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ISTITUTO DELLE SUORE MAESTRE DI S. DOROTEA DI VENEZIA VIA RAFFAELE CONFORTI, 25 00166 ROMA • 06/6624041 E-MAIL: ardereperaccendere@pcn.net Anno XL - Trimestrale - Poste Italiane Spa - Sped. in abb. postale - d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 - DCB Roma ORIZZONTI DOCUMENTI SOPHIA PAROLA E ARTE PAROLA E ARTE Testimoni oculari della salvezza SOPHIA Voler bene o volere il bene? Parole scambiate... DOCUMENTI Don Luca Passi, beato! Un giorno atteso ORIZZONTI Nella persecuzione dei Cristiani c’è tutta la violenza della paura

DELLE SUORE MAESTRE DI S. DOROTEA DI … 3 web.pdfISTITUTO DELLE SUORE MAESTRE DI S. DOROTEA DI VENEZIA VIA RAFFAELE CONFORTI, 25 00166 ROMA • 06/6624041 E-MAIL: ardereperaccendere@pcn.netAnnoXL-Trimestrale-PosteItalianeSpa-Sped.inabb.postale-d.l.353

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)art.

1,comma2-DCBRoma

ORIZZONTI

DOCUMENTI

SOPHIA

PAROLA E ARTEPAROLA E ARTETestimoniocularidella salvezza

SOPHIAVoler beneo volere il bene?Parole scambiate...

DOCUMENTIDon Luca Passi,beato!Un giorno atteso

ORIZZONTINella persecuzionedei Cristiani c’ètutta la violenzadella paura

AXA 3-2012 :AxA 1-2012 18-07-2012 13:04 Pagina 1

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PRIMA PAGINALa felicità dell’estate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

PAROLA E ARTETestimoni oculari della salvezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

ANTROPOSLa Testimonianza Cristiana e la sua importanzanella vita della comunità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

SOPHIAVoler bene o volere il bene? Parole scambiate... . . . . . . . . . . . . 10

PATERIKONBasilio di Cesarea monaco e pastore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

DOCUMENTIDalle parole ai volti di Don Luca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

KOINONIALettera a Santa Paola Frassinetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

FACCE DI SUORENel recinto di un orto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

ASTERISCOIl cortile dei non credenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

ORIZZONTINella persecuzione dei Cristiani c’è tutta la violenzadella paura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

PASSI CON L’OPERALa famiglia icona della Trinità e luogo di relazione . . . . . . . . . 28

DENTRO L’UMANOQuando educare è missione: il Centro di ConvivenzaS. Dorotea in Brasile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

CRONACA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

SPAZIO DON LUCALe amicizie piemontesi di Don Luca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

ISTITUTO NEWS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

CI HANNO LASCIATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

RECENSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

SOMMARIO

La Rivista viene inviata gratuitamente.Chi desidera contribuire alle spese può servirsi del c/c postale n. 82063009.

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LA FELICITÀ DELL’ESTATE

SUOR FERNANDA BARBIERO

“L a raccolta del grano era nel suo massimo ardore. Il campo sconfinato d’ungiallo luccicante era limitato, solo da una parte, dall’alta, azzurreggianteforesta. Tutto il campo era coperto di covoni e di gente. In mezzo al folto

grano si vedeva qua e là, sul campo mietuto, la schiena curva di una mietitrice, losbatter delle spighe, quando essa le prendeva fra le dita; una donna all’ombra e i covonidispersi qua e là per la seminagione” inizia così il racconto “La mietitura” di Lev Tolstoj.Il tempo della mietitura ossia la felicità dell’estate, ricordo di un tempo quandotutt’intorno sembrava spandersi una dolce melodia, al suono delle tante voci deicontadini che falciavano il grano insieme al rumore degli attrezzi di lavoro chebattevano all’unisono.Era come se una invisibile armonia legasse insieme uomini, bestie e natura. Tra icontadini, abbandonati sul mare d’oro delle spighe, si cantava e si scherzava: parevache quel duro lavoro sotto il sole cocente dell’estate arrecasse felicità e non fatica. Lecalde giornate estive intrise di aromi, dei riflessi luminosi, degli orizzonti sconfinati, deivolteggi degli uccelli, dei silenzi tranquilli. Sono le giornate delle vacanze. Il tempo diabbandonare la fatica e di vivere la felicità. Un tempo per osservare il mondo ediventare consapevoli delle sue gioie e delle sofferenze.Un tempo in cui, nel silenzio e nel riposo, si ripresenta la domanda: che ne è di noi?È un viaggio nel tempo, un viaggio nella vita che scorre, e ci consegna giorni di memorie,ore di fraternità, di amicizia che scalda il cuore. Un viaggio che attraversa il tempo e lestagioni, e ci riporta un senso esatto dell’esistenza, della vita di ognuno di noi.Ci fa capire come sia distruttivo un modo di vivere in cui nessuno ha tempo perincontrare gli altri, perché ognuno ha i suoi scopi da perseguire. Il tempo - a ben guardare- non è un nemico che ci toglie le cose, ma è colui che ci ospita, consentendoci diesistere. Così dare tempo a qualcuno, in effetti, significa dargli lo spazio dell’ospitalità eciascuno di noi ne ha bisogno. Infatti siamo tutti nella condizione di ospiti.La soglia da attraversare per vivere davvero l’esistenza è quella che apre la possibilità diaccettare questa ospitalità con riconoscenza. Acconsentiamo ai nostri occhi lo sguardodella gratitudine non soltanto come degli eroi che donano tutto agli altri, ma anzituttoe sempre di nuovo ricevendo quanto gli altri danno. Il primo vero rinnovamento delpensiero c’è quando ci ritroviamo nel riconoscimento del valore di ciò che esiste e chesi offre nell’incontro. Il tempo allora è ospitalità che per parte nostra possiamo dare aglialtri. Possiamo cioè amarli dando loro il tempo di esistere e di essere a loro volta gratidell’esistenza.La riconoscenza coltivata è seme dirompente che ci consente di conoscere la gioia.Essa dà un respiro fresco all’uomo e lo attiva a vivere il suo impegno nel mondo, nonperché rimanga quello che è, ma perché si trasformi e diventi ciò che gli è promessoche diventerà. �

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Proseguiamo il nostro cammino con san Paolo. Il mosaico presentato nelnumero precedente ci ha aiutati a vedere il legame tra il battesimo chePaolo ha ricevuto a Damasco dopo la sua conversione, scaturita dalsangue del primo martire Stefano, e il martirio che Paolo a sua volta vivecome compimento del proprio battesimo.

La parola martire, come sappiamo, deriva dal greco martys eprima ancora dal sanscrito smarati, che vuol dire “testimonefedele”. Da smarati viene anche memor, cioè uno che fa

memoria della verità e ne fa testimonianza.Ora, questo fatto della testimonianza nell’antichità era legato innanzituttoalla testimonianza oculare. Non solo nell’ambito di diritto civile, maanche nella religione la visione aveva il primato come mezzo diconoscenza esperienziale. Chi ha visto, può raccontare. Per capire quantoera forte il legame tra vedere e testimoniare, basta ricordare che nell’etàpaleocristiana il concetto di “testimone” si estendeva persino ai luoghisanti di Palestina che hanno visto nascere, vivere, morire il Figlio di Dio.La grotta di Betlemme, il Golgota ecc. sono testimoni di una teofania,perciò anche su questi luoghi - proprio come sulle tombe dei martiri -sorgono le chiese, non a caso chiamate martyria.Sono tantissime le espressioni nel Nuovo testamento che confermano il

legame tra vedere etestimoniare, apartire dallatestimonianza diGiovanni Battista:“Giovanni resetestimonianzadicendo: Ho visto loSpirito scenderecome una colombadal cielo e rimaneresu di lui” (Gv 1,32),e aggiunge: “E io hovisto e ho resotestimonianza chequesti è il Figlio diDio”. Tutta la vita diGiovanni Battista sipuò riassumere inquesto atto divedere Cristo, diriconoscerlo e diindicarlo al mondo.

NATASA GOVEKAR

TESTIMONI OCULARIDELLA SALVEZZA

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Nel deserto il Precursore ha imparato a capire che cosa è essenziale ecosa non lo è, ha imparato che la sua vocazione sta nel diminuire, nelrendere trasparente la propria esistenza per non ostacolare la rivelazionedi Colui che doveva venire per redimere l’esistenza di tutti. Ecco, perchél’arte farà vedere Giovanni Battista prosciugato dall’ascesi e tuttoconcentrato nello sguardo e nel gesto. Come se di lui rimanesse solol’occhio per riconoscere Cristo e le mani per mostrare a tutti l’Agnello diDio che toglie il peccato del mondo. L’occhio sottolinea non solo latestimonianza oculare, ma anche una visione spirituale così potente, cheè capace di trasfigurare l’uomo e di liberarlo dalla paura per se stesso,dalla paura della morte. “Chiunque vede il Figlio e crede in lui ha la vitaeterna” (Gv 6,40), dice Gesù, e così proprio Giovanni, il primo, che havisto e ha reso testimonianza al Figlio, diventa anche il primo che perde lapropria vita passando a quella eterna.La testimonianza cristiana, però, comunque la si voglia intendere, partesempre da Colui, che è per eccellenza il “testimone fedele” (chiamatocosì in Ap 1,5). Lui rivela ciò che nessuno ha mai visto: “Dio nessuno l’hamai visto, proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo harivelato (Gv 1,18). Solo colui che viene da Dio, ha visto il Padre” (Gv6,46). Cristo è l’unico “testimone oculare” del Padre ed allo stesso tempol’unico che fa vedere il Padre: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv

14,9). Ma non testimoniamai da solo, si richiamasempre alla testimonianzadello Spirito Santo: “Se fossiio a rendere testimonianza ame stesso, la miatestimonianza non sarebbevera, ma c’è un altro che mirende testimonianza” (Gv5,31); egli mi renderàtestimonianza (Gv 15,26). Sirichiama anche al Padrestesso e alle opere: “lestesse opere che stofacendo testimoniano di meche il Padre mi ha mandato.E anche il Padre, che mi hamandato, ha resotestimonianza di me” (Gv5,36).Su questa testimonianza diCristo si innesta latestimonianza di quelli checon i loro occhi hannoveduto e con le loro manihanno toccato il Verbo dellavita: “la vita infatti simanifestò, noi l’abbiamoveduta e di ciò diamotestimonianza e viannunciamo la vita eterna,che era presso il Padre e chesi manifestò a noi” (1Gv1,1-2).

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Il legame tra vedere e testimoniare è caro soprattutto all’evangelistaGiovanni che conclude il suo racconto della Passione dicendo: “Chi havisto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera” (Gv 19,35). Maanche le Lettere di Pietro si richiamano alla testimonianza oculare: “viabbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro GesùCristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate,ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza” (2Pt 1,16).E, benché non l’abbia conosciuto durante la sua vita terrena, anche Paolostesso diventa “testimone oculare” di Cristo, perché il Signore gli “appareper costituirlo ministro e testimone di tutte quelle cose che ha visto e diquelle per cui gli apparirà ancora” (cf. Atti 26,16). Proprio san Paolo, chenon ha visto Cristo, eppure lo ha visto, diventa un anello di passaggio tra idiscepoli di Gesù e tutti quelli che saranno beati, perché crederanno purnon avendo visto Cristo con gli occhi di carne (cf. Gv 20,29). Si trattainfatti di vedere Cristo non con gli occhi della carne, ma con gli occhi

della fede. La fede èprova di quelle coseche non si vedono (cf.Eb 11,1), ossia che sivedono con un altroocchio, quellospirituale. Allora, nonsolo gli occhi di carnenon sono indispensabiliper conoscere Cristo,ma questi occhi dicarne in realtà non

bastavano neanche a quelli che lo hanno visto. Basta ricordare l’episodiodi Mt 16, dove Cristo avverte Pietro che non è a partire dalla carne e dalsangue che ha potuto riconoscerlo come Figlio di Dio, ma per un donodal Padre che è nei cieli. “Nessuno può dire: ‘Gesù è il Signore!’, se nonsotto l’azione dello Spirito Santo” (1Cor 12,3), dirà Paolo, avendo eglistesso vissuto questo passaggio dall’occhio di carne all’occhio della fede.Così il mosaico della nunziatura di Damasco ci ricorda il periodo di buioe cecità che Paolo ha vissuto prima di entrare nella luce della comunionecon Cristo e con la sua Chiesa (cf. Atti 22,11-16). Paolo, inginocchiatodavanti a Cristo, esce dal suo mantello come da un grosso guscio e sipresenta a Cristo come il cieco di Gerico che “gettato via il mantello balzòin piedi e venne da Gesù” (Mc 10,50). Nella mano destra tiene le squameche li stanno cadendo dagli occhi, simbolo del suo battesimo (cf. Atti9,18), cioè della sua illuminazione. La sua mano sinistra indicadecisamente Cristo, perché tutta la vita di Paolo, come quella di GiovanniBattista, si consumerà nel gesto di indicare Cristo. Cristo, vestito dasacerdote, re e profeta impone la sua mano destra su Paolo,consacrandolo suo discepolo, suo apostolo. Ciò che Paolo sperimenta suse stesso diventa simbolo della sua missione verso gli altri: “ti mando peraprire i loro occhi, perché si convertano dalle tenebre alla luce e dalpotere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati...” (Atti 26,17-18). �

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FOTO 1: Cripta della chiesa di San Pio, San Giovanni Rotondo (mosaico di M. I.Rupnik, 2009)FOTO 2: Nunziatura di Damasco (mosaico di M. I. Rupnik, 2004)

Non basta ripeterele parole eterne del Vangelo,

come non basta piantare delle croci,se nessuno vi si lascia poi

inchiodare insieme con Cristo

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DIEGO FURGERI

LA TESTIMONIANZA CRISTIANAE LA SUA IMPORTANZA

NELLA VITA DELLA COMUNITÀ

Per affrontare adeguatamente il tema dellatestimonianza Diego Furgeri ci guida adaprire il dizionario mettendo a confronto inmodo ragionato le parole: testimonio,patrimonio e matrimonio. Come risultaevidente la desinenza comune è costituitadal suffisso –monio che deriva dalla parolalatina Munus. Munus significa in primaistanza “dono” ma anche e soprattutto“compito, dovere”.

IIl matrimonium è quindi un dono dellamadre in questo senso: fa parte del suocompito propiziare un legame che renda

legittimi i figli nati dalla unione.Analogamente la parola patrimoniumindica il “compito del padre” di provvedereal sostentamento economico e materialedella famiglia.Patrimonio e matrimonio sono quindi duetermini che hanno a che fare con un ambitostrettamente familiare chenon può essere preso comeunico ambito di riferimentoin un mondo spiritualepropriamente cristiano.Occorre allargare gliorizzonti.Per uscire da questo circoloristretto dobbiamo alloraricordare che nellaelaborazione dei Padri dellaChiesa Munus è diventato unconcetto strettamentecollegato a quello di Missio:indica nello stesso tempo ciòdi cui si è caricati con unamissio e il dono di grazia peradempierla. Così la Chiesa hail Munus di annunziare eportare la salvezza, perché hala missione di proseguirel’opera di Cristo. Partecipanoa questo Munus e a questa

Missio divina innanzitutto gli Apostoli,quindi i Vescovi, i presbiteri, i diaconi eanche i laici, ognuno secondo il differentegrado e la differente natura dipartecipazione all’unica missione di Cristo edella Chiesa. Questo crea l’unità e lacomunione tra tutti i membri della Chiesa;crea Com-munitas in senso letterale: uninsieme di persone che condivide deiMunera cioè dei doni da scambiarsi.Ecco allora che in questo concetto dicomunità si inserisce a pieno titolo iltestimone che è propriamente colui che hail Munus (dono-compito-missione) diriferire ciò che ha visto e udito in modofedele e luminoso. Il testimone fa tuttoquesto in una dimensione di terzietà euniversalità che travalica i limiti familiari eprivati.Il testimone cristiano incarna perfettamenteil passo: “Chi ama il padre o la madre piùdi me non è degno di me; chi ama il figlio

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Nella fotoLuigi e MariaBeltrameQuattrocchi

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o la figlia più di me non è degno di me”.Parole di una lucidità e di un radicalismoche affascinano perché scuotono econtestano il nostro modo di vivere anchegli amori più “viscerali” e spontanei; nonper invalidarli, ma per dirli insufficienti.Alla luce delle nostre precedentiosservazioni potremmo chiosare: “Chiama il Patrimonio o il Matrimonio piùdi me…”.L’amore dei genitori e dei figli è sacro,e Gesù l’ha vissuto e comandato; ma vaiscritto in un quadro più vasto che è quellodel riferimento a Dio di ogni cosa.La situazione economica e sociale all’epocadi Gesù era tale che le famiglie si vedevanoobbligate a rinchiudersi in se stesse. Nonavevano più le condizioni per rispettare gliobblighi della convivenza umanacomunitaria, come per esempio:la condivisione, l’ospitalità, l’invito a tavola e

l’accoglienza degli esclusi. Questa chiusuraindividualistica, causata dalla situazionenazionale ed internazionale, producevamolte distorsioni. Impediva cioè la vita incomunità. Una comunità viva e fraterna èinvece lo specchio del volto di Dio.I discepoli devono superare la chiusuraindividualistica della piccola famiglia edampliarla alla dimensione della comunità;essere testimoni verso l’esterno. Ma ciònon basta ancora. Gesù chiede di più:“Chi avrà perduto la sua vita per causamia, la troverà”.Testimoniare significa in senso radicaleperdere la propria vita. Il termine greco pertestimone era infatti Martys, martire. Neiprimi difficili tempi delle comunità cristianetestimoniare voleva spesso dire esseremartiri e il martire per eccellenza è il Santo.E il Santo apre la sua testimonianza a“quelli che sono di fuori” in un’ottica di

missionarietà.Dice Matteo: “Voi siete laluce del mondo ... risplendala vostra luce davanti agliuomini, affinché vedano levostre buone opere eglorifichino il Padre vostroche è nei cieli”.Chi ha contemplato Dio ha ilvolto raggiante di Mosè e farisplendere la sua luce sugliuomini..Testimonianza è quindiprima di tutto, “risplendere”,riprodurre Cristo intorno anoi: nel nostro cammino,nelle nostre attitudini, nellanostra condotta, nelle nostreparole, in tutta la nostrapersonalità.Lo scopo della testimonianzaè duplice: glorificare Cristo e

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in secondo luogo farlo conoscere “finoall’estremità della terra”. Sincerità e fedeltàsono altrettanto essenziali. La testimonianzadelle parole deve essere confermata daifatti: “il testimone verace salva delle vite”(Prov 14, 25). Infatti chi presentachiaramente, senza alterarlo, il messaggioricevuto libera le anime dagli errori. Maancora bisogna ch’egli parli veramente perlo Spirito, dall’abbondanza del suo cuore,realizzando le parole dell’apostolo: “Hocreduto, perciò ho parlato”.Un testimone deve essere anche “fermo”.Gli apostoli lo furono fin dall’inizio. Iversetti 19 e 20 del capitolo 4 degli Attidegli apostoli mostrano il lorofermo proposito di essere fedelia Dio e di parlare delle coseche avevano visto ed udito.Saper dire “no”, è unatestimonianza essenziale. “No”alle tentazioni. La fermezza èuna pietra di paragone delnostro stato spirituale e dellenostre affezioni per il Signore.La “vigilanza” di un testimonenon è meno importante. Senzala “santità” nella vita pratica, latestimonianza è persa. Infine, lo “zelo” devecaratterizzare colui che sipresenta come ambasciatore diCristo.Volendo ricapitolare il sensodella testimonianza cristianapotremmo dire che il testimoneper eccellenza è il missionarioche abbandona la sua piccolafamiglia per abbracciare lagrande famiglia della comunità;rendendola sempre più uninsieme di doni e di compitireciproci (Munera appunto) in

grado di adombrare sulla terra ilsovrabbondante Regno dei Cieli.Ancora più in profondità renderetestimonianza comporta la perdita totaledella propria vita. Il cristianesimo haintrodotto nel mondo questa paradossale eprofonda verità: più si perde del proprio Ioe più si riceve. L’essenza dellatestimonianza è quindi perdere la propriavita; perderla non in un senso astratto maponendosi ai piedi della Croce dove lasconfitta apparente raggiunge sì le sueconnotazioni più tragiche ma nell’attesa delgiorno della Gloria. �

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Nella foto :giovanivolontari inmissione

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ANDREA ARVALLI OFM CONV

VOLER BENE O VOLERE IL BENE?PAROLE SCAMBIATE...

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Il tema dell’amore, e delle sue parole, ècerto un tema trattato molto e da molti,e spesso in modo profondo e suggestivo:

chi non ha letto sapienti ed illuminantiriflessioni sull’amore umano e divino?Riflessioni e letture che ci hanno reso piùattenti, più consapevoli, intelligenti, critici,responsabili, più maturi, e capaci di amore.Non è male tuttavia, di tanto in tanto,tornare su sentieri già percorsi, e rinverdirele messi di buone ispirazioni date, a voltetroppo facilmente, per scontate. Cosìanch’io spero di non annoiare i miei quattrolettori con questi poveri spunti, in punta di

penna, tentando qualche slalom attorno aquegli speciali segni d’amore che sono leparole scambiate con amicizia. Come equando le nostre parole riescono ascambiare tra di noi quell’amore che ilVangelo di Gesù ci ha raccomandato debbaessere sempre reciproco (gli uni gli altri) peressere segno, il segno per eccellenza, delRegno di Dio e della sua giustizia: amatevigli uni gli altri come io vi ho amati…

In bocca a Gesù fiorivano sempre parolebelle, parole che scaldavano il cuore,parole che illuminavano la mente, esanavano l’anima ed il corpo. Le nostreparole invece, le parole che ci scambiamonella nostra quotidianità feriale, sono tantevolte parole sciupate, ascoltate condistrazione, o sbadataggine, parole banali,o logorate dall’uso, slavate nei contenuti,prive di interiorità, sradicate dai sentimenti,prive di forza sanante e vitale. Ci vorrebbeuna resurrezione di amore per rendercicapaci di ascolto e di parola. Forsebasterebbe anche un poeta per rieducarci aparole capaci di perforare la grigiamonotonia della routine. Sentiamo comecantava un poeta, Davide Maria Montagna,negli anni ottanta: …a perforare ogninebbia / è bastata una voce nella notte, /complice di futuro… (D. M. Montagna,Stupore, Servitium, 2010, p. 322).Una parola offerta, nella poesia, riapre ilcuore dello spaesato poeta alla speranza,egli era perso nelle nebbie della solitudine acausa del diradarsi inesorabile dell’unicasegnaletica dei volti. Sono i volti, gli sguardisoprattutto, la segnaletica fondamentale cheguida nei percorsi dell’amicizia, ma i voltisono impenetrabili senza una voce che,attraverso le parole riapra, anchefurtivamente, nella notte, la porta dellasperanza.Ho citato questa poesia per dire comenell’amore le parole scambiate siano parolebuone e belle; il poeta sussurra che sonoparole complici di futuro, capaci cioè diriaprire le porte della speranza attraversol’accoglienza. Un altro genere di paroleapparentemente fa del bene, e sono leparole che lusingano, illudono, adulano, masono come le parole dei falsi profeti da cuici mette in guardia la Sacra Scrittura; paroledette per tener buoni, parole populiste,captative, che carezzano i bisogni più bassi

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e primari allo scopo di manipolarci, usarci,controllarci. Sono le parole del gatto e dellavolpe, personaggi eterni e sempre di moda.Le parole del gatto e della volpe nonpossono essere parole scambiate, ma solousate (a scopo di rapina). Le parolescambiate invece anche se all’iniziopossono apparire una porta stretta, perchéforti, ed amare come quelle dei veri profeti,proprio perché veritative aprono la portadell’empatia, della comprensione, ed inultima analisi sono parole che dannosperanza e fanno respirare di nuovo.Non vi è amore dove vi sono parolesuperficiali e sciatte. Non vi è amore nelleparole che fanno finta di rispondere, maintanto occultano la verità, oppure nelleparole che, sotto il pretesto di una presuntafranchezza, demoliscono l’autostima, odenudano anziché coprire le fragilità.

Non vi è amore nelle parole che nonaprono mai nessun credito al futuro, e chemancano di rispetto o veicolano giudizisbrigativi, veloci, e crudeli. Perché ci puòessere molta crudeltà nei nostricomportamenti banalmente normali. Fannotanto male anche le parole che fingonod’essere spiritose ma che, con un usocrudele dell’ironia, trasmettono aggressività,volgarità, banalità, arroganza: lacerano,umiliano, fanno del male.

Certo le parole per essere veramentescambiate andrebbero anche ascoltate.Personalmente sono molto impressionatodalla mancanza di ascolto che constato ogni

giorno nella vita domestica, sia nellefamiglie, sia nella chiesa, sia nella vitapastorale, sia nella vita religiosa. So benequanto si scriva e si parli di ascolto, e quanticorsi di formazione vengano dati,organizzati e frequentati. La mia sensazioneè che davvero rare siano le persone capacidi fermarsi e ascoltare. Ascoltare significaaccettare di ricevere, sapere di non sapere,essere disponibili ad imparare ancoraqualcosa, e soprattutto essere poveri,pazienti, calmi, liberi da pre-comprensioni,e pre-giudizi. Non so se conosco tre personeal mondo capaci di un ascolto così! Oh,sono un pessimista, senza alcun dubbio!

Forse dovrei volgere il mio sguardo allepersone innamorate e alle persone giovani:che respiro grande da trarne! Per ascoltareoccorre essere poveri come gli innamorati,e vergini come solo i giovani possonoesserlo. È la magia dell’amore che insegna ascambiarsi parole giovani, sognatenell’anima prima di sgorgare fresche da uncuore puro e da labbra monde. Mi lascioaiutare ancora dalla poesia:

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L’amore èil solo tesoro

che si aumenta col dividerlo

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Il sogno, ogni notte, / compone giovaniparole, / che il risveglio, ogni alba, /inesorabile cancella: / resta la poesia / solonel profondo, / pudicamente. (D. M.Montagna, ibidem, p. 279).Parole giovani, composte nelsogno ogni notte! Parolenotturne, ma l’incontro conl’amico, nell’amore, ha ilpotere di farle vivere anche digiorno. Abbiamo bisogno diparole giovani, fresche, nonlogorate dai tradimenti, parole piene divigore e fecondità, leali, fedeli nella lorofranchezza, parole che sono primizia di

futuro. Parole che riaprono porte chiuse,ricostruiscono ponti, e camminano con noitutti i giorni della nostra vita. Tocchiamo un punto delicato: quello dellafedeltà dell’amore, fedeltà alle promesse, allaparola data e scambiata. Sono giovani leparole scambiate da una coppia sull’altaredelle proprie nozze, giurandosi a vicenda

fedeltà eterna. Sono giovani le parole eterneche una novizia, un novizio, od unseminarista scambiano con le propriecomunità giurando fedeltà al Signore ed alla

Chiesa. Promettono un camminoper tutta la vita: come possono?Lo possono se scaturite da unsogno, che è bello e gioiosovivere giorno dopo giorno, conquella stabile perseveranza che èil sigillo e il segno distintivodell’amore. Vi è sicuramente

bisogno di gioia, di canto, di fragranza diprofumo, nelle parole scambiate dell’amoreperché l’amore è questo: attesa dell’amico,

benevolenza, canto, perdono,accoglienza, ed uno stare ai suoi piedi inconfidente sosta:Beati i tuoi capelli, ubriachi ancora, Maria,/ che in casa spandono oscillando, / tuttaquella fragranza di profumo, / bevuta aipiedi stanchi dell’Amico / in confidentesosta da te, sulla soglia. (D. M. Montagnaibidem, p. 326).Il poeta intuisce che il luogo miglioreperché possano essere scambiate parolebenefiche, costruttive, risananti è lasoglia il limen, la periferia, la sostaconfidente. Maria ha scelto la partemigliore, così diversa da quella affannatae agitata di Marta, incapace di scambiareparole. Sostare sulla soglia dell’esistenzadell’amico, in attesa confidente, ebbridella fragranza di quel profumo che nonsi compra e non si vende e si chiamabenevolenza, rispetto, stima, desiderio di

bene.

Il Signore ci conceda e ci aiuti, a volercibene gli uni gli altri senza ipocrisie, perchéla casa dell’ascolto della Parola evangelicapossa essere costruita sulla rocciadell’amore, della benevolenza, dellacompassione e della tenerezza vissute. �

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La bellezza è per i ricercatori

di un oltre

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Basilio respirò fin dalla più tenera età ilpensare, l’agire e tutti i valori legati allareligione cristiana, valori vissuti anche acosto di sacrifici. La sua famiglia era intrisadi santità: suo nonno morì martire nellapersecuzione di Diocleziano e sua nonna,Santa Macrina, fu discepola di San GregorioTaumaturgo nel Ponto. Santi furono i suoigenitori Basilio ed Emmelia, che ebbero oltrea Basilio altri cinque figli tra cui SanGregorio, poi vescovo di Nissa, e San Pietro,vescovo di Sebaste, e cinque figlie. Laprimogenita, Santa Macrina, omonima dellanonna, visse nella sua proprietà di Annesiche aveva trasformata in monastero. Il padredi Basilio, che pare si fosse trasferito aNeocesarea, fu primo maestro del figlio, checontinuò poi i suoi studi ad Atene eCostantinopoli, dove conobbe GregorioNazianzeno, al quale fu legato da profondaamicizia.

LL’’eessppeerriieennzzaa mmoonnaassttiiccaa

Ricevuto il Battesimo, Basilio si sentìchiamato a un radicalismo evangelico cheemerge in ogni pagina dei suoi scritti.Attirato dall’ideale monastico, viaggiòmolto visitando monaci ed eremitipalestinesi, egiziani e armeni. Rimasefortemente ammirato e attratto dalla loroscelta. Insoddisfatto dei suoi successimondani, e accortosi di aver sciupato moltotempo nelle vanità, egli stesso confessa:«Un giorno, come svegliandomi da unsonno profondo, mi rivolsi alla mirabile lucedella verità del Vangelo..., e piansi sulla miamiserabile vita» (cfr Ep. 223,2). Attirato daCristo, cominciò a guardare verso di Lui ead ascoltare Lui solo (cfr Regole morali80,1). E divenne monaco. Si ritirò nellasolitudine di Annesi, dove fu raggiuntopoco dopo da Gregorio di Nazianzo e daaltri discepoli.

Ordinato sacerdote, e istruito da Dioattraverso la via maestra delle Scritture,Basilio radunò intorno a sé un numerosempre maggiore di compagni animati dalsuo stesso desiderio: adempiere ilcomandamento nuovo dell’amore. I giovaniche si presentavano al suo monastero perseguire la vita monastica, chiedevano difarne parte dicendo: “Sono venuto per lacarità”.Basilio aveva intuito che per amare Dio nonbastava solo la contemplazione, ci volevaanche l’azione fatta di istruzione ai poveri edi molteplici opere di carità, e magarianche esercitare l’amore del prossimosopportando i propri fratelli nella vitacomunitaria. Da questa sua esperienza eriflessione nacque il progetto del “cenobio”(= vita in comune). Queste intuizioni sullavita religiosa le trasmise nelle Regole:

FILOCALICA SMSD

BASILIO DI CESAREAMONACO E PASTORE

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queste avranno un influsso enorme sullaChiesa, facendo di san Basilio il padre delmonachesimo dell’Oriente. Non solo: ilnostro san Benedetto chiamandolo “il beatopadre san Basilio” ne riconobbe l’influssosu quello occidentale.

IIll PPaassttoorree

Nel 370, fu eletto Vescovo di Cesarea diCappadocia, nell’attuale Turchia. Comepastore spese tutte le sue forze per porsi alservizio della Parola diDio, che spezzava alpopolo affidato alle suecure pastorali,opponendosi a tutticoloro che offrivanointerpretazioni riduttivedel vangelo epromuovendo l’eserciziodella carità soprattutto nei confronti deideboli e dei poveri. Basilio, consumatodalle fatiche e dall’ascesi, morì alle sogliedel Concilio di Costantinopoli, che avevasapientemente contribuito a preparareservendo l’unità e la comunione nellaChiesa e tra le Chiese e contribuendo inmodo decisivo, insieme agli altri grandipadri della Cappadocia all’elaborazionedella teologia sullo Spirito Santo e sullaTrinità, che è alla base del simbolo di fedecomune a tutte le Chiese cristiane.

IIll rriittrraattttoo ddii uunn ssaannttoo

Benedetto XVI, nelle sue catechesi delmercoledì ne ha tracciato un ritrattoaffascinante: “Mediante la predicazione e gli scritti svolse un’intensa attivitàpastorale, teologica e letteraria. Con saggioequilibrio seppe unire insieme il servizio alleanime e la dedizione alla preghiera e allameditazione nella solitudine. Avvalendosi

della sua personale esperienza, favorì lafondazione di molte «fraternità» o comunitàdi cristiani consacrati a Dio, che visitavafrequentemente (cfr Gregorio Nazianzeno,Discorso 43,29 in lode di Basilio). In realtà,san Basilio ha creato un monachesimomolto particolare: non chiuso alla comunitàdella Chiesa locale, ma ad essa aperto. I suoimonaci facevano parte della Chiesa locale,ne erano il nucleo animatore che,precedendo gli altri fedeli nella sequela diCristo e non solo nella fede, mostrava la

ferma adesione a Lui –l’amore per Lui –soprattutto in opere dicarità. Questi monaci, cheavevano scuole edospedali, erano al serviziodei poveri ed hanno cosìmostrato la vita cristiananella sua completezza.

(…). Come Vescovo e Pastore della sua vastaDiocesi, Basilio si preoccupò costantementedelle difficili condizioni materiali in cuivivevano i fedeli; denunciò con fermezza i mali; si impegnò a favore dei più poveri edemarginati. A Dio, che è amore e carità,Basilio rese una valida testimonianza con lacostruzione di vari ospizi per i bisognosi (cfr Basilio, Ep., 94) , quasi una città dellamisericordia, che da lui prese il nome diBasiliade (cfr Sozomeno, Storia Ecclesiastica,6, 34). Essa sta alle origini delle moderneistituzioni ospedaliere di ricovero e cura deimalati. […] Basilio, pur preoccupato direalizzare la carità che è il contrassegnodella fede, fu anche un sapiente «riformatoreliturgico» (cfr Gregorio Nazianzeno,Discorso 43, 34). Ci ha lasciato infatti unagrande preghiera eucaristica [o anafora] cheda lui prende nome, e ha dato unordinamento fondamentale alla preghiera ealla salmodia: per suo impulso il popoloamò e conobbe i Salmi, e si recava a pregarli

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un cristiano è sempre il tenero amico

di ogni essere umano

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anche nella notte (cfr Basilio, Omelie suiSalmi 1,1-2). E così vediamo comeadorazione, liturgia, preghiera vadanoinsieme con la carità, si condizioninoreciprocamente.

LLaa bbeelllleezzzzaa ddeellll’’aammiicciizziiaa ccrriissttiiaannaa

Non si può dimenticare il grande elogiodell’amicizia cristiana che GregorioNazianzeno fa a riguardo di Basilio:“Eravamo ad Atene, partiti dalla stessapatria, divisi, come ilcorso di un fiume, indiverse regioni perbrama d’imparare, e dinuovo insieme, comeper un accordo, ma inrealtà per disposizionedivina. Allora non soloio mi sentivo preso davenerazione verso ilmio grande Basilio perla serietà dei suoicostumi e per lamaturità e saggezza deisuoi discorsi, mainducevo a farealtrettanto anche altriche ancora non lo conoscevano. Molti perògià lo stimavano grandemente, avendoloben conosciuto e ascoltato in precedenza.Che cosa ne seguiva? Che quasi lui solo, fratutti coloro che per studio arrivavano adAtene, era considerato fuori dell’ordinecomune, avendo raggiunto una stima che lometteva ben al di sopra dei semplicidiscepoli. Questo l’inizio della nostraamicizia; di qui l’incentivo al nostro strettorapporto; così ci sentimmo presi da mutuoaffetto. Quando, con il passare del tempo, cimanifestammo vicendevolmente le nostreintenzioni e capimmo che l’amore della

sapienza era ciò che ambedue cercavamo,allora diventammo tutti e due l’uno perl’altro: compagni, commensali, fratelli.Aspiravamo a un medesimo bene ecoltivavamo ogni giorno più fervidamente e intimamente il nostro comune ideale.Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fratutte eccitatrice d’invidia; eppure fra noinessuna invidia, si apprezzava invecel’emulazione. Questa era la nostra gara:non chi fosse il primo, ma chi permettesseall’altro di esserlo. Sembrava che avessimo

un’unica anima in duecorpi. Se non si deveassolutamente prestarfede a coloro cheaffermano che tutto è intutti, a noi si devecredere senzaesitazione, perchérealmente l’uno eranell’altro e con l’altro.L’occupazione e labrama unica perambedue era la virtù, e vivere tesi alle futuresperanze e comportarcicome se fossimo esulida questo mondo,

prima ancora di essere usciti dalla presentevita. Tale era il nostro sogno. Ecco perchéindirizzavamo la nostra condotta sulla viadei comandamenti divini e ci animavamo avicenda nell’amore della virtù. E non ci siaddebiti a presunzione se dico che eravamol’uno all’altro norma e regola perdistinguere il bene dal male. E mentre altriricevono i loro titoli dai genitori, o se liprocurano essi stessi dalle attività e impresedella loro vita, per noi invece era granderealtà e grande onore essere e chiamarcicristiani” (San Gregorio Nazianzeno,Discorso 43, 15. 16-17. 19-21; PatrologiaGreca 36, 514-523) �

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Nella foto: icona di Santa Macrinasorella di S. Basilio

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Una profonda speranza hasempre accompagnato l’attesadi quel 28 giugno, appena

trascorso! Giorno in cui il Papa ha postola sua firma per la promulgazione delDecreto di riconoscimentodell’autenticità del “miracolo” ottenutoper intercessione di Don Luca Passi. Assieme a tante mie consorelle hoaspettato con affetto questo giorno che,di per sé, non avrebbe dato piùspessore alla santità del nostroFondatore, ma ce l’avrebbe presentatapiù luminosa, ridestando il desiderio eil gusto di una “vita nuova”, invitandociad accogliere seriamente l’appello aduna vita santa, ad una vita bella,trasparente di Dio, per ridare a Lui ilprimato nella nostra vita personale enella storia dell’umanità, in questoterzo millennio. Dopo un lungo itinerario presso laCongregazione delle Cause dei Santi, il28 giugno 2012 segna l’ultima tappa,nella quale il Papa ha emesso il suo pareredefinitivo sull’autentica fama di santità diDon Luca, iscrivendolo tra i “beati”,indicandolo come modello autorevole divita evangelica.Conoscendo la sua biografia, questomomento sembra far da cassa di risonanzaa quella voce di popolo che, a Venezia,dopo la sua morte, risuonava di calle incalle:“è morto il santo”…! Colui che non sistancava di predicare la misericordia diDio, con le parole e con una vita spesasenza calcolo per il bene di tutti, per i piùgiovani in particolare; colui chedimenticava la nobiltà delle sue origini perricordare solo la nobiltà del suo ministerosacerdotale, vissuto nell’intensitàdell’orazione, nell’assiduità dellapredicazione e nell’instancabilità dellamissione.

LLaa ssaannttiittàà ddii DDoonn LLuuccaa:: uunn ddoonnoo ppeerr ttuuttttii..

Don Luca è anzitutto un prete che vive congioia e passione il dono del suo sacerdozio,che si sente partecipe del Mistero pasqualedi Cristo e si fa strumento, attraverso il suoministero sacerdotale, del dono grandedella Salvezza perché il maggior numero dipersone possa accoglierla nella propria vitae gustare la beatitudine del Vangelo.Don Luca è un fondatore, prima dell’operalaicale “Pia Opera di S. Dorotea”, oggi“Associazione Cooperatori/ trici dell’Operadi S. Dorotea (OSD) e successivamentedell’Istituto delle Suore Maestre di S.Dorotea. La sua preoccupazione è portareCristo ai giovani; per questo si può dire chel’Opera nasce e si ravviva davantiall’Eucaristia. Egli invitava, infatti, le personeche incontrava nel suo ministero, a portaretra i giovani Colui che pregavano e

MADRE TERESA SIMIONATOSUPERIORA GENERALE

DON LUCA PASSI, BEATO!UN GIORNO ATTESO

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adoravano nell’Eucaristia; a testimoniare ilVangelo nel loro ambiente di vita, a creareuna rete di amicizia nel vicinato, a tessereuna vera comunità cristiana.Alle suore che aveva fondate percollaborare e sostenere i laici nel delicatocompito di farsi compagni di strada deigiovani, prima di morire rivolse alcuneespressioni, che esprimono anche oggi ilcuore del carisma dell’Istituto e un paternorichiamo alla radicalità evangelica:Ricordatevi quello che dice S. Paolo: “Sesiete risorti con Cri-sto, dovete risorgere conLui ad una vita del tutto nuova,manifestandola non solo in voi altre, ma benanche adoperandovi per la salvezza altrui,dilatando a tutta possa la Pia Opera di S.Dorotea. […]”Don Luca è stato un’instancabilemissionario apostolico. Con l’avviodell’Opera di S. Dorotea in numerosissimeparrocchie d’Italia, ha saputo suscitarecollaborazione e sinergia tra le tre realtàecclesiali: sacerdoti, laici e religiose,creando una corrente di comunione e difervida cooperazione apostolica.Sono davvero grata al Signore e al SantoPadre Benedetto XVI per averci ripropostooggi, Don Luca Beato. Egli pertanto non èpiù solo ispiratore e fondatore dell’Istituto edell’Opera laicale, ma è il nostro santopatrono, che con il dono di una vita santaha reso feconde le sue opere e continua, seinvocato, a intercedere per la nostra santitàe missione.Noi oggi, di fronte alle nuove generazioni,al mondo della famiglia e della scuola, deigiovani immigrati, ricordiamo e ripensiamoalla creatività apostolico-carismatica di DonLuca, oserei dire alla sua azione profeticanel coinvolgere i laici, e la donna inparticolare, nell’azione pastorale dellaChiesa e custodiamo nel cuore un desiderioche si fa invocazione. Come l’invocazionedi Eliseo, che rivolto al profeta Elia, primache fosse rapito lontano da lui, grida: “Dueterzi del tuo spirito diventino miei” (2 Re,2,9). È una preghiera che sale sulle nostrelabbra, una richiesta per continuarefiduciose l’Opera che ci è stata affidatanella Chiesa; per domandare quello spiritodi santità e profezia che ci aiuti, comedorotee, suore e laici, a rispondere agliappelli dell’umanità di oggi, secondo ilcuore di Dio.

VVeerrssoo llaa cceelleebbrraazziioonnee ddeellllaa ““bbeeaattiiffiiccaazziioonneeddii DDoonn LLuuccaa””

Dopo il pronunciamento del PapaBenedetto XVI che ha autorizzato laCongregazione delle Cause dei Santi apromulgare il Decreto, l’Istituto si staattivando per predisporsi a celebrare con laChiesa locale questo singolare evento.La celebrazione per la “beatificazione”, daalcuni anni si svolge nella Diocesi dovemorì il santo. Per noi quindi sarà a Venezia.La data, accordata con le personeincaricate, è prevista nell’aprile 2013, moltoprobabilmente la seconda domenica dopoPasqua. Il prossimo anno ricorre il 200 anniversariodell’Ordinazione sacerdotale di Don LucaPassi (13 marzo 1813) e nel tempopasquale, precisamente nella secondasettimana dopo Pasqua, ricordiamo il giornodella sua morte (18 aprile 1866). La datadella celebrazione pertanto coinciderà conl’anniversario di due eventi del tuttosingolari della vita del Fondatore. Quanti ci sentiamo partecipi di questa festa,siamo invitati a prepararci interiormente aquesta “convocazione”, per partecipare consentimenti di vera fede e con un forte sensoecclesiale alla celebrazione liturgica che ciriunisce tutti, da diversi luoghi e chieselocali, a celebrare la santità di Dio, nei suoiamici santi.Questo anno di preparazione è per noisuore e per i cooperatori laici, un tempo perconoscere a fondo la vita e lo spirito di donLuca e lasciarci ispirare e provocare dallasua testimonianza di vita.Saranno offerte, delle indicazioni per uncammino comune, che ci possa aiutare avivere insieme questo evento di famiglia edi Chiesa, nei diversi Paesi dove è presentel’Istituto con i Cooperatori OSD: in Italia,Albania, Bolivia, Brasile,Colombia, Burundi,Cameroun, Madagascar, RepubblicaDemocratica del Congo.A livello organizzativo si sono costituitedelle Commissioni operative, composte dasuore e laici cooperatori, di modo che inaccordo con le autorità preposte, si possaseguire, ai vari livelli, la preparazionedell’evento.Nel prepararci a questo appuntamento, cisorprenderanno tanti altri pensieri e

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preoccupazioni, per il tempo da investire, ildenaro da spendere, il lavoro da fare, lepersone da invitare,… . Certamente nonsono pensieri peregrini, anzi ci richiamanoad uno spirito di sobrietà e di solidarietàche ci aiuta a non perdere di vistal’essenziale e a farci compagni di strada concoloro che la Chiesa ci addita comeesempio di radicalità evangelica.

NNeellll’’””AAnnnnoo ddeellllaa FFeeddee”” rriissccoopprriiaammoo llaaccoommppaaggnniiaa ddeeii SSaannttii..

Credo che molti di noi, me compresa,siamo spesso tentati di considerare i Santi,come persone particolari, quasi senzadifetti, separate dal mondo, lontane dallanostra esperienza quotidiana fatta di fatica,

di lotta, di paure e desideri. Al contrario, laChiesa ricorda e ci presenta i Santi proprioperché li possiamo avvicinare come amicie guide nel cammino della vita.E’ davvero una bella coincidenza ilriconoscimento della “santità” di DonLuca, da parte della Chiesa, proprio inquest’ anno, in cui il Papa ha indettol’Anno della Fede.L’esercizio della Fede nella vita dei Santi èuna porta sempre aperta all’azione delloSpirito Santo, il quale attraverso di essiimmette nell’umanità i frutti dellaRedenzione. “Guardando a lorocamminiamo anche noi nei passi della“vita nuova”, affrontiamo la lotta contro ilmale che cerca di convincerci che l’unica

vita è quella naturale.In comunione con iSanti viviamo unavita saporita, gustosa,fatta di sentimenti, diintelligenza e volontàsempre più rinnovatiin Cristo, sempre piùdi Cristo”.Camminiamo sullestrade dell’uomo delXXI secolo, incompagnia del beatoLuca Passi,ricordando le sueultime parole chehanno plasmato lasua vita: “Nondimenticate che aGesù Cristo costatutto il suopreziosissimo Sanguela salvezza anche diuna sola anima.Dunque se voi loamate davvero, chenon dovete fare.. perpromuoverel’Opera?” La suacompagnia ci aiuti atener vivo nel cuoreil “fuoco” delVangelo e nellosguardo la luce dellaprofezia. �

OSSERVATORE ROMANO venerdì 29 giugno 2012

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C ara Paola,sì, c’ero anch’io. C’ero anch’ioquella domenica del 1984 in quella

grande piazza – agorà di cristiani, di cercatorie di pellegrini. C’ero anch’io – giovanenovizia – insieme alle mie compagne e allaMadre maestra visibilmente emozionata,mentre la Chiesa universale, nella persona diGiovanni Paolo II, ti riconoscevaufficialmente come “educatrice sorrettadall’amore di Dio”. In quella domenica dimarzo, tersa e cristallina, le campane di S.Pietro ripetevano il loro suono di gloria, perannunciare che tu, Paola, eri Santa. Dall’obelisco della piazza l’inno festoso,echeggiando l’Oltre della tua avventuraapostolica, oltrepassava la “città eterna” egiungeva ai “confini del mondo” dove le tuedorotee, già dal 1866, si spendevano per lagloria di Dio e l’espansione del suo Regno:in Europa, in America del Nord, in AmericaLatina, in Africa e in Asia, riproponevano lospirito che ti aveva animata: “cercaresempre in tutto la maggior gloria di Dio nelmaggior servizio agli uomini”.In quel pomeriggio domenicale, a casa tua,presso S. Onofrio al Gianicolo, c’eravamoanche noi, giovani novizie di Don LucaPassi a fare festa; in quel conservatorio(riformatorio femminile) a cui la tuadolcezza e carità avevano impresso unostile del tutto nuovo.In occasione della tua canonizzazione di tecosì si disse: Paola Frassinetti è una donnache non ha perso nulla della sua femminilitàe questo è l’elemento che spiega il grandeascendente educativo che esercitò su tuttoe su tutti: la sua femminilità sorrettadall’amore di Dio. (Cardinal Siri).In quella circostanza, sentivo “vicino”anche Don Luca che a Roma ti aveva volutae attesa. Qui con la benedizione diGregorio XVI ti desti subito a propagarequello spirito delle origini che ci

accomuna: “siate fiaccole e roghi ardentiche dove toccano mettono il fuocodell’amore di Dio”. Era lo spirito dell’Operadi Santa Dorotea che tu esprimevi nelleparrocchie romane, nell’istruire le fanciulleanche nelle “scuole di beneficenza”, tramille privazioni e difficoltà. Certo, di“fuochi”, e non solo quello dell’amor diDio, facesti personale esperienza, anchequando, durante il Risorgimento italiano,nella battaglia sul Gianicolo tra garibaldinie francesi, tu e le tue figlie vi trovasteeffettivamente sulla breccia “tra duefuochi”. I garibaldini, terrore delle casereligiose, vennero però a dissetarsiall’acqua del pozzo situato nella cucinadella tua comunità. In quella circostanza tudicesti: “Finché ci sarà acqua per noi, ce nesarà per loro” – testimoniando, nei fatti,quella carità che mai smetterai di indicare edi raccomandare alle tue suore come “laregina del nostro Istituto”.Pur non amando viaggiare, fosti sostenutada un pensiero pratico – l’unico che famuovere e viaggiare perché dà concretezzaal desiderio di Bene che c’è nel cuore.Perciò ti apristi subito alla dimensionemissionaria, trovandoti, tra l’altro, alle presecon infiltrazioni massoniche nella chiesadel Brasile e con un governo anticattolicoin Portogallo.Le tue realizzazioni apostoliche risposeroad un Sogno ispirato ed accarezzato incompagnia del Vangelo, in circostanze eattraverso persone concrete. Tale sogno“prese corpo” e introdusse nella storia dellaseconda metà dell’ottocento nuove forme diamore e di servizio.Riprendendo una profonda convinzione diSan Paolo, Madre Rachele Guardini tiscriveva da Venezia nel 1839:“Quanta consolazione prova il cuor mio,pensando al bene che si va facendo conquesta nuova Istituzione; si può dire con

19ANGELA GHEDA SMSD

LETTERA A

SANTA PAOLA FRASSINETTI

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sincerità che a questi tempi il Signore se neserve delle sue più miserabili creature perfar trionfare la sua Onnipotenza come fececon Mosè al quale diede in mano quellaverga meravigliosa che agli occhi altrui eraspaventevole. Che cosa potrebbero mai leSuore, se Dio non le sorreggesse? Sì, Egli sicompiace di adoperare queste perconfondere i sapienti, e ciò che molte voltenon possono essi fare coi loro filosoficiragionamenti, Iddio lo opera al semplice ebenigno discorso di una Suora; così operala grazia...”.

Come e dove, Paola, iniziasti la tuaavventura?A 19 anni sperimentasti un momento distanchezza nel tuo stressante ritmo di vita aservizio della tua famiglia, così tuo fratellodon Giuseppe – parroco di Quinto(Genova) ti ospitò nella sua parrocchia.L’aria pura della riviera ligure fu un buonfarmaco per la tua salute delicata e la vitadi parrocchia divenne palestra di bene perte che, a poco a poco, con la tua affabilitàattirasti le giovani di quella borgata allequali svelasti il segreto di una vita tutta peril Signore, scoprendo anche le tue attitudinie la tua vocazione di educatrice. Intorno ate si costiuì un gruppo impegnato nel viverein comunione di vita e di missione. Nel 1835 Don Luca Passi – amico di tuofratello – passava da Quinto e incontrandosicon te intuiva il tuo valore e quello del

gruppo di donne da teiniziato e ti proponevaquindi di assumerecome mezzoapostolico l’Opera diSanta Dorotea –l’opera che si stavadiffondendo in tuttaItalia a favore dellegiovani povere ebisognose. Avendocome centropropulsore laparrocchia, attraversol’aiuto di giovani piùsensibili e formate,Don Luca ti proponevadi raggiungere lefanciulle nel loroambiente di vita, dilavoro, per la strada,

nei vicoli, stabilendo così legami di amiciziae aiutandole a crescere come persone ecome cristiane.E tu cogliesti l’originalità e la validitàapostolica dell’iniziativa e ritrovasti, nellasemplicità del metodo, la tua lineaeducativa. Accettasti la proposta di DonLuca e, d’accordo con le tue compagne,cambiasti il nome del gruppo da “Figlie diSanta Fede” in “Suore di Santa Dorotea”. Fu un momento importante per te e per iltuo gruppo, perché definiste con maggiorechiarezza la dimensione apostolica dellavostra consacrazione: essere pienamentedisponibili nelle mani di Dio perevangelizzare attraverso l’educazionedando preferenza ai giovani e ai più poveri.Cara Paola, ci sono due aspetti della tuaavventura che oggi mi ispirano e dai qualidesidero lasciarmi ispirare.Innanzitutto, la forma di vita che haisognato per te e le tue compagne e la tuaOpera sono state la risposta all’ascoltoevangelico di un territorio, di una chiesalocale e delle necessità della gente. Inoltre, non hai proceduto da sola, ma haisempre compiuto scelte con il tuo gruppo,dopo aver chiesto consiglio e cercatoconferme, rimanendo però fedele alla tuaintuizione. Hai obbedito ad un “qui” e ad un“ora” che ti interpellavano a prendereposizione insieme alle tue compagne. Cosìeri solita ripetere: “Dall’andamento delle coseconosceremo la volontà di Dio, unica gemmache andiamo cercando”. La volontà di Dioper i religiosi è sì mediata dai Superiori, marichiede contemporaneamente un ascoltoevangelico di se stessi, della realtà dellepersone, delle diverse situazioni e delle variesollecitazioni culturali. Questo seppero fare idiscepoli del Signore Gesù per esserememorie viventi della Sua fedeltà. Tu Paola,hai camminato su questa strada e haidimostrato concretamente che questo èpossibile. Con la fiducia in Dio haiinterpretato in modo “sapienziale” anche ifallimenti e le contraddizioni. Non per nullaripetevi: “Coraggio e ricominciamo da capo.Ci vuole tanto bene il Signore!”. “Coraggio efiducia in Dio, è tanto buono il Signore!”.Ti fanno eco anche le parole di MadreRachele: “Ciò sarà quando piacerà a Dio;per ora utili sono le stesse contraddizioni”.Cara Paola, anche tu ci ispiri. E noi cilasciamo ispirare. �

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L a missione per il Regno vissuta nelrecinto di un orto, proprio così.È la storia di una donna di cui non

conosco esattamente il nome. So che lachiamano Maria dell’orto, e fa l’ortolana.Vive in una comunità monastica, dove l’hoincontrata vent’anni fa durante unasettimana biblica, che si svolgeva in quelmonastero.La salutavo ogni mattina, passando accantoalla grande ortaglia rigogliosa di verdure ela osservavo mentre si muoveva esperta edecisa come un condottiero tra le “colle” dipomodori, melanzane e peperoni, constivali pesanti, lunga gonna a fiorami e unlargo cappello calcato sugli occhi da gitana.Rispondeva al saluto e non aggiungevaaltro. Lavorava concentrata sul suo lavoro,con un atteggiamento da profeta. Cioè,profetico era il suo modo di vivere.

LLaa ssoorrpprreessaaNel programma del corso era compreso ilcosiddetto dopo-cena, come pausa didistensione, durante il quale “i fratelli e lesorelle” della comunità conversavano congli ospiti. Era molto attesa quella pausa,perché tutti curiosi di scoprire le coseprivate di quella forma di vita così inedita. Ecosì attraente. E una sera venne nel miogruppo Maria, la Maria dell’orto. Vestivauna tunica da monaca e mostrava unportamento austero, quasi nobile. Parlòsubito, intuendo la nostra soggezione. E restammo incantati dal fluire della suaconversazione e dall’accento pittorescodella Catalogna. Sì, proveniva dalla Spagna.Aveva compiuto studi umanistici,completati con uno stage manageriale e siera impegnata nella docenza universitaria.La sua conversazione rivelò unaconoscenza sorprendente dell’arte del suoPaese, da quella islamico-goticadell’Alcazar, alla grande fioritura del secolo

d’oro (periodo di Teresa d’Avila), finoall’arte moderna, illustrando le grandicattedrali di Burgos e di Barcellona, cittàspagnole a lei care. Ma, e l’orto? “L’orto è il mio passatempo,rispondeva, meglio, è il lavoro che mi affidala comunità. Tutti svolgiamo un compitocome contributo al nostro mantenimento.In questo esplichiamo le competenzepersonali: in ceramiche, icone,falegnameria, arazzi, tipografia e lavoriagricoli. Oltre allo studio e alla ricerca.” Matu sei pratica di ortocultura? Scoppiò in unarisata contagiosa: “Mi piace e imparosempre. Faccio anche esperimenti di innestinuovi e di semine integrate con semi disperanza. Sono quelli che sprigionanovitalità insperate”.

“Tu lavorerai, perché i Padri e gli Apostolihanno lavorato per vivere del lavoro delle proprie mani” (dalla Regola).

Venne in quel momento una monacagiovane che le parlò in disparte e Maria sicongedò. Certo, disse qualcuno che erainformato, Maria è la Maestra di formazionedelle novizie. Sicché si scoprì che il suoprimo compito in comunità era quello.

DDaallllaa SSppaaggnnaa aallll’’IIttaalliiaa,, ppeerrcchhéé??Ho conosciuto la Comunità fin dai suoi inizied io stessa appartengo a quelli della primaora. È stato quasi un fatto casuale, che visto inseguito ho ritenuto una vera fortuna. Io, cheper un periodo ero vissuta priva dellosguardo verso l’alto, cominciavo a sentirmidisturbata da una ricerca interiore e aconvincermi che ciascuno nasce per“servire” a qualcosa. Leggevo per caso delmonachesimo, di Benedetto e di Romualdo,la cui opera è viva più che mai, consegnatasì alla grande storia, ma ugualmente

21ALBERICA VITARI SMSD

NEL RECINTO DI UN ORTO

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consegnata alla grande attualità, con ilseguito di ordini religiosi e di congregazioniche alla loro Regola si ispirano. Mi sentiidiscepola prevalentemente delmonachesimo occidentale, che creò formedi vita cenobitica, cioè di vita improntata inuna chiara direzione e vissuta in duedimensioni: quella della preghiera e quelladel lavoro, con uguale dignità.La comunità a cui appartengo, sorta nel1965, esprime il modello originario in formaaggiornata, nella compresenza di uomini edonne provenienti da Chiese cristianediverse, in cui preghiera e lavoro sonopercepiti con sensibilità ecumenica eorientati alla missione universale dellachiesa.“Tu fratello, sorella,sei venuto in comunità non per te stesso,ma per i fratelli”.Tale dimensione mi ha dato una spintaconvincente in ordine alla mia scelta divivere in modo radicale il desiderio el’attesa della promessa del Regno. Viverlainsieme, superando il vizio della

superficialità e dell’individualità accentuatain cui cade talvolta l’espressione di fede nelnostro presente. Quando ho completato il percorsoformativo e il Priore mi ha ritenuta prontaper la consacrazione definitiva, hopronunciato queste parole:“dare la vita a Dio e darla davanti allaChiesa.Dal tuo sì i tuoi atti e i tuoi atteggiamentida ora prendono una visibilità comunitaria”.La comunità quindi ti investe di unacapacità profetica e ti affida la funzione diportare l’Annuncio.

DDiisscciipplliinnaa ee vviirrttuussCome vivi l’incarico della formazione? Con le sorelle novizie lavoro su tre linee:preghiera, silenzio, gioia, che apronoall’ascesi e preparano alla contemplazione.Inoltre, due sono le parole che prediligo perloro: disciplina e virtus: disciplina intesacome adesione di se stessi all’interesse e albene di tutti; virtus intesa come qualitàmorale della persona capace di esporsi alle

esigenze delle sue responsabilità, ilche comporta rischi e sacrifici, echiede di compiere atti coraggiosi.Guardando al mio passato, hosperimentato una grande autonomiae libertà personali, che sono sfociatepoi in una altrettanto grandesolitudine. La comunità guarisce ilmale della solitudine e guida dirittaverso orizzonti lontani. Oggi,l’essere una della prima ora mi legain modo speciale al monastero e allacura delle vocazioni nuove, chesono il seme del futuro.

Grazie, Maria. Oggi sei unasapiente maestra di vita, segnata dauna spiritualità viva e cattolica, chetrasmetti con dolcezza materna. �

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Nel suo discorso alla Curia Romana inoccasione del Natale 2009,Benedetto XVI affrontò il tema

impellente della “questione di Dio”. Ai Prelatipresenti il Papa disse: «Anche le persone chesi ritengono agnostiche o atee devono stare acuore a noi credenti […]. Dobbiamopreoccuparci che l’uomo non accantoni laquestione su Dio, che è questione essenzialeper l’esistenza umana. Preoccuparci perchéegli accetti tale questione e la nostalgia che inessa si nasconde». L’affermazione fece scalpore anche perl’inaspettato e felice accostamento delproblema teologico e pastorale alla scenaevangelica (Mc 11,17) di Gesù che scacciadal tempio i venditori e i cambiavalute, cheavevano occupato il “cortile dei pagani” persé riservato a luogo di preghiera e diadorazione. Per meglio inquadrare il riferimento delPapa, è bene ricordare che, varcata la sogliadel portico di Salomone, si metteva piede inun grande spiazzo rettangolare – oggi,quello della cupola della Roccia – il cuilato più lungo misurava non meno di 500cubiti, ossia più di 225 metri. Era il “cortile”a cui potevano accedere tutti i “goyim”(pagani) e perfino gli eretici e scomunicati,le persone in lutto e quelli che eranolegalmente impuri. Quel “tempio esterno”,come lo chiama Giuseppe Flavio, era inrealtà una piazza pubblica, l’equivalente diquello che a Roma è il foro e ad Atenel’agorà. Quello che in origine era spazioriservato alla preghiera di tutti, secondo leindicazioni profetiche di Isaia 56,7 «La miacasa sarà casa di preghiera per tutti ipopoli», col passare del tempo eradiventato luogo di incontro, dicontrattazione e di commercio. Col suogesto clamoroso, Gesù rivendicava lasacralità del tempio tutto intero, comeluogo di preghiera e di adorazione. Gesù

non contestava i riti del tempio: voleva chefosse salvaguardato il diritto di tutti atrovare nel tempio il luogo della preghiera edell’adorazione.

Benedetto XVI ha voluto ricordare che inquel cortile si radunavano «persone checonoscono Dio, per così dire, soltanto dalontano; che sono scontente con i loro dèi,riti, miti; che desiderano il Puro e il Grande,anche se Dio rimane per loro il “Dioignoto”» (At 17, 23). Per il pontefice, anchechi “prega il Dio ignoto” è in qualche modoin relazione, pur in mezzo ad oscurità divario genere, con “il Dio vero”. La proposta del papa, in questo senso,appare quanto mai utile a rilanciare inchiave pastorale il dialogo tra i credenti e inon credenti. Allo stesso tempo demolisceogni velleità di fare del cristianesimo unareligione con pretese esclusivistiche, sia inrelazione alle altre religioni monoteisticheche in relazione ai non credenti: la religionecristiana non frappone steccati tra credenti enon-credenti, perché riconosce che tuttisono inclusi nell’universale chiamata allasalvezza. Ma la parola del Papa, infine,suonò ancora più audace, quandocategoricamente affermò: «Io penso che laChiesa dovrebbe anche oggi aprire una sortadi cortile dei gentili, dove gli uomini possanoin qualche maniera agganciarsi a Dio, senzaconoscerlo e prima che abbiano trovatoaccesso al suo mistero». Tradotta nelle sueimplicazioni religiose e sociali, la propostadi Benedetto XVI ha la portata di una verarivoluzione copernicana all’interno dellapastorale ordinaria, troppo spesso occupataa nutrire la fede del piccolo gregge deipraticanti e dimentica della moltitudinecostituita dagli altri. Essa mette in evidenzal’urgenza di un «dialogo con coloro per iquali la religione è una cosa estranea, aiquali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non

23ANTONIO GIOCONDO BRONZINI OSJ

IL CORTILE DEI NON CREDENTI

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vorrebbero rimaneresemplicemente senza Dio,ma avvicinarlo almenocome Sconosciuto». Cometradurre in pratica ilpressante invito del Papa acreare uno spazio di dialogo tra credenti enon credenti? Subito si è messo in moto il PontificioConsiglio della Cultura, che ha fatto proprial’idea del Papa e ha lanciato molte esignificative iniziative di incontro e discambio con i non-credenti. Si sono mossi iVescovi, i Sacerdoti e i fedeli attenti epreparati alle nuove forme dievangelizzazione. Sono stati conquistatispazi consistenti negli areopaghi mediatici,con larga fioritura di talk-show, tavolerotonde, dibattiti, blog e quant’altro mai. Nel mio piccolo, io mi sono proposto (esommessamente consiglio) di abbandonarenella predicazione e nel contatto anche ogniminima apparenza di scarso rispetto e, ancorpiù, di biasimo nei confronti dei lontani,degli agnostici, degli atei o di coloro che

hanno abbandonato lafede pubblica, purconservando un’interiorenostalgia del divino. Misono detto: “Se vuoidavvero raggiungere

qualche pecora del gregge smarrito, ènecessario che ti preoccupi di aprire (o ri-aprire) ‘cortili’ intorno al tempio, dove tupossa esercitare la fede nell’uomo, oltre chein Dio, e dare testimonianza di caritàaccogliente verso i lontani, per provocarne unpossibile riavvicinamento”. Grazie a Dio,anche ai nostri giorni non mancanooccasioni di incontro, nei quali, pur tral’indifferenza e la sufficienza di molti, iministri, le persone consacrate e i fedeli piùsensibili possano lanciare ponti per chi habisogno di riprendere la pratica cristiana.A questo proposito, sono andato a rileggermiuna riflessione, semplice e profonda, del mioFondatore, san Giuseppe Marello, e ve lalascio come suggerimento, tanto facilequanto prezioso: “Sono tante le specie dipredicazione: in casa propria ai visitatori e in

casa degli infermi alle personesane; ai fanciulli per via, agliadulti dove si può e a tuttidappertutto, con gli occhi,con la bocca, con tutta lapersona: con l’infallibile. Siatemiei imitatori e Risplenda laluce delle vostre opere buone”(Epistolario, lettera 23). �

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Nella foto: Il Tempio diGerusalemme, fatto erigere da Erode il Grande, nelplastico dell’Holy Land Hotel.Il porticato più esterno eradenominato Atrio dei Gentiliperché era l’unica zonaaccessibile anche ai non ebrei.

Tu non credi? Non preoccuparti:

è Dio che crede in te

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A causa della loro fede in Gesù Cristo,più di 150 milioni di credenti nelmondo soffrono di discriminazioni

gravi o di atti di violenza. Nel solo 2011sono stati contati 398 cristiani che hannosubito il martirio. Il numero è riferito soloalle persone conosciute ed uccise per la lorofede. Non comprende le persone vittime diattentati per il solo fatto di trovarsi a pregarein una chiesa. Nel 2011 sono stati uccisi 26operatori pastorali (18 sacerdoti, 4 religiose,4 laici) prevalentemente in America (15) e inAfrica (6). Complessivamente gli attacchiterroristici contro i cristiani in Africa, inMedio Oriente e in Asia sono aumentati del309 per cento tra il 2003 e il 2010.Teatri di questa strage non sono solo i paesinei quali i cristiani sono una goccia in unmare. Sono colpite anche grandi comunità.In Egitto i copti, in maggioranza ortodossi,sono sei milioni. Dei 170 milioni di abitantidella Nigeria, i cristiani sono quasi 70milioni (il 40 per cento, per metà cattolici).Già da soli questi numeri confermano ladolorosa constatazione di Papa BenedettoXVI: la religione cristiana è la piùperseguitata al mondo; molto più di quellaebraica, islamica, buddista,induista.L’assassinio e il martirio sono gliatti estremi di una persecuzioneche si sviluppa in numerosetappe: attraverso l’oppressione, ladiscriminazione e l’attacco aidiritti sociali, come la limitazioneall’accesso allo studio e al lavoro,si determinano condizioni in cui icristiani sono trattati da cittadiniinferiori, ai quali si rifiutano idiritti umani elementari.Molti diventano esuli e profughi,alimentando un’emorragiainarrestabile. Costretti dallenegative condizioni di

cittadinanza, vendono tutto e se ne vanno,impoverendo se stessi e la comunità in cuisono nati. In Medio Oriente le comunitàcristiane si svuotano: all’inizio del secoloscorso i cristiani erano almeno il 20 percento della popolazione mediorientale. Oggisono al massimo 12 milioni, vale a direappena il 5 per cento.

Un’ingannevole neutralitàIl secolo che abbiamo iniziato si stainsanguinando di cristiani come quello che èalle nostre spalle. Eppure ad ogni attentato,ad ogni strage, ad ogni martire la reazioneprevalente in Occidente è di sorpresa. Ècome se ci si chiedesse: ma come? c’èancora chi uccide per la fede? c’è ancora chimuore per la fede?Mons. Rino Fisichella, presidente delPontificio Consiglio per la NuovaEvangelizzazione, ha osservato: “Il martiriodi molti cristiani non è diverso da quellosofferto nel corso dei secoli della nostrastoria, eppure è veramente nuovo perchéprovoca gli uomini del nostro tempo spessoindifferenti a riflettere sul senso della vita esul dono della fede”.

NELLA PERSECUZIONE DEI CRISTIANIC’È TUTTA LA VIOLENZA DELLA PAURA

25TINO BEDIN

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Profeta anche in questo, Papa GiovanniPaolo II aveva saputo proporre una rispostaalla sorpresa dei contemporanei giànell’annuncio del grande Giubileo delDuemila, che pure era un evento gioioso:“Al termine del secondo millennio la Chiesaè divenuta nuovamente Chiesa dei martiri”,ci ha ricordato.“Chiesa dei Martiri” è dall’inizio di maggioil nome di una piccola cappella appenacostruita vicino all’arcivescovado di Kirkuk:onora i 937 cristiani che tra il 2003 ed oggisono stati uccisi in Iraq, dove i cristiani cisono da quasi venti secoli e da quattordicisecoli convivono con l’Islam e dove oral’immotivato assassinio dei fedeli di Cristo èquotidiano. Il richiamo di Giovanni Paolo II,che diventa sangue e pietra nella “Chiesa deiMartiri” a Kirkuk, non era rivolto solo ailuoghi della persecuzione, ma anche ailuoghi dell’indifferenza.In molti continuano ad interrogarsi sul“silenzio” dell’Occidente nei riguardi di unatragedia globale che Benedetto XVI hadefinito “cristianofobia”.A lasciarci senza parole è a volte la “sorpresaincredula” appena descritta. Ma a giustificareil mutismo è molto più spesso la scelta dinon interferire sulle questioni religiose, disospendere il giudizio morale e politicoquando potrebbe esserci di mezzo la fede.Si tratta di una “ingannevole neutralità, chedi fatto mira a neutralizzare la religione”, hacommentato un rappresentante della SantaSede all’Onu. In verità, una cultura che stacercando di eliminare la religione dalla vitapubblica, viene messa in discussione daimartiri e per questo li rimuovedall’attenzione.

Un drammatico atlante della sofferenzaL’ingiustificato mutismo sulla cristianofobia siaffievolisce solo contro l’estremismoislamico. In questo caso (non solo in Italia,non solo in Europa) i giornalisti fanno buonititoli e i politici fanno convinte dichiarazioni.Indubbiamente dall’estremismo islamicosono arrivate le più diffuse persecuzioni neiconfronti dei cristiani nel corso dell’ultimoanno. La Nigeria ha il primato delle personeassassinate per la fede. Su una lista di 50Stati messi sotto osservazione per lapersecuzione religiosa, ben 38 sono amaggioranza islamica. Si tratta di una listaaggiornata annualmente. Vale la pena

scorrerla sia perché è un drammatico atlantedella sofferenza, sia perché aiuta a capirel’atteggiamento dell’Occidente.In testa a questa lista non c’è un paeseislamico, ma una dittatura comunista, quelladella Corea del Nord, che ha per il decimoanno consecutivo il primato di paese che piùperseguita i cristiani. Si stima che vi sianodai 50 mila ai 70 mila cristiani che soffrononei campi-prigione nord-coreani a causadella loro fede. Tra i primi dieci Stati dellalista c’è anche il Laos, altro paese comunista.Il Paese con il più alto numero di cristianiperseguitati è la Cina, che è al 21° postodella lista. Con i suoi 80 milioni dicomponenti la comunità cristiana cinese è laterza dopo gli Stati Uniti e il Brasile.Nella lista c’è anche un altro grande paese,l’India: qui il nazionalismo religioso ad uncerto punto è riuscito addirittura ad arrivareal potere innescando una caccia al cristiano,che continua anche dopo il cambio digoverno. Addirittura in sesta posizione sitrovano le isole Maldive: qui è vietata ognireligione che non sia la musulmana e vige lasharia, ma il turismo non vede e non parla.

“Una nazione, una religione”Questo atlante della sofferenza dei cristiani,nel quale pur prevalgono gli Statimusulmani, non descrive tuttavia una guerradi religione. Vi si legge piuttosto un capitolodella globalizzazione: il capitolo cheriguarda le culture.Nel nostro tempo le persone di culturediverse vengono in contatto come mai primad’ora. L’inevitabile “contagio” può esserepercepito come un’opportunità (sia peraccrescere le conoscenze sia per ridurre lediseguaglianze) o come una minaccia (sia aitradizionali stili di vita delle persone sia agliinteressi consolidati dei potenti). Oggiprevale la percezione della minaccia e laconseguente chiusura. Succede dovunquesul pianeta, non solo in Medio Oriente, nonsolo nel Sud del mondo.Sono passati vent’anni dalla teorizzazionedello “scontro di civiltà” da parte dellostudioso americano Samuel P. Huntington,che ha previsto un mondo organizzato nonin Stati ma in Civiltà (e ne ha elencate nove).Una teoria che gli Stati Uniti hannotrasformato in politica globale sotto lapresidenza di George W. Bush.A manifestarsi oggi in tutto il Medio Oriente,

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ma anche in Cina, in India, ed ultimamentein Africa (sia quella mediterranea sia quellasub sahariana) è una forte spinta adomogeneizzare il tessuto sociale prima chela multiformità della globalizzazione“contagi” comunità spesso tenute insiemedalle classi dirigenti più che dalla loro storia.La religione e la religiosità sono – oggi comeieri, lì come in Europa – contenuto e formaessenziali delle comunità, per cui renderereligiosamente omogenee le società è unodegli obiettivi della cristianofobia e dellarepressione religiosa in generale.“Una nazione, una religione” è unprogramma ufficiale di governo inKazakistan; così infatti la statale Agenzia pergli affari religiosi interpreta dichiaratamentela libertà religiosa, aumentando il controllostatale sui gruppi religiosi e incrementando lesanzioni penali. Nelle società musulmane,

come è quella kazaka, la persecuzioneriguarda cristiani e buddisti e indù e animistie testimoni di Geova ed ebrei. Tutti.Specularmente avviene in società, comequella indiana, dove i musulmani sonominoranza e sono a loro volta soggetti apersecuzione. Poiché in generale non sitratta, come abbiamo detto di una guerra direligione, il fine ultimo non è l’affermazionedella supremazia di una religione sull’altra,ma la “ripulitura” dalle minoranze religiose ela conseguente ridefinizione delle areeculturali del pianeta: proprio come gli StatiUniti hanno teorizzato con Huntington epraticato con Bush.

Continuiamo a tornare sul GolgotaPer quanto riguarda il Cristianesimo ilconseguente disegno finale è di

“occidentalizzare” questa religione, dilasciarle cioè il suo spazio storico, ma diinterdirle il ruolo di religione planetaria.Questa azione è particolarmente violenta eparticolarmente estesa contro i cristiani,perché per sua natura il Cristianesimo è unareligione universale: si incarna in ognipersona e in ogni luogo. Il 64 per cento deifedeli della sola Chiesa cattolica vive ogginel Sud del mondo. Complessivamente oggil’Asia e l’Africa hanno tassi di battesimicristiani sconosciuti in Occidente.Fede e storia rendono oggi i cristiani sia figlidel mondo sia fratelli di ciascuno dei loropopoli. In molte situazioni essi sono partepiù aperta della società, capaci di esprimerecomunità-ponte nelle divisioni sociali,come negli Stati indiani dove contrastano ilsistema delle caste e per questo finiscononel mirino di un’atroce pulizia solo

nominalmente religiosa. E inAmerica Latina come inAfrica i cristiani sono unargine alle dittaturesanguinare e alla violenzadella finanza globale, spessoalleate o addiritturacoincidenti. Nei rapportiinternazionali il rifiuto dellaguerra è inequivocabile: bastiricordare l’opposizioneall’attacco all’Iraq o ai piùrecenti bombardamenti sullaLibia.Interrogandosisull’accanimento contro i

cristiani, il cardinale Angelo Bagnasco,presidente dei vescovi italiani, si è chiesto:“Forse i cristiani sono discriminati eperseguitati perché parlano di dignità e diuguaglianza di ogni persona, uomo o donnache sia? Di libertà di coscienza? Perchépredicano la giustizia e lo Stato di diritto?Forse è per questo che qualcuno li giudicapericolosi e inaccettabili, oggetto diintolleranza, meritevoli di persecuzione e dimorte?”. È per questo.La cristianofobia contemporanea ci riportainevitabilmente alla Croce di Cristo,innalzata sul Golgota per paura: la paura deisacerdoti di perdere il potere, la paura diPilato di perdere il consenso. I carnefici diallora hanno nascosto le loro paure dentro laviolenza della forza. Succede anche oggi. �

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Nella foto:IIraq,Kirkuk,Memorialedei martiricristiani

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Èstato questo il tema dell’incontronazionale Famiglie e Cooperatoriche si è tenuto domenica 17 giugno

nella Casa di Spiritualità “Madonna dellaNova” in Ostuni. Si è concluso, con questoincontro, il cammino di riflessione sullafamiglia iniziato lo scorso anno a Calcinate.Due momenti diversi, due luoghi diversi,ma un unico progetto: entrare, comeCooperatori, nel cuore di quello che è ilfondamento del nostro vivere sociale, nellaboratorio dove si imparano e sisperimentano le relazioni basilari per la vitadi ciascuno: la famiglia.Come accade ogni volta, in questecircostanze, il ritrovarsi, l’accogliersi, ilraccontarsi, ha impresso il caldo e

significativo avvio alla giornata che si è poisviluppata in maniera serena e costruttivagrazie all’efficace contributo dei duerelatori: don Giuseppe Satriano, VicarioGenerale dell’Arcidiocesi di Brindisi-Ostunie il professor Michele Illiceto docente difilosofia al Liceo Classico di Manfredonia epresso la Facoltà Teologica Pugliese. I saluti del Referente Nazionale, NicolaChiarot e della Vicaria Generale, MadreMaria Angela Ferronato, hanno aperto ilavori del Convegno immettendoci subito inquel clima accogliente di famiglia che da

tempo sperimentiamo nei nostri gruppi enei nostri incontri come Famiglia Dorotea.Don Giuseppe Satriano ha offerto la suariflessione ripercorrendo le parole di Genesi2,18-25, fondamento biblico dove si attestacon estrema chiarezza il senso ultimo dellarelazione che intercorre tra l’uomo, ladonna e Dio: una relazione che indica ilpassaggio dall’io al tu al noi, paradigmacon cui vivere e leggere tutti i rapportiumani.Il Testo Sacro ci sorprende sempre per lanovità e per la freschezza che, ogni volta, lesue antiche e pur conosciute paroleriescono a trasmettere. Nella logica delracconto biblico l’altro diviene “luogoaccogliente”, “spazio vitale” in cuiritrovarsi, riconoscendo la propria identitàattraverso la diversità che l’altro porta consé. E in questo spazio la relazione siattualizza nelle dimensioni delladonazione, della gratuità, dell’accoglienzae della reciprocità.L’essere coppia, secondo il progetto di Diodiviene, per il mondo, annuncio disalvezza. Come afferma don Tonino Bello,più volte citato, si è chiamati a divenirecome famiglia “agenzia periferica della SS.Trinità: laboratorio che produce le stesselogiche e vive le stesse esperienze dicomunione (…) Proprio perché icona dellaTrinità, la famiglia deve divenire il luogoprivilegiato delle relazioni, spazio in cuivivendo l’uno per l’altro, vengono sbrecciatii gangli linfatici che secernono tossine diguerra: l’accumulo, il profitto, la carriera, ilpotere, la sopraffazione…”.Ha fatto da sfondo a questa riflessione lafamosa icona della Trinità di Rublevsapientemente illustrata dall’iconografaMaria Lucia Alemanno che ci ha fattoentrare, attraverso l’osservazione delle linee,dei colori e delle luci dell’icona, nel misterodella Trinità, quasi a partecipare di quel

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LA FAMIGLIA ICONA DELLA TRINITÀE LUOGO DI RELAZIONE

LUCIA TRAMONTE

Nella foto:LuciaTramonte eNicolaChiarot

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vortice d’Amore che anima incessantementela relazione tra le tre Persone raffigurate.Don Tonino Bello sintetizza questo pensierocon l’espressione: “Non 1 + 1 + 1 = 3, bensì1 x 1 x 1 = 1”.Il professor Illiceto, ci ha accompagnati inun percorso che, partendo dalla Trinità,cuore pulsante di amore, ci ha condotti ariflettere sulle relazioni che oggi viviamonella coppia e nella famiglia.La sua articolata relazione ha preso lemosse da un’approfondita analisi teologicasulla Trinità per scoprire che non si puòparlare d’amore umano se prima non sientra nella logica dell’amore divino perimpararne la grammatica e diventare“esperti d’amore” e quindi scoprire che,come lo Spirito è il “noi” di Dio, gli sposidevono realizzare il loro noi nella famiglia.Il relatore è passato quindi ad analizzare gliaspetti antropologici contestualizzando lafamiglia nell’oggi socio-culturale perevidenziare tutti quegli aspetti di criticitàche ben conosciamo e di cui sono primevittime le giovani generazioni e non solo.Nell’ultima parte del suo intervento, moltoappassionato e coinvolgente, il professorIlliceto ha passato in rassegna le diverserelazioni che viviamo in famiglia,fondamentale tra tutte la sponsalità senza laquale perdono il loro autentico significatole altre relazioni che si vivono in famiglia:la genitorialità, la figliolanza, la fraternità,la socialità. Una particolare attenzione èstata riservata agli stili genitoriali mettendoin guardia da quelle modalità educative chenon permettono ai figli di crescere esviluppare armonicamente e serenamenteogni loro potenzialità, partendo dalprincipio che essi sono “altro da noi” ed ècompito del genitorepermettere che questo“altro” trovi il suo spaziovitale.La giornata si è conclusacon la celebrazioneeucaristica che si è svoltanella chiesa parrocchiale aconferma di come lafamiglia Dorotea vuoleessere presente e attiva trale famiglie nel luogo doveesse vivono. A sottolinearequesto aspetto, ad ognipartecipante al Convegno è

stata donata una casetta in terracotta (untrullo che per noi pugliesi è simbolo dicasa), con l’invito ad appenderla all’esternodell’uscio delle nostre case perché siasegno di accoglienza e di cura per tutte lepersone che la abitano e che vi entrano.

““DDIIOO FFAA RRIIUUSSCCIIRREE LLEE CCOOSSEEQQUUAANNDDOO MMEENNOO CCII SSII AASSPPEETTTTAA””

GIUSIBERTO CACETTA

Così Don Luca in una sua lettera(3.3.1841). Ed è proprio quello che èsuccesso durante i preparativi del convegnodi Ostuni. Gli incontri del gruppo dicoordinamento sono sempre stati vissutinella serenità e nella certezza che, graziealla provvidenza, il tutto sarebbe riuscitosecondo le nostre attese.Durante i primi incontri, e grazie allacompetenza e all’impegno dei componenti,laici e suore, sono stati passati al vaglio tuttigli aspetti della preparazione del convegno:accoglienza, ospitalità, accreditamento allaconferenza, pranzo, momento di svago,Celebrazione Eucaristica. Sembra tuttonormale; ma quando ci si addentra nelle

Nella foto: in alto prof.Michele Illiceto;in basso unoscorcio deipartecipanti alconvegno

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situazioni ecco scorgere alcuni interrogativi,alcuni ostacoli. Ed è proprio in questimomenti che abbiamo visto affiorare il verosenso della cooperazione all’interno dellaFamiglia Dorotea. Quando ci si ponevanodelle domande del tipo: “bisogna pensare aun ricordino da dare”, “bisogna fare lecartelline”, “i dépliant e i manifesti”, “chi sioccupa delle stanze per il pernottamento?”.Ecco che subito il gruppo di coordinamentoproponeva già risposte risolutive. Risposteche davano senso all’impegno di cui ognicomponente si faceva carico. Da elogiare inmodo particolare l’apporto dato da Lucia eMarcello, veri pilastri del gruppo, che si sonosempre messi a disposizione per ognievenienza e sempre con la soluzione nelcassetto; oserei dire, secondo un linguaggiotecnico, che sono stati “la sala operativatecno-logistica” del gruppo dicoordinamento, senza nulla togliere agli altricomponenti, sicuramente lodevoli per tutto illavoro svolto nella massima semplicità, maanche nella consapevolezza che tutto andavafatto al meglio. Non ci siamo inventati nulladi particolare, ma abbiamo messo adisposizione le nostre umile capacità: umilisì, ma volenterose e piene di quell’impegno

alla cooperazione che sono proprie di ungruppo di cooperatori dell’Opera di SantaDorotea.Un grazie lo dobbiamo a Mons. GiuseppeSatriano, che con la sua gioia e la sua verapartecipazione alla vita dell’Opera ci hasempre sostenuto e guidato durante gliincontri. Abbiamo sempre avuto la libertàdi esprimere il nostro pensierosull’organizzazione del convegno, nellaconsapevolezza di essere guidati e sostenutida una parola di fede viva, concreta eanche confidenziale, piena di umanità;

grande valore, tra gli altri, che riscopriamoin questa guida costante e sincera. GrazieDon Giuseppe!Durante la preparazione del convegno nonabbiamo tralasciato l’aspetto diocesano dellavoro. Una rappresentanza del gruppo dicoordinamento si è recata in visita dalVescovo di Brindisi-Ostuni, Mons. RoccoTalucci, per chiedere la sua presenza eanche la sua particolare preghiera. IlVescovo ci ha consolati con parola disupporto e con un particolare elogio: il tema “la famiglia icona della Trinità eluogo di relazione”, non è una emergenzadi valori per i cooperatori dell’Opera di S.Dorotea, ma un vero e proprio bisognodell’intera Chiesa. Ci siamo sentiti alloraancor più responsabili e pienamentecoinvolti e inseriti nel contesto della Chiesaparticolare. Aspetto questo non passatoinosservato ad alcuni partecipanti alconvegno che hanno visto nella presenzadel vescovo un coinvolgimento lodevoledella dimensione diocesana dell’Opera. Dagli echi post convegno possiamo direche lo sforzo ha avuto il suo risultato. Equesto grazie a tutti: coordinatori,cooperatori, convegnisti e relatori. Se unrelatore non trova uditori capaci di ascoltodifficilmente il messaggio giunge al cuore.Come un contadino che coltiva sulla sabbianon riceverà mai un raccolto soddisfacente.Questo è successo al convegno di Ostuni.Tutti i convenuti sono stati compartecipi eattori principali della riuscita soddisfacente. Grazie e tutti, anche a coloro cheimpossibilitati a partecipare hanno fattosentire la propria vicinanza con lapreghiera e con messaggi di augurio. Tutto èandato bene e per questo ringraziamo Dioe Don Luca. “Bisogna andare nella stradache il Signore ci indica”, “confidando in Luie senza paura” come scriveva Don Luca. �

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Nelle foto: suor PaolaGrignani inmezzo ai giovani

Le suore italiane, partite comemissionarie per il Brasile, sitrasferiscono a San Paolo il giorno di

S. Dorotea del 1995, invitate dai padriCarlisti che fino al 2011 operavano nellaparrocchia del quartiere. Un’area periferica,a forte immigrazione interna, che interefamiglie, spostatesi dal nord est del Brasile,hanno occupato costruendo le loroabitazioni. Le religiose trascorsero i primitempi missionari in punta di piedi,inserendosi gradatamente nel contesto,cercando di conoscere lo stile di vita e leabitudini. Ma nel 2000 successe un fattoche sconvolse la popolazione: l’uccisionedi un ragazzo di 14 anni sul sagrato dellachiesa, colpito da una pallottola vagante.Un gruppo di donne, allora, si rivolsero allesuore: volevano fare qualcosa per i giovanidel posto. È stato nell’ascolto del grido diqueste mamme che le missionarie hanno“osato” andare oltre. «Si è dato vita a uncammino di fede e umano comune, cheoffriva alle suore la possibilità di conosceremeglio la realtà locale e alle donne dientrare in contatto con il carisma dellereligiose - racconta suor PaolaGrignani, dal 2004 nellamissione di San Paolo -. Unapsicologa ha accompagnato ilpercorso, per aiutare aindividuare il bisogno al qualerispondere».

DDaa qquueellllaa rriissppoossttaa èè nnaattoodduunnqquuee iill CCeennttrroo GGiioovvaanniillee ddiiCCoonnvviivveennzzaa,, ddoovvee oorraa llaavvoorraattee??

«Abbiamo risposto a un appello,c’è stata per noi una chiamata,nata da questo grido: da alloraaccogliamo adolescenti. Le mieconsorelle si sono rese contoche era una formula azzeccata,

perché altrimenti i ragazzi erano sempresulla strada, con tutti i pericoli correlati:morte, droga, violenza, cattive compagnie,prostituzione. Così si accoglievano ragazziattraverso iniziative sportive e ludiche. Adun certo punto, però, abbiamo dovutoabbandonare la sala parrocchiale, perché lachiesa doveva essere ristrutturata; perdiversi anni abbiamo affittato un garage,dove si turnavano numerosi volontari».

PPooii nnaassccee iill vveerroo CCeennttrroo,, iinnttiittoollaattoo aa ssaannttaaDDoorrootteeaa..

«Nel 2004 l’Istituto si accorge dellosviluppo del nostro progetto, dell’adesionedella gente e del numero sempre crescentedei ragazzi accolti e ha deciso di realizzarequalcosa di più grande e strutturato. Ma ilpasso è stato quello di partire dal piccolo,coinvolgere, arrivare a una misura checorrispondeva alle possibilità della crescitadelle persone; non un’esagerazione, quindi,ma un qualcosa a cui le persone potevanocorrispondere secondo le forze.

QUANDO EDUCARE È MISSIONE:IL CENTRO DI CONVIVENZAS. DOROTEA IN BRASILE

CINZIA AGOSTINI

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La costruzione è cominciata nel gennaio2004 e a maggio, nonostante il Centro nonfosse pronto, per la pressione della gente,abbiamo iniziato le attività. Oggi il Centro èun punto di forza, che vuole testimoniareche la Chiesa è un organismo vivente».

GGuuaarrddaannddoo llee ffoottoo,, ssii hhaa ll’’iimmpprreessssiioonnee ddiiuunnaa bbeellllaa ssttrruuttttuurraa..

«Io sono arrivata a San Paolo nel gennaio2004: la mia prima percezione dellaperiferia è legata alla colata di cemento, algrigio ovunque, alle case non finite, aldegrado. È una zona abbandonata, le stradenon sono asfaltate, mancano luce, acqua.

Dopo un po’ di tempo l’occhio si stanca divedere queste cose brutte: nostro scopo èanche educare al bello. E il nostro Centro loè, è pieno di colori, si sta bene, “sentipace” per usare un’espressione dei nostriragazzi. Qui l’educazione - che significacambiamento - inizia dalle piccole cose,dal prendersi cura dell’ambiente, sistemareuna stanza… far indossare le mutandine aun bambino di 6 anni che non le ha maiusate».

IIll CCeennttrroo ccoommee èè oorrggaanniizzzzaattoo??

«Nel 2008 abbiamo ottenuto ilriconoscimento del Comune e abbiamo

cominciato a collaborare conl’ente pubblico. Ora abbiamo 18dipendenti, assunti tra i nostrivolontari, quindi riconoscendoloro importanza e valorizzazione.Lavoriamo con 180 ragazzi eragazze dai 6 ai 14 anni; i ragazzivengono o alla mattina o alpomeriggio, a seconda del loroturno scolastico. La mattinaricevono colazione e pranzo,quelli del pomeriggio pranzo emerenda. Ogni giornoproponiamo attività nuove di tiposportivo (calcio, pallavolo, danza,kung fu, capoeira), creativo(teatro, artigianato, pitturamurale), culturale (informatica,musica). Il 27 giugno, inoltre, èstato firmato il contratto per lacostruzione (sovvenzionatadall’azienda Pirelli) di una scuolaprofessionale dentro lo spazio delCentro, per i giovani che hannoconcluso il ciclo dell’obbligo: sitratta per noi di una nuovapartenza».

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GGllii aadduullttii ccoommee vviivvoonnooiill CCeennttrroo GGiioovvaanniillee ddiiCCoonnvviivveennzzaa??

«Svolgiamo attività coni genitori: ogni meseorganizziamo unincontro per loro, chenoi chiamiamo scuola,su temi educativi diversi,ad ampio spettro, conuna parte teorica e unapratica, puntando suivalori. Promuoviamofeste, cui partecipanoanche 800-900 persone,per aumentare lacondivisione e laconvivialità e per cercare direcuperare le feste popolari che questagente, sradicata dal territorio di origine,stava perdendo. E poi ci sono tante bellestorie da raccontare: quella di una nostraeducatrice, per esempio, che ha adottato unnostro ragazzo coinvolto nella droga, senzapiù familiari, che è stato in carcere, un casomolto difficile. O quella del nostromeccanico, una persona moltosemplice: suo figlio da piccolo hasubito un’ingiustizia ed egli, nonvolendo che altri ragazzi soffranoingiustamente, durante la festa delbambino di ottobre ha iniziato ainvitare tutti i bambini della zona, finoa 4000 ragazzi: questo, ci ha detto,perché “vuole trasformare il male inbene”. Per gli educatori questa è unamissione, non un lavoro».

EE ii rraaggaazzzzii ccoossaa ppeennssaannoo??

«Il Centro è un luogo bello, perché cisono attività, sport, giochi» diceAlyson, 9 anni. «È come se fosse la mia

seconda casa» ribadisce Alex Carvalho, 14anni. «È un luogo tranquillo, che mi rendefelice» osserva Rebeka, 11 anni. «Quiimparo sempre cose nuove» è l’opinione diVinicius Cadamuro, 14 anni. «Lo frequentoper trovare nuovi amici, imparare cosenuove e il vero senso dell’essere compagni»conclude Bruna, 12 anni. �

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IIll CCeennttrroo SS.. DDoorrootteeaarraaccccoonnttaattoo ddaa ccoolloorroo cchhee lloo vviivvoonnoo::llee tteessttiimmoonniiaannzzee ddii eedduuccaattoorrii ee vvoolloonnttaarrii

«Il modo di lavorare che abbiamo adottatomira a stimolare in ogni partecipante ildesiderio di creare vincoli di amicizia tratutti, particolarmente con i bambini;un’amicizia che chiamiamo “santa”,perché vissuta prendendosi a cuore lepersone nella loro totalità - esordisce Thais,

educatrice al Centro da 5 anni -. «Io sintetizzo lo stile del Centro nei verbi accoglieree risvegliare - aggiunge Paulo Henrique, educatore -. È infatti un luogo che accogliebambini e adolescenti in gran parte carenti di tutto, risvegliando in ognuno ilriconoscimento delle proprie potenzialità e aiutando nella formazione del carattere.Come educatore mi sento motivato dalla possibilità di contribuire a trasformare vite,condividere esperienze».La coordinatrice Terezinha sottolinea: «Una delle caratteristiche che colgo è quelladell’accoglienza, speciale per ognuno; qui la persona ha il primo posto e sempre c’è iltempo e la disponibilità dell’ascolto: requisiti fondamentali per una relazione divicinanza e fiducia. Credo che tutti abbiamo delle potenzialità, e soprattutto i piúpiccoli possono essere agenti di trasformazione del mondo. La sfida che sento piùforte è dar vita alle parole del Fondatore “Non datevi pace finché sapete anche di unasola persona che ha bisogno di voi!”».«Il nostro lo definirei uno stile familiare: tutti quelli che arrivano qui sono accolti comeun figlio e possono sperimentare la sicurezza di una casa - nota Marli, educatrice einsegnante di danza -. Ciò che mi motiva, oltre al trasmettere l’amore e la passioneper la danza, è il desiderio di coinvolgere i ragazzi in una esperienza di comunità».«La mia motivazione? La Storia, quella di Gesù e quella di S. Dorotea che hocominciato ad amare da quando l’ho conosciuta - prosegue Carlos, volontario einsegnante di kung fu -. Quello del Centro è uno stile in estinzione nella nostrasocietà: qui, se si sbaglia, è per eccesso di amore, la solidarietà è vissuta in modo taleda contagiare. Perciò la sfida più grande per noi educatori è aiutare i ragazzi adiventare adulti con una coscienza più umana, affinché il futuro sia migliore per tutti».Jô è una volontaria “storica” del Centro, già partecipante del Gruppo Donne che gliha dato vita. Spiega: «Il nostro è uno spazio bello, accogliente e sano per i nostri figlie quello che mi motiva è la missione di diventare per loro “seconde madri”!».

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BBOOVVEEGGNNOO

IINNCCOONNTTRROO CCOONN DDOONN LLUUCCAA

All’inizio di giugno, la situazioneclimatica di Bovegno si presenta non

troppo favorevole. Il cielo scuro, appesantitoda nuvoloni carichi di pioggia fa presagireburrasca. Ma, cosa che avviene di frequentein montagna, nel pomeriggio, il sole èritornato tra squarci di azzurro sempre piùvasti. I monti circostanti, purificati dallapioggia, hanno assunto una chiarezzameravigliosa. Felici le suore che stavanoarrivando per l’incontro in preparazione allabeatificazione di Don Luca. Sono 23 sorelledi età compresa tra i 75 e gli 82 anni. LaSuperiora provinciale introducendol’esperienza dice: “Tutti i Santi, quindi ancheDon Luca, non appartengono tanto alle lorobiografie, cioè a ciò che dicono di loro gliscrittori, gli amici, ma è la relazione con Dioche conta”; come pure la relazione con noie con la realtà in cui siamo immersi, propriolì dove viviamo, operiamo, gioiamo, qui eora. Lo sviluppo dei contenuti, che riguardanola personalità del Passi, è affidato a SuorAlberica Vitari, abile nella comunicazione,dal pensiero chiaro e facile. Don Luca nelsuo andare ha realizzato una veraperegrinatio fidei; una vita da pellegrinonella fede e della fede.Suor Alberica accosta la figura di Don Lucaa tre personaggi biblici: Abramo, Paolo,Maria.Come Abramo, Don Luca è l’uomo delcammino, del movimento, dell’andare,dell’uscire da sé. “Fare il missionarioitinerante, è un bisogno insopprimibile delsuo cuore”. Non si tratta evidentemente diun andare solo esterno, bensìdell’imperativo rivolto da Dio: “Vattene!”,che significa: “Va’ a te stesso, ritorna al tuocuore, scopri la Parola di Dio in te per farnedono agli altri”. Con il suo andare DonLuca si sottopone a molte fatiche, ma

sperimenta anche la vicinanza di tantifratelli che lo ascoltano, lo stimano e loritengono uomo di Dio, che vuole portare eoffrire la sua parola efficace per la vita dellaChiesa.La seconda figura accostata a Don Luca èPaolo, il grande innamorato di Cristo,instancabile evangelizzatore che ripete a sestesso: “Guai a me se non predicassi ilVangelo” (1Cor 9,16).Don Luca sentiva molto vicino l’apostoloPaolo, grande convertito. Il suo camminarefisico è la manifestazione di un movimentoche sta dentro di lui, nel profondo, comevolontà di compiere ciò che Dio vuole,come disponibilità a donare e a donarsi,come affidamento per crescere nella fede.Il terzo accostamento alla figura di DonLuca riguarda la vergine Maria, la cui vita èstata caratterizzata dal viaggio sollecito eimportante per la storia della salvezza. Inparticolare la visita di Maria a Elisabetta,mette in evidenza che “Nulla è impossibile

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I fatti di Casa nostra

Nella foto: Bovegno,SantuariodellaMadonnadellaMisericordia

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a Dio”. Questa sconvolgente Parola fa sìche nel cuore e nella vita di Maria dimorigrande gioia e fiducia sconfinata, in ciò cheDio può.Don Luca era devotissimo di Maria e lascelse come protettrice dell’Opera eall’Istituto regalò l’Addolorata come Madre,nella quale risiede la forzadell’intercessione. Come Maria, Don Luca cammina conpremura. È l’apostolo sollecito, creativo erisoluto nell’operare perché “caritas Christiurget nos”. La carità consolida il progetto dellesue fondazioni e matura la dimensione dellapaternità: non dissipa nulla e valorizza tutto. Suor Alberica ha evidenziato anche le virtùteologali e umane di Don Luca, usando laforma epistolare come stesse scrivendo oggial Fondatore. Questa modalità ci ha reseancor più attente, nella certezza che le virtùteologali sono state donate anche a noi dalPadre, e quindi possiamo dire in verità,come l’Apostolo: “Non sono più io chevivo, ma Cristo vive in me”.L’ultima mattinata, iniziata con la preghiera,ha ospitato le conclusioni di madre Assuntacentrate sulla beatificazione: una tappasignificativa che suscita domandeimportanti. “Come aderire a questomomento di grazia? dove ci trova questoevento?”. Don Luca, come luce, ci haguidate nel nostro percorso.

Suor Francesca Pedretti

SSAANN ZZEENNOONNEE DDEEGGLLII EEZZZZEELLIINNII

LLOO ““SSPPOORRTTEELLLLOO DDII AASSCCOOLLTTOO””::UUNN AAIIUUTTOO PPEERR LLAA FFAAMMIIGGLLIIAA

Da tempo mi abita una passione per lavita e per la cura di ogni persona.

Oggi più che mai la famiglia è il luogo

privilegiato dove abitano relazioni, fatiche,conflitti e conquiste.Operando da anni nella scuola dell’infanziain qualità di insegnante e di coordinatrice,ho potuto cogliere alcuni segnali eintuizioni che mi hanno condotto allarelazione e all’apertura di uno sportello peri genitori. L’osservazione maturata negli anni con ilteam delle insegnanti e con un equipepsicopedagogica, che ci segue dal punto divista professionale, ha favorito l’iniziativa el’apertura dello sportello per i genitori.L’approccio giornaliero con le famiglie hasegnato i tratti di un percorso di crescitacostituito da uno stile che si chiamavicinanza, cura, passione, “santa amicizia”,come diceva Don Luca Passi, e crea legamiconsistenti e autentici. Abbiamosperimentato che i genitori sono stati i veriprotagonisti del confronto, portandoproblemi, ansie, paure, angosce e dubbi.Essi sono stati sensibili ad accogliereriflessioni e provocazioni da parte delleoperatrici per attuare dal di dentro uncambiamento e per migliorare la relazione

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coi i propri figli e tra i genitori.Lavorando in rete scuola, famiglia,territorio, equipe, abbiamo acceso unapiccola luce che ci auguriamo generi altreluci e dia frutti di sostegno e di supportoalla famiglia di oggi. Ci troviamo di frontead una realtà familiare spesso frantumatanella relazione, visitata dalla fatica e daiproblemi che coinvolgono la stessaorganizzazione del nucleo familiare priva, avolte, di riferimenti validi per lo sviluppodel bambino.Lo sportello di ascolto è stato proposto perben due volte nel corso dell’annoscolastico: nel mese di gennaio e nel mesedi aprile, l’esito è stato molto positivo.Le figure professionali: psicologa -pscicoterapeuta - pedagogista clinica,hanno offerto la propria professionalitàgratuitamente, non per svendere la propriacompetenza, ma per essere “segno” visibilenella comunità di una presenza che offre unservizio in seno alla scuola e alla comunitàcristiana.La strada è aperta, ci auguriamo che questoservizio possa collocarsi in seno allaparrocchia e diventi lo spazio per esseresupportati nel proprio ruolo educativoaprendo la propria vita sia adulta che dibambino ad un cammino che riguarda larelazione e la cura del proprio cuore.

Suor Dora Cavaniglia

VVEENNEEZZIIAA

SSCCUUOOLLEE PPAARRIITTAARRIIEE IINN RREETTEE

Il 9 maggio, nella bellissima isola di SanServolo, si è tenuto il primo “Meeting suidiritti dei bambini in rete” a cui hannopartecipato con entusiasmo dodici ScuoleMaterne Paritarie coinvolgendo 210bambini del gruppo grandi e quaranta tra

insegnanti e coordinatrici. Anche la nostrascuola S. Dorotea vi ha aderito. Due gli obiettivi fondamentali: da un lato,collaborare tra scuole mettendo in retebambini e il personale educativo; dall’altro,far conoscere al territorio la forza el’impegno di queste scuole, in un momentoeconomicamente difficile, ma carico dientusiasmo e creatività. L’evento ha avutodue tempi.Al primo momento sono state invitateautorità e istituzioni religiose e civili perraccontare loro, anche attraverso immagini,il percorso fatto durante l’anno scolastico.Monsignor D. Pistolato, a nome del nuovoPatriarca, ha sottolineato l’importanzadell’operato delle scuole paritarie a serviziodelle famiglie; l’Assessore alle Politicheeducative, A. Ferrazzi, ha riconosciuto lavalidità della proposta; la referentepedagogica della F.I.S.M. di Venezia, G.Golfetto, ha evidenziato la novità assolutadel progetto per la città di Venezia. La seconda parte della giornata ha visto

come protagonisti i bambini che, divisi inpiccoli gruppi, hanno dato dimostrazionedelle esperienze fatte nelle rispettive scuolein relazione al diritto al gioco, al riposo e altempo libero, sancito nell’articolo 31 dellaCarta dei diritti dei bambini. I piccoli hannoallietato una giornata già bella in sé per lacornice lagunare e lo splendore del sole. Riportiamo l’intervento di Laura Mazzo,fatto a nome delle coordinatrici. Per noi èdi particolare interesse esprimere il dono diqueste scuole alla Città: “Un giorno Giadaci ha chiesto di provare ad individuare un

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logo che riuscisse a rappresentare le nostre12 scuole. All’istante la mia fantasia si èmessa ad elaborare immagini ma non uscivaniente di interessante, finché un mattino,ripensando al numero ed alla condizionedelle nostre scuole, mi è ritornata in menteuna vecchia storia che si tramanda nellamia famiglia e che parla dell’eredità di unaspilla. Nei primi anni dell’ottocento il papàdella mia bisnonna, passeggiando perpiazza San Marco, trovò per terra una spillameravigliosa impreziosita da dodicidiamanti. Senza pensarci due volte, portò acasa la spilla e, volendone fare un dono perle sue due figlie, decise di trasformarla indue paia di orecchini con sei diamanticiascuno. Passò il tempo e il paio diorecchini appartenuti alla mia bisnonna,

furono ereditati prima da mia nonna e poida mia mamma. Alla mia mamma sipresentò il problema di come dividerequesta eredità avendo avuto sei figli. Pernon fare scontento nessuno decise che, almomento opportuno, gli orecchinisarebbero stati trasformati in sei pendagli.Ora vi starete chiedendo quale relazione hacon noi tutto questo!In verità una storia simile a quella della spilla

l’hanno avuta le nostre 12 scuole che, neltempo, sono passate di mano in mano,hanno subito molti cambiamenti, un caloconsiderevole di iscrizioni e di contributi e, avolte, le malelingue ne hanno rovinato lanatura. Ma è altrettanto vero che questidodici diamanti esistono ancora, sono lanostra eredità e non dobbiamo tenerlanascosta solo perché non brilla più comeprima! Il valore economico delle nostrescuole è diminuito ma esse, nonostante tutto,continuano a caricarsi di valori, di storia e diaffetto che si tramandano di generazione ingenerazione: nessuna di queste scuole vuoleessere abbandonata nella scatola dei ricordi!Quello che ci occorre è il lavoro di un abilegioielliere che sappia far risplendere ancoraquesti dodici diamanti ricreando con essiqualcosa di nuovo!Vi ho detto questo non solo perché amo ilmio lavoro ma anche perché personalmenteho avuto un’esperienza, prima come allievapoi come mamma, di un ambiente pieno dicalore, di valori e di serenità che non hoincontrato in nessun altro luogo. Quando hoportato per la prima volta il mio figliomaggiore nella scuola dell’infanzia S.Dorotea, che anch’io ho frequentato, mi sonoguardata intorno e mi sono sentita a casa!”.

Laura Mazzo e Martina Vianello

BBRREESSCCIIAA

LLAA GGIIOORRNNAATTAA DDEEII CCOOOOPPEERRAATTOORRII

Nella stupenda “Villa S. Filippo” di Brescia,Domenica 13 maggio, i cooperatori dellaLombardia si sono incontrati. Musiche,canti e un delizioso buffet li ha accolti.Suor Celina Zanetti dopo il benvenutorivolto all’Assemblea, ha presentatol’immagine della Madonna dell’Opera ed

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ha invitato cooperatori, giovani e bambini aporsi “sotto il suo manto”. Il tema della giornata chiedeva il “Raccontodi alcune esperienze” come testimonianzadei cooperatori della bontà del Vangeloverso le giovani generazioni e in continuitàcon il cammino formativo dell’anno:“Essere pane, per una vita buona dal saporeevangelico”.Madre Assunta Tonini ha orientato icooperatori a guardare l’Opera di S.Dorotea sotto il profilo della caritàspirituale e dell’amore del prossimo vissutosecondo una metodologia specifica e concreatività. In seguito, ha ravvivato lecoordinate dell’Opera: il prendersi cura deigiovani, il farsi dono dell’amicizia,l’attendere ad una corresponsabilitàcondivisa e il vivere gli spazi delquotidiano. Era presente la nuovaconsigliera nazionale dell’Associazione deiCooperatori, Vallì Cappiello, invitata comemoderatrice, la quale, si è rivoltaall’Assemblea sollecitando a vivere nellagioia ogni realtà che ci viene incontro. Il primo racconto aveva come nucleo:“L’attenzione al mondo giovanile attraversola catechesi dei genitori nelle parrocchie”.Le cooperatrici, Francesca Richiedei eCarmela Cottino, rispettivamente di Rezzatoe Villaggio Prealpino, insieme a suorAlessandra Abelotti, hanno presentato laloro esperienza come catechiste dei genitorinel percorso dell’iniziazione cristiana.Attraverso il cortometraggio “Il circo dellafarfalla” hanno evidenziato la possibilità difar emergere, con fiducia e rispetto, il benee il bello in ogni persona. La moderatrice, dopo aver fatto interagire ipartecipanti sulla provocazione:“Accogliamo la persona con tutta la suastoria”, ha concluso che l’esperienza disalvezza degli adulti è un punto centralenell’attuale sfida educativa e che un tratto

fondamentale dell’Opera è proprio quellodi promuovere e sostenere ogni persona.Il “Racconto di un’esperienza”, presentatoa tre voci, ha messo a fuoco il rapporto tragruppo locale dell’Opera di S. Dorotea eAssociazione Averoldi, nell’attenzione ecura verso gli adolescenti. Suor Veritas Caset ha fatto una panoramicasulla storia dei cooperatori partendo dallacelebrazione del 150° delle Suore Doroteedi Brescia, dal titolo: “Un evento dentro lavita genera una presenza e scrive una storiache rimane nella memoria”.La cooperatrice Marzia Bonardi hapresentato la nascita dell’AssociazioneGiuliana Averoldi. Infine, la cooperatriceEmanuela Bettini ha evidenziato

l’ampliamento di orizzonti chel’Associazione Averoldi ha messo in atto,aiutando i cooperatori dell’Africa. Il terzo racconto: “I cooperatori chiamati atrasmettere la fede ai bambini e ragazzioggi” è stato proposto da Annamaria Fadinie Maria Luisa Gaini del gruppo di Calcinate.Oltre alla catechesi in parrocchia, lecooperatrici hanno comunicato di esserepresenti nell’Oratorio e nel CREmanifestando l’impegno di mettersi accanto

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alle giovani generazioni con un’amorevolecura, e qualche buon suggerimento e avviso.La quarta esperienza: “Mi prendo cura di te”è stata raccontata da suor Virginia Adami,Romeo Gatta e Sonia Bettinsoli cooperatricedi Marcheno. Si è comunicato come sonostati coinvolti i parroci dell’Alta Val Trompia;inoltre si è descritto l’itinerario diformazione per animatori degli adolescenti,realizzato con la collaborazione di suorMaria Elisa Perinasso. La moderatrice Vallì Cappiello ha evidenziatoil contagio emotivo che i giovani avevanosaputo trasmettere ed ha rilanciato leprovocazioni e le attese dei giovani. Sonoemerse da parte di tutti espressioni digratitudine, fiducia, passione per i giovani,coraggio, desiderio di crescere, di orientaremeglio le risorse, di attivare al massimo ledinamiche “giovani per i giovani”. Tutti hannocontribuito, in modi diversi, allarealizzazione della giornata con tenacia eperseveranza. La virtù della costanza è unrequisito essenziale per la riuscita dell’Opera.Don Luca diceva al suo tempo: “la costanzaè necessaria soprattutto al nascere delledifficoltà. Ma spesso avviene in contrario, chequando le cose vanno a seconda, si prendeanimo e lena, che sarebbe quasi superflua,perché non possono più che andar bene; equando nascono delle difficoltà, e siattraversano degli ostacoli, ci perdiamod’animo. Che sarebbe lo stesso che affaticarsiin remare quando spira il vento favorevole esi viaggia a gonfie vele; e starsene poi collemani alla cintola quando il vento è contrario,ed ecco perché tante pie opere non riesconoe dopo un certo tempo decadono e vanno aperire. Dunque quando si voglia riuscire inun’opera, giova aversempre presente il dettodi S. GiovanniCrisostomo: l’uomodebole, al primoostacolo si avvilisce ecede, l’uomo inveceattivo e costante,ancorché nascono millecontrattempi, tanto piùprende impegno nellecose di Dio,adempiendo dal cantosuo ogni cosa possibile”.

Suor Celina Zanetti

TTAAVVEERRNNAA

CCOONN LLEE FFAAMMIIGGLLIIEE EE PPEERR LLEEFFAAMMIIGGLLIIEE

Sabato 19 maggio si è tenuto a Taverna ilconvegno “Educare alla fede le giovanigenerazioni e le famiglie: una sfida e uncammino“, promosso dalla Parrocchia,dall‘Associazione Cooperatori OSD e dalGruppo Nazareth con la partecipazionedegli alunni dell’Istituto ComprensivoTaverna.Abbiamo avuto in questa occasione ilpiacere e l’onore di avere come relatrice laprof. Rosanna Virgili docente di Esegesibiblica all’Istituto Teologico Marchigiano eresponsabile nazionale della Pastoralefamiliare; è stata un’esperienza unica eindimenticabile averla tra noi. Ha affrontatoil tema con competenza e chiarezza; ipresenti quasi rapiti seguivano il suoeloquio avvincente, dolce, incisivo, tenero,forte, sostenuto dalla profonda conoscenzadei testi e dalla fede personale chetrasparivano da ogni parola. Il ruolo deigenitori è quanto mai difficile e oggi nellasituazione che stiamo vivendo lo è ancor di

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più, la mancanza di ideali forti etrascinanti, di nuove prospettive lavorativeincidono sulla psiche di ognuno esoprattutto dei giovani e portano spesso alladepressione, alla solitudine o allarassegnazione che spegne ogni entusiasmo,ma la sfiducia non è educativa; bisognainfondere nei figli la consapevolezza chenoi non siamo stati creati per raggiungeregli obiettivi di potere, consumistici,edonistici della società civile odierna, noisiamo destinati ad un’altra vita in unadimensione ultraterrena. I genitori devonoavere ben presente l’esempio di Gesù checresceva in età, in comportamenti, cheacquisiva vivendo in relazione con gli altri,in sapienza e conoscenza dei suoi compitidivini. La fede è un modo di vivere; educare allafede vuol dire aprirsi all’altro, mettersi inrelazione per acquisire la consapevolezzache non siamo soli, ma dipendiamo esiamo indispensabili gli uni agli altri in unacomune condivisione. Tutto ciò è una sfidae un cammino non facile, occorronol’amore, la disciplina di maestri autorevoli,la parola degli amici, il calore dello SpiritoSanto.Gli interventi dei presenti hanno dato, allarelatrice, l’opportunità di approfondireancora di più il tema del Convegno che èstato concluso da Don Ivan Rauti, biblista eresponsabile diocesano della pastoraleGiovanile. Per la Comunità tutta è stata unagiornata memorabile e numerose sono statele richieste di altri incontri sottoscritte dalParroco Don Maurizio Falconiere. Aconclusione i ragazzi si sono esibiti in unballetto, uno sketch teatrale. Il Coroparrocchiale, diretto dal maestro ErcoleGesualdo, ha offerto un intermezzomusicale.

Elisa Lombardo

BBEERRGGAAMMOO -- CCAALLCCIINNAATTEE::

UUNN PPEELLLLEEGGRRIINNAAGGGGIIOOIINNDDIIMMEENNTTIICCAABBIILLEE

Le sorelle delle due Province che ricordanoin quest’anno il 50° anniversario diprofessione religiosa hanno vissuto unpellegrinaggio sui luoghi del Fondatore

In Casa Provinciale a Brescia, l’11 giugno,c’era un movimento insolito: il gruppo dellesuore del 50° di consacrazione religiosa erain partenza per un “viaggio carismatico” neiluoghi del Fondatore. Il cielo è grigio, manel cuore di ciascuna c’è tanta gioia che silegge nei sorrisi che ci scambiamo quando inostri sguardi s’incrociano.

Il gruppo è guidato da suor FernandaBarbiero e accompagnato dalle dueSuperiore provinciali.Prima tappa Bergamo: uno sguardo fugacealla casa dove Don Luca Passi è nato e doveha vissuto i primi anni della sua fanciullezza,poi la chiesa di San Michele al Pozzo Bianco,dove il nostro amato Fondatore è statobattezzato. Suor Fernanda ci ha fatto gustarela bellezza e il significato profondo di questo

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Nella foto: Bergamo cittàAlta, le murae il seminario

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luogo, tanto caro a Don Luca, ma anche atutta la “famiglia dorotea”. Lo stupore haraggiunto il culmine durante la celebrazionedell’Eucaristia presieduta da Mons. DavidePelucchi, vicario generale della diocesi diBergamo, già Superiore dei Preti del SacroCuore, discendenti del Collegio Apostolico dicui Don Luca ha fatto parte.Altrettanto significativa la visita al“Seminarino”: la mia mente ha provato afare un salto nel tempo, pensando almistero della Provvidenza che hapreparato Don Luca alla missione allaquale il Signore lo avrebbe inviato. Nelsuo percorso di seminarista fece partedella Congregazione Mariana, nellaquale gli aggregati si impegnavano adesercitare la “correzione fraterna”. Piùtardi Don Luca dirà che la Pia Opera“altro non è che la correzione fraternaridotta a metodo e facilitata”. Un altro momento di forte commozioneè stata la visita alla chiesa di Santa MariaMaggiore, dove il mio sguardo si èposato più volte sul pulpito da dove ilFondatore ha predicato gli esercizispirituali ai giovani e le missioni al popolo.Quanta commozione e quanto stupore sulvolto di tutte!Poi a Calcinate. L’accoglienza festosa efraterna delle consorelle ci ha ridestatecome da un sogno e durante il pranzo, “dinozze”, abbiamo manifestato tutta la nostragioia. Nel pomeriggio visita al Portico delSeminario, l’abitazione dello zio mons.Marco Celio Passi, trasformata in luogo distudio e formazione nel periodo dellasoppressione del Seminario diocesano. La “Villa Passa” dove Don Luca ha vissutocon la sua numerosa e bella famiglia e doveamava ritornare sempre; poi alla Cappelladi famiglia al cimitero con le lapidi deifamiliari: in particolare quella che ricorda levirtù cristiane della mamma Caterina,

chiamata “la madre dei poveri”. Finalmente la visita al “Conventino” sededelle “Suore contadine”, che Don Lucaaveva fondato perché si prendessero curadelle orfanelle e alla chiesa parrocchiale diCalcinate. Qui, nella breve sosta dipreghiera personale, visibilmentecommossa, ho sentito tutta la ricchezza diquesto luogo. Qui, Don Luca annunciava laParola infuocato dall’Amore di Dio. Quil’Opera di Santa Dorotea ha avuto la suaorigine. Qui le prime cooperatrici, “donnedi grande fede”, pregavano e adoravano ilSS. Sacramento. Qui ancora oggi si trova lacappella in cui si tenevano le adunanzemensili della nascente Pia Opera di SantaDorotea. Infine, nella Cappella dellacomunità delle suore di Calcinate, una sostain preghiera, prima di darci appuntamento aVenezia il prossimo ottobre.

Suor Giovanna Rugani

CCAAVVAASSOO

CCOOOOPPEERRAATTOORRII IINN FFEESSTTAA

Una splendida giornata estiva, dalla brezzaleggera, ha riunito al loro arrivo, nell’ampiocortile della comunità delle Suore di Cavaso,i cooperatori provenienti dalla zona diAsolo, Ca’ Rainati, Cavaso, Pagnano, SanZenone degli Ezzelini, per la giornataconclusiva dell’itinerario formativo annualedei cooperatori, dal tema: Essere “Pane”…peruna vita buona dal sapore evangelico.Accolti dalla Madre provinciale, dalle suoree dai cooperatori locali, ci siamo ristoratiall’ombra di un grande gazebo, sotto imaestosi pini, tra suoni, colori, saluti eabbracci festosi. La chiesa parrocchiale ci

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Nella foto: Calcinate, Villa Passa

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ha riuniti intorno alla mensa eucaristica,presieduta da Mons. Giuliano Brugnotto,animatore spirituale della giornata eintrodotta dal benvenuto del parroco, Don Piergiorgio Guarnier.La Parola di Dio e il Corpo di Cristo hannoinfiammato i nostri cuori, rendendoci prontialla riflessione proposta da Mons. Brugnottoin sala parrocchiale. Partendo dall’Eucaristia appena ricevuta,che ci ha unito e conformati a Cristo, anchenoi, ha detto Mons. Giuliano, diventiamo,con Lui e in Lui, pane buono per i fratelli, acominciare dalla famiglia, dal vicinato, dacoloro che quotidianamente incrociamonelle nostre relazioni.Ma, ci chiedeva, l’uomo d’oggi, ancheveneto, mostra di aver bisogno ancora diquesto pane? Dove trova le risorse per daresenso alla sua esistenza, in questo tempo dicrisi economica e generale, che ha colpitoil veneto in particolare, dopo un recenteboom economico, che lo ha fatto confidarenell’utile immediato, procurato dal lavoro edalle proprie capacità personali, sottraendotempo ed energie a quei valori che nelpassato avevano sostenuto le famigliecristiane venete? Ci ha invitati ad aprire bene gli occhiintorno a noi e a chiederci nella personache incontriamo o con cui viviamo: “Comeposso essere per te pane di speranza, difiducia, di sostegno, di presenza, di aiuto, disolidarietà? Da qui una preghiera incessanteal Signore: “Aprici Signore gli occhi, pervederti “pane” e per essere pane buono peri fratelli !”. Vivendo dell’Eucarestia ediventando eucaristia per i fratelli, apriremoi nostri occhi e sperimenteremo in concretola via della fede adulta, indicata dal nostroVescovo nella sua lettera pastorale, che ci faesclamare davanti alle sue opere (miracolidella fede): “Una meraviglia agli occhinostri”. Sì perché Gesù è la meraviglia più

grande, la pietra angolare, il pane di vitapiena per il mondo. Con nel cuore questi grandi orizzonti disperanza ci siamo nuovamente recati allacasa delle suore, dove ci aspettava ungustoso e abbondante pranzo, animato dasuor Piera Basso e servito dalle cooperatricilocali. Ci hanno onorato della lorocompagnia Mons. Giuliano Brugnotto, iParroci della zona da cui provenivano igruppi di cooperatori e altri parrocchiani.È seguita una caccia al tesoro, che ha vistocompetere in corse, per l’ampio pratoantistante, due squadre di bambini egenitori in cerca del tesoro, mentre nel

riposo una ricca lotteria ci faceva sognaredi vincere un sostanzioso pacco-dono. Eper finire in bellezza Giuseppe Capitanio,cooperatore, univa le voci di tutti inunisono con il karaoke.Mentre ci salutavamo, ci scambiavamo iringraziamenti per l’ottima riuscita dellagiornata, perché ognuno aveva portato ilsuo tassello di mosaico, rendendo grazie elode al Signore del pane gustoso che ciaveva nutrito in quel giorno e che ci avevaresi strumenti di aiuto per gli altri.

Suor Mariapia Colbertaldo

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““IIo devo dedicarmi a tutti i miserabili. Iodevo scontare i secolari privilegi degli

avi, devo saldare i debiti che essi hannocontratto coi paria e con gli sfruttati; devopareggiare l’implacabile conto che ciascunodi loro ha con la propria coscienza… Sonostata l’amica delle prigioniere. Ho soffertocon loro. Esse lo hanno sentito e mi hannoaperto il loro cuore”. Sono parole dellamarchesa Giulia Colbert di Barolo, donnadell’alta nobiltà francese. Alla corte diNapoleone aveva incontrato il marcheseCarlo Tancredi Falletti di Barolo chedivenne suo marito. Una personalitàstraordinaria, colta e dotata di una grandesensibilità religiosa e di una profondaconsapevolezza sociale che la spinse, con ilmarito, a dedicarsi ai poveri di Torino e abattersi per il recupero degli emarginati edei carcerati. Una donna in anticipo suitempi.

TTrraa MMaarrcchheessii ee CCoonnttiiLa marchesa Giulia Colbert offre il volto ela testimonianza dell’amicizia verso i contiPassi: Don Luca e Don Marco. Rimastavedova, dal 1838 si avvalse della preziosacollaborazione di Silvio Pellico cooperatoredell’Opera di S. Dorotea in Torino, chedopo l’esperienza del carcere nelloSpielberg, maturò sempre piùprofondamente il distacco dalla politica peraderire a una visone di fede della vita.Nell’ambiente di palazzo Barolo dove erabibliotecario e anche segretario dellamarchesa, il Pellico respirò a pieni polmoniun clima di preghiera e di carità e si inoltròin un cammino di sapienza e di intelligenzaspirituale che lo condusse ad allontanarsisempre più da ogni tipo di violenza e dirivolta contro i governi. Si convinse semprepiù che la gratuità della fede insieme allacarità generosa sono le armi invincibili diogni riforma umana e sociale. Le vicende

politiche e militari, nonché le violenzeesecrabili dei rivoluzionari, condussero ilpatriota Pellico a un cambiamento divisione della politica. In una letterariportata da L. Dentella e scritta tra il 1835-1836 (cfr Vita del Conte Luca Passi, pp. 95-96), informa sull’amicizia che i fratelli Passigodevano presso i marchesi Barolo. Il tonoassai confidenziale della lettera riguardarealtà talmente personali da far pensare auna conoscenza ormai consolidata e unacordialità senza ombre. Il Pellico scrive aDon Luca: Illustrissimo Signor Conte,la Signora Marchesa Barolo vuole che iomandi a lei signor Abate l’unito articolosulle suore di San Giuseppe e che io nellostesso tempo le dia notizia della novena daessa fatta al Beato Pignatelli, novena cheattrarrà se piace a Dio qualche grazia chenon è stata coronata da miracolo. La salutedella Marchesa non ha ancora puntomigliorato e anzi vi si è aggiunto qualcheincomodo in più. Ma essa ne loda il Signorepersuasa che nulla di ciò che viene da Luioperato è vero male. Inoltre dice: “Io hoavuto due comandi dai Conti Passi. DonLuca ha voluto che io pregassi per risanare eDon Marco mi ha insegnato questagiaculatoria ‘Ah fatemi morire Gesù chesenza voi non posso vivere più’. Per mecredo che la signora Marchesa fa questaseconda giaculatoria troppo volentieriperché le importi molto di guarire.Nondimeno noi che sappiamo quanto lavita di questa signora sia diretta alla gloria diDio e all’utile del prossimo non cesseremodi bramare e sperare che venga prolungataassai assai”.

UUnnaa ssttrraaoorrddiinnaarriiaa ssttaaggiioonnee Don Luca conobbe i marchesi di Barolo nel1828 quando si recò a Torino a predicare ilquaresimale nella Chiesa di S. Maria del

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LE AMICIZIE PIEMONTESI

DI DON LUCA

FERNANDA BARBIERO SMSD

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Carmine. Con la sua non comune attività dipredicatore che non diceva mai “no” agliinviti che riceveva, neppure quandol’impegno gli chiedeva la notte, il sacerdoteDon Luca Passi era espressione dellastagione straordinaria in cui veniva atrovarsi il clero bergamasco. A Bergamo i sacerdoti provenivano da tuttigli strati sociali. Non esisteva unadistinzione tra alto e basso clero, perché inobili, anche quelli che vivevano “apalazzo” davano un alto esempio di vitaevangelica, come “Marco Celio Passi cheabitava nel palazzo di famiglia, ma nell’aladella servitù” (Mons. Antonio Pesenti). DonLuca risolve di dare al suo sacerdozio unimpianto solido secondo quel modo tuttobergamasco di intendere la fede cristiananella pienezza della vita anche sociale. Unaintraprendenza piena e generosa che si eraespressa in modo così innovativo nell’avviodelle scuole serali al Seminarino che allorasi chiamava ancora Seminario di SanMatteo. Qui il gesuita Luigi Mozzi iniziò lelezioni serali riservate ai giovani operai cherisiedevano dentro le mura, a Valverde e aBorgo Canale. Questa figura straordinaria disacerdote, un “gesuita bergamasco” si eradedicato interamente ai giovani. Grazie a luiiniziano a costituirsi le Opere degli Oratori,la Compagnia di San Luigi e le prime scuoleper i ragazzi poveri. È sua l’idea di dare 1centesimo per ogni ora di lezionefrequentata al Seminarino, come incentivo aseguire regolarmente le lezioni. La laboriosaBergamo diventa così la prima città italiana,e forse anche europea, a inventare le scuoleserali, a pagamento.Come il Mozzi, nella stessa lunghezzad’onda, anche il Passi, a modo suo, vuolescongiurare i pericoli per la gioventù. Eranecessario uscire fuori di casa, aggirarsi perle contrade, per le piazze e raccogliervi legiovanette ed avviarle al retto sentire, al

bene, alla verità. Un’attenzione verso legiovanette povere che non trascura niente ecura ogni particolare. Le raccoglieva dalleloro case, lungo le vie di ogni contrada e leconduceva a partecipare alla vita dellachiesa, venivano istruite e formate alla fede,ai sacramenti. Anche il rientro a casa eraorganizzato: si formavano gruppi, ciascunoguidato da un’assistente adulta, cheaccompagnava a casa le fanciulle per noncreare preoccupazioni ai genitori. C’erauna sorta di cancelliera che registrava tutto,che annotava le presenze in ogni adunanza.Un’attenzione ad personam che mette incircolo un singolare interesse per lefanciulle propriodell’Operaorganizzata daDon Luca Passi.Sono gli stessi anniin cui a Torino iMarchesi Giulia eCarlo Tancredi diBarolo fondarononel quartierepopolare di BorgoDora una scuolaper fanciullepovere (1821). Nel1823 a Valdoccodanno vitaall’Istituto delRifugio, per leragazze madri. Nel1825 destinanouna parte del riccopalazzo in cuiabitavano ad asiloper i figli deilavoratori: sitrattava della prima opera di questo tipo inItalia. I coniugi Barolo non ebbero la gioia diavere figli propri, decisero perciò di adottarei poveri della città, tanto che fu loro dato ilnome di “Padre dei poveri” e di “Madre deipoveri”. “Una delle mie contentezze”,rivelerà il Pellico (1789-1854), “era d’udirein ogni città e per le campagne gentedabbene che parlava con amore dei coniugiBarolo e delle loro esimie beneficenze… Miconvinsi non esservi che una solariputazione di altissimo valore quella cheproviene da virtù cristiane: ogni altra gloriacelebrata dal mondo è vera miseria”.

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Nella foto: la marchesaGiulia Colbert di Barolo

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LL’’aammiicciizziiaa ccoonn iill tteeoollooggoo DDoonn LLuuiiggii GGuuaallaaA Torino Don Luca ritornerà altre volte e icontatti con la marchesa Giulia nonmancarono mai, neppure dopo la morteprematura del marito. Certamente il nomedei fratelli Passi era stimato a Torino. Viaveva incontrato il teologo Luigi MariaGuala sacerdote dai “costumi irreprensibili,disinteressato, dalla profonda pietà e dallavasta cultura” e lo aveva ammirato per lasua opera formativa a favore dei sacerdoti. Il Convitto ecclesiastico del Guala fu unavera fucina di santità; basti dire che fufrequentato, fra i tanti, da San GiuseppeCafasso, San Giovanni Bosco e SanLeonardo Murialdo. Don Luigi Guala è legato a Don Luca eall’Opera di S. Dorotea in modo esplicito econvinto. Il 23 maggio 1828 scriveaggiornando Don Luca sull’Opera: “benchéinfermo trattai col Parroco di S.Maria, ed osservai chel’impegno delle Regolatri cicresce, sia risguardo allefanciulle, come per crescere ilN° delle Regolatrici, e già duese ne aggiunsero dopo lapartenza di V. S. Car.ma. Lasovraintendente Regolatricesupera, direi, l’aspettazione,mentre per andare nonrisparmia né incommodo, néesortazioni, né spesa con varilibri, ed immagini anche divalore allettando le figlie aprofittare de’ mezzi, che loros’offrono di salute; colla suaaffabilità, e zelo già siguadagnò l’animo delleRegolatrici, che a lei ricorrono e da ellaottengono parziale confidenza ed ispirar sisentono coraggio e lena.Benedicono tutte la di Lei memoria, ecaldamente si raccomandano alle di Lei

orazioni, in cui ripongono la Speranza delfelice proseguimento.Alcuna d’età un po’ più matura, sottopretesto delle Regolatrici, si schermironodagli occhi de’ parenti, ma già si provvide.Quelle di S. Tommaso già si formarono anorma di quelle di S. Maria, furono da me.Il Curato si dimostra favorevole. Eccole già ilfrutto. Sono animatissime, e tanto più che leragazze sono numerose, e la maggior parteabbandonate. Preghi il Signore, e se stimadirigere qualche lettera al Curato di S.Maria, ciò sempre più infiamma”.Nel 1838 Don Luca è nuovamente a Torino apredicare gli Esercizi spirituali nel Santuariodella Consolata dove P. Pio Bruno Lanteri,nel 1816 aveva iniziato a trasmettere agliOblati di Maria Vergine la propria“esperienza dello Spirito”, stabilendo le lineedi fondo della Congregazione. Da CalcinateDon Luca, il 6 ottobre 1828 gli aveva scritto:“Non so dirle quanto sia restato contento deldi Lei Instituto, e della situazione, che laprovvidenza le ha assegnato per fondarlo. IlSignore benedica una istituzione, che devefar tanto bene. Faccia la carità diraccomandarmi al Signore. E pregandola demiei rispetti a tutti i suoi compagni passo aprotestarmi col più profondo rispetto di V. S.R.”. Nel 1848 Don Luca ritorna a Torino apredicare il Quaresimale nella Chiesa di San

Francesco d’Assisi dove eraRettore lo stesso Luigi MariaGuala. È il tempo delRisorgimento italiano,tempo in cui si prepara laPrima Guerra diindipendenza voluta daCarlo Alberto control’Austria. Sempre il 1848 èl’anno dello StatutoAlbertino che fa di Torino lacittà che sta annettendo a séil resto d’Italia. Una schieradi nomi quelli citati chemette in evidenza come nonvi fu solo un Risorgimentofatto di battaglie sanguinose,di tatticismi diplomatici. Vifurono altri contributi, meno

roboanti e meno immediati. E la Chiesa,sconfitta sul piano politico, grazie a questiuomini “santi” riuscì ad avere un ruoloancora più radicale ed incisivo nella vitasociale. �

Nella foto: Don Luigi Guala

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GIORNATE ESTIVE DI SPIRITUALITÀPER COOPERATORI

Le Giornate di spiritualità per Cooperatorisono previste dal 1199 al 2233 aaggoossttoo 22001122a Briatico (Vibo Valentia), in una zonaturistica incantevole, tra Pizzo Calabro e Tropea, di fronte al mar Tirreno. Il temaprevisto è “Rinascere alla fede: ripartiredall’Amen”; guiderà l’esperienza Don MarioSpinocchio, Rettore del seminario teologico“San Pio X” di Catanzaro.

CORSI DI ESERCIZI SPIRITUALI

Sono aperte le iscrizioni per i corsi diEsercizi spirituali nei centri di Spiritualitàdell’Istituto.

** BBoovveeggnnoo (BS):3-10 agosto, Padre Eugenio Brambillabarnabita: “Siate ricolmi dello Spirito”(Ef 5,18)

** VVoorrnnoo (LU):22-28 luglio, Padre Paolo Bondoni ocd:“Dammi Signore un cuore che ascolta”

* AAssoolloo (TV):12-18 agosto (personalmente guidati),Marina Stremfelj ed équipe centro Aletti,Roma“Chi rimane in me, e io in lui, porta moltofrutto” (Gv 15,5)14-21 novembre, Mons. Fermo Querin,diocesano di Pordenone: “Chi ama è statogenerato da Dio e conosce Dio” (1Gv 4,7).Meditazione e preghiera sulla Prima letteradi Giovanni

Per sacerdoti, religiosi, diaconi20-25 agosto, Fratel Vincenzo Bonato,camaldolese: “Il miele dalla roccia”. Letturaspirituale sui Salmi Per laici8-10 giugno Elide Siviero, laica: “Chi ciseparerà dall’amore di Dio?” (Rom 8) Esperienza di preghiera profonda7-13 settembre, Padre Andrea Schnöller ofmcapp.:“Lo Spirito condusse Gesù neldeserto”.

170° DI PRESENZA A BRESCIA

In ricordo dei 170 anni di presenzadell’Istituto in Brescia (dal 2 novembre1842), il 2200 oottttoobbrree22001122, alle ore 9.00 in Cattedrale, il vescovoMons. Luciano Monari presiederà unaCelebrazione Eucaristica.

CAPITOLI PROVINCIALI

In preparazione ai Capitoli provinciali, neigiorni 11--44 nnoovveemmbbrree 22001122, presso la Casa diSpiritualità dei Santuari Antoniani aCamposampiero (PD) si terrà l’incontro alivello interprovinciale delle capitolari. I Capitoli provinciali saranno celebrati neigironi 11--77 ggeennnnaaiioo 22001133 ad Asolo (TV) per laProvincia adriatica e a Bovegno (BS) per laProvincia Tirrenica.

CCoonnssiigglliioo NNaazziioonnaallee OOSSDDI prossimi appuntamenti del ConsiglioNazionale OSD sono previsti nei giorni2200--2211 oottttoobbrree 22001122 a Roma (Commissioni)11--22 ddiicceemmbbrree 22001122 a Roma (preparazioneAssemblea Nazionale Referenti OSD)88--1100 mmaarrzzoo 22001133 a Roma (AssembleaNazionale Referenti OSD)2255--2266 mmaaggggiioo 22001133 a Venezia(Programmazione).

www.smsd.itwww.laiciosd.org

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Suor GIULIA COLOMBO nata a Carate Urio (Como) il 26-4-1920morta a Brescia, VillaS. Giuseppe il 6-5-2012

Giulia Colombo provieneda un paese ridente situatosulle incantevoli rive dellago di Como. Il padre Pie-tro purtroppo morirà a solo46 anni, lasciando la vedo-va Antonia Abate con cin-que figli giovani, alcuni an-cora bambini. Dalla mamma, Giulia ere-ditò un temperamento feli-ce, dolce, affabile, pazientenelle difficoltà della vita;accettò quindi con assen-natezza la decisione di es-sere affidata all’Istituto “E.Bonoli”, presente in Comofin dal 1874. Al “Bonoli“, Giulia trascor-se serenamente l‘ado -lescen za e la prima giovi-nezza, facendosi amaredalle Suore che dirigevanol’Istituto. Ritornata in fami-

glia, verso i ventidue annidecise di consacrarsi total-mente al Signore tra le Suo-re Maestre di S. Dorotea,che avevano avuto per leimaterno affetto. Il 22 otto-bre 1942, Giulia entrò nel-la Casa provincializia diCremona, pochi giorni do-po, fu mandata nella casadi Castell’Arquato, datoche erano anni di guerra eCremona non era esentedai pericoli dei bombarda-menti. Il 7 ottobre 1943,vestì l’abito religioso e le fudato lo strano nome di Elia.Nel 1944 Sr. Elia venne tra-sferita a Cremona e l‘8 ot-tobre 1945 emise la Profes-sione temporanea, che rin-noverà poi definitivamenteil 9 ottobre 1950. A Cremona ella rimase treanni, poi fu mandata aUdine per collaborare conle suore al servizio dell’Isti-tuto diocesano E. Blanchi-ni. Vi rimase ventun anniconsecutivi, apprendendol’arte del taglio e del rica-mo e affinando il gusto perle cose belle. Aveva contutti un tratto gentile e affa-bile che le attirava simpa-tia; amava la preghiera edera sempre portatrice dipace quando sorgeva qual-che questione. Dopo un anno trascorso aForlì, nel 1969 fu trasferitaa Cremona nella parroc-

chia di S. Abbondio. Dal1972 al 1976 fu a Padovapresso il Collegio S. Mariain Vanzo, per animare lestudenti universitarie. Ritor-nò poi per tre anni a Como,quindi a Casalbellotto conl’incarico di superiora;svolse il suo compito nellascuola materna e in parroc-chia con grande soddisfa-zione del parroco Don Er-minio Feroldi, perché sape-va avvicinare le ragazze delpaese con molto garbo ecercava di distoglierle dalle“balere“, frequentatissimein quei luoghi. Nel settem-bre 1983 accettò volentierila proposta di operare nelMeridione e con due altreconsorelle partì per Zagari-se (Catanzaro) come supe-riora della comunità. Nel1986 fece richiesta alla Su-periora generale di ripren-dere il suo nome di Battesi-mo: Sr. Giulia. Nel 1987 funominata superiora a Ca-stell’Arquato.Alla scadenza dei sei anniandò superiora a Civitavec-chia, nella casa “Santa Fer-mina“, voluta dal VescovoS.E. Mons. Antonio Mazzacome sede del Centro pa-storale diocesano. Raggiunti ormai i 76 anni,fu al pensionato di Luccaper breve tempo, poi nel1997 a Serle per 11 anni egodè grande stima da parte

della popolazione da la-sciare in paese un buonis-simo ricordo di sé. Nel feb-braio 2008, Sr. Giulia fuportata a “Villa S. Giusep-pe”.Verso la fine del 2010andò infermandosi. Il 6maggio 2012 spirò serena-mente.

Madre M. Vincenza Polotti

SSuuoorr SSPPEERRAANNZZAA ((AAnnnnaa)) GGAALLLLIINNAAnata ad Asolo il 26-7-913 morta a Cavaso il 27-5-2012

Nella solennità di Penteco-ste, al calar della sera, il Si-gnore ha chiamato a con-templare il Suo Volto lumi-noso Suor Speranza Galli-na che, con cuore di sposafedele Gli ha risposto il suo“sì”.Anna, insieme ad una so-rellina gemella, proviene

CI HANNOLASCIATO…

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da una famiglia saldamen-te ancorata ai principi cri-stiani trasmessi con amorefavorendo così il nascere eil maturare della sua voca-zione alla vita consacrata.Nel 1935 entra nel Novi-ziato delle Suore Maestredi S. Dorotea, a Venezia.Nel ’36 veste l’abito reli-gioso e prende il nome diSuor Speranza. Nel ’38emette i Voti temporaneicon la prima Professione e,nel ’43, si consacra defini-tivamente al Signore.Trascorre a Venezia, CasaMadre gli anni di forma-zione. S’impegna nello stu-dio per conseguire il Di-ploma di Abilitazione al-l’insegnamento cui fa se-guito un Corso di Aggior-namento sul Metodo Agaz-zi (1942). Ancora Noviziaviene mandata nel collegiodi Thiene in aiuto per leeducande.Per 43 anni (1940-1983)dona il meglio di sé comeinsegnante nelle scuoleElementari di Padova Van-zo, Thiene, Padova CasaProvincializia. Dal 1983 al2005 presta ancora il suoaiuto nella scuola e nellaComunità di Thiene.Il 2005 segna per SuorSperanza un passaggio noncerto indolore: il trasferi-mento nella Casa di Riposodi Cavaso. Non valgono a

rasserenarla né l’accoglien-za fraterna della nuova Co-munità, né l’ambiente con-fortevole, né il paesaggiostupendo. Una cecità pro-gressiva contribuisce a ren-dere le sue giornate ancorapiù cupe. Pian piano peròla grazia trionfa sulla natu-ra. Si risveglia in lei il desi-derio di seguire, come untempo, gli avvenimenti del-la Chiesa, dell’Italia e delmondo; è attenta in parti-colare a ciò che riguarda lapolitica e la Scuola. Si mo-stra tanto riconoscente ver-so le Consorelle che la in-formano a voce o con lalettura di articoli in propo-sito, senza dire la gioia cheprovava quando venivacoinvolta nelle iniziative dipreghiera, di incontri vari odi festa della Comunità.Ma nel suo ultimo anno divita è visitata da diversimalanni per cui, pur re-stando vigile nelle sue fa-coltà mentali, viene fiacca-ta nel fisico, finché una ba-nale caduta la costringe al-l’immobilità per parecchiotempo e, nonostante unalieve temporanea ripresa,arriverà all’irreparabile.La mattina del 25 maggio2012, in piena lucidità, ri-ceve il Sacramento dellaRiconciliazione e, comeogni giorno, la Santa Euca-ristia.

Il giorno seguente ricevel’Unzione degli infermi ela domenica 27 accoglie lachiamata definitiva del suoSignore.

La Comunità di Cavaso

SSuuoorr GGIIAANNLLUUIIGGIIAA ((FFrraannccaa)) BBRRAAVVIInata a Medolago il 13-3-1932morta a Brescial’8-6-2012

Ci sorprese improvvisamen-te e dolorosamente la mortedi suor Gianluigia Bravi:dopo tre giorni di febbrealtissima, subentrò un infar-to che la condusse allatomba: lo stesso giorno incui 34 anni fa era mancataMadre Alice Miglioranza aRoma.Franca era figlia di Luigi eCaterina Galbusera. Il padreera proprietario di unappezzamento di terreno eteneva in affitto altri campiche lavorava con i figli; la

mamma si occupava dellacasa. I figli che rallegravanocasa Bravi erano nove. Tra lefiglie, Franca dopo la scuolaelementare venne assuntadallo stabilimento Mafri diPaderno d’Adda, doveapprese l’arte della maglie-ria e, intelligente e svelta,divenne bravissima, tantoche, diventata suora, fu ingrado di avviare un bellaboratorio per le ragazze diLastebasse (VI). Franca versoi vent’anni, sull’esempioumile e silenzioso di suorCallista Zanellato che pre-stava assistenza a DonnaGiannetta dei NobiliLandriani di Vidigulfo deiquali due figlie erano entra-te tra le Suore Maestre diSanta Dorotea di Venezia,decise di farsi religiosa perdedicare tutta la sua vita aDio e al prossimo.L’aiutarono nella formazio-ne e nella scelta i parrocidon Santo Bonomi e donLuigi Dentella. L’11 ottobre1952 entrò a Padova e, tra-scorso il tempo del novizia-to, fece la Vestizione il 26settembre 1953, prendendoil nome di suor Gianluigia.Il 27 settembre 1955 emisela professione temporaneae, cinque anni dopo, sidonò completamente a Diocon la Professione perpetua.Suor Gianluigia fu applica-ta subito nei lavori di con-

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fezione a Visnadello, doveandò ancora novizia nel-l’ottobre 1954. Nel 1958 futrasferita a Lastebasse, quic’era un gruppo di ragazzee adolescenti che cercava-no lavoro, ma non avevanouna preparazione specifica.La giovane suora, intuitivae dotata di lungimiranza, leraccolse in un piccololaboratorio che andò manmano ingrandendosi, per-ché la Maestra, come veni-va chiamata suorGianluigia, non solo inse-gnava bene la tecnica dellamaglieria, ma aveva presocontatto con varie ditte diMilano e Vicenza, dandoinizio ad un proficuo scam-bio commerciale e ad unintenso lavoro, che procuròun certo vantaggio econo-mico alla popolazione. ALastebasse, suor Gianluigianon si risparmiò; rimasetredici anni Nel 1971 partì per Romacome superiora nella CasaGeneralizia. Qui si presta-va all’alloggio di gruppi dipellegrini, a volte più dicinquanta. La superiora,molto disinvolta, cercava diarrivare a tutto.Nel 1975, suor Gianluigiafu destinata all’Istituto E.Bonoli di Como, doveerano accolte bambine chenon avevano famiglia rego-lare. Ad esse ella si dedicò

con la generosità di sempree si fece molto benvolere.Nel 1984 passa Lucca, alPensionato e dopo unanno in Via GiardinoBotanico. Poi a ViareggioSan Paolino, che offrì a suorGianluigia di continuare ilsuo servizio tra ragazzi eragazze per altri otto anni. Fu avvicinata nel 1999 allaterra lombarda: la scuola diCremona. Purtroppo, pocodopo il suo arrivo, fece unabrutta caduta battendo laschiena per terra. Con il pas-sare del tempo, le vertebreandarono subendo crolliirreversibili, che ridussero lapersona come rannicchiatasu se stessa; per anni subì unpatimento tale da poter esse-re lenito solo con l’uso dellamorfina. La suora affrontò lamalattia con coraggio e soloraramente usciva con uncomprensivo lamento “nonne posso più”.Nel 2008 fu trasferita nellacasa di riposo “Villa SanGiuseppe” in Brescia;anche qui visse il misterodella sofferenza, misteroche ci trascende, ma che èvia aperta ad alcune crea-ture generose per la purifi-cazione della Chiesa e delmondo.

Madre Vincenza Polotti

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PARENTI DEFUNTI

Gino Marangon fratello di suor Luciana della comunità

di Vorno e di suor Pierfrancesca della comunità di Cavaso

Luigi Pasinifratello di suor Adriana

della comunità di Lucca, via M. Civitali

Cecilia Vanoncinisorella di suor Rosangelica della Comunità di Thiene

Giovanna Gabusi Gabrielisorella di suor Noemi Gabusi

della comunità di Brescia “Villa San Giuseppe”

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NNAANNDDIINNOOCCAAPPOOVVIILLLLAA --BBEETTTTAA TTUUSSSSEETT

PPaaoolliinnee 22001122

Nandino Capovilla(Venezia, 1962) èprete della diocesi di Venezia. Dalnovembre 2004 èreferente nazionaledella campagna«Ponti e non muri»promossa da Pax

Christi International. Con le edizioni Paoline ha pubblicato Unparroco all’inferno. Abuna Manuel tra le maceriedi Gaza (2009) e ha curato il volume di MichelSabbah, patriarca emerito di Gerusalemme, Voceche grida dal deserto (2008). Betta Tusset(Venezia, 1965), laureata in lettere moderne, èautrice del romanzo breve Chiuditi, cerchio!(2002). Vive al Lido di Venezia con il marito e itre figli.Per i palestinesi che vivono nei TerritoriOccupati, a Gaza e in Israele, la casarappresenta il luogo simbolo delle sofferenze edelle ingiustizie, ma anche della voglia diriscatto e di normalità. Per questo gli autorihanno dedicato queste pagine alle casepalestinesi o, meglio, ai loro abitanti, ai loromodi di resistere perseguendo per se stessi e per iloro figli tutte quelle modalità che consentono dicontinuare a vivere come se ogni giornata fossenormale, quando ormai nulla, nella quotidianitàdelle famiglie palestinesi, assomiglia allesituazioni che gli occidentali consideranoquantomeno “ordinarie”. Le famiglie con cui idue autori sono entrati in contatto hanno offertoloro l’occasione di condividere un momento diintimità domestica: quei gesti consueti cherendono unica la quotidianità della loro vitasotto assedio. Tali spunti di resistenza domestica- vere e proprie “finestre” sul modo creativo diaffrontare il dramma dell’occupazione -fotografano l’attimo, il presente dell’azione cheribalta la logica dell’oppresso e fissa in un istantel’immagine che dona speranza, certezza delcambiamento possibile.

CCRRIISSTTIINNAA TTEESSSSAARROOCClloottiillddee ddiiSSaavvooiiaa IIll ““ssìì”” cchhee ffeecceell’’iittaalliiaa

PPaaoolliinnee 22001122

“Il mio dovere – scri-ve Clotilde - è il rima-nere qui tanto che lopotrò, dovessi iorestarci e morirci: nonsi può sfuggire davantial pericolo [...]. Non

tengo al mondo, alle ricchezze, alla posizione che ho,non ci ho mai tenuto , caro papà; ma tengo ad adem-piere fino alla fine il mio dovere […] Non sono unaprincipessa di Casa Savoia per niente! Quando misono maritata, quantunque giovane, sapevo cosa face-vo, e se l’ho fatto è perché l’ho voluto. Il bene di miomarito, dei miei ragazzi, del mio Paese è ch’io rimangaqui. L’onore persino del mio nome; l’onor suo, caroPapà, se così posso esprimermi, l’onore della miaPatria nativa”. A pronunciare queste parole capolavorodi coraggio e di dedizione è Clotilde di Savoia figlia diVittorio Emanuele II, pri mo re d’Italia, e di MariaAdelaide d’Asburgo-Lorena. A soli quindici anni ècostretta, da ragioni di Stato, a sposare un uomo dicirca quarant’anni, il principe Girolamo Bonaparte,nipote di Napoleone I e cugino dell’Imperatore diFrancia, Napoleone III, il quale de siderava una paren-tela con i Savoia per motivi politi ci e di rango. Ma ilfuturo sposo aveva anche fama di ateo e libertino.Secondo i piani del ministro Cavour, che lavorava perl’unità dell’Italia, era importante creare, con questenozze, una alleanza con la Francia, necessariaspecial mente dopo i Patti di Plombières del 1858. “Daquesto matrimonio dipendono il futuro della dinastia edella Patria”, aveva scritto Cavour caldeg giando lenozze. Clotilde si rende conto che dal suo “sì” dipen-de anche il futuro dell’Italia. E accetta. Fu, com’eraprevedibile, un matrimonio infelice che la principessavisse con dedizione sofferta accanto al marito, che latra scurava e la tradiva, e ai figli.Le pagine di Cristina Tessaro mettono bene il luce ilcarattere mite e sen sibile di Clotilde, dotata al tempostesso di una spiccata personalità e di un senso deldovere intransigente (soprattutto verso se stessa). Unabiografia che rende merito ad un personaggio chiavedella nostra storia, una vera eroina ingiustamentedimenticata dalla storiografia ufficiale.

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NOVITÀ EDITORIALI A CURA DI SUOR FERNANDA BARBIERO

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Anno XL - n. 3 - Luglio/Settembre 2012

Finito di stampare nel mese di Luglio 2012

PERIODICO TRIMESTRALE DELLE SUORE MAESTRE

DI S. DOROTEA DI VENEZIA

Iscritto sul Registro della stampa del Tribunale di Roma

al N. 367/’82 del 9.11.1982

Direttore Responsabile Paola Galetti (Suor Eliana)

CoordinatriceSuor Fernanda Barbiero

Gruppo redazionaleSilvia Antonetti - Andrea BallarinFernanda Barbiero - Nicola ChiarotEliana Galetti - Maria Elisa Perinasso

Emmarosa Trovò

Foto a cura della Redazione

Progetto grafico, impaginazionetrattamento immagini

Pacifico Montozzi, Punto a capo - Roma

StampaTipografia “Città Nuova” della PAMOMVia Pieve Torina, 55 - 00156 Roma

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