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Riassunti del testo "Manuale di Comunicazione Pubblica" di Paolo Mancini Paolo Mancini - Manuale di comunicazione pubblica 1. La pubblicità: storia ed evoluzione di un concetto 1. Il luogo della pubblicità: la società civile I concetti di "società civile", "comunicazione pubblica" e "pubblicità" sono strettamente connessi. Il loro avvento è riconducibile al processo di differenziazione sociale che accompagna la nascita delle moderne democrazie. La differenziazione nasce con lo smembramento del potere assoluto e la teorizzazione della divisione dei poteri proposta da Montesquieu (1748). La democrazia si configura come un assetto dei poteri, istituzionali o meno, che rappresentano gli interessi di nuovi ceti che si sviluppano nel corpo sociale. E mentre il potere assoluto si serviva del segreto e dell'assenza di comunicazione per preservare la propria indivisibilità e incontrollabilità, la differenziazione dei poteri introduce il criterio della trasparenza, indispensabile al controllo reciproco. Il concetto di "società civile" è molto controverso. Tutte le interpretazioni prendono il via dal pensiero di Aristotele. E già qui si possono individuare due idee dello stato: lo stato come continuazione della società famigliare lo stato come antitesi della vita di natura, in cui gli individui agiscono liberi ed uguali. Molti individuano nella polis aristotelica i caratteri della società civile: una comunità di cittadini che è una sorta di corpo intermedio tra la famiglia e lo stato. Nella polis i rapporti tra i cittadini erano regolati dalla persuasione, uno scambio di opinioni in merito alla vita pubblica e alle decisioni da prendere per la comunità. C'è quindi un evidente bisogno di strutture e circuiti di comunicazione. Con l'illuminismo e il pensiero liberale, due sono le interpretazioni secondo le quali si sviluppa l'idea di società civile: la società civile in opposizione allo stato di natura Hobbes (1640) teorizza tra i primi l'esistenza di uno "stato di natura", in cui ciascuno vive secondo i propri desideri ed esigenze: una condizione di potenziale guerra di ogni uomo contro ogni uomo. In comunità, invece, l'individuo rinuncia a questo diritto naturale e demanda ad altri il compito di regolare le controversie e di assicurare la difesa di tutti. Nasce per contratto un'istituzione politica. La società civile è il frutto di questo contratto che lega gli uomini di una comunità al sovrano o al governo aristocratico. Tipico di questa visione è il "pessimismo" relativo allo stato di natura, che rende necessaria la coercizione e l'uso della forza per consentire all'uomo di vivere in comunità. Hobbes è infatti spesso considerato un teorico del potere assoluto, e critica aspramente la democrazia, il cui ricorso alla retorica della discussione paralizzerebbe l'attività di governo. Per Locke (1680) l'esigenza di una "comunità politica" nasce, più che dal rischio di conflitto, dall'esigenza di proteggere la proprietà individuale. Egli identifica la società civile come l'organizzazione della comunità dei cittadini, che si costituisce in stato. E però, rispetto ad Hobbes, egli sostiene che anche il sovrano deve sottostare alle leggi della comunità, e decentrare alcune delle sue funzioni ad altri organi collettivi (Senato e Parlamento).

Comunicazione Pubblica

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Riassunto del manuale di Paolo Mancini

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Riassunti del testo "Manuale di Comunicazione Pubblica" di Paolo Mancini

Paolo Mancini - Manuale di comunicazione pubblica

1. La pubblicità: storia ed evoluzione di un concetto

1. Il luogo della pubblicità: la società civile

I concetti di "società civile", "comunicazione pubblica" e "pubblicità" sono strettamente connessi. Il loro avvento è riconducibile al processo di differenziazione sociale che accompagna la nascita delle moderne democrazie.

La differenziazione nasce con lo smembramento del potere assoluto e la teorizzazione della divisione dei poteri proposta da Montesquieu (1748). La democrazia si configura come un assetto dei poteri, istituzionali o meno, che rappresentano gli interessi di nuovi ceti che si sviluppano nel corpo sociale.

E mentre il potere assoluto si serviva del segreto e dell'assenza di comunicazione per preservare la propria indivisibilità e incontrollabilità, la differenziazione dei poteri introduce il criterio della trasparenza, indispensabile al controllo reciproco.

Il concetto di "società civile" è molto controverso. Tutte le interpretazioni prendono il via dal pensiero di Aristotele. E già qui si possono individuare due idee dello stato:

• lo stato come continuazione della società famigliare• lo stato come antitesi della vita di natura, in cui gli individui agiscono liberi ed uguali.

Molti individuano nella polis aristotelica i caratteri della società civile: una comunità di cittadini che è una sorta di corpo intermedio tra la famiglia e lo stato. Nella polis i rapporti tra i cittadini erano regolati dalla persuasione, uno scambio di opinioni in merito alla vita pubblica e alle decisioni da prendere per la comunità. C'è quindi un evidente bisogno di strutture e circuiti di comunicazione.

Con l'illuminismo e il pensiero liberale, due sono le interpretazioni secondo le quali si sviluppa l'idea di società civile:

• la società civile in opposizione allo stato di naturaHobbes (1640) teorizza tra i primi l'esistenza di uno "stato di natura", in cui ciascuno vive secondo i propri desideri ed esigenze: una condizione di potenziale guerra di ogni uomo contro ogni uomo. In comunità, invece, l'individuo rinuncia a questo diritto naturale e demanda ad altri il compito di regolare le controversie e di assicurare la difesa di tutti. Nasce per contratto un'istituzione politica. La società civile è il frutto di questo contratto che lega gli uomini di una comunità al sovrano o al governo aristocratico.

Tipico di questa visione è il "pessimismo" relativo allo stato di natura, che rende necessaria la coercizione e l'uso della forza per consentire all'uomo di vivere in comunità. Hobbes è infatti spesso considerato un teorico del potere assoluto, e critica aspramente la democrazia, il cui ricorso alla retorica della discussione paralizzerebbe l'attività di governo.

Per Locke (1680) l'esigenza di una "comunità politica" nasce, più che dal rischio di conflitto, dall'esigenza di proteggere la proprietà individuale. Egli identifica la società civile come l'organizzazione della comunità dei cittadini, che si costituisce in stato. E però, rispetto ad Hobbes, egli sostiene che anche il sovrano deve sottostare alle leggi della comunità, e decentrare alcune delle sue funzioni ad altri organi collettivi (Senato e Parlamento).

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Locke inoltre introduce il concetto di "opinione pubblica": all'interno della società civile ci potranno essere orientamenti diversi, in conflitto tra loro. Gli individui saranno quindi in grado di discutere tra loro e affidare ad una autorità superiore l'incarico di dirimere le dispute.

Per gli illuministi scozzesi (Ferguson, Smith, Hutchenson), la società civile ha un carattere più consensuale e discorsivo, è il frutto di un'esigenza naturale dell'uomo a riunirsi in comunità. E' ancora frutto della differenziazione sociale e in contrapposizione allo stato di natura, ma è anche una forma di associazione di livello morale superiore.

Anche per Rousseau (1762) la società civile è opposta allo stato di natura. Egli però considera quest'ultimo come uno stato di armonia, successivamente degradato dall'introduzione della proprietà e delle leggi. La società civile è il frutto di un processo di mutamento che ha un'accezione negativa. Essa non si incarna con lo stato e la società politica, che invece nasce da un contratto sociale per la difesa degli interessi comuni di tutti i cittadini.

Con Edmund Burke, il pensiero liberale esce allo scoperto: lo stato democratico, con la sua divisione dei poteri, si identifica con la società civile, e rappresenta lo stato più avanzato di società. In esso l'individuo cede parti della propria autonomia per godere di tutti i vantaggi della "condizione civile".

• la società civile in opposizione allo statoIn Hegel, la società civile si afferma come comunità di cittadini, di abitanti del borgo. Sono le esigenze della nascente classe borghese che si materializzano, e si pongono subito in opposizione con lo stato. E' il concetto di società civile che giungerà fino ai nostri giorni.

Nella società civile hegeliana prevale il particolarismo, il desiderio degli individui di soddisfare i propri interessi, unito però ad uno spirito di mutua collaborazione. Nello stato invece si identificano gli interessi generali, l'universalità.

La società civile per Hegel non ha comunque solo funzioni puramente economiche, ma anche educative e di solidarietà (funzioni che poi verranno prese in carico dallo "stato sociale"). E' uno spazio in cui i cittadini-borghesi interagiscono sia per soddisfare i propri bisogni ed interessi economici, sia per raggiungere un migliore standard di vita. Lo stato esplica invece quelle funzioni superiori legislative e di assistenza non consentite dal conflitto di interessi presente nella società civile.

Thomas Paine, uno dei pensatori liberali più radicali (1766), esalta ulteriormente il ruolo della società civile come dimensione dell'individualismo e delle relazioni economiche tra cittadini, in contrapposizione allo stato.

Egli inoltre ritiene che l'uomo abbia una naturale predisposizione alla socialità, che garantirebbe la pacifica convivenza e renderebbe quasi superflua la formazione di uno stato, considerato un entità estranea, dannosa se non nemica.

Con Benjamin Constant giunge a compimento il disegno di una società incentrata sulla libertà individuale, il cui fine è la difesa della proprietà. La comunità degli individui non può essere schiacciata dall'autorità, pur riconosciuta. Anche per lui l'educazione deve essere lasciata ai privati, e l'indipendenza individuale non potrà mai essere sottomessa neanche alla volontà di una maggioranza espressa da un sistema rappresentativo.

L'odierna idea di società civile risente di tutti questi contenuti, e rappresenta l'elaborazione principalmente delle idee di Hegel. Bobbio ne individua tre accezioni differenti:1. la società civile si identifica con tutto ciò che viene prima dello stato, forme di associazione

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che gli individui creano per difendere i propri interessi. E' una rete complessa di interazioni organizzative che collega i membri di una società tra di loro allo scopo di fornire servizi (educativi, di solidarietà, ecc.), e precede temporalmente la formazione dello stato.

2. la società civile è il luogo in cui si formano opinioni e mutamenti innovativi che non trovano spazio nelle istituzioni e nelle organizzazioni consolidate. In questa sfera prendono corpo quelle idee e sentimenti che costituiscono la cosiddetta "opinione pubblica", e che spesso vengono poi fatti propri dallo stato e dai suoi apparati. La società civile è quindi tutto ciò che è "fuori dallo stato" (in senso spaziale). Secondo alcune interpretazioni, tra la comunità dei cittadini e lo stato agiscono organi di raccordo che costituiscono la "società politica" (ad es. i partiti) e si incaricano di trasferire allo stato le esigenze della società civile.

3. La società civile come l'ideale gramsciano di una società senza stato destinata ad imporsi nel momento della disfatta del potere politico. E' il complesso della vita spirituale ed intellettuale che rimane nel momento in cui lo stato scompare. E' un'idea vicina alle organizzazioni della sinistra.

2. L'espressione della società civile: l'opinione pubblica

Dal momento che la società civile si distingue dallo stato, tra le due entità dovrà esistere un flusso comunicativo che consenta loro di dialogare, di trasmettere le volontà e richieste dei cittadini allo stato, e viceversa di informare gli stessi cittadini sulle decisioni assunte da quest'ultimo. Un flusso in entrata e in uscita, dunque, che costituisce il campo della comunicazione pubblica.

L'esigenza di questo flusso comunicativo era già stata messa in evidenza sia da Hegel che, in precedenza, da Kant. Nella filosofia illuministica e liberale, l'idea di verità è strettamente collegata alle pratiche di comunicazione. Conoscenza, trasparenza, pubblicità, opinione pubblica sono i termini carichi di valori positivi che formano lo spirito e gli ideali delle moderne democrazie liberali.

Nell'elaborazione del concetto di opinione pubblica, importante è il testo di Jurgen Habermas Storia e critica dell'opinione pubblica, in cui egli ne delinea l'evoluzione storica, un percorso a parabola che dalle prime deboli tracce vede il prorompere come elemento caratterizzante delle democrazie liberali, fino alla sua successiva scomparsa. Il punto più alto della parabola corrisponde all'affermarsi della cosiddetta "opinione pubblica critica", che Habermas considera il concetto fondamentale e da sostenere.

Alla base iniziale della parabola si trova la dizione "opinione" priva dell'aggettivo "pubblica". E' l'accezione che usa anche Locke, quando parla di una legge comune a tutti gli uomini che regola i comportamenti e la coesistenza. E' una legge innata, ed è di tipo "privatistico", in quanto deriva dall'accettazione di un contratto che lega il singolo cittadino con la comunità. C'è in questa nozione l'ambiguità del termine opinione, che indica sia il giudizio individuale che la considerazione che ciascuno può avere nei confronti della collettività.

L'accezione moderna di pubblica opinione si afferma piuttosto con i concetti di public spirit e di volontè generale.

Il primo concetto si sviluppa all'interno della nuova coscienza sociale dell'Inghilterra del 1700, all'interno dei circoli e dei ritrovi di una nuova classe borghese che, al di là dei propri affari, costruisce anche un pensiero e una filosofia politica. Da qui parte anche la richiesta di pubblicità dei dibattiti parlamentari. L'opinione pubblica comincia a prendere consistenza come strumento di controllo sul potere ed espressione della volontà comune.

Edmund Burke parla a questo proposito di public affairs, chiaramente distinti dalla sfera degli interessi privati.

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I fisiocratici (filosofi francesi) vanno ancora più in là, definendo i concetti di voluntas (il giudizio e la volontà degli illuminati, l'opinione pubblica) e ratio (la traduzione in legge di questa volontà, ad opera del potere costituito).

Per Rousseau, sempre legato allo stato di natura e scettico rispetto alla razionalità, l'opinione pubblica (intesa come frutto delle discussioni il più delle volte farraginose degli "illuminati") si deve distinguere dalla "volontà generale", che è il senso comune che nasce dal rapporto immediato e diretto con il "sentire" della comunità.

Questa dicotomia tra voluntas e ratio si risolve solo con la riflessione di Kant. Egli propone come fondamento dell'opera dei filosofi l'impegno verso la comunità, l'uso della ragione per raggiungere la convivenza universale e pacifica. In quest'ambito si situano le sue idee sulla pubblicità delle norme del diritto e dell'attività legislativa e politica.

Per Kant infatti la giustizia è legata indissolubilmente alla trasparenza dell'azione politica. Si tratta di un principio rivoluzionario (per il 1700) che influenzerà gran parte del successivo pensiero liberale, estendendosi dal diritto all'attività legislativa e all'idea stessa di democrazia.

Con Hegel si apre la fase di "crisi dell'opinione pubblica". Nel momento in cui si oppone non più allo stato di natura, ma allo stato "tout court", la società civile si colloca in una situazione di degrado e disordine. Mentre nello stato si afferma l'ordine e la legalità, nella società civile prevalgono i conflitti non regolamentati. E l'opinione pubblica, espressione della società civile, diventa un insieme di giudizi non argomentati, spesso preda del luogo comune e del pregiudizio.

Sulla scia di Hegel, John Stuart Mill e Toqueville, superata la fase di conquista delle libertà parlamentari, cominceranno a parlare di come difendersi dalla "tirannia della pubblica opinione".

3. La teoria dell'opinione pubblica in Habermas

Habermas sviluppa le ipotesi di Mill un secolo dopo, e si raccorda con il pensiero della scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse) nella critica alla società di massa e al "livellamento delle coscienze". L'opinione pubblica per lui è infatti un concetto elitario.

Egli ne delinea sostanzialmente tre modelli:• l'opinione pubblica borghese o critica:

si identifica con un periodo storico breve e ben determinato, in cui il ceto borghese si afferma e reclama, nei confronti del potere assoluto, nuovi spazi di libertà per le merci e per le idee. Il nuovo assetto economico che essi rivendicano assume una rilevanza pubblica, viene discusso, elaborato e imposto come nuovo ordine sociale che modifica i rapporti tra gli individui.

I borghesi riuniti in pubblico si contrappongono in modo netto al vecchio sistema di potere in tutti i suoi aspetti: culturali, sociali, ecc., e lo fanno tramite la pubblica argomentazione razionale. I circoli letterari ed i giornali sono i principali strumenti di questo dibattito.

Si tratta quindi di un'opinione pubblica elitaria, di piccoli gruppi di borghesi "illuminati". Quando questi gruppi tendono ad allargarsi, ad estendersi oltre le reti di rapporti interpersonali, finisce, secondo Habermas, l'opinione pubblica critica.

• l'opinione pubblica ricettiva:Le trasformazioni strutturali che influenzano sia le modalità di aggregazione degli individui che gli strumenti di comunicazione, producono l'avvento della cosiddetta "opinione pubblica ricettiva". La commercializzazione e la logica del profitto impongono l'impiego di strategie e professionisti della

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pubblicità. I mass-media tendono a privare i cittadini della loro capacità autonoma di elaborazione critica. La sfera pubblica diventa quindi "ricettiva", non elabora più idee e proposte, ma si limita a recepire passivamente quanto prodotto e veicolato dai mezzi di comunicazione di massa. L'argomentazione razionale viene meno.

Inoltre, tutte quelle attività di educazione, solidarietà, servizio, che erano proprie della società civile vengono prese in carico dallo stato e dalle sue organizzazioni (è lo stato sociale). I privati cittadini vengono sostituiti, in quanto soggetti attivi della sfera pubblica, dai gruppi organizzati (partiti, sindacati, ecc.)

• l'opinione quasi pubblica (la trasformazione nell'epoca dello stato sociale)Le organizzazioni surrogano la libera iniziativa dei singoli, e quindi nasce la cosiddetta "sfera quasi pubblica", in cui circolano "opinioni quasi pubbliche", che non soddisfano le condizioni di un dibattito pubblico in senso liberale, e spesso, pur essendo istituzionalmente autorizzate, non hanno più alcun rapporto con la massa non organizzata del pubblico.

Questo processo è visto da Habermas in chiave espressamente negativa (lo chiama "rifeudalizzazione"), anche in rapporto all'influenza che questa situazione può avere nei confronti della dinamicità e dell'innovazione in una società dominata dai mezzi di comunicazione di massa e dai centri di potere che li controllano.

E' indubbio però che i processi di differenziazione sociale, che da una parte hanno portato all'istituirsi dello stato sociale, dall'altra hanno condotto anche ad un arricchimento delle fonti e dei circuiti di comunicazione. Si è sviluppato sia un segmento verticale, finalizzato a fornire informazioni ai consumatori e a carpirne il consenso, sia uno orizzontale, tra gruppi ed elite, strutturalmente più debole, ma criticamente e razionalmente più ricco.

2. Pubblicità e Parlamento: gli albori

1. Le principali tappe di un rapporto conflittuale

Come si è detto, la comunicazione pubblica è nata con l'avvento della democrazia parlamentare e con il processo di differenziazione dei poteri, da cui la necessità di rendere pubblici i dibattiti.

All'inizio e fino quasi ai giorni nostri, l'informazione parlamentare è stata garantita dalla stampa. La storia del giornalismo è profondamente intrecciata con quella del Parlamento: entrambe sono prodotte dal nuovo assetto sociale proprio delle società industriali, in cui fondamentale è il principio della libertà individuale.

Ciononostante, i rapporti tra libertà di stampa e democrazia parlamentare sono spesso stati conflittuali.

Agli albori della democrazia, in Gran Bretagna, il parlamento contava esponenti del vecchio regime, preoccupati di porre dei limiti al diffondersi delle nuove idee liberali, di cui la stampa era la principale promotrice. Ed inoltre il Parlamento, nel tentativo di difendersi dalle intromissioni e pressioni del potere assoluto, inizialmente molto forti, tendeva a rinchiudersi su sé stesso, sbarrando la strada a qualunque occhio indiscreto, stampa compresa.

Nell'evoluzione storica della libertà di stampa in UK si possono individuare tre fasi: la prima vede la stampa in opposizione al sovrano assoluto, che tenta di sottoporla al controllo dell'esecutivo; la seconda vede il Parlamento che si sostituisce alla Corona come interlocutore, e la strategia di controllo si perpetua, anche se con un maggior grado di libertà e una più ampia legittimazione; la terza fase, quella della Costituzione Americana, sancisce il principio che la libertà di stampa non

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può essere limitata dal governo per nessun motivo: la libera circolazione delle idee è più importante dell'essenza del governo.

L'altalena del conflitto tra stampa e Parlamento continua in tutto il 17° e 18° secolo, fino a sancire il diritto definitivo a riportare al pubblico i resoconti dei lavori parlamentari (1771). Più tardi, e dopo la rivoluzione, anche in Francia si giunge allo stesso risultato.

In Italia, le prime idee liberali vengono importate da Napoleone, ma la storia della libertà di stampa in Italia ha caratteri peculiari. Il giornalismo italiano ha infatti radici letterarie ma anche politiche (Mazzini, Cavour, Cattaneo).

Lo Statuto Albertino (1848) riconosce in linea di principio la libertà di espressione e la libera concorrenza delle idee per promuovere lo sviluppo della società, ma d'altra parte istituisce anche norme restrittive sulla base di criteri di sicurezza dello stato.

In ogni caso il segreto, che all'inizio della storia delle democrazie circonda il Parlamento, viene progressivamente eroso dall'esigenza della nascente opinione pubblica di conoscere e controllare i lavori dell'assemblea rappresentativa. Un'esigenza che diventa sempre più pressante con l'avvento dei mezzi di comunicazione di massa. Dall'altra parte il Parlamento cerca di difendere la propria indipendenza dalle insidie rappresentate da un troppo invadente controllo dei gruppi sociali.

2. La pubblicità dei lavori del Parlamento nel pensiero inglese

Alcuni autori non si sono limitati ad esporre le proprie teorie filosofiche sul pensiero liberale, ma ne hanno anche fatto strumento di impegno e di lotta politica. In particolare, sul versante inglese: John Milton, Jeremy Bentham, John Stuart Mill e Walter Bagehot; sul versante francese: Francois Guizot, Victor de Riqueti Marquis de Mirabeau e Benjamin Constant. Tutti questi autori hanno scritto sulla libertà di stampa e i suoi rapporti con la democrazia.

Aeropagitica di John Milton è un chiaro esempio del conflitto tra istituzioni del potere assoluto e quelle della nascente democrazia rappresentativa. Milton scrive al Parlamento inglese protestando contro la censura e proclamando i motivi che giustificano ed impongono la libertà di stampa. Viene affermato il self righting principle: nel libero confronto delle idee si affermerà la verità , che non può essere fermata. Da qui l'inutilità di ogni censura. Aeropagitica è un inno alla diversità, alla necessità del libero confronto. E' da quest'opera che nasce l'idea del "libero mercato delle idee"nel quale, come nel mercato dei beni di consumo, si può trovare il prodotto culturale adatto ai propri bisogni. Si afferma perciò uno stretto intreccio tra libertà dei commerci e libertà delle idee che costituisce il nucleo centrale delle società democratiche.

Il self righting principle rifiuta in sé qualsiasi autorità che stabilisca cos'è il giusto e l'ingiusto, il buono e il cattivo. E' un principio di grande responsabilità individuale, che si porrà in antitesi non solo con l'ideologia del potere assoluto, ma anche in seguito con il marxismo.

Jeremy Bentham, con il suo An essay on Political Tactics (1843) si dedica ad analizzare tutti gli aspetti del concetto di pubblicità applicata ai lavori dell'assemblea legislativa. Fedele ai principi dell'utilitarismo, secondo cui la virtù consiste nel recare beneficio al maggior numero possibile di persone, Bentham elenca quattro motivi per giustificare la pubblicità:

• essa può spingere i membri dell'assemblea al loro dovere. L'opinione pubblica, come "tribunale incorruttibile", controlla i membri del parlamento e li spinge a comportarsi irreprensibilmente;

• aumenta la fiducia del popolo nei confronti delle assemblee: la trasparenza permette di vedere cosa producono, come lavorano e chi vi prende parte, promuovendo anche effetti educativi;

• consente agli elettori di scegliere con cognizione di causa, avendo visto all'opera i propri

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rappresentanti e raccogliendo quindi elementi di valutazione• permette ai membri delle assemblee di giovarsi delle idee, delle proposte e delle sollecitazioni di

chi sta al di fuori, della società civile, appunto.Bentham naturalmente individua anche dei rischi della pubblicità:

• data una certa distanza culturale che di solito è presente tra rappresentante e rappresentato, quest'ultimo spesso non è in grado di giudicare in modo corretto, e tende a sopravvalutare gli aspetti più superficiali delle questioni trattate. Ciò può influenzare anche il comportamento del rappresentante, che per farsi notare può assumere comportamenti tribunizi e retorici che nuociono al lavoro dell'assemblea;

• la pubblicità rende i parlamentari più vulnerabili nei confronti dei poteri ostili, che possono limitarne la libertà di giudizio e di scelta.

Bentham si dedica inoltre ad elencare tutti gli aspetti dei lavori parlamentari che devono essere resi pubblici, arrivando a rifiutare implicitamente il voto segreto: ogni decisione presa deve essere trasparente nelle motivazioni e nelle responsabilità. E tutto ciò è funzionale al ruolo fondamentale che egli assegna all'opinione pubblica, come giudice supremo del nuovo assetto istituzionale.

John Stuart Mill, così come Bentham, si trova a scrivere in un'epoca in cui la libertà di stampa non è più in questione. Egli quindi si concentra sull'approfondimento delle idee di Milton sulla libertà di pensiero, nella sua opera On Liberty (1859). Il punto principale è ancora una volta quello della libera circolazione delle opinioni, giuste o sbagliate che siano. Solo da questa libera circolazione di idee, infatti, e dal confronto tra di esse, potrà emergere la verità, e come tale potrà essere percepita come argomento razionale dotato di una propria legittimità.

Al termine del faticoso cammino del liberalismo, On Liberty offre sistemazione organica a quei principi che in quegli stessi anni danno vita al modello liberale del giornalismo. Quei principi che sono anche alla base del famoso First Amendment alla costituzione americana.

Un altro fattore originale del pensiero di Mill è la sua difesa della dimensione individuale, la frammentazione dei punti di vista che esclude la tirannia del pensiero maggioritario. C'è qui la consapevolezza di quella "tirannia della maggioranza" che può esprimersi non tanto attraverso l'autorità quanto come pressione psicologica della società sull'individuo, costretto a scegliere tra conformismo ed emarginazione. Per questo Mill si pone in contrasto con l'opinione pubblica "incorruttibile" di Bentham: la volontà del popolo, se non rispetta le singole opinioni, diventa strumento di oppressione.

Walter Bagehot, nel suo The English Constitution (1867) si dedica a descrivere l'ingegneria costituzionale inglese e le sue relazioni con i sentimenti e le percezioni della comunità. In particolare egli sottolinea le funzioni educativa ed informativa dell'assemblea, che stabiliscono relazioni simboliche con i cittadini. Queste funzioni vengono esaltate anche a scapito di quelle più ovvie, come la legislativa.

Bagehot vede il Parlamento come un'istituzione capace di far progredire e maturare un intero popolo. E questo comporta un flusso comunicativo costante tra l'assemblea e i cittadini, che non può essere affidato esclusivamente ai giornalisti (spesso di parte), ma deve essere prodotto direttamente e autonomamente dal Parlamento stesso. Si comincia quindi a delineare uno spazio della comunicazione pubblica in cui agiscono più soggetti, con diversi obiettivi.

3. Pubblicità e libertà di stampa nel pensiero francese

Tutti gli autori francesi si trovano ad agire e a scrivere in un periodo compreso tra il 1788 e il 1830, durante il quale la Francia vive l'esperienza della Rivoluzione e poi della Restaurazione. E una delle principali battaglie che si compiono tra poteri contrastanti è proprio quella sulla libertà di stampa. E

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i francesi sono molto più coinvolti rispetto agli inglesi, nelle vicende politiche: sono intellettuali che spesso pagano in prima persona il loro impegno concreto.

Mirabeau, membro dell'Assemblea Costituente, esercitò la sua azione allo scopo di far affermare legislativamente il principio di libertà di stampa, importando in Francia le idee di Milton.

Guizot, nella sua opera di storia dei governi rappresentativi in Europa, enumera le caratteristiche fondamentale di ogni sistema democratico:

• la discussione che obbliga i poteri a ricercare in comune la verità;• la pubblicità, che pone i poteri sotto gli occhi dei cittadini;• la libertà di stampa, che può stimolare i cittadini a ricercare essi stessi la verità e a comunicarla

al potere. In queste affermazioni c'è la sintesi di tutte le idee del liberalismo, da Milton a Kant a Bentham. Il concetto della ricerca della verità è centrale, e anche la libertà di stampa è intesa in questo senso come strumento della collettività per comunicare con il potere ed esprimere la propria opinione. Il flusso comunicativo in entrata e in uscita diventa l'essenza del regime rappresentativo.

Benjamin Constant è conosciuto come uno dei principali teorizzatori e sostenitori francesi del principio della libertà individuale. Questo principio è il bene supremo, nulla lo può sacrificare o limitare. In questo quadro lo stato è visto più come un ostacolo alla libertà degli individui, che devono essere in grado di organizzare da soli alcune funzioni sociali, quale quella dell'educazione. Per Constant, caratteristica della modernità "liberale" è l'attivismo della società civile che si impegna a soddisfare i bisogni delle singole individualità e dei gruppi che la compongono.

L'applicazione di questi principi ha trovato la sua pienezza in quei paesi, come gli Stati Uniti, che hanno mantenuto alcune funzioni sociali (come quella educativa, o il controllo dei mezzi di comunicazione di massa) nella mani dei privati cittadini, in contrapposizione a quei contesti che hanno subito l'evoluzione dello stato sociale.

Anche per Constant naturalmente la libertà di stampa è essenziale, soprattutto per dare voce alla nuova "classe media" borghese, ma anche come arena della discussione pubblica, luogo in cui i cittadini e le loro organizzazioni si confrontano e dialogano.

4. Tocqueville: democrazia, associazionismo civile e comunicazione

L'opera più famosa di Alexis de Tocqueville, De la Democratie en Amerique (1835-40), discute degli Stati Uniti, verificando i vantaggi e i limiti di molte conquiste (democrazia, libertà di opinione e di stampa, ecc.) per cui in Europa si sta ancora lottando. Egli è uno strenuo ammiratore della democrazia statunitense, ma è anche critico nei confronti di quello che considera il suo maggior difetto: la tirannia della maggioranza.

La cosa che per Tocqueville caratterizza però maggiormente la società americana è la tendenza degli individui ad associarsi per affrontare e risolvere i problemi comuni. Negli Stati Uniti sembra aver preso corpo la struttura ideale della società civile. Sono presenti due tipi di associazioni: quelle "civili", che hanno obiettivi specifici e limitati, e quelle "politiche", che si prefiggono il governo dell'intera comunità. Tra i due associazionismi si stabiliscono rapporti diretti e bidirezionali. E la tradizione dell'associazionismo rende i cittadini più responsabili nei confronti della comunità e ne ottimizza la gestione.

La società americana odierna, come alcuni studi evidenziano, soffrirebbe proprio di una regressione nella diffusione delle associazioni civili, che produce minore partecipazione e indebolisce la democrazia.

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La diffusione dell'associazionismo negli USA ha portato naturalmente anche ad una grande espansione della comunicazione e quindi della stampa come strumento di informazione: la partecipazione a queste strutture della vita civile implica infatti dialogo, scambio di idee all'interno della comunità, e il giornale è lo strumento ideale.

Tocqueville infine sottolinea la dedizione, la modestia e la disponibilità dei funzionari pubblici statunitensi, paragonata all'atteggiamento prevaricatore e autoreferenziale di quelli europei. In questo egli si fa precursore dei tentativi, in tempi molto più recenti, di migliorare e rendere più efficiente il rapporto tra amministrazione pubblica e cittadini.

3. Pubblicità e comunicazione pubblica oggi

1. Processi di differenziazione sociale e sviluppo dello stato sociale

La democrazia presuppone come suo elemento costitutivo la pubblicità, sia delle istituzioni parlamentari che di tutte quelle altre istituzioni che compongono l'odierno stato sociale. E queste istituzioni sempre più spesso divengono parte attiva della comunicazione, anche in competizione con la tradizionale informazione giornalistica.

La comparsa e l'affermazione odierna del campo della comunicazione pubblica sembra avere tre diverse radici:

• l'ampliamento dei compiti dello stato• l'aumento della consapevolezza dei propri diritti da parte dei cittadini• la nuova struttura dell'arena pubblica

Habermas ha coniato l'espressione state-ification of society proprio per indicare il processo di riappropriazione da parte dello stato di alcune funzioni prima svolte dalla società civile. Per lui questo processo ha una valenza negativa, negando gli spazi autonomi e legati alla libera iniziativa dei cittadini in favore di un accentramento di poteri nello stato.

Per la teoria della differenziazione sociale, invece, questo processo è semplicemente frutto della crescente complessità e specializzazione della società, che crea la nascita e settorializzazione dei compiti di istituzioni pubbliche e private.

In ogni caso si tratta della trasformazione dello stato in welfare state, che si fa carico di un sempre maggior numero di funzioni (educazione, sanità, assistenza, ecc.)

Il termine di welfare state nasce in Gran Bretagna negli anni 40, nella sfera dello spirito di solidarietà dovuto alle privazioni della guerra. Ma le sue radici risalgono agli albori della società industriale, come reazione alla differenziazione sociale ed economica. Da una parte esso è legato alla nascita di associazioni di solidarietà tra cittadini, dall'altra alla presa in carico da parte del governo di funzioni di assistenza sociale (assicurazioni), di educazione (istruzione pubblica, diritto allo studio), anche di controllo delle comunicazioni di massa (servizio pubblico radio-tv).

Negli USA si sviluppa prevalentemente il fenomeno dell'associazionismo civile. Anche in Europa questo si sviluppa, ma spesso collegato all'attività degli organismi pubblici. Queste organizzazioni vengono indicate come settore non-profit, o intermediate organizations.

La duplice natura del welfare state si traduce in un'integrazione tra i due aspetti, mentre in tempi recenti spesso l'associazionismo civile ha supplito alle mancanze dello stato dovute alla crisi dello stato sociale. E dato che i servizi vengono forniti in regime di concorrenza, ciò ha accresciuto le esigenze di comunicazione.

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L'espansione del welfare state è sicuramente un'espressione dell'accresciuta complessità sociale. Per Luhmann, tale complessità è legata alla differenziazione sociale e all'eccedenza di possibilità rispetto a quanto ogni sistema è capace di attualizzare.

L'aumento della complessità incrementa il numero dei sottosistemi in cui una società si articola, e nello stesso tempo le funzioni di questi sottosistemi si specializzano e si differenziano sempre di più per rispondere alle esigenze di "pubblici" ben definiti. Questo provoca un sempre maggiore bisogno di scambi comunicativi, sia tra i diversi sottosistemi che tra questi e i cittadini. Ancora di più se ci si trova in una situazione di competizione tra proposte simili.

A questo proposito Luhmann fa notare che il sempre crescente flusso informativo crea una discrasia tra il mondo immaginato, teorico, e le possibilità concrete di una sua realizzazione. Si crea una frattura, spesso insanabile, tra le aspettative create dalla ricchezza delle immagini in circolazione e le possibilità reali di sperimentare personalmente quelle immagini.

2. I diritti di cittadinanza

La crescente domanda di informazione che si va diffondendo a tutti i livelli della società per molti è da correlare con l'affermazione del cosiddetto "diritto alla cittadinanza". Per Marshall, la cittadinanza contiene tre elementi: civile (diritti di libertà individuale), politico (diritto di partecipazione all'esercizio del potere), sociale (diritto al benessere e alla sicurezza economica, ecc.)

Anche i diversi diritti si sono imposti in modo distinto seguendo il processo di differenziazione sociale: quelli civili nel diciottesimo secolo, i politici nel diciannovesimo, i sociali nel ventesimo.

E' stabilita una in ogni caso la centralità del diritto all'informazione, senza la quale non si può affermare o difendere nessun altro diritto. In tempi recenti, superata la battaglia per la libertà di stampa, sembra prevalere più la domanda di essere informati che di informare. La libertà di espressione nelle democrazie occidentali è un dato ormai scontato, mentre la necessità di informazione deriva direttamente dall'accresciuta complessità sociale e dalle conseguenti esigenze comunicative specializzate.

Il diritto all'informazione, secondo Sciortino, comporta i tre aspetti della trasparenza (diritto ad essere informati sugli atti amministrativi), della razionalizzazione (diritto alla semplificazione ed economicità degli atti pubblici), dell'incremento della sociabilità (diritto ad essere informati sulle reali opportunità di vita del proprio ambiente, a cui ognuno deve poter partecipare con pari opportunità).

Si potrebbe affermare che l'accresciuta complessità sociale comporta un bisogno di "cittadini bene informati", che vogliono avere piena coscienza delle proprie azioni e quindi necessitano di dati adeguati. D'altra parte queste informazioni non vengono quasi più dall'esperienza diretta, ma sono sempre mediate da qualcuno (esperti, mezzi di comunicazione), e quindi devono essere sistematizzate e soprattutto credibili e legittimate.

L'aumentata percezione dei diritti di cittadinanza in anni recenti ha provocato anche una trasformazione del modo in cui viene percepita l'amministrazione pubblica: non più identificata con gli attori politici che agiscono al suo interno, ma piuttosto come struttura funzionale ed erogatrice di servizi specifici. All'amministrazione viene quindi richiesto di agire e comunicare in quanto tale.

3. La nuova arena dei media

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Anche i mezzi della comunicazione di massa possono essere analizzati nella prospettiva della teoria della differenziazione sociale. Ad un certo punto, nella vita delle società emerge un bisogno di comunicazione ed informazione che non può essere soddisfatto dalle istituzioni esistenti. A queste esigenza risponde il processo evolutivo dei mass-media, che assumono fisionomia di sistema autonomo, guadagnano indipendenza politica ed economica, sviluppano procedure e tecniche professionali, diventando fornitori di un prodotto definibile come "universale". E si mettono in relazione alle altre istituzioni fornendo loro un prodotto creato in vista di un uso il più possibile generalizzato.

Questa teoria ha però degli aspetti ambigui. Se è vero che il processo di differenziazione ha portato un minor livello di partigianeria dei mass-media, è anche vero che continua ad essere forte il legame con la politica. In alcuni casi addirittura la commercializzazione dell'informazione ha rafforzato la natura ideologica delle grandi corporazioni del sistema dei media.

Allo stesso tempo è indubbio che i mezzi di comunicazione di massa hanno subito una trasformazione da "canali" a "comunicatori", da semplici strumenti attraverso i quali altri attori sociali trasmettevano i propri messaggi a soggetti attivi di mutamento, capaci di influenzare anche i produttori dei messaggi che veicolano.

Blumler e Gurevitch ipotizzano che i rapporti tra stampa e politica si articolino su due dimensioni: quella dello scambio (la relazione è regolata dai vantaggi che ciascuno trae dall'interlocutore) e quella del conflitto (tra gli interessi che muovono i diversi soggetti, spesso inconciliabili). Spesso le due dimensioni si intrecciano e sono compresenti. Il modello che si sviluppa è quello dell'"arena pubblica" in cui i mass-media e la politica si confrontano e competono nell'agenda setting game, ovvero per affermare il proprio potere di agenda sulla discussione pubblica.

Una prospettiva differente è rappresentata da quegli autori che, sulla scia del pensiero di Habermas, interpretano la moderna sfera pubblica come il luogo in cui sistemi diversi (governo, partiti, sindacati, mass-media) si confrontano e discutono. Il servizio pubblico radiotelevisivo rappresenterebbe la realizzazione ideale di questo modello, offrendo la possibilità ai vari attori sociali di esporre il proprio punto di vista in maniera paritaria e indipendente dalle disponibilità economiche di ciascuno.

I media però non possono essere più concepiti come semplici canali, ma come attori dotati di proprie regole, obiettivi, strategie.

La comunicazione pubblica diventa allora quell'area dell'attività simbolica di una società in cui sistemi diversi interagiscono e competono per assicurarsi visibilità e per sostenere il proprio punto di vista su argomenti di interesse collettivo. Tale area è caratterizzata dall'azione del sistema dei mass-media (spazio pubblico "mediatizzato").

La comunicazione pubblica riguarda quindi argomenti di interesse collettivo: tutti quelli che riguardano le interazioni tra i sottosistemi sociali e quindi i valori culturali e politici di una comunità. Non si parla quindi di fini commerciali, anche se a volte la distinzione tra comunicazione pubblicitaria e comunicazione pubblica non è così evidente.

Ognuno dei sistemi sociali, in competizione nell'area, persegue i propri obiettivi istituzionali, di mobilitazione, propagandistici o altro. La competizione si gioca sulla selezione dei temi e l'imposizione dei formati più coerenti con la propria cultura e le proprie procedure di funzionamento. Ciò implica un processo di professionalizzazione dei soggetti coinvolti.

Habermas stigmatizza proprio questo processo di "scientifizzazione della politica", che provoca la

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decadenza dell'opinione pubblica a opinione manipolata dai mass-media e dal governo.

4. L'esplosione degli anni '80

E' a partire dagli anni ottanta che la comunicazione pubblica cambia in modo radicale. E' principalmente la struttura della sfera pubblica che si trasforma, con il passaggio dei mezzi di comunicazione di massa da "canali" a "comunicatori". Con il termine di "media logic" (Altheide e Snow) ci si comincia a riferire ad un modo di espressione che dalla radio e televisione tendeva ad allargarsi ad altri universi simbolici ed istituzioni, modificandone la natura e le modalità di funzionamento.

Le ragioni di questo mutamento sono di ordine sia quantitativo che qualitativo. Da una parte infatti c'è stato un enorme processo di sviluppo che ha coinvolto prima la stampa e poi la radio e la televisione, che negli anni 80 raggiunge le sue punte massime di espansione, grazie alla nascita della TV commerciale e della grande distribuzione (che ha bisogno di spazi pubblicitari "di massa", appunto). E' proprio il mercato pubblicitario che fa da volano a tutto il sistema dei mass media, crescendo a ritmi vertiginosi per tutti gli 80, mentre a partire dai primi 90 subisce un netto calo.

D'altra parte, questa trasformazione produce anche effetti di tipo qualitativo: sotto la spinta commerciale, il monopolio pubblico del sistema radiotelevisivo viene scardinato a favore dei privati. Pilati individua tre diverse conseguenze di questa situazione:

• il flusso di informazione proveniente dalle aziende tende ad aumentare sempre di più, mentre quello proveniente dalle istituzioni pubbliche rimane stabile o cresce meno. Queste ultime sono quindi spinte ad incrementare la propria presenza comunicativa per non restare sommerse dai messaggi delle imprese industriali e commerciali;

• aumentano enormemente i produttori (tv, radio, giornali, aziende pubblicitarie, ecc.), e quindi anche i prodotti a disposizione. La televisione inoltre tende sempre più a prevalere sugli altri mezzi, soprattutto sulla stampa;

• si accelerano i tempi del consumo culturale: l'industria culturale impone sempre nuove conoscenze che devono nascere e circolare in tempi brevi, i miti e le mode abbreviano la propria esistenza;

• Nello stesso tempo tutto il settore dei media vede un forte sviluppo anche occupazionale e di professionalità.

Lo stato e le organizzazioni dell'associazionismo civile, i sindacati, i partiti, le organizzazioni con funzioni sociali rilevanti si trovano improvvisamente a farsi concorrenza tra di loro nell'arena della comunicazione pubblica. La presenza sui circuiti comunicativi non è più assicurata, e il potere di selezione e manipolazione è passato nelle mani dell'industria dei media. Nasce allora l'esigenza di dotarsi di propri strumenti comunicativi per assicurarsi la visibilità.

Lo sviluppo dei circuiti comunicativi avviene sia in orizzontale (nei confronti delle altre istituzioni, per affermare la propria identità e controllare gli altri) sia in verticale (nei confronti dei cittadini, fruitori dei servizi o dei messaggi offerti).

Negli anni 90 si verifica un ulteriore mutamento nell'arena dei mass-media: quello indotto dalle innovazioni tecnologiche introdotte dall'informatica, quindi la digitalizzazione e l'interattività. Per la comunicazione pubblica, grazie a Internet, cambiano le modalità di accesso alle informazioni e anche di partecipazione alla vita della comunità. Nascono e si sviluppano le prime iniziative di e-government, che permettono ai cittadini di accedere ai servizi e di essere interpellati direttamente. Ciò pone il problema del ruolo di quegli interlocutori intermedi (i giornalisti in primis) che rischiano di diventare superflui.

5. Luhmann e i temi della comunicazione

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Luhmann, pur agganciandosi alle idee di Habermas, ne propone il superamento cercando di ridefinire il concetto di opinione pubblica in senso funzionale più che politico.

Egli parte dalla critica dell'idea liberale della funzione di controllo dell'opinione pubblica nei confronti del potere dello stato, concetto squisitamente politico. Considerato che, nella modernità, questo stesso concetto è diventato dubbio, se non inesistente, egli si concentra sulle relazioni esistenti tra i diversi soggetti presenti all'interno delle moderne democrazie. L'opinione pubblica diventa allora uno strumento di selezione dei temi della discussione pubblica. Questi temi, detti "temi di opinione", sono insiemi complessi di significati, di rilevanza generale e non finalizzati al profitto, su cui si concentrano opinioni anche diverse tra loro, e che diventano oggetto di una discussione pubblica.

Luhmann, sulla scia di Habermas, ha a cuore sia la dimensione dell'interattività propria degli ambiti ristretti di comunicazione, sia la distinzione tra "informazione" e "opinione", che deve essere mantenuta se si vogliono evitare rischi di manipolazione.

Egli inoltre distingue tra attention rules e decision rules: le prime si riferiscono ai veri e propri temi, che si impongono all'attenzione pubblica, anche grazie ai mass-media, e vengono analizzati e discussi; le seconde riguardano la politica, che deve prendere in considerazione questi temi e assumere su di essi le necessarie decisioni. Al mondo della comunicazione e a quello della politica vengono così assegnati due ambiti funzionali distinti ma reciprocamente necessari.

La pubblicità, per Luhmann, implica anche la ridefinizione dei ruoli degli attori socialmente impegnati: chi agisce all'interno di un sottosistema non potrà tener conto solo dei parametri e delle attese del proprio ambito, ma anche dei rapporti e interazioni stabilite con gli altri sottosistemi. Con la comunicazione si crea uno spazio aperto e interattivo che non consente separatezza e segreto.

Prendendo spunto dalle considerazioni di Luhmann, altri studiosi hanno sviluppato il concetto di tematizzazione come capacità propria dei mass-media di imporre agli altri sottosistemi sociali gli argomenti di discussione e confronto.

Innanzitutto la tematizzazione implica approfondimento: un argomento si impone all'intera comunità solo se è suscettibile di essere sviscerato nei suoi diversi aspetti e contenuti, e consente l'articolazione dei diversi punti di vista. Inoltre implica selezione: ogni comunità può affrontare solo alcuni argomenti alla volta, e questo vuol dire che qualcuno deve "scremare" i temi e anche le occasioni di discussione. Sostanzialmente due sono i soggetti che hanno questo potere: i mass-media e i partiti, con i primi che però sono in una posizione privilegiata perché anche se non sono all'origine del tema, possono aumentare o diminuire l'attenzione su di esso a piacimento.

Ogni società moderna è perciò caratterizzata da un'interazione-competizione tra media e politica. E perchè questa relazione funzioni, è indispensabile che i due sistemi siano autonomi reciprocamente.

6. Deutsch e i "nervi del potere"

Karl Deustch, politologo statunitense, scrive nel 1963 The Nerves of Government, dedicato allo studio dei rapporti comunicativi tra l'opinione pubblica e il potere dello stato o del governo. Partendo dalle basi teoriche della cibernetica, Deutsch cerca di definire il funzionamento di questo processo comunicativo.

Dato che uno dei principi della cibernetica è quello per cui "tutte le organizzazioni sono simili per alcune caratteristiche comuni e sono tenute insieme dalla comunicazione", Deustch ritiene che si

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presti ad interpretare anche il rapporto tra governo e cittadini. Inoltre, egli afferma che l'attività principale del governo sia quella di prendere decisioni, e tale attività dipende anch'essa dalla comunicazione.

E' quindi necessario che la comunità nel suo insieme abbia dei "nervi", ovvero una rete di fibre in grado di trasmettere informazioni dal centro alla periferia e viceversa. Questa rete ha tra funzioni:

• sensoriale, per permettere alla comunità di essere informata sul mondo esterno• di memoria, perché la comunità abbia coscienza del proprio passato• interna, perché la comunità abbia informazioni su sé stessa.

Deutsch attribuisce molta importanza alla memoria, alla valutazione delle esperienze passate per prendere decisioni sul futuro, cosa che molto spesso non viene sfruttata come dovrebbe. Allo stesso tempo egli giudica fondamentale avere informazioni sullo stato della propria organizzazione interna, senza le quali le decisioni rischiano di rimanere inoperative. E qui è importante il ruolo delle organizzazioni intermedie, senza le quali i flussi comunicativi tra il vertice e la base possono interrompersi. Gioca inoltre un ruolo importante la dimensione temporale del momento decisionale: le cose vanno fatte nel momento giusto, e si deve tener conto anche del ritardo della reazione del sistema.

Si tratta quindi di un modello che paragona la comunità ad un organismo, in cui è indispensabile un continuo e corretto flusso di informazioni. E' un approccio meccanicistico, ma che ha il merito di mettere in evidenza l'importanza dei processi di comunicazione e feedback che devono collegare governo e cittadini.

4. Il dizionario della comunicazione pubblica

1. Tipologie della comunicazione pubblica

I mutamenti sociali hanno spinto tutte le organizzazioni che intervengono su argomenti di interesse generale, ad una sempre più accentuata attività di comunicazione pubblica. Tutte queste istituzioni hanno subito un mutamento, i cui principali aspetti sono:

• specializzazione delle funzioni, che ha comportato la nascita di un sistema competitivo e di reciproco controllo;

• assunzione e/o rafforzamento di identità simboliche settoriali. Nell'ambito della competizione, ogni istituzione ha sentito il bisogno di affermare il proprio campo di intervento e l'efficacia della propria azione, promuovendo una propria "immagine", non necessariamente legata alla politica;

• professionalizzazione delle competenze. La Legge 150 che istituisce la figura del comunicatore pubblico ne è un esempio.

La comunicazione pubblica svolge, in generale, compiti di integrazione, che può essere:• funzionale: contribuisce a determinare il campo funzionale dell'istituzione, distinguendola ed

integrandola con le altre (orizzontale) e collegandola con i possibili fruitori dei prodotti e servizi (verticale);

• simbolica: mira a rafforzare l'identità dell'istituzione e a veicolarne i valori caratterizzanti. E qui la comunicazione interviene anche su argomenti controversi, determinando l'agenda della discussione pubblica dell'intera comunità. E' il caso della comunicazione politica.

Una seconda tassonomia è quella che si costruisce a partire dagli oggetti della comunicazione:• comunicazione dell'istituzione pubblica: è prodotta dalle istituzioni allo scopo di far conoscere le

proprie attività e funzioni, sostenerne l'identità e il punto di vista;• comunicazione politica: proveniente dalle istituzioni pubbliche e dai partiti, su argomenti

controversi rispetto ai quali si esprime un determinato punto di vista;• comunicazione sociale: proveniente da istituzioni pubbliche, semipubbliche o private, incentrata

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su problematiche di interesse generale relativamente controverse.2. Comunicazione funzionale e di integrazione simbolica: un modo più appropriato di distinguere informazione e comunicazione

Uno dei temi fondamentali da affrontare è quello della distinzione tra informazione e comunicazione. Secondo Luhmann, per comunicazione si deve intendere l'insieme di tre attività: 1. Informazione: implica la selettività dell'informazione: quando si comunica si opera sempre una

scelta, includendo alcuni elementi ed escludendone altri;2. atto del comunicare: la selezione di quali obiettivi, quali mezzi, quali modalità di interazione3. comprensione: attesa e verifica del successo della comunicazione rispetto agli obiettivi dati.In quest'ottica, una distinzione tra informazione e comunicazione è difficile: la comunicazione prevede infatti sempre un'attività informativa e questa, a sua volta, richiede una corretta comprensione. I comunicatori devono considerare il processo nella sua interezza.

Proprio per questo è più utile adottare la distinzione tra comunicazione funzionale e di integrazione simbolica.

La comunicazione funzionale comprende le attività, che possono anche essere previste da specifiche norme (comunicazione normativa), volte a rendere nota l'attività dell'ente promotore e migliorare il rapporto con i cittadini e il livello dei servizi. La tendenza recente, a seguito dell'incremento della complessità sociale, è verso una sempre maggiore adozione di canali e strumenti specializzati. L'identità amministrativa delle istituzioni (vedi il Parlamento) ha preso a distinguersi da quella politica.

Si è così arrivati ad una completa revisione degli strumenti informativi tradizionali, e al coinvolgimento di competenze professionali esterne specializzate. Perso il proprio territorio sicuro, che consentiva la veicolazione dei propri messaggi, le amministrazioni entrano in competizione con tutti gli altri soggetti della sfera pubblica, e sono costrette ad adottare strategie non più casuali, ma attentamente programmate anche solamente per i messaggi informativi. Viene posta particolare attenzione al rinnovamento del linguaggio e alla scelta dei destinatari, nonché al "prodotto" vero e proprio: la qualità del servizio.

Tutte queste attività producono effetti sulla percezione esterna dell'amministrazione, e quindi determinano atteggiamenti e comportamenti conseguenti. Tuttavia è possibile che un'amministrazione debba ricorrere ad ulteriori iniziative all'unico scopo di migliorare la propria immagine nei confronti dei fruitori: è questa la comunicazione di integrazione simbolica.

Le "campagne", condotte attraverso diversi mezzi di comunicazione, sono lo strumento principale di questo tipo di attività. Una campagna di informazione/comunicazione costituisce l'insieme combinato ed organico di iniziative intraprese, in un tempo delimitato, attraverso diversi mezzi di comunicazione, per raggiungere un medesimo obiettivo informativo e/o comunicativo. Si tratta di una pratica strettamente collegata con i processi di mutamento sociale e con la promozione di idee, prodotti/servizi, sensibilità, percezioni, valori non ancora diffusi su larga scala e potenzialmente oggetto di resistenze.

3. Comunicazione autoprodotta ed eteroprodotta

Si può indicare come comunicazione autoprodotta quella che si identifica con le iniziative assunte e gestite direttamente dall'istituzione, mentre quella eteroprodotta corrisponde ai messaggi costruiti, gestiti e veicolati da soggetti esterni. E' evidente che nel primo caso l'istituzione ha il controllo della propria comunicazione, e spesso anche del modo in cui viene percepita. Nel secondo invece le percezioni sociali sono sotto il controllo dei soggetti esterni.

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Nella situazione di competitività che si è instaurata nella sfera della comunicazione, è aumentato anche il conflitto tra i due comunicazione autoprodotta ed eteroprodotta, e soprattutto è aumentata la quantità di quest'ultima, mettendo in difficoltà diverse istituzioni che vorrebbero avere il controllo della propria "immagine".

Nel caso delle istituzioni pubbliche, il maggior concorrente alla comunicazione autoprodotta viene dall'informazione giornalistica, che è in grado di influenzare notevolmente la percezione sociale.

Negli ultimi anni, ogni istituzione ha cercato quindi di "scavalcare" la mediazione eterodiretta del sistema dei media, per comunicare direttamente con il cittadino. Internet in questo senso ha messo a disposizione un potente mezzo di interazione.

I media inoltre devono far fronte ad una sempre maggiore professionalizzazione del settore "pubbliche relazioni" delle istituzioni pubbliche, che cerca in ogni modo di influenzare la copertura giornalistica, minando a volte i principi della libertà di stampa (negli USA...)

In ogni caso diventa fondamentale per le istituzioni conoscere come essa è percepita all'esterno, quali bisogni informativi e comunicativi la riguardano. Altrimenti le iniziative autoprodotte possono non raggiungere gli obiettivi, o addirittura produrre un immagine "contraddittoria".

4. Comunicazione interna ed esterna

La comunicazione non può essere concepita come un'attività indipendente e distaccata dalla struttura organizzativa dell'istituzione. Le organizzazioni interne devono modificarsi e costituirsi anche in base alle esigenze comunicative. Ed è qui che si riscontrano le maggiori resistenze.

Le nuove strategie della comunicazione istituzionale comportano una sorta di rivoluzione culturale all'interno dell'ente pubblico, che deve riflettersi anche nella sua struttura organizzativa. Altrimenti le strategie di comunicazione esterna si manifesteranno come inutili sovrastrutture, perdendo la loro efficacia.

Fregoli, studioso della P.A., formula due modelli di comunicazione contrapposti:• autoreferenziale: tipico di un'istituzione chiusa verso l'esterno, non trasparente, con

un'organizzazione rigida finalizzata a soddisfare solo le esigenze interne;• della trasparenza: finalizzato a proiettare tutta l'organizzazione verso l'esterno, prevedendo canali

di comunicazione bidirezionali in grado di rispondere continuamente alle esigenze dei cittadini.E' molto importante quindi stabilire dei canali, soprattutto in entrata, che veicolino le esigenze esterne. Una volta effettuata una selezione, queste informazioni dovranno seguire un percorso ben definito, all'interno dell'organizzazione, fino a raggiungere l'operatore interessato. E questo evitando perdite di tempo e dispersione delle informazioni. La decisione presa poi sulla base di questi dati deve essere comunicata all'esterno, cercando di contemperare le esigenze comunicative con quelle informative.

5. Trasparenza e comunicazione

La comunicazione pubblica non comprende solo quelle attività che un'istituzione mette in atto per "proiettarsi verso l'esterno", ma anche il suo grado di "permeabilità", ovvero quanto essa è aperta e disponibile a fornire le informazioni sul proprio funzionamento e sui propri servizi che possono venire richieste dall'esterno. Ovvero la "trasparenza".

Giuridicamente la trasparenza si coniuga come "diritto all'informazione", ovvero ad avere accesso a

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tutte le informazioni e conoscenze che possono riguardare ciascun cittadino.

L'idea di pubblicità, nelle democrazie liberali, ha progressivamente sostituito l'ideologia del segreto, e il numero delle informazioni che lo stato può non pubblicare è drasticamente diminuito. Allo stesso tempo, è aumentata la consapevolezza sociale e sono cresciute le richieste di informazioni, sia da parte dei cittadini che dei media che delle istituzioni fra di loro.

La tendenza della burocrazia alla perpetuazione della cultura esistente, legata ai privilegi acquisiti e alla difesa dalle ingerenze esterne, ha però di fatto spesso impedito l'imporsi della trasparenza nella pratica quotidiana dell'amministrazione pubblica, a scapito degli interessi della comunità.

6. Mutamento sociale e modelli di comunicazione pubblica

Le forme della comunicazione pubblica sono strettamente legate all'evoluzione della società. Un primo modello "storico" è quello della comunicazione in funzione propagandistica (fino ai primi anni 70): l'obiettivo era quello di dare una migliore immagine di sé stessi (il più delle volte non come istituzione, ma da parte di particolari soggetti all'interno di essa). In questa fase identità politica e amministrativa si confondevano, e non c'era concorrenza tra istituzioni né con in mass-media. Il compito di informare i cittadini circa l'operato di Parlamento e governo veniva preso in carico dai vari soggetti politici, che ovviamente perseguivano obiettivi di parte e usavano strategie in funzione persuasoria, non tenendo in alcun conto le esigenze del pubblico.

In una seconda fase (fino ai primi 90), inizia a svilupparsi una maggior coscienza del sistema di diritti/doveri che collega le istituzioni e i cittadini. Identità politica e amministrativa cominciano a differenziarsi. I cittadini cominciano a porre richieste di trasparenza e di informazione sulla P.A., e anche i media se ne occupano. Dalla parte dell'amministrazione la cultura del segreto continua a regnare incontrastata, e la comunicazione pubblica è intesa come unidirezionale, verso un cittadino percepito come recettore passivo. L'introduzione delle Regioni costituisce però un grande contributo di innovazione.

A partire dagli anni 90, si entra nella fase della "comunicazione bidirezionale": il cittadino è percepito come soggetto attivo, essenziale per la definizione dei compiti dell'istituzione. Si afferma la filosofia dell'ascolto, per cui le strategie di comunicazione hanno al centro le esigenze del cittadino. La pubblicità degli atti non è più intesa come concessione, ma come atto dovuto. Si distingue l'identità amministrativa da quella politica e cresce la consapevolezza dei diritti di cittadinanza. L'informazione in entrata è alla base di molte delle decisioni assunte, e si alza il livello di accessibilità esterna dell'istituzione.

Naturalmente quest'ultima fase è lontana dall'essersi realizzata completamente. Ci sono iniziative che vanno in questa direzione, ma permangono ritardi storici.

7. Il ritardo italiano

Non è facile isolare le cause del ritardo italiano nei confronti degli altri paesi europei sul tema della trasparenza e del diritto all'informazione.

La cultura del segreto, opposta alla cultura della trasparenza, è un dato storico che risale alla formazione dello stato italiano, alle traversie della nostra democrazia, al "familismo amorale", alla difficoltà di impiantare anche da noi una civic culture.

Anche l'istituzione delle Regioni, che al nord ha prodotto risultati positivi, al sud non ha funzionato, anche per il retaggio di uno sviluppo storico che è passato quasi esclusivamente attraverso un

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sistema "feudale", burocratico e assolutista, che ha costretto i cittadini in posizione di sudditanza, impedendo la nascita di quella rete di solidarietà che al nord ha dato luogo allo sviluppo di un maggior senso civico.

Questa concezione di stato non è del resto esclusiva del sud del paese. L'Italia si contraddistingue per la percezione dell'ambiente sociale come colmo di minacce e rischi, a cui si contrappone la sicurezza rappresentata dalla famiglia patriarcale. Gli Italiani hanno quindi poco orgoglio nazionale, e sono restii a riconoscere la necessità di prendere parte attiva alla vita della comunità.

Non c'è da stupirsi quindi che la comunicazione pubblica in Italia debba fronteggiare numerose difficoltà e ostacoli: la rigidità della burocrazia delle amministrazioni pubbliche si sposa benissimo con una cultura del segreto che accomuna la stessa burocrazia con una parte non indifferente della popolazione.

Anche il clientelismo che caratterizza la società italiana si contrappone alla cultura della trasparenza, dato che in questa prospettiva le informazioni di interesse generale circolerebbero solo attraverso circuiti di tipo interpersonale, rendendo superflui, anzi addirittura dannosi, quelli istituzionali accessibili a tutti.

Non ultimo si impone il problema dell'autonomia dei mezzi di comunicazione di massa: solo a partire dagli anni 80 il sistema dei media ha cominciato a rendersi indipendente e ad esercitare le funzioni di determinazione dell'agenda pubblica e di controllo e stimolo verso le altre istituzioni. Il processo è ancora in corso, e presenta ancora problemi e distorsioni che andrebbero risolte.

5. La comunicazione dell'istituzione pubblica in Italia

1. Il Parlamento nella "bufera" della visibilità

Il Parlamento è stato storicamente il primo organo su cui si sono esercitate le prime forme di comunicazione pubblica e di trasparenza. Ed è anche l'organo che più è entrato in crisi in tempi recenti. A causa infatti dell'allargamento della sfera pubblica ad una serie di soggetti in competizione tra di loro per conquistare la "scena", l'informazione parlamentare si è ridotta di importanza, così come del resto lo stesso ruolo del Parlamento.

E' indubbio infatti che in tutte le democrazie liberali occidentali il ruolo e la presenza pubblica del Parlamento sia stato messo progressivamente in crisi, soprattutto dalle mire di protagonismo del governo, che ha più mezzi e risorse per influenzare i mass-media.

Per ovviare a questa progressiva esclusione dalla sfera pubblica, in molti casi si è pensato di ricorrere alla ripresa dei lavori parlamentari attraverso un canale televisivo dedicato. Si tratta di un mezzo di comunicazione autoprodotta che si pensa possa contrastare l'immagine eteroprodotta, prevalentemente negativa, dell'assemblea.

Nonostante ciò , l'introduzione delle riprese televisive nelle Camere ha incontrato molte resistenze, riconducibili a quelle che secoli prima erano state avanzate contro l'ingresso della stampa: la protezione dei membri del parlamento contro l'invadenza del pubblico di massa e della tecnologia, la possibilità che i lavori vengano influenzati dalle riprese, ecc.. Alla fine però, la gran parte delle assemblee legislative occidentali ha permesso l'ingresso delle telecamere.

2. I problemi dell'informazione parlamentare in Italia

Anche in Italia si è dibattuto molto sul tema dell'informazione parlamentare, a partire dagli anni 70.

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In sostanza, si mette in evidenza che spesso l'immagine che viene trasmessa dei lavori parlamentari è imprecisa e superficiale, quindi negativa e distorta. Inoltre questa informazione viene ritenuta insufficiente e penalizzata rispetto a quella sui partiti, gli schieramenti politici, ecc.

In Italia, inoltre, l'informazione parlamentare è stata per molto tempo lasciata ai singoli partiti e uomini politici (legati ai giornalisti da una rete di rapporti preferenziali). In questo mondo l'identità amministrativa si è sovrapposta a quella politica, e si è imposta una dimensione persuasoria della comunicazione. Fino a poco tempo fa mancavano figure e momenti ufficiali di incontro tra giornalisti e uomini politici, o funzionari di governo. E l'informazione era garantita solo da un sistema giornalistico di "fiancheggiamento" più o meno esplicito nei confronti del ceto politico-istituzionale. Del resto la partigianeria politica del giornalismo italiano è un problema che si riflette su tutti gli aspetti della comunicazione pubblica.

Da notare anche il fenomeno del lobbismo, regolamentato in gran parte degli altri paesi ma non in Italia, che si sviluppa anche in ambienti giornalistici e riesce a svilupparsi in maniera più efficace anche grazie alla mancanza di procedure ufficiali standardizzate di comunicazione.

Per lungo tempo il Parlamento ha continuato a perdere centralità nella discussione pubblica, soprattutto a favore dell'esecutivo. Nello stesso tempo è aumentata la comunicazione eteroprodotta, che ha accelerato la perdita di controllo dell'istituzione sulla propria "immagine".

Solo negli ultimi anni il processo ha cominciato ad invertirsi: si è incrementata la comunicazione autoprodotta, si sono professionalizzati i funzionari, si è cominciato a differenziare l'identità amministrativa da quella politica. E' aumentata l'informazione normativa, sulle decisioni e sul calendario delle attività, ma si è anche promossa l'attività comunicativa in funzione dell'affermazione di un'identità funzionale e di integrazione simbolica.

Negli anni 90 sono stati creati tre uffici: l'ufficio pubblicazioni e relazioni con il pubblico, l'ufficio cerimoniale e l'ufficio stampa. Un contributo importante al tentativo di costruire un rapporto più diretto con i cittadini lo hanno sicuramente dato i siti web della Camera e del Senato.

3. Governo, amministrazione pubblica e comunicazione negli anni 70-80

All'aumento di importanza dell'esecutivo corrisponde una modifica delle sue strategie di comunicazione. L'aumento dei compiti e delle funzioni ha implicato il passaggio da una comunicazione di tipo persuasorio ad una comunicazione di pubblica utilità. La prima fase della Repubblica è ancora infatti dominata dalla logica della precedente esperienza totalitaria, per cui la comunicazione pubblica è concepita solo in forma politica, di rafforzamento del consenso.

Solo negli anni recenti la strategia cambia: alcuni tradizionali strumenti di comunicazione normativa rimangono inalterati, altri cambiano radicalmente anche sotto la spinta dell'innovazione tecnologica.

La prima tappa importante è quella della riforma della Presidenza del Consiglio del 1988 (Legge 400), che ha lo scopo di rafforzare il ruolo di coordinamento della presidenza attribuendole anche alcuni ruoli tecnici, tra cui quello della comunicazione. Viene così istituito il Dipartimento per l'informazione e l'editoria, che in seguito organizzerà varie campagne di pubblicità sociale e la rappresentanza italiana all'estero.

Un passo importante è stato compiuto nel 1987, con la Legge 67, sulle provvidenze per l'editoria. L'obiettivo era quello di indirizzare risorse verso la stampa scritta, spingendo l'amministrazione pubblica a investire in pubblicità. In questo modo si sarebbe dovuto aiutare la stampa a reggere la

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concorrenza della televisione, e nello stesso tempo si cercava di stimolare la produzione di comunicazione istituzionale volta a migliorare il rapporto con il cittadino.

La Legge 223 del 1990 (Legge Mammì) ha anch'essa cercato di indirizzare gli investimenti in pubblicità delle P.A. verso l'emittenza locale, ma senza grande successo.

Il processo di decentramento amministrativo cominciato negli anni 70, una tappa importante sulla strada della modernizzazione dello stato italiano, ha portato anche novità nelle forme e strategie della comunicazione. Molti organismi regionali infatti assumono la partecipazione dei cittadini come un elemento costitutivo del loro agire, inserendo meccanismi partecipativi nei loro statuti e in successive leggi. Il diritto all'informazione diventa pre-requisito essenziale per promuovere la partecipazione politica.

Nel 1990 viene poi approvata la Legge 142 sull'ordinamento delle autonomie locali, in cui un intero articolo è dedicato ai diritti di accesso e di informazione dei cittadini. Si stabilisce la pubblicità obbligatoria di ogni atto, così come l'attribuzione di responsabilità sui procedimenti amministrativi e il diritto di accesso per i cittadini, precorrendo la Legge 241.

4. I processi di modernizzazione della pubblica amministrazione nel decennio 1990-2000: la legge sulla trasparenza

La Legge 241 del 1990 per molti aspetti costituisce un caso di comunicazione normativa "passiva": ai cittadini è reso possibile conoscere, su richiesta, gli atti amministrativi che li riguardano. Essa afferma i principi di economicità, efficacia e pubblicità dell'attività amministrativa, e quindi sancisce in modo ufficiale la fine della logica del segreto in favore della trasparenza. Si tratta di un'affermazione di principio importante, al di là dell'applicazione non sempre agevole che ne è seguita.

I punti principali della legge sono:• l'individuazione di un responsabile incaricato di ogni procedimento amministrativo;• la semplificazione dell'azione amministrativa;• il riconoscimento del diritto all'accesso a chiunque vi abbia interesse.

Il concetto di documento amministrativo così come definito dalla legge è molto ampio, comprendendo tutte le tipologie di atti prodotti dall'amministrazione. Viene inoltre costituita una apposita Commissione con il compito di vigilare sull'applicazione della legge e presentare una relazione annuale al Parlamento.

La Legge 241 rappresenta una sorta di "rivoluzione culturale", anche in quanto lega la pubblicità all'efficacia dell'azione della P.A.: il ritardo, l'intoppo burocratico si evitano anche dando la possibilità al cittadino di controllare l'iter e lo svolgimento della pratica: è il controllo della comunità che si fa garante dell'efficacia dell'amministrazione.

Il successivo D.Lgs. 29 del 1993 istituisce l'Ufficio Relazioni con il Pubblico, il cui principale scopo è quello di "riorientare le attività pubbliche dagli adempimenti formali ai risultati sostanziali apprezzati dall'utenza": si stabilisce il principio che l'attività della P.A. deve guardare primariamente al soddisfacimento dei bisogni dell'utenza.

L'URP dovrebbe infatti farsi carico delle funzioni di "ascolto" nei confronti degli utenti, trasferendo all'interno dell'amministrazione le richieste e favorendo lo stabilirsi di un rapporto bidirezionale amministrazione/pubblico. A quasi dodici anni dall'approvazione della 241, nel 2002, solo il 38,2% delle amministrazioni aveva attivato un URP.

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Successivamente, il Dipartimento della Funzione Pubblica si dedica ad uno degli aspetti fondamentali dell'attività comunicativa pubblica: il linguaggio. Escono il "Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche" e il "codice di condotta dei dipendenti pubblici", seguiti da un "Manuale di stile" (1997), che si prefiggono lo scopo di cambiare il linguaggio con cui vengono scritti i documenti pubblici, nel senso di una semplificazione e razionalizzazione che sia in grado di ridurre la distanza tra cittadini e stato.

Negli anni 90, inoltre, comincia una vasta attività di campagne di comunicazione condotte dai diversi governi, sintomo di una nuova sensibilità verso problemi di interesse generale. Le varie istituzioni maturano proprie identità legate alla settorializzazione delle funzioni, e si avvia una grande quantità di comunicazione autoprodotta.

In anni recenti, alcune campagne della Presidenza del Consiglio hanno anche provocato polemiche a causa della nota labilità del confine tra comunicazione di pubblico servizio e comunicazione politica.

Una spinta importante alla modernizzazione è venuta anche dalle leggi Bassanini (59 e 127 del 1997), che introducono il decentramento amministrativo, l'autocertificazione e gli sportelli unici. Tutti elementi che influiscono in modo innovativo sui rapporti e quindi anche sulla comunicazione tra cittadini e P.A.

5. L'istituzionalizzazione del campo della comunicazione pubblica e la Legge n.150/2000

Il decennio termina con l'approvazione della Legge 150/2000, con la quale si istituisce la figura del comunicatore, distinguendola dalle altre figure dell'amministrazione in base a criteri di differenziazione funzionale. Il campo della comunicazione pubblica viene istituzionalizzato.

Si introduce la differenziazione tra attività di informazione (intesa come trasferimento di informazioni e trasparenza) e di comunicazione (intesa come promozione di contenuti, valori e "immagine"). Si istituiscono a questo scopo tre strutture:

• il portavoce: è una figura non giornalistica che ha un rapporto fiduciario con il vertice dell'amministrazione;

• l'Ufficio stampa: è costituito da professionisti dell'informazione giornalistica. Si rapporta, così come il portavoce, con i mezzi di comunicazione di massa;

• L'URP: la sua attività si indirizza ai cittadini singoli e associati, per la piena attuazione della Legge 241.

Vengono previste specifiche figure professionali, percorsi formativi e requisiti in termini di titoli di studio.

La Legge 150 comprende anche indicazioni sulla comunicazione sociale, sulla comunicazione interna e sull'uso delle tecnologie informatiche e delle reti.

Si tratta quindi del primo tentativo di disciplinare organicamente il campo della comunicazione della P.A., riconoscendo la necessità per le amministrazioni di dotarsi di strutture e professionalità atte ad agire con successo in un contesto che richiede competenze specifiche.

6. La comunicazione politica

1. Il nuovo scenario della campagna elettorale tra complessità e differenziazione sociale

La comunicazione politica si distingue in quanto interviene su argomenti di interesse generale che hanno carattere controverso, rispetto ai quali esprime un determinato punto di vista. Può emanare

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sia da istituzioni pubbliche che semipubbliche (come i partiti) o le rappresentanze di interessi.

Anche l'evoluzione della comunicazione politica testimonia del processo di differenziazione sociale che ha prodotto in tempi recenti una serie di corpi intermedi che agiscono tra la politica e cittadini. In particolare i mass-media sono il più forte e ormai indispensabile di questi soggetti.

I partiti e i mezzi di comunicazione di massa sono diventati così i principali attori della sfera pubblica, assumendo nuove identità sociali. Ciò è avvenuto a causa di modificazioni intervenute nel rapporto tra comunicazione autoprodotta ed eteroprodotta, ed inoltre per via della crisi delle identità e appartenenze ideologiche.

Le opinioni politiche sono così diventate volatili, e sempre più influenzate dalla competizione tra i mass-media e gli apparati di partito. Il sistema della politica e quello delle comunicazioni di massa sono in competizioni per la determinazione della discussione pubblica sugli argomenti ritenuti più importanti per la vita della comunità.

Anche le modalità di campagna elettorale si sono modificate di conseguenza, seguendo tre fasi:1. la fase della comunicazione di apparato: agli albori delle democrazie, la comunicazione passa

in gran parte tramite il contatto interpersonale o la comunicazione autoprodotta degli apparati organizzativi dei partiti

2. la fase pionieristica della comunicazione di massa, in cui essa agisce in convivenza con quella di partito

3. la fase attuale, in cui i mezzi di comunicazione di massa interagiscono in maniera autonoma con i partiti e spesso li costringono ad adattarsi alle proprie logiche

2. La fase della comunicazione di apparato

Il partito politico svolge essenzialmente due funzioni: aggregare la domanda politica dai vari ceti della società e consentire ad essi di poter partecipare, attraverso la rappresentanza, al processo di formazione delle decisioni. L'attività di comunicazione è evidentemente fondamentale a questo tipo di organizzazione, che ha bisogno di aggregare consenso e dare visibilità alla propria azione. Perciò i partiti progressivamente hanno ampliato la propria struttura proprio per poter comunicare in modo migliore con gli attivisti, gli elettori e anche le altre formazioni politiche.

Per anni la comunicazione politica ed elettorale è stata esclusiva dei partiti, sia di quelli "dei notabili" (tra elite) che di quelli popolari, in cui fondamentale fu il contributo di una rete capillare di volontari.

L'avvento del fascismo e del nazismo produce un'ulteriore incremento delle strutture organizzative a livello capillare, ma anche un accentramento e nazionalizzazione delle strutture di partito. Mentre i partiti dei notabili e anche quelli di massa erano fortemente legati ai diversi territori, con una grande autonomia locale, fascismo e nazismo danno un'impronta unitaria e nazionale alla propria organizzazione. Tutta la simbologia e la comunicazione assume una fisionomia unica costruita a partire dalla figura del leader.

Pur in assenza di competizioni elettorali, questi partiti sperimentano molte metodologie di comunicazione che poi verranno utilizzate in futuro: allo scopo di assicurarsi il consenso, vengono investite ingenti risorse nei nuovi mezzi di comunicazione di massa: il cinema e la radio, soprattutto. Vengono inoltre istituiti appositi ministeri: il "Minculpop" in Italia, il Ministero per l'Informazione del Popolo e la Propaganda in Germania.

La radio diventa strumento privilegiato della strategia di comunicazione di Mussolini, mentre Hitler predilige la dimensione rituale delle grandi adunate.

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L'uso dei nuovi mezzi contribuisce a far scomparire le vecchie forme di aggregazione politica basate sul localismo, accelerando il passaggio ai partiti nazionali di massa.

3. Mass-media e apparati di partito: un rapporto subalterno

Alla fine della seconda guerra mondiale, il ritorno della democrazia implica il rilancio dei grandi apparati di partito, ma i nuovi partiti hanno caratteristiche parzialmente diverse: il ruolo delle elite è ridimensionato, la composizione sociale interna si diversifica. La raccolta del consenso elettorale diventa il fine più importante, fino a prevalere su tutti gli altri.

Fino agli anni 60, sia in Europa che negli USA, i partiti sono grandi macchine organizzate, con funzionari, attivisti, organizzazioni di settore. Sono diffusi capillarmente sul territorio, e basati su relazioni interpersonali che garantiscono i canali di comunicazione verso l'interno e l'esterno.

Negli USA la situazione cambierà, a partire dagli anni 60, in seguito all'azione dei gruppi di pressione, che porteranno all'indebolimento del potere dei partiti e ad una diffusa frammentazione politica.

La stampa di partito gioca, nello scenario europeo, un importante ruolo di comunicazione nei confronti dei bacini elettorali di ogni partito, e anche di rapporto e negoziazione con le altre forze politiche. In questa fase in alcuni paesi europei c'è un forte immobilismo elettorale, dovuto al "voto di appartenenza". Gli spostamenti di voto sono minimi, anche perché le informazioni circolano in modo rallentato in quanto i partiti stessi sono i soli soggetti in grado di mobilitare gli elettori (se si eccettua la Chiesa Cattolica). I mass-media non sono ancora diffusi, e anche nella loro prima fase di espansione vengono usati dai partiti come "strumenti", canali sufficientemente controllabili. Non c'è infatti ancora sufficientemente autonomia per "tematizzare" , commentare ed interpretare i messaggi provenienti dai soggetti politici, che sono liberi di comunicare senza "rumore di fondo".

Le campagne elettorali diventano così un rafforzamento ed un appello ideologico in presenza di un voto sclerotizzato attorno a subculture politiche dotate di propri circuiti di comunicazione. I tentativi di conquista degli oppositori, e perfino degli indecisi, passano in secondo piano rispetto alla conferma rituale delle appartenenze e alla loro inconciliabilità.

La situazione totale ricalca questo quadro: le campagne elettorali sono basate su slogan che puntano su una radicata contrapposizione frontale, confermando l'elettorato nelle grandi discriminanti culturali e ideologiche frutto di anni di socializzazione politica operata dagli stessi apparati di partito. Gran parte della comunicazione politica ed elettorale è autoprodotta o veicolata da giornali che hanno una propria readership di appartenenza.

7. La comunicazione politica ed elettorale nell'età dei media

1. I nuovi soggetti della sfera pubblica

A partire dagli anni 60, cambia lo scenario della comunicazione politica ed elettorale. Negli stessi anni si accentuano le differenze tra il contesto europeo e quello statunitense. In quest'ultimo, la mutazione è più avanzata, anche a causa del maggior sviluppo del sistema dei mass-media. In Italia invece i cambiamenti diverranno visibili solo a partire dalla metà degli anni 70.

In questo periodo, data l'accresciuta complessità sociale, i partiti non sono più in grado di dar voce a tutte le diverse articolazioni della società. Nuovi e diversi soggetti, appartenenti al mondo dell'economia, della religione, della cultura, entrano in competizione tra di loro per la discussione e

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risoluzione dei problemi di interesse generale (poliarchia). L'area politica della fase precedente, legata a posizioni ideologiche immobiliste, viene sconvolta. E i mezzi di comunicazione di massa diventano un centro di potere autonomo che si confronta e interagisce con gli altri. I mass-media cominciano ad agire con una logica propria ed un proprio apparato simbolico.

Innanzitutto l'accentuarsi della complessità sociale produce una polverizzazione degli interessi, che i partiti non riescono più a rappresentare . Nascono quindi organizzazioni settoriali (sindacati, organizzazioni economiche, culturali e del tempo libero) anche se inizialmente ancora legate ai partiti da vincoli di affiliazione e/o collaborazione.

Negli anni più recenti, si fanno avanti altri soggetti: i giovani, le donne, gli emarginati. Si creano nuovi gruppi di rappresentanza che spesso utilizzano forme innovative di aggregazione e di espressione, e costringono i partiti a rivedere le proprie strutture ormai inadeguate.

Negli Stati Uniti si sviluppano i Pac (Political Action Commitee), che indeboliscono i partiti politici già minati dalla progressiva personalizzazione della politica e dalla crisi delle ideologie. Con il loro potere di raccolta di fondi in favore dei candidati, di fatto condizionano l'andamento delle elezioni, e una volta che i rappresentanti sono stati eletti, esercitano una funzione di lobbying che influisce in maniera determinante sul governo. E tutto ciò si svolge attraverso un'intensa attività comunicativa che ovviamente erode lo spazio e il ruolo dei partiti.

2. Le modificazioni sul partito politico

Le forme tradizionali di partito, quello dei notabili e quello di massa, avevano la caratteristica di rappresentare determinati ceti settoriali e ben determinate aree sociali. Il partito moderno invece è costretto ad aprirsi alla difesa di tanti interessi diversi, spesso in contrasto, e questo influisce sulla rigidità del suo programma e delle sue proposte politiche.

Svaniti gli schieramenti ideologici, i partiti sono finalizzati all'occasione elettorale, sono "partiti elettorali di massa" che si organizzano nel momento delle elezioni con l'apporto di specifiche competenze professionali che in un certo senso sostituiscono il vecchio apparato.

Gli elettori vengono quindi raggiunti da una molteplicità di messaggi, che non sono più controllati dal partito, e formula le sue decisioni in modo conseguente, non più in base alle appartenenze.

La comunicazione politica tende sempre di più a far proprie le tecniche del marketing, e si omologa a quella commerciale. Si fa strada la nozione di "mercato elettorale" in cui ogni elettore esprime un voto d'opinione, una scelta tra più opzioni di prodotto/programma.

In questo scenario ovviamente si ingigantisce il ruolo dei mezzi di comunicazione, e della televisione commerciale in particolare. Questi assumono un ruolo attivo nel decidere chi e cosa comunicare.

Il nuovo panorama della scena politica, con tanti soggetti portatori di interessi settoriali, accresce il bisogno di canali di comunicazione, tra gli stessi soggetti e tra questi e il loro pubblico. A questa esigenza risponde lo sviluppo massiccio dei mass-media, che allo stesso tempo esercitano il loro potere autonomo, sempre più determinante, di agenda setting, se non addirittura di selezione dei candidati. Anche il dibattito interno ai partiti, infatti, sempre più spesso è influenzato da fattori di "immagine" esterna.

E la logica commerciale del giornalismo ha influenzato anche le modalità delle campagne elettorali: negli USA si è diffusa lanegative campaign, una campagna cioè interamente costruita non per

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proporre programmi o discutere problemi, ma semplicemente per distruggere l'avversario, in omaggio alla logica dell'audience.

3. Il potere della televisione

Soprattutto negli USA la pubblicità politica televisiva ha finito per emarginare il ruolo dei partiti politici e incrementare vertiginosamente i costi della campagna. Acquistando spazi pubblicitari, i politici hanno potuto scavalcare l'organizzazione partitica, a volte mettendosi in competizione con essa. L'opportunità di parlare direttamente agli elettori ha reso superfluo l'apparato di partito, e una volta eletti i politici si sentono molto più legati ai vari gruppi di pressione che li hanno finanziati piuttosto che al proprio partito.

In Europa, è a partire dall'avvento della televisione commerciale che inizia una simile trasformazione, una "americanizzazione" della comunicazione elettorale. In Italia, la televisione diventa il principale strumento di comunicazione in periodo elettorale, sia nella forma del servizio pubblico che nella forma commerciale, con gli spazi gratuiti e a pagamento. Lo spazio dedicato ai messaggi elettorali cresce in modo esponenziale a partire dagli anni 80.

Già negli anni 60 si era cominciato a proporre la comunicazione elettorale in TV, ma erano i partiti ad organizzarla, e prevaleva la logica educativo-pedagogizzante tipica anche del servizio pubblico della RAI in quegli anni. Le tribune elettorali utilizzavano formule comunicative tipiche dell'era pre-televisiva. Il mezzo non aveva ancora imposto la propria logica.

E' con l'avvento degli spot politici, durante gli anni 80, che la comunicazione politica ed elettorale cambia completamente, si rivoluziona soprattutto a partire dalle elezioni politiche del 1994. Sintomatico è il trionfo di Forza Italia, partito creato dal nulla in due mesi, che vince le elezioni solamente grazie al supporto televisivo.

Proprio in quegli anni nasce anche un campo di ricerca specifico, centrato sulla comunicazione politica televisiva. Sulle elezioni del 94 si concentrano diversi studi da parte di svariate Università.

4. Professionalizzazione, tecnologia e costi della campagna elettorale

Di pari passo con il maggior ricorso agli strumenti della comunicazione di massa, e alla televisione commerciale in particolare, si verifica anche un processo di differenziazione professionale reso ancor più necessario dall'innovazione tecnologica. Si sviluppa ad esempio la tecnica dei sondaggi, che cerca di supplire alla diminuita capacità di capire le tendenze sociali, e che necessita di competenze specifiche. La stessa cosa vale per l'ideazione e la produzione degli spot elettorali. Dal mondo della pubblicità commerciale sono nate quindi specializzazioni settoriali e corpi professionali differenziati.

Sono quindi nati i political consultant, le agenzie specializzate nell'ideazione e gestione delle campagne, associazioni nazionali e internazionali, riviste specializzate. Tutto il processo ha avuto inizio negli USA per poi espandersi, seppure con ritmi più lenti, anche in Europa.

In Italia la professionalizzazione della comunicazione politica si è sviluppata soprattutto a partire dalle elezioni del 94, e si è rafforzata con le campagne fortemente personalizzate per l'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di regione.

La presenza di figure professionali è diventata indispensabile sia per controllare e gestire al meglio la comunicazione autoprodotta che per cercare di tenere sotto controllo o almeno indirizzare la grande quantità di comunicazione eteroprodotta.

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L'innovazione tecnologica, con ritmi diversi a seconda dei paesi, ha poi accelerato il mutamento indotto dai mass-media. L'informatica è entrata massicciamente nella rilevazione dei dati, nella targetizzazione, nella pianificazione della campagna, nella costruzione di canali bidirezionali di comunicazione con gli elettori attraverso le reti.

Tutto questo ricorso a mezzi di comunicazione e risorse professionali esterne ai partiti ha prodotto naturalmente una lievitazione notevole dei costi delle campagne.

E' inoltre da tener presente che l'attenzione dei media verso la politica è ormai costante, non si ferma ai periodi elettorali. Questo provoca una certa difficoltà di distinguere tra comunicazione politica ed elettorale. Gli attori del sistema politico sono quindi costretti a gestire un'attività comunicativa ininterrotta, che non può essere limitata alla sola fase del voto.

5. Il dibattito sulla spettacolarizzazione della politica

Secondo Debord, studioso francese che prende spunto dalle teorie marxiste, nelle società contemporanee si è creata una netta separazione tra ciò che viene vissuto quotidianamente e ciò che viene consumato come rappresentazione. E' la società dello spettacolo, che lentamente si sostituisce al reale e ne indebolisce l'importanza fino a renderlo superfluo. Tutto ciò sarebbe orchestrato da un potere occulto, funzionale alla perpetuazione di un dominio di classe.

Schwartzenberg arriva ad ipotizzare l'esistenza di uno "stato spettacolo", sistematicamente organizzato per divertire e ingannare il pubblico dei cittadini, e trasformare la scena politica in scena ludica. Fulcro dello spettacolo è la personalizzazione del potere, la creazione di "maschere" in cui gli spettatori possano immedesimarsi e riconoscersi. In questo si identifica il lavoro di costruzione e gestione dell'immagine dei candidati e leader politici ad opera dei professionisti della comunicazione.

Secondo Schwartzenberg, la difesa contro lo stato spettacolo consiste nel recupero della propria identità di cittadini, tramite l'incremento della circolazione delle informazioni, del livello culturale generale, della partecipazione alla gestione della cosa pubblica.

La spettacolarizzazione della comunicazione politica ed elettorale prende corpo tramite la "contaminazione" di generi: la politica assume i linguaggi propri di altri tipi di programmi: gli spot commerciali o gli show di intrattenimento, ecc. A partire dal 1994, si abbandonano i vecchi modelli di "tribuna elettorale", per sperimentare nuovi linguaggi e tecniche. Anche gli argomenti trattati si spostano dalle political issues alle policy issues, ovvero a temi più concreti che richiedono interventi decisori, e che si adattano meglio ai nuovi formati televisivi.

6. La personalizzazione della politica

Un altro degli effetti che la televisione commerciale ha prodotto è certamente quello della personalizzazione della politica. Negli USA, fin dalla prima introduzione del mezzo televisivo, è apparso immediatamente possibile il contatto diretto tra candidati ed elettori, scavalcando il ruolo dei partiti. Ma è la stessa media-logic che privilegia le singole persone, le figure umane, le storie e i racconti personali. E' molto più facile rappresentare i leader piuttosto che istituzioni impersonali come i partiti.

In Italia, sintomatici sono stati i casi di Craxi e, soprattutto, di Berlusconi, il quale tramite un uso sapiente dei mass-media ha saputo interpretare i bisogni e gli interessi di una quantità di elettori che avevano perso i punti di riferimento, ponendosi come l'individuo dotato delle giuste capacità

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personali e del giusto carisma.

La televisione è in grado di agire sia in campo nazionale, proponendo grandi figure di leader in cui si può riconoscere un basto numero di cittadini con i quali attivare un contatto diretto, sia in campo locale, in una riedizione mediatica del "partito dei notabili". In Italia, la legislazione ha però di fatto per ora impedito questo tipo di rapporto a livello territoriale, favorendo invece il processo di "leaderizzazione" dei vecchi schieramenti basati sulle discriminanti ideologiche.

7. La regolamentazione della comunicazione politica

I mutamenti finora analizzati evidenziano un problema di regolamentazione della comunicazione politica, e più in generale di tutta la comunicazione pubblica.

Da un punto di vista europeo, la tendenza è quella di adottare politiche di intervento legislativo nel campo della comunicazione di massa, cosa che non esiste negli USA (anche per le disposizioni del First Amendment). Del resto la nozione di "servizio pubblico radiotelevisivo" è sostanzialmente europea, che nasce dall'idea che lo stato debba garantire a ciascuno, indipendentemente dai mezzi economici a sua disposizione, la possibilità di accedere ai mezzi di comunicazione.

Anche in Europa comunque la tendenza è verso la de-regolamentazione, anche in considerazione dell'introduzione delle nuove tecnologie (satellite e internet) che rende obsoleta la filosofia del servizio pubblico radiotelevisivo, legato alle culture nazionali.

In Italia, le problematiche normative sulla comunicazione politica si sono accentrate intorno a tre aree:

• la concentrazione della proprietà: è un problema che è stato reso drammatico dall'avvento di Berlusconi, la cui mancata regolamentazione può avere effetti dirompenti sull'intera comunità, con i rischi legati alla determinazione unilaterale del dibattito pubblico e della competizione politica. Si tratta di un problema complesso anche per le difficoltà di determinare i limiti di concentrazione in relazione ai diversi media, alla pubblicità e ai criteri di valutazione. La legge Mammì si è di fatto limitata a certificare l'esistente, ponendo dei limiti che fotografavano la situazione dei media all'epoca. Successivamente la Corte Costituzionale ha imposto limiti più stringenti, ma si è ancora in attesa di una nuova regolamentazione che ne tenga conto.

• Il rispetto del pluralismo: in gioco è l'equilibrio tra il diritto dell'iniziativa privata di esprimere il proprio punto di vista parziale e il diritto dell'intera comunità ad essere informata equamente di tutte le posizioni politiche. In Italia la tendenza a proteggere comunque l'interesse generale è confermata dalle posizioni della Corte Costituzionale in materia. La Legge Mammì nei principi generali si prefigge di promuovere il pluralismo, la completezza e l'imparzialità dell'informazione, ma non fissa vere e proprie norme al riguardo. I risultati pratici di questa attenzione del legislatore verso il pluralismo in realtà si sono materializzati nella perversa pratica della "lottizzazione", sacrificando l'attività, le scelte e le professionalità esistenti all'interno del servizio pubblico. La discesa in campo di Berlusconi ha poi posto il problema della tutela del pluralismo anche nei confronti delle organizzazioni di comunicazione private. L'aspro dibattito che ne è seguito è sfociato nel 2000 con la legge sulla "par condicio", che pone limiti piuttosto stringenti alla propaganda elettorale via stampa e radio-tv.

• Deontologie professionali: uno dei più grossi problemi dell'area delle comunicazioni di massa italiana è quello dell'autonomia degli operatori, e dei giornalisti in particolare. Tradizionalmente legati ai partiti o alle élite intellettuali, essi hanno fatto molta fatica a dotarsi di un codice deontologico condiviso in grado di offrire resistenza alle pressioni del potere politico ed economico. Neanche l'istituzione dell'Ordine dei Giornalisti ha ovviato a questo problema. A partire dagli anni 80 si sono succeduti diversi tentativi di autoregolamentazione da parte di testate e case editrici, ma i codici di autodisciplina hanno scarsa efficacia in quanto non hanno

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carattere di legge, e prevedono sanzioni spesso solo simboliche. Il problema non riguarda solo i giornalisti, ma anche altri operatori del mondo dei mass-media, quali per esempio i pubblicitari.

8. La comunicazione sociale: tra compiti rutinari ed emergenze

1. Chi fa comunicazione sociale?

Per comunicazione sociale si intende quella proveniente da istituzioni pubbliche, semipubbliche o private che si incentrano su problematiche di interesse generale relativamente controverso. In Italia questo tipo di comunicazione viene prevalentemente dallo stato, ma anche le altre organizzazioni, in un contesto di crescente differenziazione sociale, stanno incrementando le loro iniziative.

Una delle caratteristiche della comunicazione sociale è proprio quella di provenire anche da istituzioni semipubbliche o private non finalizzate al profitto. Le organizzazioni non-profit, in Italia ONLUS, hanno caratteristiche ben precise:

• devono comunicare con più pubblici: clienti, finanziatori, istituzioni, ecc.;• hanno obiettivi molteplici, che non si identificano con la produzione di utili come per le imprese

industriali o commerciali, e producono servizi piuttosto che beni di consumo;• sono sottoposte al giudizio e al vaglio pubblico. I loro servizi sono infatti designati come

"pubblici", rivolti ad interlocutori molteplici e differenti.

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In pratica stiamo parlando di tutte quelle organizzazioni che erogano servizi medico-sanitari, scolastici ed educativi, religiosi, sociali, di solidarietà, ma anche di comunicazione, artistici, ecc.

Altri studiosi parlano di intermediate organizations, ovvero organizzazioni che non fanno parte dello stato e che però non sono neanche finanziate dalla produzione di profitti. E' da notare comunque che la definizione giuridica di non-profit varia in relazione ai vari contesti legislativi.

Ware, politologo inglese, fa risalire le prime intermediate organizations alle originarie forme di cooperazione sociale che si sviluppano nelle società precapitalistiche (il riferimento è alle Charities inglesi e poi americane). Ma è soprattutto con la rivoluzione industriale che si sviluppano le associazioni di lavoratori per scopi di solidarietà, come ad es. le società di mutuo soccorso in Italia. Queste cominciano a nascere a metà 800 ad opera dei movimenti socialisti e cattolici, diffondendosi poi soprattutto al nord e trasformandosi in seguito in cooperative di consumo e produzione, legato all'influenza dei partiti politici. Con l'avvento dello stato sociale, nascono poi una miriade di altre organizzazioni che sono di supporto allo stato per la fornitura di servizi che esso non può offrire direttamente.

Ware propone uno schema tipologico di questo tipo di organizzazioni, in cui sono indicati in orizzontale le varie forme di proprietà (dalla pubblica alla privata) ed in verticale le forme di finanziamento:

Le organizzazioni private "unowned" sono quelle che non hanno in effetti proprietario, ma sono

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soggetti di diritto pubblico (ad es. i partiti). In grigio sono indicate quelle organizzazioni da cui può emanare comunicazione sociale.

Le organizzazioni private che hanno fini di profitto sono escluse, anche se in alcuni casi sono possibili eccezioni: si tratta comunque di situazioni ambigue in cui si può sempre sospettare che la comunicazione sia motivata dalla difesa di interessi privati. E anche per le organizzazioni che si finanziano con la vendita di beni e servizi, si deve supporre che l'incremento delle vendite dovuta alla comunicazione vada a favore di interessi generali.

Ware individua anche le principali funzioni delle intermediate organizations: innanzitutto esse suppliscono lo stato nella fornitura di servizi che esso non fornisce. In secondo luogo esse trattano i non market goods, ovvero tutti quei beni e servizi connessi agli ambiti culturali, religiosi, di ricerca, ecc., che non hanno mercato, esulano anche dai compiti dello stato sociale e possono circolare solo grazie a queste istituzioni di supporto.

Nella definizione di Ware, queste organizzazioni hanno principalmente compiti di integrazione sociale e politica. Dato l'accresciuto livello di complessità sociale, le forme più istituzionalizzate di associazione, come i partiti, non possono rappresentare tutta la varietà degli interessi, opinioni, bisogni espressa dalla società, e le intermediate organizations sorgono proprio per supplire a questa carenza.

In ogni caso, queste organizzazioni nascono per rappresentare e promuovere interessi non individuali ma collettivi. Per questo devono costituire reti di comunicazione interne e con il resto della comunità, che sono essenziali al loro funzionamento e al raggiungimento dei loro obiettivi.

2. Gli oggetti della comunicazione sociale

La prima caratteristica della comunicazione sociale è quella di fornire informazione di interesse generale, la seconda è quella dell'imparzialità dell'informazione fornita.

Questo distingue innanzitutto la comunicazione sociale dalla pubblicità, dato che quest'ultima è finalizzata alla promozione di interessi di parte. In quanto di "interesse collettivo", i temi proposti dalla comunicazione sociale devono avere carattere relativamente controverso, per cui non si propone il punto di vista di una sola parte della collettività, ma della sua interezza. I valori a cui essa fa riferimento devono essere unanimemente, o quasi, accettati. Altrimenti saremmo in presenza di comunicazione politica. In questo senso la comunicazione sociale svolge anche una fondamentale funzione di integrazione simbolica, sostenendo e promuovendo temi e valori che fanno parte del patrimonio condiviso della società.

I temi della comunicazione sociale possono avere diversa consistenza temporale: stabile nel tempo, quale la maggior parte di quelli proposti dalle istituzioni pubbliche, oppure occasionale, in momenti particolari di emergenza.

Vi sono infine specifiche fattispecie di comunicazione sociale:• comunicazione di pubblico servizio: prevalentemente funzionale, finalizzata a promuovere

servizi di pubblica utilità• comunicazione sociale propriamente intesa: finalizzata a promuovere un'idea, un valore, un tema

di interesse generale, relativamente controverso. Svolge funzioni di integrazione simbolica• comunicazione delle responsabilità sociali; è un genere ambiguo, ai confini con quello della

pubblicità commerciale. Viene prevalentemente da soggetti privati che, tramite il soddisfacimento dei propri interessi, preservano o rafforzano anche il benessere dei consumatori o della società.

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3. La comunicazione di pubblico servizio

La comunicazione di pubblico servizio ha una lunga e consolidata tradizione. Già negli anni 30 e 40 del 900 negli USA tutta una serie di istituzioni prevalentemente pubbliche (università, biblioteche, ferrovie, ecc.) cominciano a servirsi di esperti di pubbliche relazioni e pubblicitari per promuovere i propri servizi. Le strategie di marketing, sviluppate per il mercato dei beni di consumo (indagine sulla domanda, segmentazione, targetizzazione), vengono usate allo scopo di migliorare l'efficacia e la qualità dei servizi pubblici.

In Italia il marketing sociale ha trovato molte difficoltà di applicazione, dovute principalmente alla scarsa professionalizzazione della P.A. e alla cultura dell'autoperpetuazione. Anche qui comunque si sta creando una situazione di competizione tra istituzioni pubbliche e private, e le iniziative di comunicazione vengono valutate e finanziate in base ai risultati raggiunti.

Inoltre l'aumentata sensibilità sociale verso i diritti di cittadinanza e i servizi pubblici è ragione di ritorni in termine di immagine e di consenso politico, per cui le organizzazioni hanno cominciato ad adottare alcune tecniche di marketing sociale (ad es. le Università, la Sanità, le ferrovie e le poste). Anche in situazioni di monopolio, esistono situazioni di competizione indiretta con altri servizi similari. E lo spostamento dei cittadini da servizi più ecologici a meno ecologici (ad es. le ferrovie rispetto all'auto) o dal pubblico al privato, rappresenta una fonte di "costi sociali" non irrilevante, che è sicuramente tema di interesse generale. Per questo occorre migliorare l'immagine di questi servizi e far sì che non vengano dimenticati o trascurati.

9. La comunicazione delle altre istituzioni "quasi pubbliche"

1. La comunicazione degli imprenditori

Esistono organizzazioni di carattere semi-pubblico, non finalizzate al profitto, che intervengono su argomenti di interesse generale a carattere controverso. Il loro scopo è quello di universalizzare il proprio punto di vista ed interesse, facendolo diventare quello di tutta la comunità.

In ordine di tempo sono le organizzazioni imprenditoriali a prendere le prime iniziative di comunicazione pubblica. Questo primato nasce dall'abitudine consolidata delle imprese a tenere in considerazione tutti i fattori, anche di carattere simbolico e comunicativo, che possano influenzare il comportamento dei consumatori.

Questa attenzione viene quindi trasferita al livello delle organizzazioni che rappresentano gli interessi dell'impresa (Confindustria, Confcommercio, ecc.), e si dirige verso la comunicazione sia autoprodotta che eteroprodotta. In quest'ultima tipologia si situa la tradizionale strategia di Confindustria, che ha sempre investito nella stampa e che oggi possiede uno dei più grandi quotidiani italiani, "Il sole 24 ore" (anche se, per molti aspetti, questo giornale ha caratteristiche più di comunicazione autoprodotta).

Nelle sue iniziative autonome di comunicazione la Confindustria ha messo a frutto l'esperienza proveniente dal mondo industriale, e ha evidenziato la necessità di una comunicazione organica ed integrata che veicolasse un'identità forte e precisa. Ed è spesso intervenuta su grandi questioni e temi dibattuti, travalicando il campo dell'economia per sconfinare nella politica.

2. La comunicazione dei sindacati

Come i partiti politici, anche i sindacati hanno risentito e risentono delle modificazioni della struttura sociale, nel loro rapporto con gli attivisti/elettori, e si sono ritrovati ad agire in un mercato

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della comunicazione prima inesistente.

Nell'evoluzione della comunicazione sindacale a partire dagli anni 70 si possono distinguere due fasi, entrambe precedute da una diagnosi di "inadeguatezza" del sindacato in termini appunto di comunicazione:

• la fase della "politicità della comunicazione";• la fase dell'"approccio professionale".

Nel clima degli anni 70, post-68, le nuove leve sindacali sono portatrici di un'ottica per cui politica e comunicazione si equivalgono. I mezzi di comunicazione di massa sono visti come lo strumento di una classe e di un progetto alternativo a quello del sindacato. Si cerca perciò di mettere in atto forme di lotta che modifichino gli equilibri ditemi e strutture della comunicazione. Si cerca di impadronirsi dei nuovi mezzi e usarli a proprio vantaggio, mentre parallelamente si sviluppano strategie di "controinformazione" che portano alla nascita di strutture autonome di comunicazione.

Di fronte all'impetuoso sviluppo dei mass-media, però, subito i tradizionali canali comunicativi del sindacato si rivelano obsoleti e inadeguati. E ciò che passa sui media è un'informazione insufficiente e spesso denigratoria. Si verifica lo stesso fenomeno già visto per l'informazione parlamentare: gli obiettivi dell'istituzione-sindacato e quelli dell'istituzione-massmedia non coincidono.

Negli anni 60 di sindacato si parla poco, e quasi sempre in negativo. Dopo il 1968, la copertura giornalistica aumenta, ma l'atteggiamento è ancora ostile. Con l'ingresso del sindacato tra gli operatori dell'informazione si afferma al contrario una lettura "politica" dei fatti che non giova a migliorare le conoscenze del pubblico. Ed è a questo punto che emerge la necessità di dotarsi di strumenti e professionalità proprie, di svecchiare la comunicazione sindacale utilizzando le opportunità offerte dalle nuove tecnologie.

Allo stesso tempo si cerca di agire anche sulla comunicazione eteroprodotta, denunciandone manipolazioni e deformazioni, sia tramite i tradizionali strumenti di lotta (manifestazioni e scioperi), sia tramite l'apporto del sempre maggior numero di operatori della comunicazione che si avvicinano al sindacato.

E anche tra gli stessi affiliati al sindacato si fa strada la consapevolezza dei propri diritti, si chiede partecipazione, canali di comunicazione bidirezionali che permettano a tutti di dare il proprio contributo ed esprimere le proprie esigenze.

Alla metà degli anni 80, quindi, comincia ad affermarsi una diversa concezione: il sindacato, raggiunto un peso considerevole nella società, punta ad obiettivi più generali, non legati solo ad un'unica parte. E per comunicare ad un pubblico non più settoriale ma "universale", i mezzi di comunicazione di massa sono essenziali.

Per agire in questa direzione, il sindacato stempera tutti quegli aspetti della sua identità che si rifanno alla separatezza e all'esclusività, mirando a raggiungere un pubblico sempre più eterogeneo e non marcato politicamente. Come per i partiti, le reti di comunicazione interpersonale si indeboliscono, lo spazio per le lotte si restringe e si punta invece a diventare soggetti attivi dell'agenda pubblica, utilizzando metodi e strategie professionali.

3. La lunga tradizione della Chiesa

Le esigenze della comunicazione, funzionale alla diffusione della fede, sono sempre state al centro della storia della Chiesa cattolica.

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Le categorie finora definite per la comunicazione pubblica si attagliano anche alla comunicazione della Chiesa: essa infatti produce messaggi a carattere controversiale, agisce sia sulla comunicazione autoprodotta che eteroprodotta. Indubbiamente la sua comunicazione svolge funzioni di integrazione simbolica. Se una differenza si vuol trovare, questa potrebbe stare nella maggiore attenzione alla comunicazione dei valori piuttosto che della propria immagine istituzionale.

La forte tradizione organizzativa della Chiesa ha prodotto risultati anche nel campo della comunicazione. Questa infatti non ha subito traumi o mutamenti improvvisi, ma piuttosto un'evoluzione lenta, che le ha permesso di non trovarsi del tutto impreparata rispetto all'innovazione.

Un grande momento di svolta nella strategia comunicativa della Chiesa è rappresentato dal Concilio Vaticano II. In precedenza, le modalità di comunicazione avevano subito un lento processo evolutivo che aveva cercato di rispondere alla crescente secolarizzazione della società, contribuendo alla costruzione di una "cultura cattolica" alternativa a quella laica. Nel 1957, l'enciclica "Miranda Prorsus" sancisce un atteggiamento cauto nei confronti dei mass-media: devono essere utilizzati per la diffusione della fede, ma con molta attenzione al loro uso e ai messaggi che si trasmettono. E' così che la nascita della televisione in Italia avviene in un clima di grande cautela e preoccupazione, in una società fortemente permeata dalla cultura cattolica.

Questo atteggiamento verrà mantenuto in tutti i documenti seguenti, fino alla "Communio et Progresso" di Paolo VI, del 1971, frutto dei lavori del Concilio, avversata in molte sue parti dalla gerarchia cattolica. Si tratta di un documento complesso, che parte dall'esaltazione di Gesù Cristo come perfetto comunicatore per poi esporre potenzialità, rischi e limiti dei diversi strumenti della comunicazione di massa, da cui derivano una serie di criteri di uso corretto.

Le strategie di comunicazione della Chiesa si sono rivolte sia sulla comunicazione autoprodotta che su quella eteroprodotta. Sul primo fronte, la Chiesa si è dotata di strumenti che vanno dalle pubblicazioni parrocchiali e diocesane fino a quotidiani ("L'avvenire") e periodici ("Famiglia cristiana") di grande diffusione e apparati radio-Tv in grado di raggiungere un audience globale. Allo stesso tempo l'attenzione è stata rivolta anche a far sì che i valori cristiani siano presenti anche sui mezzi al di fuori del controllo della Chiesa, con iniziative di "indirizzo" nei confronti dei "comunicatori" cattolici.

Prodotti di questa strategia sono anche il televangelismo e gli spot pubblicitari. Il primo è diffuso soprattutto negli USA, e utilizza appieno tutte le potenzialità espressive e spettacolari della TV con il rischio di banalizzazione e omologazione del sacro con tutti gli altri generi di "intrattenimento" televisivo. La stessa critica che è stata rivolta agli spot per 18 per mille, "annegati" nel mare della pubblicità commerciale.

Eppure, proprio questo rivolgersi alla pubblicità svela con chiarezza le trasformazioni del campo della comunicazione pubblica: anche la Chiesa specializza e delimita il proprio ambito funzionale, e delega al sistema dei mass-media il compito di raggiungere pubblici più ampi e non direttamente interessati.

Anche i viaggi di Giovanni Paolo Il, organizzati sapientemente anche in funzione della copertura mediatica, hanno rappresentato eventi "straordinari" che hanno avuto grande rilievo nei paesi che li hanno ospitati grazie proprio alla forte identità di "personaggio" e di leader del papa secondo i canoni espressivi dei mezzi di comunicazione di massa.

Il media event "viaggio del papa" ha consentito così da una parte un'azione di rafforzamento nei

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confronti del pubblico dei fedeli, dall'altra un'operazione di integrazione simbolica intorno all'immagine di un personaggio che agisce su temi di interesse generale.

Conclusioni. La trasparenza tecnologica

La convergenza tra i diversi mezzi di comunicazione sta creando un nuovo "sistema nervoso" della società, che coinvolge tutto l'ambito della comunicazione pubblica. Questo sistema ha la peculiarità di consentire ed anzi esaltare la bidirezionalità. Le conseguenze sono molteplici.

Innanzitutto si creano nuove opportunità per l'accessibilità ai documenti pubblici, e non solo a quelli. La dimensione della trasparenza si amplia, dando al cittadino possibilità di scambio e dialogo prima impossibili. E obbliga le amministrazioni a comunicare, pena la perdita del consenso. L'informatizzazione delle attività delle diverse organizzazioni, pubbliche o private che siano, ne determina l'accessibilità. E limita in gran parte i problemi posti dagli atteggiamenti individuali o di gruppo che si sono opposti finora alla trasparenza.

E c'è anche l"accessibilità indotta", che deriva dalla possibilità degli utenti di Internet di rendere pubbliche le informazioni anche se la cosa non era prevista dalla fonte ufficiale.

In ogni caso lo sviluppo di Internet facilita l'accesso diretto, rendendo potenzialmente inutile l'intervento dei tradizionali "mediatori di informazione", come i giornalisti.

L'accessibilità costituisce il primo gradino verso la partecipazione. Le opportunità di democrazia diretta sono tante e sono continuamente oggetto di sperimentazione nei paesi più avanzati.

I rischi però non sono da sottovalutare: per primo il "populismo elettronico", la politica condizionata dai sondaggi, ma anche il problema del "digital divide".

L'innovazione tecnologica sotto alcuni aspetti potrebbe portare al recupero di alcuni tratti del vecchio modello di società civile: è possibile ricreare circoli di discussione costruiti sul contributo critico e razionale dei cittadini che hanno a disposizione grandi quantità di dati e informazioni sugli argomenti di interesse generale. La moltiplicazione dei canali e la loro bidirezionalità dovrebbe evitare il crearsi di strutture di controllo e manipolazione, e sarebbe quindi possibile il recupero della partecipazione "critica".

Uno degli aspetti già sotto gli occhi di tutti dell'innovazione tecnologica è l'aumentata quantità ed efficienza dei servizi offerti alla comunità.

Ed infine è indubbio che l'informatizzazione abbiano dato grande aiuto allo sviluppo organizzativo in termini di comunicazione interna ed esterna.