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86 Le vicende belliche e la liberazione di Gorizia avvenuta il 9 agosto 1916, rivivono nel coinvolgente manoscritto del Tenente d’Artiglieria Arnaldo Prato, primo Ufficiale di Artiglieria a entrare in città. Lo fece alla testa della sua batteria ippotrainata che, al galoppo, attraversò l’ultimo ponte rimasto in parte danneggiato, sotto il fuoco incrociato delle mitragliatrici e delle granate nemiche. Lo stesso episodio, ma con differenti sfumature, venne narrato dal noto giornalista Luigi Bar- zini, penna di pregio del giornale «Corriere della Sera», nell’articolo «L’irrompente avanzata», scritto sul momento e pubblicato su quel quotidiano sabato 12 agosto 1916. Un parallelismo tra gli scritti, oltre a fare ulteriore luce su un glorioso episodio del Primo conflitto mon- diale, fornisce l'occasione per ricordare quei momenti e, soprattutto, i protagonisti noti e meno conosciuti che si sacrificarono per la Patria. Dal 1914 al 1918 si consumò la prima guerra totale della storia, che avrebbe modificato il mondo sulle ceneri di ben quattro Imperi L’analisi degli scenari, il manoscritto inedito del Tenente Arnaldo Prato sulla liberazione di Gorizia, i resoconti dell’inviato Luigi Barzini apportano suggestivi particolari da riscoprire

Dal 1914 al 1918 si consumò sulle ceneri di ben quattro Imperi · di Port Arthur, inflitta, nel 1905, alla grande Russia zarista, aveva rafforzato le ambizioni dei vertici imperiali,

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Page 1: Dal 1914 al 1918 si consumò sulle ceneri di ben quattro Imperi · di Port Arthur, inflitta, nel 1905, alla grande Russia zarista, aveva rafforzato le ambizioni dei vertici imperiali,

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Le vicende belliche e la liberazione di Gorizia avvenuta il 9 agosto1916, rivivono nel coinvolgente manoscritto del Tenente d’ArtiglieriaArnaldo Prato, primo Ufficiale di Artiglieria a entrare in città. Lo fecealla testa della sua batteria ippotrainata che, al galoppo, attraversòl’ultimo ponte rimasto in parte danneggiato, sotto il fuoco incrociatodelle mitragliatrici e delle granate nemiche. Lo stesso episodio, macon differenti sfumature, venne narrato dal noto giornalista Luigi Bar-zini, penna di pregio del giornale «Corriere della Sera», nell’articolo«L’irrompente avanzata», scritto sul momento e pubblicato su quelquotidiano sabato 12 agosto 1916. Un parallelismo tra gli scritti, oltrea fare ulteriore luce su un glorioso episodio del Primo conflitto mon-diale, fornisce l'occasione per ricordare quei momenti e, soprattutto, iprotagonisti noti e meno conosciuti che si sacrificarono per la Patria.

Dal 1914 al 1918 si consumòla prima guerra totale della storia, che avrebbe modificato il mondo sulle ceneri di ben quattro Imperi

L’analisi degli scenari, il manoscritto ineditodel Tenente Arnaldo Prato sulla liberazionedi Gorizia, i resoconti dell’inviatoLuigi Barzini apportano suggestiviparticolari da riscoprire

Page 2: Dal 1914 al 1918 si consumò sulle ceneri di ben quattro Imperi · di Port Arthur, inflitta, nel 1905, alla grande Russia zarista, aveva rafforzato le ambizioni dei vertici imperiali,

La Prima guerra mondiale èterminata esattamente 86anni fa e ha lasciato segni

profondi ancora riscontrabili.Dopo tanto tempo, gli echi diquell’epoca stanno oggi vivendoun momento di partecipativa ri-scoperta. È quindi doveroso un tributo d’o-maggio ai tanti militari – cono-sciuti e no – che completarono ilPrimo Risorgimento Nazionale.Il presente servizio speciale vuolecontribuire a conservare parte diuna memoria collettiva che è poiquella della nostra nazione.

Le parole usate sono quelle di al-lora. I fatti rivivono mediante unparallelismo tra le memorie ine-dite del Tenente Arnaldo Prato,primo Ufficiale di artiglieria en-trato a Gorizia e la cronaca diuno dei più noti corrispondentidi guerra, il giornalista LuigiBarzini. La cornice storica deglieventi è a cura di Sara Greggi.I resoconti risultano ricchi di

contenuti e di grande forzaespressiva. Sono aperti su fattifondamentali della storia nazio-nale degni di essere tramandati,per conservare traccia del per-

corso umano e sociale della ge-nerazione che ha preso parte at-tiva al conflitto.In ogni popolo è dovere moraleil ricordare, far ricordare, custo-dire e come pure tramandare.Questo affinché permanga unaforte traccia nei cuori e nei sen-timenti dei giovani, ma non sol-tanto come memoria fine a sestessa, bensì quale essenza, con-sapevole coinvolgimento nei pe-riodi fondamentali della storianazionale e delle persone che, invario modo, vissero quei mo-menti da protagonisti.

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La storia dell’umanità è per-corsa e segnata dal susse-guirsi di guerre che ne han-

no tracciato il cammino e decisola sorte. Solchi profondi, feritemai rimarginate, stessi errori ri-petuti all’infinito. Corsi e ricorsistorici. Niente è più attuale, nelpanorama internazionale odier-no, che parlare dell’origine, dellosviluppo e delle conseguenze diun evento come la guerra, unevento nefasto per ciò che produ-ce, sempre identico a se stessonelle intenzioni e nelle motivazio-ni più profonde: il guadagno, la

sete di potere, la bramosia uma-na.

Riflettendo sull’attuale situazio-ne politica internazionale, puòessere utile e interessante riper-correre interamente la storia del-la Prima guerra mondiale pertrarne validi strumenti di inter-pretazione e di critica del presen-te e per fermarci a riflettere sulfuturo. La storia e le guerre do-vrebbero insegnare agli uomini

come vivere ma gli uomini nonriflettono e non pensano mai ab-bastanza. La storia finisce cosìper essere dimenticata.

La guerra che scoppiò nel 1914fu un avvenimento nuovo nellastoria dell’umanità. Si può parla-re dell’evento forse più rilevantedel XX secolo poiché fu la primaguerra «mondiale» che vide loscontro di tutti i grandi Stati, iquali impegnarono le capacitàproduttive dell’industria modernae le risorse della tecnica per pre-parare adeguati strumenti di of-fesa e di difesa. Fu una guerra di

massa combattuta per terra, permare e nell’aria con un ingenteimpiego di armi mai usate prima(carri armati, aerei, sommergibi-li) e con il ricorso a nuovi mezzidi lotta economica e psicologica.Pensiamo alla penetrante propa-ganda effettuata dai primi mezzidi comunicazione di massa (ra-dio, cinema, giornali) che si ma-nifesterà in modo ancora più evi-dente durante il Secondo conflit-to mondiale. La guerra fu com-battuta fino all’esaurimento e alcrollo e finì con il provocare radi-cali sconvolgimenti nell’econo-

mia internazionale causando di-sordini e gravi problemi che du-rarono per molto tempo. La guer-ra determinò il crollo di quattroImperi e il mutamento di assettigeo-politici consolidati da secoli.Sin dall’inizio il conflitto si tra-mutò in un’immane e apocalitticacarneficina, fino ad allora mai vi-sta, che condusse quasi al totaleannientamento reciproco dei dueschieramenti che vedevano oppo-sti gli Imperi centrali (Austria-Ungheria, Germania e ImperoOttomano a cui si aggiunse laBulgaria), contro le forze dell’In-tesa, cioè Francia, Russia e In-ghilterra a cui, poi, si unironoItalia, Giappone e Stati Uniti. Do-po le vittorie iniziali delle forzedegli Imperi centrali, la situazio-ne si capovolse fino al crollo dellaGermania e dell’Impero austro-ungarico. Furono quattro anni diatroci sofferenze, che riuscironoad azzerare, con ben dieci milio-ni di morti, un’intera generazionee che si conclusero con una pace,quella di Versailles, così umilian-te per gli sconfitti da far covareprofondi sentimenti di rivincitasfociati poi, nel 1939, nella Se-conda guerra mondiale.

LE CAUSE

Causa occasionale della guerrafu l’assassinio dell’Arciduca ere-ditario d’Austria-Ungheria Fran-cesco Ferdinando e di sua moglieSofia, avvenuto a Sarajevo il 28giugno 1914 a opera dello stu-dente serbo Gavrilo Princip. Taleevento segnò la fine della cosid-detta belle époque e l’inizio di unconflitto senza precedenti. Fu lamiccia che fece esplodere i Balca-ni, dove le regioni slave sottomes-se all’Impero austro-ungarico,stavano maturando, fomentatedalla Serbia, forti sentimenti na-zionalistici volti alla conquistadell’indipendenza.

L’Austria-Ungheria era una po-tenza sempre più in crisi e in de-clino che, già provata dall’espan-

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INQUADRAMENTO DEL CONFLITTO

Postazione di mitragliatrice sulMonte San Michele.

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sione della Germania e dallesconfitte subite dall’Italia, nelcorso delle Guerre d’Indipenden-za, vedeva ora minacciati anche iterritori balcanici, sotto la spintadestabilizzante della Serbia accu-sata di favorire il malcontentodelle popolazioni slave sottomes-se a Vienna.

L’uccisione dell’erede al tronoera una provocazione che nonpoteva essere lasciata impunita.All’Impero di Francesco Giusep-pe sembrò giunto il momento diliquidare il problema Serbia con-tro cui fu lanciato un ultimatumdalle condizioni umilianti e inac-cettabili. Sebbene le autorità diBelgrado, pur di evitare lo scon-tro armato e la sicura disfatta,mostrarono la disponibilità adaccettare la maggior parte delleclausole, la risposta fu ritenutainsoddisfacente e così l’Austria,dopo essersi assicurata l’appog-gio dell’Impero tedesco, il 28 lu-glio 1914 dichiarò guerra allaSerbia. Gli austro-ungarici eranoforti del legame con il Reich tede-sco di Guillermo II. Invece, in di-fesa della Serbia scesero in cam-

po la Russia e la Francia mentrel’Italia, legata agli Imperi centralida un trattato difensivo e chedunque prevedeva l’intervento so-lo in caso di aggressione, appel-landosi al fatto che era stata l’Au-stria ad attaccare senza neancheconsultarla, si dichiarò neutrale.La Germania dichiarò guerra allaRussia e alla Francia. A sua voltala violazione della neutralità delBelgio e del Lussemburgo, da

parte delle truppe tedesche, pro-vocò la dichiarazione di guerradella Gran Bretagna alla Germa-nia. I belligeranti del 1914 eranodunque: da una parte, la Germa-nia e l’Austria-Ungheria, dall’al-tra, la Serbia, il Montenegro, laRussia, la Francia, il Belgio e l’In-ghilterra, cui si aggiunse il Giap-pone, alleato dell’Inghilterra, chevoleva impadronirsi delle posizio-ni tedesche in Estremo Oriente.Proprio l’intervento del Giapponerappresentò la vera e propriasvolta storica delle ostilità inquanto, per la prima volta, laguerra assunse un carattere mon-diale, dall’Europa all’EstremoOriente, passando per le rottedell’Atlantico.

L’Impero del Sol Levante eraormai divenuto una splendidarealtà politico-militare; la disfattadi Port Arthur, inflitta, nel 1905,alla grande Russia zarista, avevarafforzato le ambizioni dei verticiimperiali, desiderosi di consoli-dare la propria supremazia sututto l’Oriente: le colonie tede-sche in Cina e nel Pacifico rap-

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Soldati in trincea.

Soldati all’assalto sul Monte Grappa.

di Sara Greggi *

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presentavano una meta ambita.L’iniziativa strategica fu presa dalcomando militare tedesco. Il pia-no che il Generale von Moltke,Capo di Stato Maggiore tedesco,intendeva attuare, affidava agliaustro-ungarici l’incarico di con-tenere i russi e rivolgeva gli sforzimilitari più ingenti verso la Fran-cia. Il piano francese prevedeva,invece, un’offensiva in Lorena e,in caso di attacco tedesco al Bel-gio, l’estensione fino alla Mosa. Ilpiano austro-ungarico, elaboratodal Conrad, prevedeva l’elimina-zione serba e un attacco alla Rus-sia.

Inizialmente, a ovest, i tedeschiriuscirono a prendere Liegi e arespingere i belgi su Anversa. Inseguito alla ritirata delle truppefrancesi, Moltke credette di averein pugno la situazione ma, ina-spettatamente, il Generale fran-cese Joffre, riuscì a bloccare l’a-vanzata tedesca sulla Marna, ri-portando una rilevante vittoriache salvò Parigi e segnò un colpodecisivo nel modo di condurre leoperazioni belliche. Dopo lasconfitta della Marna, il Generaletedesco Falkenhayn, che avevasostituito nel frattempo il deboleMoltke al comando dell’esercito,

decise di spingere sempre versoovest ma le sue manovre non eb-bero successo. Dopo la sanguino-sa battaglia della Fiandra, le ope-razioni si stabilizzarono su unfronte di 750 km che andava dal-le coste del mare del Nord allaSvizzera.

Sul fronte orientale, l’offensivarussa obbligò lo Stato Maggioretedesco a richiamare dal Belgioun gruppo considerevole di sol-dati. I tedeschi riuscirono a scon-figgere l’Armata Samsonov, men-tre gli austriaci vennero fermatidai russi e obbligati a ripiegaresui Carpazi.

Alla fine del 1914, anche se ilpiano di Moltke non era statorealizzato e c’era stata la perditadi territori nel Pacifico, la Ger-mania aveva occupato parte dellaFrancia settentrionale e avevaevitato la temuta invasione russa.La Serbia riuscì a liberare il suoterritorio e a riconquistare Bel-grado. La Francia aveva contenu-to l’invasione tedesca ma avevaperso una parte rilevante del pro-prio territorio.

L’INTERVENTO INGLESE E LABATTAGLIA DI VERDUN

Anche nel 1915 l’iniziativa belli-ca rimase alla Germania checercò, in tutti i modi, di conqui-stare definitivamente la suprema-zia sul fronte orientale. Dopoaver subito una potente azioneoffensiva, i russi furono costrettia lasciare Leopoli, Lublino e l’in-tera Polonia. In questo modo, itedeschi riuscirono ad allontana-re la minaccia a est. La Franciacercò di liberare il suo territoriocon una serie di violente ma inu-tili offensive nell’Artois, nellaChampagne, nelle Argonne e nei

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Bersaglieri sul basso Piave.

Fanteria all’assalto.

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Vasgi.Nel 1915 entrarono in guerra

anche l’Italia e la Bulgaria rispet-tivamente a fianco degli Alleati edegli Imperi centrali. Dopo unlungo e assai controverso dibatti-to tra interventisti e neutralisti,l’Italia decise di allearsi con leforze dell’Intesa. A metà febbraiofurono avviate, in segreto, tratta-tive con gli Alleati, che si conclu-sero con la firma del patto diLondra in base al quale l’Italia, incaso di vittoria, avrebbe ricevutoil riconoscimento del Trentino,dell’Alto Adige, di Trieste, dell’I-stria e della Dalmazia. Il 24 mag-gio 1915, dunque, l’Esercito Ita-liano, alla guida del Generale Ca-dorna, prendeva posizione alconfine con l’Austria-Ungheria.

Nelle prime quattro battagliedell’Isonzo, l’Italia non raggiunsealcun risultato rilevante dal pun-to di vista militare ma l’atteggia-mento risoluto assunto dal nostroEsercito portò nuova forza all’in-terno della coalizione e diede unnotevole aiuto alla Russia cheriuscì a evitare una pesante scon-fitta.

I piani militari elaborati da am-bo le parti per il 1916 erano fina-lizzati al logoramento dell’avver-sario. Falkenhayn decise di colpi-re Verdun credendo che un suoeventuale crollo avrebbe deciso laguerra, ma sbagliò i suoi calcoli.Questa battaglia sfiancò i france-si ma si risolse in un clamorosoinsuccesso tedesco perché il Ge-nerale Joffre guidò efficacementel’offensiva sulla Somme che im-pedì ai tedeschi di avere la me-glio.

Intanto gli austriaci decisero diattaccare l’Italia. La «battagliadegli Altipiani» fu combattuta suun fronte di 40 km dalla Val La-garina alla Valsugana. Cadornariuscì abilmente a gestire la si-tuazione lanciando successiva-mente la controffensiva. Nella se-

sta battaglia dell’Isonzo venneconquistata Gorizia. Seguironoin autunno altre tre logoranti bat-taglie dell’Isonzo. Nonostante laconquista tedesca della Romania,fu la battaglia di Verdun «la svol-ta della guerra». In agostoFalkenhayn cedette il posto aHindenburg e a Ludendorff. InFrancia, invece, Nivelle prese ilposto di Joffre. Con lo scoppiodella Rivoluzione russa, Hinden-burg si ritrovò a dover fare i conticon la scarsità di risorse umane etecniche per cui decise di adotta-re un atteggiamento puramentedifensivo approfittando delle si-tuazioni più congeniali: la cadutadi Riga, ad esempio.

LA GUERRA SOTTOMARINA

Questi avvenimenti favorevoliconsentirono ai tedeschi di aiuta-re l’Austria nell’operazione cheportò a Caporetto. Hindenburg,inoltre, contava sulla guerra sot-tomarina a oltranza che, a suoparere, avrebbe deciso la guerra.

Il Generale Nivelle decise dimodificare i piani iniziali di Jof-fre attuando una rapida rotturasu un largo fronte. Presto il suopiano si concretizzò: l’offensivafu scatenata sullo Chemin desDames ma si risolse in un clamo-roso fallimento che causò la so-stituzione di Nivelle con Pétain.

I disordini e la scarsa unità tra

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Postazione di mitragliatrice Fiat 14.

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gli Alleati aiutarono la resistenzatedesca. Tra giugno e novembre,gli inglesi cercarono di allontana-re le forze militari tedesche dallecoste del Belgio per raggiungerele basi dei sottomarini.

La guerra sottomarina proseguìa lungo e raggiunse il culminequando la Germania riuscì adaffondare un naviglio mercantilealleato. Tuttavia, le potenze del-l’Intesa riuscirono a limitare leperdite grazie al perfezionamentodella fase difensiva. La guerrasottomarina spinse gli Stati Unitia rompere le relazioni diplomati-che con la Germania e a dichiara-re guerra. La guerra fu estesa al-

l’Austria-Ungheria solo il 7 di-cembre ma non alla Turchia e al-la Bulgaria. Gli americani, tutta-via, non firmarono mai il trattatodi Londra del 1914, cioè non en-trarono mai ufficialmente nell’Al-leanza, si «unirono» soltanto agliavversari della Germania.

LA DISFATTA DI CAPORETTO

A un convegno tenuto a Roma,Nivelle osteggiò il piano di Ca-dorna che prevedeva un’azionedecisiva interalleata contro l’Au-stria, stremata dalle operazionidel 1916 e fortemente indebolita.

La proposta di Cadorna, dunque,non venne approvata, nonostanteil sostegno di Lloyd George.

L’atteggiamento difensivo au-striaco spinse l’Italia ad attaccarele difese orientali di Gorizia. Inestate gli italiani furono impe-gnati nella X e nella XI battagliadell’Isonzo, sulla Bainsizza. L’o-biettivo era quello di colpire for-temente l’Austria prima che po-tesse spostare ingenti forze mili-tari dal fronte russo. La situazio-ne austriaca, in seguito a questabattaglia, peggiorò notevolmentetanto che la Germania dovette ac-correre in soccorso dell’alleataapprofittando della caduta russa.I tedeschi, avendo individuato ilpunto debole italiano nel settorePlezzo-Tolmino sull’alto Isonzo,miravano a cogliere l’EsercitoItaliano di sorpresa con il meto-do offensivo ideato da Hinden-burg e Ludendorff che tanto effi-cace si era rivelato a Riga. La ma-novra offensiva fu affidata al Ge-nerale tedesco von Below che riu-scì a colpire l’organizzazione di-fensiva italiana provocando larottura del fronte a Caporetto.Cadorna ordinò, così, alle suetruppe di ripiegare sul Taglia-mento, ma il numero dei soldatiera insufficiente alla difesa percui Cadorna decise un ulterioreripiegamento sulla linea Asiago-Grappa-Piave. L’offensiva austro-tedesca non si arrestò, anzi,portò lo schieramento italianodietro la Livenza. La situazioneprecipitò rapidamente e il 9 no-vembre Cadorna fu sostituito daDiaz.

Gli austro-tedeschi continuaro-no ad attaccare sull’altopiano diAsiago, sul Piave, sul Grappa manon riportarono risultati signifi-cativi a causa di una strenua re-sistenza italiana. La disfatta diCaporetto rese necessaria unamaggiore cooperazione militaretra gli Alleati che, nell’incontrodi Rapallo, avvenuto il 7 novem-bre 1917, si concretizzò nellacreazione di un Consiglio supe-riore di guerra interalleato, com-

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posto dai rappresentanti militaridi tutte le forze alleate.

La mancata resistenza di repar-ti della seconda armata, vilmenteritirati senza combattere o igno-miniosamente arresisi al nemico.

Queste le parole con cui, il 28 ot-tobre 1917, Cadorna motivò il di-sastro di Caporetto che ebbe pe-santi conseguenze militari e poli-tiche (la sostituzione di Cadornae la formazione di un nuovo go-

verno). Caporetto non fu fenome-no di viltà né una «pugnalata allaschiena» dei disfattisti ma il crol-lo di un Esercito stanco e demo-ralizzato al quale si chiese solopassiva obbedienza. Dopo il ’17continuarono a esserci violenza erigore anche con Diaz ma si curòmolto di più la propaganda non-ché il morale e le condizioni divita dei soldati.

LA RIVOLUzIONE RUSSA

Nel 1917, un altro critico avve-nimento sconvolse l’Europa econdizionò l’andamento del con-flitto. A causa della guerra, infat-ti, la situazione economica russa

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Postazione di mitragliatrice.

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peggiorò notevolmente portandodisordini e malcontento in tuttoil Paese. A Pietrogrado scoppiaro-no violente manifestazioni, re-presse nel sangue dalla guardiaimperiale. I ribelli diedero vita aun «Soviet» di operai mentre l’u-nica autorità legittima rimasta, laDuma, costituì un governo prov-visorio. La situazione mutò quan-do l’esule Vladimir Il’ic Ul’janov,detto Lenin, decise di tornare,dalla Svizzera, alla testa del parti-to comunista bolscevico, in Rus-sia. Lenin lanciò le sue «tesi d’a-prile», nelle quali sostenne la ne-cessità di uscire dalla guerra e diaffidare il potere ai Soviet. Lemanifestazioni anti-governativevennero represse nel sangue e Le-nin fu costretto alla fuga in Fin-landia. Tornò quando il suo brac-cio destro Trotzkij riuscì a con-quistare il palazzo d’inverno.Gruppi di Ufficiali fedeli allo zarscatenarono una sanguinosaguerra civile che provocò milionidi vittime. Trotzkij organizzò, co-sì, l’esercito rivoluzionario, pas-

sato alla storia con il nome di«Armata Rossa», per contrastarele forze avversarie. La guerra, incui persero la vita lo zar Nicola IIe tutta la sua famiglia, si conclu-se alla fine del 1920 con la vitto-ria dei bolscevichi e la nascitadell’Unione delle RepubblicheSocialiste Sovietiche, con capita-le Mosca.

LA SCONFITTA TEDESCA

Approfittando del difficile mo-mento degli Alleati, la Germaniacercò di risolvere definitivamentela situazione prima dell’interventoamericano. Hindenburg e Luden-dorff nel 1918 attaccarono in Pic-cardia ma si trovarono di fronteuna tenace resistenza franco-in-glese. Anche la seconda offensivatedesca in Fiandra fu senza esito,ma gli attacchi continuarono. LaGermania cercò di allargare ilconflitto verso ovest sul Matz everso est su Reims. Qui l’avanzatatedesca raggiunse il culmine e ini-

ziò la controffensiva alleata. Ilfrancese Foch, Comandante su-premo delle truppe alleate, ordinòl’offensiva definitiva dalla Mosa almare procedendo allo sfondamen-to delle linee difensive tedesche.L’attacco concentrico delle dodiciarmate alleate costrinse i tedeschia ritirarsi sul Reno.

Sul fronte italiano gli austriacicercarono di portare avanti lamanovra offensiva costruendosul Montello alcune teste di pon-te. La carenza di uomini tra le fi-la austriache spinse l’Italia a lan-ciare un’efficace controffensivapuntando su Conegliano e Vitto-rio Veneto e costringendo gli au-striaci a ripiegare in pianura. Avilla Giusti venne firmato l’armi-stizio. A Vittorio Veneto l’Italiariportò una memorabile vittoria:lo sforzo delle nostre truppe fuimmane e le perdite incalcolabili.Questi sacrifici, tuttavia, consen-

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Trincea sul Monte Pal Grande.

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tirono all’Italia di rientrare inpossesso di alcuni territori.

UNA RIFLESSIONE

La Grande Guerra durò quattroanni, tre mesi e quattordici giornie provocò circa dieci milioni di

vittime tra la popolazione civile,preannunciando lo scoppio di unconflitto assai più sanguinoso.

Il Presidente Wilson imposeagli sconfitti l’accettazione di«quattordici punti», che avrebbe-ro dovuto porre le fondamentafuture per la pace, e cercò di faraccettare tali principi anche ai

vincitori. In realtà, l’intento deglialleati europei era solo quello dispartirsi i diversi territori secon-do gli accordi segreti del 1915.Così i trattati di pace che risulta-rono dalle Conferenze di Versail-les, Saint-Germain, Trianon, Ne-villy e Sèvres costituirono solo unfattore di instabilità per il futuro.

Francia e Gran Bretagna stabili-rono contro la Germania sanzionicosì pesanti da far covare unprofondo risentimento che sareb-be poi sfociato, in tutta la suacrudeltà, nel Secondo conflittomondiale. La Grande Guerra se-gnò inesorabilmente il declino delvecchio continente che si vedevacosì surclassare anche sul pianoeconomico dalle nuove superpo-tenze: Stati Uniti e Giappone.

* Analista e ricercatrice storica

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Fanti in azione sul Montello.

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Si combatte con violenza aifianchi per allargare il var-co della linea fortificata che

ci tratteneva. Un bombardamen-to intenso batte il Monte Santo eil Monte Kuk, al nord, batte i ro-vesci del S. Michele e il Vallonedi Doberdò, al sud.

E nel centro l’ondata copre delsuo impeto la piana di Gorizia. Imargini dell’avanzata tendono al-le alture, dove la nuova resistenzaaustriaca si delinea.

Ma non cerchiamo di capire. Èuna giornata di stordimento e diebbrezza. Lasciamoci trascinareda questa immane ondata di esul-tanza che passa. Ci sentiamo tra-volti come da una bufera di entu-siasmo. È la gioventù, è la gloria,è l’avvenire d’Italia che passanoin un’irruzione prodigiosa.

Sorpassiamo le vecchie posizio-ni piene di morti, varchiamo lasoglia spaventosa che la fatalitàaveva imposto alla nostra vitto-ria. Sulle trincee del Podgora, si-lenziose, dalle quali si dominatutto il nuovo campo di azione,due Generali vanno lentamentelungo le creste e guardano penso-si seguiti da qualche aiutante. So-no i soli esseri viventi sulle tragi-che vette.

Passano fra i rottami, fra i ca-daveri, in uno sparpagliamentodi armi spezzate, di granate amano, di indumenti calpestatiche hanno l’aria morta anche es-si, scavalcano grovigli di ferro, sifermano meditando come per ri-costruire nel gesto dei caduti gliepisodi supremi della lotta. Letruppe che marciano ai piedi del-le alture, dirette a Gorizia in lun-ghe file grigie e tortuose sul terre-no spezzato da trincee e cammi-namenti, lungo la ferrovia dallerotaie divelte e contorte, non im-maginano che è il pensiero, è lavolontà di quei due uomini il cuiprofilo si erge sulla vetta solitariae insanguinata, che li muove. So-no il genio e la scienza della guer-ra, lassù, Cadorna e Porro. Se isoldati lo sapessero l’acclamazio-ne sorgerebbe dalle loro masse.

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CRONISTI A CONFRONTO Corriere della Sera

12 Agosto 1916

Nelle pagine seguenti presentiamo una suggestiva e ineditatestimonianza riguardante la liberazione di Gorizia, la nobilecittadina friulana, tornata alla madrepatria il 9 agosto 1916.

Quegli avvenimenti sono fatti rivivere dal diario inedito delTenente d’Artiglieria Arnaldo Prato, valoroso combattente ap-partenente alla batteria che per prima superò l’Isonzo per en-trare in città. Sono appunti personali - vergati a mano - di unodei tanti protagonisti di quelle gloriose giornate dell’agosto1916. In quelle parole - rivelate adesso la prima volta - c’è tuttolo slancio di un giovane Comandante, della sua fedeltà al do-vere e del suo attaccamento al personale dipendente. Tale nar-razione culmina con la battaglia e l’ingresso in Gorizia.

Lo stesso episodio, ma con differenti sfumature, venne nar-rato dal noto giornalista Luigi Barzini, penna di pregio delquotidiano «Corriere della Sera», nell’articolo «L’irrompente

avanzata» pubblicato il 12agosto 1916. Barzini, in-viato al fronte dal giornalequale corrispondente di

guerra, descrive le operazioni condotte dall’Esercito Italianonella battaglia per la presa di Gorizia e l’episodio relativo alpassaggio dell’Isonzo da parte della prima batteria d’artiglieriaitaliana.

Tra l’altro, colpisce come il diario dell’Ufficiale - che è statopossibile divulgare solo adesso, dopo l’autorizzazione della fa-miglia - e il resoconto dell’inviato di guerra descrivano l’azionedell’artiglieria italiana con i medesimi particolari e con assolu-ta concordanza. Certamente Barzini ha visto da vicino lo svol-gersi dell’azione condotta dal Sotto Comandante della terzabatteria, 1° gruppo, 3° Reggimento artiglieria da campagna.Un parallelismo tra gli scritti, oltre a far luce su un gloriosoepisodio del Primo conflitto mondiale, fornisce anche l’occa-sione per ricordare quei momenti e, soprattutto, coloro i qualisi sacrificarono affinché gli italiani di oggi potessero apprez-zare il privilegio di vivere in un Paese libero.

Trincea sul Carso a Monte SanMichele.

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L’ALBA GLORIOSA

Le truppe sono penetrate a Go-rizia nella prima ora del giorno. Ibattaglioni che, conquistato ilPodgora, si sono gettati ieri nelfiume passandolo a guado, si so-no trincerati alle prime case deisobborghi. Hanno sbarrato lestrade con barricate di sassi, dicarri, di travi, di botti. Soltantoqualche pattuglia si era portatapiù avanti, negli orti e nei giardi-ni. Per tutta la notte è stato unoscoppiettio di fucilate. Gli au-striaci sparavano dalle finestre.Avevano sfondato i recinti, apertodei varchi nelle pareti degli edifi-ci, eretto parapetti ai crocicchi,per opporsi all’avanzata con unaguerriglia di strada. Ma si tratta-va di poche forze di retroguardia.Il grosso dei nostri era trinceratoancora al di là del fiume, nel foltoe antico bosco che fronteggia ilvillaggio di Grafenberg e chesembra un parco, di fronte alpaese di Podgora.

L’avanzata è avvenuta all’alba.Da alcune case le ultime pattuglieaustriache hanno tentato di di-fendersi. Brevi scaramucce han-no fatto echeggiare di fucilate levie deserte. Qualche morto, pochiferiti: l’ultimo prezzo della con-quista. Un rombo cupo è venuto

dal ponte di ferro, quello dellastrada di Lucinico, l’unico rima-sto intatto. Era la cavalleria chepassava al galoppo. È continuataa passare per qualche ora mentrel’artiglieria austriaca si svegliavae batteva il varco. Plotoni di cara-binieri a cavallo irrompevano perle vie e per le piazze, occupavanogli edifici pubblici, stabilivano ilprimo servizio di sicurezza. In-

tanto la fanteria avanzava, attra-versando a guado l’Isonzo mentrei pontieri lavoravano febbrilmen-te alla costruzione delle passerel-le. Alle cinque del mattino, l’irra-diazione delle avanguardie avevaattraversato la città.

I combattimenti riprendevanoal di là. Gorizia pareva deserta. Igrossi calibri austriaci comincia-vano a percuoterla. Il ponte erabombardato, e sotto il fuoco l’a-vanzata continuava. E continuaancora.

PASSA L’ARTIGLIERIA

La strada che da Lucinico va alvillaggio di Podgora attraversal’altissima banchina ferroviariain un lungo sottopassaggio, oscu-ro, barricato con travi. Era un ri-fugio austriaco, una sede di co-mandi. Per qualche ora è un no-stro Quartier Generale e un po-sto di medicazione. È una galle-ria fantastica, ampia, ingombra

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Servizio dell’inviato speciale Luigi Barzini

Carico di un ferito su ambulanza.

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di bottino, piena di casse, di ar-mi. Delle lampade elettrichespente pendono dalle travature, esi va nel buio, fiancheggiandostrani edifici, casette di legnoerette lì dentro come le stazionisotterranee del Sempione. Passa-no dei feriti, si odono dei coman-di, degli Ufficiali si affollano in-torno al Generale che impartisceordini, presso uno degli sbocchi,seduto a una tavola coperta dicarte. Pare di essere in una mi-niera. Dei soldati gridano: largo!largo! e trascinano delle cose pe-santi. Sono i cannoni presi al ne-mico. Improvvisamente il sole. Sisbocca nel villaggio.

L’ultimo bombardamento no-stro lo ha devastato. Tutto è inrovina. Da ogni parte cadaveriaustriaci giacciono nell’atteggia-mento in cui sono caduti, con leloro granate a mano nel pugno.La resistenza è stata violenta e di-sperata. Vi sono ancora dei nemi-

ci dispersi che non si arrendono.Nei rifugi del Podgora, la cui tor-va cima ci sovrasta, in quei rifugiche aprono nella boscaglia stron-cata la loro bocca nera di caver-na, dei nuclei nemici sono rima-sti rintanati fino a poche ore fa.

Il vicino ponte della ferrovia,crollato in parte, sospende sullemacerie, fra i piloni rimasti, lacentina delle rotaie intatte, sospe-se. Arrivano granate nemiche ditanto in tanto, e le schegge crepi-tano sui muri come una grandinesibilante. Degli avvisi in tedescoindicano i passaggi alle posizioni,grandi cartelli neri e bianchi, si-nistri come le iscrizioni funerariesulle porte delle chiese nei giornidi esequie: «Nach Gorizia». Se-guiamo il sentiero nel bosco checosteggia l’Isonzo, insieme alletruppe, i cui elmetti sporcati difango oscillano nella marcia frale fronde simili a ciottoli in moto.Il genio ha creato una passerellaattraverso il fiume. L’artiglierianemica tempesta il greto. La fan-teria passa a drappelli, di corsa.

Un fragore scrosciante di gros-

se granate ci sorprende, e unospettacolo magnifico ci inchiodaa metà della passerella. L’artiglie-ria italiana varca l’Isonzo sottoad un diluvio di cannonate. Passasul ponte di ferro. Il nemico vuolfermarla.

Enormi esplosioni sollevano gi-gantesche colonne d’acqua, eru-zioni di pietre, la terra trema, paredi sentire la vampa dei colpi pas-sare come un soffio ardente. Nu-vole dense e vorticose annebbianoil greto, avvolgono il ponte. Quan-do il fumo si dissipa, la rigida tri-na di acciaio del ponte si disegnanera in una caligine grigia, e su diessa si rivedono le nostre batterieche passano impavide, tranquille,a piccolo trotto, sollevando la pol-vere della strada, con i postiglionieretti sulle selle e i serventi rigidisui sedili dei cassoni e dei pezzi.Raffiche di shrapnel empiono l’a-ria del loro lamento... Dio! Un ca-vallo di testa è caduto! La fila deicannoni si ferma, si accavalca! Èun istante. Le tirelle sono tagliate,il cavallo morto nereggia per ter-ra. Il passaggio continua.

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Salmerie della fanteria in marcia.

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NELLA CITTÁ REDENTA

Risaliamo il greto, ecco dellecase rustiche, dei cascinali, deifrutteti, poi delle ville, delle stra-de: Gorizia. Tutto è chiuso, tuttoè silenzioso, tutto è abbandonato.Si direbbe che la città fosse vuotada anni. Per le vie alberate crescel’erba lungo i lati, ai piedi deimuri. Un gran silenzio. Qualchetetto è sfondato, qualche edificioè bruciato, i muri sono butteratida schegge. In certi giardini lepiante e i fiori hanno invaso ognispazio, hanno cancellato i viali, siaffacciano da tutte le parti sullastrada, hanno occupato il postoche l’uomo si riservava fra loro, eun fiammeggiare di oleandri fio-riti maschera delle finestre basseche da lunghi mesi nessuno hapiù aperto.

Quasi tutte le case dalle quali èscomparsa ogni traccia di vita re-cente, portano dei nomi italianialle targhette dei campanelli. Leortiche mettono alle loro portedelle soglie verdi. Sono le casedegli internati...

Una finestra a pian terreno èspalancata. Guardiamo dentro,c’è forse qualcuno. Nel mezzodella camera sono distesi dei ca-daveri di soldati austriaci. Unamotocicletta passa come un dar-do in un crocicchio. Nell’afa ar-dente della giornata estiva scendedagli alberi polverosi un cantovasto e monotono di cicale. «Fer-mata del tram» dice un cartelloche sporge, e ci accorgiamo soloallora che delle rotaie rugginosesi distendono sotto la polvere finedella strada.

Gli edifici si fanno ampi, mo-derni, e si serrano allineando leloro finestre innumerevoli sullefacciate bianche. Siamo nel cen-tro della città nuova, e qui la soli-tudine che l’Austria ci abbandonaè più tragica, per tutto quello cheparla della vita della folla, di mo-vimento e di traffico. Vi è unanon so quale costernazione neipalazzi senza sguardo, nei negozisulle cui porte la polvere si è po-

sata a strati.Ad un tratto ci troviamo di

fronte ad un caffè aperto, un ele-gante caffè pieno di Ufficiali chesi dissetano, serviti da un came-riere in giacca bianca. Al banco ilpadrone. Si bevono delle limona-te eccellenti per pochi soldi. Gliaustriaci potevano mancare an-che di sapone, ma avevano limo-ni in abbondanza. Anche nelletrincee. E sono limoni nostri,passati per la Svizzera. Le casseportano impressa l’origine. «Boniitagliani!» come dicono loro.

La prima cosa che ha rivissutoa Gorizia è stato il caffè. Si èaperto puntualmente alla matti-na, appena si è estinta la fucileria

nei sobborghi. Più avanti, nellacittà vecchia, oltre la PiazzaGrande, si sente una vita celataoltre i muri, una vita che aspettanascosta, malsicura ancora.Qualche bimbo si mostra, delledonne spiano da dietro le persia-ne, sentendo un passo sulle pietreaffocate della strada silenziosa. Èil popolo più povero, quello che èrimasto del popolo dopo gli inter-namenti e le coscrizioni. Domani

le porte si apriranno e vi sarà unpo’ di folla per queste viuzze tor-tuose dell’antico quartiere vene-ziano, che si arrampicano sullacollina del Castello.

DAL CASTELLO

Sul Castello gli austriaci tiranocon i grossi calibri. Immaginanoche serva da osservatorio. Le gra-nate sembra che soffino sulla no-stra testa tanto il loro urlo pos-sente si spande con veemenza.Andiamo senza meta in questalugubre solitudine piena di sole.La strada che porta al Castello di-viene ad un tratto campestre,

fiancheggia muri di orti, dai qualisi affacciano le piante. La fucile-ria è vicina.

Si combatte lì sotto, nei borghiSan Rocco e San Pietro. Scara-mucce di avanguardia. Non si ve-de nessuno giù per i vigneti dovela battaglia si riaccende. Degliedifici grandi e bianchi come ca-serme, una chiesa nuova, dellestrade vuote, e intorno dei prati,dei giardini, dei filari d’alberi.Qualche pallottola arriva non sisa da dove, presso l’entrata mas-siccia della antica fortezza vene-ziana, sotto al cui arco una lapide

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Fanti all’assalto.

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di marmo, incisa in caratteri do-rati e circondata da una coronadi quercia, ricorda la morte avve-nuta in quelle vicinanze, per unagranata italiana durante la nostraoffensiva di novembre, del co-mandante delle artiglierie, Gene-rale Körner.

Non più soldati, non più pattu-glie, la solitudine lassù è assolu-ta, il borgo del Castello, oltre ilportale, allinea le sue casette vec-chie e nostrane, tutte a portici, inun silenzio di morte grave di spa-vento. Niente vive se non la batta-glia invisibile e misteriosa, unoscoppiettio che sembra là, dietroi muri, qualche ronzìo e di tantoin tanto il rombo della granataaustriaca che arriva, fragoroso esuonante come un rumore di tre-

no, e che muore nello scoppioformidabile. La terra sussulta. Siode lo scroscio lungo di macerieche crollano, di tetti che si sfa-sciano, qualche casa muore, euna grandine fitta di schegge sisparpaglia sui muri e sulla stradacon sibili taglienti sollevandonembi di polvere.

Una porta si schiude, un bim-bo di sette od otto anni, pallidoma tranquillo, si sporge, guarda,rimane un po’ incerto, poi do-manda: Sono granate austriachequeste?

Sì figliuolo, sono granate au-striache.

Con un gesto di rassegnazionesi mette a sedere sulla soglia, frarottami di tegole che la cannona-ta ha lanciato.

Si vedono lontano le posizioniespugnate, come il nemico le ve-deva. Il loro profilo maledetto ciè così familiare che le riconoscia-mo tutte senza esitazione. Attira-no il nostro sguardo, le contem-pliamo con una specie di rancoreferoce. Il cannone tuona verso ilMonte Santo, che ci domina tuttogrigio e sassoso come il Sabotino.Sul San Michele continua la lottaaccanitamente.

Ma i colpi austriaci tempestanoora il declivio verso Gabriele everso Gotici. Avanziamo. Il bom-bardamento dei ponti di Gorizianon ha sosta. Vuol dire che pro-segue intenso il passaggio dellenostre forze. Quelle batterie no-stre che abbiamo visto attraversa-re l’Isonzo sono già in azione. Iloro shrapnel costellano la pianaa levante di S. Andrea.

GLI UCCELLACCI

Ridiscendiamo nella città. Pas-sano ora dei battaglioni, ordinati efieri, nelle grandi vie alberate. So-no moltitudini grigie che sfilano,irte di fucili, fra le case taciturne.Nell’ombra dei filari, squadroni dicavalleria si appiedano: i cavallicoperti di polvere e assetati sfre-giano mordendo le cortecce deglialberi, dei soldati sdraiati dormo-no fra le zampe delle loro cavalca-ture. Il vento caldo del meriggio fasventolare le banderuole delle lan-ce riunite in fasci, che dannoun’impressione inattesa e pittore-sca di antica guerra. La cavalleriatorna dall’inseguimento. È lei cheha ripreso contatto col nemico eriacceso il combattimento. Ha fat-to dei prigionieri.

Precedute e seguite da carabi-nieri a cavallo, le carovane deiprigionieri attraversano Gorizia.Qualcuno è stato preso in città.Ecco un aitante Ufficiale austria-co con la sua ordinanza, che un

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Trincea sul Podgora.

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soldatino conduce, trovato or orain una casa. Ce ne debbono esse-re ancora molti, disposti a figura-re come dei buoni borghesi diGorizia, ardenti di italianità.Dobbiamo diffidare di tutti gliuomini atti alle armi che vedre-mo in giro.

Sui muri biancheggiano deimanifesti ufficiali, sormontatidall’aquila bicipite. Alcuni pro-clamano in quattro lingue l’infa-mia della nostra guerra. Altristabiliscono delle regole per ave-re la «carta» del pane o del sa-pone o della carne. La carne co-stava dodici corone al chilo, ilpane sessantasei centesimi, illardo dodici corone. Un avvisoavverte che chi prestasse aiutoai prigionieri di guerra nel com-pimento della fuga verrebbe«punito con la morte mediantecapestro». Da noi aiutare i pri-gionieri nel compimento dellafuga è diventato uno sport.

Dei colpi precipitosi di mitra-gliatrice risuonano improvvisa-mente, vicini. Cos’è? Dove para-no? Sembrano venire dall’alto,dal sereno. Vengono dall’alto.Due aeroplani austriaci volteggia-no sulla città, bassissimi. Si vedo-no ad occhio nudo le loro crocinere sotto le loro ali, si distinguo-no gli aviatori. Sparano sulletruppe ammassate in certe vie.Non riescono a colpire, ma segui-tano a lungo; girano, mitragliano,pare che in certi momenti si fer-mino quasi, la prora contro ilvento. Poi si allontanano subita-mente. Un Caproni è comparso eli insegue. Un altro sopraggiunge.È la caccia: le mitragliatrici mar-tellano nello spazio. Tutti gli ae-roplani si innalzano, si confondo-no nella luce, svaniscono nell’az-zurro. Un rombare vago di moto-ri scende dal cielo.

PASSA LA GUERRA

Il sole declina, il primo giornoitaliano di Gorizia è alla fine. Sul-le retrovie, in un polverone denso

che il tramonto arrossa, tumultuaun immenso movimento di veico-li, di uomini, di cavalli. L’avanzatadella fronte propaga lontano ilsuo moto, trascina con sé quartie-ri generali, basi di rifornimento,stazioni di deposito, riserve, spo-sta tutto, attiva la circolazione deiservizi ed è tutta la vita dell’Eser-cito che affluisce, che scorre, chepalpita nelle arterie del paese. Lefile sterminate dei carri, dei casso-ni, dei camion, dei furgoni, di au-tomobili, non hanno interruzioni,non hanno lacune, scorrono ser-rate come un rumore profondofatto di scalpitii, di passi cadenza-ti, di rombi di motori, di fragoridi ruote. E tutta questa attivitàprodigiosa ha qualche cosa di in-corporeo nelle nebulosità del pol-verone, come in una nebbia opa-ca, in una folta caligine popolatadi ombre agitate, nella quale tuttosembra sospeso, evanescente, in-

definito, irreale. Per queste stradeche fino a ieri il fuoco nemico in-terdiceva, fiancheggiate da rovine,si ha il senso definitivo dell’avan-zata, dell’irrompere violento diuna grande forza. Pare che tuttocorra verso il cannone, che il tuo-nare della battaglia allontanando-si chiami a sé inesauribili energie,urgenti e piene.

È necessario riattraversare leposizioni abbandonate per rien-trare nel vortice di questa vita. Siripassa fra i morti che impugna-no ancora il loro fucile, rimastisoli a combattere una battagliasilenziosa nell’ombra della sera,distesi come in agguato. Scro-sciano incessantemente i colpi di-retti al ponte. Fra un’esplosione el’altra si sente venir su dalle rivecespugliose un vasto e tranquillogracidare di rane.

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Luigi Barzini nacque a Orvieto nel 1874. Lasciò ben presto la sua città per

raccontare i piccoli e grandi fatti del mondo. Fu inviato speciale del «Corriere

della Sera», acquistando larga fama con le sue corrispondenze acute, colorite,

vivaci che, primo redattore viaggiante italiano, inviò dai più diversi Paesi del

mondo su avvenimenti di interesse internazionale. Durante la Prima guerra mon-

diale fu sul fronte francese, prima, poi su quello italiano, con celebri resoconti,

tra cui la battaglia di Gorizia.

Nel 1922 lascia l’Italia per fondare, a New York , «Il corriere d’America». Al

suo ritorno passò a dirigere «Il Mattino» di Napoli. Fu Senatore del Regno dal

1934.

Tra i suoi volumi , sono da sottolineare «Guerra russo-giapponese degli anni

1904-1905»; «La metà del mondo vista da un’automobile» dove racconta la sua

partecipazione al raid automobilistico Pechino- Parigi del 1907; «La guerra

d’Italia sui monti, nel cielo e nel mare», del 1916; «Impressioni boreali», del

1921.

Di se stesso era solito dire che era diventato giornalista per caso e in modo

strano e inaspettato. Definito come il più grande giornalista viaggiante, per

primo applicò l’arte letteraria ai grandi avvenimenti del mondo.

Era un avventuroso viaggiatore che, contrariamente a molti altri uomini d’a-

zione, scriveva in modo mirabile. Aveva visto tutti i paesi del mondo, dove era

diventato amico intimo di grandi personaggi, testimone oculare dei principali

avvenimenti storici, conoscitore di gelosi segreti politici e militari, sapiente

scrutatore nelle ombre del futuro ricorda suo figlio, Luigi Barzini jr, anche lui

grande inviato del Corriere della Sera. I grandi viaggi, le descrizioni di batta-

glie, le rivoluzioni, il crollo di imperi, le avventure esotiche erano la materia

che lo ispirava. (...) Alcune sue pagine sono più memorabili e durevoli di quelle

di molti letterati del suo tempo. Anche perché scriveva quando il tempo non

consumava così rapidamente tutti gli eventi e il tempo stesso contava meno.

Articoli e servizi viaggiavano spesso per ferrovia e piroscafo. Non perdevano

nulla del loro interesse e si leggevano con avidità anche dopo diversi giorni.

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Il diario inizia il 5 luglio 1915,quando il Tenente Arnaldo Pra-to, proveniente dal deposito di

Bologna della propria unità, il 3°Reggimento artiglieria da campa-gna comandato dal ColonnelloRusso, giungeva in treno a Cor-mons (Udine) sede del Reggimen-to. Da qui, con un carro bagaglio,si recava a Mossa ove si presenta-va al Comandante del 1° gruppo, ilMaggiore Sassi, che lo designavaper la terza batteria del CapitanoTancredi Bianchi, quest’ultimaschierata nel sobborgo meridiona-le di Lucinico, in qualità di SottoComandante. L’osservatorio dellabatteria si trovava sulla collina diPubrida, mentre i pezzi eranoschierati nei pressi del cimitero diLucinico, in zona sottoposta aquotidiano, violento fuoco di con-trobatteria da parte delle artiglie-rie austro-ungariche. La posizione,estremamente avanzata ed espostaall’osservazione e al tiro nemico leaveva meritato, da parte degli au-striaci schierati sul monte Podgo-

ra, l’appellativo di «Batteria dellaMorte». I mesi dal luglio 1915 al-l’agosto 1916 avevano visto impe-gnato l’autore del diario in molte-plici incombenze: turni all’osserva-torio di batteria sulla collina di Pu-brida; servizio presso la linea pezzi(che successivamente era stataspostata prima alle Cave di Mossae, poi, sotto il ciglione dell’Isonzo);servizio in prima linea sul Calvario(compresa la vigilia di Natale del

1915); collegamento con i Reggi-menti delle due Brigate di FanteriaCasale (11° e 12° Fanteria) e Pavia(27° e 28° Fanteria), che a turnopresidiavano il tratto di fronte da-vanti al campo trincerato di Gori-zia. Nella narrazione, abbiamoconservato inalterato lo stile e il te-sto dell’autore.

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IL DIARIO DI UN PROTAGONISTA

In marcia sull’Altopiano di Asiago.

Trincea sul Monte Carso.

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E finalmente con il tempo se-reno era scoccata l’ora. Alla seraavanzata del 4 agosto era inizia-to il tremendo bombardamentosui reticolati, le trincee, gli os-servatori, le batterie, i comandi,le retrovie e per 36 ore era con-tinuato massiccio, abbrutente,spazzando via uomini e difese.Le bombarde da 240 millimetri– adoperate per la prima volta –numerosissime e piazzate subitodietro le trincee più avanzate –spesso anche avanti – avevanofatto miracoli. I loro pesantibomboloni al clorato di potas-sio, a decine di migliaia, aveva-no sconvolto e distrutto i retico-lati nemici, sfondato trincee,camminamenti, ricoveri, piazzo-le e armi, atterrito e incitrullitoi superstiti difensori (rimasti as-sai pochi) con la loro tremenda,annichilente, fragorosissimaesplosione.

I rovesci del Calvario e del Na-so erano stati battuti dai mieipezzi e ridotti un mucchio di ro-vine sconvolte. Ben dirette grana-te erano esplose fin entro i picco-li ricoveri scavati nella terra, de-molendoli. Precise salve di shra-pnel (dal caratteristico fumo ros-sastro della colofonia) eranoscoppiati 2 o 3 metri dal cigliodelle trincee inondandole di mici-diali pallette. A tratti il nostro ti-ro veniva spostato sugli apposta-menti per tiratori e mitragliatricisulla riva sinistra dell’Isonzo; an-che le strade e le case di Sant’An-drea avevano incassato efficaciforaggiate.

Le bocche da fuoco, quasi ro-venti, stavano perdendo la verni-ce grigio-verde.

E per tutta la giornata del 5 eradurata la musica fragorosa, senzasoste… l’inferno…. Peggio! Stava-no sparando 210 pezzi di grosso emedio calibro, 261 campali e 250bombarde, di cui 100 da 240 mil-limetri.

Il tempo era meraviglioso, ilcielo azzurro senza una nube, so-le sfolgorante, assenza di vento.

Alle 10, mentre l’artiglieria al-

lungava il tiro, erano scattate lefanterie avanzando con slancioirresistibile: in 40 minuti il Co-lonnello Badoglio occupava il Sa-botino, facendo prigioniero l’inte-ro presidio (cioè tutti i superstiti)raggiungendo San Valentino eSan Mauro. Più a sud il GeneraleGrazioli occupava quota 188,Oslavia e Peuma; dinanzi a noiprogressi sensibili sul Podgoracon 3 000 prigionieri.

La mattina del 6 una telefonatami chiama d’urgenza al Comandotattico del settore, spostato sulla

cresta della collina di Pubrida.Mi viene affidato il difficile inca-rico di stendere subito un nuovocollegamento telefonico con ilComando dell’11° fanteria, cheaveva già conquistato le primetrincee del Podgora, raggiunta lacresta del Calvario e iniziata ladiscesa verso l’Isonzo, contrasta-tissima. Non mi fu nascosto il ri-schio, il pericolo, ma essi mi ave-vano sempre affascinato.

A mia disposizione avevo setteartiglieri e un Sergente e 3,4 kmdi filo avvolto in tamburelli e za-

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Tenente Arnaldo Prato

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ne. Fatto un discorsetto significa-tivo (provenendo da diverse bat-terie dovevano – per prassi mili-tare – essere i più lavativi del re-parto), ero sceso con loro nel Val-lone dell’Acqua lasciandomi in-dietro il cavetto che i stendifilocollocavano come meglio possibi-le e avevo preso a salire il ripidoCalvario.

Il tempo si manteneva splendi-do, con cielo terso e sole accecan-te e caldissimo. Il nemico, incas-sato il tremendo bombardamen-to, aveva perduto le primissimeposizioni, a causa dell’improvvisonostro attacco, in molte parti delsettore investito. In altre resistevatenacemente, come fosse attacca-to alla terra, intensificando il fuo-co di controbatteria e di interdi-zione sulle vie d’accesso, incrocistradali, osservatori, favorito dal-la conoscenza quasi perfetta delnostro schieramento e dal domi-

nio delle posizioni ancora mante-nute in cresta del Podgora e delSan Michele.

Fortunatamente, per quantointenso, il fuoco nemico era cosìsparpagliato e disperso che finoad allora pochi danni aveva arre-cato alle nostre fanterie avan-zanti.

Noi ce lo sentivamo giungereaddosso all’improvviso, col carat-teristico miagolio dei proiettilipiù veloci. Cercavamo allora unriparo qualsiasi: un albero, unmuretto, una buca… allorché ar-rivava la salva sibilante. Avvenutolo scoppio, alle volte tutti ricoper-ti di terriccio, di nuovo in piedi,continuavamo a salire srotolandoil cordoncino telefonico.

Nessuno avrebbe mai pensatoche quella collina era stata ungiorno un bosco di acacie e di be-tulle fruscianti, vedendo i pochitronchi spezzati, anneriti, strap-pati dalla mitraglia, senza piùuna foglia, il suo suolo ridotto aun’informe crosta di terra rossic-cia dilaniata e sconvolta da tor-tuose trincee, camminamenti co-perti e scoperti, orrendi crateri digranate ripieni di acqua fangosa,seminata da rugginose schegged’acciaio, da rossi ammassi ossi-dati di cavalli di frisia e reticolatiaggrovigliati… ammorbata da untanfo nauseante di carne in pu-trefazione.

E così, tra un salto e l’altro, traun tuffo a terra e una corsa affan-nosa, verso le ore 11.00 giungia-mo sulla cresta del Calvario, giàsuperata dalla nostra fanteria.Col fiato mozzo per la forte sali-ta, intontiti dagli scoppi, impia-stricciati di terra, ci soffermiamoun istante sulla cresta raggiunta.

Una scheggia di granata – mol-to intelligente – mi aveva pocoprima colpito al polso rompendo-mi l’orologio, un grosso sasso,lanciato in alto da un’esplosione,

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Foto di gruppo in una pausa deicombattimenti (la freccia indica ilTenente Prato).

Il Tenente Arnaldo Prato in liberauscita a Roma, prima della partenzaper il fronte.

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mi aveva colpito, ricadendo pic-chiato sull’elmetto, senza altrodanno che un po’ di rimbombo intesta e una pesante zolla di terre-no mi era caduta sulla spalla, to-gliendomi per alcuni istanti il re-spiro. Avevo perduto due stendifi-lo colpiti, per fortuna non grave-mente, da pallottole di shrapnel eche, sanguinanti, avevo rimanda-to indietro.

Mi assicuro che il tratto di filofino a lì posizionato funzioni. Av-viso il Comando di essere giuntosulla cresta e che avrei proseguitoscendendo verso l’Isonzo in cercadel Comando dell’11°. Mi do unosguardo intorno: il magnificospettacolo apparso ai miei occhiattoniti mi ricompensa della fati-ca e dei pericoli trascorsi e già di-menticati. Batto più volte le pal-pebre per capacitarmi che nonsogno, mentre il mio cuore mibalza in petto dalla gioia…Tuttoil campo nemico – fino ad alloratotalmente invisibile dalle nostreposizioni in pianura – mi balzaora agli occhi come un lenzuolospiegato. E sì che ne avevo fattidi servizi di collegamento con lafanteria su quell’altura! Ma le no-stre trincee erano sempre a mez-za costa e sempre dominate daquelle nemiche. Guardo e stupi-sco. Ai piedi della ripida collina,si snoda verde-azzurro, mormo-rante e tranquillo, con le sue len-te acque, il fiume. L’Isonzo, cheda Tolmino al ponte di Sdraussi-na, sotto il San Michele, per tantimesi aveva arrestato inesorabilela foga delle nostre fanterie e in-franto senza pietà e con spaven-tose perdite i nostri attacchi.

Poco oltre, al di là del fiume,casette e villette isolate col lorogiardino, una vasta distesa di gra-no giallo ondeggiante come ondedi mare al vento, appare comeuna vergine sdraiata, dominatadal ferrigno Castello di Gorizia.

Ancora più oltre scorgo la colli-na del San Marco, più lontano il

Monte Santo, la selva di Tarnova,nido potente delle loro artiglieriepesanti, la sella di Dol, i due pon-ti, quello della ferrovia a cinquearcate in muratura, di cui unacrollata con un binario contorto esollevato verso il cielo, quello del-la rotabile, in ferro e con un granforo sul piano stradale per uncolpo di artiglieria cadutoglipresso la spalletta.

Al centro, un breve tratto dicampagna, a toni intensamenteverdi e gialli di messi mature, confilari allineati d’alberi tra la cittàe il paese di Sant’Andrea. Que-st’ultimo, sparso di case coloni-che, è occupato da due ampie ca-serme bianche di fanteria e di ca-valleria; al di là ancora campiverdi con filari d’alberi e poi unavasta zona di granturco tendente

al giallo fino alle colline di Ver-toiba e dietro la valle con la stra-da per Lubiana, la porta dell’Au-stria. Cessata la meraviglia per lostupendo spettacolo, seguito dalSergente e da due stendifilo, miprecipito lungo la ripida china al-la ricerca del Comando della fan-teria, che trovo finalmente dopoquasi un’ora dentro una cavernada poco conquistata e ripulita dainumerosi prigionieri. Spiego alColonnello il perché del nuovocollegamento. È una vera mannaesclama entusiasta con spiccatoaccento bolognese avrò così an-che l’artiglieria a diretta disposi-zione. Mi lasci solo il Sergente euno stendifilo e lei torni all’osser-vatorio sulla cresta, dato che iosono molto in basso e ho bisognodi vedere con i suoi occhi, dall’al-

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In trincea con le maschere antigas.

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to; l’autorizzo anche ad agire congli obici di sua iniziativa a nostraprotezione e mi tenga informatodi tutto di quello che vede da las-sù. Aggiunge che per tutto il gior-no l’avanzata è stata lenta per viadei numerosi nemici appostatinelle caverne, che sono state con-quistate una a una a colpi dibombe a mano e di lanciafiam-me. Che inoltre il fuoco nemico èsempre vivace, specie quello dellemitragliatrici da quota 240 delPodgora e che le proprie perditenon sono state gravi, solo moltiferiti e che intende fermamenteproseguire fino al fiume e, se pos-sibile oltre.

Saluto e riprendo la faticosa sa-lita verso la cima. Getto un’oc-

chiata alle numerose caverne sca-vate entro il monte, che protegge-vano i loro uomini anche durantei nostri tiri più violenti.

Chi, infatti, li avrebbe potutipescare là dentro? E c’era di tuttoin esse: impianti di distribuzioned’acqua, corrente elettrica, stufe,letti e, in una, persino vestaglie eindumenti femminili.

E noi, porco cane, mentre lorosi divertivano, nel fango e nell’ac-

qua delle fetide trincee, sempredominati dall’alto, nelle quali nonci si poteva muovere senza esserebersagliati dai loro cecchini.

Da una di quelle caverne escoraggiante: il Tenente Morettinimi aveva regalato un bellissimomoschetto Steyr e una mazzaferrata, di quelle che i nemiciusavano per finire i feriti e gliintossicati dai gas. Vigliacchi,fremente di rabbia, mentre risal-go con il fiato grosso l’erta, nonposso fare a meno di osservareun cadavere austriaco che, semi-coricato attraverso il cammina-mento, con l’elmetto rovesciatoall’indietro, la bocca aperta inuna orrenda smorfia, con gli oc-chi ancora spalancati, sembra

guardarmi ironico.Arrivato in cima comunico al

Comando di settore le novità ap-prese dal Colonnello dell’11° e as-sicuro che farò buona guardia.

Sono le 16, il campo nemico ol-tre l’Isonzo sembra deserto, si ve-de solo il fumo delle nostre can-nonate in arrivo, mentre si ode ilsinistro alto rotolare dei grossicalibri, il sibilo velocissimo deiproiettili campali e il rapido la-trare delle mitragliatrici. Mentreil sole sta tramontando, mi giun-gono altre notizie dai fanti checomunico al Comando di settore:

lenta avanzata verso la riva de-stra del fiume in alcune parti giàraggiunta; forte tiro di armi auto-matiche dal Podgora, altri nume-rosi prigionieri catturati duranteil rastrellamento delle caverne.Verso le 20, la sera è ormai scesae brillano già le prime stelle, pre-ceduto da un violento tiro d’arti-glieria, subito controbattuto dallenostre, un forte contrattacco ne-mico da quota 240 viene ributta-to dai fanti del 12° con forti per-dite per il nemico e l’abbandonodi parecchi prigionieri. Eccomi,ormai a buio fatto, ben installatoal mio posto d’osservazione, te-lefono, binocolo, goniometro li-vellato, moschetto e mazza ferra-ta, tutti accanto a me.

Mi rammento che dalla mattinanon ho mangiato nulla. Apro unascatoletta di carne e la mangiopiano piano con mezza pagnotta,in compagnia del telefonista e deidue stendifilo rimastimi. Per ma-terasso ho la terra del Calvario eper tetto il firmamento pienod’infinite stelle.

Continua incessante il tuonaredelle opposte artiglierie: semprepiù in profondità le nostre, piùfiacche e sconclusionate e, di pre-ferenza, nelle zone dei ponti,quelle austriache.

Molti dei loro pezzi, approfit-tando del buio, devono essere sta-ti spostati più indietro in previ-sione di un nostro possibile pas-saggio del fiume. Batto, comun-que, con il goniometro, tutte levampe che scorgo, ne scrivo i datisu di un taccuino, dopo averli co-municati al settore.

Alcuni colpi, tra quelli cadutidurante la notte sul Calvario,scoppiano vicino all’osservatorioalla belle étoile. Verso l’alba unagranata importuna e pericolosariesce a rovesciare il goniometroe a coprirci tutti di terriccio.

Verso le 5.30, mentre mangiopane e cioccolata, la mia atten-zione è sollecitata da alte grida eda esplosioni di bombe a mano.Dallo sbocco della breve galleriaferroviaria ai piedi del Naso del

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Casolare distrutto dalle artiglierienemiche.

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Calvario, scorgo snodarsi versoLucinico, una colonna di prigio-nieri; li aveva catturati, dopo unlancio di bombe a mano un Sot-totenente del 28°, Aurelio Baruz-zi, con soli 4 soldati e gli austria-ci erano più di 200, con 2 pezzida montagna.

Una nebbiolina diafana, azzur-rognola, copre, dai primi albori,tutta la valle e, nella pianura al dilà del fiume, oltre l’Isonzo, tuttoil terreno sembra deserto. Tuttal’attività del nemico si riduce nel-le prime ore del mattino, nell’in-viare con insistenza salve diproietti di medio calibro sulla ri-va destra e sui ponti, con la spe-ranza di renderli inutilizzabiliper il passaggio dei nostri, ma iltiro è difficile e nessun dannoviene a essi arrecato.

Entro le 10 tutto il rovescio delCalvario è stato ripulito in ogni

sua caverna; anche il Podgora,con la sua terribile quota 240, èormai in mano nostra, con la cat-tura di numerosi prigionieri.

I nostri fanti, giunti ai piedidelle due alture, sbucati fuori daicespugli a dai canneti, carponi, siattestano, lavorando di vanghettaper meglio proteggersi, sulla rivadel fiume, nascosti dai fitti can-neti. Provenienti da molto lonta-no, probabilmente dalla Selva diTarnova, arrivano, col loro carat-teristico, rotolante brontolio,proietti di grosso calibro a radiintervalli sollevando, con la loroesplosione, alte colonne d’acquafangosa, sterpi e sassi, ma cado-no tutti in mezzo al fiume e l’uni-co danno è qualche spruzzatad’acqua sporca sui nostri fanti.Altri colpi esplodono alle miespalle, diretti a impedire l’affluiredei rincalzi e uno scoppia così vi-

cino a noi da ferire con unascheggia alla coscia uno dei mieistendifilo, che faccio subito smi-stare con una barella dai portafe-riti dell’11° addetti al recuperodei colpiti.

Tutta la riva destra è ormai sal-damente occupata dai nostri sol-dati, che vedo dall’alto distesi nel-le loro buche nella sabbia, uno acontatto dell’altro, fucile alla ma-no, con al fianco il tascapane conle bombe, protetti alla vista dallavegetazione spontanea.

Verso le 12 vedo, all’altezza delponte della ferrovia, una sago-metta uscire dalla riga e nuda ini-ziare il guado del fiume; ha tra lemani alzate sul capo i vestiti e so-pra ancora il fucile; avanza guar-dingo nella debole corrente, ègiunto a metà e l’acqua gli arrivasolo alla cintola. Si ferma a ridos-so di uno dei piloni, poi riprende

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ad avanzare e l’acqua gli arrivaall’altezza del petto, poi torna adecrescere quando sta per avvici-narsi alla riva.

Esce di corsa, si ferma dietroun grosso cespuglio dove si rive-ste, quindi, a grandi gesti, invita icompagni a imitarlo. Saprò dopoche è sempre Baruzzi, che si ap-presta a conquistarsi la Medagliad’Oro piantando la Bandiera ita-liana sulla stazione ferroviaria.

Seguendo il suo esempio unalunga fila di uomini, col fucileorizzontale sulle spalle e il tasca-pane sul capo, si inoltrano vestitinelle acque e in breve, tranquilla-mente senza nessun incidente,raggiungono l’opposta riva ac-quattandosi tra i cespugli; sonocinque le file che, a ridosso delponte, guadano il fiume e più avalle altri ancora li imitano.

Dall’alto del mio osservatoriosembrano tante formiche; fino adora il nemico non si è accorto di

nulla. Io fremo di gioia e avvertoil Comando dello svolgersi dell’a-zione.

Ma, a un tratto, una raffica dimitragliatrice rompe il silenzioafoso. Gli austriaci si sono accor-ti che i fanti stanno guadando ilfiume e la mitragliatrice sgrana ilsuo rosario di colpi continui.Punto il binocolo e scorgo intor-no agli uomini immersi nella cor-rente i piccoli zampilli prodottidalle pallottole che s’infilano nel-l’acqua. Alcuni soldati si pieganoe si abbattono nella corrente cheli trascina a valle, le file accelera-no l’andatura, molti si fermano aridosso dei piloni del ponte, lamitragliatrice accelera il ritmodel fuoco, un’altra arma le fa ecodalla medesima provenienza, lefile si scompongono, altri uominisono trascinati morti o feriti dal-la corrente. Mi accorgo che il tironemico è concentrato su due solefile di guadanti. Aguzzo gli occhie gli orecchi verso la parte da cuimi sembrano provenire i colpi;frugo con il binocolo la zona esono certo di avere individuato il

punto in cui sono appostate ledue armi: un gruppetto di case inrovina vicino alla sponda sinistra,a cento metri oltre la passerelladi Salcano. Afferro il telefono esegnalo, dopo averle ricavate sul-la carta, le coordinate del punto.Pochi minuti dopo, una ventinadi granate vanno a scoppiare nel-la zona indicata… qualche ulte-riore correzione al tiro, poi unfuoco nutrito si scatena preciso,sulle segnalate abitazioni sgreto-lando muri, sfondando i pochitetti ancora sani, sradicando al-beri e staccionate. Cessa il fuoconemico, le armi rabbiose taccio-no, dunque erano proprio lì.

Soddisfatto faccio cessare il ti-ro, ma poco dopo torno a udire illugubre abbaiare… sembra si sia-no spostate più lontano. Segnalole correzioni e il nostro fuoco ri-prende furioso. Nuovo silenzioseguito da una nuova ripresa.Rappresento al Comando la ne-cessità di fare intervenire anchequalche medio calibro e che il ti-ro divenga più massiccio. Un ve-ro uragano di fuoco si abbatte

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Salmerie in Val Seis.

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sulla zona indicata, sul piccoloborgo, frugando il terreno palmoa palmo…. Il tiro si fa più lento,più disperso, poi tace definitiva-mente. Dalle opposte rive, i fantiche hanno guadato e quelli cheattendono, accortisi dell’aiuto lo-ro dato dall’artiglieria, lancianofragorosi evviva agitando fucilied elmetti. Faccio cessare l’inter-vento dei pezzi dimostratosi effi-cace e risolutivo.

Il passaggio del fiume è nuova-mente libero ma sento un orren-do miagolio sempre più violento,mano a mano che si avvicina ve-loce: una gigantesca colonnad’acqua, sabbia e sassi si sollevaaccanto a un gruppo di uominiancora in mezzo alla corrente eannuncia l’entrata in azione di ungrosso calibro nemico, forse un305. Per fortuna l’acqua e la sab-bia non hanno consentito l’esplo-sione del bolide, ma il solo spo-stamento d’aria e l’onda sollevatasono stati sufficienti a travolgere7-8 uomini.

Altri pesanti proietti, nel tenta-tivo di distruggere i ponti, cado-no alla destra e alla sinistra di es-si. La nostra artiglieria campaletace, non ci sono più bersagli da-vanti alle bocche da fuoco, solo imedi e i grossi calibri si sentonoattraversare il cielo provenientida Mossa, da San Lorenzo, direttiverso la Selva di Tarnova e la sel-la di Dol. Quando passano altinel cielo, due o tre alla volta,sembrano convogli ferroviari inmovimento.

Le Brigata «Casale» e «Pavia»sono al di là dell’Isonzo.

Verso le 16 un rombo sordo eritmico attira la mia attenzione:dietro la grande barricata cheaveva sbarrato lo sbocco del pon-te verso Lucinico erano balzatifuori 3 squadroni di cavalleriache in pochi minuti di contenutogaloppo raggiungevano, attraver-so il ponte, l’opposta sponda diri-gendosi alcuni verso Sant’An-

drea, altri verso Gorizia. Una raf-fica sopravviene e colpisce alla fi-ne del ponte due cavalieri cui siera imbizzarrito il rispettivo ca-vallo alla vista del gran buco sullasede stradale: uno cade insiemecon il quadrupede e non li scorgopiù muoversi, l’altro, trascinatodall’animale, benché certamenteferito, scompare dietro i suoicompagni.

Il fuoco d’interdizione nemico,per quanto impreciso, è ancoraforte: alle volte tutta la superfi-cie della sede stradale è annaf-fiata dalla pioggia di pallette dishrapnel e dalle schegge dellegranate.

Vengo a questo punto rilevatoda un collega all’osservatorio e,discesa la collina, ritorno allabatteria. Qui è giunto l’ordine dipassare anche noi al di là dell’I-sonzo, per schierarci a Sant’An-

drea. Quale onore! Saremo il pri-mo reparto d’artiglieria a varcareil fiume in pieno giorno. Alle 17,Capitano in testa, verificati i fini-menti, le brache, i pettorali, le ti-relle, conducenti in sella, servential loro posto sui 4 pezzi e sui 4cassoni, il reparto attende il via,riparato dall’argine del fiume. Gliordini per il passaggio sono: Ca-pitano con la pattuglia comandoa una cinquantina di metri avan-ti, poi io, il Sotto Comandante, intesta alle 8 vetture distanziate an-ch’esse convenientemente l’unadall’altra di una trentina di metri,andatura al trotto allungato. Leraffiche nemiche di interdizionecontinuano e le spring-granatenseguitano a scoppiare a intervalliregolari sulla zona che dobbiamopercorrere. Ecco, ce ne arrivauna fischiante, ma le pallette e leschegge cadono in acqua tra i

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Trincee sul Carso.

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due ponti: «corta e a destra»,avrà segnalato l’osservatorio ne-mico.

Prima ancora che si dissipi ilfumo, il Capitano Bianchi dàcon il frustino il segnale tantoatteso: «Avantii!», seguito dall’al-tro, «Trottoo». E, subito, il rit-mico rumore degli zoccoli equi-ni sale dal reparto in moto; ilComandante e la pattuglia, or-mai alla metà del ponte, si di-stendono ora in un galoppo con-tenuto, per lasciare maggior spa-zio alla colonna. Il mio frustinodà il segnale dell’allungamentodell’andatura, il mio cavallo ini-zia le prime falcate di galoppo,sono all ’altezza dell ’ immanesquarcio sul piano stradale, cheoccupa un buon terzo del ponte.In piedi, sull’orlo slabbrato delbuco (attraverso il quale, oltrealla travatura metallica, si vedescorrere il fiume, sta un carabi-niere con la lucerna grigioverdea indicare con la mano tesa ladeviazione a sinistra da prende-re per evitare di finirvi dentro. Aterra, accanto a lui, giacciono ilcorpo di un altro carabiniere edi quattro fanti, da mani pietosetrascinati vicino alla spalletta.Alla vista dei cinque cadaveri edel movimento dell’acqua attra-

verso lo squarcio, il mio cavalloscarta bruscamente e tenta ildietrofront; un colpo di speroni,seguito da un forte colpo di fru-stino, lo rimettono in carreggia-ta e galoppando arrivo verso lafine del ponte. Pur nel fragoredelle ruote delle vetture e deglizoccoli sul duro piano stradale,ancora più sonoro per il vuotosottostante, il mio orecchio adu-sato sente il sibilo della rafficadi granate che sta arrivando. Do-ve cadrà? Sembra proprio diret-ta sul mio capo. Ritto sulle staf-fe, stringo le ginocchia e pur se-guitando al piccolo galoppo mi

volgo verso i miei ragazzi, liguardo affinché comprendanoche io sono con loro e con lororimango. Hanno compreso, i lo-ro occhi sono fissi su di me, dila-tati dall’attesa dell’imminentescoppio… la salva è su di noi,esplode con fragore di tuono, ciassorda, ci avvolge di un fumogiallastro, spesso, acre, che moz-za il respiro. Il mio cavallo fa unnuovo balzo di lato… qualcosacalda è passata a me vicino, co-me un alito… vedo il quadrupe-de montato di volata del primopezzo ruzzolare a terra una deci-na di passi dietro di me, tra ungroviglio di finimenti, prosegui-re ancora trascinato dall’impetodella corsa, poi la vettura si fer-ma tra lo scalpitio degli altri ani-mali che fremono.

Vedo anche con gioia, primache possa dare l’ordine, il condu-cente che, rialzatosi di colpo, ra-pido taglia con un coltello le tirel-le che tengono ancora attaccato ilcavallo caduto con il fiancosquarciato, dal quale escono san-

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Ufficiali del 3° Reggimento artiglie-ria da campagna, subito dopo icombattimenti che portarono allaliberazione di Gorizia. (Il TenentePrato è il 4° da destra).

Ponte della ferrovia sull’Isonzo.

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gue e intestini, che cerca ancoradi rialzarsi. Spezzati i finimenti ilconducente balza sul quadrupedesottomano e, a pelo, lo sferza ri-prendendo la marcia interrottaper solo qualche secondo, primaancora che la seconda vetturatenti, come era l’ordine, il sorpas-so. Benché investiti in pieno dallaraffica io e i primi due pezzi sia-mo fortunatamente illesi; unicavittima il povero cavallo.

Giunto alla fine del ponte sca-liamo la breve ripida rampa efaccio cenno di seguire il Capita-no e la pattuglia comando che èdiretta verso Sant’Andrea. Ri-mango al centro della strada fin-ché non sono sfilate tutte le ottovetture, fissando uno ad uno tuttii miei sessantotto uomini, per fa-re loro capire che fino all’ultimoavevo voluto dividere con loro ilmedesimo pericolo; finisco conun «palmo di naso» all’indirizzodel sorridente Casasola (Coman-dante di sezione) che chiudeva lacolonna. Il sorriso letto su tuttiquei volti mi compensa di quelpiccolo pericolo sfidato e ormaisuperato. Nessuna debolezza deicapi ammettono i gregari e se iSoldati sono trascinati dagli Uffi-ciali non è men vero che essi sisentono sorretti dagli sguardi diquelli.

Raggiungo il Capitano per dar-gli le novità. È tutto bianco comeun cencio lavato, ma penso cheanch’io dovevo avere il voltotutt’altro che roseo.

La nuova postazione assegnata-ci è tra le varie costruzioni checostituivano il complesso dellecaserme di artiglieria e di cavalle-ria di Gorizia. Reti mimetiche so-pra i pezzi con i cassoni affianca-ti e graticci di giunchi. La mensanostra e i dormitori di Ufficiali eSoldati sistemati nelle cantine deivari fabbricati. Le sei batterie del1° e 2° gruppo formavano un«batterione» con i pezzi sullastessa linea. Finalmente siamoentrati in Gorizia.

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II Generale Arnaldo

Prato è nato a Roma il 6

ottobre 1893 da nobile

famiglia di origine ligure-

piemontese.

Soldato di leva, il 31

dicembre 1914 partecipa al

corso Allievi Ufficiali di

complemento del 13°

Reggimento Artiglieria da

campagna.

Il 15 luglio 1915 è nomi-

nato Sottotenente di com-

plemento nell’Arma di

Artiglieria e viene assegna-

to al 3° Reggimento arti-

glieria da campagna di

Bologna mobilitato, per il

servizio di 1^ nomina.

Il 1° novembre dello stes-

so anno è destinato con il

Reggimento al fronte.

Transitato il 1° maggio

1916 in servizio permanen-

te effettivo «per merito di

guerra», nell’ottobre seguente ottiene una Medaglia d’Argento al Valor Militare «sul

campo» per il complesso delle attività di combattimento nella zona di Lucinico-

Gorizia ed il 18 marzo 1917 consegue la promozione al grado di Tenente. Sarà il

primo Ufficiale di Artiglieria a entrare in Gorizia alla testa della sua Batteria.

Terminate le operazioni della Prima guerra mondiale, viene destinato al 13°

Reggimento artiglieria da campagna di Roma e comandato presso il Ministero

della Guerra.

Nel 1934 viene assegnato al 1° Reggimento Artiglieria da campagna ippotrainato

di Foligno, dove rimarrà fino al compimento delle operazioni sul Fronte Occidentale

(1940).

Rientrato in sede, assume il comando del XLIII gruppo di artiglieria contraerei

Skoda, armato con modernissimi cannoni telecomandati asserviti a centrale di tiro

Skoda.

In attesa di partire per l’Africa Settentrionale, assume l’incarico di Comandante

della Difesa contraerei della Capitale.

Il 23 gennaio del 1941 si imbarca a Napoli con uomini e mezzi per la Libia.

Promosso Colonnello, prende parte alle operazioni sulla frontiera libico-egiziana e

comanderà in successione le difese di Tripoli, Bengasi, Tobruk e Marsa Matruk.

A Bengasi gli viene conferita una medaglia d’Argento al V.M. per l’abbattimento

del centesimo aereo nemico.

Il 10 dicembre 1941 diviene Comandante del 2° Reggimento Artiglieria Contraerei

e partecipa al ciclo operativo in Libia per l’avanzata su El Alamein.

Il 1° novembre 1942 è nominato Comandante del Reggimento Speciale Contraerei

e costiero mobilitato, con cui prende parte alle operazioni, inizialmente su Marsa

Matruk, dove gli viene conferita una Croce di Guerra al V.M. «sul campo» e succes-

sivamente alla ritirata fino in Tunisia.

Il 1° marzo 1943 assume il Comando del 30° Reggimento, alle dirette dipendenze

della 1^ Armata del Maresciallo Messe.

Il Reggimento, particolarmente rinforzato in uomini e mezzi, sosterrà al fianco dei

resti delle Divisioni, il fronte dal 21 marzo al 21 maggio 1943, data in cui, rifiutata

l’offerta di rientrare in Patria, per mantenere la promessa fatta ai suoi soldati, verrà

catturato dagli Alleati e trasferito in prigionia negli Stati Uniti.