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n. 1 gennaio 2016 Circolare approfondimenti, notizie e informazioni

Circolare 231 - Numero 1 - 2016 - Butti & Partners€¦ · ANTIRICICLAGGIO E ANTITERRORISMO di Ranieri Razzante, Docente di Intermediazione finanziaria e Legislazione Antiriciclaggio

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n.  1  -­‐  gennaio  2016  

           Circolare  

approfondimenti,  notizie  e  informazioni  

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n.  1  –  gennaio  2016  

Sommario

1. AMBIENTE E SICUREZZA ................................................... 3

di Marina Zalin

2. ANTIRICICLAGGIO E ANTITERRORISMO ........................... 6

di Ranieri Razzante

3. GIURISPRUDENZA ANNOTATA ........................................... 9

di Ciro Santoriello

4. ORGANISMO DI VIGILANZA ............................................... 14

di Patrizia Ghini e Luigi Fruscione

5. PROFILI INTERNAZIONALI ................................................. 17

di Giovanni Tartaglia Polcini e Paola Porcelli

6. SOCIETÀ ED ENTI PUBBLICI ............................................. 20

di Carlo Manacorda

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AMBIENTE E SICUREZZA di Marina Zalin, Butti & Partners, Verona

Interesse e vantaggio nel reato-presupposto di lesioni colpose per violazione di norme antinfortunistiche (Corte d’Appello di Trento, sent. del 13.2.2014, dep. 10.4.2015).  La vicenda fattuale vede un lavoratore riportare lesioni superiori a 40 giorni (frattura amielica lombare plurima con frattura al polso dx) a seguito di una caduta accidentale da un impianto dello stabilimento produttivo di cui stava curando la manutenzione. In particolare, emergeva come la griglia che costituiva il piano di calpestio fosse mancante da almeno un paio di mesi e fosse stata sostituita da tavolati di legno mobili (appoggiati sulla struttura portante in ferro) i quali, tuttavia, al momento dell’incidente, erano stati rimossi. Il Tribunale aveva ritenuto la condotta del lavoratore-manutentore non eccezionale o abnorme, ma assolutamente prevedibile nel contesto considerato. Pur riconoscendo l’assoluta esiguità del risparmio economico dei costi dovuto alla mancata implementazione dei dovuti presidi antinfortunistici, il Tribunale condannava anche l’ente ai sensi dell’art. 25-septies D.Lgs. 231/2001, chiarendo che la responsabilità amministrativa da reato “non può essere esclusa per la sola esiguità del vantaggio o per la scarsa consistenza dell’interesse perseguito”. La Difesa proponeva appello sostenendo principalmente due ordini di argomentazioni difensive. In primo luogo deduceva che il lavoratore aveva agito in modo abnorme, conoscendo perfettamente la natura del rischio (egli stesso aveva poco prima rimosso le tavole lignee di copertura) e agendo in modo sconsiderato e imprevedibile per effettuare un’operazione comunque al di fuori delle proprie mansioni. In tal contesto, pertanto, il nesso causale doveva ritenersi interrotto proprio dall’azione della persona offesa. In secondo luogo rilevava come non vi fosse stato alcun risparmio sensibile di spesa per l’ente, dal momento che le tavole lignee erano già nella disponibilità dell’azienda ed erano state installate senza costo alcuno.

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Non si poteva pertanto riscontrare un interesse o vantaggio di natura economica, essendo tale prospettiva del tutto minimale. In particolare la Difesa evidenziava che non poteva esservi responsabilità dell’ente per un “mancato controllo” legato non al fine di conseguire un vantaggio o un profitto, bensì dovuto a mera sciatteria e sottovalutazione del rischio. La Corte muove il proprio percorso argomentativo partendo dalla ricostruzione dei fatti e negando, significativamente, che la prassi adottata dai lavoratori – quella di posizionare le tavole lignee sulle zone di calpestio ogni volta che si rendeva necessario – fosse in grado di garantire la sicurezza delle attività in loco. Il Tribunale ha altresì correttamente escluso l’abnormità del comportamento del lavoratore, nel caso di specie, poiché la sua azione è senz’altro imprudente ed eccessivamente confidente nelle capacità tecniche e nell’esperienza, ma comunque inserita in un piano logico di prevedibilità e possibilità. Il lavoratore ha, infatti, omesso di rispettare una procedura certamente dispendiosa in termini di tempo ed energie, cioè il riposizionamento dei pannelli d’armo prima asportati, alla luce della semplicità e brevità della manutenzione che si apprestava a fare: tale omissione, tuttavia, non può essere considerata abnorme, poiché correlata allo stress lavorativo, alla ripetitività del gesto e alle condizioni generali psicofisiche del lavoratore. Da ultimo la Corte ha affrontato anche le doglianze dell’ente, che aveva lamentato l’insussistenza di qualunque “vantaggio o interesse” perseguito e quindi, di conseguenza, la mancanza dei presupposti di cui all’art. 5 D.Lgs. 231/2001. La responsabilità dell’ente va ancorata all’effettiva ricorrenza di un vantaggio o un interesse collegati non tanto, è ciò è oramai pacifico, all’evento lesivo – altrimenti se ne dovrebbe dedurre persino un interesse, ad esempio, all’aver cagionato lesioni personali gravi o morte - quanto alla condotta dell’amministratore che abbia dato causa all’evento dannoso. Il sistema di responsabilità dell’ente, in altre parole, si basa sulla colpa di organizzazione della persona giuridica. La Corte riconosce la lacunosità delle previsioni in tema di sicurezza nonché il disinteresse degli organi societari sul tema, dimostrata anche dal fatto che il datore di lavoro non era a conoscenza di una circostanza di fatto estremamente rilevante e perdurante nel tempo come l’assenza del regolare piano di calpestio di una delle torri dell’impianto, dove si è verificato l’evento lesivo.

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I Giudici dell’Appello fanno ulteriormente proprie, in punto di interesse e vantaggio, le argomentazioni già svolte dal Tribunale in primo grado. L’uso dei pannelli d’armo viene riconosciuto come una soluzione inadeguata per ovviare all’evidente rischio di caduta e impiegata solo in quanto ritenuta rapida, economica e adottabile senza interrompere il ciclo produttivo. Da ciò consegue che la scelta è stata fatta privilegiando la produzione e il profitto aziendale a scapito della sicurezza dei lavoratori, che avrebbe richiesto costi, tempi e il blocco totale degli impianti. In questo è stato rinvenuto un vantaggio economico indiretto, ottenuto dall’ente, legato al risparmio conseguente alla posposizione delle esigenze di sicurezza rispetto agli interessi economici e produttivi. La sentenza di primo grado è stata pertanto integralmente confermata.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ANTIRICICLAGGIO E ANTITERRORISMO di Ranieri Razzante, Docente di Intermediazione finanziaria e Legislazione Antiriciclaggio presso l’Università di Bologna

Bail-in: cosa cambia nella gestione delle crisi bancarie

Dal primo gennaio 2016 è operativo il meccanismo unico di risoluzione (SRM, single resolution mechanism), gestito dalle Autorità di risoluzione locali (per l’Italia, la Banca d’Italia) e da un’Autorità accentrata, il Comitato Unico di Risoluzione (SRB, single resolution board), cui partecipano rappresentanti locali e alcuni membri permanenti. Si tratta di un processo di ristrutturazione che ha come obiettivo quello di evitare l’interruzione dei servizi offerti dalla banca ai clienti e di ripristinare le condizioni economiche sostenibili. Detta procedura trova applicazione laddove la banca si trovi a rischio “default” a causa di perdite che hanno ridotto in maniera significativa il suo capitale e questo rischio non può essere superato mediante misure alternative di natura privata (quali aumenti di capitale). Inoltre, la sottoposizione della banca a liquidazione ordinaria non permetterebbe comunque di salvaguardare la stabilità sistemica, di proteggere depositanti e clienti e di assicurare la continuità dei servizi finanziari essenziali. Sono molteplici gli strumenti per dare il via alla risoluzione. Innanzitutto, si può cedere una parte dell’attività della banca a un acquirente privato. In alternativa si possono trasferire attività e passività temporaneamente a una bridge bank (proprio come adottato nel caso italiano) per proseguire le funzioni in vista della successiva vendita sul mercato, oppure trasferire le attività deteriorate a una bad bank per la liquidazione. Infine, si potrà applicare “l’auto salvataggio”, oggi più conosciuto come bail in, che consiste nello svalutare azioni o crediti e convertirli in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà (ovvero capitalizzare una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali). Il bail-in (letteralmente salvataggio interno) è uno strumento che consente alle autorità di risoluzione di disporre, al ricorrere delle condizioni, la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti o la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in misura

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sufficiente a ripristinare un’adeguata patrimonializzazione e a mantenere la fiducia del mercato. Il bail-in si applica seguendo una gerarchia la cui logica prevede che chi investe in strumenti finanziari più rischiosi sostenga prima degli altri le eventuali perdite o la conversione in azioni. Solo dopo aver esaurito tutte le risorse della categoria più rischiosa si passa a quella successiva. In primo luogo, si sacrificano gli interessi dei “proprietari” della banca, ossia degli azionisti esistenti, riducendo o azzerando il valore delle loro azioni. In secondo luogo, si interviene su alcune categorie di creditori, le cui attività possono essere trasformate in azioni – al fine di ricapitalizzare la banca – e/o ridotte nel valore, nel caso in cui l’azzeramento del valore delle azioni non risulti sufficiente a coprire le perdite. Ad esempio, in caso di bail-in, chi possiede un’obbligazione bancaria potrebbe veder convertito in azioni e/o ridotto (in tutto o in parte) il proprio credito, ma solo se le risorse degli azionisti e di coloro che hanno titoli di debito subordinati (cioè più rischiosi) si sono rivelate insufficienti a coprire le perdite e ricapitalizzare la banca, e sempre che l’autorità non decida di escludere tali crediti in via discrezionale, al fine di evitare il rischio di contagio e preservare la stabilità finanziaria. L’ordine di rischio per il bail-in è il seguente: gli azionisti; i detentori di altri titoli di capitale, gli altri creditori subordinati; i creditori chirografari; le persone fisiche e le piccole e medie imprese titolari di depositi per l’importo eccedente i 100.000 euro; il fondo di garanzia dei depositi, che contribuisce al bail-in al posto dei depositanti protetti. Sono invece completamente esclusi dall’ambito di applicazione del bail-in e, quindi, non possono essere né svalutati, né convertiti in capitale: i depositi protetti dal sistema di garanzia dei depositi, cioè quelli di importo fino a 100.000 euro; le passività garantite, inclusi i covered bonds e altri strumenti garantiti; le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o in virtù di una relazione fiduciaria, come ad esempio il contenuto delle cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposito; le passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni; le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni; i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali, purché privilegiati dalla normativa fallimentare. Questo meccanismo di risoluzione trova applicazione anche per gli strumenti già emessi e attualmente in possesso degli investitori.

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Dunque, massima attenzione ai rischi di alcune tipologie di investimento. Agli investitori meno esperti che invece intenderanno sottoscrivere titoli della banca dovrebbero innanzitutto essere offerti, anziché le “classiche” obbligazioni soggette a bail-in, certificati di deposito coperti dal Fondo di garanzia. Al contempo, gli istituti di credito dovranno riservare gli strumenti di debito diversi dai depositi agli investitori qualificati, in particolar modo quando si tratta di titoli subordinati, in quanto sopportano le perdite subito dopo gli azionisti.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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GIURISPRUDENZA ANNOTATA di Ciro Santoriello, Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Torino

Falso in bilancio - Presenza nel documento contabile di enunciati valutativi mendaci - Rilevanza penale del mendacio - Sussistenza (c.c., art. 2621) Falso in bilancio – Enunciati valutativi – Valutazione della loro falsità – Parametri di giudizio – Criterio del vero legale (c.c., art. 2621) Nonostante nella nuova formulazione del reato di falso in bilancio la condotta di mendacio sia riferita solo alla esposizione o l’omissione di fatti rilevanti, essendo scomparsa - rispetto alla precedente versione della norma - l’espressione “ancorché oggetto di valutazione”, deve ritenersi persistente la penale rilevanza degli enunciati valutativi, che sono anch’essi criticabile di falsità quando violino criteri di valutazione predeterminati

CASSAZIONE PENALE, SEZIONE QUINTA, 12 NOVEMBRE 2013 (DEP. 12 GENNAIO 2016), N. 890 - NAPPI, PRESIDENTE, BRUNO ESTENSORE; MAZZOTTA P.M.(CONF.); GIOVAGNOLI, IMP.

1. L’originale e paradossale tesi (sostenuta da Cass., sez. V, 16 maggio 2015, n. 33774, Crespi), secondo cui la nuova versione della fattispecie di false comunicazioni sociali non avrebbe consentito la punibilità di valutazioni di bilancio mendaci - stante la scomparsa, all’interno della formulazione lessicale della disposizione, dell’inciso “ancorché oggetto di valutazione”, che compariva invece nella precedente versione della norma a fianco all’espressione “fatti materiali” onde definire l’ambito di rilevanza della condotta di falsità - è stata fortunatamente repentinamente abbandonata e superata dalla stessa Corte di legittimità, che con la sentenza in epigrafe in maniera esemplare ricostruisce l’ambito di operatività del nuovo art. 2621 cod. civ. (cfr. MUCCIARELLI, «Ancorché» superfluo, ancora un commento sparso sulle nuove false comunicazioni sociali, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; PERINI, I “fatti materiali non rispondenti al vero”: harakiri del futuribile “falso in bilancio”?, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; BRICCHETTI – PISTORELLI, La lenta

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scomparsa del diritto penale societario italiano, in Guida Diritto, 2015, 23, 56; LANZI, Quello strano scoop del falso in bilancio che ritorna reato, ibidem, 10; GAMBARDELLA, Il “ritorno” del delitto di false comunicazioni sociali: fra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. Pen., 2015, n. 218.3).

2. Le ragioni del revirement giurisprudenziale coincidono in gran parte con le osservazioni che, subito dopo la sentenza Crespi, aveva formulato la dottrina (cfr. MUCCIARELLI, «Ancorché» superfluo, ancora un commento sparso sulle nuove false comunicazioni sociali, in www.-dirittopenalecontemporaneo.it; PERINI, I “fatti materiali non rispondenti al vero”: harakiri del futuribile “falso in bilancio”?, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; BRICCHETTI – PISTORELLI, La lenta scomparsa del diritto penale societario italiano, in Guida Diritto, 2015, 23, 56; LANZI, Quello strano scoop del falso in bilancio che ritorna reato, ibidem, 10; GAMBARDELLA, Il “ritorno” del delitto di false comunicazioni sociali: fra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. Pen., 2015, n. 218.3; SANTORIELLO, Il nuovo reato di falso in bilancio, Torino 2015, 167). In primo luogo, la Cassazione evidenzia come la novità rappresentata dalla scomparsa dell'inciso “ancorché oggetto di valutazione” non determini alcuna conseguenza nella determinazione dell'ambito di applicazione della norma, posto che "quello in esame è tipica proposizione concessiva ... che ha finalità ancillare, meramente esplicativa chiarificatrice del ruolo sostanziale della proposizione principale" e quindi senza conseguenze deve ritenersi la sua scomparsa dal corpo della norma incriminatrice. Esemplificando: si immagini che una disposizione che reciti inizialmente “chiunque cagiona la morte di un uomo ancorché sia anziano e malato è punito ...” venga successivamente modificata con l’eliminazione della locuzione “ancorché sia anziano e malato”: nessuno evidentemente sosterrebbe che la scomparsa della suddetta formula abbia determinano un ridimensionamento dell’ambito di denotazione dell’illecito penale giacché la suddetta era pleonastica in funzione della definizione ed individuazione della classe dei fatti astrattamente puniti dalla norma”; orbene, medesima conclusione deve raggiungersi con riferimento alla fattispecie da noi esaminata in quanto “la soppressione da parte del legislatore del 2015 dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni” non è in grado di determinare in pratica alcun effetto sul campo di applicazione delle figure di reato in esame, restando logicamente invariati – in virtù dell’interpretazione

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complessiva di ciascuna disposizione incriminatrice – i casi ricompresi nella fattispecie legale” (GAMBARDELLA, Il ritorno del delitto, cit., par. 7. Nello stesso senso, SANTORIELLO, Il nuovo reato, cit., 167). Accanto a tale riflessione - che comunque ci pare assolutamente centrale, posto che le tesi di quanti affermano la sopravvenuta irrilevanza penale delle mendaci valutazioni di bilancio si fondano per l'appunto sulla scomparsa del suddetto inciso -, la Cassazione sviluppa altre argomentazioni attinenti essenzialmente alla natura del bilancio societario quale modalità di comunicazione di dati attinenti la situazione patrimoniale, finanziaria e contabili dell'azienda e che in quanto tale non può non ricomprendere al suo interno anche un'attività di valutazione inerente il valore dei singoli beni, valutazione che poi viene espressa inserendo bilancio il dato numerico espressivo della significanza economica del cespite considerato. Partendo consolidato presupposto secondo cui "quasi nel suo intero, il bilancio è costituito da valutazioni e che proprio esse sono gli oggetti privilegiati e più rilevanti delle relazioni e delle comunicazioni" (MUCCIARELLI, Le nuove false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; PERINI, Valutazione di bilancio e false comunicazioni sociali, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec. 1995, 547), la sentenza in epigrafe evidenzia come i termini utilizzati dal legislatore per designare l'oggetto della falsità - ed in particolare le espressioni "fatti materiali" e "fatti materiali rilevanti" - debbano essere interpretati considerando come gli stessi siano "termini squisitamente tecnici e non comuni, si come frutto di mera trasposizione letterale di formule lessicali in uso nelle scienze economiche angloamericane e, soprattutto, nella legislazione comunitaria, la cui originaria matrice non può, certamente ritenersi dissolta nella ditta traslazione". Ciò comporta che non può ipotizzarsi che nel bilancio contabile vengano esposti fatti che non siano a loro volta oggetto di una precedente attività di valutazione, proprio perché i dati economici e finanziari rilevanti che il suddetto documento contabile è finalizzato a comunicare a terzi intanto hanno rilievo in quanto la loro espressione numerica è la risultante di una antecedente complessa procedura di analisi e ponderazione della valenza patrimoniale ed economica del singolo cespite, sicché quando il legislatore parla di "fatti materiali" non intende riferirsi ad un dato fenomenico grezzo quanto al giudizio che i redattori del bilancio forniscono in ordine alla situazione economica, finanziaria, e patrimoniale della società cui il suddetto documento si riferisce.

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3. Di particolare interesse, nonostante si tratti di profilo che sembra presentare minore significanza, sono anche le considerazioni che la sentenza in epigrafe sviluppa con riferimento ai parametri sulla base dei quali stabilire se la valutazione estimativa che compare in bilancio possa dirsi mendace. E’ noto infatti che una delle principali problematiche in tema di rapporti fra valutazioni e fattispecie di falso in bilancio è rappresentata dal fatto che nel giudicare dell’esattezza di tale attività di stima non sono utilizzabili criteri di accertamento dotati del margine di precisione richiesto dalla norma penale né è possibile operare un raffronto oggettivo e certo fra il valore indicato in bilancio ed un dato naturale esterno cui la posta contabile si riferisce. Di tale tema la Corte di legittimità dimostra di aver contezza ma – rimandando a diverse decisioni in tema di falso ideologico - evidenzia come, pur se la rappresentazione di un fatto reca in sé un'indefettibile coefficiente di soggettività e di opinabilità, è comunque possibile predicare la falsità o veridicità di una valutazione giacché “ quando la rappresentazione valutativa deve parametrati a criteri predeterminati dalla legge ovvero da prassi universalmente accettate, l'elusione di quei criteri - o anche l'applicazione di metodiche diverse da quelle espressamente dichiarate -, costituisce falsità nel senso di discordanza dal vero legale, ossia dal modello di verità convenzionale conseguibile solo con l'osservanza di due criteri, validi per tutti e da tutti generalmente accettati, il cui rispetto è garanzia di uniformità e di coerenza, oltre che di certezze trasparenza". Trattasi di una considerazione condivisibile, specie laddove la Cassazione qualifica come falsa una valutazione quando l’autore della stessa asserisca di essere pervenuto alla valutazione finale del valore del bene sulla base di calcoli, metodi ecc. diversi da quelli da lui effettivamente utilizzati. Se infatti può riconoscersi la insopprimibile opinabilità di ogni stima contabile, la quale, quando considerata con riferimento all’esito finale della stessa - ovvero al dato numerico che compare in bilancio e che dà conto del valore che si è giunti ad attribuire ad un asset patrimoniale sulla base di considerazioni di vario tipo –, non presenta alcun nucleo forte di riferimento alla realtà e non è quindi sottoponibile ad un giudizio di verità o falsità che faccia riferimento alla conformità del suo contenuto rispetto a dati materiali esteriormente percepibili, diversa conclusione occorre assumere quando la singola valutazione venga considerata – non in relazione al giudizio finale esposto in bilancio, bensì – con riferimento alle modalità con cui a tale esito si è giunto.

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In particolare, ci pare evidente che la falsità di una valutazione può ben risiedere non nell’esito finale della stessa – o meglio, nella formulazione del relativo giudizio con attribuzione di un determinato valore all’assest stimato – quanto nella scelta delle modalità con cui a tale giudizio si perviene: si pensi al caso in cui un bene venga valutato, senza alcuna plausibile giustificazione, con il ricorso ad un criterio di stima diverso da quello normativamente imposto o consentito. In secondo luogo, posto che la valutazione di bilancio è l’esito di una procedura che si articola nell’utilizzo di determinati metodi di stima per pervenire poi all’attribuzione di un valore, allora occorre riconoscere 1) che al momento finale di tale operazione – ovvero alla definizione della valenza economica – non sarà riferibile alcuna connotazione in termini di fattualità materiale, ma al contempo 2) diversa deve essere la conclusione da assumere con riferimento alla fase antecedente giacché deve ritenersi un “fatto materiale” – nel senso richiesto dagli artt. 2621 ss. cod. civ. – la circostanza che i redattori di bilancio abbiano utilizzato per giungere alla determinazione del valore appostato un certo metodo di stima, con l’ulteriore conseguenza che rientrerà nella condotta di “falsa esposizione di fatti materiali” l’affermazione in nota integrativa di aver fatto ricorso ad un metodo di stima diverso da quello poi effettivamente utilizzato (per approfondimenti si consenta il rinvio a SANTORIELLO, Il nuovo reato, cit., 170). 4. Chiare le implicazioni che da tale impostazione discendono in tema di responsabilità degli enti. Rispetto alla precedente lettura che dall'articolo 2621 cod. civ. ha fornito la giurisprudenza e che sostanzialmente conduceva ad una applicazione assolutamente sporadica di tale disposizione, la decisione in epigrafe amplia significativamente la rilevanza della fattispecie criminosa di falso in bilancio e di conseguenza impone agli amministratori ed ai responsabili contabili della persona giuridica un estremo rigore nella redazione di tale documento, obbligandoli a fare attenzione anche al momento valutativo che funge da presupposto dell'iscrizione in bilancio di determinati valori numerici.

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ORGANISMO DI VIGILANZA di Patrizia Ghini, dottore commercialista e pubblicista in Milano e Luigi Fruscione, Avvocato, Thalis Consulting, Roma Le riunioni periodiche dell’OdV: spunti operativi - l’ispezione a sorpresa   Le attività che l’Organismo di Vigilanza deve effettuare sono indicate nel relativo Piano che ogni anno deve essere presentato, insieme alla richiesta di budget, all’Organo di vertice della società. All’interno del suindicato documento dovrà essere espressamente indicata anche la circostanza che l’Organismo di Vigilanza procederà all’effettuazione di attività ispettive a sorpresa (cioè controlli caratterizzati dalla mancata informazione preliminare ai soggetti che saranno visitati). I principali processi dove effettuare tale tipologia di controllo variano da azienda ad azienda in base al proprio core business, ferma una particolare importanza in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro e ambiente. L’attività a sorpresa è fondamentale per avere contezza di come sono applicate le regole di controllo in azienda. Nell’esecuzione delle verifiche non pianificate o a sorpresa (i “dawn raid” in materia 231) l’Organismo di Vigilanza deve attenersi a quanto indicato al riguardo nel proprio Regolamento. Come deve prepararsi l’Organismo di Vigilanza ? - La scelta su quando effettuare il controllo Particolare attenzione va posta in relazione al momento in cui effettuare la “sorpresa”; infatti, anche se può andar bene un giorno qualsiasi per i settori attinenti alla sicurezza sui luoghi di lavoro, può essere preferibile individuare una occasione specifica in base all’operatività aziendale (es. per una società che ha dei cantieri di costruzioni ogni giorno può andare bene, ma per un’altra che ha quale proprio core business il lavaggio dei vetri dei palazzi ovviamente si dovrà andare a verificare l’operato del personale durante lo svolgimento di una attività esterna). Così in sede ambientale ogni giorno può andare bene per svolgere il controllo per uno stabilimento industriale mentre, ad esempio, per una società marittima bisognerà scegliere il momento in cui la nave torna all’ormeggio e dovrà scaricare olii e materiali di risulta.

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Da quanto detto si evince che occorre individuare quali siano le criticità che si vogliono verificare al fine di individuare il momento maggiormente significativo per procedere all’ispezione: la scelta del momento in cui effettuare la visita a sorpresa è un elemento fondamentale dell’attività di controllo. - Quale documentazione utilizzare La documentazione da utilizzare è costituita dall’organigramma aziendale completo dell’indicazione dei nomi e dei ruoli del personale incardinato nella struttura che si verificherà, eventuali deleghe assegnate al personale, i protocolli 231 del processo, le procedure gestionali; ulteriore tema di analisi attiene all’attivazione dei flussi informativi indicati nella parte generale del Modello e nei protocolli in caso di verificazione dei relativi casi (es. superamento soglie di salvaguardia di emissioni nell’atmosfera; oppure mancata fornitura da parte della Società dei DPI previsti dalla schede di sicurezza); tale ultimo aspetto è assolutamente fondamentale in quanto senza le informazioni necessarie l’Organismo di Vigilanza è come se fosse cieco rispetto a ciò che avviene effettivamente in azienda, con conseguente impossibilità di mantenere un idoneo strumento di prevenzione reati. Da ultimo occorre evidenziare che sarà preferibile avere uno schema di cosa si vuole verificare, così da sottrarre quanto meno tempo possibile al personale ed essere, al contempo, incisivi nello svolgimento dell’ispezione. - Cosa verificare Gli aspetti da verificare sono: 1) conoscenza tra il personale dell’esistenza del Modello 231 2) conoscenza e applicazione dei protocolli specifici che il personale deve attuare 3) applicazione delle procedure gestionali 4) svolgimento dei flussi informativi 5) esistenza presso il personale di eventuali problematiche sorte e rilevanti ai fini 231 6) esistenza di eventuali problematiche sorte dall’applicazione delle procedure 231 che ne scoraggiano la possibile applicazione continua.  

 

 

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SCHEDA DI SINTESI

Visita a sorpresa

Processi su cui intervenire

Sicurezza sui luoghi di lavoro

Ambiente

Documentazione da utilizzare

organigramma aziendale

organigramma sicurezza

protocolli 231

procedure gestionali

Cosa verificare

conoscenza tra il personale dell’esistenza di Modello 231

conoscenza ed applicazione dei protocolli specifici che il personale deve attuare

applicazione delle procedure gestionali

effettuazione dei flussi informativi

informarsi presso il personale di eventuali problematiche sorte e rilevanti ai fini 231

informarsi di eventuali problematiche sorte dall’applicazione delle procedure 231 che ne scoraggiano la possibile applicazione continua

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PROFILI INTERNAZIONALI di Giovanni Tartaglia Polcini, Magistrato, Consigliere giuridico presso il Ministero degli Affari Esteri e Paola Porcelli, Avvocato, patrocinante in Cassazione, Foro di Benevento L'ambiente economico legalmente orientato nell'esperienza dei Fora multilaterali: l'attività anticorruzione e le politiche di compliance Sempre di più, nei gruppi di lavoro cui è affidata la governance delle policy anticorruzione, si concentra l'attenzione sugli aspetti della responsabilità degli enti e sulla necessaria armonizzazione minima delle legislazioni interne in subjecta materia. Sia in sede OCSE, sia in sede GRECO, così come nell'anti corruption working group del G20, si registra una certa disomogeneità di fondo dei quadri normativi di riferimento, con la complessificazione delle relazioni e delle iniziative di cooperazione giudiziaria e di polizia. Si avverte, da più parti, l'opportunità di una revisione della materia con l'adozione di strumenti giuridici in grado di superare gli ostacoli prospettati e perseguire, efficacemente ed effettivamente, la globalizzazione in un ordinamento sempre più multilivello. Nell'attività G20 del gruppo anticorruzione, il 2015 si era chiuso con l'adozione degli high principles on integrity and security in private sector. Si tratta di uno strumento normativo di primaria importanza (che sarà commentato sulla rivista a brevissimo), che replica a livello globale i principi della nostra normativa 231 del 2001. La filosofia di fondo del documento di policy in esame è quella della necessaria collaborazione attiva delle imprese nelle azioni di prevenzione e contrasto alla corruzione: si tratta della famosa "chiamata alle armi" del settore privato, che deve necessariamente collaborare e condividere lo spirito di questo nuovo principio di legalità con i pubblici poteri, in modo proattivo. Dato questo approccio come acquisito, ora, a livello internazionale si discute dell'opportunità e delle modalità di implementare la costituzione di un quadro normativo di riferimento meno farraginoso di quello attuale.

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La questione è quella dell'applicabilità degli istituti concernenti la responsabilità degli enti a livello transnazionale o transfrontaliero. Il caso è quello dell'impresa straniera che opera in ambiente nazionale, dell'impresa nazionale che opera in ambiente straniero, della multinazionale con plurisede che opera in svariati paesi. Non v'è chi non veda in prospettiva quali e quanti problemi interpretativi possano porsi, innanzitutto per stabilire quale sia la giurisdizione applicabile, quale sia, poi, la legislazione che si può invocare per la disciplina del caso concreto. Epperò, la questione non è solo quella della risoluzione di problematiche di referenti normativi e processuali: si pone difatti il problema non meno rilevante della necessaria cooperazione giudiziaria e di polizia, volta a far sì che i processi e le indagini in subjecta materia siano effettivamente volti all'acquisizione di risultati di rilievo. Non è un caso perciò che si invochi da più parti - la costituzione di network giudiziari e di polizia; - l'estensione alle sopra esposte materie degli strumenti investigativi già in uso per altre offensive della criminalità economica. A mero titolo di esempio, si può riflettere sulla questione delle confische e dei sequestri transfrontalieri, già teorizzata e studiata dalla World Bank nel programma STAR (stolen asset recovery), che ha prodotto numerosi documenti di approfondimento e ha attirato l'attenzione della policy mondiale. L'Italia è all'avanguardia in questo settore, vantando un'esperienza incomparabile nel contrasto patrimoniale alla criminalità economica mediante l'istituto della confisca in tutte le sue forme di manifestazione. È evidente, altresì, che la materia interessi in generale le tematiche 231 e, in particolare, il settore della corruzione (la cd. foreign bribery). Non capita di rado, difatti, che una vicenda investigativa in materia di corruzione internazionale interessi più ordinamenti e più Paesi, come l'esperienza del working group on bribery attivo presso l'OCSE insegna. Nè di secondaria importanza, in subjecta materia, si prospetta la tematica del cd. denial of entry per i corrotti, rivolto ai capitali, ai corrotti e corruttori e agli enti coinvolti. Anche dal punto di vista delle imprese - soprattutto in quelle che operano a livello internazionale - si impone, pertanto, l'edificazione di modelli

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organizzativi e l'adozione di programmi di formazione nello spirito di prevenzione proprio della 231. La responsabilità degli enti derivante da reato evoca un nuovo profilo di professionalità di audit e compliance, di risk management e asset governance, in grado di cogliere le sfide del diritto contemporaneo, sempre più globalizzato. La capacity building di detta nuova classe manageriale, sarà missione strategica dell'Accademia più avveduta e delle grandi imprese pubbliche e private interessate ai mercati esteri del prossimo futuro.

 

 

 

 

 

 

 

 

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SOCIETÀ ED ENTI PUBBLICI di Carlo Manacorda, Esperto in Management delle aziende pubbliche, già Docente di Pianificazione, programmazione e controllo delle aziende pubbliche, Università degli Studi di Torino

Le nuove regole per l’arbitrato nei contratti pubblici: possibili riflessi sul Modello di organizzazione e gestione delle società controllate o partecipate da un’amministrazione pubblica

La legge 190/2012 per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione (dopo legge 190) ha modificato, tra l’altro, alcune norme in materia di arbitrato nei contratti pubblici. In particolare, dopo aver stabilito, al comma 18 dell’articolo 1, il divieto per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, gli avvocati e procuratori dello Stato e i componenti delle commissioni tributarie di partecipare a collegi arbitrali o di assumere l’ incarico di arbitro unico (pena la decadenza dagli incarichi e la nullità degli atti compiuti), con il comma 19 sostituisce il comma 1 dell’articolo 241 del Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 163/2006. Prevede che le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture e concorsi di progettazione e di idee, “possono essere deferite ad arbitri, previa autorizzazione motivata da parte dell’organo di governo dell’ammi-nistrazione. L’inclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell’avviso con cui è indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell’invito, o il ricorso all’arbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli” (plurale che non sembra accordarsi col soggetto singolare; ma così è scritto nella norma). Il comma 20 sempre dell’articolo 1 della legge 190 stabilisce poi che: “Le disposizioni relative al ricorso ad arbitri, di cui all’articolo 241, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come sostituito dal comma 19 del presente articolo, si applicano anche alle controversie relative a concessioni e appalti pubblici di opere, servizi e forniture in cui sia parte una società a partecipazione pubblica ovvero una società controllata o collegata a una società a partecipazione pubblica, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, o che comunque abbiano ad oggetto

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opere o forniture finanziate con risorse a carico dei bilanci pubblici. A tal fine, l’organo amministrativo rilascia l’autorizzazione di cui al citato comma 1 dell’articolo 241 del codice di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, come sostituito dal comma 19 del presente articolo. I commi 21, 22 e 23 ancora dell’articolo 1 della legge 190 prevedono che la nomina degli arbitri per la risoluzione delle controversie nelle quali è parte una pubblica amministrazione avviene nel rispetto dei princìpi di pubblicità e di rotazione. Che qualora la controversia si svolga tra due pubbliche amministrazioni, gli arbitri di parte sono individuati esclusivamente tra dirigenti pubblici. Se, per contro, la controversia ha luogo tra una pubblica amministrazione e un privato, l’arbitro individuato dalla pubblica amministrazione è scelto preferibilmente tra i dirigenti pubblici. Le norme della legge 190 innovano dunque, parzialmente, il quadro riguardante l’arbitrato nei contratti pubblici. Al contempo lo estendono, esplicitamente, anche alle controversie relative a concessioni e appalti pubblici di opere, servizi e forniture in cui sia parte una società a partecipazione pubblica ovvero una società controllata o collegata a una società a partecipazione pubblica, o che comunque abbiano ad oggetto opere o forniture finanziate con risorse a carico dei bilanci pubblici. Tenendo conto dei mutamenti normativi intervenuti, sembra lecito chiedersi se le nuove disposizioni in materia di clausola compromissoria nei contratti pubblici possano riflettersi sulle modalità applicative della disciplina stabilita dal decreto legislativo 231/2001 (dopo decreto 231) ai soggetti sopra indicati. La domanda è suscitata anche dall’emanazione della nuova determina dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) n. 13 del 10 dicembre 2015 (G.U. n. 300, del 28.12. 2015) a oggetto: “Aggiornamento della determina n. 6 del 18 dicembre 2013 recante indicazioni interpretative concernenti le modifiche apportate alla disciplina dell’arbitrato nei contratti pubblici dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”. Come si evince anche dall’oggetto, l’ANAC affronta, nel provvedimento, il tema specifico dell’arbitrato nei contratti pubblici, ridefinito dalle norme della legge 190, norme che si applicano anche alle controversie nelle quali è parte una società a partecipazione pubblica ovvero una società controllata o collegata a una società a partecipazione pubblica. Puntualizza anche alcune questioni riguardanti la nomina

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dell’arbitro di elezione pubblica nonché l’obbligo delle pubbliche amministrazioni di garantire la certezza delle posizioni giuridiche dei contraenti precisando le condizioni per l’eventuale definizione delle controversie mediante arbitri. Per provare a dare una risposta al quesito che ci si è posti, sembra opportuno procedere ad una mini ricostruzione sistematica delle disposizioni che riguardano l’applicazione delle norme anticorruzione ai soggetti indicati nel comma 20 dell’articolo 1 della legge 190. Con la determina n. 8/2015 (1), l’ANAC ha definito le modalità con le quali questi soggetti (parzialmente nominati diversamente) devono dare applicazione alle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione. Nel contesto delle direttive, si evidenziano le correlazioni che intercorrono tra legge 190 e decreto 231. Il punto centrale di congiunzione è ravvisato nel Modello di organizzazione e gestione, previsto dagli articoli 6 e 7 del decreto 231 (dopo Modello). Si sottolinea infatti la connessione tra il Modello e il Piano di prevenzione della corruzione, richiesto dall’articolo 1, comma 5, della legge 190. Conseguentemente − dopo aver disposto che le amministrazioni pubbliche che controllano o partecipano a società devono promuovere l’adozione, presso queste, del Modello − si prevede che, ove il Modello sia già adottato, deve essere integrato mediante un “rafforzamento” dei presidi anticorruzione già in esso contenuti. Ciò considerando anche che la legge 190 – come precisato dalla stessa ANAC con la determina n. 12/2015 – fa riferimento ad un concetto di corruzione più ampio in cui rilevano non solo l’intera gamma dei reati contro la pubblica amministrazione, ma anche le situazioni di “cattiva amministrazione” (maladministration), nelle quali vanno compresi tutti i casi di deviazione significativa, dei comportamenti e delle decisioni, dalla cura imparziale dell’interesse pubblico. Qualora il Modello sia assente, devono prevedersi apposite misure anticorruzione ai sensi della legge 190. La determina stabilisce poi incombenze diverse per l’applicazione delle disposizioni della legge 190 a seconda che si tratti di società controllate o partecipate da una amministrazione pubblica (2).

                                                                                                                         (1) La determina n. 8/2015 contiene le “Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici”.  

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Le determine dell’ANAC n. 8/2015 e n.12/2015 fissano, dunque, i tratti generali della questione riguardante l’applicazione delle norme anticorruzione alle società controllate e partecipate dalla pubblica amministrazione e le loro connessioni con la disciplina stabilita dal decreto 231. La determina n 13/2015 affronta l’argomento specifico dell’arbitrato, peraltro ricordando che le nuove norme introdotte in materia di clausola compromissoria nei contratti pubblici si applicano anche alle società controllate o partecipate da un’amministrazione pubblica. Per chiarire le modalità di applicazione del nuovo atto dell’Autorità, sembra quindi giocoforza muovere dalla determina n. 8 atteso che essa precisa le “linee” entro le quali si deve svolgere la loro attività applicativa delle norme anticorruzione. Per questi soggetti, il Modello deve rispondere sia alle esigenze del decreto 231, sia a quelle della legge 190. Essi dovranno dunque valutare se le nuove norme in materia di arbitrato nei contratti pubblici possano costituire un’ulteriore area di rischio da considerare nella mappatura dei processi. In caso positivo, dovranno integrare il Modello con regole idonee a prevenire non soltanto la commissione di reati previsti nel catalogo del decreto 231, ma anche situazioni di maladministration, ad alta probabilità di presenza in tutta l’area dei contratti pubblici compresa quella della definizione delle controversie mediante arbitri. L’integrazione del Modello dovrà anche riguardare, ovviamente, i sistemi di controllo e sanzionatori della fattispecie. Va da sé che la complessità della materia postulerebbe ulteriori puntualizzazioni da parte dell’ANAC riguardanti, specificamente, il tema dell’arbitrato. In ogni caso, che riconducano i soggetti destinatari delle nuove norme in questa materia alle categorie individuate dalla determina n. 8/2015, così facilitando l’applicazione della disciplina prevista dal decreto 231.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     (2)  Per un’analisi della determina dell’ANAC n. 8/2015, cfr. MANACORDA, Società ed enti controllati e partecipati da pubbliche amministrazioni e norme anticorruzione: il ruolo del decreto 231 nell’interpretazione dell’Autorità nazionale anticorruzione e del Ministero dell’economia e delle finanze, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 3/2015, 217 ss.