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RIVISTA MENSILE DI ATTUALITà MODA CULTURA - COPIA GRATUITA - ANNO 7 - N. 1 GENNAIO/FEBBRAIO 2011 - TIRATURA COPIE 20.000 SPECIALE: Donne del Risorgmento

Chapeau GENNAIO 2011 Web

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Rivista di Moda

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Rivista Mensile di attualità Moda cultuRa - coPia GRatuita - anno 7 - n. 1 Gennaio/FebbRaio 2011 - tiRatuRa coPie 20.000

SPECIALE:

Donne del Risorgmento

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Direttore ResponsabileMara Parmegiani

Comitato scientificoGino Falleri Vice Presidente ordine dei giorna-

listi, On. Paola Pelino, Avv. Nino Marazzita, Giudice Simonetta Matone, Principe Carlo Giovannelli,

Dott. Emilio Albertario,

Segreteria di RedazioneMarco Alfonsi

Nicoletta Di BenedettoMarina Bertucci

Servizi fotografici di redazioneLaura Camia, Giancarlo Sirolesi

CollaboranoHelène Blignaut,

Marco Alfonsi, Costanza Cerìoli, Isabella De Martini,

Nicoletta Di Benedetto, Andrea Di Capoterra, Cristina Guerra, Rita Lena,

Nino Marazzita,Gaetano Costa,

Siderio, Josephine AlessioValentina Cardile

Fotografo: Maurizio Righi

Via Piero Aloisi, 29 - 00158 RomaTel. 06.4500746 - Fax 06.4503358

www.chapeau.bizAut. Trib. di Roma n. 529/2005 del 29/12/2005

Edizioni e StampaRotoform s.r.l.

Via Ardeatina Km. 20,400 - S. Palomba (RM)

Ideazione grafica ed impaginazioneDaniele Furini

Settore PubblicitàDirezione: 00158 Roma - via Piero Aloisi, 29

Tel. 06.4500746 - Fax 06.4503358 e-mail: [email protected]

In CopertinaIl Quarto Stato: Pelizza da Volpedo

La responsabilità legale del contenuto degli articoli e dei contributi di tipo pubblicitario è a carico dei singoli auto-ri. La collaborazione al mensile Chapeau è da ritenersi del tutto gratuita e pertanto non retribuita, salvo accordi scritti o contratti di cessione di copyright.È vietata la riproduzione, anche parziale, di testi, grafici, immagini e contributi pubblicitari realizzati da Chapeau.

A fare del delitto in famiglia il primo indiziato nella cause di morte in Italia non sono solo i fatti, ma il rapporto Eures-Ansa 2009 che, in riferimento all’anno precedente, piazza il Nord in testa alla clas-sifica, con 70 vittime donne, pari al 47.6 per cento delle 147 uccise nel 2008 in Italia (44 nel Sud e 33 al Centro). Non solo, perchè di-sgregando i dati a livello regionale, è la Lombardia a detenere il tri-ste record dei femminicidi (il 70 per cento consumato in famiglia): seguono Toscana e Puglia.Ma qual’è il movente? “Amori delusi, traditi, soffocanti, sfondi pas-sionali, che sfiorano il 30 per cento del totale», spiega lo psicologo Marinelli; forti difficoltà a comunicare, a stabilire relazioni affettive, ad esprimere o a comprendere stati emotivi, il tutto inserito in una sorta di “deserto emozionale”. In alcuni casi si registra una sostan-ziale incapacità ad assumersi qualsiasi responsabilità rispetto alle conseguenze delle proprie azioni e spesso questa carenza porta ad una serie di dipendenze: dal denaro, che costituisce il raggiun-gimento di uno status sociale elevato; dal successo, che diventa uno “scopo culturale”, dall’abuso di sostanze stupefacenti e alcool, visti come strumenti di potere, fine a se stessi, nei confronti della società e del gruppo dei pari.Come in tutti i casi di omicidio, ancor più se particolarmente efferati e ambientati in uno sfondo in cui si intrecciano personaggi ambigui, con personalità sfaccettate, l’attenzione e la curiosità di conoscere tutti i risvolti della vicenda sembra quasi una puntata di una soap opera e talvolta il confine tra realtà e fantasia è molto sottile, in quanto la continua esposizione a messaggi mediatici comporta una sorta di alterazione della percezione individuale e sfocia spesso in false convinzioni.Tra questi giovani non è raro incontrare soggetti che esibiscono comportamenti molto rischiosi per la vita, disturbi più o meno gravi del rapporto con la realtà, isolamento con atteggiamenti antisociali e disturbi del controllo degli impulsi, sessuali e non.Forse il preoccupante aumento di manifestazioni di violenza del-la società post-moderna può essere attribuito alla drammatica evaporazione del senso del limite e dei tradizionali valori etici per cui l’individuo tende sempre di più a essere valutato soprattutto in base al successo ottenuto e ai risultati conseguiti, indipendente-mente dai mezzi utilizzati. Ma forse più che di dipendenza dovrem-mo parlare di solitudine derivante dai new media, di vita virtuale che ti prende e ti allontana da quella reale.

Mara Parmegiani

I delitti infamigliauccidono più della mafia

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INDICENATA PER UNIRE

150° Ann. Unità d’Italia

DONNE DEL RISORGIMENTO

ANITA GARIBALDIUn’indomita Amazzone

LA CONTESSA DI CASTIGLIONEVirginia Elisabetta Oldoini

ANTONIETTA DE PACE

GIUSEPPA BOLOGNARA

NOI CREDEVAMO

MODASaldi che passione!

BENTORNATO BON TON

ROMA BY NIGHT

ARTE DELRINASCIMENTO

CINEMAEveribody’s Fine

Ricetta - OroscopoLibro del mese

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“Nata per Unire”

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1861 - 2011150° ANNIVERSARIO UNITÀ D’ITALIA

“Nata per Unire”

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É un dato ormai acquisito che la moda, e non solo quella dei grandi creatori che producono idee-oggetto per pochi for-

tunati, rappresenti una espressone culturale ed una testimonianza sociale dell’epoca in cui si ma-nifesta. Lo studio storicizzato dei modi di vestire non si limita quindi ad offrirci una visione del gu-sto di un’epoca, ma diviene una chiave di lettura per la conoscenza complessiva dei rapporti tra economia e società, tra società ed individuo.L’adozione a livello di massa di un nuovo tessuto, la scelta di un nuovo tipo di accessorio, l’impo-sizione di una nuova linea o di un nuovo “tipo” femminile, costituiscono dei fenomeni complessi che vanno ad incidere su campi eterogenei come

l’etica, la psicologia e perfino la politica.Un “Viaggio nella moda dell’Ottocento” rivela l’importan-za del costume e della moda come patrimonio d’informa-zioni sulla storia sociale ed economica di un’epoca, e come proiezione simbolica di comportamenti pubblici e privati. É questa la filosofia per valorizzare un periodo storico. Un periodo in cui le signore attendevano con ansia i figurini da Parigi per leggere le indiscrezioni delle toelette delle grandi dame francesi, anche se risalta il ruolo di primo piano che il Piemonte ebbe nella realizzazione dell’Unità d’Italia di cui proprio quest’anno si celebra il 150° anniversario.Nell’Ottocento i costumi richiedevano per la donna un com-portamento consono soprattutto al rango della nobiltà a cui apparteneva, attraverso un modo di vita improntato alla fa-miglia ed alla casa. Di lei si doveva dire poco negli ambienti dei piccoli paesi. Niente lodi e niente biasimi. Ma non era sempre così. Spesso la gente individuava in alcune nobil-donne un carattere ribelle, di comando, di vera conduttrice dell’economia del ceppo familiare. Senza dimenticare che molte di loro ebbe-ro una educazione elevata, nell’istru-zione e nell’edu-cazione musicale. Erano i primi se-gni inequivocabili dell’emancipazio-ne femminile che poco tempo dopo avrebbero segnato un’epoca.Da ricordare, in Italia, il lancio, nell’accesa atmo-sfera che precede i moti del 1848, di un vestito nazio-

Donna che, “con animo virile” combatté valorosamente nelle Cinque Giornate di Milano: essa indossa la fascia tricolore a bandoliera (o “ad armacollo”) su un semplice abito con giacca scura di foggia militaresca e imbraccia il fucile.

Passione patriottica

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Laura Beatrice Mancini Oliva (Napoli 1821 - Fiesole 1869).

Ventaglio in avorio e carta (c. 1848) con scena raffigurante soldati e dame piemontesi col tricolore. Una forma di propaganda senza dare troppo nell’occhio ai reazionari.

oggetto del sarcasmo dell’austriaco conte Hübner che, rimasto a Milano durante le Cinque giornate, ne riconosce tuttavia il fascino.Per quanto riguarda le donne del Risorgimento meridionale, c’è pervenuta oralmente tutta una serie di aneddotica dove emerge un tipo di donna “vi-rile”, per usare un termine allora di moda, che non disdegnava di invadere campi a lei ritenuti non congegnali, come i conflitti politici e militari, in bar-ba ai “principi” di allora sulla presunta “inferiorità biologica della donna”.Un valido contributo politico, nel periodo risorgimentale, fu ricoper-to proprio dalle donne: aristocratiche e altoborghesi che, approfittando di occasioni mondane, non disdegnavano di nascondere, tra le acconciature dei capel-li e il fondo dei mutandoni, corrispondenze minute de-stinate ad altri Stati, affinché passassero tranquillamente le dogane; e da madri, mogli, sorelle dei patrioti, coinvolte nelle azioni cospirative. Svol-sero con alto senso di corag-gio compiti di ricercatrici di armi e munizioni, adoperan-dosi anche nel reclutamento di volontari. Assicuravano ai loro congiunti, ricercati dai Borboni, un sicuro nascondiglio e per i pri-gionieri la delicata opera del loro riscatto con la vendita spesso dell’inte-ro patrimonio familiare. Molte patirono il carcere per cospirazione e fa-

voreggiamento a seguito di dure condanne. Nel 1859 la poetessa napoletana, Laura

Beatrice Oliva che aveva guardato con grande entusiasmo alla po-

litica di Cavour e alla guerra di Crimea del 1856, volle che uno dei suoi figli fosse il pri-mo ad arruolarsi, mentre lei

inviava versi di incitamento a Vittorio Emanuele e a Garibaldi.

nale che, per riannodarsi alla tradizione, dovrebbe utilizzare stoffe italiane. L’idea di adottare un modo di vestire che stimo-lasse slanci liberali e patriottici, durante il dominio austriaco, inizialmente si era limitato al cappello, su iniziativa sponta-nea di gruppi di giovani che si riunivano nei caffé milanesi (“della Peppina”, vici-no al Duomo e “della Cecchina”, quasi di fronte al Teatro della Scala); poi, con un tam-tam, si era diffuso in Piemonte e nel Napoletano. Emblematica la proibi-zione di cappelli piumati, ispirati ai moti calabresi, firmati con decreto austriaco del 15 febbraio 1848 dal barone Torresani Lanzenfeld. Ma già nel 1848 si parlava di vestito o costume all’italia-na come “dimostrazione antipolitica”. Il costume all’italiana o alla lombarda com-parve sui giornali di moda ed fu

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Passione patriottica

Le donne del Sud ancora una volta, si sono volute distinguere, salutando i loro uomini che partivano, lanciando al loro passaggio fiori e grida augurali. Donne senza nome, che hanno operato personalmente o che hanno sostenuto i loro congiunti. Conse-gnavano munizioni e acquavite e anche una “vistosa” bandiera tricolore ornata dello scudo sabaudo, in cui i bordi e la croce erano ottenuti con i galloni argen-tati in uso per i costumi albanesi femmi-nili. Donne che aprirono i loro salotti al nuovo spirito libertario. Salotti autorevoli come quello della contessa Maffei a Mila-no, Bianca De Simoni Rubizzo a Novara, o quello di Giuditta Sidoli. A Genova fa sa-lotto d’opposizione Luisa Nina Schiaffino

Giustiniani, fuggendo poi a Parigi dove accoglie, nella sua casa, gli esuli Confalonieri, Pellico e il giovane Cavour.Svolgono nuovi ruoli, come infermiere; fondano asili per gli orfani; combattono cavalcando come, a Milano, Cristina Trivulzio o sulle bar-ricate come Teresa Durazzo Doria o Anita Ribeiro Garibaldi a Roma, oppure sostengono con la loro fede, destini di esilio e di prigionia, consegnando alla storia e al futuro dell’Italia, un patrimonio di valori morali e civili che accompagnerà il faticoso percorso dell’Unità. Nel 1848 la litografia facilita la diffusione dei ventagli patriottici che poi, tornato Radetzky, si camuffano in modo innocente e le signore li sfog-giano con stecche tricolori o con ritratti di Carlo Alberto con il motto “Italia libera, Dio lo vuole”. Perchè la bandiera, con i suoi colori, più che rappresentare un segno dinastico o militare era anche il simbolo di ideali di libertà e indipendenza che si andavano formando non solo in Italia, ma anche in altre nazioni. Ideali soffocati dal Congresso di Vienna e dalla Restaurazione.Fu dunque negli atti risorgimentali, che caratterizzarono i primi decen-ni dell’800, che il Tricolore diventò l’emblema della lotta e della libertà. Così per i moti mazziniani e per le imprese dei fratelli Bandiera. Il sen-timento racchiuso nella bandiera italiana segnerà la Prima Guerra d’Indi-pendenza quando Carlo Alberto adotterà il ves-sillo insieme allo scudo dei Savoia e così quando, nel 1861, fu proclamato il Regno d’Italia, la ban-diera, per consuetudine, continuò ad essere quella del 1848.La sera del 6 Febbra-io, 1847 nel corso della 22.a rappresentazione del Macbeth di Giusep-pe Verdi la famosissima ballerina Fanny Cerrito

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Il Quarto Stato - 1901- Olio su tela - Giuseppe Pellizza da Volpedo

fece la sua entrata in scena por-tando un velo bianco, rosso e verde. L’entusiasmo che questa comparsa suscitò nel pubblico fu enorme, in un batter d’occhio le signore che erano nei palchi estrassero dai loro vestiti dei faz-zoletti bianchi, rossi e verdi e li intrecciarono in modo da for-mare dei festoni tricolori lungo la linea dei palchi. Gli applausi si fecero sempre più insistenti ac-compagnati da grida inneggianti all’Italia. La storia del Risorgi-mento è povera di eroine, ma sa-rebbe sbagliato non riconoscere i meriti di Virginia Oldoini Contessa di Castiglione. Fallite le trattative con la Francia, Camillo Benso Conte di Cavour, Mi-nistro di Umberto Re di Savoia, affida a questa bella donna il compito politico di portare l’alleanza della Francia all’Italia. L’orgoglio stuzzicato e il gusto del potere lanciarono la bella contessa all’assalto dell’Im-peratore dei francesi. Gli abiti sontuosi, realizzati per lei dal sarto Worth, mettevano in evidenza il suo seno privo di busto, vanto della contessa e invidia delle ne-

miche. Abbinati al colore della lingerie, contribuirono a sedurre Napoleone che, particolarmen-te sensibile alla bellezze mulie-bre, non chiedeva di meglio, che “saggiare” anche quella splendi-da della Contessa di Castiglio-ne. Il risultato fu un accordo importante per casa Savoia che, con i patti di Plombières del 22 luglio del 1858, potrà estendere il suo potere in Lombardia, Ve-neto, Emilia Romagna. In cam-bio Nizza e Savoia -venduta allo straniero, dirà Garibaldi - e un

patto matrimoniale tra la figlia di Vittorio Emanuele ed il Principe Napoleone, cugino dell’imperatore. Ma il nero era il colore più usato: era il colore della guer-ra, della povertà del lutto. Contrasto evidente con la dolce vita di coloro cui fu dato trascorrerla tra il lusso e lo splendore dei saloni sfolgoranti di luci e gli sma-glianti, esaltanti, colori degli abiti delle signore dell’alta società.

Mara Parmegiani

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Donne delRisorgimentoCristina di Belgioglioso

Femminista ante litteram

Aristocratica, intellettuale, femminista ante litteram, ani-

mata da una passione civile, patriota per vocazione e convin-

cimento, preoccupata del benessere di chi la circondava (so-

prattutto gli umili), Cristina di Belgioioso subì critiche dure

perché anticipava i tempi, provocando scandalo.

Coraggiosa e irrequieta, dotata di indiscutibili qualità manageriali (in un’epoca nella quale le donne

svolgevano ruoli subalterni), colta e raffinata, amica di artisti e governanti, fu nemica, per tutta la vita

dell’oppressore austriaco. Nacque a Milano nel 1808 da un’illustre famiglia aristocratica, i Trivulzio,

sposando nel 1824 Emilio Barbiano d’Este di Belgioioso con una

cerimonia in grande stile.

La storia della principessa è segnata da una salute debolissima

(fin da bambina soffriva di epilessia) lottando con la sifilide, tra-

smessa dal marito Emilio. Malattia che la costrinse, per tutta la

vita, a sottoporsi a cure mediche, studiandone lei stessa le cause e

gli antidoti. Tutto ciò non le impedirà di distinguersi nei principali

eventi del nostro Risorgimento al pari dei compagni uomini.

Fu tra le adepte del Giardino, l’associazione carbonara femminile,

dove tre era il numero sacro che moltiplicato per tre dava il nu-

mero delle affiliate che componevano l’assemblea rituale. Questi

gruppi femminili partecipavano all’azione risorgimentale. La Mae-

stra Giardiniera si distingueva portando uno stiletto tra calza e giarrettiera e, dopo le Cinque Giornate

di Milano del marzo 1848, il cappello “all’Ernani”, divenuto assai popolare dopo la rappresentazione

dell’opera omonima.

Donna coraggiosa e impetuosa svolse un ruolo importante nel Risorgimento italiano: esule a Parigi,

sensibilizzò l’opinione pubblica (soprattutto intellettuali e artisti che frequentavano il suo salotto)

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del cielo”, invocando parità di diritti con l’uni-

verso maschile. Dedicò tutta la sua vita - che fu

affascinante e avventurosa - a combattere con-

tro i soprusi e pregiudizi.

Mara Parmegiani

sulla drammatica situazione italiana e sul-

la lotta disperata dei patrioti. Poi rientrata in

Italia partecipò, armi in pugno, al comando di

duecento volontari da lei stessa arruolati alle

Cinque Giornate di Milano; organizzò e diresse

l’assistenza ai feriti durante la Repubblica Ro-

mana insieme con Enrichetta di Lorenzo, com-

pagna di Pisacane, la marchesa Giulia Paoluc-

ci e l’americana Margaret Fuller; pubblicò e

diresse giornali che diffondevano le idee risor-

gimentali; in un paese lombardo costruì case

e scuole per il popolo. Fu anche un’anticipa-

trice del femminismo. In un saggio pubblicato

nel 1866 descrisse la condizione delle donne e

propose obiettivi e soluzioni, trent’anni prima

che le suffragette infiammassero l’”altra metà

Abito tessuto con i colori del nostro tricolore indossato, nel 1862 da una nobildonna calabrese, per i festeggiamenti dell’unità d’Italia. Musei Capitolini – collezione Mara Parmegiani –

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Elena Clara Maria Antonia Carrara-Spinelli nacque a Bergamo il

13 marzo del 1814 e morì a Milano il 13 luglio del 1886.

A diciotto anni andò sposa al conte Andrea Maffei, più anziano di

lei, celebre poeta e traduttore, ma uomo immaturo e superficia-

le. Matrimonio che si sciolse legalmente nel 1846, dopo 14 anni

di unione, ma restò legata al marito da un rapporto di fraterna

amicizia. Fu nel 1835 che la loro casa cominciò ad accogliere,

soprattutto per merito della padrona di casa e delle amiche che, vicendevolmente le segnalavano

ospiti illustri, personaggi di spicco del mondo artistico e letterario milanese, ma anche d’oltralpe.

Ritratto della contessa Clara Maffei

E quando nel 1842, i coniugi si trasfe-

rirono a palazzo Belgioioso, il salotto

di Clara, intelligente e colta si fa por-

tavoce dell’insofferenza milanese per

il dominio asburgico sposando la cau-

sa del liberalismo lombardo e soste-

nendo la cospirazione antiaustriaca.

Nel suo salotto passarono letterati,

politici, patrioti, giornalisti, scrittori,

come Zanardelli, Visconti, Venosta,

Nievo, Boito, Praga, Mantegazza, Ten-

ca, Tarchetti, Capuana, De Sanctis.

I moti del Risorgimento scuotevano Milano: il caf-

fè della Peppina e il caffè della Cecchina si gua-

dagnarono la nomea di «quartier generale delle

dimostrazioni»; le donne, Clara compresa, assi-

stevano i feriti, procurando loro cibo e medicinali;

i martinitt correvano da una parte all’altra di Mi-

lano a recapitare ordini e messaggi; i farmacisti

fabbricavano polvere da sparo, mentre i colleghi

oculisti si sistemavano in cima ai campanili per

spiare le mosse del nemico.

Il Salotto diClara Maffei

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L’appartamento di Clara è un via vai di esponenti

politici vicini a Mazzini, che in quei giorni conci-

tati decidono le sorti

del paese. Nella sua

casa: «Specchi di Ve-

nezia, quadri a olio

dell’Hayez, incisioni

del Casamatta e ri-

tratti d’amici insigni

adornano le pareti.

Nel suo salotto, per

quasi mezzo secolo,

si avvicenderanno

gl’ingegni più bril-

lanti dell’Ottocento, come D’Azeglio, Carcano,

Grossi, Verdi (che le fu amico per tutta la vita),

Giusti, Prati, Cattaneo, Tenca, giornalista, fonda-

tore e direttore della rivista “Il Crepuscolo”, con il

quale Clara ebbe un’intensa amicizia che non tar-

dò a mutarsi in lunga e salda relazione amorosa,

ma anche Listz e De Bal-

zac, che così la descrisse:

”La contessa era picco-

la, ma si sarebbe cerca-

ta invano una figura più

elegante, più snella e più

morbida...e non era meno

riccamente dotata sotto

l’aspetto dell’intelligenza

e dello spirito. Aveva la

battuta pronta, e sapeva

raccontare con una grazia

e un fascino infiniti. Fatta

per brillare in pubblico,

per attirare gli uomini più

raffinati, passava volen-

tieri le sue serate in casa,

circondata da un ristretto

gruppo d’amici che sapevano apprezzarla.”

Grazie a Garibaldi e all’intervento degli eserciti

piemontese e france-

se, i milanesi potero-

no finalmente esporre

su finestre e balconi

la bandiera tricolore.

E’ il 5 giugno 1859: la

Lombardia è annessa

al Piemonte, e per le

strade c’è chi esulta

al grido di «Viva il Re,

viva lo Statuto, viva l’I-

talia!». Nel salotto di

casa Maffei, si balla la Marsigliese e si discute (in

francese) dell’immediato futuro, spicca una foto-

grafia con firma autografa di Napoleone III, che

ha voluto così ringraziare la contessa per l’impe-

gno dimostrato. Impegno politico e civile che con-

sacrerà Clara Maffei come una delle principali

protagoniste del Risorgi-

mento italiano.

Donna discreta e riserva-

ta, ma intelligente, col-

ta e decisa, Clara Maffei

dimostrò pubblicamen-

te il valore politico delle

donne del tempo, contri-

buendo a disegnare una

pagina importante della

nostra storia nazionale: il

Risorgimento.

Così recita la lapide posta

a Milano in via Bigli per

ricordare l’instancabile

madrina dell’Unità d’Italia.

M. P.13

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Indomita, combattiva, ribelle. Affascinante, bella, con lun-

ghi capelli neri. “Alta, col volto ovale, dai grandi occhi neri

e i seni prosperosi”. Così descrive Garibaldi

nelle sue Memorie la giovane Anita, mezza

portoghese e mezza indiana, conosciuta in

Brasile dove era giunto nella speranza di re-

alizzare i suoi ideali di libertà, combattendo

per la causa repubblicana contro le truppe

imperiali brasiliane.

L’eroe dei due mondi si innamorò di lei appe-

na la vide. Decise in quello stesso istante che

doveva essere sua. Glielo disse spavaldamente in italiano,

perché non conosceva bene il portoghese. Ma questo non

spaventò Anita, che fu ancora più attratta da quel trenta-

duenne uomo italiano.

Anita, il nome fu scelto da Ga-

ribaldi. Al secolo Ana (il nome

completo è Ana Maria de Jesus

Ribeiro da Silva), nata nel 1821 a

Morrinhos (Brasile), era chiama-

ta con il diminutivo Aninhas. Ga-

ribaldi lo tradusse in italiano con

Anita. E da allora così è sempre

stata conosciuta.

Per dieci anni fu la sua donna, la

sua amante, la madre dei suoi quattro figli (una però morì ad

appena due anni), ma soprattutto fu la compagna di tutte le

sue battaglie. Di Garibaldi, Anita sposò sì l’uomo, ma anche

tutti i suoi ideali. Forte di caratttere, decisa e coraggiosa,

combattè non solo con gli uomini, ma come gli

uomini e spesso fu anche esempio, sprone per

i soldati a non lasciarsi vincere dallo sconforto.

Di spirito libero, condivise la lotta contro l’im-

perialismo brasiliano per la libertà del suo po-

polo, e non solo. Fu arrestata una volta e riuscì

a fuggire; la seconda volta non fu catturata per

un pelo perchè scappò a cavallo per i boschi con

in braccio il figlio di appena 12 giorni! Era infatti

un’esperta cavallerizza. Si disse che insegnò a Garibaldi a

cavalcare, ma forse lo aiutò solo a migliorare le sue capacità

ippiche.

I due si conobbero a Laguna, un

piccolo porto brasiliano. Appe-

na si videro, in qualche modo si

riconobbero:“restammo entram-

bi a guardarci reciprocamente

come due persone che non si

vedono la prima volta - scrisse

Garibaldi - e che cercano nei li-

neamenti l’una dell’altra qual-

che cosa che agevoli una remi-

niscenza , che appartenga al

sogno.” Ma di sogno non si trattava. Non si lasciarono mai

più. Lei, appena diciottenne, era già sposata da quattro anni

UN’INDOMITA

AMAZZONE

Anita Garibaldi

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con un calzolaio. Non lo disse subito a Garibaldi perché di

fatto si sentiva una donna libera. Del resto il matrimonio si

era rivelato un disastro. Il marito di Anita era violento, vile,

autoritario, costantemente ubriaco, la segregava in casa.

Non era certo il tipo di Anita. A un certo punto si arruolò con

gli imperialisti, ma all’arrivo dei rivoluzionari di Garibaldi,

scappò e di lui non si seppe più nulla.

Nonostante i buoni propositi, la rivoluzione brasiliana fu un

insuccesso, una vera e propria disfatta. La stessa popolazio-

ne non sempre fu riconoscente nei confronti dell’eroe. Alla

fine gli imperialisti ebbero la meglio. Anita e Garibaldi fug-

girono a Montevideo, in Uruguay, dove si sposarono. Lì rima-

sero sette anni, in cui nacquero gli altri tre figli, e vi condus-

sero una vita relativamente

tranquilla, con pochi mez-

zi, non certo agiata. Anita

era abituata alle difficoltà

ed era indifferente agli agi

e alle ricchezze. Garibaldi

mantenne la famiglia im-

partendo lezioni di inglese

e matematica. Ma non era

sufficiente. Così quando

venne chiamato a difende-

re l’Uruguay dalle mire espansionistiche del Brasile, accet-

tò, Fu nominato colonnello e alla famiglia fu data una mi-

gliore posizione economica. In realtà anche in Uruguay non

riuscì a fare molto. Montevideo rimase sotto assedio per otto

anni. E quando, ad appena due anni, morì la figlia Rosita per

un’epidemia di scarlattina, Anita impazzì dal dolore. Biso-

gnava andar via di là.

Dopo un po’ arrivarono notizie delle prime rivoluzioni eu-

ropee. Garibaldi aveva già i suoi contatti. E così decisero di

partire per l’Europa. Anita si imbarcò per prima con i figlie

e andò a Nizza dalla suocera. Garibaldi la raggiunse qual-

che mese più tardi. Poi da lì andarono a Genova. Era il 1948.

Già l’anno dopo i due erano di nuovo sul campo di battaglia

a difendere Roma e la neo proclamata Repubblica Romana

dagli attacchi dell’esercito francese e austriaco che voleva-

no ripristinare il potere papale. La resistenza fu eroica, ma

le forze avversarie erano nettamente superiori, per capa-

cità e per numero. I garibaldini fuggirono, sparpagliandosi

in strade diverse. Una fuga storicamente chiamata “trafila”.

Garibaldi e Anita scapparono attraverso montagne e fiumi, a

piedi o a cavallo. Fu un’odissea. Anita era di nuovo incinta, al

quinto mese di gravidanza. La marcia forzata la prostrò trop-

po, le sue condizioni di salute peggioravano a vista d’occhio.

Aveva fame e sete e aveva la febbre alta. Perse conoscen-

za. Garibaldi e i suoi amici la trasportarono in una cascina a

Mandriole di Ravenna. Chiamarono un medico, ma quando

arrivò Anita era già morta. E con lei il suo bambino. Aveva

solo 28 anni (4 agosto 1949).“Nel posare la mia donna in let-

to – racconta Garibaldi – scoprii sul suo volto la fisionaomia

della morte. Le presi il pol-

so…più non batteva! Avevo

davanti a me la madre dei

miei figli ch’io tanto amavo!

Cadavere!”

Garibaldi non voleva abban-

donarla, ma con la morte

nel cuore fu costretto a sep-

pellirla velocemente sotto

la sabbia e a riprendere la

fuga per non essere cattu-

rato dalla polizia papalina e dalle truppe austriache. Dopo

sei giorni un gruppo di ragazzini per caso scoprì la salma di

Anita. Venne riconosciuta come la “donna che accompagna-

va Garibaldi” e sepolta in un cimitero. Il suo corpo verrà poi

riesumato ben sette volte. Dieci anni più tardi Garibaldi fece

trasferire le sue spoglie a Nizza. Ma nel 1932 furono defi-

nitivamente poste nel basamento del monumento equestre

eretto in suo onore sul Gianicolo, a Roma.

Garibaldi proseguì la sua missione. Lo doveva non solo a se

stesso, ma anche a lei che non si era mai fermata di fronte

a nulla. Prima esule a New York, quando tornò sostenne il

regno sabaudo, trattò con il Conte di Cavour, arruolò i mille

garibaldini con le camicie rosse e il 5 maggio 1860 partì da

Genova verso Marsala, in Sicilia. Da qui iniziò l’unità d’Italia.

Cristina Guerra RAI TG1

Page 16: Chapeau GENNAIO 2011 Web

La Contessa di Castiglione

Virginia Elisabetta

OLDOINI

Soprannominata “Nicchia”(per il suo modo di rannicchiarsi), Virginia era bel-

lissima e intelligente: alta, bionda, occhi verdi profondi e vellutati. Col tempo

si sarebbe conquistata la fama di donna più bella d’Italia e d’Europa e sarebbe

riuscita a far risaltare il suo fascino con abiti audaci, strani, a volte spettacola-

ri, che non indossava mai più di una volta. Adorava i colori lilla, indaco, malva

e violetto. Ciò che ha sempre colpito gli storici è come la contessa riuscisse a

combinare un’indole passionale con un atteggiamento di lucida freddezza. Dif-

ficile dire se amò mai veramente qualcuno. Non ancora diciassettenne sposò

il conte Francesco Verasis di Castiglione Tinella e di Costigliole d’Asti, cugino

di Camillo Benso di Cavour che non rimase mai indifferente alla sua bellezza

e alla sua singolare vocazione all’intrigo. Fu così che decise di ricorrere a lei

per sedurre Napoleone III e avvicinarlo alla causa risorgimentale. Il Conte di

Cavour sapeva benissimo che senza l’aiuto della Francia, nessuna indipenden-

za dall’Austria sarebbe stata possibile. Né si sarebbe potuto eliminare lo Stato

Pontificio che ancora occupava tutto il centro Italia. Fu dunque lui a proporle una

missione alla corte francese di Napoleone III, per perorare presso l’impera-

tore l’alleanza franco-piemontese. “Voi brillerete a Parigi come attualmente

brillate a Torino. Avrete Napoleone ai vostri piedi. Egli farà ciò che vorrete. “:

“Cercate di riuscire, cara cugina, con il mezzo che più vi sembrerà adatto, ma

riuscite!” Il tessitore dell’unità italiana scrive poco dopo: “Una bella contessa

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Page 17: Chapeau GENNAIO 2011 Web

17

è stata arruolata nella diplomazia piemontese. Io l’ho invitata a ci-

vettare, se le riesce, a sedurre l’imperatore”. Ieri con discrezione ha

cominciato la sua missione, al concerto delle Tuileries”.

E la contessa, una grande donna che sapeva far cadere ai suoi piedi

gli uomini incantati dalla sua bellezza, sapeva a trattare di politica e

di affari con estrema naturalezza, che aveva la conoscenza delle lin-

gue, partì alla conquista di Parigi e dell’Imperatore.” Il suo ingresso

nella corte parigina fu spettacolare, esaltato da abiti e acconciatu-

re destinate a rivoluzionare la moda femminile. Virginia fu per due

anni protagonista della vita mondana e sociale, ma anche politica

e diplomatica, della capitale francese. E naturalmente Napoleone

III non resistette al fascino di questa Mata Hari del Risorgimento.

Dopo mezz’ora d’amore nella camera azzurra del castello di Compiègne,

la missione di Virginia era compiuta. E fu così che divenne una delle poche

donne in grado di svolgere una funzione politica nel Risorgimento, non solo

con l’influenza personale sull’imperatore Napoleone III, ma per l’insieme

di rapporti con gli ambienti della corte e per la trasmissione di preziose in-

formazioni all’ambasciatore piemontese Nigra. Virginia Oldoini fu al centro

delle complesse relazioni diplomatiche che in quel momento legavano l’Ita-

lia alla Francia, culminate nell’invito a Cavour a partecipare al congresso di

Parigi del 1856, di cui le viene attribuita parte del merito. Fino alla seconda

guerra d’indipendenza, che rappresentò il capolavoro dell’azione diplomati-

ca di Cavour, la contessa continuò a lavorare come agente del Regno Piemontese, poi tra alterne fortune, ma ormai irrime-

diabilmente passata di moda nel bel mondo, si dividerà tra l’Italia e la Francia, per stabilirsi definitivamente a Parigi. Avrà

ancora un ruolo politico durante la guerra franco-prussiana, adoperando le proprie vastissime credenziali per mitigare le

pretese dei vincitori ai danni della Francia. Molti anni dopo mentre faceva salotto, ammirando una camicia da notte verde

acqua custodita gelosamente in un’ampolla di cristallo, diceva agli ospiti che era quella la vera bandiera italiana! Alla sua

morte i servizi segreti sabaudi bruciarono tutti i documenti che la riguardavano, lasciandosi però sfuggire lettere, diari e

memoriali, grazie ai quali si è potuta ricostruire una pagina di storia italiana. M. P.

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La RivoluzionariaGallipolina

Antonietta

DE PACE

Tra le donne che hanno ‘fatto’ l’Italia accanto agli uomini, un posto di riguardo spetta sicuramente ad Antonietta De Pace che il 7 set-tembre 1860 sfilo’ al fianco di Giuseppe Garibaldi, insieme ad Emma Ferretti, nel momento del trionfale ingresso dell’eroe dei due mondi a Napoli. Antonietta De Pace nasce a Gallipoli, il 2 febbraio 1818, da una famiglia ricca e nobile. Il padre banchiere e la madre di origini aristocratiche. Bella e fiera, non tollera le ingiustizie sociali e la sua anima generosa si rivela già a tredici anni quando si rende conto del-le condizioni di vita durissime dei contadini che lavorano nelle cam-pagne di Ugento: la malaria, il tifo, la tubercolosi sono le malattie più diffuse dovute alla presenza delle paludi infette, dalla mancanza di acqua potabile sostituita dall’acqua putrescente delle cisterne, dalle condizioni igieniche precarie aggravate dall’alimentazione insuffi-ciente. L’anima di Antonietta è sensibile contro quelle che le sem-brano terribili sventure aggravate dall’ingiustizia sociale e, ancora adolescente, viene a contatto con un altro episodio che la porterà ad intervenire in prima persona in difesa dei deboli e degli oppressi:una donna, Tonina, detta “la donna del Pilone” vive come una belva ferita a causa del marito che la costringe a stare fuori da casa dove lei si è costruita un riparo con tavole e canne e spesso la bastona selvag-giamente, dandole da mangiare i propri rifiuti che lei non riesce a masticare poiché è senza denti. Antonietta le regala vestiti, del cibo ed un temperino per tagliuzzare il cibo e poterlo ingoiare. Con quel coltello però, la donna aggredisce ed uccide il marito. Antonietta ne rimane sconvolta e decide di studiare Legge per poter lottare contro la miseria morale ed economica della società a lei contemporanea ed in particolar modo per dare voce a tanti derelitti, donne, bambini, pri-vi di mezzi di sussistenza ed incapaci di reagire dinanzi all’ingiustizia sociale. Ma il destino cospira contro di lei e suo padre muore consu-mato da una malattia misteriosa, lasciando la famiglia nella dolorosa scoperta della rovina finanziaria. In realtà tutto è stato architettato dalla mente diabolica di un figlio adottivo nonché segretario del pa-dre in combutta con l’amministratore dei beni della famiglia De Pace. Nel 1830 iniziarono i tentativi rivoluzionari della Giovane Italia che culminarono con la tragica morte dei fratelli Bandiera in Calabria, nel 1844. Nel 1848. Antonietta è sulle barricate, travestita da uomo, al fianco di Giuseppe Libertini e con una repressione durissima: vie-ne arrestato anche il cognato Valentino che, condotto nel terribile carcere in celle fetide, buie e senz’aria, muore per collasso cardiaco

invocando l’aria. Antonietta non si dà per vinta; sotto lo pseudonimo di Emilia Sforza Loredano mantiene i collegamenti tra i mazziniani di Puglia e quelli delle altre regioni italiane, si affilia ad un gruppo mazziniano che fa capo al tarantino Nicola Mignogna e cospira contro i Borboni fino al momento del suo arresto, avvenuto nel 1855.La coraggiosa donna viene segregata per 15 giorni, in uno stanzino di un metro quadrato costretta a non riposare e a non muoversi ne-anche per i propri bisogni dal crudele commissario Campagna che, però non ottiene da lei alcuna confessione. Tradotta in un tetro carce-re femminile, per quasi due anni, è sottoposta a ben 46 udienze che si concludono con la scarcerazione essendo tre giudici su sei, contrari alla pena di morte. Esce dall’esperienza prostrata nell’animo e nel fisico ma nell’ottobre del 1858, la ritroviamo intenta a raccogliere fondi, armi ed adesioni per Garibaldi, diffondendo il giornale rivolu-zionario “L’ordine”, stringendo amicizia con altre celebri e coraggio-se donne tanto da dare vita, a Napoli, ad un circolo caratterizzato dalla presenza femminile. L’impresa dei Mille è vicina, Antonietta si reca a Salerno dove Marciano presiede un comitato d’azione per la li-berazione del Regno e dove Garibaldi giunge poco dopo, affermando, dopo aver saputo della dura esperienza di Antonietta de Pace: “Sono felice di essere venuto a spezzare le catene ad un popolo generoso, il cui governo non aveva rispetto nemmeno delle donne!”Nel 1862 con le sue nobili e valorose compagne di battaglia, si impe-gna a raccogliere fondi per la terza guerra di indipendenza. Garibaldi scrive ancora: “Grazie a voi, grazie alle nobili vostre amiche. Degno del vostro cuore è il generoso sussidio mandato ai miei compagni. Voi donne, interpreti della divinità presso l’uomo, molto già avete fatto per l’Italia: molto ancora dovete operare per l’avvenire. Molto confido nelle donne di Napoli. Vi accludo rispettosi ed affettuosi saluti.”Gli anni seguenti sono quelli della spinosa questione pontificia; Roma ed il papa non possono essere “toccati” senza incorrere nell’ira e nel-le armi dei francesi di Napoleone III°. Nell’agosto del 1891 Antonietta è per l’ultima volta nella “sua” Gallipoli dove partecipa con gioia ma anche con la mestizia di un presagio di morte, alla pesca notturna nelle acque prospicienti al castello. L’anno successivo si ammala ed il 4 Aprile del 1893, spira tra le braccia dell’adorato marito, nella re-sidenza estiva di Portici, vicino a Napoli.

Costanza Cerioli

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La RivoluzionariaGallipolina

Giuseppa

BOLOGNARA

«Peppa», olio su tela (1865) di Giuseppe Sciuti

L’8 aprile del 1860 scoppiarono a Catania gravi tumulti a cui fe-

cero eco Palermo e Messina. Tremila catanesi armati scesero in

piazza al grido “viva Palermo”, “viva l’unità d’Italia”, “viva Vittorio

Emanuele II”.

Ci furono scontri tremendi tra gli insorti e le truppe borboniche

e i Siciliani si infiammarono per lo sbarco a Marsala di Garibal-

di, con le sue “camicie rosse”. I patrioti si annidavano in tutte le

case mentre le milizie borboniche si erano barricate nella piazza

dell’Università. A questo punto entra in scena Giuseppina, una

coraggiosa popolana analfabeta originaria di Barcellona Pozzo di

Gotto, nata nel 1826 o nel 1841, figlia d’ignoti o frutto di avventure

amorose. Si dice che avesse il volto devastato dal vaiolo e che era

legata ad un suo compagno di avventure, il giovanissimo Vanni

L’intrepida donna, che per i catanesi fu e rimarrà sempre «Pep-

pa, ‘a cannunèra»: rimane una delle figure più care dell’insurre-

zione del 31 maggio. All’alba le campane delle chiese del Borgo

suonarono a distesa: la rivolta comincia. Altri rintocchi fanno eco

dalla chiesa del Carmine. I borbonici sono all’erta: I mille insorti

adunati a Mascalucia scendono in città. Al Borgo il primo contat-

to con i cavalleggeri borbonici. Partono le prime fucilate mentre

bandiere tricolori spuntano sui balconi. La cavalleria indietreggia

precipitosamente fino a piazza Università e salta dietro le barrica-

te attorno alle quali presto si accenderà una lotta accanita.

Ecco, ora, inserirsi nella lotta l’intrepida popolana Peppa

I napoletani, colti di sorpresa tra le vie della Loggetta e Mancini,

ripararono dietro le barricate tra l’Università e il Municipio, la-

sciando su via Euplio Reina diversi caduti e un pezzo di artiglieria,

di cui gli insorti non riuscivano ad impossessarsi per i continui

colpi di archibugio, ma che Peppa riuscì a tirare a se avvalendo-

si di un cappio ottenuto da una robusta fune, trascinandolo alle

spalle delle truppe borboniche. Spargendo della polvere pirica

sul cannone attese la carica della fanteria borbonica; dando fuo-

co alle polveri, procurando tanti feriti che, storditi, si lanciarono

alla carica, sicuri di riguadagnare il pezzo perduto. I rivoluzionari

però ebbero paura e abbandonarono le armi, lasciando il terreno

di combattimento. Ma Giuseppa Bolognara restò impavida, al suo

posto, e con grande sangue freddo improvvisò uno stratagemma,

dando nuova prova del suo meraviglioso coraggio. Diede fuoco

alla carica con grave danno degli assalitori e riuscì a mettersi in

salvo”.

Le epiche gesta dell’amazzone risorgimentale furono riportate

anche dai giornali stranieri e, per i suoi atti di eroismo, “Beppa

la cannoniera” ebbe assegnata dal Governo italiano la medaglia

d’argento al valore militare e una pensione di 9 ducati mensili

dal Comune di Catania; pensione che, più tardi, come risulta dai

documenti, fu tramutata in una gratifica, «per una sola volta», di

216 ducati.

In seguito le fu assegnato il compito di vivandiera della Guardia

Nazionale e prese parte all’espugnazione di Siracusa vestendo,

da quel momento, abiti maschili. L’eroina passò il resto della sua

vita comportandosi eroicamente nel nuovo ruolo assunto, felice

di poter fumare la pipa, giocare a tresette nelle bettole, e bere un

bicchierotto di vino paesano.

Caduta nelle mani degli usurai morì tra il 1884 e il 1900.

Marco Alfonsi

Patriota Catanese

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2020

noi credevamoCome allora, così oggi un senso di rassegnazione nichilista.Il passato ritorna.Giovani meridionali, antiborbonici e circoli intellettuali di esuli patrioti a Parigi e a Londra aspirano a quello che poi verrà denominato Risorgimento, ma che ora appare come mero terrorismo per combattere e incrinare la forte repres-sione esercitata sul popolo dai Savoia. Il romanticismo nobiliare non sente (non sente?) le plebi rivoltose, i salotti aristocratici non sentono (non sentono?) le esecuzioni in piazza, e pure risuonano, echeggiano e sono alte nell’aria le note delle sonate di Bellini. Echeggiano le imboscate sull’Aspromonte, splendono le baie italiane e scintillano, risuonano sordi i tonfi delle prigioni cavernose. Maz-zini, Crispi: il Risorgimento destrutturato da Martine e de Cataldo somiglia ad uno sceneggiato o a un romanzo di fantascienza.Presentato al Festival di Venezia 2010, nelle sale è in versione ridotta.E’ un affresco cupo che fa intuire ascoltare, sentire il sussurro del complotto, l’inganno della politica, il peso insostenibile e pesantissimo del dominio sociale.Questo teatro in cui si rappresenta le scena è antico, vecchio, dalle stoffe con-sumato, con le macchie alle pareti, ma da esso si leva un coro possente dove emerge sopra tutti gli altri Tony Servillo. Tutto il film è immerso in un senso di destino avverso, di ideali disillusi, di violenta rassegnazione nichilista. Una sensazione familiare, attuale.

Valentina Cardile

Italia – Francia 2010 Regia di M. MartoneCast: G. Di CataldoLuigi Lo CascioTony ServilloLuca ZingarettiDistribuzione: 01Genere: storico

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Gennaio mese di saldi, mese di buoni

affari: nei negozi di tutte le città d’Italia

le vetrine vantano prezzi super-scontati

su ogni genere di capo di abbigliamento,

accessorio e oggetto di design.

Abbiamo atteso, abbiamo osservato

mille volte quel capo, quel paio di scar-

pe, abbiamo resistito già sapendo che il

prezzo non facilmente raggiungibile dal

nostro portafoglio sarebbe immancabil-

mente calato. L’oggetto dei nostri sogni

fortunatamente ci ha atteso ed eccolo di

nuovo nella sua veste abbordabile.

Entriamo finalmente nel negozio, lo af-

ferriamo, ma qualcosa ci invita alla pru-

denza; siamo sicuri che si tratta proprio

di quello che avevamo inseguito? E il

prezzo originale corrisponde davvero

a quello che avevamo già notato? E lo

sconto è davvero quello che sui gigante-

schi cartelli promozionali ci prometteva-

no? Meglio, controllare! Meglio non farsi

incantare dalle sirene…

Comunque, per i patiti dello shopping

scontato, per quelli che amano frequen-

tare tutto l’anno gli outlet, qualche consi-

glio può essere gradito: meglio limitarsi

all’acquisto di qualcosa che davvero ci

GENNAIOMESE DI SALDISALDI CHE PASSIONE!

Page 23: Chapeau GENNAIO 2011 Web

23

sia utile, che abbiamo davvero desiderato,

di qualcosa che poi non metteremo nel di-

menticatoio con altri sprechi.

Se proprio non sappiamo rinunciare, meglio

allora scegliere una borsa, un accessorio

che per sua natura sia destinato a durare

nel tempo e che resista al vertiginoso mu-

tare delle mode. Meglio scegliere un classi-

co come il pull-over o il cardigan, il trench

impermeabile, la sacca da viaggio, la valigia

per le vacanze, la cartella da lavoro. Sa-

rebbe opportuno non avventurarsi in capi

d’abbigliamento stravaganti che potrebbero

poi farci pentire d’averli comprati. Le stra-

vaganze spesso arrivano dai famosi “fondi

di magazzino”, rutilanti, accattivanti sperando di rive-

dere la luce grazie alla nostra euforia del risparmio.

Le stravaganze, in genere, si accompagnano a quel-

la “robetta” che non vuole mai nessuno e che, giusto

durante i saldi, trova pronta la nostra debolezza.

Hélène Blignaut

Page 24: Chapeau GENNAIO 2011 Web

24

BONTON

BENTORNATOC’era una volta il Bon Ton, c’erano i grandi couturier della moda che dettavano

stili e stilemi, quei tessuti, quelle geometrie, quei grafismi che sapevano far

elegante una donna e un uomo.

C’erano le grandi firme che creavano architetture perfette, curatissime in ogni minimo dettaglio. C’erano le sarte e le sarti-

ne che sapevano confezionare magnificamente tailleurs, camicie, pantaloni e giacche. Che amavano lavorare sullo sbieco e

con le pieghe, che erano maniache delle fodere, dei bottoni e delle asole rifinite a mano, dei ganci, delle spalline, degli orli

fatti a mano, delle etichette ben cucite all’interno del capo.

Poi, esplose l’attitudine alla creatività libera con drastici deragliamenti da tutto ciò che era rigore: mode divertenti, su-

persexy, casuali, grunge, militari, animalier, luccicanti, brillanti, d’oro e d’argento; mode strappate, lacerate, osate fino

all’inverosimile, ma con il vantaggio di una reale libertà d’interpretazione della propria immagine. Nel senso che ciascuno

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BONTON

finalmente poteva davvero vestirsi come meglio gli pareva senza es-

sere additato, tacciato di ineleganza. Al contario, più “creativo” era il

look e più “modaiolo” appariva. Ma che c’era di male? Anzi! Solo che

quell’inevitabile rappresentazione del sé che è l’abito aveva smarrito

ormai ogni armonia e qualcuno temeva per sempre…

Poi, una schiarita, un’improvvisa voglia di quiete, di ritorno alla calma,

un nuovo desiderio di linee esatte, di “contro-riforma” ed ecco ma-

gicamente spuntare all’orizzonte i classici tubini, le giacche piccole e

ben tagliate, i cappot-

tini dritti e in misura, le camicie semplici possibilmente bianche, i pantaloni

a sigaretta.

Ecco la nuova stagione del Bon Ton con un debito fortunatamente mai sal-

dato con quel Monsieur De Givenchy che seppe rendere magnifico il corpo

lungo e spigoloso di Audrey Hepburn.

Un ritorno che non è una scimmiottatura di un’altra epoca, che non è no-

stalgia: è semplicemente voglia di eleganza e di sobrietà.

C.V

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2626

Rom

a by

nig

ht

a cura diGiancarloSirolesi

“Abiti da assaporare”, il calendario realizzato dall’associazione Creazione e Immagine corredato da ricette che cele-brano la tradizione gastronomica italiana

Un evento imperdibile per i professionisti del circolo del golf di Fioranello per le grandi gare di Natale.

Il bellissimo evento a Brasilia con il riconoscimento dell’OPE al nostro ambasciatore Gherardo la Francesca e la sfilata di abiti vintage.

GRANDE SUCCESSO DELLA MODA ITALIANA IN BRASILE

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La principessa Boncompagni Ludovisi

La contessa Patrizia de BlackIl prof. Giuseppe Mennini e Mara Parmegiani al Gilda per la sfilata di Charlottemborg Pet Moda, noblesse obblige

La principessa Olimpia Colonna e il principe Guglielmo GiovannelliLa duchessa Silvana Augero

Mattia Poggi, Valeria Monetti e Mara Parmegiani, conduttori in prima serata su SKY – Arturo 138

Denny Mendez e l’autore Alfonso Stagno in pausa

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Il dinamico autore Luca Mangione in piena attività

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E’ in mostra alla Galleria Borghese, fino al 13 febbraio, una singolare esposizione che mette a confronto due visoni del tutto opposte del Rinascimento. Da una parte le opere dell’artista tedesco Lucas Cranach (1472-1553), esposte per la prima volta in Italia, e dall’altra la ricca produzione degli artisti locali, classici, come Lorenzo Lotto, Giovanni Bellini, Raffaello.L’atmosfera delle opere dell’algido artista tedesco, caposcuola della pittura rinascimentale del Nord Europa, è cupa ed è in netto contrasto con la luminosità delle opere dei nostri pittori. Le differenze tra i due stili sono così evidenti che, percorrendo le Sale che ospitano la mostra, non si fa fatica a classificarle al primo colpo d’occhio. Le opere sono divise per temi, sei sezioni che descrivono i ritratti, il potere delle donne, la sensualità femminile, l’artista di corte, la fede. L’ultima sezione è dedicata alle stampe. Le 45 opere, eseguite ad olio di cui dieci con la tecnica xilografica, provengono dalle

maggiori collezioni pubbliche e private di tutta Europa. Il percorso espositivo parte da Venere e Amore che reca il favo di miele, dipinto da nel 1531. Una figura longilinea, nuda con un cappello in testa, appoggiata ad un tronco d’albero, con un puttino con un favo di miele in mano. Il singolare ritratto, si rifà all’iconografia dei grandi pittori italiani, ma allo stesso tempo è un’opera innovativa, infatti, l’autore è considerato un modernizzatore della pittura fiamminga dipingendo donne nude e seminude, sia in situazioni sacre sia profane, dando sempre alla figura femminile una forma allungata, privandola quasi della struttura ossea. L’artista tedesco è ricordato anche come l’artista della riforma luterana perché fu grande amico di Martin Lutero.

Info: Museo della Galleria BorgheseTel. 06 32810

Arte

L’ALTRO RINASCIMENTODI LUCAS CRANACH ALLA GALLERIA BORGHESE

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CINEMA

USA/ Italia 2009Regia e Sceneggiatura di Kirk JonesCast: Robert De NiroDrew BarrymoreDistribuzione: Medusa

Considerata la delicatezza sensibile ed effimera dello sguar-

do spaesato, fisso, incredulo che traspariva dagli spessi

occhiali da presbite dell’inimitabile Mastroianni mentre ci

sussurava, confortando soprattutto se stesso, che “STANNO

TUTTI BENE” e a tutti noi pareva di aver udito male, pareva

ci avesse intimato: “GUARDATE CHE NON É VERO, STANNO

TUTTI MALE”, considerata, dicevo, questa effimera delicatez-

za, eravamo sulle spine nell’’osservare come Kirk Jones si

sarebbe destreggiato in equilibrio in questo difficile remake.

Eppure, l’autunnale amarcordiano viaggio di un anziano dal

cuore troppo grande, troppo triste, troppo malato, troppo ca-

rico di speranza, troppo facile da deludere scorre con tran-

quillità e rassicurante decisione. Il film tocca le corde della

stretta del cuore, del bisogno umano, della speranza ben

(mal) risposta, del padre e del figlio, del sogno americano

e della carriera, della conquista dei figli con regali tangibili.

Di conseguenza il film riflette sul capitalismo e i suoi limiti

dimostrando quanto la crisi della società economica moder-

na possa trovare un sostituto solo SE e QUANDO parta dalla

sincerità. Sincerità che Robert De Niro, limitando le smorfie

e non scivolando nel patetismo, prima ricerca, poi domanda,

poi insegue, poi pretende ed infine ottiene.

La corda giusta della sincerità contrapposta al pericolante

capitalismo va certamente a somigliare al ‘Melodramma Fa-

miliare’, ma con esso egli utilizza il simbolo della famiglia

per specificare quanto le ambizioni sociologiche siano risibili.

Everybody’s fine, si può finalmente dire, forse, con buona

pace di Mastroianni.

Valentina Cardile

STANNO TUTTI BENEEVERYBODY’S FINE

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“Rubare è un mestiere impegnativo. Ci vuole gente seria, mica come voi. Voi al massimo potete andare a la-vorare”.Marcello Mastroianni - I soliti ignotiIl libroLa giustizia umana, i magistrati, gli avvocati, gli im-putati, le parti in causa, i processi sono tra gli ar-gomenti maggiormente presi di mira dalla satira, dall’opinione pubblica, dai pensatori di ogni epoca.Da maestri della risata come Woddy Allen, a filosofi come Thoma Hobbes, passando per personaggi po-litici come Otto von Bismarck e cantanti come Bob Dylan, ecco un’ampia scelta di aforismi, citazioni e battute fulminanti sul tema. Un libro per imparare, ridere e riflettere.

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CAPRICORNO Il Capricorno inizia il 2011 con una stagione di radicali cambiamenti che durerà molto tempo. Un periodo in cui avrete bisogno di affidarvi più alla razionalità che ai sentimenti come avete erroneamente fatto finora. Le posizioni planetarie sono favorevoli in quanto il Capricorno, segno cardinale come l’Ariete, beneficierà del positivo ingres-so di Giove nel suo segno amico con un forte impulso positivo già nelle prime settimane dell’anno. Soprattutto per le donne Capricorno che vedranno finalmente coronato il proprio sogno d’amore. Chi non ha una relazione stabile, molto presto farà un incontro importante… quindi attenzione, perchè chi non è abituato a relazioni fisse

e durature, forse questa volta dovrà rivedere il proprio punto di vista! Saranno favoriti i viaggi, anche lunghi, e avranno buona sorte tutte quelle scelte che potranno comportare un mutamento importante nelle vostre abitudini, tali da portare significativi cambiamenti tanto nel settore sentimentale come in quello professionale.DENARO Se lo vorrete, il 2011 potrebbe essere l’anno ideale per crearvi, un futuro su misura per voi, che dovrete soltanto trovare il coraggio di fare quel passo in più e investire quanto necessario, con un occhio particolare al settore immobiliare e alle opportunità che vi offre per una soluzione abitativa finalmente stabile. Siderio

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