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dicembre 2014 Periodico dell'Associazione Latinoamericana Volver Associazione Latinoamericana Volver via Tosio 14 25100 Brescia - Tel/Fax 030.3582118 - www.associazionevolver.it [email protected] olver 16 olver

dicembre 2014 Periodico dell'Associazione Latinoamericana Volver · 2014. 12. 13. · dicembre 2014 Periodico dell'Associazione Latinoamericana Volver Associazione Latinoamericana

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dicembre 2014Periodico dell'Associazione Latinoamericana Volver

Associazione Latinoamericana Volvervia Tosio 14 25100 Brescia - Tel/Fax 030.3582118 - www.associazionevolver.it [email protected]

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auguri

2 15

progetti

Un anno positivo!Vogliamo iniziare così il racconto di quest’anno che arriva al termine: POSI-TIVO.Per quanto l’associazione ha potuto fare: grazie, ancora una volta, all’aiuto dei suoi volontari, che si sono impe-gnati per realizzare ogni progetto. Soprattutto grazie per l’impegno nella

“Fiesta Argentina”, fonte principale se non uni- ca dei fondi destinati agli interventi sociali, che ogni anno purtroppo aumen-tano perché aumentano le famiglie in difficoltà e i disagi. La coperta della so-lidarietà diventa purtroppo corta. Corta ma calda.I nostri progetti principali:

“Raddoppia la Solidarietà”, rivolta ai servizi Sociali dei diversi Comuni sta ottenendo una grande partecipazione. I Buoni Spesa per le famiglie segnalate dai Servizi Sociali di ogni Comune saranno forse una goccia in un mare di necessità ma servono a far sentire meno soli e abbandonati, che è la peggior cosa che una famiglia possa sentire nel momento di difficoltà.Durante il 2014 diverse famiglie italo argentine sono rientrate in Argentina: abbiamo dato loro una mano per il rien-tro sia a livello burocratico che logistico chiedendo aiuto anche ai loro Comuni di residenza. Qualcuna di queste famiglie ci ha contat-tato direttamente mentre altre ci sono

state segnalate dal Consolato Argentino di Milano.Insieme al Console Onorario della Bolivia, Dott. Giuseppe Crippa abbi-amo assistito una famiglia con disagi oltre alle tante persone e famiglie che ci hanno interpellato per i più svariati motivi.Continua il nostro sostegno alla Casa di Accoglienza per Bambini di Strada a Buenos Aires in Argentina.Collaboriamo con diversi centri di rac-colta per dare in forma gratuita a chi ne ha bisogno: mobili, abiti, carrozzine per bambini, computer, stampanti e quanto altro possiamo raccogliere. Crediamo in quanto facciamo e fac-ciamo quanto possiamo per rendere armoniosa la permanenza in Italia di chi ha dovuto lasciare per diversi motivi la sua terra.Con l’augurio di poter continuare questa, che noi sentiamo come una mis-sione, e di poterlo fare in modo ancora più capillare, auguriamo a tutti Felici Feste e un 2015 che ci porti una spe-ranza, una promessa in più per rendere questa nostra società più giusta e meno egoista.

FELICIDADES PARA TODOS DE CORAZON.

L’Associazione Volver

2

EditorialeIl Pepe se ne va - p3

CulturaCronaca di una magica serata al San Carlino di Brescia - p5

AttualitàStoria di un’immigrazione - p7Brasile: rielezione di Dilma - p10Parte un amico - p11Desaparecidos italiani in sudamerica. Processi a Roma - p12Chi è il torturatore uruguayano Nestor Troccoli? - p12

ProgettiUn anno positivo - p2Volver e il Comune di Brescia: un progetto importante - p 4

RiflessioniPapa Francesco alla conferenza internazionale FAO - p4Perché all’Italia conviene rimanere nella UE - p8Cosa sono i fondi BUITRES - p9

Indice

Direz. Edit.: Ass. VOLVERDir. Resp.: Abramo Scalmana

Typo: Grafica Sette - Bagnolo Mella Visual: [email protected]

via Tosio, 14 - 25100 Bresciatel. 0303582118 - [email protected]

olver

Via B. Castelli, 3825020 Flero (Brescia)Tel. / Fax. 030 3582118

www.disinfestazionebrescia.it

attualità editoriale

Il Pepe se ne va>>>

Ecco perché «George» era lì in prima fila, con la divisa blu della Marina e gli occhiali da sole. Forse è stato in quel momento che ha iniziato a progettare la sua seconda vita. Di certo, quando in Uruguay gli hanno ritirato il passaporto per impedirgli la fuga durante il proces-so, lui aveva già in tasca il passaporto italiano. «Una mattina mi chiama da una cabina telefonica - ricorda il cugino Orlando Troccoli - novembre del 2008. Mi dice: “Vengo a vivere al paese”. All’inizio, l’ho aiutato. Ma presto abbiamo litiga-to. Perché lui voleva riprendersi la med-aglia d’oro in onore del grande naviga-tore, che io aveva ritenuto giusto affi-dare al Comune». Sette anni di indagini. «Il torturatore» è stato anche in carcere al Regina Coeli. Ma quasi nessuno se ne è accorto. «Se ha dei guai, noi non li conosciamo» dicono al bar Bella Mari-na. L’avvocato Adolfo Domingo Scara-no ha dedicato moltissime energie a questa causa: «George è l’unico che ab-bia ammesso il contesto di quell’epoca - dice - l’hanno preso di mira. Mi pare un Cristo in croce. Era solo un giovane te-nente. Riferiva ai superiori». Oggi George il torturatore ha 66 anni. Ha presentato domanda per avere la pensione anche in Italia. Si è fatto rag-giungere dalla moglie Betina, commes-

sa in un boutique del porto. Infine, ha affittato una casetta in via Luigi Mazzeo, dove ha vissuto come un uomo qualunque. Eccoci qui, davanti alla sua porta: nessun nome sul citofono. «È un po’ che non lo vediamo», dice il vicino. Quando era in Uruguay, Trocco-li aveva scritto un libro intitolato «L’ira del Levietano», dedicato ai «compagni camerati». Ragionava sui massimi sistemi, stando alla larga da tutte quelle vite strappate via. Poi aveva detto: «Non parlerò mai più». A nessuno ha confidato il suo nuovo indirizzo. Alla fine, riusciamo a rintracciarlo. Vive a Battipaglia, 20 chilometri a sud di Salerno. Risponde al telefono con voce catacombale: «Dimenticatevi di me. Anzi, consideratemi morto».

Niccolò Zancan (La Stampa)

Persino da quelli che lo odiano, perché sanno che col suo esempio saranno costretti a fare i conti negli anni a venire. Chiunque sia mai andato a trovarlo è uscito con quella faccia un po’ così… che abbiamo tutti dopo aver conosciuto un essere umano irripetibile. Il Tupamaro imprigionato per tredici anni in una cella dalle dimensioni di una bara. Nove buchi di pallottole in corpo. I segni indelebili della tortura subita negli anni più neri di una repubblica tas-cabile, ora finalmente tornata a splen-dere, sulle sponde del fiume “grande come mare”. Quel piccoletto che, come racconta un suo compagno di prigionia, sfidava una notte un militare – famoso torturatore – a entrare da solo nella cella con lui, a misurarsi da “uomo a uomo”. Il contadino collerico e sgrammaticato, tenero e pragmatico, capace di intessere superbe utopie, che non sognò mai di trasformarsi in un nuovo dio, ma provò, giorno dopo giorno, a diventare un uomo migliore. “Sa… ho passato tanto di quel tempo da solo, in galera, a pensare…” - rispon- deva una volta a una domanda sul suo concetto di felicità. “Quegli anni di so- litudine furono probabilmente quelli che più mi hanno insegnato. Sono stato più di sette anni senza poter leggere un libro. Dovetti ripensare tutto quanto e imparare a galoppare verso le mie ori- gini, in fondo a me stesso, per non diventare pazzo. (…) Faceva freddo, se per caso mi but-tavano un materasso per poter cori-carmi, in quel momento ero felice. C’è gente che si riempie di cose pensando di poter in questo modo raggiungere la felicità. Compera, compera e continua a comperare. Io ho scoperto che la felicità è fatta di cose semplici, e che se non la portiamo dentro nulla ce la potrà mai procurare”. La biografia di Pepe Mujica coincide con la storia recente di un continente bistrattato. Quella del secolo delle grandi rivolu-

zioni, che spesso grandi non furono. Non perché non fossero validi i loro propositi, ma semplicemente perché alle volte erano, appunto, troppo vasti. Dalle quali nacquero - continuano a nascere - quelle piccole, più a portata d’uomo, destinate a germogliare alle volte in solitudine. La seconda rivoluzione del Pepe è cominciata sul suo cortile di casa, nel proprio esempio, nel personale modo di concepire l’esistenza, l’amicizia, il rap-porto con i propri simili , la compagna, la filosofia intorno a una povertà che povera non è, il senso della dignità in ogni essere vivente, l’ambiente che ci contiene e ci dà vita. Da essa sono nate leggi che da alcune latitudini vengono guardate con ammi-razione. Da altre con crescente inqui-etudine. “Un Don Chisciotte travestito da San-cho Panza”, lo definisce Daniel Vidart, suo amico, antropologo, scrittore, acca-demico. Un uomo felicemente comune che possiede, per fortuna, il meno comune dei sensi: il senso comune. Non è un saggio, afferma, è un uomo che vuole sapere. Il Pepe se ne va? Per favore, non fateci caso. Il Presidente continuerà a vivere là, dove ha sempre fatto, nella sua fattoria di Rincòn del Cerro, a Montevideo, Uruguay. 40 rag-azzi, tra quelli cosiddetti “disadattati” andranno a vivere con lui, a imparare i mestieri della terra. “I figli di nessuno”. Chissà che tra loro non ci sia il futuro presidente di un popolo che non smette mai di stupire. Io non mi stupirei.

Milton Fernàndez

14 3

Il Pepe se ne va. Dalla porta grande anche se, scom-metto, a lui sarebbe piaciuto uscire dal retro, in punta di piedi. Tra pochi giorni un ballottaggio ormai scontato passerà il volante nelle mani di un altro candi-dato della stessa coalizione, quel Frente Amplio che racchiude il mondo varie-gato della sinistra uruguaiana. Le leggi del paese non consentono due mandati consecutivi. E tra cinque anni, sarebbe troppo in là con l’età per ripren-dersi quel posto, ammesso che volesse farlo. Se ne va come vorrebbero farlo tutti i governanti della terra. A testa alta. Al massimo della sua popolarità. Ammi-rato dal mondo intero. Persino da quelli che un po’ se ne vergognano, perché capiscono che non potranno mai pro- mettere di somigliargli.

In basso:Jorge Néstor Fernandéz Troccoli

Fiesta Argentina”, fonte principale se non unica dei fondi destinati agli inter-venti sociali, che ogni anno purtroppo aumentano perché aumentano le famiglia in difficoltà e i disagi. La coperta della solidarietà diventa purtroppo corta. Corta ma calda.

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progetti

Un anno positivo!Vogliamo iniziare così il racconto di quest’anno che arriva al termine: POSI-TIVO.Per quanto l’associazione ha potuto fare: grazie, ancora una volta, all’aiuto dei suoi volontari, che si sono impe-gnati per realizzare ogni progetto. Soprattutto grazie per l’impegno nella

“Fiesta Argentina”, fonte principale se non uni- ca dei fondi destinati agli interventi sociali, che ogni anno purtroppo aumen-tano perché aumentano le famiglie in difficoltà e i disagi. La coperta della so-lidarietà diventa purtroppo corta. Corta ma calda.I nostri progetti principali:

“Raddoppia la Solidarietà”, rivolta ai servizi Sociali dei diversi Comuni sta ottenendo una grande partecipazione. I Buoni Spesa per le famiglie segnalate dai Servizi Sociali di ogni Comune saranno forse una goccia in un mare di necessità ma servono a far sentire meno soli e abbandonati, che è la peggior cosa che una famiglia possa sentire nel momento di difficoltà.Durante il 2014 diverse famiglie italo argentine sono rientrate in Argentina: abbiamo dato loro una mano per il rien-tro sia a livello burocratico che logistico chiedendo aiuto anche ai loro Comuni di residenza. Qualcuna di queste famiglie ci ha contat-tato direttamente mentre altre ci sono

state segnalate dal Consolato Argentino di Milano.Insieme al Console Onorario della Bolivia, Dott. Giuseppe Crippa abbi-amo assistito una famiglia con disagi oltre alle tante persone e famiglie che ci hanno interpellato per i più svariati motivi.Continua il nostro sostegno alla Casa di Accoglienza per Bambini di Strada a Buenos Aires in Argentina.Collaboriamo con diversi centri di rac-colta per dare in forma gratuita a chi ne ha bisogno: mobili, abiti, carrozzine per bambini, computer, stampanti e quanto altro possiamo raccogliere. Crediamo in quanto facciamo e fac-ciamo quanto possiamo per rendere armoniosa la permanenza in Italia di chi ha dovuto lasciare per diversi motivi la sua terra.Con l’augurio di poter continuare questa, che noi sentiamo come una mis-sione, e di poterlo fare in modo ancora più capillare, auguriamo a tutti Felici Feste e un 2015 che ci porti una spe-ranza, una promessa in più per rendere questa nostra società più giusta e meno egoista.

FELICIDADES PARA TODOS DE CORAZON.

L’Associazione Volver

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EditorialeIl Pepe se ne va - p3

CulturaCronaca di una magica serata al San Carlino di Brescia - p5

AttualitàStoria di un’immigrazione - p7Brasile: rielezione di Dilma - p10Parte un amico - p11Desaparecidos italiani in sudamerica. Processi a Roma - p12Chi è il torturatore uruguayano Nestor Troccoli? - p12

ProgettiUn anno positivo - p2Volver e il Comune di Brescia: un progetto importante - p 4

RiflessioniPapa Francesco alla conferenza internazionale FAO - p4Perché all’Italia conviene rimanere nella UE - p8Cosa sono i fondi BUITRES - p9

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Direz. Edit.: Ass. VOLVERDir. Resp.: Abramo Scalmana

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via Tosio, 14 - 25100 Bresciatel. 0303582118 - [email protected]

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Via B. Castelli, 3825020 Flero (Brescia)Tel. / Fax. 030 3582118

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Il Pepe se ne va>>>

Ecco perché «George» era lì in prima fila, con la divisa blu della Marina e gli occhiali da sole. Forse è stato in quel momento che ha iniziato a progettare la sua seconda vita. Di certo, quando in Uruguay gli hanno ritirato il passaporto per impedirgli la fuga durante il proces-so, lui aveva già in tasca il passaporto italiano. «Una mattina mi chiama da una cabina telefonica - ricorda il cugino Orlando Troccoli - novembre del 2008. Mi dice: “Vengo a vivere al paese”. All’inizio, l’ho aiutato. Ma presto abbiamo litiga-to. Perché lui voleva riprendersi la med-aglia d’oro in onore del grande naviga-tore, che io aveva ritenuto giusto affi-dare al Comune». Sette anni di indagini. «Il torturatore» è stato anche in carcere al Regina Coeli. Ma quasi nessuno se ne è accorto. «Se ha dei guai, noi non li conosciamo» dicono al bar Bella Mari-na. L’avvocato Adolfo Domingo Scara-no ha dedicato moltissime energie a questa causa: «George è l’unico che ab-bia ammesso il contesto di quell’epoca - dice - l’hanno preso di mira. Mi pare un Cristo in croce. Era solo un giovane te-nente. Riferiva ai superiori». Oggi George il torturatore ha 66 anni. Ha presentato domanda per avere la pensione anche in Italia. Si è fatto rag-giungere dalla moglie Betina, commes-

sa in un boutique del porto. Infine, ha affittato una casetta in via Luigi Mazzeo, dove ha vissuto come un uomo qualunque. Eccoci qui, davanti alla sua porta: nessun nome sul citofono. «È un po’ che non lo vediamo», dice il vicino. Quando era in Uruguay, Trocco-li aveva scritto un libro intitolato «L’ira del Levietano», dedicato ai «compagni camerati». Ragionava sui massimi sistemi, stando alla larga da tutte quelle vite strappate via. Poi aveva detto: «Non parlerò mai più». A nessuno ha confidato il suo nuovo indirizzo. Alla fine, riusciamo a rintracciarlo. Vive a Battipaglia, 20 chilometri a sud di Salerno. Risponde al telefono con voce catacombale: «Dimenticatevi di me. Anzi, consideratemi morto».

Niccolò Zancan (La Stampa)

Persino da quelli che lo odiano, perché sanno che col suo esempio saranno costretti a fare i conti negli anni a venire. Chiunque sia mai andato a trovarlo è uscito con quella faccia un po’ così… che abbiamo tutti dopo aver conosciuto un essere umano irripetibile. Il Tupamaro imprigionato per tredici anni in una cella dalle dimensioni di una bara. Nove buchi di pallottole in corpo. I segni indelebili della tortura subita negli anni più neri di una repubblica tas-cabile, ora finalmente tornata a splen-dere, sulle sponde del fiume “grande come mare”. Quel piccoletto che, come racconta un suo compagno di prigionia, sfidava una notte un militare – famoso torturatore – a entrare da solo nella cella con lui, a misurarsi da “uomo a uomo”. Il contadino collerico e sgrammaticato, tenero e pragmatico, capace di intessere superbe utopie, che non sognò mai di trasformarsi in un nuovo dio, ma provò, giorno dopo giorno, a diventare un uomo migliore. “Sa… ho passato tanto di quel tempo da solo, in galera, a pensare…” - rispon- deva una volta a una domanda sul suo concetto di felicità. “Quegli anni di so- litudine furono probabilmente quelli che più mi hanno insegnato. Sono stato più di sette anni senza poter leggere un libro. Dovetti ripensare tutto quanto e imparare a galoppare verso le mie ori- gini, in fondo a me stesso, per non diventare pazzo. (…) Faceva freddo, se per caso mi but-tavano un materasso per poter cori-carmi, in quel momento ero felice. C’è gente che si riempie di cose pensando di poter in questo modo raggiungere la felicità. Compera, compera e continua a comperare. Io ho scoperto che la felicità è fatta di cose semplici, e che se non la portiamo dentro nulla ce la potrà mai procurare”. La biografia di Pepe Mujica coincide con la storia recente di un continente bistrattato. Quella del secolo delle grandi rivolu-

zioni, che spesso grandi non furono. Non perché non fossero validi i loro propositi, ma semplicemente perché alle volte erano, appunto, troppo vasti. Dalle quali nacquero - continuano a nascere - quelle piccole, più a portata d’uomo, destinate a germogliare alle volte in solitudine. La seconda rivoluzione del Pepe è cominciata sul suo cortile di casa, nel proprio esempio, nel personale modo di concepire l’esistenza, l’amicizia, il rap-porto con i propri simili , la compagna, la filosofia intorno a una povertà che povera non è, il senso della dignità in ogni essere vivente, l’ambiente che ci contiene e ci dà vita. Da essa sono nate leggi che da alcune latitudini vengono guardate con ammi-razione. Da altre con crescente inqui-etudine. “Un Don Chisciotte travestito da San-cho Panza”, lo definisce Daniel Vidart, suo amico, antropologo, scrittore, acca-demico. Un uomo felicemente comune che possiede, per fortuna, il meno comune dei sensi: il senso comune. Non è un saggio, afferma, è un uomo che vuole sapere. Il Pepe se ne va? Per favore, non fateci caso. Il Presidente continuerà a vivere là, dove ha sempre fatto, nella sua fattoria di Rincòn del Cerro, a Montevideo, Uruguay. 40 rag-azzi, tra quelli cosiddetti “disadattati” andranno a vivere con lui, a imparare i mestieri della terra. “I figli di nessuno”. Chissà che tra loro non ci sia il futuro presidente di un popolo che non smette mai di stupire. Io non mi stupirei.

Milton Fernàndez

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Il Pepe se ne va. Dalla porta grande anche se, scom-metto, a lui sarebbe piaciuto uscire dal retro, in punta di piedi. Tra pochi giorni un ballottaggio ormai scontato passerà il volante nelle mani di un altro candi-dato della stessa coalizione, quel Frente Amplio che racchiude il mondo varie-gato della sinistra uruguaiana. Le leggi del paese non consentono due mandati consecutivi. E tra cinque anni, sarebbe troppo in là con l’età per ripren-dersi quel posto, ammesso che volesse farlo. Se ne va come vorrebbero farlo tutti i governanti della terra. A testa alta. Al massimo della sua popolarità. Ammi-rato dal mondo intero. Persino da quelli che un po’ se ne vergognano, perché capiscono che non potranno mai pro- mettere di somigliargli.

In basso:Jorge Néstor Fernandéz Troccoli

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attualità culturaDesaparecidos italiani in sudamerica: processi a Roma

Cronaca di una magica serata al San Carlino di Brescia

L’inchiesta su quegli italiani spariti nel nulla tra gli anni ’70 e ’80 in Sudameri-ca è durata dieci anni. Oggi 21 esponen-ti delle giunte militari e dei servizi di si-curezza di Bolivia, Cile, Perù ed Uru-guay dovranno rispondere della morte di 23 persone davanti ai giudici della III corte d’Assise di Roma. Il gup di Roma Alessandro Arturi ha rinviato gli impu-tati a giudizio per omicidio plurimo ag-gravato e sequestro di persona. La pri-ma udienza si terrà il 12 febbraio 2015. È caduto, per un vizio di procedibilità, il reato di strage ed è stata stralciata la posizione di altri nove indagati, già pro-cessati e condannati nei loro paesi d’origine, con trasmissione degli atti al ministero della Giustizia per valutare se debbano o meno essere giudicati in Ita-lia.La chiusura dell’inchiesta, sulle attività

di repressione degli oppositori che av-vennero all’interno del cosiddetto Piano Condor, risale a quasi quattro anni e ri-guardava 140 persone (tra le quali an-che 59 argentini, 11 brasiliani e 6 para-guayani) ma problemi burocratici legati alla notifica e la morte di numerosi es-ponenti delle giunte militari hanno fatto scendere il numero dei soggetti a rischio processo. Quando fu chiesto il rinvio a giudizio, tra gli imputati figu-ravano i nomi dell’ex ministro dell’In- terno boliviano Luis Gomez Arce, l’ex premier peruviano Pedro Richter Prada, l’ex capo dei servizi segreti cileni Juan Manuel Contreras, il generale Francis-co Morales Bermudez, per cinque anni presidente del Perù, gli ex dittatori uru-guayani Juan Maria Bordaberry e Gre-gorio Conrado Alvarez Armellino e l’ex ministro delle relazioni estere Juan Car-

los Blanco.Il primo caso di ‘desaparecido’ contem-plato nel procedimento romano, piut-tosto anomalo rispetto agli altri perché avvenuto prima dell’insediamento della giunta militare in Argentina, è quello le-gato all’uccisione di Alvaro Daniel Banfi, sequestrato in Argentina il 12 settembre del 1974 e morto un mese e mezzo dopo. L’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giancarlo Capal-do, nel dicembre del 2007, portò all’emissione di circa 140 richieste di custodia cautelari di cui solo una fu ese- guita nei confronti dell’uruguayano Nestor Jorge Fernandez Troccoli, 63 anni, già esponente dei servizi segreti della marina accusato della morte di sei italiani.

Fonte IL Fatto Quotidiano

Brescia, 29 Novembre 2014

Un Teatro completamente esaurito in goni ordine di posto (chiediamo scusa a chi non è potuto entrare): un emozi-one palpabile in sala con i canti della Misa Criolla di Ariel Ramirez diretta dal Maestro Maximiliano Baños (canto e direzione), interpretata da Luciana Elizondo (canto e viola), Leonardo Moreno (canto e percussione), Lorenzo Colace (chitarra), Mariano Speranza (pianoforte), Angel Galzerano (cha- rango) e cantata dal coro ALA Cremo-na di Cremona.Le emozioni si susseguono in un cre-scendo, sotto la voce ed i racconti di Elena Bettinetti che, con maestrìa, fa “rivivere” la poesia del tango. L’apice arriva quando sul palco i ballerini Monica Biasin e Riccardo Ongari (vice campioni europei di tango), si esibisco-no ballando vecchi tanghi accompag-nati da Enzo Santoro al flauto traverso, Sergio Lussignoli al bandoneòn e An-gel Galzerano alla chitarra in “Milonda de invierno” composta dallo stesso An-gel Galzerano.

E’ stata la sintesi tra folklore argentino, tango, cultura ed integrazione che l’As- sociazione Volver ha voluto reg-alare alla cittadinanza bresciana, con-vinti che conoscere la cultura e le radi-ci degli alttri ci fa crescere ed arricchire.Con il saluto emozionato della Console Argentina Daniela Jaite che ha sot-tolineato la vicinanza tra Italia e Ar-gentina e con il saluto del Presidente dell’associazione Volver Osvaldo Mol-lo si è conclusa la serata.

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In alto a sinistra: Osvaldo Mollo, Presidente dell’associazione Volver.

progetti attualitàChi è il torturatore uruguayano Nestor Troccoli?La doppia vita del pensionato che tor-turava i desaparecidos. Fuggito in Italia dall’Uruguay, la procura di Roma chie-de il processo.

I generali Pinochet e Videla: negli anni 70 diedero vita al cosiddetto «piano Condor» per sterminare gli oppositori politici: il «torturatore» è accusato di aver preso parte all’operazione.Tutti qui lo chiamano semplicemente George, all’americana. Come George Clooney. «George vive per il suo cane, un vecchio bassotto quasi cieco». «George prende la granita al bar Bella Marina». «Qualche anno fa, George aveva messo su un’attività per affittare motorini ai turisti. Ma adesso si gode la pensione da ufficiale». Il ritratto della mitezza senile. Il prob-lema è che per la procura di Roma, Jorge Néstor Fernandéz Troccoli, detto alla sudamericana, in realtà ha un altro soprannome: «il torturatore». Sta per essere rinviato a giudizio per strage,

omicidio e sequestro di persona. Dal 1976 ha militato nel Fusna, un servizio di intelligence della Marina dell’Uru- guay. Come tenente colonnello, ha preso par-te allo cosiddetta operazione Condor. La sistematica repressione di qualsiasi forma di opposizione politica. Molte vittime di quell’epoca avevano anche cittadinanza italiana. Ed è per questo che «George» Troccoli è stato raggiunto anche qui da un avviso di chiusura in-dagine. Il documento, firmato dal pm Giancarlo Capaldo, è datato 23 luglio 2014. La Storia è venuta a bussare in Cilento, in questo pezzo di paradiso italiano consacrato al turismo. «Mi dichiaro innocente, non accetto le accuse». C’è un solo verbale di Troccoli depositato agli atti. Sono 24 pagine. «Non sapevo del piano Condor - dice - facevo quello che mi chiedeva il mio comandante...». Le torture? «Io ero a conoscenza che nelle forze armate si torturava. Lo sapevo, come lo sapevano

tutti. La tortura era un procedimento normale presso il Fusna. Consisteva nel tenere i prigionieri parecchie ore in pie-di, con il cappuccio, senza bere e senza mangiare. Ma torturare sadicamente e perversamente, no. Una condizione di rigore...». Non era una «condizione di rigore», secondo gli investigatori italiani. Venti-sette vittime. Sei persone sequestrate e uccise. Fatti terribili come questo: «Per aver recluso e torturato Aida Celia San Fernandez, applicandole la picana elet- trica, anche mediante l’intrusione in va-gina di un cucchiaio che le provocava il parto prematuro della figlia Maria de las Mercedes Carmen Gallo, nata nel corso della prigionia il 27 dicembre 1977». Rapivano sindacalisti, picchiavano op-positori, torturavano per estorcere in-formazioni. «Occultavano cadaveri» scaricando in mare uomini ancora vivi, giù dagli aerei dell’esercito. Centoquar-antasei nomi sotto accusa. Dittatori già morti, come Pinochet e Videla. Ufficiali e soldati. Molti latitanti. Tutti al lavoro alla spaventosa fabbrica dei desapareci-dos. L’unico indagato con passaporto Italiano è il tenente colonnello Troccoli. «Sono venuto in Italia perché a Monte-video era iniziato il processo - mette a verbale - il mio avvocato mi ha detto che non c’erano garanzie. Inoltre avevo ricevuto minacce...». Rischiava l’ergastolo. Sperava di trova-re riparo qui. A Marina di Camerota un residente su quattro ha origini sudamericane. Il te-nente Troccoli venne la prima volta il 10 agosto del 1995. Quel giorno si inau-gurava il restauro del Leone di Caprera, una goletta di nove metri su cui nel 1880 tre navigatori italiani avevano portato a termine l’attraversata dell’oceano. Dall’Uruguay all’Italia. I tre si chiamavamo Vincenzo Fondaca-ro, Orlando Grassoni e Pietro Troccoli: il bisnonno di quello che sarebbe diven-tato «il torturatore».

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Volver e il Comune di Brescia:un progetto importante“E’ nato 2 anni fa come un sogno il pro-getto “Raddoppia la Solidarietà”: una formula per dare al territorio di Brescia e della Lombardia un contributo attra-verso i Servizi Sociali. Un’associazione che mette a dispo-sizione risorse proprie offrendole al Comune tramite i Servizi Sociali, per dare aiuto a famiglie in difficoltà: fami-glie da loro seguite e da loro segnalate; cercando anche di coinvolgere i super- mercati del territorio.Alla definizione dei Buoni Spesa parte-cipano i Servizi Sociali del Comune insieme a noi, insieme ai supermercati, mettendo ognuno una quota parte in denaro che arriverà poi in buoni spesa alle famiglie.Tanti Comuni hanno condiviso il Pro-getto, pochi per la verità, non hanno sentito il bisogno di aderire. Oggi l’accordo è stato siglato con il Comune di Brescia. Più di 10.000 € di buoni spesa divisi sul comune, secondo le segnalazioni dei loro servizi sociali. Il comune si impegna per il 50% dell’intera cifra e l’altro 50% lo copre l’associazione Volver, sperando di otte-nere e di coinvolgere i supermercati dei diversi quartieri per far salire questa cifra in modo da poter aumentare il numero di famiglie da aiutare.Di questi tempi non è semplice racco-gliere fondi per progetti ed iniziative.Noi fino ad oggi siamo riusciti a farlo grazie a tutta la gente che partecipa principalmente alla Fiesta Argentina (ogni anno a Maggio), che ci permette di raccogliere i fondi utilizzati in ogni nostra iniziativa e intervento. Grazie ai volontari, veri volontari, che mettono tempo, dedizione e qualche volta soldi propri per le spese.Da un incontro con il Sindaco di Bres-cia Dott. Emilio Del Bono ai primi di marzo 2014 nel quale venne illustrato il progetto partì l’idea di realizzarlo anche a Brescia.Il Sindaco Del Bono si adoperò subito per coordinare tempi e modi per realiz-zare quanto prima questa nostra inizia-tiva la quale sorprese in maniera posi-

tiva sia lui che i suoi Assessori e tante altre amministrazioni alle quali abbi-amo sottoposto il nostro progetto: non eravamo lì per chiedere ma per dare; merce rara di questi tempi!

O.M.

Tanti Comuni hanno c condiviso il Pro-getto, pochi per la verità, non hanno sen-tito il bisogno di aderire, “beati loro”.

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attualità culturaDesaparecidos italiani in sudamerica: processi a Roma

Cronaca di una magica serata al San Carlino di Brescia

L’inchiesta su quegli italiani spariti nel nulla tra gli anni ’70 e ’80 in Sudameri-ca è durata dieci anni. Oggi 21 esponen-ti delle giunte militari e dei servizi di si-curezza di Bolivia, Cile, Perù ed Uru-guay dovranno rispondere della morte di 23 persone davanti ai giudici della III corte d’Assise di Roma. Il gup di Roma Alessandro Arturi ha rinviato gli impu-tati a giudizio per omicidio plurimo ag-gravato e sequestro di persona. La pri-ma udienza si terrà il 12 febbraio 2015. È caduto, per un vizio di procedibilità, il reato di strage ed è stata stralciata la posizione di altri nove indagati, già pro-cessati e condannati nei loro paesi d’origine, con trasmissione degli atti al ministero della Giustizia per valutare se debbano o meno essere giudicati in Ita-lia.La chiusura dell’inchiesta, sulle attività

di repressione degli oppositori che av-vennero all’interno del cosiddetto Piano Condor, risale a quasi quattro anni e ri-guardava 140 persone (tra le quali an-che 59 argentini, 11 brasiliani e 6 para-guayani) ma problemi burocratici legati alla notifica e la morte di numerosi es-ponenti delle giunte militari hanno fatto scendere il numero dei soggetti a rischio processo. Quando fu chiesto il rinvio a giudizio, tra gli imputati figu-ravano i nomi dell’ex ministro dell’In- terno boliviano Luis Gomez Arce, l’ex premier peruviano Pedro Richter Prada, l’ex capo dei servizi segreti cileni Juan Manuel Contreras, il generale Francis-co Morales Bermudez, per cinque anni presidente del Perù, gli ex dittatori uru-guayani Juan Maria Bordaberry e Gre-gorio Conrado Alvarez Armellino e l’ex ministro delle relazioni estere Juan Car-

los Blanco.Il primo caso di ‘desaparecido’ contem-plato nel procedimento romano, piut-tosto anomalo rispetto agli altri perché avvenuto prima dell’insediamento della giunta militare in Argentina, è quello le-gato all’uccisione di Alvaro Daniel Banfi, sequestrato in Argentina il 12 settembre del 1974 e morto un mese e mezzo dopo. L’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giancarlo Capal-do, nel dicembre del 2007, portò all’emissione di circa 140 richieste di custodia cautelari di cui solo una fu ese- guita nei confronti dell’uruguayano Nestor Jorge Fernandez Troccoli, 63 anni, già esponente dei servizi segreti della marina accusato della morte di sei italiani.

Fonte IL Fatto Quotidiano

Brescia, 29 Novembre 2014

Un Teatro completamente esaurito in goni ordine di posto (chiediamo scusa a chi non è potuto entrare): un emozi-one palpabile in sala con i canti della Misa Criolla di Ariel Ramirez diretta dal Maestro Maximiliano Baños (canto e direzione), interpretata da Luciana Elizondo (canto e viola), Leonardo Moreno (canto e percussione), Lorenzo Colace (chitarra), Mariano Speranza (pianoforte), Angel Galzerano (cha- rango) e cantata dal coro ALA Cremo-na di Cremona.Le emozioni si susseguono in un cre-scendo, sotto la voce ed i racconti di Elena Bettinetti che, con maestrìa, fa “rivivere” la poesia del tango. L’apice arriva quando sul palco i ballerini Monica Biasin e Riccardo Ongari (vice campioni europei di tango), si esibisco-no ballando vecchi tanghi accompag-nati da Enzo Santoro al flauto traverso, Sergio Lussignoli al bandoneòn e An-gel Galzerano alla chitarra in “Milonda de invierno” composta dallo stesso An-gel Galzerano.

E’ stata la sintesi tra folklore argentino, tango, cultura ed integrazione che l’As- sociazione Volver ha voluto reg-alare alla cittadinanza bresciana, con-vinti che conoscere la cultura e le radi-ci degli alttri ci fa crescere ed arricchire.Con il saluto emozionato della Console Argentina Daniela Jaite che ha sot-tolineato la vicinanza tra Italia e Ar-gentina e con il saluto del Presidente dell’associazione Volver Osvaldo Mol-lo si è conclusa la serata.

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In alto a sinistra: Osvaldo Mollo, Presidente dell’associazione Volver.

progetti attualitàChi è il torturatore uruguayano Nestor Troccoli?La doppia vita del pensionato che tor-turava i desaparecidos. Fuggito in Italia dall’Uruguay, la procura di Roma chie-de il processo.

I generali Pinochet e Videla: negli anni 70 diedero vita al cosiddetto «piano Condor» per sterminare gli oppositori politici: il «torturatore» è accusato di aver preso parte all’operazione.Tutti qui lo chiamano semplicemente George, all’americana. Come George Clooney. «George vive per il suo cane, un vecchio bassotto quasi cieco». «George prende la granita al bar Bella Marina». «Qualche anno fa, George aveva messo su un’attività per affittare motorini ai turisti. Ma adesso si gode la pensione da ufficiale». Il ritratto della mitezza senile. Il prob-lema è che per la procura di Roma, Jorge Néstor Fernandéz Troccoli, detto alla sudamericana, in realtà ha un altro soprannome: «il torturatore». Sta per essere rinviato a giudizio per strage,

omicidio e sequestro di persona. Dal 1976 ha militato nel Fusna, un servizio di intelligence della Marina dell’Uru- guay. Come tenente colonnello, ha preso par-te allo cosiddetta operazione Condor. La sistematica repressione di qualsiasi forma di opposizione politica. Molte vittime di quell’epoca avevano anche cittadinanza italiana. Ed è per questo che «George» Troccoli è stato raggiunto anche qui da un avviso di chiusura in-dagine. Il documento, firmato dal pm Giancarlo Capaldo, è datato 23 luglio 2014. La Storia è venuta a bussare in Cilento, in questo pezzo di paradiso italiano consacrato al turismo. «Mi dichiaro innocente, non accetto le accuse». C’è un solo verbale di Troccoli depositato agli atti. Sono 24 pagine. «Non sapevo del piano Condor - dice - facevo quello che mi chiedeva il mio comandante...». Le torture? «Io ero a conoscenza che nelle forze armate si torturava. Lo sapevo, come lo sapevano

tutti. La tortura era un procedimento normale presso il Fusna. Consisteva nel tenere i prigionieri parecchie ore in pie-di, con il cappuccio, senza bere e senza mangiare. Ma torturare sadicamente e perversamente, no. Una condizione di rigore...». Non era una «condizione di rigore», secondo gli investigatori italiani. Venti-sette vittime. Sei persone sequestrate e uccise. Fatti terribili come questo: «Per aver recluso e torturato Aida Celia San Fernandez, applicandole la picana elet- trica, anche mediante l’intrusione in va-gina di un cucchiaio che le provocava il parto prematuro della figlia Maria de las Mercedes Carmen Gallo, nata nel corso della prigionia il 27 dicembre 1977». Rapivano sindacalisti, picchiavano op-positori, torturavano per estorcere in-formazioni. «Occultavano cadaveri» scaricando in mare uomini ancora vivi, giù dagli aerei dell’esercito. Centoquar-antasei nomi sotto accusa. Dittatori già morti, come Pinochet e Videla. Ufficiali e soldati. Molti latitanti. Tutti al lavoro alla spaventosa fabbrica dei desapareci-dos. L’unico indagato con passaporto Italiano è il tenente colonnello Troccoli. «Sono venuto in Italia perché a Monte-video era iniziato il processo - mette a verbale - il mio avvocato mi ha detto che non c’erano garanzie. Inoltre avevo ricevuto minacce...». Rischiava l’ergastolo. Sperava di trova-re riparo qui. A Marina di Camerota un residente su quattro ha origini sudamericane. Il te-nente Troccoli venne la prima volta il 10 agosto del 1995. Quel giorno si inau-gurava il restauro del Leone di Caprera, una goletta di nove metri su cui nel 1880 tre navigatori italiani avevano portato a termine l’attraversata dell’oceano. Dall’Uruguay all’Italia. I tre si chiamavamo Vincenzo Fondaca-ro, Orlando Grassoni e Pietro Troccoli: il bisnonno di quello che sarebbe diven-tato «il torturatore».

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Volver e il Comune di Brescia:un progetto importante“E’ nato 2 anni fa come un sogno il pro-getto “Raddoppia la Solidarietà”: una formula per dare al territorio di Brescia e della Lombardia un contributo attra-verso i Servizi Sociali. Un’associazione che mette a dispo-sizione risorse proprie offrendole al Comune tramite i Servizi Sociali, per dare aiuto a famiglie in difficoltà: fami-glie da loro seguite e da loro segnalate; cercando anche di coinvolgere i super- mercati del territorio.Alla definizione dei Buoni Spesa parte-cipano i Servizi Sociali del Comune insieme a noi, insieme ai supermercati, mettendo ognuno una quota parte in denaro che arriverà poi in buoni spesa alle famiglie.Tanti Comuni hanno condiviso il Pro-getto, pochi per la verità, non hanno sentito il bisogno di aderire. Oggi l’accordo è stato siglato con il Comune di Brescia. Più di 10.000 € di buoni spesa divisi sul comune, secondo le segnalazioni dei loro servizi sociali. Il comune si impegna per il 50% dell’intera cifra e l’altro 50% lo copre l’associazione Volver, sperando di otte-nere e di coinvolgere i supermercati dei diversi quartieri per far salire questa cifra in modo da poter aumentare il numero di famiglie da aiutare.Di questi tempi non è semplice racco-gliere fondi per progetti ed iniziative.Noi fino ad oggi siamo riusciti a farlo grazie a tutta la gente che partecipa principalmente alla Fiesta Argentina (ogni anno a Maggio), che ci permette di raccogliere i fondi utilizzati in ogni nostra iniziativa e intervento. Grazie ai volontari, veri volontari, che mettono tempo, dedizione e qualche volta soldi propri per le spese.Da un incontro con il Sindaco di Bres-cia Dott. Emilio Del Bono ai primi di marzo 2014 nel quale venne illustrato il progetto partì l’idea di realizzarlo anche a Brescia.Il Sindaco Del Bono si adoperò subito per coordinare tempi e modi per realiz-zare quanto prima questa nostra inizia-tiva la quale sorprese in maniera posi-

tiva sia lui che i suoi Assessori e tante altre amministrazioni alle quali abbi-amo sottoposto il nostro progetto: non eravamo lì per chiedere ma per dare; merce rara di questi tempi!

O.M.

ogni

“Milonga

Era presente, in rappresentanza del Co-mune di Brescia, il Consigliere Comunale Dott.ssa Anna Braghini, contenta ed emo-zionata ha ringraziato per l’invito.Con il saluto emozionato della Console Argentina Daniela Jaite, che ha sottoline-ato la vicinanza tra Italia ed Argentina, e con il saluto del Presidente dell’Associa-zione Volver, Osvaldo Mollo, si è conclu-sa la serata.

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attualità attualità

Brasile: rielezione di Dilma Storia di un’immigrazioneCon l’eliminazione dai mondiali pro-prio in Brasile e le manifestazioni con-tro la sua politica economica e sociale tutto sembrava perso per Dilma: non bastavano le proteste e manifestazioni contro di lei per essersi dimenticata dei poveri, per aver speso miliardi in infra-strutture, per l’aumento del biglietto dell’autobus (mezzo molto popolare) e aver fatto poco o nulla per colmare le discriminazioni sociali fra chi ha tanto e chi ha poco o nulla.Questo enorme Paese con grandi con-flitti sociali, con grave corruzione, ha scelto ancora Dilma perché nonostante tutto lei ha dato ai ceti medi ed ai poveri una speranza di continuare la politica socio-economica intrapresa con Lula (Presidente del Brasile prima di Dilma).Dilma ha accettato la sfida, riconosciu-to gli errori commessi ed ha promesso maggiore equità, più giustizia sociale. Il Brasile, il più grande e ricco paese su-damericano ha l’onere e l’onore di trascinare in avanti l’intero continente; di rendere il suo popolo, la sua società più giusta per così essere un esempio per gli altri Paesi latinoamericani che cercano in un mondo di crisi, in una so-cietà di consumo “globalizzata”, in un sistema capitalistico in profonda crisi, senza regole, ciò che Dilma ha promes-so al Brasile.Le aspettative per questo secondo man-dato sono tante: il 51% dei voti è un segnale importante. Metà del suo popolo ha posto in lei una speranza , una continuità con il suo pre-decessore Lula, anche lui di estrazione socialista.La ex guerrigliera Dilma non ha potuto o voluto chiudere i conti con la storia, con i militari, golpisti e assassini che sono ancora nei punti nevralgici del sistema.Tante cose sono da fare, tante non com-piute, le sue promesse elettorali: giu- stizia sociale, sviluppo, lotta alla corru-zione devono essere compiute.Un Paese con più di 200 milioni di abi-tanti con un PIL di 200 miliardi di dol-lari, la più grande economia del Su-

damerica, il paese più popoloso, porta avanti una politica sociale che vuole, insieme all’Argentina ed al Venezuela, scrivere una nuova storia della “Patria Grande” da nord a sud. Questo è l’impegno che dovrà affrontare, da un dialogo costruttivo, da una vera pulizia anche nei suoi ministeri ed imprese pubbliche. Petrobas (compagnia petro-lifica statale) è solo uno degli esempi di corruzione da sanare.4 anni è un tempo sufficiente per realiz-zare il suo programma, nel suo partito guardano già al 2018 e pensano al ritor-no di Lula per continuare dopo più di 60 anni di governo militare e conservatore un nuovo cammino come si legge nella loro bandiera di progresso – per tutti.

O.M.

Raccontare la mia storia è raccontare la storia di tanti migranti che sono arrivati in Italia ma anche quella di tanti italiani che sono andati via. Arrivo da una pro-vincia molto ricca: Santa Fe’ in Argenti-na, città dove nasce la bandiera Argenti-na “Rosario” (il suo creatore un italiano di origine ligure, figlio di immigrati come me). Il mio bisnonno era di Castel Pagano (in provincia di Benevento). Abitavo in una città di 40.000 abitanti: Rojo Seco. Dall’anno 2000 è comincia-ta una grave crisi economica in tutta l’Argentina, erano momenti molto diffi-cili: persi il lavoro e non riuscii a trovar-ne un altro. Con una famiglia composta da tre figli piccoli (3, 9 e 11 anni), l’unica entrata per noi era data da un piccolo negozio di parrucchiera gestito da mia moglie. Senza l’aiuto dei miei genitori non ce l’avrei mai fatta. Ho cominciato a cercare delle possibilità di

lavoro alternative e così sono entrato in contatto con l’associazione Volver-Ri- tornare. Decisi così di provare questa possibilità da loro offertami e, insieme ad altri 11 argentini, nel febbraio del 2004 giunsi in Italia, a Brescia. Grazie all’associazione ci siamo trovati con un lavoro, una casa con l’affitto pagato e cosa più importante, una speranza.All’inizio per tutti noi è stato abbastan-za difficile, duro, ma con il trascorrere del tempo mi sono abituato a Brescia, ho sempre cercato di integrarmi e re-lazionarmi con gli altri, senza dimenti-care la mia terra, i miei genitori, i miei figli, mia moglie Nelida che dovette lot-tare anche lei da sola con tre bambini. A volte mi chiedevo se fosse stata la scelta giusta ma dopo pensavo che era l’unico modo per poter aiutare la mia famiglia anche se Maira, Nerea e Josè, i miei fi-gli, erano così lontani. Dopo un anno di solo e duro lavoro, ho avuto la fortuna di rientrare in Argentina per un periodo di vacanze e poter realizzare un altro cambiamento radicale portando tutta la mia famiglia in Italia. Subito compresi che non erano ancora pronti per partire insieme a me. Decisi così di restare con loro e cominciare da capo in Argentina. Bastarono 6 mesi per ripiombare, an-cora una volta, in una disastrosa situazi-one economica e sociale. Insieme alla mia famiglia decisi allora di ripartire ancora una volta, sempre da solo, per l’Italia con l’aggravante che questa vol-ta non avevo la certezza del lavoro e della casa, ma ero convinto di potercela fare anche se in Italia si cominciava a parlare di “crisi”. Arrivo in Italia e gra-zie ad un grande amico, Guillermo (anche lui macellaio argentino), che mi ospita a casa sua, mi stabilisco a Chiari (BS). Erano i primi giorni di ottobre del 2005, sempre con l’incertezza di aver fatto la cosa giusta. Per fortuna e grazie all’impegno dell’associazione Volver, dopo dieci giorni comincio a lavorare nella grande distribuzione con un con-tratto a tempo indeterminato, lavoro che conservo tutt’oggi. Anche se non è stato molto semplice decisi, con la mia fami-

glia, di farli venire a Brescia: una deci-sione molto complessa e difficile. Da una parte la gioia di ritrovarli, dall’altra il fatto di far cambiare ai miei figli, an-cora adolescenti, la loro vita in modo radicale. Una grande sfida che credo, sia mia moglie che i miei figli, abbiano superato studiando, conoscendo lingua e cultura italiane: in una parola integ-randosi completamente. Dopo un anno sono riuscito a portare in Italia i miei genitori per 6 mesi, dimostrando anche a loro la nostra situazione e le opportu-nità che Brescia ci stava dando. Da quel lontano febbraio 2004 sono passati più di dieci anni, con dolore las-ciai la mia terra ma, con un bilancio ad oggi che posso dire di non aver sbaglia-to.Sono nonno di un bellissimo bambino: Imano Pascual figlio di mia figlia mag-giore, sposata con Nicolas, un ragazzo argentino che conosceva già, anche lui stabilmente a Brescia. L’altra mia figlia è fidanzata con un ragazzo italiano. L’unico, per così dire dispiacere, e che mio figlio Josè , un paio di anni fa , ha deciso di ritornare a Rojo Seco in Ar-gentina.Essere arrivato a Brescia è stata solo una mera casualità e ringrazio di aver trovato una città che ci ha accolto, of-ferto possibilità di lavoro e sviluppo che purtroppo in Argentina non avrei avuto.Sono convinto che sia stata la decisione giusta per me e per la mia famiglia.Vorrei come ultima riflessione dire a tutte quelle persone che come me hanno lasciato la loro terra, di non perdere mai le speranze nelle loro possibilità e di non cancellare i loro sogni. Solo noi possiamo essere artefici del nostro des-tino, soprattutto se accompagnati dalle nostre famiglie.Abbraccio idealmente tutti quelli che hanno vissuto una storia simile o uguale alla mia.

Con affetto,Josè Luis Stefano.

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riflessioni attualitàPapa Francesco alla conferenza internazionale FAO Parte un amico«È doloroso constatare come la lotta contro la fame e la denutrizione sia os-tacolata dalla priorità del mercato e dal-la preminenza del guadagno, che hanno ridotto il cibo a una merce qualsiasi, soggetta a speculazione, anche finanzi-aria». Papa Francesco ha cominciato così il suo discorso alla seconda Con-ferenza Internazionale sulla nutrizione organizzata dalla Fao. Poco prima di entrare nella sala, il pontefice ha incon-trato brevemente la regina Letizia di Spagna, che aveva appena concluso il suo intervento. Il 13 dicembre, invece, riceverà in udienza il premier Matteo Renzi.Il discorso di Papa Francesco è stato pronunciato in spagnolo, preceduto a sua volta dal saluto del ministro per le Politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina, presidente della Conferenza, e dall'introduzione di Josè Graziano da Silva, direttore generale della Fao. «Oggi si parla molto di diritti, dimenti-cando spesso i doveri», ha osservato il Papa. «Forse ci siamo preoccupati trop-po poco di quanti soffrono la fame. E mentre si parla di nuovi diritti, l'affa- mato è lì, all'angolo della strada, e chie-de diritto di cittadinanza, di essere con-siderato nella sua condizione, di rice- vere una sana alimentazione di base. Ci chiede dignità, non elemosina».«La sfida che si deve affrontare è la mancanza di solidarietà. Le nostre soci-età sono caratterizzate da un crescente individualismo e dalla divisione. Ciò finisce col privare i più deboli di una vita degna e con il provocare rivolte contro le istituzioni», ha detto ancora il pontefice. «Quando manca la solidari-età in un Paese, ne risentono tutti. Di fatto, la solidarietà è l'atteggiamento che rende le persone capaci di andare incontro all'altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là delle differen-ze e dei limiti, e spinge a cercare in-sieme il bene comune».Agli Stati, «concepiti come comunità di persone e di popoli», ha detto Papa

Francesco, «viene chiesto di agire di comune accordo: una fonte inesauribile d'ispirazione è la legge naturale, iscritta nel cuore umano, che parla un linguag-gio che tutti possono capire: amore, gi-ustizia, pace, elementi inseparabili tra loro. Come le persone, anche gli Stati e le istituzioni internazionali sono chia-mati ad accogliere e a coltivare questi valori in uno spirito di dialogo e di as-colto reciproco. In tal modo, l'obiettivo di nutrire la famiglia umana diventa re-alizzabile».Secondo il pontefice, «ogni donna, uomo, bambino, anziano deve poter contare su queste garanzie dovunque. Ed è dovere di ogni Stato, attento al be-nessere dei suoi cittadini, sottoscriverle senza riserve, e preoccuparsi della loro applicazione. Ciò richiede perseveranza e sostegno. Sono criteri che, sul piano etico, si basano su pilastri come la veri-tà, la libertà, la giustizia e la solidarietà; allo stesso tempo, in campo giuridico, questi stessi criteri includono la relazi-one tra il diritto all'alimentazione e il diritto alla vita e a un'esistenza degna, il

diritto a essere tutelati dalla legge, non sempre vicina alla realtà di chi soffre la fame, e l'obbligo morale di condividere la ricchezza economica del mondo».Papa Francesco ha lanciato anche un forte appello per la difesa della «Madre Terra», e ha ammonito con un prover-bio che arriva dall'Argentina, suo luogo di nascita: «Dio sempre perdona, gli uo-mini perdonano a volte, la natura non perdona mai».

L’associazione Volver e tutti gli argenti-ni residenti in Italia perdono un amico, un referente importante: parte il Con-sole Generale dell’Argentina a Milano Ambasciatore Gustavo Moreno.Credo sia anche per il Consolato una perdita importante. Uomo di lungo cor-so, da 8 anni a Milano, a capo della De- legazione Consolare del Nord Italia comincia subito a tenere uno stretto contatto con la nostra associazione e in-sieme abbiamo realizzato tante cose, sia a livello sociale, risolvendo e aiutando parecchie situazioni difficili, che a li- vello culturale, diffondendo la nostra tradizione con spettacoli importanti co- me la Misa Criolla: quartiere Breda a Milano insieme all’associazione Pupi di Javier Zanetti, al Duomo di Milano, al

Duomo di Brescia ed al Teatro Grande di Brescia.Il suo carisma e la sua amicizia rimar-ranno in noi dell’Associazione che l’ab- biamo conosciuto e stimato per tanto tempo. Crediamo sia stato un degno rappresentante del nostro Paese e che abbia avvicinato alla gente comune un’istituzione molto importante come il Consolato per chi è lontano da casa.Nell’augurargli un ottimo futuro vo- gliamo ringraziarlo di tutto quanto ha fatto e condiviso con noi, con un ami-chevole:GRACIAS POR TODO “GUS”.Aspettiamo che il suo successore con-tinui con il dialogo e la vicinanza alla comunità argentina: caratteristica es-senziale per un Console.

Possiamo dire che già negli ultimi mesi la Console Aggiunta Daniela Jeaite si è distinta per impegno e iniziativa.Questo è un ottimo segnale di collab-orazione.

O.M.

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In basso a destra:Console Generale Argentino a Milano, Amb. Gustavo Moreno

“L’affamato ci chiede dignità non elemosina”Papa Francesco alla Conferenza Internazionale FAO

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attualità attualità

Brasile: rielezione di Dilma Storia di un’immigrazioneCon l’eliminazione dai mondiali pro-prio in Brasile e le manifestazioni con-tro la sua politica economica e sociale tutto sembrava perso per Dilma: non bastavano le proteste e manifestazioni contro di lei per essersi dimenticata dei poveri, per aver speso miliardi in infra-strutture, per l’aumento del biglietto dell’autobus (mezzo molto popolare) e aver fatto poco o nulla per colmare le discriminazioni sociali fra chi ha tanto e chi ha poco o nulla.Questo enorme Paese con grandi con-flitti sociali, con grave corruzione, ha scelto ancora Dilma perché nonostante tutto lei ha dato ai ceti medi ed ai poveri una speranza di continuare la politica socio-economica intrapresa con Lula (Presidente del Brasile prima di Dilma).Dilma ha accettato la sfida, riconosciu-to gli errori commessi ed ha promesso maggiore equità, più giustizia sociale. Il Brasile, il più grande e ricco paese su-damericano ha l’onere e l’onore di trascinare in avanti l’intero continente; di rendere il suo popolo, la sua società più giusta per così essere un esempio per gli altri Paesi latinoamericani che cercano in un mondo di crisi, in una so-cietà di consumo “globalizzata”, in un sistema capitalistico in profonda crisi, senza regole, ciò che Dilma ha promes-so al Brasile.Le aspettative per questo secondo man-dato sono tante: il 51% dei voti è un segnale importante. Metà del suo popolo ha posto in lei una speranza , una continuità con il suo pre-decessore Lula, anche lui di estrazione socialista.La ex guerrigliera Dilma non ha potuto o voluto chiudere i conti con la storia, con i militari, golpisti e assassini che sono ancora nei punti nevralgici del sistema.Tante cose sono da fare, tante non com-piute, le sue promesse elettorali: giu- stizia sociale, sviluppo, lotta alla corru-zione devono essere compiute.Un Paese con più di 200 milioni di abi-tanti con un PIL di 200 miliardi di dol-lari, la più grande economia del Su-

damerica, il paese più popoloso, porta avanti una politica sociale che vuole, insieme all’Argentina ed al Venezuela, scrivere una nuova storia della “Patria Grande” da nord a sud. Questo è l’impegno che dovrà affrontare, da un dialogo costruttivo, da una vera pulizia anche nei suoi ministeri ed imprese pubbliche. Petrobas (compagnia petro-lifica statale) è solo uno degli esempi di corruzione da sanare.4 anni è un tempo sufficiente per realiz-zare il suo programma, nel suo partito guardano già al 2018 e pensano al ritor-no di Lula per continuare dopo più di 60 anni di governo militare e conservatore un nuovo cammino come si legge nella loro bandiera di progresso – per tutti.

O.M.

Raccontare la mia storia è raccontare la storia di tanti migranti che sono arrivati in Italia ma anche quella di tanti italiani che sono andati via. Arrivo da una pro-vincia molto ricca: Santa Fe’ in Argenti-na, città dove nasce la bandiera Argenti-na “Rosario” (il suo creatore un italiano di origine ligure, figlio di immigrati come me). Il mio bisnonno era di Castel Pagano (in provincia di Benevento). Abitavo in una città di 40.000 abitanti: Rojo Seco. Dall’anno 2000 è comincia-ta una grave crisi economica in tutta l’Argentina, erano momenti molto diffi-cili: persi il lavoro e non riuscii a trovar-ne un altro. Con una famiglia composta da tre figli piccoli (3, 9 e 11 anni), l’unica entrata per noi era data da un piccolo negozio di parrucchiera gestito da mia moglie. Senza l’aiuto dei miei genitori non ce l’avrei mai fatta. Ho cominciato a cercare delle possibilità di

lavoro alternative e così sono entrato in contatto con l’associazione Volver-Ri- tornare. Decisi così di provare questa possibilità da loro offertami e, insieme ad altri 11 argentini, nel febbraio del 2004 giunsi in Italia, a Brescia. Grazie all’associazione ci siamo trovati con un lavoro, una casa con l’affitto pagato e cosa più importante, una speranza.All’inizio per tutti noi è stato abbastan-za difficile, duro, ma con il trascorrere del tempo mi sono abituato a Brescia, ho sempre cercato di integrarmi e re-lazionarmi con gli altri, senza dimenti-care la mia terra, i miei genitori, i miei figli, mia moglie Nelida che dovette lot-tare anche lei da sola con tre bambini. A volte mi chiedevo se fosse stata la scelta giusta ma dopo pensavo che era l’unico modo per poter aiutare la mia famiglia anche se Maira, Nerea e Josè, i miei fi-gli, erano così lontani. Dopo un anno di solo e duro lavoro, ho avuto la fortuna di rientrare in Argentina per un periodo di vacanze e poter realizzare un altro cambiamento radicale portando tutta la mia famiglia in Italia. Subito compresi che non erano ancora pronti per partire insieme a me. Decisi così di restare con loro e cominciare da capo in Argentina. Bastarono 6 mesi per ripiombare, an-cora una volta, in una disastrosa situazi-one economica e sociale. Insieme alla mia famiglia decisi allora di ripartire ancora una volta, sempre da solo, per l’Italia con l’aggravante che questa vol-ta non avevo la certezza del lavoro e della casa, ma ero convinto di potercela fare anche se in Italia si cominciava a parlare di “crisi”. Arrivo in Italia e gra-zie ad un grande amico, Guillermo (anche lui macellaio argentino), che mi ospita a casa sua, mi stabilisco a Chiari (BS). Erano i primi giorni di ottobre del 2005, sempre con l’incertezza di aver fatto la cosa giusta. Per fortuna e grazie all’impegno dell’associazione Volver, dopo dieci giorni comincio a lavorare nella grande distribuzione con un con-tratto a tempo indeterminato, lavoro che conservo tutt’oggi. Anche se non è stato molto semplice decisi, con la mia fami-

glia, di farli venire a Brescia: una deci-sione molto complessa e difficile. Da una parte la gioia di ritrovarli, dall’altra il fatto di far cambiare ai miei figli, an-cora adolescenti, la loro vita in modo radicale. Una grande sfida che credo, sia mia moglie che i miei figli, abbiano superato studiando, conoscendo lingua e cultura italiane: in una parola integ-randosi completamente. Dopo un anno sono riuscito a portare in Italia i miei genitori per 6 mesi, dimostrando anche a loro la nostra situazione e le opportu-nità che Brescia ci stava dando. Da quel lontano febbraio 2004 sono passati più di dieci anni, con dolore las-ciai la mia terra ma, con un bilancio ad oggi che posso dire di non aver sbaglia-to.Sono nonno di un bellissimo bambino: Imano Pascual figlio di mia figlia mag-giore, sposata con Nicolas, un ragazzo argentino che conosceva già, anche lui stabilmente a Brescia. L’altra mia figlia è fidanzata con un ragazzo italiano. L’unico, per così dire dispiacere, e che mio figlio Josè , un paio di anni fa , ha deciso di ritornare a Rojo Seco in Ar-gentina.Essere arrivato a Brescia è stata solo una mera casualità e ringrazio di aver trovato una città che ci ha accolto, of-ferto possibilità di lavoro e sviluppo che purtroppo in Argentina non avrei avuto.Sono convinto che sia stata la decisione giusta per me e per la mia famiglia.Vorrei come ultima riflessione dire a tutte quelle persone che come me hanno lasciato la loro terra, di non perdere mai le speranze nelle loro possibilità e di non cancellare i loro sogni. Solo noi possiamo essere artefici del nostro des-tino, soprattutto se accompagnati dalle nostre famiglie.Abbraccio idealmente tutti quelli che hanno vissuto una storia simile o uguale alla mia.

Con affetto,Josè Luis Stefano.

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riflessioni attualitàPapa Francesco alla conferenza internazionale FAO Parte un amico«È doloroso constatare come la lotta contro la fame e la denutrizione sia os-tacolata dalla priorità del mercato e dal-la preminenza del guadagno, che hanno ridotto il cibo a una merce qualsiasi, soggetta a speculazione, anche finanzi-aria». Papa Francesco ha cominciato così il suo discorso alla seconda Con-ferenza Internazionale sulla nutrizione organizzata dalla Fao. Poco prima di entrare nella sala, il pontefice ha incon-trato brevemente la regina Letizia di Spagna, che aveva appena concluso il suo intervento. Il 13 dicembre, invece, riceverà in udienza il premier Matteo Renzi.Il discorso di Papa Francesco è stato pronunciato in spagnolo, preceduto a sua volta dal saluto del ministro per le Politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina, presidente della Conferenza, e dall'introduzione di Josè Graziano da Silva, direttore generale della Fao. «Oggi si parla molto di diritti, dimenti-cando spesso i doveri», ha osservato il Papa. «Forse ci siamo preoccupati trop-po poco di quanti soffrono la fame. E mentre si parla di nuovi diritti, l'affa- mato è lì, all'angolo della strada, e chie-de diritto di cittadinanza, di essere con-siderato nella sua condizione, di rice- vere una sana alimentazione di base. Ci chiede dignità, non elemosina».«La sfida che si deve affrontare è la mancanza di solidarietà. Le nostre soci-età sono caratterizzate da un crescente individualismo e dalla divisione. Ciò finisce col privare i più deboli di una vita degna e con il provocare rivolte contro le istituzioni», ha detto ancora il pontefice. «Quando manca la solidari-età in un Paese, ne risentono tutti. Di fatto, la solidarietà è l'atteggiamento che rende le persone capaci di andare incontro all'altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là delle differen-ze e dei limiti, e spinge a cercare in-sieme il bene comune».Agli Stati, «concepiti come comunità di persone e di popoli», ha detto Papa

Francesco, «viene chiesto di agire di comune accordo: una fonte inesauribile d'ispirazione è la legge naturale, iscritta nel cuore umano, che parla un linguag-gio che tutti possono capire: amore, gi-ustizia, pace, elementi inseparabili tra loro. Come le persone, anche gli Stati e le istituzioni internazionali sono chia-mati ad accogliere e a coltivare questi valori in uno spirito di dialogo e di as-colto reciproco. In tal modo, l'obiettivo di nutrire la famiglia umana diventa re-alizzabile».Secondo il pontefice, «ogni donna, uomo, bambino, anziano deve poter contare su queste garanzie dovunque. Ed è dovere di ogni Stato, attento al be-nessere dei suoi cittadini, sottoscriverle senza riserve, e preoccuparsi della loro applicazione. Ciò richiede perseveranza e sostegno. Sono criteri che, sul piano etico, si basano su pilastri come la veri-tà, la libertà, la giustizia e la solidarietà; allo stesso tempo, in campo giuridico, questi stessi criteri includono la relazi-one tra il diritto all'alimentazione e il diritto alla vita e a un'esistenza degna, il

diritto a essere tutelati dalla legge, non sempre vicina alla realtà di chi soffre la fame, e l'obbligo morale di condividere la ricchezza economica del mondo».Papa Francesco ha lanciato anche un forte appello per la difesa della «Madre Terra», e ha ammonito con un prover-bio che arriva dall'Argentina, suo luogo di nascita: «Dio sempre perdona, gli uo-mini perdonano a volte, la natura non perdona mai».

L’associazione Volver e tutti gli argenti-ni residenti in Italia perdono un amico, un referente importante: parte il Con-sole Generale dell’Argentina a Milano Ambasciatore Gustavo Moreno.Credo sia anche per il Consolato una perdita importante. Uomo di lungo cor-so, da 8 anni a Milano, a capo della De- legazione Consolare del Nord Italia comincia subito a tenere uno stretto contatto con la nostra associazione e in-sieme abbiamo realizzato tante cose, sia a livello sociale, risolvendo e aiutando parecchie situazioni difficili, che a li- vello culturale, diffondendo la nostra tradizione con spettacoli importanti co- me la Misa Criolla: quartiere Breda a Milano insieme all’associazione Pupi di Javier Zanetti, al Duomo di Milano, al

Duomo di Brescia ed al Teatro Grande di Brescia.Il suo carisma e la sua amicizia rimar-ranno in noi dell’Associazione che l’ab- biamo conosciuto e stimato per tanto tempo. Crediamo sia stato un degno rappresentante del nostro Paese e che abbia avvicinato alla gente comune un’istituzione molto importante come il Consolato per chi è lontano da casa.Nell’augurargli un ottimo futuro vo- gliamo ringraziarlo di tutto quanto ha fatto e condiviso con noi, con un ami-chevole:GRACIAS POR TODO “GUS”.Aspettiamo che il suo successore con-tinui con il dialogo e la vicinanza alla comunità argentina: caratteristica es-senziale per un Console.

Possiamo dire che già negli ultimi mesi la Console Aggiunta Daniela Jeaite si è distinta per impegno e iniziativa.Questo è un ottimo segnale di collab-orazione.

O.M.

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In basso a destra:Console Generale Argentino a Milano, Amb. Gustavo Moreno

Con affetto,Josè Luis Stefano

“Hueso”

Arroyo Seco. Dall’anno 2000 è comincia-

Da quel lontano febbraio 2004 sono passati più di dieci anni, con dolore lasciai la mia terra ma, ad oggi, posso dire di non aver sbagliato.

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Speculazione finanziaria che cerca di ottimizzare investimenti a rischio tra-mite lobby immorali che stazionano in paradisi fiscaliLe denominazioni “Fondi buitres” sono amministratori di capitali a rischio che si dedicano ad acquistare titoli di debito pubblico a basso prezzo in economie in difficoltà come è stata l’Argentina nel 2001, per poi, attraverso azioni legali di potere, riscuotere il valore totale di questi buoni più tutti gli interessi degli anni arretrati. Non a caso America Task Force (AFTA) è la facciata dietro la quale si nasconde la NML e la Elliot Capital Management (EM), i due fondi rapaci più grandi con domicilio nei par-adisi fiscali. I fondi per i quali si sono azionati contro l’Argentina sono all’in- circa 47 che rappresentano circa 4.000 milioni di dollari: l’equivalente soltanto del 7% del capitale complessivo del de-bito pubblico argentino. In pago dal 2005 al 2010 accettati per la maggior parte dagli investitori.Il direttore dell’AFTA è Robert Shapiro, un ex funzionario dell’ex presidente de-gli Stati Uniti Bill Clinton, però il suo vero mentore è il proprietario della NML, Paul Singer: un finanziere sta-tunitense che gestisce più di 15 miliardi

di dollari di fondi a rischio e da più di vent’anni compera debito da paesi in difficoltà tipo il Perù dove ha acquistato per 5 milioni di dollari e, attraverso i tri-bunali, ha incassato 58 milioni di dol-lari o il Congo dove per 2.3 milioni di dollari acquistati ne ha incassati più di 100.Singer, compra questi buoni del debito pubblico dei paesi quando questi valgo-no poco o nulla e poi, tramite cause le-gali, ne richiede il pagamento molto su-periore al valore d’acquisto.Questo finanziere opera alla borsa di New York, è uno dei principali sosteni-tori economici della campagna eletto-rale del candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti Mitt Rom-ney. E’ il proprietario della NML Capi-tal, l’azienda che ha fatto sequestrare la Fregata Argentina Libertad grazie alla compiacenza della giustizia ganese.Questo gruppo ha pagato interi giornali statunitensi pubblicando articoli contro l’Argentina previa la visita della Presi-dente Cristina Fernández a New York e chiedendo 650 milioni di dollari per i buoni argentini. Il contatto di questo gruppo ( di Singer) in Argentina è Mari-ano Mera Figueroa, avvocato e figlio di Julio Figueroa ex ministro dell’interno

di Carlos Menem. E’ Stato l’intermediario di Singer du-rante il conflitto per la Fregata Libertà come portavoce presso il governo ar-gentino delle richieste dei fondi buitre per negoziare la sua liberazione.A sua volta, il direttore di EM è Keneth Dart, che ha portato il suo domicilio alle isole Cayman per poter così evadere 200 milioni di dollari al fisco sta-tunitense e ha preso la cittadinanza del Belice, rinunciando a quella sta-tunitense, per tentare dopo l’ingresso negli Stati Uniti come Console di ques-to paese usufruendo dell’immunità di- plomatica.All’inizio degli anni ’90 è stata realiz-zata la prima offensiva “rapace” contro il Brasile dove un pesante debito estero veniva negoziato. Loro acquistarono solo 375 milioni di dollari cioè solo il 4% dei buoni complessivi ( 35 miliardi valore nominale), Dart richiese un pagamento di 980 milioni di dollari e, dopo lunghe trattative, ottenne 605 mil-ioni. Vuol dire il 161% di quanto aveva-no sborsato in questo “gioco” speculati-vo.“L’ultima scommessa è costringere il governo argentino a pagare il debito in default”, scrisse Bill Clinton in una let-tera pubblica dove spiegò, nel 2005, perché non partecipava ad una riunione per la raccolta fondi della campagna elettorale democratica, organizzata a casa della moglie di Dart, in Florida.In questa lettera Clinton sottolineò che i fondi buitres “ancora una volta hanno pagato centesimi di dollari per acqui- stare buoni del debito e pretendono che gli argentini paghino l’intero valore più tutti gli interessi di questi 14 anni.L’Argentina continua ancora la ban- carotta (default). La metà della popo-lazione vive al di sotto della linea della povertà”, rimarcò in quella occasione Clinton per concludere dicendo che Dart “è uno degli uomini d’affari più odiato in sudamerica”.

Estratto da Taringa

riflessioni riflessioniPerché all’Italia conviene rimanere nella UE Cosa sono i fondi Buitres

tere, ponendo talvolta precisi requisiti per la concessione di accordi commer-ciali o di altro genere.Per quanto riguarda la situazione inter-na poi, l'Unione europea ha promosso l'armonizzazione delle legislazioni na-zionali in materia di asilo politico per i rifugiati, e si propone di combattere il razzismo e la xenofobia attraverso il so-stegno ad una rete di organizzazioni non governative ed una specifica Agenzia.Dal punto di vista delle relazioni inter-nazionali, dal 1992 l'Unione ha intro-dotto nei propri accordi commerciali o di cooperazione con paesi terzi una clausola che indica il rispetto dei diritti umani come elemento essenziale del rapporto bilaterale (convenzione di Cotonou, che lega la UE a 78 paesi in via di sviluppo ai quali si richiedono precisi impegni nel campo del rispetto dei diritti umani). I principali obiettivi della politica estera europea sono di- chiaratamente il progresso e la pacifica-zione internazionale, ritenuti possibili solo nell'ambito di una struttura demo-cratica. L’unione europea è stata pensa-ta a seguito delle due grandi guerre mondiali del secolo scorso costate quasi cento milioni di morti, e di fatto ha al-lontanato i conflitti tra Stati al suo inter-no. Certo nell’Unione non tutto è perfetto ed esistono alcuni punti deboli: l'Unio- ne europea contempla 23 lingue ufficia-li, lingue parlate in almeno uno degli stati membri (anche se solo l'inglese, il francese e il tedesco sono usate come lingue di lavoro all'interno della Com-missione europea). Questo crea ogget-tive difficoltà. Per l’Italia poi forse si poteva ottenere qualcosa in più nell’ac- cordo del cambio Lira–Euro, ma per l’Italia l’appartenere alla Comunità eu-ropea ha significato rispettare regole di stabilità a cui siamo poco inclini da sempre.Si poteva controllare meglio la tran-sizione Lira-Euro sui mercati, control-lando ed evitando la speculazione che vi è stata e che di fatto ha portato al paradosso che ciò che costava prima

mille lire immediatamente è iniziato a costare un euro! Non esiste ancora l’Unione Politica dell’Europa e questo la rende meno in-cisiva nel contesto internazionale, ma per noi italiani, solo per fare un esem-pio, si riesce ad immaginare a che cifre sarebbero oggi i nostri tassi di interesse sui mutui e l’inflazione senza l’Unione e l’euro?

Franco Seta

Ormai da tempo, e con il perdurare del-la crisi economica ancor di più, si dis-cute se sia vantaggioso o no rimanere nell’Unione Europea e nel sistema Euro. E’ rischioso affrontare questo tipo di discussione con lo spirito da stadio, ossia favorevoli o contrari a prescinde-re. E’ utile invece fare una valutazione oggettiva sui vantaggi e gli svantaggi per l’Italia nel restare nell’Unione Eu-ropea e nel Sistema Euro.Trattato con serietà l’argomento non è un tabù! In Inghilterra si discute se usci-re dall’Unione Europea, la Svizzera non c’è mai entrata per effetto di un referen-dum dei suoi abitanti. Il problema da sempre per le confedera-zioni di Stati sono le disomogeneità economiche e sociali delle diverse re-gioni da federare. Una federazione per appianare tali disomogeneità deve pro-muovere la crescita delle aree meno svi-luppate attraverso l'erogazione di in-genti fondi riservati al finanziamento degli investimenti per la creazione di nuovi posti di lavoro; investire nelle in-frastrutture; supportare le piccole e me-die imprese; investire nel campo dell’educazione e della sanità; promuo-vere la ricerca di nuove tecnologie; lo sviluppo della società dell’informazio- ne; la tutela dell’ambiente; le pari op-portunità nell’accesso al lavoro; la coo-perazione interregionale e transnazio-nale.Questo può avvenire se chi ha di più in un settore offre a chi ha di meno. Non sempre chi sta meglio però è disponi-bile a dare a chi sta peggio, per aiutarlo a raggiungere i suoi stessi livelli di civiltà e benessere. Apparentemente lo scambio sembra sbilanciato, ma nel me-dio e lungo periodo i vantaggi sono in-dubbi perchè l'Unione europea ha da sempre assunto il principio dello Stato di diritto e la promozione dei diritti umani come propri valori fondanti (basti pensare che requisito fondamen-tale per farne parte è l'abolizione della pena di morte); essa difende attiva-mente tali diritti sia all'interno dei suoi confini che nelle proprie relazioni es-

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Speculazione finanziaria che cerca di ottimizzare investimenti a rischio tra-mite lobby immorali che stazionano in paradisi fiscaliLe denominazioni “Fondi buitres” sono amministratori di capitali a rischio che si dedicano ad acquistare titoli di debito pubblico a basso prezzo in economie in difficoltà come è stata l’Argentina nel 2001, per poi, attraverso azioni legali di potere, riscuotere il valore totale di questi buoni più tutti gli interessi degli anni arretrati. Non a caso America Task Force (AFTA) è la facciata dietro la quale si nasconde la NML e la Elliot Capital Management (EM), i due fondi rapaci più grandi con domicilio nei par-adisi fiscali. I fondi per i quali si sono azionati contro l’Argentina sono all’in- circa 47 che rappresentano circa 4.000 milioni di dollari: l’equivalente soltanto del 7% del capitale complessivo del de-bito pubblico argentino. In pago dal 2005 al 2010 accettati per la maggior parte dagli investitori.Il direttore dell’AFTA è Robert Shapiro, un ex funzionario dell’ex presidente de-gli Stati Uniti Bill Clinton, però il suo vero mentore è il proprietario della NML, Paul Singer: un finanziere sta-tunitense che gestisce più di 15 miliardi

di dollari di fondi a rischio e da più di vent’anni compera debito da paesi in difficoltà tipo il Perù dove ha acquistato per 5 milioni di dollari e, attraverso i tri-bunali, ha incassato 58 milioni di dol-lari o il Congo dove per 2.3 milioni di dollari acquistati ne ha incassati più di 100.Singer, compra questi buoni del debito pubblico dei paesi quando questi valgo-no poco o nulla e poi, tramite cause le-gali, ne richiede il pagamento molto su-periore al valore d’acquisto.Questo finanziere opera alla borsa di New York, è uno dei principali sosteni-tori economici della campagna eletto-rale del candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti Mitt Rom-ney. E’ il proprietario della NML Capi-tal, l’azienda che ha fatto sequestrare la Fregata Argentina Libertad grazie alla compiacenza della giustizia ganese.Questo gruppo ha pagato interi giornali statunitensi pubblicando articoli contro l’Argentina previa la visita della Presi-dente Cristina Fernández a New York e chiedendo 650 milioni di dollari per i buoni argentini. Il contatto di questo gruppo ( di Singer) in Argentina è Mari-ano Mera Figueroa, avvocato e figlio di Julio Figueroa ex ministro dell’interno

di Carlos Menem. E’ Stato l’intermediario di Singer du-rante il conflitto per la Fregata Libertà come portavoce presso il governo ar-gentino delle richieste dei fondi buitre per negoziare la sua liberazione.A sua volta, il direttore di EM è Keneth Dart, che ha portato il suo domicilio alle isole Cayman per poter così evadere 200 milioni di dollari al fisco sta-tunitense e ha preso la cittadinanza del Belice, rinunciando a quella sta-tunitense, per tentare dopo l’ingresso negli Stati Uniti come Console di ques-to paese usufruendo dell’immunità di- plomatica.All’inizio degli anni ’90 è stata realiz-zata la prima offensiva “rapace” contro il Brasile dove un pesante debito estero veniva negoziato. Loro acquistarono solo 375 milioni di dollari cioè solo il 4% dei buoni complessivi ( 35 miliardi valore nominale), Dart richiese un pagamento di 980 milioni di dollari e, dopo lunghe trattative, ottenne 605 mil-ioni. Vuol dire il 161% di quanto aveva-no sborsato in questo “gioco” speculati-vo.“L’ultima scommessa è costringere il governo argentino a pagare il debito in default”, scrisse Bill Clinton in una let-tera pubblica dove spiegò, nel 2005, perché non partecipava ad una riunione per la raccolta fondi della campagna elettorale democratica, organizzata a casa della moglie di Dart, in Florida.In questa lettera Clinton sottolineò che i fondi buitres “ancora una volta hanno pagato centesimi di dollari per acqui- stare buoni del debito e pretendono che gli argentini paghino l’intero valore più tutti gli interessi di questi 14 anni.L’Argentina continua ancora la ban- carotta (default). La metà della popo-lazione vive al di sotto della linea della povertà”, rimarcò in quella occasione Clinton per concludere dicendo che Dart “è uno degli uomini d’affari più odiato in sudamerica”.

Estratto da Taringa

riflessioni riflessioniPerché all’Italia conviene rimanere nella UE Cosa sono i fondi Buitres

tere, ponendo talvolta precisi requisiti per la concessione di accordi commer-ciali o di altro genere.Per quanto riguarda la situazione inter-na poi, l'Unione europea ha promosso l'armonizzazione delle legislazioni na-zionali in materia di asilo politico per i rifugiati, e si propone di combattere il razzismo e la xenofobia attraverso il so-stegno ad una rete di organizzazioni non governative ed una specifica Agenzia.Dal punto di vista delle relazioni inter-nazionali, dal 1992 l'Unione ha intro-dotto nei propri accordi commerciali o di cooperazione con paesi terzi una clausola che indica il rispetto dei diritti umani come elemento essenziale del rapporto bilaterale (convenzione di Cotonou, che lega la UE a 78 paesi in via di sviluppo ai quali si richiedono precisi impegni nel campo del rispetto dei diritti umani). I principali obiettivi della politica estera europea sono di- chiaratamente il progresso e la pacifica-zione internazionale, ritenuti possibili solo nell'ambito di una struttura demo-cratica. L’unione europea è stata pensa-ta a seguito delle due grandi guerre mondiali del secolo scorso costate quasi cento milioni di morti, e di fatto ha al-lontanato i conflitti tra Stati al suo inter-no. Certo nell’Unione non tutto è perfetto ed esistono alcuni punti deboli: l'Unio- ne europea contempla 23 lingue ufficia-li, lingue parlate in almeno uno degli stati membri (anche se solo l'inglese, il francese e il tedesco sono usate come lingue di lavoro all'interno della Com-missione europea). Questo crea ogget-tive difficoltà. Per l’Italia poi forse si poteva ottenere qualcosa in più nell’ac- cordo del cambio Lira–Euro, ma per l’Italia l’appartenere alla Comunità eu-ropea ha significato rispettare regole di stabilità a cui siamo poco inclini da sempre.Si poteva controllare meglio la tran-sizione Lira-Euro sui mercati, control-lando ed evitando la speculazione che vi è stata e che di fatto ha portato al paradosso che ciò che costava prima

mille lire immediatamente è iniziato a costare un euro! Non esiste ancora l’Unione Politica dell’Europa e questo la rende meno in-cisiva nel contesto internazionale, ma per noi italiani, solo per fare un esem-pio, si riesce ad immaginare a che cifre sarebbero oggi i nostri tassi di interesse sui mutui e l’inflazione senza l’Unione e l’euro?

Franco Seta

Ormai da tempo, e con il perdurare del-la crisi economica ancor di più, si dis-cute se sia vantaggioso o no rimanere nell’Unione Europea e nel sistema Euro. E’ rischioso affrontare questo tipo di discussione con lo spirito da stadio, ossia favorevoli o contrari a prescinde-re. E’ utile invece fare una valutazione oggettiva sui vantaggi e gli svantaggi per l’Italia nel restare nell’Unione Eu-ropea e nel Sistema Euro.Trattato con serietà l’argomento non è un tabù! In Inghilterra si discute se usci-re dall’Unione Europea, la Svizzera non c’è mai entrata per effetto di un referen-dum dei suoi abitanti. Il problema da sempre per le confedera-zioni di Stati sono le disomogeneità economiche e sociali delle diverse re-gioni da federare. Una federazione per appianare tali disomogeneità deve pro-muovere la crescita delle aree meno svi-luppate attraverso l'erogazione di in-genti fondi riservati al finanziamento degli investimenti per la creazione di nuovi posti di lavoro; investire nelle in-frastrutture; supportare le piccole e me-die imprese; investire nel campo dell’educazione e della sanità; promuo-vere la ricerca di nuove tecnologie; lo sviluppo della società dell’informazio- ne; la tutela dell’ambiente; le pari op-portunità nell’accesso al lavoro; la coo-perazione interregionale e transnazio-nale.Questo può avvenire se chi ha di più in un settore offre a chi ha di meno. Non sempre chi sta meglio però è disponi-bile a dare a chi sta peggio, per aiutarlo a raggiungere i suoi stessi livelli di civiltà e benessere. Apparentemente lo scambio sembra sbilanciato, ma nel me-dio e lungo periodo i vantaggi sono in-dubbi perchè l'Unione europea ha da sempre assunto il principio dello Stato di diritto e la promozione dei diritti umani come propri valori fondanti (basti pensare che requisito fondamen-tale per farne parte è l'abolizione della pena di morte); essa difende attiva-mente tali diritti sia all'interno dei suoi confini che nelle proprie relazioni es-

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Paul Singer

In questa lettera Clinton sottolineò che i fondi buitres “ancora una volta hanno pagato centesimi di dollari per acquistare buoni del debito e preten-dono che gli argentini paghino l’intero valore più tutti gli interessi di questi 14 anni. L’Argentina continua ancora la bancarotta (default). La metà della popolazione vive al di sotto della linea della povertà”, rimarcò in quella occa-sione Clinton per concludere dicendo che Dart “è uno degli uomini d’affari più odiato in sudamerica”.

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attualità attualità

Brasile: rielezione di Dilma Storia di un’immigrazioneCon l’eliminazione dai mondiali pro-prio in Brasile e le manifestazioni con-tro la sua politica economica e sociale tutto sembrava perso per Dilma: non bastavano le proteste e manifestazioni contro di lei per essersi dimenticata dei poveri, per aver speso miliardi in infra-strutture, per l’aumento del biglietto dell’autobus (mezzo molto popolare) e aver fatto poco o nulla per colmare le discriminazioni sociali fra chi ha tanto e chi ha poco o nulla.Questo enorme Paese con grandi con-flitti sociali, con grave corruzione, ha scelto ancora Dilma perché nonostante tutto lei ha dato ai ceti medi ed ai poveri una speranza di continuare la politica socio-economica intrapresa con Lula (Presidente del Brasile prima di Dilma).Dilma ha accettato la sfida, riconosciu-to gli errori commessi ed ha promesso maggiore equità, più giustizia sociale. Il Brasile, il più grande e ricco paese su-damericano ha l’onere e l’onore di trascinare in avanti l’intero continente; di rendere il suo popolo, la sua società più giusta per così essere un esempio per gli altri Paesi latinoamericani che cercano in un mondo di crisi, in una so-cietà di consumo “globalizzata”, in un sistema capitalistico in profonda crisi, senza regole, ciò che Dilma ha promes-so al Brasile.Le aspettative per questo secondo man-dato sono tante: il 51% dei voti è un segnale importante. Metà del suo popolo ha posto in lei una speranza , una continuità con il suo pre-decessore Lula, anche lui di estrazione socialista.La ex guerrigliera Dilma non ha potuto o voluto chiudere i conti con la storia, con i militari, golpisti e assassini che sono ancora nei punti nevralgici del sistema.Tante cose sono da fare, tante non com-piute, le sue promesse elettorali: giu- stizia sociale, sviluppo, lotta alla corru-zione devono essere compiute.Un Paese con più di 200 milioni di abi-tanti con un PIL di 200 miliardi di dol-lari, la più grande economia del Su-

damerica, il paese più popoloso, porta avanti una politica sociale che vuole, insieme all’Argentina ed al Venezuela, scrivere una nuova storia della “Patria Grande” da nord a sud. Questo è l’impegno che dovrà affrontare, da un dialogo costruttivo, da una vera pulizia anche nei suoi ministeri ed imprese pubbliche. Petrobas (compagnia petro-lifica statale) è solo uno degli esempi di corruzione da sanare.4 anni è un tempo sufficiente per realiz-zare il suo programma, nel suo partito guardano già al 2018 e pensano al ritor-no di Lula per continuare dopo più di 60 anni di governo militare e conservatore un nuovo cammino come si legge nella loro bandiera di progresso – per tutti.

O.M.

Raccontare la mia storia è raccontare la storia di tanti migranti che sono arrivati in Italia ma anche quella di tanti italiani che sono andati via. Arrivo da una pro-vincia molto ricca: Santa Fe’ in Argenti-na, città dove nasce la bandiera Argenti-na “Rosario” (il suo creatore un italiano di origine ligure, figlio di immigrati come me). Il mio bisnonno era di Castel Pagano (in provincia di Benevento). Abitavo in una città di 40.000 abitanti: Rojo Seco. Dall’anno 2000 è comincia-ta una grave crisi economica in tutta l’Argentina, erano momenti molto diffi-cili: persi il lavoro e non riuscii a trovar-ne un altro. Con una famiglia composta da tre figli piccoli (3, 9 e 11 anni), l’unica entrata per noi era data da un piccolo negozio di parrucchiera gestito da mia moglie. Senza l’aiuto dei miei genitori non ce l’avrei mai fatta. Ho cominciato a cercare delle possibilità di

lavoro alternative e così sono entrato in contatto con l’associazione Volver-Ri- tornare. Decisi così di provare questa possibilità da loro offertami e, insieme ad altri 11 argentini, nel febbraio del 2004 giunsi in Italia, a Brescia. Grazie all’associazione ci siamo trovati con un lavoro, una casa con l’affitto pagato e cosa più importante, una speranza.All’inizio per tutti noi è stato abbastan-za difficile, duro, ma con il trascorrere del tempo mi sono abituato a Brescia, ho sempre cercato di integrarmi e re-lazionarmi con gli altri, senza dimenti-care la mia terra, i miei genitori, i miei figli, mia moglie Nelida che dovette lot-tare anche lei da sola con tre bambini. A volte mi chiedevo se fosse stata la scelta giusta ma dopo pensavo che era l’unico modo per poter aiutare la mia famiglia anche se Maira, Nerea e Josè, i miei fi-gli, erano così lontani. Dopo un anno di solo e duro lavoro, ho avuto la fortuna di rientrare in Argentina per un periodo di vacanze e poter realizzare un altro cambiamento radicale portando tutta la mia famiglia in Italia. Subito compresi che non erano ancora pronti per partire insieme a me. Decisi così di restare con loro e cominciare da capo in Argentina. Bastarono 6 mesi per ripiombare, an-cora una volta, in una disastrosa situazi-one economica e sociale. Insieme alla mia famiglia decisi allora di ripartire ancora una volta, sempre da solo, per l’Italia con l’aggravante che questa vol-ta non avevo la certezza del lavoro e della casa, ma ero convinto di potercela fare anche se in Italia si cominciava a parlare di “crisi”. Arrivo in Italia e gra-zie ad un grande amico, Guillermo (anche lui macellaio argentino), che mi ospita a casa sua, mi stabilisco a Chiari (BS). Erano i primi giorni di ottobre del 2005, sempre con l’incertezza di aver fatto la cosa giusta. Per fortuna e grazie all’impegno dell’associazione Volver, dopo dieci giorni comincio a lavorare nella grande distribuzione con un con-tratto a tempo indeterminato, lavoro che conservo tutt’oggi. Anche se non è stato molto semplice decisi, con la mia fami-

glia, di farli venire a Brescia: una deci-sione molto complessa e difficile. Da una parte la gioia di ritrovarli, dall’altra il fatto di far cambiare ai miei figli, an-cora adolescenti, la loro vita in modo radicale. Una grande sfida che credo, sia mia moglie che i miei figli, abbiano superato studiando, conoscendo lingua e cultura italiane: in una parola integ-randosi completamente. Dopo un anno sono riuscito a portare in Italia i miei genitori per 6 mesi, dimostrando anche a loro la nostra situazione e le opportu-nità che Brescia ci stava dando. Da quel lontano febbraio 2004 sono passati più di dieci anni, con dolore las-ciai la mia terra ma, con un bilancio ad oggi che posso dire di non aver sbaglia-to.Sono nonno di un bellissimo bambino: Imano Pascual figlio di mia figlia mag-giore, sposata con Nicolas, un ragazzo argentino che conosceva già, anche lui stabilmente a Brescia. L’altra mia figlia è fidanzata con un ragazzo italiano. L’unico, per così dire dispiacere, e che mio figlio Josè , un paio di anni fa , ha deciso di ritornare a Rojo Seco in Ar-gentina.Essere arrivato a Brescia è stata solo una mera casualità e ringrazio di aver trovato una città che ci ha accolto, of-ferto possibilità di lavoro e sviluppo che purtroppo in Argentina non avrei avuto.Sono convinto che sia stata la decisione giusta per me e per la mia famiglia.Vorrei come ultima riflessione dire a tutte quelle persone che come me hanno lasciato la loro terra, di non perdere mai le speranze nelle loro possibilità e di non cancellare i loro sogni. Solo noi possiamo essere artefici del nostro des-tino, soprattutto se accompagnati dalle nostre famiglie.Abbraccio idealmente tutti quelli che hanno vissuto una storia simile o uguale alla mia.

Con affetto,Josè Luis Stefano.

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riflessioni attualitàPapa Francesco alla conferenza internazionale FAO Parte un amico«È doloroso constatare come la lotta contro la fame e la denutrizione sia os-tacolata dalla priorità del mercato e dal-la preminenza del guadagno, che hanno ridotto il cibo a una merce qualsiasi, soggetta a speculazione, anche finanzi-aria». Papa Francesco ha cominciato così il suo discorso alla seconda Con-ferenza Internazionale sulla nutrizione organizzata dalla Fao. Poco prima di entrare nella sala, il pontefice ha incon-trato brevemente la regina Letizia di Spagna, che aveva appena concluso il suo intervento. Il 13 dicembre, invece, riceverà in udienza il premier Matteo Renzi.Il discorso di Papa Francesco è stato pronunciato in spagnolo, preceduto a sua volta dal saluto del ministro per le Politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina, presidente della Conferenza, e dall'introduzione di Josè Graziano da Silva, direttore generale della Fao. «Oggi si parla molto di diritti, dimenti-cando spesso i doveri», ha osservato il Papa. «Forse ci siamo preoccupati trop-po poco di quanti soffrono la fame. E mentre si parla di nuovi diritti, l'affa- mato è lì, all'angolo della strada, e chie-de diritto di cittadinanza, di essere con-siderato nella sua condizione, di rice- vere una sana alimentazione di base. Ci chiede dignità, non elemosina».«La sfida che si deve affrontare è la mancanza di solidarietà. Le nostre soci-età sono caratterizzate da un crescente individualismo e dalla divisione. Ciò finisce col privare i più deboli di una vita degna e con il provocare rivolte contro le istituzioni», ha detto ancora il pontefice. «Quando manca la solidari-età in un Paese, ne risentono tutti. Di fatto, la solidarietà è l'atteggiamento che rende le persone capaci di andare incontro all'altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là delle differen-ze e dei limiti, e spinge a cercare in-sieme il bene comune».Agli Stati, «concepiti come comunità di persone e di popoli», ha detto Papa

Francesco, «viene chiesto di agire di comune accordo: una fonte inesauribile d'ispirazione è la legge naturale, iscritta nel cuore umano, che parla un linguag-gio che tutti possono capire: amore, gi-ustizia, pace, elementi inseparabili tra loro. Come le persone, anche gli Stati e le istituzioni internazionali sono chia-mati ad accogliere e a coltivare questi valori in uno spirito di dialogo e di as-colto reciproco. In tal modo, l'obiettivo di nutrire la famiglia umana diventa re-alizzabile».Secondo il pontefice, «ogni donna, uomo, bambino, anziano deve poter contare su queste garanzie dovunque. Ed è dovere di ogni Stato, attento al be-nessere dei suoi cittadini, sottoscriverle senza riserve, e preoccuparsi della loro applicazione. Ciò richiede perseveranza e sostegno. Sono criteri che, sul piano etico, si basano su pilastri come la veri-tà, la libertà, la giustizia e la solidarietà; allo stesso tempo, in campo giuridico, questi stessi criteri includono la relazi-one tra il diritto all'alimentazione e il diritto alla vita e a un'esistenza degna, il

diritto a essere tutelati dalla legge, non sempre vicina alla realtà di chi soffre la fame, e l'obbligo morale di condividere la ricchezza economica del mondo».Papa Francesco ha lanciato anche un forte appello per la difesa della «Madre Terra», e ha ammonito con un prover-bio che arriva dall'Argentina, suo luogo di nascita: «Dio sempre perdona, gli uo-mini perdonano a volte, la natura non perdona mai».

L’associazione Volver e tutti gli argenti-ni residenti in Italia perdono un amico, un referente importante: parte il Con-sole Generale dell’Argentina a Milano Ambasciatore Gustavo Moreno.Credo sia anche per il Consolato una perdita importante. Uomo di lungo cor-so, da 8 anni a Milano, a capo della De- legazione Consolare del Nord Italia comincia subito a tenere uno stretto contatto con la nostra associazione e in-sieme abbiamo realizzato tante cose, sia a livello sociale, risolvendo e aiutando parecchie situazioni difficili, che a li- vello culturale, diffondendo la nostra tradizione con spettacoli importanti co- me la Misa Criolla: quartiere Breda a Milano insieme all’associazione Pupi di Javier Zanetti, al Duomo di Milano, al

Duomo di Brescia ed al Teatro Grande di Brescia.Il suo carisma e la sua amicizia rimar-ranno in noi dell’Associazione che l’ab- biamo conosciuto e stimato per tanto tempo. Crediamo sia stato un degno rappresentante del nostro Paese e che abbia avvicinato alla gente comune un’istituzione molto importante come il Consolato per chi è lontano da casa.Nell’augurargli un ottimo futuro vo- gliamo ringraziarlo di tutto quanto ha fatto e condiviso con noi, con un ami-chevole:GRACIAS POR TODO “GUS”.Aspettiamo che il suo successore con-tinui con il dialogo e la vicinanza alla comunità argentina: caratteristica es-senziale per un Console.

Possiamo dire che già negli ultimi mesi la Console Aggiunta Daniela Jeaite si è distinta per impegno e iniziativa.Questo è un ottimo segnale di collab-orazione.

O.M.

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In basso a destra:Console Generale Argentino a Milano, Amb. Gustavo Moreno

Page 11: dicembre 2014 Periodico dell'Associazione Latinoamericana Volver · 2014. 12. 13. · dicembre 2014 Periodico dell'Associazione Latinoamericana Volver Associazione Latinoamericana

attualità attualità

Brasile: rielezione di Dilma Storia di un’immigrazioneCon l’eliminazione dai mondiali pro-prio in Brasile e le manifestazioni con-tro la sua politica economica e sociale tutto sembrava perso per Dilma: non bastavano le proteste e manifestazioni contro di lei per essersi dimenticata dei poveri, per aver speso miliardi in infra-strutture, per l’aumento del biglietto dell’autobus (mezzo molto popolare) e aver fatto poco o nulla per colmare le discriminazioni sociali fra chi ha tanto e chi ha poco o nulla.Questo enorme Paese con grandi con-flitti sociali, con grave corruzione, ha scelto ancora Dilma perché nonostante tutto lei ha dato ai ceti medi ed ai poveri una speranza di continuare la politica socio-economica intrapresa con Lula (Presidente del Brasile prima di Dilma).Dilma ha accettato la sfida, riconosciu-to gli errori commessi ed ha promesso maggiore equità, più giustizia sociale. Il Brasile, il più grande e ricco paese su-damericano ha l’onere e l’onore di trascinare in avanti l’intero continente; di rendere il suo popolo, la sua società più giusta per così essere un esempio per gli altri Paesi latinoamericani che cercano in un mondo di crisi, in una so-cietà di consumo “globalizzata”, in un sistema capitalistico in profonda crisi, senza regole, ciò che Dilma ha promes-so al Brasile.Le aspettative per questo secondo man-dato sono tante: il 51% dei voti è un segnale importante. Metà del suo popolo ha posto in lei una speranza , una continuità con il suo pre-decessore Lula, anche lui di estrazione socialista.La ex guerrigliera Dilma non ha potuto o voluto chiudere i conti con la storia, con i militari, golpisti e assassini che sono ancora nei punti nevralgici del sistema.Tante cose sono da fare, tante non com-piute, le sue promesse elettorali: giu- stizia sociale, sviluppo, lotta alla corru-zione devono essere compiute.Un Paese con più di 200 milioni di abi-tanti con un PIL di 200 miliardi di dol-lari, la più grande economia del Su-

damerica, il paese più popoloso, porta avanti una politica sociale che vuole, insieme all’Argentina ed al Venezuela, scrivere una nuova storia della “Patria Grande” da nord a sud. Questo è l’impegno che dovrà affrontare, da un dialogo costruttivo, da una vera pulizia anche nei suoi ministeri ed imprese pubbliche. Petrobas (compagnia petro-lifica statale) è solo uno degli esempi di corruzione da sanare.4 anni è un tempo sufficiente per realiz-zare il suo programma, nel suo partito guardano già al 2018 e pensano al ritor-no di Lula per continuare dopo più di 60 anni di governo militare e conservatore un nuovo cammino come si legge nella loro bandiera di progresso – per tutti.

O.M.

Raccontare la mia storia è raccontare la storia di tanti migranti che sono arrivati in Italia ma anche quella di tanti italiani che sono andati via. Arrivo da una pro-vincia molto ricca: Santa Fe’ in Argenti-na, città dove nasce la bandiera Argenti-na “Rosario” (il suo creatore un italiano di origine ligure, figlio di immigrati come me). Il mio bisnonno era di Castel Pagano (in provincia di Benevento). Abitavo in una città di 40.000 abitanti: Rojo Seco. Dall’anno 2000 è comincia-ta una grave crisi economica in tutta l’Argentina, erano momenti molto diffi-cili: persi il lavoro e non riuscii a trovar-ne un altro. Con una famiglia composta da tre figli piccoli (3, 9 e 11 anni), l’unica entrata per noi era data da un piccolo negozio di parrucchiera gestito da mia moglie. Senza l’aiuto dei miei genitori non ce l’avrei mai fatta. Ho cominciato a cercare delle possibilità di

lavoro alternative e così sono entrato in contatto con l’associazione Volver-Ri- tornare. Decisi così di provare questa possibilità da loro offertami e, insieme ad altri 11 argentini, nel febbraio del 2004 giunsi in Italia, a Brescia. Grazie all’associazione ci siamo trovati con un lavoro, una casa con l’affitto pagato e cosa più importante, una speranza.All’inizio per tutti noi è stato abbastan-za difficile, duro, ma con il trascorrere del tempo mi sono abituato a Brescia, ho sempre cercato di integrarmi e re-lazionarmi con gli altri, senza dimenti-care la mia terra, i miei genitori, i miei figli, mia moglie Nelida che dovette lot-tare anche lei da sola con tre bambini. A volte mi chiedevo se fosse stata la scelta giusta ma dopo pensavo che era l’unico modo per poter aiutare la mia famiglia anche se Maira, Nerea e Josè, i miei fi-gli, erano così lontani. Dopo un anno di solo e duro lavoro, ho avuto la fortuna di rientrare in Argentina per un periodo di vacanze e poter realizzare un altro cambiamento radicale portando tutta la mia famiglia in Italia. Subito compresi che non erano ancora pronti per partire insieme a me. Decisi così di restare con loro e cominciare da capo in Argentina. Bastarono 6 mesi per ripiombare, an-cora una volta, in una disastrosa situazi-one economica e sociale. Insieme alla mia famiglia decisi allora di ripartire ancora una volta, sempre da solo, per l’Italia con l’aggravante che questa vol-ta non avevo la certezza del lavoro e della casa, ma ero convinto di potercela fare anche se in Italia si cominciava a parlare di “crisi”. Arrivo in Italia e gra-zie ad un grande amico, Guillermo (anche lui macellaio argentino), che mi ospita a casa sua, mi stabilisco a Chiari (BS). Erano i primi giorni di ottobre del 2005, sempre con l’incertezza di aver fatto la cosa giusta. Per fortuna e grazie all’impegno dell’associazione Volver, dopo dieci giorni comincio a lavorare nella grande distribuzione con un con-tratto a tempo indeterminato, lavoro che conservo tutt’oggi. Anche se non è stato molto semplice decisi, con la mia fami-

glia, di farli venire a Brescia: una deci-sione molto complessa e difficile. Da una parte la gioia di ritrovarli, dall’altra il fatto di far cambiare ai miei figli, an-cora adolescenti, la loro vita in modo radicale. Una grande sfida che credo, sia mia moglie che i miei figli, abbiano superato studiando, conoscendo lingua e cultura italiane: in una parola integ-randosi completamente. Dopo un anno sono riuscito a portare in Italia i miei genitori per 6 mesi, dimostrando anche a loro la nostra situazione e le opportu-nità che Brescia ci stava dando. Da quel lontano febbraio 2004 sono passati più di dieci anni, con dolore las-ciai la mia terra ma, con un bilancio ad oggi che posso dire di non aver sbaglia-to.Sono nonno di un bellissimo bambino: Imano Pascual figlio di mia figlia mag-giore, sposata con Nicolas, un ragazzo argentino che conosceva già, anche lui stabilmente a Brescia. L’altra mia figlia è fidanzata con un ragazzo italiano. L’unico, per così dire dispiacere, e che mio figlio Josè , un paio di anni fa , ha deciso di ritornare a Rojo Seco in Ar-gentina.Essere arrivato a Brescia è stata solo una mera casualità e ringrazio di aver trovato una città che ci ha accolto, of-ferto possibilità di lavoro e sviluppo che purtroppo in Argentina non avrei avuto.Sono convinto che sia stata la decisione giusta per me e per la mia famiglia.Vorrei come ultima riflessione dire a tutte quelle persone che come me hanno lasciato la loro terra, di non perdere mai le speranze nelle loro possibilità e di non cancellare i loro sogni. Solo noi possiamo essere artefici del nostro des-tino, soprattutto se accompagnati dalle nostre famiglie.Abbraccio idealmente tutti quelli che hanno vissuto una storia simile o uguale alla mia.

Con affetto,Josè Luis Stefano.

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riflessioni attualitàPapa Francesco alla conferenza internazionale FAO Parte un amico«È doloroso constatare come la lotta contro la fame e la denutrizione sia os-tacolata dalla priorità del mercato e dal-la preminenza del guadagno, che hanno ridotto il cibo a una merce qualsiasi, soggetta a speculazione, anche finanzi-aria». Papa Francesco ha cominciato così il suo discorso alla seconda Con-ferenza Internazionale sulla nutrizione organizzata dalla Fao. Poco prima di entrare nella sala, il pontefice ha incon-trato brevemente la regina Letizia di Spagna, che aveva appena concluso il suo intervento. Il 13 dicembre, invece, riceverà in udienza il premier Matteo Renzi.Il discorso di Papa Francesco è stato pronunciato in spagnolo, preceduto a sua volta dal saluto del ministro per le Politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina, presidente della Conferenza, e dall'introduzione di Josè Graziano da Silva, direttore generale della Fao. «Oggi si parla molto di diritti, dimenti-cando spesso i doveri», ha osservato il Papa. «Forse ci siamo preoccupati trop-po poco di quanti soffrono la fame. E mentre si parla di nuovi diritti, l'affa- mato è lì, all'angolo della strada, e chie-de diritto di cittadinanza, di essere con-siderato nella sua condizione, di rice- vere una sana alimentazione di base. Ci chiede dignità, non elemosina».«La sfida che si deve affrontare è la mancanza di solidarietà. Le nostre soci-età sono caratterizzate da un crescente individualismo e dalla divisione. Ciò finisce col privare i più deboli di una vita degna e con il provocare rivolte contro le istituzioni», ha detto ancora il pontefice. «Quando manca la solidari-età in un Paese, ne risentono tutti. Di fatto, la solidarietà è l'atteggiamento che rende le persone capaci di andare incontro all'altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là delle differen-ze e dei limiti, e spinge a cercare in-sieme il bene comune».Agli Stati, «concepiti come comunità di persone e di popoli», ha detto Papa

Francesco, «viene chiesto di agire di comune accordo: una fonte inesauribile d'ispirazione è la legge naturale, iscritta nel cuore umano, che parla un linguag-gio che tutti possono capire: amore, gi-ustizia, pace, elementi inseparabili tra loro. Come le persone, anche gli Stati e le istituzioni internazionali sono chia-mati ad accogliere e a coltivare questi valori in uno spirito di dialogo e di as-colto reciproco. In tal modo, l'obiettivo di nutrire la famiglia umana diventa re-alizzabile».Secondo il pontefice, «ogni donna, uomo, bambino, anziano deve poter contare su queste garanzie dovunque. Ed è dovere di ogni Stato, attento al be-nessere dei suoi cittadini, sottoscriverle senza riserve, e preoccuparsi della loro applicazione. Ciò richiede perseveranza e sostegno. Sono criteri che, sul piano etico, si basano su pilastri come la veri-tà, la libertà, la giustizia e la solidarietà; allo stesso tempo, in campo giuridico, questi stessi criteri includono la relazi-one tra il diritto all'alimentazione e il diritto alla vita e a un'esistenza degna, il

diritto a essere tutelati dalla legge, non sempre vicina alla realtà di chi soffre la fame, e l'obbligo morale di condividere la ricchezza economica del mondo».Papa Francesco ha lanciato anche un forte appello per la difesa della «Madre Terra», e ha ammonito con un prover-bio che arriva dall'Argentina, suo luogo di nascita: «Dio sempre perdona, gli uo-mini perdonano a volte, la natura non perdona mai».

L’associazione Volver e tutti gli argenti-ni residenti in Italia perdono un amico, un referente importante: parte il Con-sole Generale dell’Argentina a Milano Ambasciatore Gustavo Moreno.Credo sia anche per il Consolato una perdita importante. Uomo di lungo cor-so, da 8 anni a Milano, a capo della De- legazione Consolare del Nord Italia comincia subito a tenere uno stretto contatto con la nostra associazione e in-sieme abbiamo realizzato tante cose, sia a livello sociale, risolvendo e aiutando parecchie situazioni difficili, che a li- vello culturale, diffondendo la nostra tradizione con spettacoli importanti co- me la Misa Criolla: quartiere Breda a Milano insieme all’associazione Pupi di Javier Zanetti, al Duomo di Milano, al

Duomo di Brescia ed al Teatro Grande di Brescia.Il suo carisma e la sua amicizia rimar-ranno in noi dell’Associazione che l’ab- biamo conosciuto e stimato per tanto tempo. Crediamo sia stato un degno rappresentante del nostro Paese e che abbia avvicinato alla gente comune un’istituzione molto importante come il Consolato per chi è lontano da casa.Nell’augurargli un ottimo futuro vo- gliamo ringraziarlo di tutto quanto ha fatto e condiviso con noi, con un ami-chevole:GRACIAS POR TODO “GUS”.Aspettiamo che il suo successore con-tinui con il dialogo e la vicinanza alla comunità argentina: caratteristica es-senziale per un Console.

Possiamo dire che già negli ultimi mesi la Console Aggiunta Daniela Jeaite si è distinta per impegno e iniziativa.Questo è un ottimo segnale di collab-orazione.

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In basso a destra:Console Generale Argentino a Milano, Amb. Gustavo Moreno

In basso a destra: il Console Generale Argenti-no a Milano, Amb. Gustavo Morenoqui in visita presso la ditta OMR di Brescia,(a sinistra il titolare Sig. Marco Bonometti)

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attualità culturaDesaparecidos italiani in sudamerica: processi a Roma

Cronaca di una magica serata al San Carlino di Brescia

L’inchiesta su quegli italiani spariti nel nulla tra gli anni ’70 e ’80 in Sudameri-ca è durata dieci anni. Oggi 21 esponen-ti delle giunte militari e dei servizi di si-curezza di Bolivia, Cile, Perù ed Uru-guay dovranno rispondere della morte di 23 persone davanti ai giudici della III corte d’Assise di Roma. Il gup di Roma Alessandro Arturi ha rinviato gli impu-tati a giudizio per omicidio plurimo ag-gravato e sequestro di persona. La pri-ma udienza si terrà il 12 febbraio 2015. È caduto, per un vizio di procedibilità, il reato di strage ed è stata stralciata la posizione di altri nove indagati, già pro-cessati e condannati nei loro paesi d’origine, con trasmissione degli atti al ministero della Giustizia per valutare se debbano o meno essere giudicati in Ita-lia.La chiusura dell’inchiesta, sulle attività

di repressione degli oppositori che av-vennero all’interno del cosiddetto Piano Condor, risale a quasi quattro anni e ri-guardava 140 persone (tra le quali an-che 59 argentini, 11 brasiliani e 6 para-guayani) ma problemi burocratici legati alla notifica e la morte di numerosi es-ponenti delle giunte militari hanno fatto scendere il numero dei soggetti a rischio processo. Quando fu chiesto il rinvio a giudizio, tra gli imputati figu-ravano i nomi dell’ex ministro dell’In- terno boliviano Luis Gomez Arce, l’ex premier peruviano Pedro Richter Prada, l’ex capo dei servizi segreti cileni Juan Manuel Contreras, il generale Francis-co Morales Bermudez, per cinque anni presidente del Perù, gli ex dittatori uru-guayani Juan Maria Bordaberry e Gre-gorio Conrado Alvarez Armellino e l’ex ministro delle relazioni estere Juan Car-

los Blanco.Il primo caso di ‘desaparecido’ contem-plato nel procedimento romano, piut-tosto anomalo rispetto agli altri perché avvenuto prima dell’insediamento della giunta militare in Argentina, è quello le-gato all’uccisione di Alvaro Daniel Banfi, sequestrato in Argentina il 12 settembre del 1974 e morto un mese e mezzo dopo. L’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giancarlo Capal-do, nel dicembre del 2007, portò all’emissione di circa 140 richieste di custodia cautelari di cui solo una fu ese- guita nei confronti dell’uruguayano Nestor Jorge Fernandez Troccoli, 63 anni, già esponente dei servizi segreti della marina accusato della morte di sei italiani.

Fonte IL Fatto Quotidiano

Brescia, 29 Novembre 2014

Un Teatro completamente esaurito in goni ordine di posto (chiediamo scusa a chi non è potuto entrare): un emozi-one palpabile in sala con i canti della Misa Criolla di Ariel Ramirez diretta dal Maestro Maximiliano Baños (canto e direzione), interpretata da Luciana Elizondo (canto e viola), Leonardo Moreno (canto e percussione), Lorenzo Colace (chitarra), Mariano Speranza (pianoforte), Angel Galzerano (cha- rango) e cantata dal coro ALA Cremo-na di Cremona.Le emozioni si susseguono in un cre-scendo, sotto la voce ed i racconti di Elena Bettinetti che, con maestrìa, fa “rivivere” la poesia del tango. L’apice arriva quando sul palco i ballerini Monica Biasin e Riccardo Ongari (vice campioni europei di tango), si esibisco-no ballando vecchi tanghi accompag-nati da Enzo Santoro al flauto traverso, Sergio Lussignoli al bandoneòn e An-gel Galzerano alla chitarra in “Milonda de invierno” composta dallo stesso An-gel Galzerano.

E’ stata la sintesi tra folklore argentino, tango, cultura ed integrazione che l’As- sociazione Volver ha voluto reg-alare alla cittadinanza bresciana, con-vinti che conoscere la cultura e le radi-ci degli alttri ci fa crescere ed arricchire.Con il saluto emozionato della Console Argentina Daniela Jaite che ha sot-tolineato la vicinanza tra Italia e Ar-gentina e con il saluto del Presidente dell’associazione Volver Osvaldo Mol-lo si è conclusa la serata.

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In alto a sinistra: Osvaldo Mollo, Presidente dell’associazione Volver.

progetti attualitàChi è il torturatore uruguayano Nestor Troccoli?La doppia vita del pensionato che tor-turava i desaparecidos. Fuggito in Italia dall’Uruguay, la procura di Roma chie-de il processo.

I generali Pinochet e Videla: negli anni 70 diedero vita al cosiddetto «piano Condor» per sterminare gli oppositori politici: il «torturatore» è accusato di aver preso parte all’operazione.Tutti qui lo chiamano semplicemente George, all’americana. Come George Clooney. «George vive per il suo cane, un vecchio bassotto quasi cieco». «George prende la granita al bar Bella Marina». «Qualche anno fa, George aveva messo su un’attività per affittare motorini ai turisti. Ma adesso si gode la pensione da ufficiale». Il ritratto della mitezza senile. Il prob-lema è che per la procura di Roma, Jorge Néstor Fernandéz Troccoli, detto alla sudamericana, in realtà ha un altro soprannome: «il torturatore». Sta per essere rinviato a giudizio per strage,

omicidio e sequestro di persona. Dal 1976 ha militato nel Fusna, un servizio di intelligence della Marina dell’Uru- guay. Come tenente colonnello, ha preso par-te allo cosiddetta operazione Condor. La sistematica repressione di qualsiasi forma di opposizione politica. Molte vittime di quell’epoca avevano anche cittadinanza italiana. Ed è per questo che «George» Troccoli è stato raggiunto anche qui da un avviso di chiusura in-dagine. Il documento, firmato dal pm Giancarlo Capaldo, è datato 23 luglio 2014. La Storia è venuta a bussare in Cilento, in questo pezzo di paradiso italiano consacrato al turismo. «Mi dichiaro innocente, non accetto le accuse». C’è un solo verbale di Troccoli depositato agli atti. Sono 24 pagine. «Non sapevo del piano Condor - dice - facevo quello che mi chiedeva il mio comandante...». Le torture? «Io ero a conoscenza che nelle forze armate si torturava. Lo sapevo, come lo sapevano

tutti. La tortura era un procedimento normale presso il Fusna. Consisteva nel tenere i prigionieri parecchie ore in pie-di, con il cappuccio, senza bere e senza mangiare. Ma torturare sadicamente e perversamente, no. Una condizione di rigore...». Non era una «condizione di rigore», secondo gli investigatori italiani. Venti-sette vittime. Sei persone sequestrate e uccise. Fatti terribili come questo: «Per aver recluso e torturato Aida Celia San Fernandez, applicandole la picana elet- trica, anche mediante l’intrusione in va-gina di un cucchiaio che le provocava il parto prematuro della figlia Maria de las Mercedes Carmen Gallo, nata nel corso della prigionia il 27 dicembre 1977». Rapivano sindacalisti, picchiavano op-positori, torturavano per estorcere in-formazioni. «Occultavano cadaveri» scaricando in mare uomini ancora vivi, giù dagli aerei dell’esercito. Centoquar-antasei nomi sotto accusa. Dittatori già morti, come Pinochet e Videla. Ufficiali e soldati. Molti latitanti. Tutti al lavoro alla spaventosa fabbrica dei desapareci-dos. L’unico indagato con passaporto Italiano è il tenente colonnello Troccoli. «Sono venuto in Italia perché a Monte-video era iniziato il processo - mette a verbale - il mio avvocato mi ha detto che non c’erano garanzie. Inoltre avevo ricevuto minacce...». Rischiava l’ergastolo. Sperava di trova-re riparo qui. A Marina di Camerota un residente su quattro ha origini sudamericane. Il te-nente Troccoli venne la prima volta il 10 agosto del 1995. Quel giorno si inau-gurava il restauro del Leone di Caprera, una goletta di nove metri su cui nel 1880 tre navigatori italiani avevano portato a termine l’attraversata dell’oceano. Dall’Uruguay all’Italia. I tre si chiamavamo Vincenzo Fondaca-ro, Orlando Grassoni e Pietro Troccoli: il bisnonno di quello che sarebbe diven-tato «il torturatore».

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Volver e il Comune di Brescia:un progetto importante“E’ nato 2 anni fa come un sogno il pro-getto “Raddoppia la Solidarietà”: una formula per dare al territorio di Brescia e della Lombardia un contributo attra-verso i Servizi Sociali. Un’associazione che mette a dispo-sizione risorse proprie offrendole al Comune tramite i Servizi Sociali, per dare aiuto a famiglie in difficoltà: fami-glie da loro seguite e da loro segnalate; cercando anche di coinvolgere i super- mercati del territorio.Alla definizione dei Buoni Spesa parte-cipano i Servizi Sociali del Comune insieme a noi, insieme ai supermercati, mettendo ognuno una quota parte in denaro che arriverà poi in buoni spesa alle famiglie.Tanti Comuni hanno condiviso il Pro-getto, pochi per la verità, non hanno sentito il bisogno di aderire. Oggi l’accordo è stato siglato con il Comune di Brescia. Più di 10.000 € di buoni spesa divisi sul comune, secondo le segnalazioni dei loro servizi sociali. Il comune si impegna per il 50% dell’intera cifra e l’altro 50% lo copre l’associazione Volver, sperando di otte-nere e di coinvolgere i supermercati dei diversi quartieri per far salire questa cifra in modo da poter aumentare il numero di famiglie da aiutare.Di questi tempi non è semplice racco-gliere fondi per progetti ed iniziative.Noi fino ad oggi siamo riusciti a farlo grazie a tutta la gente che partecipa principalmente alla Fiesta Argentina (ogni anno a Maggio), che ci permette di raccogliere i fondi utilizzati in ogni nostra iniziativa e intervento. Grazie ai volontari, veri volontari, che mettono tempo, dedizione e qualche volta soldi propri per le spese.Da un incontro con il Sindaco di Bres-cia Dott. Emilio Del Bono ai primi di marzo 2014 nel quale venne illustrato il progetto partì l’idea di realizzarlo anche a Brescia.Il Sindaco Del Bono si adoperò subito per coordinare tempi e modi per realiz-zare quanto prima questa nostra inizia-tiva la quale sorprese in maniera posi-

tiva sia lui che i suoi Assessori e tante altre amministrazioni alle quali abbi-amo sottoposto il nostro progetto: non eravamo lì per chiedere ma per dare; merce rara di questi tempi!

O.M.

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attualità culturaDesaparecidos italiani in sudamerica: processi a Roma

Cronaca di una magica serata al San Carlino di Brescia

L’inchiesta su quegli italiani spariti nel nulla tra gli anni ’70 e ’80 in Sudameri-ca è durata dieci anni. Oggi 21 esponen-ti delle giunte militari e dei servizi di si-curezza di Bolivia, Cile, Perù ed Uru-guay dovranno rispondere della morte di 23 persone davanti ai giudici della III corte d’Assise di Roma. Il gup di Roma Alessandro Arturi ha rinviato gli impu-tati a giudizio per omicidio plurimo ag-gravato e sequestro di persona. La pri-ma udienza si terrà il 12 febbraio 2015. È caduto, per un vizio di procedibilità, il reato di strage ed è stata stralciata la posizione di altri nove indagati, già pro-cessati e condannati nei loro paesi d’origine, con trasmissione degli atti al ministero della Giustizia per valutare se debbano o meno essere giudicati in Ita-lia.La chiusura dell’inchiesta, sulle attività

di repressione degli oppositori che av-vennero all’interno del cosiddetto Piano Condor, risale a quasi quattro anni e ri-guardava 140 persone (tra le quali an-che 59 argentini, 11 brasiliani e 6 para-guayani) ma problemi burocratici legati alla notifica e la morte di numerosi es-ponenti delle giunte militari hanno fatto scendere il numero dei soggetti a rischio processo. Quando fu chiesto il rinvio a giudizio, tra gli imputati figu-ravano i nomi dell’ex ministro dell’In- terno boliviano Luis Gomez Arce, l’ex premier peruviano Pedro Richter Prada, l’ex capo dei servizi segreti cileni Juan Manuel Contreras, il generale Francis-co Morales Bermudez, per cinque anni presidente del Perù, gli ex dittatori uru-guayani Juan Maria Bordaberry e Gre-gorio Conrado Alvarez Armellino e l’ex ministro delle relazioni estere Juan Car-

los Blanco.Il primo caso di ‘desaparecido’ contem-plato nel procedimento romano, piut-tosto anomalo rispetto agli altri perché avvenuto prima dell’insediamento della giunta militare in Argentina, è quello le-gato all’uccisione di Alvaro Daniel Banfi, sequestrato in Argentina il 12 settembre del 1974 e morto un mese e mezzo dopo. L’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giancarlo Capal-do, nel dicembre del 2007, portò all’emissione di circa 140 richieste di custodia cautelari di cui solo una fu ese- guita nei confronti dell’uruguayano Nestor Jorge Fernandez Troccoli, 63 anni, già esponente dei servizi segreti della marina accusato della morte di sei italiani.

Fonte IL Fatto Quotidiano

Brescia, 29 Novembre 2014

Un Teatro completamente esaurito in goni ordine di posto (chiediamo scusa a chi non è potuto entrare): un emozi-one palpabile in sala con i canti della Misa Criolla di Ariel Ramirez diretta dal Maestro Maximiliano Baños (canto e direzione), interpretata da Luciana Elizondo (canto e viola), Leonardo Moreno (canto e percussione), Lorenzo Colace (chitarra), Mariano Speranza (pianoforte), Angel Galzerano (cha- rango) e cantata dal coro ALA Cremo-na di Cremona.Le emozioni si susseguono in un cre-scendo, sotto la voce ed i racconti di Elena Bettinetti che, con maestrìa, fa “rivivere” la poesia del tango. L’apice arriva quando sul palco i ballerini Monica Biasin e Riccardo Ongari (vice campioni europei di tango), si esibisco-no ballando vecchi tanghi accompag-nati da Enzo Santoro al flauto traverso, Sergio Lussignoli al bandoneòn e An-gel Galzerano alla chitarra in “Milonda de invierno” composta dallo stesso An-gel Galzerano.

E’ stata la sintesi tra folklore argentino, tango, cultura ed integrazione che l’As- sociazione Volver ha voluto reg-alare alla cittadinanza bresciana, con-vinti che conoscere la cultura e le radi-ci degli alttri ci fa crescere ed arricchire.Con il saluto emozionato della Console Argentina Daniela Jaite che ha sot-tolineato la vicinanza tra Italia e Ar-gentina e con il saluto del Presidente dell’associazione Volver Osvaldo Mol-lo si è conclusa la serata.

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In alto a sinistra: Osvaldo Mollo, Presidente dell’associazione Volver.

progetti attualitàChi è il torturatore uruguayano Nestor Troccoli?La doppia vita del pensionato che tor-turava i desaparecidos. Fuggito in Italia dall’Uruguay, la procura di Roma chie-de il processo.

I generali Pinochet e Videla: negli anni 70 diedero vita al cosiddetto «piano Condor» per sterminare gli oppositori politici: il «torturatore» è accusato di aver preso parte all’operazione.Tutti qui lo chiamano semplicemente George, all’americana. Come George Clooney. «George vive per il suo cane, un vecchio bassotto quasi cieco». «George prende la granita al bar Bella Marina». «Qualche anno fa, George aveva messo su un’attività per affittare motorini ai turisti. Ma adesso si gode la pensione da ufficiale». Il ritratto della mitezza senile. Il prob-lema è che per la procura di Roma, Jorge Néstor Fernandéz Troccoli, detto alla sudamericana, in realtà ha un altro soprannome: «il torturatore». Sta per essere rinviato a giudizio per strage,

omicidio e sequestro di persona. Dal 1976 ha militato nel Fusna, un servizio di intelligence della Marina dell’Uru- guay. Come tenente colonnello, ha preso par-te allo cosiddetta operazione Condor. La sistematica repressione di qualsiasi forma di opposizione politica. Molte vittime di quell’epoca avevano anche cittadinanza italiana. Ed è per questo che «George» Troccoli è stato raggiunto anche qui da un avviso di chiusura in-dagine. Il documento, firmato dal pm Giancarlo Capaldo, è datato 23 luglio 2014. La Storia è venuta a bussare in Cilento, in questo pezzo di paradiso italiano consacrato al turismo. «Mi dichiaro innocente, non accetto le accuse». C’è un solo verbale di Troccoli depositato agli atti. Sono 24 pagine. «Non sapevo del piano Condor - dice - facevo quello che mi chiedeva il mio comandante...». Le torture? «Io ero a conoscenza che nelle forze armate si torturava. Lo sapevo, come lo sapevano

tutti. La tortura era un procedimento normale presso il Fusna. Consisteva nel tenere i prigionieri parecchie ore in pie-di, con il cappuccio, senza bere e senza mangiare. Ma torturare sadicamente e perversamente, no. Una condizione di rigore...». Non era una «condizione di rigore», secondo gli investigatori italiani. Venti-sette vittime. Sei persone sequestrate e uccise. Fatti terribili come questo: «Per aver recluso e torturato Aida Celia San Fernandez, applicandole la picana elet- trica, anche mediante l’intrusione in va-gina di un cucchiaio che le provocava il parto prematuro della figlia Maria de las Mercedes Carmen Gallo, nata nel corso della prigionia il 27 dicembre 1977». Rapivano sindacalisti, picchiavano op-positori, torturavano per estorcere in-formazioni. «Occultavano cadaveri» scaricando in mare uomini ancora vivi, giù dagli aerei dell’esercito. Centoquar-antasei nomi sotto accusa. Dittatori già morti, come Pinochet e Videla. Ufficiali e soldati. Molti latitanti. Tutti al lavoro alla spaventosa fabbrica dei desapareci-dos. L’unico indagato con passaporto Italiano è il tenente colonnello Troccoli. «Sono venuto in Italia perché a Monte-video era iniziato il processo - mette a verbale - il mio avvocato mi ha detto che non c’erano garanzie. Inoltre avevo ricevuto minacce...». Rischiava l’ergastolo. Sperava di trova-re riparo qui. A Marina di Camerota un residente su quattro ha origini sudamericane. Il te-nente Troccoli venne la prima volta il 10 agosto del 1995. Quel giorno si inau-gurava il restauro del Leone di Caprera, una goletta di nove metri su cui nel 1880 tre navigatori italiani avevano portato a termine l’attraversata dell’oceano. Dall’Uruguay all’Italia. I tre si chiamavamo Vincenzo Fondaca-ro, Orlando Grassoni e Pietro Troccoli: il bisnonno di quello che sarebbe diven-tato «il torturatore».

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Volver e il Comune di Brescia:un progetto importante“E’ nato 2 anni fa come un sogno il pro-getto “Raddoppia la Solidarietà”: una formula per dare al territorio di Brescia e della Lombardia un contributo attra-verso i Servizi Sociali. Un’associazione che mette a dispo-sizione risorse proprie offrendole al Comune tramite i Servizi Sociali, per dare aiuto a famiglie in difficoltà: fami-glie da loro seguite e da loro segnalate; cercando anche di coinvolgere i super- mercati del territorio.Alla definizione dei Buoni Spesa parte-cipano i Servizi Sociali del Comune insieme a noi, insieme ai supermercati, mettendo ognuno una quota parte in denaro che arriverà poi in buoni spesa alle famiglie.Tanti Comuni hanno condiviso il Pro-getto, pochi per la verità, non hanno sentito il bisogno di aderire. Oggi l’accordo è stato siglato con il Comune di Brescia. Più di 10.000 € di buoni spesa divisi sul comune, secondo le segnalazioni dei loro servizi sociali. Il comune si impegna per il 50% dell’intera cifra e l’altro 50% lo copre l’associazione Volver, sperando di otte-nere e di coinvolgere i supermercati dei diversi quartieri per far salire questa cifra in modo da poter aumentare il numero di famiglie da aiutare.Di questi tempi non è semplice racco-gliere fondi per progetti ed iniziative.Noi fino ad oggi siamo riusciti a farlo grazie a tutta la gente che partecipa principalmente alla Fiesta Argentina (ogni anno a Maggio), che ci permette di raccogliere i fondi utilizzati in ogni nostra iniziativa e intervento. Grazie ai volontari, veri volontari, che mettono tempo, dedizione e qualche volta soldi propri per le spese.Da un incontro con il Sindaco di Bres-cia Dott. Emilio Del Bono ai primi di marzo 2014 nel quale venne illustrato il progetto partì l’idea di realizzarlo anche a Brescia.Il Sindaco Del Bono si adoperò subito per coordinare tempi e modi per realiz-zare quanto prima questa nostra inizia-tiva la quale sorprese in maniera posi-

tiva sia lui che i suoi Assessori e tante altre amministrazioni alle quali abbi-amo sottoposto il nostro progetto: non eravamo lì per chiedere ma per dare; merce rara di questi tempi!

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auguri

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progetti

Un anno positivo!Vogliamo iniziare così il racconto di quest’anno che arriva al termine: POSI-TIVO.Per quanto l’associazione ha potuto fare: grazie, ancora una volta, all’aiuto dei suoi volontari, che si sono impe-gnati per realizzare ogni progetto. Soprattutto grazie per l’impegno nella

“Fiesta Argentina”, fonte principale se non uni- ca dei fondi destinati agli interventi sociali, che ogni anno purtroppo aumen-tano perché aumentano le famiglie in difficoltà e i disagi. La coperta della so-lidarietà diventa purtroppo corta. Corta ma calda.I nostri progetti principali:

“Raddoppia la Solidarietà”, rivolta ai servizi Sociali dei diversi Comuni sta ottenendo una grande partecipazione. I Buoni Spesa per le famiglie segnalate dai Servizi Sociali di ogni Comune saranno forse una goccia in un mare di necessità ma servono a far sentire meno soli e abbandonati, che è la peggior cosa che una famiglia possa sentire nel momento di difficoltà.Durante il 2014 diverse famiglie italo argentine sono rientrate in Argentina: abbiamo dato loro una mano per il rien-tro sia a livello burocratico che logistico chiedendo aiuto anche ai loro Comuni di residenza. Qualcuna di queste famiglie ci ha contat-tato direttamente mentre altre ci sono

state segnalate dal Consolato Argentino di Milano.Insieme al Console Onorario della Bolivia, Dott. Giuseppe Crippa abbi-amo assistito una famiglia con disagi oltre alle tante persone e famiglie che ci hanno interpellato per i più svariati motivi.Continua il nostro sostegno alla Casa di Accoglienza per Bambini di Strada a Buenos Aires in Argentina.Collaboriamo con diversi centri di rac-colta per dare in forma gratuita a chi ne ha bisogno: mobili, abiti, carrozzine per bambini, computer, stampanti e quanto altro possiamo raccogliere. Crediamo in quanto facciamo e fac-ciamo quanto possiamo per rendere armoniosa la permanenza in Italia di chi ha dovuto lasciare per diversi motivi la sua terra.Con l’augurio di poter continuare questa, che noi sentiamo come una mis-sione, e di poterlo fare in modo ancora più capillare, auguriamo a tutti Felici Feste e un 2015 che ci porti una spe-ranza, una promessa in più per rendere questa nostra società più giusta e meno egoista.

FELICIDADES PARA TODOS DE CORAZON.

L’Associazione Volver

2

EditorialeIl Pepe se ne va - p3

CulturaCronaca di una magica serata al San Carlino di Brescia - p5

AttualitàStoria di un’immigrazione - p7Brasile: rielezione di Dilma - p10Parte un amico - p11Desaparecidos italiani in sudamerica. Processi a Roma - p12Chi è il torturatore uruguayano Nestor Troccoli? - p12

ProgettiUn anno positivo - p2Volver e il Comune di Brescia: un progetto importante - p 4

RiflessioniPapa Francesco alla conferenza internazionale FAO - p4Perché all’Italia conviene rimanere nella UE - p8Cosa sono i fondi BUITRES - p9

Indice

Direz. Edit.: Ass. VOLVERDir. Resp.: Abramo Scalmana

Typo: Grafica Sette - Bagnolo Mella Visual: [email protected]

via Tosio, 14 - 25100 Bresciatel. 0303582118 - [email protected]

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Via B. Castelli, 3825020 Flero (Brescia)Tel. / Fax. 030 3582118

www.disinfestazionebrescia.it

attualità editoriale

Il Pepe se ne va>>>

Ecco perché «George» era lì in prima fila, con la divisa blu della Marina e gli occhiali da sole. Forse è stato in quel momento che ha iniziato a progettare la sua seconda vita. Di certo, quando in Uruguay gli hanno ritirato il passaporto per impedirgli la fuga durante il proces-so, lui aveva già in tasca il passaporto italiano. «Una mattina mi chiama da una cabina telefonica - ricorda il cugino Orlando Troccoli - novembre del 2008. Mi dice: “Vengo a vivere al paese”. All’inizio, l’ho aiutato. Ma presto abbiamo litiga-to. Perché lui voleva riprendersi la med-aglia d’oro in onore del grande naviga-tore, che io aveva ritenuto giusto affi-dare al Comune». Sette anni di indagini. «Il torturatore» è stato anche in carcere al Regina Coeli. Ma quasi nessuno se ne è accorto. «Se ha dei guai, noi non li conosciamo» dicono al bar Bella Mari-na. L’avvocato Adolfo Domingo Scara-no ha dedicato moltissime energie a questa causa: «George è l’unico che ab-bia ammesso il contesto di quell’epoca - dice - l’hanno preso di mira. Mi pare un Cristo in croce. Era solo un giovane te-nente. Riferiva ai superiori». Oggi George il torturatore ha 66 anni. Ha presentato domanda per avere la pensione anche in Italia. Si è fatto rag-giungere dalla moglie Betina, commes-

sa in un boutique del porto. Infine, ha affittato una casetta in via Luigi Mazzeo, dove ha vissuto come un uomo qualunque. Eccoci qui, davanti alla sua porta: nessun nome sul citofono. «È un po’ che non lo vediamo», dice il vicino. Quando era in Uruguay, Trocco-li aveva scritto un libro intitolato «L’ira del Levietano», dedicato ai «compagni camerati». Ragionava sui massimi sistemi, stando alla larga da tutte quelle vite strappate via. Poi aveva detto: «Non parlerò mai più». A nessuno ha confidato il suo nuovo indirizzo. Alla fine, riusciamo a rintracciarlo. Vive a Battipaglia, 20 chilometri a sud di Salerno. Risponde al telefono con voce catacombale: «Dimenticatevi di me. Anzi, consideratemi morto».

Niccolò Zancan (La Stampa)

Persino da quelli che lo odiano, perché sanno che col suo esempio saranno costretti a fare i conti negli anni a venire. Chiunque sia mai andato a trovarlo è uscito con quella faccia un po’ così… che abbiamo tutti dopo aver conosciuto un essere umano irripetibile. Il Tupamaro imprigionato per tredici anni in una cella dalle dimensioni di una bara. Nove buchi di pallottole in corpo. I segni indelebili della tortura subita negli anni più neri di una repubblica tas-cabile, ora finalmente tornata a splen-dere, sulle sponde del fiume “grande come mare”. Quel piccoletto che, come racconta un suo compagno di prigionia, sfidava una notte un militare – famoso torturatore – a entrare da solo nella cella con lui, a misurarsi da “uomo a uomo”. Il contadino collerico e sgrammaticato, tenero e pragmatico, capace di intessere superbe utopie, che non sognò mai di trasformarsi in un nuovo dio, ma provò, giorno dopo giorno, a diventare un uomo migliore. “Sa… ho passato tanto di quel tempo da solo, in galera, a pensare…” - rispon- deva una volta a una domanda sul suo concetto di felicità. “Quegli anni di so- litudine furono probabilmente quelli che più mi hanno insegnato. Sono stato più di sette anni senza poter leggere un libro. Dovetti ripensare tutto quanto e imparare a galoppare verso le mie ori- gini, in fondo a me stesso, per non diventare pazzo. (…) Faceva freddo, se per caso mi but-tavano un materasso per poter cori-carmi, in quel momento ero felice. C’è gente che si riempie di cose pensando di poter in questo modo raggiungere la felicità. Compera, compera e continua a comperare. Io ho scoperto che la felicità è fatta di cose semplici, e che se non la portiamo dentro nulla ce la potrà mai procurare”. La biografia di Pepe Mujica coincide con la storia recente di un continente bistrattato. Quella del secolo delle grandi rivolu-

zioni, che spesso grandi non furono. Non perché non fossero validi i loro propositi, ma semplicemente perché alle volte erano, appunto, troppo vasti. Dalle quali nacquero - continuano a nascere - quelle piccole, più a portata d’uomo, destinate a germogliare alle volte in solitudine. La seconda rivoluzione del Pepe è cominciata sul suo cortile di casa, nel proprio esempio, nel personale modo di concepire l’esistenza, l’amicizia, il rap-porto con i propri simili , la compagna, la filosofia intorno a una povertà che povera non è, il senso della dignità in ogni essere vivente, l’ambiente che ci contiene e ci dà vita. Da essa sono nate leggi che da alcune latitudini vengono guardate con ammi-razione. Da altre con crescente inqui-etudine. “Un Don Chisciotte travestito da San-cho Panza”, lo definisce Daniel Vidart, suo amico, antropologo, scrittore, acca-demico. Un uomo felicemente comune che possiede, per fortuna, il meno comune dei sensi: il senso comune. Non è un saggio, afferma, è un uomo che vuole sapere. Il Pepe se ne va? Per favore, non fateci caso. Il Presidente continuerà a vivere là, dove ha sempre fatto, nella sua fattoria di Rincòn del Cerro, a Montevideo, Uruguay. 40 rag-azzi, tra quelli cosiddetti “disadattati” andranno a vivere con lui, a imparare i mestieri della terra. “I figli di nessuno”. Chissà che tra loro non ci sia il futuro presidente di un popolo che non smette mai di stupire. Io non mi stupirei.

Milton Fernàndez

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Il Pepe se ne va. Dalla porta grande anche se, scom-metto, a lui sarebbe piaciuto uscire dal retro, in punta di piedi. Tra pochi giorni un ballottaggio ormai scontato passerà il volante nelle mani di un altro candi-dato della stessa coalizione, quel Frente Amplio che racchiude il mondo varie-gato della sinistra uruguaiana. Le leggi del paese non consentono due mandati consecutivi. E tra cinque anni, sarebbe troppo in là con l’età per ripren-dersi quel posto, ammesso che volesse farlo. Se ne va come vorrebbero farlo tutti i governanti della terra. A testa alta. Al massimo della sua popolarità. Ammi-rato dal mondo intero. Persino da quelli che un po’ se ne vergognano, perché capiscono che non potranno mai pro- mettere di somigliargli.

In basso:Jorge Néstor Fernandéz Troccoli

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progetti

Un anno positivo!Vogliamo iniziare così il racconto di quest’anno che arriva al termine: POSI-TIVO.Per quanto l’associazione ha potuto fare: grazie, ancora una volta, all’aiuto dei suoi volontari, che si sono impe-gnati per realizzare ogni progetto. Soprattutto grazie per l’impegno nella

“Fiesta Argentina”, fonte principale se non uni- ca dei fondi destinati agli interventi sociali, che ogni anno purtroppo aumen-tano perché aumentano le famiglie in difficoltà e i disagi. La coperta della so-lidarietà diventa purtroppo corta. Corta ma calda.I nostri progetti principali:

“Raddoppia la Solidarietà”, rivolta ai servizi Sociali dei diversi Comuni sta ottenendo una grande partecipazione. I Buoni Spesa per le famiglie segnalate dai Servizi Sociali di ogni Comune saranno forse una goccia in un mare di necessità ma servono a far sentire meno soli e abbandonati, che è la peggior cosa che una famiglia possa sentire nel momento di difficoltà.Durante il 2014 diverse famiglie italo argentine sono rientrate in Argentina: abbiamo dato loro una mano per il rien-tro sia a livello burocratico che logistico chiedendo aiuto anche ai loro Comuni di residenza. Qualcuna di queste famiglie ci ha contat-tato direttamente mentre altre ci sono

state segnalate dal Consolato Argentino di Milano.Insieme al Console Onorario della Bolivia, Dott. Giuseppe Crippa abbi-amo assistito una famiglia con disagi oltre alle tante persone e famiglie che ci hanno interpellato per i più svariati motivi.Continua il nostro sostegno alla Casa di Accoglienza per Bambini di Strada a Buenos Aires in Argentina.Collaboriamo con diversi centri di rac-colta per dare in forma gratuita a chi ne ha bisogno: mobili, abiti, carrozzine per bambini, computer, stampanti e quanto altro possiamo raccogliere. Crediamo in quanto facciamo e fac-ciamo quanto possiamo per rendere armoniosa la permanenza in Italia di chi ha dovuto lasciare per diversi motivi la sua terra.Con l’augurio di poter continuare questa, che noi sentiamo come una mis-sione, e di poterlo fare in modo ancora più capillare, auguriamo a tutti Felici Feste e un 2015 che ci porti una spe-ranza, una promessa in più per rendere questa nostra società più giusta e meno egoista.

FELICIDADES PARA TODOS DE CORAZON.

L’Associazione Volver

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CulturaCronaca di una magica serata al San Carlino di Brescia - p5

AttualitàStoria di un’immigrazione - p7Brasile: rielezione di Dilma - p10Parte un amico - p11Desaparecidos italiani in sudamerica. Processi a Roma - p12Chi è il torturatore uruguayano Nestor Troccoli? - p12

ProgettiUn anno positivo - p2Volver e il Comune di Brescia: un progetto importante - p 4

RiflessioniPapa Francesco alla conferenza internazionale FAO - p4Perché all’Italia conviene rimanere nella UE - p8Cosa sono i fondi BUITRES - p9

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Direz. Edit.: Ass. VOLVERDir. Resp.: Abramo Scalmana

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Il Pepe se ne va>>>

Ecco perché «George» era lì in prima fila, con la divisa blu della Marina e gli occhiali da sole. Forse è stato in quel momento che ha iniziato a progettare la sua seconda vita. Di certo, quando in Uruguay gli hanno ritirato il passaporto per impedirgli la fuga durante il proces-so, lui aveva già in tasca il passaporto italiano. «Una mattina mi chiama da una cabina telefonica - ricorda il cugino Orlando Troccoli - novembre del 2008. Mi dice: “Vengo a vivere al paese”. All’inizio, l’ho aiutato. Ma presto abbiamo litiga-to. Perché lui voleva riprendersi la med-aglia d’oro in onore del grande naviga-tore, che io aveva ritenuto giusto affi-dare al Comune». Sette anni di indagini. «Il torturatore» è stato anche in carcere al Regina Coeli. Ma quasi nessuno se ne è accorto. «Se ha dei guai, noi non li conosciamo» dicono al bar Bella Mari-na. L’avvocato Adolfo Domingo Scara-no ha dedicato moltissime energie a questa causa: «George è l’unico che ab-bia ammesso il contesto di quell’epoca - dice - l’hanno preso di mira. Mi pare un Cristo in croce. Era solo un giovane te-nente. Riferiva ai superiori». Oggi George il torturatore ha 66 anni. Ha presentato domanda per avere la pensione anche in Italia. Si è fatto rag-giungere dalla moglie Betina, commes-

sa in un boutique del porto. Infine, ha affittato una casetta in via Luigi Mazzeo, dove ha vissuto come un uomo qualunque. Eccoci qui, davanti alla sua porta: nessun nome sul citofono. «È un po’ che non lo vediamo», dice il vicino. Quando era in Uruguay, Trocco-li aveva scritto un libro intitolato «L’ira del Levietano», dedicato ai «compagni camerati». Ragionava sui massimi sistemi, stando alla larga da tutte quelle vite strappate via. Poi aveva detto: «Non parlerò mai più». A nessuno ha confidato il suo nuovo indirizzo. Alla fine, riusciamo a rintracciarlo. Vive a Battipaglia, 20 chilometri a sud di Salerno. Risponde al telefono con voce catacombale: «Dimenticatevi di me. Anzi, consideratemi morto».

Niccolò Zancan (La Stampa)

Persino da quelli che lo odiano, perché sanno che col suo esempio saranno costretti a fare i conti negli anni a venire. Chiunque sia mai andato a trovarlo è uscito con quella faccia un po’ così… che abbiamo tutti dopo aver conosciuto un essere umano irripetibile. Il Tupamaro imprigionato per tredici anni in una cella dalle dimensioni di una bara. Nove buchi di pallottole in corpo. I segni indelebili della tortura subita negli anni più neri di una repubblica tas-cabile, ora finalmente tornata a splen-dere, sulle sponde del fiume “grande come mare”. Quel piccoletto che, come racconta un suo compagno di prigionia, sfidava una notte un militare – famoso torturatore – a entrare da solo nella cella con lui, a misurarsi da “uomo a uomo”. Il contadino collerico e sgrammaticato, tenero e pragmatico, capace di intessere superbe utopie, che non sognò mai di trasformarsi in un nuovo dio, ma provò, giorno dopo giorno, a diventare un uomo migliore. “Sa… ho passato tanto di quel tempo da solo, in galera, a pensare…” - rispon- deva una volta a una domanda sul suo concetto di felicità. “Quegli anni di so- litudine furono probabilmente quelli che più mi hanno insegnato. Sono stato più di sette anni senza poter leggere un libro. Dovetti ripensare tutto quanto e imparare a galoppare verso le mie ori- gini, in fondo a me stesso, per non diventare pazzo. (…) Faceva freddo, se per caso mi but-tavano un materasso per poter cori-carmi, in quel momento ero felice. C’è gente che si riempie di cose pensando di poter in questo modo raggiungere la felicità. Compera, compera e continua a comperare. Io ho scoperto che la felicità è fatta di cose semplici, e che se non la portiamo dentro nulla ce la potrà mai procurare”. La biografia di Pepe Mujica coincide con la storia recente di un continente bistrattato. Quella del secolo delle grandi rivolu-

zioni, che spesso grandi non furono. Non perché non fossero validi i loro propositi, ma semplicemente perché alle volte erano, appunto, troppo vasti. Dalle quali nacquero - continuano a nascere - quelle piccole, più a portata d’uomo, destinate a germogliare alle volte in solitudine. La seconda rivoluzione del Pepe è cominciata sul suo cortile di casa, nel proprio esempio, nel personale modo di concepire l’esistenza, l’amicizia, il rap-porto con i propri simili , la compagna, la filosofia intorno a una povertà che povera non è, il senso della dignità in ogni essere vivente, l’ambiente che ci contiene e ci dà vita. Da essa sono nate leggi che da alcune latitudini vengono guardate con ammi-razione. Da altre con crescente inqui-etudine. “Un Don Chisciotte travestito da San-cho Panza”, lo definisce Daniel Vidart, suo amico, antropologo, scrittore, acca-demico. Un uomo felicemente comune che possiede, per fortuna, il meno comune dei sensi: il senso comune. Non è un saggio, afferma, è un uomo che vuole sapere. Il Pepe se ne va? Per favore, non fateci caso. Il Presidente continuerà a vivere là, dove ha sempre fatto, nella sua fattoria di Rincòn del Cerro, a Montevideo, Uruguay. 40 rag-azzi, tra quelli cosiddetti “disadattati” andranno a vivere con lui, a imparare i mestieri della terra. “I figli di nessuno”. Chissà che tra loro non ci sia il futuro presidente di un popolo che non smette mai di stupire. Io non mi stupirei.

Milton Fernàndez

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Il Pepe se ne va. Dalla porta grande anche se, scom-metto, a lui sarebbe piaciuto uscire dal retro, in punta di piedi. Tra pochi giorni un ballottaggio ormai scontato passerà il volante nelle mani di un altro candi-dato della stessa coalizione, quel Frente Amplio che racchiude il mondo varie-gato della sinistra uruguaiana. Le leggi del paese non consentono due mandati consecutivi. E tra cinque anni, sarebbe troppo in là con l’età per ripren-dersi quel posto, ammesso che volesse farlo. Se ne va come vorrebbero farlo tutti i governanti della terra. A testa alta. Al massimo della sua popolarità. Ammi-rato dal mondo intero. Persino da quelli che un po’ se ne vergognano, perché capiscono che non potranno mai pro- mettere di somigliargli.

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