro due ambigrammi contrastanti sul nome "Polican-sky". Non ricordo di aver fatto il primo, ma dallo stile sono pres-soché sicuro che è mio. È atroce, penoso! Il secondo, al contra-rio, è uno dei miei favoriti. Nel fare ambigrammi mi piace quan-do si passa da un fiasco a un altro, finché scatta l'evento meravi-glioso della scoperta per cui tutto combacia all'improvviso. Uno di questi eventi accadde nel caso di due amici chiamati Ju-dith (e non "Judy"!) e Kenneth (o "Ken") De Woskin. Mi accin-si a lavorare con i due nomi, cercando se possibile di unirli. Ma non riuscivo a fare niente con "Kenneth" e "Judi th" insieme, no-nostante vi fosse un " t h " in comune alla fine (ma questa allettan-te coincidenza era ingannevole, utile solo nel caso di una riflessione-lago o in una oscillazione). Mi venne persino il dubbio che non avrebbero dovuto sposarsi! (Per scherzo, naturalmente.) Rinunciai a sperare in un ambigramma congiunto, e mi misi inve-ce al lavoro su "Ken De Woskin". Non ci misi molto a confezio-nare una giravolta antioraria passabile ma non eccezionale. Sod-disfatto, una sera la mostrai a Ken in presenza di Judith. Judith però, che aveva appena visto alcune soluzioni trovate per "Doug-Carol" (vedi Fig. 24 ), era affascinata dall'idea della combinazio-ne di due nomi, che trovava molto romantica. Mi pregò pertanto di congiungere il suo nome con quello di Ken. Non le risposi che avevo già tentato ed avevo rinunciato; anzi la presi come una sfi-da difficilissima. Come se fossi di fronte alla scalata di una parete sulla quale avevo già subito una sconfitta, esaminai di nuovo tutte le strade più nor-mali, alla ricerca di una illuminazione che mi fornisse una chiave che mi era sfuggita prima — ma tutte le strade sembravano svani-re nel nulla. Gran parte, però, del piacere degli ambigrammi con-siste proprio nello scoprire oscuri modi che siano efficaci, e uno di questi è quello di sfruttare insolite varianti dei nomi. In questo caso aggiunsi come variante "and" prima di "Ken" perché rag-giungesse la lunghezza di "Judi th" . Improvvisamente scattò una riflessione-lago e ne risultò uno dei miei ambigrammi preferiti (Fig. 39).

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G e b : Cosa pensi ne faccia un successo? Solo perché avevi fallito prima? O perché hai fatto una mossa furba che gli altri am-bigrammisti non avrebbero pensata?

H o f : Tutti e due questi fatti hanno avuto un impatto sulle mie emozioni, ne sono sicuro; ma c'è di più. Prima di tutto l'ele-ganza: le forme letterali sono in sé gradevoli e fluide, e per di più stanno benissimo insieme. È una qualità inafferrabile, ma non vi è dubbio che vi sia. Secondo, si legge bene: ogni lettore anglofono lo visualizza all'istante. Terzo: non viola uno dei miei Principi Cari, ossia l'imperativo: "Non mischiare a caso maiuscole e minuscole".

Quattro principi religiosi G e b : Ma è un principio che spesso non rispetti! Sei persino arrivato a mostrare 24 varianti letterali di "Tina" , dicendo che erano tutte usabili. Come puoi allora chiamarlo un "Principio Caro"?

H o f : Ebbene, nel fare ambigrammi ci vuole flessibilità. Si deve imparare a piegarsi alle necessità, lasciar sì che un certo nu-mero di forze ci suggeriscano come "cedere", o "slittare". E i Prin-cipi Cari (o come io li chiamo talvolta, i "Principi Religiosi") di tanto in tanto li si deve sacrificare — anzi, spesso. Rammenta quel che ho detto prima: non tutte le varianti caratteriali sono ugual-mente gradevoli; alcune, come " t iNA", hanno associato a sé un j j g "valore di rischio" considerevole, anche se la " t " e la " i " sono alte come la " N " e la " A " . In queste varianti vi è semplicemente qualcosa di repellente. Ma talvolta, lo ripeto, bisogna fare delle concessioni. D'altronde negli ambigrammi il gioco è questo! Ci sono tante, ma tante forze che premono, che in qualche modo, da qual-che parte, qualcosa deve essere concesso! In effetti, "Tina" , a questo proposito, fa al caso nostro. Su que-sto nome ho tentato diversi scheletri concettuali, e alla fine ho tro-vato due varianti caratteriali che mi sembravano promettenti:

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t i N A T i n A

Ambedue erano rischiose, nel senso che andavano contro le con-venzioni ed apparivano un po' "stupide". Tuttavia, quando le ho adoperate (vedi Fig. 40), hanno dato due disegni finali che si leg-gono facilmente — e questo è ciò che conta negli ambigrammi. G e b : Quali sono i tuoi Principi Cari (o "Principi Religiosi")?

H o f : Di solito osservo questi quattro:

1. Ogni lettera deve essere chiaramente leggibile; 2. Le lettere devono essere separate in modo netto l'una

dall'altra; 3. Minuscole e maiuscole non devono essere mischiate a

caso; 4. Gli stili non si devono confondere.

Ma se si guarda ai miei ambigrammi, allora si potrà vedere come io trasgredisca quasi ogni volta l 'uno o l'altro di questi principi.

G e b : Può succedere allora che si scontrino tra loro. 140

H o f : Sfortunatamente è così. Tracciando lettere senza al-tri vincoli, possiamo essere ligi a questi principi, ma nel fare un ambigramma, essi interagiscono tra loro in modi tanto diversi che è impossibile conservarli ovunque. È il dilemma che deve fronteg-giare ogni fondazione che elargisca capitali: da tutte le parti pro-vengono richieste che proclamano di essere le più bisognose e le più meritevoli, ma nonostante la credibilità e la simpatia di tutte, è giocoforza rispettare le priorità e fare una selezione, sacrifican-do qualcosa da qualche parte. Uno dei problemi che gli ambigrammi mettono bene in luce è lo

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39. Un ambigramma favorito, ottenuto usando una variante nominale non ovvia

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40 40a. Una soluzione creativa per " T i n a " , 40b. Un'altra soluzione creativa per "Ti-

ottenuta usando il raggruppamento n a " , ottenuta usando il raggruppa-l a paragonare con la Fig. 27b) mento in un modo diverso (sempre

da paragonare con la Fig. 27b)

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scontro di forze che non possono essere direttamente paragonate tra loro — il paragone proverbiale tra arance e mele. Chi può dire se è peggio distoreere fino a un certo punto una lettera data, o usare invece una variante nominale un po' irritante? Oppure, un ambi-gramma non proprio speciale ma che si legga bene, è migliore di uno splendido per ingegnosità, ma non tanto leggibile? E chi può dire se una combinazione insolita di maiuscole e minuscole può essere adeguatamente compensata, ad un dato livello, dall'eleganza stilistica?

La concorrenza tra pressioni mentali incommensurabili G e b : Non c'è modo di convertire tutte le forze in unità nu-meriche sul genere della valuta monetaria? Allora si potrebbero paragonare i "prezzi" tra loro. Abbiamo la moneta proprio per questa ragione: permette di confrontare tra loro oggetti differenti come lavatrici, viaggi aerei, o l'onorario dell'idraulico (e, natu-ralmente, arance e mele!), cose che in sé sono incommensurabili.

H o f : Può essere un modo di abbordare il problema, ma non credo che funzioni. Per esempio, nella società umana non possia-mo scambiare una vita con un controvalore in dollari. È comun-que vero che implicitamente lo facciamo quando valutiamo, ad esempio, quanto investire in assicurazioni, pensioni, o dispositivi di sicurezza — ma non verrà mai, di certo, in mente a nessuno di dire: "La vita di mio figlio vale X dollari". Eppure prendiamo continuamente decisioni che comportano "valutazioni" in dolla-ri, che riguardano bambini. Ma probabilmente, in ultima analisi, si rivelano inconsistenti, perché la nozione di valore monetario per ogni genere di cose è incoerente. Analogamente, credo che un approccio meccanico alla creazione ambigrammatica — un programma per fare ambigrammi — non avrebbe successo se si cercasse di convertire direttamente tutte le pressioni in "unità di valore-rischio" o "valore-ammenda", op-pure, al contrario, "punti qualità", ecc. Il programma potrebbe agire alla stregua di un genitore in modo da simulare l'uso di tali

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unità di rischio. Ma penso che il problema non sia riconducibile a una logica unidimensionale, e che invece il conflitto delle forze abbia luogo in uno spazio pluridimensionale. Inoltre, benché sembri che il risultato di tali conflitti possa esser sempre descritto come "La Forza X ha superato la Forza Y" , non sarà possibile attri-buire questo successo alla semplice superiorità numerica della Forza X sulla Forza Y.

G e b : Il tuo scetticismo sui modelli "monetari" delle pres-sioni mentali, non riguarda forse il fatto che il maggior numero delle questioni da risolvere nel fare un ambigramma emergono nel corso della creazione, e non possono esser previste in anticipo? H o f : È proprio così. Questioni che compaiono spontanea-mente risultano da moltissime pressioni mentali simultanee, un po' come le pressioni sotterranee che causano i terremoti. Per lo più, tali pressioni hanno per effetto lente e continue deformazioni del-la superficie terrestre, ma ogni tanto esse causano una scossa su-bitanea e violenta che fa apparire nuove e inattese trasformazio-ni. Queste, a loro volta, creano nuove pressioni che interagiscono con quelle più antiche (alcune delle quali molto più deboli, aven-do esaurito la loro tensione nell'improvviso slittamento). Consi-dero gli slittamenti discreti, nei quali nuove possibilità compaio-no come se venissero dal nulla, come equivalenti mentali di repen-tini terremoti. Concetti inattesi possono sorgere ad ogni istante por-tando con sé nuovi gruppi di pressioni. È per questo che mi sem-bra inadeguato ogni modello monetario delle pressioni mentali interagenti.

G e b : Sono concetti duri da affrontare.

H o f : In realtà lo sono. Ma sono anche il punto cruciale di tutta la questione, quando si arrivi a pensare cosa accada nella men-te di chi fa ambigrammi, o si cerchi di costruire un modello del-l'atto creativo. La risposta che si darà a questa semplice domanda la dirà lunga sulla nostra filosofia: "Possono forze apparentemente

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incommensurabili essere sempre convertite in una valuta univer-sale?".

G e b : Bene, più si cerca di sfuggire e più si va a cascare in questioni filosofiche.

H o f : Trovo così affascinanti gli ambigrammi proprio per questa ragione. Ognuno di essi ha una sua storia che tocca rile-vanti punti filosofici.

Quell'odioso puntino sulla "I" maiuscola G e b : Presumo, allora, che se ti chiedo di continuare a par-lare dei tuoi ambigrammi preferiti, porterai ancora argomenti interessanti.

H o f : Lo spero! La Fig. 41 mostra un altro dei miei ambi-grammi favoriti — sui nomi " R o y " e "Alice" — nel quale non ho potuto evitare di fare qualcosa che trovo odioso: mettere un puntino sulla " I " maiuscola! Questa convenzione, del tutto co-mune in Europa, appare negli Stati Uniti un'azione da analfabe-ta. Tuttavia l'autorevole e venerabile rivista americana Science, nella sua recente ristrutturazione, senza ragione apparente, ha adot-tato come stile nel titolo un guazzabuglio di maiuscole e minusco-le — e vi è anche una " I " maiuscola col puntino! Lo trovo disgu-stoso. Comunque, se la causa è buona, può anche non essere così repellente. Nell'ambigramma "Roy-Alice", ho messo il puntino sulla " I " maiuscola in modo che risultassero ridotte le probabili-tà che la " I " fosse percepita, insieme alla " L " vicina, come fa-cente parte di una " O " . Penso sia scusabile. Lo stesso argomento permette di illustrare magnificamente il con-cetto dello slittamento creativo. Ma prima che lo esponga, pro-porrò un problemino per i nostri lettori:

Fare un eterogramma su " J o h n " / " L i z " .

IO"

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G e b : Puoi dare loro qualche suggerimento?

H o f : Dirò solo che esiste una soluzione elegante. È suffi-ciente. Dopo (e solo dopo) aver tentato, si potrà continuare a leggere... Per quanto mi riguarda, quando affrontando questi stessi nomi, mi sono accorto quasi all'istante.che " J O H N " prometteva molto quando lo si fosse ruotato di 90 gradi in senso orario. (Potete gi-rare anche voi la pagina e controllare la mia affermazione). Lo " H N " alla fine diviene facilmente " I Z " , e a questo punto rimane solo " J O " da trasformare in " L " . Sfortunatamente non è altret-tanto facile, e mi ci volle un bel po' prima che mi accorgessi che vi è una via più naturale; ossia, pensare " O H N " più che " H N " da trasformare in " I Z " , dove l'unità " O H " diventa una " p u n -tata. Resta ora solo la " J " da trasformare nella " L " , ed è facilis-simo. La mia resistenza a questa versione elegante era dovuta alla mia ripugnanza verso il puntino sulla " I " maiuscola. Ma, sottoposto a una pressione sufficiente (la bellezza della trasformazione di " H N " in " I Z " insieme con la difficoltà che incontravo a conver-tire " J O " in "L") , subii un "térramente" (o, se si vuole, un "men-temoto") — uno slittamento creativo — per cui improvvisamente tutto apparve al posto giusto (Fig. 42). La pressione ingenera lo slittamento: è la vecchia storia della creatività! Per di più, penso che questo ambigramma possegga un'eleganza classica.

G e b : Non è male. Altri favoriti?

H o f : Ancora uno: un mezzo-giro su "Mary" e "Rudy" (Fig. 43). Amo la sua rarefazione: in "Mary" i vuoti nella " M " che però non ne distruggono la "M"-i tà , il punto come sbarra della " A " , l'asta appena accennata della " R " , la " Y " così stretta; e poi in "Rudi" : il modo con cui la " Y " e la " R " capovolte si fon-dono in una " R " rafforzata, e quello per cui la " M " messa sotto-sopra si scinde visivamente in una " D " e una " I " , e l'apertura in basso alla " D " . Anche la congiunzione al centro è scarsa. Que-

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o H 42

Un eterogramma nel quale un pun- 42. Un quarto-di-giro orario che esiste tino facilita il riconoscimento di una solo grazie al puntino sulla " I " maiu-" I " maiuscola scola nella seconda lettura

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43. Un mezzogiro favorito, usando let-tere assai sparse

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sto è un esempio di come, al posto di decorazioni inattese ma scu-sabili, si abbiano invece dei vuoti altrettanto inattesi e altrettanto scusabili. Penso sia uno dei miei migliori ambigrammi. A proposito, è stato fatto per Rudolf e Mary Arnheim, che di re-cente sono divenuti miei amici. Rudi è uno dei più eminenti psico-logi dell'arte al mondo, e si è formato nel campo della psicologia percettiva di tradizione gestaltica. Ho provato un grande piacere nell'essere stato capace di fargli come presente una mia creazione in cui erano coinvolti quei principi visuali che lo hanno affascina-to durante tutta la sua carriera.

G e b : Gli ambigrammi che fai vertono sempre su nomi rea-li? Non ti è mai capitato di scoprirne due che stiano magnifica-mente insieme benché tu non conosca nessuno che li porti?

H o f : Come potrei? L'impulso deriva quasi sempre dalla co-noscenza di persone che portano i nomi con cui sarà fatto l'ambi-gramma. Non penso di essermi mai dato da fare alla ricerca di no-mi che abbiano una buona combinazione. Seguendo questo meto-do, qualsiasi cosa trovassi sarebbe innaturale, artificiosa. In ogni caso, non esiste modo migliore, per esplorare il mondo degli am-bigrammi, di accettare sfide a caso, e i nomi in cui ci s'imbatte procurano un materiale perfetto. Ogni ambigrammista affronta in fondo gli stessi problemi, solo in circostanze diverse: ciò fa parte del fascino della cosa.

Eppure si legge: il caso di "Johann Sebastian Bach" Una delle persone reali il cui nome mi ha attratto di più è stato Johann Sebastian Bach. Ho fatto alcuni ambigrammi sul suo no-me tentando idee diverse. Uno di questi si presentò in maniera stra-na. Avevo fatto ambigrammi per l'intera famiglia Claro — Fran-cisco, Isabel, Alejandra, Magdalena, Sebastian. L'ultimo mi for-nì un'ottima soluzione per il secondo nome di Bach. Mi accorsi che avrei potuto estenderne la simmetria — un quarto-di-giro a senso antiorario — a tutto quanto il nome di Bach.

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È questo uno di quei casi di cui ho parlato prima, in cui circostan-ze esterne ci obbligano ad usare simmetrie prestabilite (che è come essere obbligati a scalare una parete per una strada già tracciata). Qualche volta riesce con facilità; ma in questo caso, una volta che mi fui messo all'opera, incontrai delle difficoltà, specialmente in " Johann" . A proposito di "matrimoni forzati" — il quarto-di-giro "Johann-Johann" ne era un esempio lampante! Mi destreg-giai in modo da trovare una soluzione, che era senz'altro trabal-lante: isolata, l'avrei certamente scartata come dono. Ma l'inte-resse sorge a questo punto: quando si fuse con gli altri due nomi, affinché il nome di Bach fosse completo (Fig. 44 ), improvvisa-mente i suoi difetti si affievolirono. Da isolato, " Johann" è poco leggibile da qualunque parte lo si guardi, ma nel contesto che gli è proprio, diventa del tutto leggibile. C'è come un effetto di raf-forzamento; ogni parte del nome contribuisce a "puntellare" le altre e a diminuire l'evidenza della loro debolezza.

G e b : Come può succedere? Sembra che intervenga della ma-gia, o per lo meno è contrario ad ogni intuizione.

H o f : È vero. Questo effetto di puntellamelo è un fenomeno generale che non dipende dal fatto che l'ambigramma possegga due o più componenti. L'essenza della cosa ha a che fare col mo-do in cui la lettura accade nella mente umana. Una teoria ingenua sosterrà che una frase si legge identificando una parola dopo l'altra, e che si riconosce ciascuna parola attra-verso l'identificazione delle lettere che la compongono in una se-quenza che va da sinistra verso destra. Si tratta di una teoria dal basso in alto; afferma che la percezione procede dai componenti più piccoli su verso i più grandi, e nel caso della lettura in un ordi-ne sinistra-destra. La concezione diametralmente opposta — teoria dall'alto in bas-so della lettura — sosterrà che il contesto predispone nella nostra mente aspettative su ciascuna parola, in modo che si può quasi parlare di predizione su ciò che avverrà in seguito. In luogo di as-sumere che ciascuna parola (o lettera) prossima è in pratica casua-

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Q n

44

44. Un quarto-di-giro antiorario sul no-me del compositore de l l ' "Offer ta Musicale"; nonostante la debolezza di molte lettere, il tutto si legge bene nelle due orientazioni

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le, e che può quindi essere una qualsiasi delle migliaia di parole esistenti, ci si aspetta invece che la scelta sia ristretta solo a due o tre possibilità. Così tutto ciò che si deve fare è notare quale essa sia tra queste poche possibilità previste — e naturalmente le aspet-tative rispetto alle lettere seguono lo stesso corso.

G e b : Non riesco a credere che il mondo possa essere previ-sto in modo così accurato da poter prendere sul serio una teoria alto-basso. Ma mi sembra altrettanto non plausibile la teoria basso-alto, in quanto la gente legge le parole mal scritte correggendole inconsciamente, oppure vede parole che non ci sono, ma che "de-sidera" vedere, e così via.

H o f : Appunto. Una seria teoria della lettura dovrà tener pre-senti ambedue questi tipi di effetti. Non credo sia sostenibile che le frasi si leggano procedendo da sinistra a destra e lettera per let-tera. Sappiamo che la lettura comporta la percezione di "enti tà" di varie grandezze — lettere, gruppi di lettere come "p re" o "zio-ne", parole, espressioni. E d'altronde è inconcepibile che un'inte-ra frase possa esser percepita come unità senza che non vi sia in-sieme una qualche percezione delle sue componenti! In qualche mo-do, però, piccole tracce contribuiscono a suggerire a una mente la totalità di ciò che le sta di fronte. Leggere comporta pertanto la sottile interazione di tre capacità: (1) quella di scorrere rapidamente una larga sezione del testo (e non necessariamente da sinistra a destra), e di cogliere in esso un sacco di piccole componenti familiari; (2) la capacità di ipotizza-re, partendo spesso da un contesto scarso o incompleto, parole pro-babili e locuzioni probabili; e (3) la capacità di verificare rapida-mente le parole e le frasi ipotizzate. Naturalmente, anche la lettura degli ambigrammi dipende dagli stessi meccanismi che regolano la lettura delle parole o delle frasi. Gli ambigrammi di una sola parola sono un po' come singole pa-role isolate, e gli ambigrammi a più parole, come locuzioni pre-fabbricate all'interno delle frasi (per esempio, "e così via", "per esempio", e così via).

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G e b : Ben detto! Come si applica questa descrizione della lettura all'ambigramma in questione?

H o f : Bene, una prima analisi ci rivela come il "gramma" si componga, in qualsiasi modo lo si orienti, di tre parti. Alcune lettere, poi — le " S " di "Sebastian", per esempio — hanno mol-ta forza e saltano subito agli occhi. Altre lettere in "Sebastian" ne hanno un po' meno, ma sono abbastanza forti che il nome può esser suggerito da soltanto cinque o sei delle lettere che lo com-pongono. Anche in "Bach" vi sono delle lettere forti tanto da far intuire la parola intera. Pur non essendo possibile dire quale sia il meccanismo responsabile, tuttavia sembra plausibile che una volta suggeriti o "Sebastian" o "Bach" separatamente, l'altro nome di-verrà subito evidente — soprattutto se il nome completo è familiare. Rimane tuttavia un vero mistero come possa succedere che, presi questi tre nomi, improvvisamente da dei semplici frammenti di-vengano evidenti un nome, due nomi, oppure l'intero nome com-posto. La nostra sensazione di mistero deriva dal fatto che il no-stro cervello opera in parallelo (cioè, coinvolgendo contempora-neamente moltissimioni), mentre non ci lascia affatto avvertire il parallelismo; da qui nasce l'illusione che l'attività mentale sia una specie di "flusso coscenziale" strettamente seriale o una "conca-tenazione di pensieri", o quanto possa esser suggerito da metafo-re simili. Ma metafora migliore mi sembra invece il motto nazio-nale americano "Epluribus unum".

Orde di "ricognitori" microscopici al lavoro nel cervello Per dare un'idea di come il parallelismo nascosto nel nostro cer-vello funzioni in modo che "Sebastian" e "Bach" saltino agli oc-chi sorgendo apparentemente dal nulla, s'immagini un'orda di mi-nuscoli "ricognitori" che compiano, a nostra insaputa, scorrerie simultanee nelle regioni del nostro vocabolario suggerite da fram-menti preidentificati. (Il cervello può agire così perché, composto da qualche miliardo di cellule, ha a sua disposizione una quantità di operatori che agiscono indipendentemente l'uno dall'altro —

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forse milioni.) Frammenti di singole parole possono indirizzare le scorrerie di tutti i ricognitori, che per la maggior parte restano senza conseguenze — "svaniscono", per così d,ire. Ma non è un proble-ma: questi tentativi che finiscono in nulla possono essere soppor-tati in gran numero perché un solo successo è sufficiente! In nes-sun caso succede che questi brevi e repentini sondaggi siano co-scienti; accadono automaticamente, essendo insiti nel funziona-mento cerebrale.

G e b : È un'immagine forte, ma vorrei capire meglio come fanno frammenti di parole — "tracce" — a influenzare o deviare le orde dei ricognitori.

H o f : Se lo sapessi dettagliatamente, sarei il più grande esper-to mondiale in fatto di pensiero. Posso solo avanzare delle ipotesi e tentare di tratteggiare una teoria. Si supponga di esser certi del "Seb" all'inizio di "Sebastian". Per un non germanofono questo frammento ha un "sapore" speciale, qualcosa di leggermente alie-no. Cioè, nessun nome comune comincia in questo modo. Questo è un fatto capace di deviare i ricognitori verso regioni più "esoti-che" del vocabolario (con questo non voglio dire che tutti si diri-geranno in questa direzione, ma che solo una parte notevole di es-si lo farà; è come avere una moneta squilibrata incline a darci più teste che croci, ma non tutte teste). Negli ambigrammi, per di più, le attese sono sempre indirizzate sui nomi invece che sulle parole: i ricognitori allora saranno più propensi a compiere le loro scorre-rie nei territori ricchi di nomi.

Concetti diffusi e sovrapposti G e b : Ma questi piccoli ricognitori sono davvero così intel-ligenti? Come fanno a conoscere dove sono immagazzinati i no-mi, distinti dalle altre parole? E quali nomi sono "esotici", e do-ve i nomi esotici sono immagazzinati? E poi, si è certi che i nomi esotici siano raggruppati insieme?

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H o f : Non penso affatto che i piccoli ricognitori siano in-telligenti. In definitiva, la risposta a tutte queste domande dipen-de dal metodo dell'immagazzinamento delle varie voci nelle regioni del cervello. Articoli che abbiano molto in comune dovranno ri-siedere, per quanto è possibile, in regioni vicine. Di solito si ha l'impressione che il cervello sia organizzato in accordo alle asso-ciazioni concettuali. Pertanto i nomi tenderanno a stare in un vi-cinato dove alcuni residenti — nomi comuni come "Mar io" — riceveranno più visite degli altri. Ma un'immagine geografica come questa deve essere usata con cau-tela. Prenderla troppo alla lettera ci può portare completamente fuori strada, così come succede con i modelli che vorrebbero farci visualizzare l 'atomo. È probabile che ciascuna voce sia immagaz-zinata in modo sparso, come un gruppo etnico tende a sparpagliarsi in una grande città. E in effetti, qualsiasi minoranza si possa cita-re — infermiere, proprietari di ferramenta, bambini, persone dai capelli rossi, mancini, tifosi di calcio, ecc. — la troveremo con ogni probabilità distribuita inegualmente nella città. Naturalmente, vi saranno in ciascuna area alcune infermiere e alcuni tifosi di cal-cio, ma in certi isolati la concentrazione sarà molto più densa o molto più sparsa. Un gruppo può essere così sia diffuso che loca-lizzato — associato a un'area particolare (quella di maggiore con-centrazione), e pertanto si potrà dire, anche se non è esatto, che due gruppi sono tra loro "vicini".

G e b : Mi vengono in mente Little Italy e Chinatown, che si fronteggiano, nella bassa Manhattan, divise da Canal Street, do-ve anche si sovrappongono e si mischiano.

H o f : Sto dicendo proprio questo. Ora, se si immagina che un qualche nome — o più genericamente un concetto — sia rap-presentato nel cervello da una distribuzione alquanto diffusa ma anche vagamente localizzata, all'incirca come una minoranza lo è da individui sparsi inegualmente in una città, si può intravedere la ricchezza di sovrapposizioni e interazioni che i concetti esibi-scono, senza sacrificare del tutto l'immagine di "prossimità" di

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concetti — benché la nozione sia in sé approssimativa. Se si accetta questa immagine dell'organizzazione cerebrale, allo-ra si può presumere che vi siano aree particolarmente ricche di nomi (benché questi risiedano anche in altri luoghi), e che in queste aree specifiche vi siano a loro volta sezioni "ricche di nomi esotici". Pertanto i ricognitori non hanno bisogno di possedere strategie ela-borate per la ricerca dei "nomi esotici"; tutto quello che devono fare è portarsi in promettenti aree e pescare a caso. Per inciso, ci devono essere tipi diversi di ricognitori. Ricognitori di parole tentano di azzeccare una parola intera, mentre ricogni-tori di lettere sono indirizzati invece verso una lettera particolare. Alcuni poi sono ancora più miopi, e cercano di identificare parti di lettere. Ve ne sono naturalmente anche altri, ma questa è un'in-dicazione sufficiente. Miriadi di ricognitori che sciamano tutti in-sieme, come formiche in un formicaio.

G e b : Tutto quanto molto poetico, ma non è che tu stia spaz-zando sotto il tappeto molti punti importanti?

H o f : Non c'è dubbio: questa descrizione è fatta apposta co-me metafora utile per fornire all'immaginazione un'idea di come si possa spiegare ciò che di magico appare nelle operazioni del cer-vello, senza ricorrere al soprannaturale.

G e b : Ho capito. 157 H o f : Torniamo ora alla questione di come un intero ambi-gramma possa saltare agli occhi dopo che alcune lettere siano sta-te ravvisate. L'idea era che il riconoscimento forte di alcune lette-re induceva delle tendenze nella ricerca dei ricognitori. Parti della parola che sono considerate del tutto certe sono chiamate di solito "isole di certezza". Cerchiamo — cioè, i nostri eserciti di ricogni-tori di lettere cercano — di allargare ciascuna di queste isole di certezza, così come nelle campagne militari, gli eserciti cercano di estendere il loro territorio. Per fortuna, però, le isole di certezza non sono in competizione, anzi tentano di collaborare per stabili-

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re un riconoscimento collettivo del "gramma" a cui siamo interessati. Può darsi, tuttavia, che nascano dei conflitti tra di esse, soprat-tutto nel caso degli ambigrammi a oscillazione. Si prenda la Fig. 45, che consiste di quattro entità indivisibili. Se si percepisce l'en-tità più a sinistra come "Fu i " e quella più a destra come " e " , si resterà delusi in qualsiasi modo si interpretino le due interne — né "Fulice", o "Fultce", "Fulioe", "Fultoe" sono nomi o paro-le riconoscibili. Eppure ambedue le entità sono corrette in diverse letture. "Fu i " è il principio di "Ful ton", " e " il finale di "Ali-ce". L'una o l'altra delle isole di certezza, se vogliamo giungere a una soluzione pacifica del conflitto, dovrà cedere terreno.

L'effetto di puntellamento percettivo G e b : Solo negli ambigrammi a oscillazione hanno luogo que-sti scontri tra isole di certezza? H o f : Per niente. Un ambigramma mal fatto non a oscilla-zione rischia di contenere forme ingannevoli che possono divenire false isole di certezza. In un ambigramma ben fatto non a oscilla-zione, vi saranno invece una serie di intese cordiali fra i vari eser-citi che scorrazzano per il territorio sconosciuto, si scontrano, e si fondono, formando così unioni più larghe e più forti. Nel caso di "Johann Sebastian Bach", un certo numero di attese vengono stabilite simultaneamente per mezzo di lettere che in sé non sono del tutto certe. (Isole di quasi-certezza: un raffinamento del-l'idea sovramenzionata. Naturalmente nel campo della percezione niente è certo, e in special modo per quanto riguarda gli ambigram-mi; pertanto un raffinamento del genere è essenziale.) Pezzi di tutti e tre i nomi lanciano ricognitori di parole a compiere scorrerie prin-cipalmente in aree privilegiate, anche se la maggior parte delle ri-cerche svanirà nel nulla. Nel frattempo, i ricognitori di lettere si dan-no da fare per allargare un po' il territorio delle isole di quasi-certezza, finché prima o poi uno dei ricognitori di parole s'imbat-terà nella risoluzione trionfale di una parola intera. Quando acca-

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de, un'enorme isola di certezza emerge improvvisamente ed eserci-ta un'influenza fortissima sulle direzioni delle scorrerie che le orde di ricognitori intraprenderanno nel nostro cervello. Si supponga che " Johann" sia il primo nome ipotizzato (anche se sono propenso a crederlo il più flebile dei tre). Poiché alcune delle sue lettere sono molto deboli, lo si può considerare solo quasi-certo. Ma, benché equivoco, il fatto che si tratti di un nome ma-schile tedesco produce un insieme di influenze forti sui ricognitori di parole. Supponiamo che, grazie a ciò, uno dei ricognitori rag-giunga il territorio di "Sebastian". Allora, una volta che "Seba-stian" è stato ipotizzato, s'instaura una specie di risonanza con "Johann" — una stretta di mano metaforica che stabilisce un forte e mutuo sostegno, cioè un puntellamento. Nonostante che ciascun nome sia per conto suo piuttosto zoppicante, la loro alleanza ac-quista una stabilità molto più forte. Ora resta da identificare solo una parte dell'ambigramma. "Bach" dovrebbe apparire senza sfor-zo alcuno, specialmente se si conosce il nome del famoso compo-sitore. C'è una divertente metafora per questo effetto di mutuo sostegno. In viaggio a Beijing, si pensa di aver scorto la vecchia amica Joan-na sull'altro lato della strada, ma ne siamo tanto stupiti che non crediamo ai nostri occhi. Passa del tempo e nello stesso giorno un amico ci racconta di aver visto qualcuno che somigliava strana-mente a Sebastian, il marito di Joanna. Allora la nostra convin-zione di aver visto Joanna diverrà subito certezza, così come quel-la del nostro amico di aver visto Sebastian. I due incontri, di per sé incerti, si rafforzeranno appoggiandosi l 'uno all'altro. Questo genere di analisi riguardo alla percezione degli ambigram-mi dipende strettamente da una concezione generale della perce-zione come combinazione parallela di processi basso-alti e alto-bassi, concezione su cui fortunamente esiste un accordo in tutti i settori rilevanti della scienza (psicologia, neurologia, intelligen-za artificiale). Non vale solo per gli ambigrammi, ma questi la evi-denziano in modo particolare.

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G e b : Gli ambigrammi dimostrano a meraviglia come nella percezione un tutto possa esser più forte delle parti.

H o f : Sono ottimi in questo. L'effetto può essere osservato negli ambigrammi almeno a tre livelli:

1. Un nome proprio può esser più forte di tutte le parole che lo compongono.

2. Una parola può esser più forte di tutte le lettere che la compongono.

3. Una lettera può esser più forte di tutte le parti che la compongono.

Pertanto, gli ambigrammi forniscono un esempio particolarmen-te chiaro degli effetti alto-bassi che si hanno nella percezione. Na-turalmente, per ciascun livello, a volte è vero il contrario: mentre certe parti possono risultare forti, il tutto resta nondimeno indeci-frabile. Ma questo non deve sorprenderci, in quanto corrisponde più o meno a un'ingenua teoria basso-alto.

G e b : Gli ambigrammi possono essere una buona base per lo studio della percezione?

H o f : Sì e no. Sono affascinanti, ma può darsi che nella lo-ro percezione siano coinvolti troppi effetti simultanei. Sarebbe un po' come cercare di scoprire le leggi fondamentali del moto osser-vando delle uova che rotolano su di un tavolo pieno di gobbe. D'al-tra parte, però, alcuni degli argomenti più interessanti sulla perce-zione hanno a che fare con l'effetto "saltare agli occhi", che ac-cade solo quando siamo in presenza di un tutto composto di parti traballanti. Ma succede non solo con gli ambigrammi — un altro esempio potrebbe essere quello di una cartolina scritta con una gra-fia incerta. E ancora a maggior ragione se si tratta di una lingua straniera. Il fenomeno di interi percettivamente forti, ma compo-sti da parti deboli, è molto comune. Gli ambigrammi, anche se

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sono esempi magnifici della sofisticazione percettiva, non per questo sono unici a questo riguardo.

I ruoli e la struttura nascosta dei concetti G e b : Allora possono aprire una finestra in un certo modo particolare sulla percezione, o no? H o f : Assolutamente. Penso che questa finestra particolare abbia a che fare più col modo con cui l'artista percepisce gli ambi-grammi mentre li fa, che con la visione di uno spettatore che li sta decifrando. Ossia, voglio dire quel luogo specifico dove perce-zione e creatività si fondono. La creazione di una forma perfetta-mente in equilibrio, a metà strada tra una categoria e l'altra, ri-chiede un'abilità profonda, anche se per lo più inconscia, nel giu-dicare l'appartenenza categoriale. E poiché tali forme stanno in tensione tra due (o più) forze, spesso giocano sulle frange estreme delle categorie. Io sono convinto che nelle categorie, le frange sia-no le regioni più interessanti — "dov'è l 'azione", per così dire, almeno per quanto riguarda la creatività. In un certo senso, la mente creativa è sempre indaffarata a frugare in tutti gli angoli, operan-do alle frange, alla ricerca di cantucci inesplorati. A volte scopre miniere d'oro (che naturalmente si rivelano spesso di similoro). Le pazze combinazioni di pressioni in cui ci s'imbatte facendo am-bigrammi sui nomi personali ci trasportano in territori di frontie-ra del mondo delle lettere di cui mai avremmo sospettato l'esistenza. Dopo un po', mettiamo insieme una collezione di lettere tanto biz-zarre che nessuno avrebbe mai potuto sognare, se non fosse stato sottoposto a queste pressioni. Queste lettere rappresentano modalità molto insolite di apparte-nenza a una data categoria, e sono pertanto rivelatrici della strut-tura interna complessa, ma nascosta, delle categorie letterali. Credo per di più che ogni lezione si possa trarre da queste catego-rie visibili sia non meno valida per le categorie invisibili. Si tratta di lezioni generali su come le categorie si strutturano nella mente, siano esse concrete o astratte.

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G e b : Che genere di lezioni?

H o f : Forse è possibile apprendere da queste strane lettere quali tipi di componenti e di interconnessioni siano richiesti per-ché un oggetto possa essere considerato come membro di una da-ta categoria. Ad esempio, per avere la conferma che un oggetto sia una " A " , attendiamo che certi ruoli siano pienamente "co-perti"? Cerchiamo, sempre, tre linee a "coprire" i tre ruoli evi-denti dell'asta destra, della sinistra, e della sbarra? Oppure a vol-te ne cerchiamo solo due o anche quattro? È ovvio che a volte ve-diamo due linee o quattro, o persino a volte diciassette — ma, esi-ste lì dentro, nella mente, un processo di messa in corrispondenza oppure di filtro, che tenta di forzare le linee concrete davanti ai nostri occhi in un insieme di ruoli astratti prestabiliti? O sono questi ruoli astratti in sé flessibili — capaci, cioè, di scissione e di fusio-ne? Ma, allora, fin dove arriva questa flessibilità? E che dire del culmine di una " A " che si forma nella congiunzione di questi ruoli? Come concepiamo (a livello inconscio, naturalmente) tali relazio-ni tra ruoli? Fino a che punto sono flessibili? Sono le relazioni tra ruoli in numero preciso, o possono anche scindersi o fondersi tra loro? Credo che queste domande che affrontano dall'interno le catego-rie mentali vadano a toccare le radici profonde della percezione e della creatività e credo che la creazione di ambigrammi sia un luogo possibile per osservare, come al rallentatore, in che modo i ruoli si scindano e si fondano tra loro, quando un artista medita l'uno o l'altro scheletro concettuale e prende una serie di decisioni riguardo all'equilibrio. Naturalmente i ruoli non appaiono mai sulla carta, così come uno scheletro concettuale non è un disegno — ma ogni effetto visibile rivela qualcosa sulla loro natura nascosta e sulle loro relazioni interne alle categorie.

G e b : Credi che le risposte a queste domande fondamentali sui concetti e sui ruoli dovranno emergere dalle ricerche sul cervello?

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H o f : No, assolutamente. Benché le ricerche neurologiche ci possano aiutare a escogitare metafore utili a descrivere la men-te, credo vi sia un altro livello, intermedio, più appropriato a rap-presentare la struttura interna delle categorie. La ricerca sul cer-vello è situata a un livello troppo basso per questo genere di fac-cende, un po' terra terra. La ricerca necessaria dev'essere condot-ta invece al livello delle categorie. G e b : Ma come sondare le categorie? H o f : Paragonerei le categorie a particelle con una compo-sizione complessa, come i nuclei atomici composti da neutroni e protoni, o anche come i protoni e i neutroni a loro volta composti di quark. Prendiamo, per esempio, un protone. Al suo interno ci sono tre quark che ronzano qua e là tra loro continuamente, tenu-ti insieme dai cosiddetti "gluoni". Come potremmo mai osserva-re questi tre puntini infinitesimi e le loro migrazioni ultraveloci? Ebbene, facciamo rimbalzare altre particelle dal protone e vedia-mo cosa combinano. Elaboriamo poi statistiche che descrivono un gran numero di queste diffusioni sperimentali, e da esse cerchia-mo di dedurre dati sulle componenti invisibili e sulle relazioni che intercorrono tra loro. Ora, un insieme di ambigrammi ci offre qual-cosa di simile ai dati non ancora elaborati, forniti da tali esperi-menti. Le categorie rappresentano il bersaglio, e i loro ruoli inter-ni sono i quark. Le interrelazioni tra i ruoli, i "gluoni".

G e b : Così, le categorie sono come particelle subatomiche che tentiamo di sondare, e gli ambigrammi come esperimenti di diffusione? H o f : Sì. Le analogie sono un altro strumento estremamen-te potente per sondare la struttura interna delle categorie — e ciò non ti deve sorprendere, dato il mio paragone ricorrente tra ambi-grammi e analogie. Credo che tutto quanto ho detto sulla perce-zione visiva alla base dell'ambigrammatica praticamente si appli-chi altrettanto bene alla percezione astratta che è alla base delle analogie.

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La comprensione che abbiamo di situazioni complesse (la corsa agli armamenti, lo scandalo Watergate, la professione d'insegnante, una fiera d'arte, i litigi familiari, la creazione di ambigrammi, op-pure la struttura di un protone) viene elaborata da vasti contin-genti di ricognitori, operanti in parallelo e in una combinazione finemente sintonizzata di processi basso-alti e alto-bassi. Questi ricognitori localizzano le categorie adatte e accordano i ruoli con i loro contenuti. Per costruire una analogia, bisogna naturalmen-te combinare due apprensioni separate in una struttura comune, coinvolgendo tutte e cinque le fasi della creazione degli ambigram-mi: la costruzione dello scheletro concettuale, il primo schizzo, l'e-quilibratura, il dar corpo, e la rifinitura.

G e b : Puoi essere più esplicito?

H o f : Volentieri. La costruzione dello scheletro concettuale di una analogia è come il barlume mentale che ci rivela che due concetti posseggono, in qualche misura, una somiglianza profon-da. Non è, come alcuni vorrebbero, la proverbiale definizione del-l'atto creativo, "l'accendersi di una lampadina"; anzi è il risulta-to del vagare di ricognitori che di tanto in tanto scoprono sorpre-se piacevoli. In ogni caso il primo schizzo è il tentativo di dare una forma concreta all'analogia, in parole parlate o scritte. Ciò per-mette di osservarla con maggiore obbiettività. Vi è poi l'equilibra-tura, o sintonizzazione, che avviene con lo scegliere ciò che va en-fatizzato e ciò che va minimizzato. Dare corpo significa aggiunge-re decorazione elegante ma per lo più ininfluente — scelte astute di parole, descrizione degli oggetti in un linguaggio parallelo, e così via — strumenti adatti a che l'analogia sembri più appropriata di quanto non lo sia in realtà. La rifinitura è l'ultima fase della scrit-tura, quando ogni parola è scelta con cura e l'analogia è messa in risalto al suo meglio. Sì, sono convinto che gli ambigrammi siano proprio come le analogie.

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s m m / s •

46

45. Un ambigramma a oscillazione, che illustra come tutte le entità indivisi-bili fluttuano indipendentemente l'u-na dall 'altra tra due interpretazioni

46a. La prima versione di un ambigram-ma che la gente tende a leggere scor-rettamente

46b. Una versione alterata dello stesso ambigramma, che ha avuto più suc-cesso

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L' inf luenza dell 'accoglienza pubblica G e b : Un'analogia, detta o scritta, è seggetta alla critica degli altri; l'autore può allora tornare a correggerla o addirittura deci-dere se è il caso di conservarla o meno. Si deve presumere dunque che per gli ambigrammi la reazione pubblica sia altrettanto impor-tante nell'elaborazione della forma definitiva. H o f : È vero. Posso portare una piccola storia a sostegno. Uno degli ambigrammi che in assoluto mi sono più cari è stato fatto sul cognome di Lee Sallows. Il primo impulso mi dettava di farne una rotazione mezzo-giro in quanto le " S " ai due estremi spingevano in questa direzione. Anche l'interno sembrava tratta-bile allo stesso modo, poiché " L L " poteva essere facilmente ruo-tato di un mezzo giro — ciò era una ricetta del mio repertorio (o, se vuoi, un'entità del mio ambialfabeto personale). C'era ora la " A " da girare sottosopra in " O W " — al che non mi restava che rispondere con una " O h ! " di delusione. Feci qualche timido ten-tativo (oppure valoroso, secondo i punti di vista!), ma alla fine rinunciai. Nessun'altra simmetria — e le passai in rassegna tutte — sembrava adatta. Tornavo sempre alla rotazione di 180 gradi per trovarmi bloccato di nuovo. Ma finalmente un qualche ricognitore s'imbattè nell'idea che for-se era possibile abbandonare l'applicazione di " L L " su se stesso per sostituirla con un'altra autoapplicazione: quella della " O " . Voleva dire sovrapporre sottosopra " A L L " alla " W " . Sembrava promettere bene, perciò l'esaminai con cura. Non entrerò in par-ticolari: sarà sufficiente sapere che considerazioni simili a quelle prese a suo tempo per la riflessione muro su " WALL", descritte più avanti, condussero a quella che ritenevo una soluzione solida e ingegnosa (Fig. 46a). Ma quando la mostrai agli amici, questa fu la reazione: " E ' " S M O W S " , vero?" Invariabilmente vi era da parte mia una reazione indignata, che suonava all'incirca così: "Ma dai! Se avessi voluto convertire una " M " in una " W " , per-ché avrei fatto ricorso a tutti questi svolazzi e a tutti questi vuoti? Convertire una " M " in una " W " è un gioco da bambini!".

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Tutto vero, ma non tiene conto del fatto che la percezione non è un atto intellettuale, un atto logico che segua un ragionamento. Senza dubbio, i miei amici sapevano perfettamente che è banalis-simo ruotare la " M " e la " W " maiuscole l'una nell'altra — ma questo fatto intellettuale non veniva loro in mente al momento in cui provavano a leggere l'ambigramma. Se qualcosa possiede la "M"-i tà in quantità sufficiente, allora la gente pensa senz'altro di aver a che fare con una " M " ! È chiaro che gli amici avrebbero potuto fare un ragionamento simile: "Questa " M " è un po' dub-bia, e poiché abbiamo a che fare con un ambigramma, probabil-mente allora non si tratta di una " M " ! " Ma, nonostante ciò, la "M"-i tà era comunque prevalente. Anche dopo aver saputo che il nome dell'ambigramma era "Sallows", gli amici continuavano ad essere attratti da "Smows". E succedeva lo stesso anche a me — solo che non volevo ammetterlo.

H o f : Ciò riporta all'attenzione il tema della nostra discus-sione precedente, su come gli ambigrammisti, per garantire la qua-lità del prodotto, debbano combattere i loro pregiudizi e tentare di scrutare i loro lavori con una visione nuova e superoggettiva — usando cioè altissimi criteri di ammissione per tutte le catego-rie letterali volute, e bassi criteri invece per quelle indesiderate.

H o f : È giusto. Ebbene, mi misi daccapo e con riluttanza al lavoro e mi accorsi con sollievo che vi era posto per tutta una serie di piccoli spostamenti che avrebbero messo in evidenza "ALL" e scacciata la " M " indesiderata. Il trucco principale consisteva nel rafforzare la " A " abbassando la sbarra di un buon tratto. Una volta garantita la percezione della " A " , non restava agli spettato-ri altra scelta che vedere una coppia di " L " seguire la " A " . A questo punto l'orco "Smows" era stato annientato! Naturalmen-te, dopo tanta fatica, non seppi resistere e quindi aggiunsi dello stile superficiale perché l'ambigramma apparisse ancora più ele-gante. Il risultato finale fa mostra di sé nella Fig. 46b. Si noti che vi sono solo tre entità indivisibili coinvolte, in quanto la " S " e la " A " sono inseparabili.

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Questo è un esempio di come, sottoposta alla pressione del pub-blico, ne sia risultata affinata la mia percezione dei difetti. In ge-nerale, ho delle indecisioni prima di mostrare un ambigramma in pubblico. Sono capace di anticipare di solito molti dei fraintendi-menti, ma non sono certo della loro frequenza. Una falsa lettura molto temuta può anche non verificarsi mai. Ma può succedere il contrario: una falsa lettura creduta improbabile può invece av-venire più spesso di quanto non mi aspetti (è ciò che è successo con "Sallows"). Si può dire che un ambigramma è un successo solo quando fun-ziona con la grande maggioranza della gente. È per questo che, una volta prodotto un ambigramma, non posso essere sicuro, da solo, se è degno di esser posto tra i primi della mia collezione; de-vo invece farlo vedere per accertarmi che sia ben recepito. Avvie-ne lo stesso, ovviamente, per la musica, la letteratura, e altri tipi di arte, e anche per le scoperte scientifiche. Il successo è un feno-meno sociale.

Cosa si aspetta l'ambigrammista dal pubblico G e b : Scommetto che se avessi mostrato il "Sallows" origi-nale a Lee Sallows, quasi sicuramente egli non lo avrebbe letto co-me "Smows". Cosa ne pensi?

H o f : Probabile, ma non sicuro. Tuttavia è una buona os-servazione: ogni individuo possiede un particolare insieme di aspet- 759 tative che influenza fortemente come percepirà un ambigramma. A sua volta l'ambigrammista ne possiede un altro riguardo al pub-blico. Le principali di queste aspettative sono:

1. Per prima cosa si darà per scontato che il pubblico ab-bia una profonda familiarità con l'alfabeto che si usa, perché se così non fosse, vedrebbe solo una confusione di linee. (Un ambigramma a caratteri cinesi sarà, per ov-vie ragioni, difficilmente leggibile per la maggior parte delle persone di lingua europea.)

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2. Si spera anche che vi sia familiarità con la lingua usata. (Un ambigramma su "Przybylewski" sarà per molti ita-liani più difficoltoso che uno di pari qualità su "Poggibonsi".)

3. Risulta certamente utile se il nome in questione è fami-liare agli osservatori — più lo è, meglio è. (Un ambi-gramma su "Einstein" salterà agli occhi prima di uno di pari qualità su "Pontecorvo".)

4. Abbiamo infine l'effetto di auto-sensibilità: ognuno ri-sponde con particolare facilità al proprio nome. (Pro-babilmente nessun altro nome al mondo se non "Lee Sal-lows" sarà visualizzato più rapidamente da Lee Sallows. La controparte di questa osservazione è che non esiste altra persona se non Lee Sallows che visualizzera più ra-pidamente "Lee Sallows".)

Il punto 4 dice in pratica che possono riuscire doni graditi anche ambigrammi mediocri. D'altro canto, se ci si rivolge a un pubbli-co sconosciuto di cui non si sanno bene i nomi più frequenti, la lingua, o l'alfabeto, anche i migliori ambigrammi che riusciremo a fare resteranno probabilmente senza effetto.

Ambigrammi in altri sistemi di scrittura G e b : Un momento fa hai accennato all'idea di ambigram-mi in caratteri cinesi. Ne hai fatto qualcuno?

H o f : È curioso che tu me lo chieda. Mi è accaduto di farne uno non molto tempo fa. Dico " f a r e " e non "tentare", perché, con mia sorpresa, è stato un vero successo. È sul nome mostrato nella Fig. 47a (che si trascrive "Wu Yunzeng"). Wu, un profes-sore d'informatica a Beijing, è alla testa del gruppo che lavora alla traduzione in cinese del mio libro Godei, Escher, Bach (che è un'operazione maledettamente più difficile che fare ambigram-mi in cinese!). Non avrei affrontato l'impresa di un ambigramma cinese compie-

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tamente alla cieca — sarebbe stato folle. Avevo alle spalle uno stu-dio di un paio d'anni della lingua cinese, ed ero arrivato a conosce-re qualche centinaio di caratteri, lontanissimo dalle svariate migliaia a disposizione di ogni cinese istruito. Data l'attrazione esercitata su di me dalle lingue scritte, avevo tentato di acquisire un senso della "slittabilità" di questi caratteri — gli elementi che si possono far slittare senza che l'identità del carattere venga compromessa, in con-fronto agli elementi in cui anche uno slittamento minore distrugge-rebbe l'identità del carattere. Ma ciò richiede un bel po' di familia-rità con molti testi scritti in centinaia di stili visivi — a stampa, a mano, in corsivo — prima di essere capaci di saltare come una ca-pra su per le asperità scivolose del cinese. Pertanto l'imperfetta co-noscenza faceva della mia sfida un vero rischio. Una distorsione apparentemente insignificante di un carattere può portarlo a scon-finare in territorio rivale, oppure rendere la sua forma del tutto ir-riconoscibile come un qualsiasi carattere. Ci vuole fegato ad affron-tare l'ambigrammatica in un sistema di scrittura diverso dal nostro, specialmente se si tratta del cinese, dato il numero mostruoso di categorie in competizione. Sarebbe stato agevole scrivere in verticale il nome di Wu, appro-fittando della simmetria a specchio intrinseca del primo e dell'ul-timo carattere, e poi ritoccare leggermente il centro per renderlo ugualmente riflesso: un tale ambigramma è mostrato nella riflessione-muro verticale della Fig. 47b; sfortunatamente è del tut-to privo d'interesse, a causa, fra l'altro, della quantità di carat-teri cinesi altrettanto specchianti. Sarò più preciso: molti caratteri cinesi sono concettualmente simmetrici così come lo sono molte delle nostre lettere, benché rimangano raramente simmetrici in mo-do perfetto, una volta stampati; si tocca qui la differenza tra sche-letro concettuale e una forma che invece ha preso corpo. Nel no-stro sistema di scrittura, un equivalente potrebbe essere " T E X " tracciato verticalmente con una " E " a due facce (vedi Fig. 47c) — che è carino, ma non un colpo di genio! Decisi allora di tentare qualcosa di più audace. Una cosa mi colpì immediatamente: le "gambe" del primo carat-tere avevano una risonanza nelle "antenne" dell'ultimo, invitan-

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do a una rotazione di 180 gradi; e inoltre le forme squadrate con-tenute in ambedue i caratteri incoraggiavano questo tentativo — così procedetti. Tuttavia, nonostante l'inizio favorevole, incontrai delle difficoltà quando tentai di convincere il primo e l'ultimo ca-rattere ad andare d'accordo. Difficoltà anche maggiori presenta-va il carattere di mezzo, che dapprima avevo giudicato facile. Il risultato finale è l'ambigramma della Fig. 47d, che trovavo sod-disfacente, ma su cui all'inizio avevo nutrito dubbi. Lo sottoposi quindi a una prima prova non certo severa, mostran-dolo allo stesso Wu Yunzeng! (Era in visita per qualche giorno.) Lo misi senz'altro di fronte al fatto compiuto e gli chiesi con tono innocente: "Lei sa cos'è questo?". La sua reazione fu inaspetta-ta: "Uhmmm.. . somiglia al mio nome... ma non esattamente". Allora lo girai, e lui, preso alla sprovvista, sembrò interessato e compiaciuto. Le prove ulteriori le condusse per me David Moser (si veda anco-ra la Fig. 12), che si trovava a Beijing a lavorare con la troupe di traduttori. Lo fece vedere a due conoscenti cinesi, uno dei quali era amico di Wu, mentre l'altro non ne aveva mai sentito parlare. Nessuno dei due ebbe difficoltà a leggerlo, e ambedue rimasero sorpresi quando si accorsero della simmetria che non avevano no-tata prima. Lietissimo della notizia, conclusi che, in questo caso, la scommessa aveva pagato. Fortuna di principiante, credo! Devo aggiungere che lo stesso David Moser ha cominciato recentemen-te a fare i suoi ambigrammi, combinando caratteri cinesi con let-tere romane. Un bell'esempio sulla parola "China" e il rapporto tra caratteri cinesi e romani è mostrato nella Fig. 48.

G e b : E David come chiama le sue creazioni?

H o f : "Sinosegni".

G e b : Naturalmente. Hai mai fatto tentativi con altri siste-mi di scrittura?

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47a. Il nome " W u Yunzeng" scritto in caratteri cinesi

47b. Una riflessione muro sul nome " W u Yunzeng" scritto verticalmente

47c. Una riflessione muro sul nome " T e x " scritto verticalmente

47d. Un mezzogiro più audace sul nome " W u Yunzeng"

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48

48. Un "s inosegno", creato da David Moser, fondendo i caratteri cinesi per " C i n a " ("Zhong guo") col nome in-glese della Cina ( " C h i n a " )

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H o f : Solo una volta, per una coppia mezzo-israelita, mezzo-canadese: Paul e Ziva. Per loro avevo già fatto un eterogramma mezzo-giro in caratteri romani, ma ora mi attirava l'idea di farne uno a oscillazione, bilingue e bidirezionale (l'ebraico si legge da destra a sinistra). L'idea iniziale era quella di un eterogramma che si leggesse da destra a sinistra "Ziva" in caratteri ebraici, e da si-nistra a destra "Pau l " in caratteri romani. Un mio amico israelita mi mostrò come scrivere "Ziva" in ebraico, e feci dapprima dei tentativi senza riuscire a nulla. Feci appello allora allo slittamento creativo, e naturalmente il tipo più invitante ed elegante era l'in-versione dei sistemi di scrittura: "Paul" in caratteri ebraici (la pro-nuncia diventa all'incirca "Pa-ul") , e "Ziva" in caratteri roma-ni. Come nel nostro sistema di scrittura, vi sono in ebraico lettere scritte e lettere stampate. Chiesi allora di vedere le due versioni di "Pa-ul" , e non appena le ebbi davanti, scorsi uno spiraglio di speranza, purché mi fosse permesso di mescolare i due stili. Il mio complice israelita disse che lo si poteva fare, e così dopo un gran lavorìo di spinte e di strattoni sulle varie parti delle lettere, e sem-pre sotto lo stretto controllo del mio complice per esser sicuro di restare nel territorio di ogni carattere, raggiunsi quella che sem-brava una unione armoniosa. Il risultato, di cui feci un dono di nozze a Paul e Ziva, è quello della Fig. 49. Da allora, quando mostro questo ambigramma a persone che leg-gono tutte e due le lingue, quasi all'unanimità, sentenziano che mi sono sforzato un po' troppo, cercando la totale sicurezza ri-spetto all'ebraico, sacrificando in certa misura la perfezione della lettura in caratteri romani. La parte ebraica è tanto forte per quelli che sono in grado di leggerla che non riescono affatto a vedere l'altra lettura! Per contro, chi legge i caratteri romani tende a ve-dere "Zika" . Credo perciò che qualche ritocco, per mettere in sin-tonia il tutto, sia necessario.

G e b : Questo ambigramma a oscillazione sembra diverso dai primi, perché lo si deve esaminare da due direzioni per poter scor-gere ambedue le letture.

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H o f : Sì, ma non c'è bisogno di alcuna trasformazione teriale; basta di scattare un interruttore mentale. Ma a azione non è solo questione di direzione-, si scivola simultaneamente un dato insieme di categorie mentali a un altro totalmente rente. Cercando di interpretare qualcosa che abbiamo davanti occhi come caratteri ebraici, le categorie delle lettere romane risiedono nella nostra mente restano come "addormentate" e quind non disputano il possesso delle forme, e viceversa. Accade allori come conseguenza notevole che venga schivata del tutto la temuti esplosione combinatoria, inevitabile in ogni normale ambigram ma a oscillazione.

G e b : Non è simile a quanto è accaduto con "Scott Kim' (Fig. 7b)? Le due famiglie di categorie erano allora quelle delle "lettere larghe" e delle "lettere strette", e ciascuna tendeva a sop-primere l'altra.

H o f : Appunto! Uhmmm... Pensandoci bene, quest'idea due sistemi categoriali distinti mi fa venire in mente un omogram-ma non banale a oscillazione... che ne pensi della Figura 50?

G e b : Si legge "omogramma", no? Non vedo altro. È si-multaneamente in ebraico?

H o f : No. Ma, quando hai pronunciato la parola, non ho potuto rendermi conto se fosse in maiuscole o minuscole. Di fatto questo omogramma si legge "OMOGRAMMA" in maiuscole e "omogramma" in minuscole allo stesso tempo. Almeno questa è l'intenzione. In teoria si dovrebbe essere capaci di saltare dall'una all'altra interpretazione solo schiacciando un interruttore mentale che ci faccia fare l'altalena tra le 26 categorie dell'alfabeto maiu-scolo e le altrettante di quello minuscolo. Che ne pensi — sono riuscito infine a fare un omogramma non banale a oscillazione?

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o m o g r / a m m / a 50

Un ambigramma a oscillazione bilin-gue; si legge da sinistra a destra in ca-ratteri romani, e da destra a sinistra in ebraico

50. Una soluzione discutibile alla sfida curiosa "Trovare un omogramma a oscillazione non banale"

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G e b : Mi rendo conto del tentativo, ma sfortunatamente at-tivare uno di questi due insiemi categoriali non significa disattiva-re l'altro. Alfabeti maiuscoli e minuscoli, benché distinti, vengo-no usati in congiunzione. Capisco che la tua idea è che ciascuna lettura debba bloccare l'altra come nel cubo di Necker, ma qui, ciò non accade. Non avverto nessuna altalena tra due gestalt glo-bali nella mia mente, anche se riesco a vedere lettere singole che saltano avanti e indietro tra i caratteri. Sembra esserci una bista-bilità locale, ma non una globale. In effetti mi riesce molto difficile indagare all'interno del mio cer-vello ed esprimere come reagisca a questo stimolo, ma ipotizzerei che le due interpretazioni di ciascuna lettera tra loro indipendenti, invece di escludersi, in realtà si rafforzino, tanto che ne deriva la sensazione totale a livello gestaltico di una singola lettura forte e stabile, ma con un carattere del tutto indefinito. E ciò perché maiu-scole e minuscole non sono classi che si escludono a vicenda. Per-ché allora, per ottenere l'effetto cercato, non fai un omogramma a oscillazione, utilizzando invece delle maiuscole e delle minusco-le, l'alfabeto romano e quello ebraico?

H o f : Purtroppo, non conosco abbastanza l'ebraico e non saprei da dove cominciare. Inoltre non saprei come classificare un ambigramma con due letture visivamente distinte, ma pronuncia-te identicamente — sarebbe o no un omogramma? Mi hai posto davvero un curiosissimo dilemma!

VII. CREAZIONE CONTRO SCOPERTA

Il paradosso del credito G e b : Sono contento che ti sia gradito. E, a proposito, la storia che hai raccontato sull'ambigramma "Paul-Ziva" solleva delle questioni rispetto alla scoperta e al credito. Il tuo primo ten-tativo di scrivere ciascun nome nella propria lingua è fallito, per-

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ché l'hai trovato troppo difficile; sei ricorso allora all'inversione delle lingue e subito tutto è divenuto agevole, tanto che hai traffi-cato un po' e ne è sortito un ambigramma attraente. Non è che questo fatto si accordi con quanto diceva Alan Guth a Greg Hu-ber — un ambigramma non è altro che la rivelazione di una pro-prietà intrinseca del nome o dei nomi coinvolti? Un buon ambi-gramma non è il semplice risultato del saper scorgere e approfitta-re di quanto vi è di obiettivo — una scoperta più che un'invenzio-ne? Voglio dire che chiunque avrebbe potuto vedere la somiglian-za tra il "Pa-ul" ebraico e lo "Ziva" romano.

H o f : So esattamente dove vuoi arrivare. In realtà si tratta di un paradosso bizzarro. In un senso sembra che gli ambigrammi migliori siano prodotti senza sforzo alcuno — se ne stiano lì ad aspettare che qualcuno li colga. D'altro canto, quelli che richie-dono un gran daffare di forzature e equilibrature non otterranno mai quell'inevitabile sguardo. In altre parole più un ambigramma ci coinvolge e peggio è — e meno è ingegnoso, e meglio è! Un pen-siero angoscioso per chi, come me, cerca credito per la propria bravura! Ma posso ribattere che la bravura ha tuttavia il suo posto nell'am-bigrammatica e che la nozione di credito non è destituita di fon-damento. Per cominciare, si consideri che quel che sembra "ov-vio" o "oggettivo", prima di essere scoperto, era sfuggito agli occhi di molte altre persone dotate di buona percezione. Se svariati am-bigrammisti vengono sfidati sullo stesso tema, ce ne sarà proba-bilmente uno che troverà una soluzione bellissima che sfugge a tutti gli altri. È questione di visione — o meglio di intuito, per usare una parola che contiene in sé connotazioni sia concettuali che percettive. È vero, in un certo senso "è sempre stato lì" — ma si può dire lo stesso con un'intera sinfonia. E se non si è d'accordo, cosa dire allora delle melodie? È o non è un nonsenso affermare che motivi orecchiabili stiano lì, nell'oggettività, in attesa che qualcuno li "orecchi" e li trascriva? E i bei giochi di parole? A qualcuno vie-ne in mente, al momento opportuno, un doppio senso che tutti

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gli ascoltatori già conoscevano — ma a cui non avevano pensato. Dev'essere riconosciuto il dono della creatività a chi è dotato di uno spirito tanto svelto? E che dire allora di chi è meno bravo, di chi è mediocre, ecc.? Non credo infine che vi sia bisogno di distinguere tra scoperta e invenzione, come se ci fosse una breccia magica tra le due. Penso che si tratti in realtà di due regioni che appartengono a uno stesso continuo, e che il termine usato di volta in volta abbia a che fare con lo "spazio" esplorato. Alcuni spazi somigliano a spazi fisici; sono tangibili e comuni alle persone. Uno spazio come questo ci dà l'impressione di possedere dei sentieri lungo i quali si trovano degli oggetti che oggettivamente sono " l ì" ; in riferimento a uno spazio simile ci sentiamo a nostro agio parlando di scoperta. Altri spazi, come quello di tutte le sequenze possibili di note, o lo spa-zio di tutti gli aggeggi di qualche data specie, sono più eterei, e pertanto pensiamo che siano più difficili da visualizzare come se ci fossero in essi dei "luoghi" o dei "sentieri"; in tal caso, trovia-mo più appropriato parlare di invenzioni. Penso tuttavia che la distinzione tra spazi "tangibili" e "eterei" sia artificiale e in defi-nitiva priva di senso. Può darsi sia giusto dire che gli spazi tangi-bili sono angusti e quelli eterei vasti. In ogni modo, si tratta di un continuo.

I romanzi e le sinfonie come mere scoperte G e b : Significa allora che sei disposto ad accettare la nozio-ne che un grande romanzo è piuttosto scoperto che inventato? Un romanzo sarebbe per te un "oggetto" localizzato e preesistente lun-go un qualche "sentiero" nello "spazio" immenso di tutte le pos-sibili sequenze di parole?

H o f : Chi ti ha mai detto che un romanzo è una specifica sequenza di parole! Che opinione bizzarra! È invece una profon-da visione centrale, con poi un mucchio di abbellimenti. Se un ro-manzo fosse veramente una mera sequenza di parole specifiche, allora non potrebbe esistere che nella sua lingua d'origine. E si po-

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trebbe dire altrettanto bene che è "una sequenza di lettere specifi-che", o perfino "un'ammucchiata tridimensionale di strutture bi-dimensionali composte di piccole macchie nere specifiche su sfon-do bianco". No, no — gli autori di romanzi non vagano nello spazio di tutte le possibili sequenze di parole o lettere, alla ricerca di quelle "adat-t e" — è un'immagine ridicola! Essi creano brani complessi basati su buone idee germinali — scheletri concettuali, se mi è permesso usare ancora questo termina — così come un ambigrammista crea forme complesse basate su buone idee germinali. Affermare che "tutti i possibili ambigrammi sono lì a disposizio-ne di chi li scopre" significa dire che esistono somiglianze oggetti-ve tra i nomi che è possibile osservare e convertire in scheletri con-cettuali da affinare, infine, attraverso una serie di fasi. Il proces-so creativo che procede fase per fase non è, in modo assoluto, pa-ragonabile alla produzione a caso sul calcolatore di forme grafi-che complesse, per fermarsi qualora si trovi un ambigramma per-fetto, equilibrato, rifinito, e tutto quanto — che sarebbe l'equiva-lente dell'autore vagante in uno spazio di sequenze di parole o di lettere, speranzoso di imbattersi in un romanzo bellissimo e già tutto scritto. Gli autori non vagano in questo tipo di spazio, ma piuttosto nella vita, cercando situazioni oggettivamente e intrinsecamente interes-santi. Quando ne trovano una che promette bene, iniziano col darle corpo in molte maniere, per renderla sempre più complessa. Ma il germe di un qualsiasi romanzo — la sua essenza — resta pur sempre una piccola luce intuitiva, un baluginìo che era lì da sem-pre, oggettivamente alla portata di chiunque fosse tanto bravo da scorgerlo. Il resto — lo sviluppo del germe — comporta natural-mente una quantità di altre intuizioni che sono la maggior parte su piccola scala, p così il prodotto finale è un'amalgama di moltis-sime visioni, ciascuna alla portata di tutti.

G e b : È come se tu dicessi che la messa in parole di un ro-manzo avviene solo alla fine, cioè nella sua fase di "rifinitura"!

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H o f : Può essere esagerato, ma contiene della verità. La riprova finale di un romanzo consiste nella misura in cui gli altri riescono a vedere, il mondo come l'autore lo vede. L'opera parlerà alla gente solo fino al punto in cui l'autore è riuscito a cri-stallizzare in parole qualcòsa di oggettivo e universale. Il pubblico ama un romanzo, perché ha la sensazione che in certo qual modo avrebbe potuto scriverlo lui, in quanto si riconosce in quelle situa-zioni e in quei personaggi! Crede, in altre parole, che l'essenza pro-fonda di quel romanzo, la si conoscesse già. Il che implica, certo, che l'autore ha fatto una scoperta più che un'invenzione. Lo stesso si può dire, grossomodo, di sinfonie, quadri, battute di spirito, melodie, analogie, e ambigrammi. Si comincia con una vi-sione certo lì da sempre, ma che solo noi abbiamo scorta. Poi la sviluppiamo e la combiniamo con altre visioni più piccole per ar-rivare finalmente al prodotto definitivo, una forma visiva com-plessa, il cui germe avevamo intravisto in un barlume d'intuizio-ne. Tale forma dovrà essere mostrata alle persone e queste la gra-diranno più o meno a seconda che abbiano potuto avere lo stesso barlume — in altre parole, a seconda che la nostra intuizione sog-gettiva sia stata vera e oggettiva.

Due miti simili: il libero arbitrio e la novità creativa G e b : Credi proprio allora che le grandi opere d'arte siano scoperte e non creazioni!

H o f : Sì — e soprattutto che siano scoperte su quanto at-trae la mente umana. In altre parole, scoperte su come la gente vede le cose, le categorizza, e reagisce ad esse. La gente vuole tro-vare in un romanzo novità — non qualcosa che è familiare a tutti. Lo stesso accade per gli ambigrammi, com'è ben illustrato dalla storia del mio ambigramma cinese. Avrei potuto fare qualcosa di usuale, senza prendere rischi — la riflessione-muro verticale — ma privo di fantasia. Ma ho sentito il bisogno di essere più audace. È essenziale nello spirito della creazione un desiderio di affronta-re il pericolo, di gettarsi nell'azzardo. Così ho scommesso su una

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somiglianza più sottile e più soggettiva all'apparenza. Ho combi-nato con essa quel che potevo — ed è risultato che era più forte e colpiva di più. Ciò contraddice del tutto la tua insinuazione che quanto meno un ambigramma è rischioso o ingegnoso, tanto meglio è! Qualcosa che richieda abilità per essere visto può nondimeno esserci stato da sem-pre. La storia dell'ambigramma cinese, e degli ambigrammi in ge-nerale, m'insegna che visioni più difficili da scorgere, ma non per questo meno oggettive, posseggono un potenziale maggiore come germi creativi di quanto ne abbiano le visioni più ovvie. La creati-vità è la capacità di vedere nel profondo ciò che si presenta, e non la mitica abilità di portare all'esistenza l'inesistente. Credo che se si va ad esaminare abbastanza da vicino qualsiasi pre-sunto grande esempio creativo, allora l'edificio della creazione crol-lerà e non ci lascerà niente se non un altro caso di scoperta. A pro-posito, la stessa cosa sembra succedere con il libero arbitrio, una volta che si vadano ad esaminare nei particolari le radici di ogni presunta decisione; si vede che dopotutto non c'era mai stato spa-zio per la scelta, e il libero arbitrio scompare per far posto a un insieme di pressioni che interagiscono in modo deterministico a im-porre un risultato. Seguendo questa linea, l'avvocato americano Clarence Darrow divenne famoso negli anni venti: suggeriva sem-pre che se noi, i giurati, fossimo stati al posto dell'accusato, cre-sciuti nelle stesse condizioni, sottoposti giorno dopo giorno alle stesse angherie, in preda anno dopo anno alle stesse disperazioni, ebbene, anche noi avremmo compiuto il medesimo atto — anzi avremmo dovuto compierlo. Queste forze si erano appuntate tut-te quante, per caso, su un singolo individuo sfortunato, ed aveva-no condotto a un risultato malvagio, ma non prevenibile. È mia opinione che non sia accidentale questa stretta rassomiglianza tra le dicotomie creazione/scoperta e libero arbitrio/determinismo. Vi sono credenze mistiche rispetto sia al libero arbitrio che alla creatività artistica, che hanno la pretesa che la mente trascenda in qualche modo i processi del cervello, che lo spirito possa tra-scendere le leggi naturali che reggono la materia, e così via. Non credo in queste insulsaggini. Penso invece che ciò che chiamiamo

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scelta e creatività siano casi meravigliosamente complessi di "me-ro" determinismo e "mera" osservazione. G e b : Gran parte di quel che dici per me ha un senso, ma c'è ancora una cosa che non mi torna. Sento che in un romanzo vi è di più che un insieme di idee inevitabili, e in un pezzo di musi-ca più di un insieme di melodie "già lì". Qualcosa che porta il mar-chio unico dell 'anima dell'artista (se posso usare questo termine pieno di risonanze, senza pregiudizio per la mia domanda), una specie di fuoco interno del tutto peculiare. Come lo puoi negare?

H o f : Non lo nego, e riconosco alle opere d'arte altrettanto merito di te. Alla mia maniera, però. La gente dice spesso frasi come questa: "Se Dostoevskij non fos-se esistito (o Dali, o Debussy), qualcuno l'avrebbe inventato". Si-gnifica che oggi ci sembra evidente che una nicchia era in attesa di essere riempita da X e che se X non fosse apparso, qualcun al-tro avrebbe preso il suo posto. Affermazioni simili in genere sem-brano più credibili se pronunciate riguardo a scienziati: "Se Niels Bohr non avesse trovato 1'"atomo di Bohr", qualcun'altro l'avreb-be fatto". Personalmente trovo quest'affermazione un esempio cre-dibile al cento per cento. Ma c'è qualcosa che ci turba quando si-mili frasi sono dette a proposito di letteratura, arte, o musica, per-ché non siamo abituati a considerare che le suscettibilità e le pre-dilezioni umane sono fatti oggettivi come quelli che studia la fisica.

G e b : Non vorrai dire, spero, che se Delitto e castigo non fosse stato scritto da Dostoevskij, qualcun'altro lo avrebbe scritto!

H o f : Certo che no. Ma sarebbe stato possibile per qualcu-no scrivere un romanzo che ricoprisse lo stesso ruolo nello stesso tempo. Ad esso oggi noi daremmo lo stesso significato che diamo a Delitto e castigo. La pretesa che "se Dostoevskij non fosse esi-stito, qualcuno lo avrebbe inventato" non deve essere intesa co-me se il lavoro specifico dell'artista Dostoevskij dovesse essere pri-ma o poi prodotto da questo o quell'altro, ma che il suo punto

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di vista generale e il suo stile avrebbero potuto esser trovati da qual-cun altro.

G e b : "Trovati"?

H o f : Sì, "trovati" — trovati da qualcun altro — in quan-to fatti oggettivi sull'umanità. Per me, lo stile di un dato artista rappresenta una scoperta ogget-tiva sulla mente umana — sui modi con cui di preferenza gli uma-ni vedono le cose. Prima ancora che l'artista X fosse nato, la di-sponibilità della mente umana al punto di vista di X era lì da sem-pre — una realtà latente — proprio come l'enorme disponibilità della mente umana alle progressioni degli accordi tonali era laten-te in essa prima che la musica tonale fosse scoperta. Si prendano i fotografi — Edward Weston, per esempio: egli ha visto (o ci ha fatto vedere) peperoni come nudi umani. Corrispon-denza forzata, senza dubbio — ma che per la mente funziona in modo magnifico! Ed è indiscutibile che i buoni fotografi ripren-dano cose oggettive, cose che sono lì alla portata di tutti. Tutta-via, quando vediamo certe fotografie per la prima volta, diciamo "Solo Edward Weston" (o Ansel Adams, o Henri Cartier-Bresson) "avrebbe potuto farle". Il punto di vista di X è come un marchio, una firma. Pertanto, l'opera di un grande creatore — o come io preferisco, un grande selezionatore — è il risultato di due entità esistenti nell'oggettività: prima di tutto un universo di possibilità oggettive da cui fare la selezione, e, secondo, un universo di sensi-bilità con cui operare la selezione. Ogni individuo, in quanto cresce in un luogo e in un tempo speci-fici, viene in contatto con un particolare sottoinsieme alquanto ar-bitrario del primo universo sovramenzionato (cose da vedere), ed è nato con, e sviluppa, un conseguente sottoinsieme alquanto ar-bitrario del secondo universo (modi di vedere). Ciò vale per tutti, dotati o no. Però l'insieme di sensibilità di un artista (almeno di uno che abbia avuto successo) è come un accordo complesso e af-fascinante in uno spazio astratto: una combinazione di "note" (cioè, di sensibilità) che forse nessuno ha inteso prima, ma che ri-

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suona gradevole per una frazione considerevole di umanità. Gli "accordi di sensibilità" delle persone più ordinarie sono sempli-cemente in sintonia con una frazione molto meno alta.

Delitto e castigo scritto da Elio Vittorini? G e b : L'analogia tra fotografia e scrittura è provocante. Una fotografia eccellente dipende sia dalla scena in sé che dall'inqua-dratura. In ambedue i casi, piccoli spostamenti possono "far sal-tare" tutto. Sei d'accordo che in un romanzo, la "scena in sé" è la trama, e 1"'inquadratura" lo stile? In tal caso potremmo domandarci: "Co-me sarebbe Delitto e castigo scritto da Elio Vittorini?" H o f : È una domanda squisita! Se si mantiene fissa l'inqua-dratura (cioè lo stile) e si varia la trama, si ottiene una sfilza di romanzi di un autore dato, un fenomeno familiare — ma se si man-tiene fissa la trama e si varia l'inquadratura, si ottiene una sfilza di autori che scrivono tutti la stessa storia, ognuno nella maniera più congeniale. È un fenomeno raro, ma succede. Per esempio, abbiamo diversi svolgimenti di una trama di base del tipo "Ro-meo e Giulietta". Di tanto in tanto accade anche che alcuni com-positori di musica sfruttino uno stesso tema. Sarebbe bellissimo se esperimenti simili, di creatività comparata, fossero condotti più spesso da grandi artisti. E sarebbe interessante, su scala molto minore, dare uno stesso te- /87 ma a un gruppo di ambigrammisti e osservare come viene tratta-to. Sospetto che in molti casi verrebbe scoperto lo stesso scheletro concettuale da persone diverse, mentre in altri si avrebbero, natu-ralmente, visioni divergenti. Un giorno forse questo esperimento verrà tentato.

G e b : Può succedere anche in modo intrapersonale? Più spe-cificatamente, supponi che ti sia data una sfida ambigrammatica. La risolvi in modo del tutto soddisfacente per dimenticartene su-bito dopo. Passa del tempo e la stessa sfida ti viene riproposta,

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ma non la riconosci. Non pensi che potresti arrivare a una solu-zione completamente differente e di uguale qualità?

H o f : Mi è successo. Certo è che la determinazione del ri-sultato comporta qualcosa che va oltre la sfida in se stessa e il mio stile particolare.

Il ruolo del caso e dell 'arbitrio G e b : Non ne deriva allora che a influenzare il risultato vi sono delle variabili nascoste — alcune interne (come il tuo umore in quel momento) e altre esterne (come il tempo che fa, per essere proprio banali)?

H o f : Certamente. Direi che il numero di queste variabili na-scoste è enorme, e tutte insieme formano un gran flusso di influenze casuali che colpisce chi crea. Ne consegue che quel che appare co-me "la stessa situazione" — un medesimo ambigrammista che af-fronta una data sfida — in effetti può risultare in molte forme di-verse, alcune radicalmente differenti. Gli ambigrammi sono oggetti molto piccoli, e per questo hanno un'enorme potenziale di variabilità. Se si pensa invece ai romanzi e alle sinfonie, che sono creazioni su larga scala, non altrettanto si può dire della loro variabilità, che è più sottile. Molto di quanto che è relativo con una grande opera d'arte è il prodotto di stimoli

jgg che colpiscono momento per momento l'artista, o memorie evo-cate a caso da sensazioni istantanee. Il medesimo artista, pur nel-lo stesso umore, produrrà un pezzo leggermente diverso rispetto a quello che avrebbe prodotto il giorno dopo. Molti dettagli sono pertanto in certo modo contingenti e potrebbero essere stati altri-menti, per quanto perfettamente rifiniti e integrati nella struttura finale. È probabile che sia praticamente impossibile per un artista distinguere tra gli aspetti "inevitabili" e quelli "accidentali" del prodotto finito. Penso talvolta a un fatto analogo in natura: quelle pietre meravi-gliose conosciute come "geodi". Appaiono come pietre ordina-

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rie, ma quando le si spezza, aprendole, rivelano all'interno un'a-nima cristallina complessa e brillante. Ognuna è in sé unica, il pro-dotto di migliaia di "scelte" fortuite operanti su di un solo ogget-to — e tuttavia in un certo senso son tutti uguali: variazioni su uno stesso e oggettivo tema di base in natura. Ogni geode è una differente versione del geode. Sono portato a credere che se vi fossero state migliaia di versioni di Delitto e castigo, esse avrebbero posseduto la diversità del geo-de. E così è per le traduzioni, che in un certo senso sono altrettan-te varianti di Delitto e castigo, diversificate in mille maniere, pur rimanendo le stesse a livello profondo. La diversità però non è co-sì grande come vorrei. D'altro lato, traduzioni tra loro autonome di un libro pieno di giochi di parole e stravaganze strutturali e lin-guistiche, come ad esempio La disparition di Georges Perec (un romanzo senza "e"!) , risulterebbero senza dubbio enormemente diverse tra loro, in quanto ogni traduttore dovrebbe lavorare molto a scoprire nuove soluzioni. Sarebbe bello vedere un'unica essen-za, come quella de La disparition, incarnarsi in molti corpi diver-si. Il romanzo vero è questa essenza centrale, trasponibile e indi-pendente dalla lingua — la sua "anima", se si vuole. Per questo ho tanto insistito che un romanzo non è affatto una sequenza di parole.

G e b : Lo scheletro concettuale è forse 1"'anima" o l'essen-za centrale di un ambigramma?

H o f : Sì e no. Certamente non lo scheletro concettuale ori-ginale. È piuttosto ciò che lo scheletro concettuale finale diviene, una volta sottoposto all'intero processo creativo, ossia lo schele-tro concettuale finale. Questo incorpora in sé molte modifiche e dettagli, benché non spinti fino ai particolari minuti di ciascun trat-to. L'anima dell'ambigramma — lo scheletro concettuale finale — è, per così dire, a "mezza strada" tra l'oggetto finito sulla car-ta e il barlume originale nella mente. Spero che non suoni troppo mistico!

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Slittabilità e rivelazione G e b : Non troppo. Solo platonico. Ebbene, abbiamo par-lato a lungo, e credo sia tempo di concludere. So che questa è una domanda complessa, ma puoi riassumere i tuoi punti di vista sulla creatività?

H o f : Non potrei, ma farò un tentativo. Alcuni, fin da bam-bini, si sentono spinti da certi modi specifici di percepire e reagire alle cose. Crescendo, inseguono con avidità le loro visioni, raffi-nandole e perfezionandole negli anni. Di tanto in tanto s'imbatto-no in essenze come gemme, che, portate a lucido, tentano di mo-strare alla gente. A volte, svariate gemme vengono fuse insieme per formare un prodotto rifinito. Un elemento indispensabile è la capacità di "afferrare il momento" — cioè, di prendere a volo le opportunità che si presentano e incorporarle senz'altro nel com-plesso. Anche qui la percezione costituisce l'elemento critico.

G e b : Non hai menzionato la cosiddetta "slittabilità creativa"!

H o f : Ah, sì. La slittabilità creativa si verifica quando ci s'im-batta in un ostacolo che non è possibile aggirare. Questa consape-volezza ci costringe allora a cercare modi radicalmente nuovi di percepire la situazione. La temperatura si alza, per così dire: si as-sumono rischi, si prendono in esame piste strane ma promettenti, e si scoprono nuove gemme. Quindi si tratta ancora di percepire, di osservare. Per inciso, esiste una parola che si pone proprio a metà strada tra "creazione" e "osservazione". Penso che essa possegga l'esatta combinazione dei sapori. È "rivelazione". Vi è il senso di un evento eccitante, che pur non emerge dal nulla (tale emergenza dal nulla è un ' " au ra " che circonda invece parole come "creazione" e "in-venzione"). Rivelazioni sono i buoni ambigrammi, così come lo sono le buone melodie. Alcuni sono dotati nel "trovare" melo-die, altri nel trovare ambigrammi. Anche se un ambigramma ap-

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pare ovvio dopo che è stato fatto, non per questo si dovrebbe con-cludere che non ha richiesto alcuna maestrìa per esser visto la pri-ma volta! Anzi, si richiede una maestrìa astratta di percepire, che può essere chiamata "creazione", "invenzione", "bravura", "vi-sione" o, forse meglio ancora, "rivelazione".

Le ambimelodie G e b : Hai paragonato melodie e ambigrammi. C'è una qual-che possibilità per l'ambigrammatica di essere trasposta in musica?

H o f : Penso di sì — ma spero ti accorgerai che se esiste una specie di ambigramma musicale — una "ambimelodia", per così dire — non hai da pretendere alcun credito per averlo suggerito, perché il concetto era " l ì " da sempre, in attesa di essere scoperto. D'altro canto, quanto più l'accoppiamento tra ambigrammi e me-lodie riuscirà forzato e goffo, tanto più lo potrai considerare una tua invenzione.

G e b : Toccato! Ma cosa mai potrebbe essere un'ambi-melodia?

H o f : Modellando direttamente il concetto sugli ambigram-mi, sarebbe una melodia che suonata in due maniere diverse — per esempio una volta da capo alla fine, e l'altra a rovescio — da-rebbe come risultato i motivi di due canzoni familiari. Potrebbe essere lo stesso motivo in due direzioni diverse (un"'omomelodia"), oppure due motivi diversi (un'"eteromelodia"). Prendiamo ad esempio due canzoni natalizie ("Tu scendi dalle stelle" e "Bianco Natale"), le scriviamo una in un senso e l'altra in quello contra-rio; distorciamo poi le due melodie per avvicinarle tra loro, fino a produrre un 'unica nuova melodia tale che, se suonata in un ver-so, sia riconoscibile chiaramente, anche se alterata, come la pri-ma canzone; e suonata al contrario, come la seconda, parimenti deformata. Si tenga presente che la distorsione melodica è ben co-nosciuta nella nostra cultura: tutto il jazz ne è testimone!

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Non ho mai tentato di comporre (o dovrei dire "scoprire") un'am-bimelodia, né ho mai udito di altri; perciò non so come suonereb-be, né a quali difficoltà andremmo incontro. Ma è un'idea che mi affascina. Se riesci a comporne una, dimmelo.

Vili . LETTERA E SPIRITO

La creatività modellata in micromondi G e b : Senz'altro. Adesso un'ultima domanda. Per gran parte della nostra conversazione hai parlato a proposito di meccanismi della creatività. Abbiamo discusso la creazione di ambigrammi, analogie, romanzi, e così via. Sembra che tu abbia un'idea molto sicura della creatività; la intendi come "meccanica" in qualche mo-do, anche se non nel senso usuale della parola. Mi è sembrato poi che durante tutta la discussione tu andassi delineando una specie di "teoria della creatività", anche se espressa con l'uso continuo di metafore, nei termini di un linguaggio intuitivo, quotidiano. Che cosa debbo pensare? È solo una esercitazione retorica, oppure stai proponendo a chi sa leggere tra le righe un intero programma di ricerca? H o f : La seconda cosa, senza dubbio. Mi rendo conto che si possono benissimo leggere le mie risposte e dire: "Bah! è solo un mucchio di fandonie riguardo a certi giochi poco seri con le lettere dell 'alfabeto". Penso però che ciò sarebbe uno sbaglio to-tale. In effetti lo scopo del mio linguaggio figurato è quello di de-scrivere e di stimolare vari progetti di ricerca, condotti da me in-sieme ai miei collaboratori e studenti, per l'elaborazione sul cal-colatore di modelli di creatività. Benché nessuno di questi proget-ti abbia l'ambizione di costruire un "ambigrammista artificiale", tutti quanti sono implicati nella comprensione del modo in cui molte pressioni mentali interagenti possano avere come risultato una qual-che proprietà estetica. Due sono le ragioni principali che mi hanno portato alla scelta del-l'insolito contesto degli ambigrammi per esprimere queste idee. La

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prima è semplice: ho dedicato molto del mio tempo e della mia energia a fare ambigrammi e a pensare a ciò che accade dentro di me mentre li sto facendo. Sono della convinzione che questa esperienza fatta in prima persona sia inestimabile. La seconda è la curiosa posizione che gli ambigrammi sembrano assumere tra i due poli convenzionali della scoperta e della invenzione. Ne deri-va che la creazione ambigrammatica si lascia osservare e descrive-re più agevolmente di quella di altre forme d'arte, come la com-posizione musicale. Credo che i meccanismi siano in fondo gli stessi, sia per quanto riguarda gli ambigrammi che nei tipi più "sofisti-cati" di creazione, anche se in questi ultimi vi sono più pressioni da controllare e interazioni complesse che rendono il processo più oscuro. Dobbiamo iniziare con modestia per tentare di capire un fenomeno così complicato come la creatività — è per questo che penso agli ambigrammi come una buona base di partenza!

Mini-analogie alfabetiche e grafiche In effetti gli inizi della mia ricerca sono stati ancor più modesti. Mi sono applicato allo studio dell'analogia (non sarà una sorpre-sa!) in due campi, cercando di rendere il calcolatore capace di al-cune sottigliezze. Il primo progetto, dal nome Copycat ("copio-ne", oppure "Fai quel che ho fatto io"), si svolge in un campo non visuale: si tratta di stringhe di lettere sottoposte a piccoli cam-biamenti. Caratteristica di ciò che vi si studia è questa piccola fa-miglia di problemi:

1. Se abc cambia in abd, come dovrà cambiare pqrsl 2. Se abc cambia in abd, come dovrà cambiare ppqqrrssl 3. Se abc cambia in abd, come dovrà cambiare srqpl 4. Se abc cambia in abd, come dovrà cambiare wxyzì

Qui, come negli ambigrammi, due "oggetti" dissimili dovranno essere applicati l 'uno sull'altro. Nel primo caso si applica abc su pqrs. Nonostante che l'allineamento di parti non sia né automati-co né esatto, la risposta spontanea di molti è pqrt, e non appare forzata. Gli altri tre esempi comportano pressioni più sottili e un maggior numero di interazioni tra le pressioni. Attenzione: cer-

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cando le soluzioni, si vorrà forse far appello allo slittamento crea-tivo! Lascio ai lettori le risposte come rompicapo. Nel frattempo, spero ti renderai conto come, risolvendo questi problemi, si met-tano in moto molti degli stessi meccanismi che vi sono nella crea-zione di ambigrammi. Si pensi in particolare alle diverse opera-zioni di simmetria e come tra esse un ambigrammista scelga sem-pre la più adatta, senza idee preconcette. Il secondo campo della mia ricerca sull'analogia è invece centrato sulla visualità; ha a che fare infatti con le forme letterali — anche se non vi si trova altrettanta libertà come negli ambigrammi, con tutti i loro svolazzi, raggruppamenti, varianti nominali, simme-trie multiple, ecc. Il problema è di scoprire come faccia uno stile visuale a saltare da una lettera all'altra per creare un alfabeto uni-forme, cioè un carattere tipografico semplificato. Per rendere il problema più abbordabile, ho creato una griglia (Fig. 5la), sulla quale le lettere possono essere realizzate nel mo-do più semplice — tutte minuscole, fatte di segmenti lineari oriz-zontali, verticali, o a 45 gradi, e di lunghezza fissa. Perciò le deci-sioni sono tutte discrete invece che continue. Significa che non si possono prendere decisioni minute; ogni decisione è significante. Sulla griglia, uno o due cambiamenti minimi in una data figura possono avere un'influenza enorme sulla sua appartenenza cate-goriale, trasformandola rapidamente da una lettera (o stile) in un'al-tra, in modo netto. La Fig. 51b mostra con quanta facilità una piccola operazione chirurgica può convertire una " z " in una " a " o una " e " . Altri cambiamenti possono essere più ambigui e pro-durre strane forme inaspettate che si arrischiano sulle frange cate-goriali, oppure altre, più sfacciate, che amoreggiano contempora-neamente con diverse categorie. Così la grana grossa di questo cam-po visivo permette lo studio dell'appartenenza a categorie astrat-te, portando alla luce i problemi concettuali molto più chiaramente e nettamente di quanto sarebbe possibile in campi visuali più com-plessi (cioè a grana più fine). Questo campo ha in comune a quello dell'ambigrammatica un aspetto particolarmente affascinante: due forze fondamentali agi-scono l'una contro l'altra per ogni lettera dell'alfabeto. Nell'am-

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/2I AV/A}/2\

d : d : : b : ? 51

51a. Una griglia sulla quale si possono esplorare le categorie letterali e gli stili visivi

51 b. Il pericolo del salto troppo facile tra categorie: con la mera aggiunta di un trattino qua o là, una " z " si trasfor-ma in " a " o " e "

5le. Una sfida analogica: data questa " d " che contiene un taglio, quale sa-rebbe la migliore " b " nello stesso stile?

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52

52. Gli inizi di sette "grigliabeti"; si pro-pone al lettore di estendere ogni gri-gliabeto fino a " z " , mantenendo lo stile delle prime sette lettere

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bigrammatica, le forze opposte sono associate alle due letture, cia-scuna delle quali vuol raggiungere la massima chiarezza ed eleganza (di solito a spese dell'altra lettura). Qui invece le forze hanno un'o-rigine diversa. Una vuole che ciascuna figura sia un membro forte della propria categoria, tanto che non vi sia alcun dubbio su di essa. L'altra vuole che ogni figura sia una portatrice forte dello stile visuale particolare, in modo che non si possa dubitare con quali altre figure debba essere associata. La prima forza tende a spingere ogni figura centripetamente, cioè verso il centro della ca-tegoria voluta, affinché la sua identità — la lettera che rappresen-ta — risulti evidente al massimo; la seconda tende a spingere la stessa figura centrifugamente, cioè, sfuggendo dal centro della ca-tegoria voluta, affinché il suo stile — lo spirito — risulti evidente al massimo. La tensione tra lettera e spirito dà :.c.rr¿e al progetto: "Letter Spirit". Risoluzioni gradevoli di tensioni tra lettera e spi-rito richiedono intuizione astratta e pensiero analogico fluido: per-ciò questo campo è allo stesso tempo un luogo affascinante e si-gnificativo per lo studio dell'analogia, dell'estetica, e della crea-tività.

Sempre aspettare l ' inaspet tato! Come sfida semplice ma esemplare, pensa a come potresti far sal-tare lo spirito della lettera " d " nella Fig. 51c alla lettera " b " . Pur-troppo, la risposta ovvia dà come risultato una forma la cui ap-partenenza categoriale è incerta; di conseguenza è giocoforza ri-correre alla slittabilità creativa. Per dare un'idea di quante sor-prese si nascondono in questa piccola griglia, ho mostrato, nella Fig. 52, le prime sette lettere relative ad altrettanti "grigliabeti", lasciando le rimanenti come esercizio. Sia le fasi della creazione tracciate più sopra che la metafora di miriadi di "ricognitori" coinvolti nella percezione sono ingredienti essenziali, benché in forma semplificata, in questi due progetti. Oc-correrà molto tempo perché diano dei frutti, e mi aspetto che nel corso del lavoro sorgano nuove idee inaspettate come elementi chia-ve del nostro sistema.

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G e b : Ti aspetti l'inaspettato?

H o f : Oh, sì. Dopotutto, anche nella ricerca, non meno che nella creazione artistica, si deve cominciare dallo scheletro con-cettuale e poi darsi da fare per dargli corpo e per rifinirlo. Nel corso di questo processo ci si deve aspettare di imbattersi in ogni sorta di sorprese, incluse, va da sé, molte correzioni da portare allo sche-letro concettuale stesso. Il progetto Letter Spirit ebbe origine qualche anno addietro in una discussione avuta con Scott Kim sulla possibilità di far fare ambi-grammi al calcolatore. Non so se intraprenderò mai io stesso la realizzazione di questo progetto, ma fare ambigrammi e riflettere su di essi ha fornito incentivi al Letter Spirit, e inoltre gli ambi-grammi hanno procurato una ricchezza inestimabile di vedute sulle forme letterali. Sono motivi che mi fanno pensare agli ambigram-mi come a un microcosmo ideale per lo studio della creatività.

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A m b i g r a m m i

LE VENTI REGIONI D'ITALIA

1 Sardegna 2 Sicilia 3 Calabria

riflesisone muro riflessione muro riflessione muro

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4 Campania 5 Puglia 6 Basilicata

riflessione muro riflessione muro mezzogiro

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7 Molise 8 Marche 9 Umbria

mezzogiro mezzogiro mezzogiro

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10 Toscana 11 Lazio 12 Emilia Romagna

mezzogiro mezzogiro mezzogiro

206

13 Veneto 14 Lombardia 15 Piemonte

mezzogiro mezzogiro mezzogiro

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16 Liguria 17 Valle d 'Aosta 18 Abruzzi

mezzogiro mezzogiro quarto-di-giro antiorario

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19 Friuli-Venezia-Giulia 20 Trentino-Alto Adige

quarto-di-giro antiorario riflessione lago

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T l / J Q v T C Í A I

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B ü ö ^ O o a m 0

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Ambigrammi

CITTÀ ITALIANE

1 Agrigento mezzogiro 213 2 Amalfi riflessione muro 3 Ancona riflessione muro 4 Aosta mezzogiro 214 5 Aquileia riflessione muro 6 Assisi mezzogiro 7 Bari mezzogiro 215 8 Belluno giravolta antioraria 9 Bergamo quarto-di-giro antiorario

10 Bologna mezzogiro 216 11 Bolzano giravolta antiorario 12 Brindisi mezzogiro 13 Cagliari mezzogiro 217 14 Campobasso mezzogiro 15 Catania riflessione muro 16 Catanzaro mezzogiro 218 17 Cefalù riflessione muro 18 Civitavecchia mezzogiro 19 Como riflessione muro 219 20 Cremona riflessione muro 21 Domodossola riflessione muro 22 Ercolano riflessione muro 220 23 Erice mezzogiro 24 Ferrara riflessione muro 25 Fiesole mezzogiro 221 26 Firenze mezzogiro 27 Genova mezzogiro 28 Grosseto mezzogiro 222 29 Gubbio mezzogiro 30 Livorno mezzogiro

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31 Mantova mezzogiro 223 32 Messina mezzogiro 33 Milano mezzogiro 34 Napoli mezzogiro 224 35 Nuoro mezzogiro 36 Opicina riflessione muro 37 Orgosolo mezzogiro 225 38 Orvieto mezzogiro 39 Padova mezzogiro 40 Palermo mezzogiro 226 41 Parma riflessione muro 42 Pavia mezzogiro 43 Pescara riflessione muro 227 44 Pisa riflessione muro 45 Pistoia riflessione muro 46 Poggibonsi riflessione muro 228 47 Pompei mezzogiro 48 Por tof ino mezzogiro 49 Positano mezzogiro 229 50 Potenza riflessione muro 51 Ragusa riflessione muro 52 Ravello mezzogiro 230 53 Ravenna mezzogiro 54 Rimini mezzogiro 55 Roma riflessione muro 231 56 San Gimignano riflessione muro 57 Siena quarto-di-giro antiorario 58 Siracusa riflessione muro 232 59 Taormina mezzogiro 60 Taranto mezzogiro 61 Todi mezzogiro 233 62 Torino riflessione muro 63 Trapani mezzogiro 64 Trento mezzogiro 234 65 Treviso mezzogiro 66 Trieste riflessione muro 67 Udine riflessione muro 235 68 Urbino mezzogiro 69 Venezia mezzogiro 70 Ventimiglia mezzogiro 236 71 Verona mezzogiro 72 Vicenza mezzogiro 73 Viterbo mezzogiro 237 74 Volterra mezzogiro

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Ambigrammi

PERSONE

1 Francesco/Assisi 2 Benedetto Scimemi

quarto-di-giro antiorario riflessione muro

241 3 Pino Longo 4 Paolo Bozzi

mezzogiro mezzogiro

242 5 Mauro/Cerut i 6 Adelina von Fiirstenberg

mezzogiro mezzogiro

243 7 Ilaria Guidi 8 Maria Gloria Bicocchi

mezzogiro riflessione lago

244 9 Ettore

10 Claudio 11 Enrico

mezzogiro mezzogiro mezzogiro

245

12 François 13 Ruth 14 Laurie

mezzogiro mezzogiro mezzogiro

246

15 Scott Kim 16 Scott/Kim

riflessione muro quarto-di-giro antiorario

247 17 Julia/Sara 18 Ernest/Edith 19 Deborah/Jonathan

riflessione lago riflessione lago riflessione lago

248

20 Peter and Dorothy Denning 21 Francisco & Isabel Claro 22 Isabel Claro

riflessione lago riflessione lago riflessione muro

249

23 Salvador Dall' 24 Gonzalo Pastor

riflessione muro riflessione muro

250 25 Frank/Gray 26 Robert/Brenda 27 Roy et Alice

riflessione muro riflessione muro riflessione muro

251

28 Dick Higgins and Margaret Graff riflessione muro 252

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29 Bob/Wolf 30 Ursula/Kees

quarto-di-giro antiorario quarto-di-giro orario

31 Adrian Frutiger mezzogiro 254 32 Hermann Zap i mezzogiro 33 Melanie Mitchell mezzogiro 34 Dorothy/Ashleigh mezzogiro 255 35 Pe t e r I v e r s o n / K a a r e n mezzogiro

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Ambigrammi

MUSICISTI

1 Mozart Quartet Eleanor Feingold, viola Bob Barsky, violin Alan Sherman, piano Cynthia Forbes, 'cello

2 Joh Bach Seb 3 Joh. Seb. Bach 4 Chopin 5 I Solisti Veneti 6 Herbert von Karajan 7 Tom Lehrer

oscillazione mezzogiro mezzogiro mezzogiro mezzogiro mezzogiro mezzogiro quarto-di-giro antiorario mezzogiro riflessione muro riflessione muro

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261

262 263

8 Sidney/Bechet quarto-di-giro orario 264

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Ambigrammi

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1 U S A / C C C P 2 Banff 3 Atlanta 4 Corriera della Sera 5 Hopeful Monster

quarto-di-giro orario giravolta antioraria riflessione muro riflessione lago riflessione lago

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Bibliografia

R. ARNHEIM, Toward a Psychology of Art, Berkeley, California, University of California Press, 1966; (trad. it., Verso una psicologia dell'arte, Torino, Ei-naudi, 1978). Un'importante raccolta di saggi sulla percezione e l'astrazione di uno dei più autorevoli psicologi dell'arte di tradizione gestaltica. R. ARNHEIM, Visual Thinking, Berkeley, California, University of California Press, 1969; (trad. it., Il pensiero visivo, Torino, Einaudi). Altra bellissima rac-colta di penetranti saggi sull'arte, la percezione e l'astrazione. H. BERGERSON, Palindromes and Anagrams, New York, Dover, 1973. Una piacevole raccolta di giochi di parole inglesi, che dimostra come le regole di sim-metria possano aumentare la creatività, e qualche volta in maniera stupefacente. M. BONGARD, Pattern Recognition, Rochelle Park, New Jersey, Hayden Book Company (Spartan Books), 1970. Lavoro pioneristico di uno scienziato russo sulla percezione al calcolatore. Per me ricopre particolare interesse l'Appendice 3 che contiene 100 problemi sul riconoscimento di pattern visivi e combina tra loro fenomeni visivi astratti e concreti in modo provocante. B. ERNST, The Magic Mirrorof M.C. Escher, New York, Random House, 1976. L'opera di Escher è uno dei più classici esempi di gioco con l'ambiguità e l'inver-sione. Questo libro è la disamina più esauriente delle idee che stanno dietro il gioco di Escher. J. FRISBY, Seeing: Illusion, Brain, and Mind, Oxford, England, Oxford Uni-versity Press, 1980. Un'eccellente descrizione generale su quanto sappiamo su occhio e cervello che operano insieme a decifrare l'universo visibile. Vi sono ri-portate molte idee recenti tratte dalla psicologia e dalla neurologia e vi si discu-tono anche opere sulla visione computerizzata. S. FUKUDA, Catalogue of the Works of Shigeo Fukuda, Tokio, Kodansha, 1979. Probabilmente il grafico e scultore giapponese più innovatore. Fukuda ha crea-to alcuni dei più stupefacenti doppisensi visuali mai concepiti. Il suo lavoro deve essere visto per essere creduto. Kim Scott, che è cresciuto nell'incanto dei libri di Fukuda, lo chiama "il Bruno Munari giapponese" (vedi sotto, Munari). M. GARDNER, The Ambidextrous Universe: Mirror Asymmetry and Time-Reversed Worlds, New York, Scribners, 1979; (trad. it., Universo ambidestro, Bologna, Zanichelli, 1984). Classico sulla simmetria e asimmetria nello spazio e nel tempo, pieno di stupefacenti fatti e aneddoti poco conosciuti. E.B. GEBSTADTER, Ambifoni: un minimondo ottimo per lo studio della sco-pertività, Kyoto, Hopeless Mobster, 1987. Un guazzabuglio insolito, turgido e confuso, eppure stranamente simile a quest'opera. Tratta dell'ambifonia: l'arte

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di far suoni che possiedono svariate interpretazioni in quanto parole parlate (per riconoscerle bene, bisognerà a volte mettersi a gambe all'aria o di fronte alla pro-pria schiena). Contiene un dialogo esteso tra l'autore e un interlocutore eloquen-te ma sfortunatamente fittizio. Tramite questo alter ego ipotetico, l'autore crea alcuni esempi graziosissimi di auto-allusione indiretta; uno in particolare si tro-va nella sua ricca bibliografia analitica. Graphic Art Materials Reference Manual, Paramus, New Jersey, Letraset USA, Inc., 1985. Forse il miglior catalogo di caratteri moderni, inclusi molti arditi esempi di caratteri pubblicitari e molti esempi prudenti di caratteri di testo. R.L. GREGORY, The Intelligent Eye, New York, McGraw Hill, 1970; (trad. it., Occhio e cervello, Milano, Il Saggiatore, 1979). Uno psicologo della perce-zione di fama mondiale scrive un libro pieno di spirito e humor sui misteri della percezione visiva. R.L. GREGORY, E.H. GOMBRICH, Illusion in Nature and Art, New York, Scribners, 1973. Importante lavoro pieno di trompe l'oeil, alcuni creati ed altri che accadono in natura. T. HACHTMAN, Doublé Takes, New York, Crown Publishers (Harmony Books), 1984. Un nuovo genere di ambiguità visiva: caricature doppie in cui un'im-magine richiama alla mente due persone diverse. Il titolo di ogni immagine dop-pia è una combinazione astuta dei nomi dei due individui co-caricaturati. Per esempio "Dali Parton", un accoppiamento sorprendente fra la cantante Dolly Parton e l'artista Salvador Dall'. D.R. HOFSTADTER, "56 New Bongard Problems", FARG Document, Psy-chology Department, University of Michigan, Ann Arbor, Michigan, 1980. Un seguito all'Appendice 3 di Bongard (vedi sopra), in cui i temi visivi astratti gio-cano un ruolo più importante che nella raccolta di Bongard. D.R. HOFSTADTER, "The Copycat Project: an Experiment in Nondetermi-nism and Crative Analogies", Cambridge, Massachusetts, MIT Artificial Intel-ligence Laboratory Memo n. 755, aprile 1984. Esposizione di un programma per calcolatore per creare sottili e penetranti analogie. Si tratta di una prima descri-zione del programma Copycat, valida ancora oggi. D.R. HOFSTADTER, "Les ambigrammes: ambiguité, perception, et balance esthétique", in Création et créativité, Albeuve, Svizzera: Castella, 1986. Confe-renza a Ginevra su ambigrammi e creatività, in cui sono presenti molti dei temi qui discussi, ma in maniera diversa e con esempi differenti. D.R. HOFSTADTER, Metamagical Themas, New York, Basic Books, 1985. Di-versi capitoli di questo libro sono dedicati alla creatività e alle analogie, e uno alle forme letterali. Particolare interesse rivestono il Cap. 12 ("Variations on a Theme as the Crux of Creativity »), il Cap. 13 (« Metafont, Metamathematics, and Metaphysics ») e il Cap. 24 (« Analogies and Roles in Human and Machine Thinking »). D.R. HOFSTADTER, "L'architettura del Jumbo", in La sfida della complessi-tà, a cura di G. Bocchi e M. Ceruti, Milano, Feltrinelli, 1986. Un articolo in ita-liano su un precursore del programma Copycat. Jumbo è un programma che crea anagrammi (e non ambigrammi) da un insieme di lettere, ^ imitazione del mec-canismo umano della creazione, raggruppando lettere e disperdendole, piuttosto che usare meccanismi di forza bruta ricorrendo a calcolatori sempre più grandi e veloci, ma che niente hanno a che fare con la mente umana.

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D.R. HOFSTADTER, M. MITCHELL, R. FRENCH, "Fluid Concepts and Creative Analogies: A Theory and Its Computer Implementation", FARG Do-cument, Psychology Department, University of Michigan, Ann Arbor, Michi-gan, 1987. Un articolo più recente e più corto del MIT Copycat Memo (vedi so-pra), che descrive come Copycat progredisca. W.P. JASPERT, W.T. BERRY, A.F. JOHNSON, The Encyclopaedia of Type Faces, Poole, Dorset, England, Blandford Press, 1983. Un'eccellente collezione di caratteri a stampa di varie epoche e luoghi. P.E. KENNEDY, Modem Display Alphabets, New York, Dover, 1974. Eccel-lente raccolta che include molti e affascinanti alfabeti; alcuni giocano con le ca-tegorie a un livello abbastanza profondo. S.E. KIM, Inversions: a Catalogue of Calligraphic Cartwheels, Peterborough, New Hampshire, Byte Books, 1981. È la bibbia dell'ambigrammista: un'impres-sionante raccolta dei migliori ambigrammi di Scott Kim, che mette in mostra le molte sfaccettature del gioco letterale di questo artista unico; contiene anche un saggio notevole di Scott Kimself sull'ambigrammatica, la simmetria, la lettura e altri argomenti. A. KOESTLER, The Act of Creation, New York, Macmillan, 1964. Un famoso romanziere e speculatore sui problemi della scienza, offre idee provocatorie su come le collisioni in uno spazio mentale promuovono la creatività. Y. KUWAYAMA, Trade Marks and Symbols (Volume 1: Alphabetical Designs), New York, Van Nostrand Reinhold, 1973. Sorprendente raccolta di forme lette-rali portate ai limiti delle loro categorie in modo da attirare l'attenzione di spet-tatori casuali. M. MINSKY, The Society of Mind, New York, Simon and Shuster, 1987. Un accostamento inusuale al modo di operare della mente umana, che suggerisce l'idea di agenti molteplici (come i "ricognitori" che io descrivo in questo libro) che lavorano congiuntamente in modo da creare una totalità coerente, l'illusio-ne di un singolo sé unitario. Minsky è un precursore famoso per quanto riguarda i modelli della mente per il calcolatore, e questo libro ben rappresenta lo spirito e la preveggenza della sua opera: B. MUNARI, Fantasia, Bari, Laterza, 1977. Un designer e uno scrittore fra i più creativi in Italia esplora in questo libro forme geometriche, forme letterali, puzzles, ed altri divertimenti mentali. Scott Kim, che è cresciuto nell'incanto dei libri di Munari, lo chiama "lo Shigeo Fukuda italiano" (vedi sopra, Fukuda). Parallel Distributed Processing, a cura di J. McClelland, D. Rumelhart, Cam-bridge, Massachusetts, Bradford/MIT Press, 1986. Antologia recentissima con-tenente molti articoli che descrivono alcuni recenti progressi verso la modellizza-zione della mente. Gran parte di quest'opera riveste grande importanza per quanto riguarda la percezione delle lettere e altre categorie visive. D.N. PERKINS, The Mind's Best Work: a New Psychology of Creative Thin-king, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 1981. La creatività studiata da uno psicologo che ne indaga i meccanismi e i tipi di ambiente in cui avviene la sua crescita. I. ROCK, Perception, Cambridge, Massachusetts, MIT Press, 1984. Eccellente trattato sulla percezione con molte belle illustrazioni.

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D.X. SOLO, Special Effects and Topical Alphabets e Sans Serif Display Alpha-bets, New York, Dover, 1978 e 1979. Sono di Dan Solo molti libri della Dover che mostrano strani e meravigliosi alfabeti in stili molteplici. Questi due sono tra i migliori. D. SUTER, Suterisms, New York, 1986. Raccolta di ingegnose vignette a carat-tere politico, tratte in gran parte dal New York Times, e basate su forme visive a doppia interpretazione. Upper and Lower Case, International Typeface Corporation, Dag Hammarskjòld Plaza, New York. Rivista trimestrale consacrata ad usi innovativi di lettere e nuovi alfabeti. È piena di giochi stimolanti e di sfide, ma anche di forme bizzarre. Gli annunci stessi sono interessanti e informativi. G. VERBEEK, The Incredible Upside-Downs of Gustave Verbeek, New York,

'Nostalgia Press, 1976. Ristampa di un fumetto stampato su un giornale di New York all'inizio del secolo. Ogni fumetto racconta una storia a metà che si com-pleta quando lo si gira di 180°. R. WHISTLER, L. WHISTLER, AHA, Boston, Houghton Mifflin, 1978. Una serie di disegni di facce che, girate sottosopra, diventano altre facce. E. WINNER, Invented Worlds: the Psychology of the Arts, Cambridge, Massa-chusetts, Harvard University Press, 1982. Ricerca psicologica sulla creatività in diverse discipline: musica, arte, letteratura, e così via.

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Ambigrazie

Vorrei ringraziare mia moglie Carol, mia sorella Laura, i miei ge-nitori Nancy e Robert Hofstadter, i miei amici Scott Kim, Greg Huber, Roy Leban, David Moser, Paul Kolers, Adelina von Fiir-stenberg, Fulvio Salvadori, Maria Gloria e Giancarlo Bicocchi, e Ilaria Guidi, per l'interesse, le critiche, le idee, e l'aiuto che hanno portato alla realizzazione di questo libro.