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Roberto Mapelli Cesare Luporini e il suo pensiero Con la Prefazione di Fulvio Papi Edizioni Punto Rosso Collana Il presente come storia 1

Cesare Luporini e il suo pensiero - roberto mapelli · Un ringraziamento particolare a Barbara Battaglia che si è accollata il faticoso e noioso lavoro della battitura delle bozze

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Roberto Mapelli

Cesare Luporini e il suo pensieroCon la Prefazione di Fulvio Papi

Edizioni Punto RossoCollana Il presente come storia

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Finito di stampare nell’ottobre 2008presso Impressioni Grafiche, Acqui Terme, Alessandria

EDIZIONI PUNTO ROSSOVia G. Pepe 14 – 20159 MilanoTelefoni e fax 02/874324 e 02/[email protected]; www.puntorosso.it

Redazione delle Edizioni Punto Rosso: Nunzia Augeri, Alessandra Balena, Eleonora Bonaccorsi, Laura Cantelmo,Loris Caruso, Serena Daniele, Cinzia Galimberti, Dilva Giannelli, Roberto Mapelli, Francesca Moretti, Stefano Nu-tini, Giorgio Riolo, Roberta Riolo, Nelly Rios Rios, Erica Rodari, Pietro Senigaglia, Domenico Scoglio, Franca Ve-nesia.

Copertina di Dilva Giannelli

Un ringraziamento particolare a Barbara Battaglia che si è accollata il faticoso e noioso lavoro della battitura dellebozze.

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INDICE

Prefazione di Fulvio Papi Introduzione

Nota biografica

PARTE PRIMAL’esistenzialismo e gli scritti storico-filosofici (1935-1955)

Capitolo 1L’esistenzialismo di Luporini Kant e Scheler. Leopardi. Situazione e libertà nell’esistenza umana

Capitolo 2La storia della filosofia e il passaggio al marxismoLa storia della filosofia. Storia della filosofia e storicismo

PARTE SECONDADallo storicismo alla critica dello storicismo (1955-1965)

Capitolo 1Il criterio della pratica. Il rapporto uomo-natura. Il lavoro e i rapporti di produzione. I concetti di struttura e sovrastruttura. Il concetto di formazione economico -sociale: la posizione di Lenin e una prima interpretazione di Luporini. La dialettica. La teoria della rivoluzione. Marxismo e filosofia. L’umanesimo socialista. Lostoricismo “critico” di Luporini

Capitolo 2La lettura di GramsciIl marxismo italiano e Gramsci. Il primo convegno di studi gramsciani. Le posizioni di Luporini. Una critica fondamentale

Capitolo 3Verità e libertà. Il fondamento materialistico del marxismoVerità e materialismo. Soggettività e oggettività. Essenza e fenomeno. L’ontologia materialistica di Marx. Il problema della libertà

Capitolo 4La dialettica in Marx. Il dibattito su Rinascita del 1962La prima parte del dibattito. La seconda parte del dibattito. La posizione “anomala” di Luporini

PARTE TERZADalla critica dello storicismo all’analisi delle forme (1965-1980)

Capitolo 1Realtà e storicitàLuporini e Althusser. Il concetto di realtà e il fondamento materialistico del marxismo. Una divergenza sostanziale tra Marx ed Engels. Le categorie di “genetico-for -male” e di “genetico-storico”. Il concetto di formazione economico-sociale. La legge generale delle formazioni economico-sociali. Il modello teorico del Capitale di Marx.La realtà come sensibile-sovrasensibile. La realtà degli uomini e la questione dell’umanesimo di Marx. La dialettica di Marx

Capitolo 2Marx secondo MarxQuestioni filologiche: ancora sul concetto di formazione economico-sociale. Questioni sistematiche: continuità e discontinuità. Questioni sistematiche: unità e totalità.Questioni sistematiche: statico e dinamico. Questioni sistematiche: L’ingresso della storia. Questioni sistematiche: la lettura engelsiana di Marx. Materialismo storico ecritica dell’economia politica

Capitolo 3Dialettica e materialismo

Capitolo 4Critica della politica e critica dell’economia politicaLa questione della proprietà privata. La questione del politico. Un paradosso teorico. La conseguenza di una mancata concettualizzazione teorica

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PARTE QUARTALa crisi del marxismo, il ritorno a leopardi e l’attualità del comunismo (1980-1990)

Capitolo 1La crisi del marxismo come paradigma teorico totalizzanteMarx senza marxismo. Il pensiero di Marx come parte fondamentale di una generale teoria dei condizionamenti umani. Marx e Luhman

Capitolo 2L’originalità di Leopardi e l’attualità del comunismoLeopardi moderno. Natura, ragione e storia: il valore verità. L’ontologia negativa di Leopardi. La “virtù moderna” e il nichilismo attivo di Leopardi. L’attualità del comunismo

Conclusioni

Bibliografia degli scritti di C. Luporini Bibliografia degli scritti su C. Luporini Altri testi consultati

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a Eleonora e Lorenzo

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Prefazionedi Fulvio Papi

Il libro di Roberto Mapelli sul pensiero di Cesare Luporini è un’opera rigorosa e puntuale che non consiglierei dileggere come un documento di una memoria storica e, per quanto, mi riguarda, nemmeno come un’attualità oggimisconosciuta dai tempi della dimenticanza. A me pare un lavoro in attesa di una doppia contestualizzazione storicae teorica: storica perché le cose storiografiche che ho visto sul “marxismo italiano” non mi paiono affatto soddisfa-centi; quanto alla dimensione teorica ne farò solo qualche cenno in queste poche pagine, sperando che l’incognitadel tempo possa dare ulteriori occasioni.Luporini ha vissuto la relazione tra il suo lavoro filosofico e la appartenenza all’area politico-culturale del Partito co -munista come la condizione stessa dalla forma del suo pensiero. Del resto c’è sempre, in una esperienza autentica-mente filosofica, una condizione preliminare che circoscrive, seleziona, drammatizza un pensiero. Possono essere ifondamenti della matematica, la storia del proprio paese, la competizione per la verità filosofica di per se stessa. Na-scono così gli stili filosofici, la loro forma ideale, il loro modo di segnare la temporalità. Per Luporini credo si possadire che la ragione profonda del suo percorso filosofico sia di ordine morale, l’elaborazione di una certezza di esserenel modo “giusto”, nell’aura dell’autentico, nel proprio spazio del mondo.Un Kant non marburghiano, sulla scia di Heidegger e l’orizzonte politico del mondo aprono le condizioni per unapropria vicenda filosofica. Un’ostinazione interpretativa capace di grandi trasformazioni nel continente marxista,senza per questo mutare il suo senso etico. Questa mi pare la cifra di Luporini. C’è la competizione spontanea con ipropri simili e, nello sfondo, il travaglio della storia, le sue mutevoli referenze. Ne deriva un pensiero profondo nelsuo orizzonte filosofico, rischioso nella sua appartenenza a un mondo mutevole e plurale: un caso della intelligenzafilosofica che, proprio perché irrepetibile, diviene un modello.L’ultima volta che parlai con Luporini nell’occasione di una sua conferenza alla Fondazione Corrente a Milano, midisse che probabilmente, senza il forte condizionamento etico-politico, avrebbe potuto dare uno svolgimento piùricco alla sua impresa filosofica. Forse il suo cenno autobiografico correva alla feconda giovinezza e al suo stile teo -retico, quando con grande talento filosofico giocò le sue carte heideggeriane e gentiliane in un lavoro di gran lungatra i migliori (con il Jaspers di Pareyson) al tempo, come celiava Bobbio nelle pagine prestigiose della «Rivista di filo-sofia», in cui “si portava” l’esistenzialismo. In ogni caso i suoi libri “storici”, Voltaire, Leonardo, Kant, con il loro pro-posito di una nuova coscienza storiografica rispetto alla vulgata idealista, restano nel nostro patrimonio. L’“altro dasé”, il compiuto può anche apparire all’autore un incompiuto, ma “apparire” è un sentimento dell’intelletto, i librifatti, le fatiche usuranti passano all’effettualità dove aspettano i loro interlocutori. Così capita in ogni opera che tra-sforma il possibile, se fu “possibile”, in necessario.Nel “fatale” 1943 Luporini ovviamente, data l’età, non aveva ancora uno spazio universitario certo (vinse il concor -so nel 1955 in terna con Massolo e Alfieri, Banfi presidente della commissione), e allora Gentile gli propose di fareil bibliotecario alla Accademia d’Italia, dove, libero da un vero lavoro, avrebbe potuto continuare gli studi con tran -quillità. Luporini non accettò, certo per questione di coerenza morale che, a mio parere, assume una valenza in piùnel rapporto tra senso della vita e lavoro filosofico, dove il secondo, senza l’avventura del primo, rimane un valoreoggettivo, ma perde sul momento e anche dopo la seduzione della sua origine. Questo in generale, perché nel casodi Luporini la sua scelta era proprio in quel tempo “situazionale” che è la condizione stessa della libertà, una difficilelibertà che gioca se stessa tra le forze obiettive, tra ferocia, azione e speranza, nel mondo in cui sei stato “gettato”. Alla fine della guerra, Luporini è comunista con il problema, ovvio per un filosofo, della rappresentazione teoricacorretta sul corso del mondo. “Corretta” in questo caso vuole dire idonea a rappresentare in un organismo simboli -co la direzione etico-politica da conseguire con l’azione collettiva della politica in direzione storica. Con questa ideadi “correttezza” che naturalmente è destinata a mediarsi con categorie proprie della tradizione filosofica, si apre ilproblema della interpretazione dei testi marxiani come un compito che è contemporaneamente di verità e di azionepolitica. Cercherò di narrare nell’essenziale questa storia che l’ottimo libro di Roberto Mapelli mette in luce in tutti isuoi processi di trasformazione. Luporini, attraverso questa ricostruzione, torna sulla nostra scena con una memoriache per ognuno può assumere un suo significato. Anche di questo più avanti. Ora desidero ricordare che da ultimoLuporini, che aveva avuto sempre a che fare con la “storia”, se pure in modi differenti e anche incompatibili traloro, chiude con l’autore della sua giovinezza, Leopardi, ora compreso nella prospettiva del “nichilismo attivo”. Nonè la sola vicenda che nel tramonto di ogni metamorfosi storicista corra dalla storia alla morale, sottraendosi così aldestino non felicemente festivo del post-moderno. Ma nel caso di Luporini è una vicenda che chiude il cerchio delproprio cammino con una risoluzione morale che nell’universalità simbolica reca il segno di una esperienza persona-le. Quale che fosse il destino teoretico della teoria del valore (che fu storicamente il cardine ideologico del movi-mento operaio e il cui senso oggi si può vedere bene nell’equilibrio complessivo del Capitale), quali che fossero altreaporie dei concetti classici del marxismo o, molto, molto peggio, della realtà storica sfigurata orrendamente rispettoall’aspettativa, restava il tema di una solidarietà del vivere comune nell’eguaglianza dei diritti e dei doveri degli uomi-ni. So che Roberto Mapelli troverà riduttivo questo mio giudizio e allora tornerò ai capitoli essenziali del suo tragit -to.Sino al 1958 “l’approccio di Luporini al marxismo è di tipo unitario e sistematico”. Materialismo storico e materiali -smo dialettico sono l’uno lo svolgimento dell’altro, “piena e assoluta coincidenza”. Tuttavia l’ortodossia, dice Ma-

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pelli, non è uno scheletro intellettuale: “i termini di naturalismo, materialismo, dialettica e umanesimo restano decisi-vi e non privi di interpretazione originale” (p. 40). Tema centrale: l’uomo è distinto dalla natura nel senso che dallaradice naturale si è costruito come uomo attraverso la dimensione del lavoro che storicamente assume sempre laforma di rapporti produttivi. Questa è la base reale della vita collettiva che si rappresenta nella sovrastruttura, e inquesto rapporto e sull’importanza della “sovrastruttura” Luporini poteva trovare consonanza con le valutazione diStalin (che del resto, aggiungo io, era un lascito di Lenin). Da Lenin Luporini deriva la distinzione tra modo di pro -duzione e formazione economico-sociale, dove solo la seconda designa la realtà sociale in cui il modello “struttura -le” del capitalismo assume una sua forma collettiva. Oggi diremmo che ci sono più capitalismi e più storie del capi -talismo. Ma già allora il concetto di formazione sociale conduceva Luporini al di là di una concezione storicistica ditipo evoluzionistico-lineare. La dialettica non è una legge ma una contingenza, l’economia agisce come fosse natu-ra, ma vi sono “le decisioni alternative degli uomini” e “la filosofia diventa una forza per mutare il mondo traducen -dosi in prassi umana associata”. Dal mio punto di vista non desidererei tanto sottolineare la critica allo storicismocome Origine, Fine e Soggetto, quanto la sua mancanza a proposito di una filosofia che illude se stessa di cambiareil mondo scontando così, per fede, un idealismo invincibile e spontaneo. Senza volere i filosofi immaginano il lororuolo nel mondo. Un po’ ambiguamente anche la forza istituzionale del partito favoriva questa “illusione”. Il conve -gno gramsciano del ‘58 fu l’istituzionalizzazione egemone di uno storicismo critico gramsciano come dottrina dellasinistra italiana, prospettiva che fu propria anche di Luporini con una riserva sullo sfondo: troppo umanesimo, poconaturalismo (nel mio contributo - si parva licet - parlavo di “eros”).Nel ‘60 Luporini torna, attraverso il tema della verità oggettiva, sulla questione del rapporto tra natura e società:l’uomo elabora la propria radice biologica e soggettivizza il mondo. Ma soggettivizzare il mondo significa vederne ladimensione sociale. La conoscenza del resto è elaborazione rispetto alla rappresentazione sensibile. Luporini ripren-de, un poco metaforicamente, il concetto di “rispecchiamento”, ma nella realtà è l’hegeliano lavoro del concetto. Ilche non ha nulla di contraddittorio rispetto al pensare al marxismo come “una ontologia materialistica dell’esserestorico-sociale” (p. 85). Nel ‘62 il “marxismo italiano” si divide. Della Volpe pone il problema di un metodo galileia -no in Marx (oggi valuterei la tesi intorno all’astrazione), i suoi allievi negano l’oggettività della contraddizione, quin-di Hegel in soffitta. Luporini, al contrario, è per la continuità tra Hegel e Marx. Non, s’intende, una contraddizionedeterministica, ma una contraddizione interpretata storicamente, cioè nello spazio simbolico di una “concezione delmondo” che vede l’articolarsi storico della produzione economica ed elabora il modo per pensare nella sua obietti-vità scientifica il processo medesimo. È l’obiettività delle categorie che consente di strutturare secondo un ordineconcettuale una serie di fatti storicamente empirici. Una posizione di pensiero di questo tipo era la soglia possibileper due direzioni. L’una quella di una lettura del Capitale che risente della concezione “teorica” dell’opera marxianada parte di Althusser: “la costruzione del modello teorico (Il Capitale) ha epistemologicamente una natura formale-sistematica che si alimenta di dati storici”. Quindi una sincronia teoretica che “assume tranches diacroniche o nel lin-guaggio di Luporini genetico-formale”. La seconda possibilità, emersa molto bene negli ultimi studi del Capitale èl’assunzione del modello della Logica di Hegel dove, aggiungo io, la problematica del “feticismo delle merci”, inter -pretata sempre piuttosto male, ha il medesimo carattere che ha l’essere come Anfang nella Logica hegeliana.Nel pensiero di Luporini Il Capitale diviene “un modello scientifico interpretativo dell’ordinamento economico bor-ghese” che richiede, come qualsiasi modello, una “flessibilità di applicazione”. E’ una posizione antidogmatica che sirifà al modo stesso in cui Marx stabilisce il rapporto tra il modello e le direzioni diverse del capitalismo “rispetto aquello della sua genesi storica”. Nel testo del Capitale, nota Luporini, vi è una relazione teorica tra l’apparire del va-lore di scambio, l’analisi del valore-lavoro (astrattamente umano) e la ripresa corretta della concezione del valore discambio. A mio modo di vedere nelle pagine del Capitale è la riproduzione del passaggio della logica di Hegeldall’essere al soggetto: in fondo il nucleo teoretico della critica alla economia politica (che non è affatto “tutto” ilpensiero di Marx intorno ai classici). Ma il soggetto è soggetto-oggetto come in Hegel e non soggetto fenomenolo-gico come capita spesso nel marxismo occidentale.Luporini si è allontanano da Althusser per ragioni che hanno a che vedere con il tradizionale rapporto antropologia-storia. Althusser perde - sostiene Luporini - l’uomo sociale, quell’essere che è contemporaneamente sensibile e so-vrasensibile. Oggi direi che si tratta dell’umanesimo occidentale non darwiniano. Nel profondo è la ripresa umanisti -ca della lontananza tra l’immenso sviluppo produttivo e “lo sviluppo in senso umano della personalità individuale”(p. 134). Luporini vede in Marx la fine di ogni residuo di finalità storica, ma condivide un destino umanistico. Non èsolo il trasferimento di luogo di un universale filosofico?Credo di avere cercato di dire (ho l’impressione non troppo bene) una larga parte dell’analisi fatta da Mapellidell’opera di Luporini. Lo sviluppo tematico nel pensiero di Luporini è del tutto coerente con i temi che abbiamoveduto, con una notevole capacità di distinguere tra forme teoriche e, in senso lato, accadere storico sociale, tuttaviacon la sicurezza di poter sempre stabilire una relazione tra le une e l’altro, come compito teorico e politico. Luporinicoglieva nei suoi anni quello che era ed è un “sistema globale” un “insieme degli insiemi”. Cosa che, del resto, avevavisto benissimo Marx con il suo concetto di “mercato mondiale”. Il problema da un certo momento storico in poinon è il “sistema globale” ma piuttosto il come economico, finanziario, politico del sistema globale. E questo comenon è nient’altro che la storia del mondo, dai manchesteriani vincenti sui luddisti alla Cina contemporanea. Ora èquesta storia che avrebbe dovuto essere centrale in una esperienza marxista. La storia italiana a livello del marxismodelle cattedre (secondo la vecchia definizione di Anderson) è stata piuttosto una esegesi testuale delle opere alla ri -

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cerca della verità del libro come verità del proprio stare nella storia. Un equivoco, del tutto comprensibile, da “idea-lismo spontaneo”. La più attuale ricerca su Marx mi pare invece una corretta e puntigliosa filologia, mentre l’ultimamossa umanistica e metafisica nel campo marxista mi pare quella del “lavoro vivo”, sintagma ideologicamente e re -toricamente forte, ma privo di qualsiasi virtù analitica. Sempre secondo la classificazione di Anderson, dopo Gram-sci (un classico, ormai), marxisti della intelligenza teorica e della pratica non mi pare siano stati numerosi, qualchesindacalista, qualche politico tempo fa, ma poi divorati dalla “forza delle cose”.Rimangono figure filosofiche, felicemente prigioniere del loro lessico filosofico, delle tradizioni da cui provenivanoe in cui traducevano, più o meno coscientemente, il testo marxiano. Figure ammirevoli, ricche di ingegno, moral -mente superiori come il nostro Luporini, da ricordare e da studiare.Per il resto mi troverò a ripetere con un caro amico, grande ellenista, che mi pare siamo passati del tutto da una filo -sofia che doveva cambiare il mondo piuttosto che contemplarlo, alla filosofia che non riesce più a contemplare ilmondo. E se la filosofia naufraga, nonostante l’uragano delle nuove forme di comunicazione, è un fatto che destapreoccupazione. Si capisce, a un filosofo.

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Introduzione

Questo lavoro intorno alla riflessione filosofica di Cesare Luporini e, in particolare, intorno al suo marxismo, nonnasce esclusivamente da un interesse storico-filosofico, dalla giusta esigenza di collocare e commentare un impor-tante protagonista della nostra cultura a cent’anni dalla nascita, ma anche, e forse soprattutto, dalla profonda con-vinzione della sua importanza, della sua “utilità” nel travagliato periodo storico e culturale che stiamo attraversando.La riflessione di Luporini attraversa le correnti filosofiche principali del Novecento: idealismo, esistenzialismo, mar -xismo. Questo itinerario è caratterizzato da momenti di passaggio assai critici vissuti sul piano teorico della filosofia,su quello pratico-esistenziale e politico, in presa diretta con i grandi eventi storici di oltre mezzo secolo: il fascismo,la guerra, la guerra fredda, la crisi dello stalinismo, il crollo del socialismo reale nell’89 (con, a livello nazionale, letrasformazioni del Pci, fino alla sua fine). Questo itinerario e queste trasformazioni verranno analizzate analitica-mente nel lavoro che presentiamo.Prima però vorremmo sottolineare un elemento generale che si presenta con continuità nel lavoro di Luporini, con-ferendogli un tono preciso: il rapporto generale tra filosofia e politica. Per Luporini la filosofia è sempre critica, cer-ca di offrire strumenti di analisi complessiva della realtà per trasformarla, non è mai un semplice esercizio di inter -pretazione dello status quo, con una funzione conciliativa.La filosofia è critica e attiva, chiama all’impegno civile e sociale, in definitiva e in senso lato, politico; deve mostrarel’insufficienza e la mancanza dell’esistenza umana, la profonda ingiustizia del nostro vivere sociale e deve cercaredelle risposte per un cambiamento radicale. È in questo senso anche educativa e formativa, si rivolge ai giovani, achi deve anche costruire la propria personale esistenza. Essa è strutturalmente intrecciata, quindi, con la politica,così come la vita intera di Luporini, e la vuole trasformare: la politica non deve essere semplicemente (e mostruosa -mente) la tecnica dell’esercizio del potere, non deve essere “affare” esclusivo di un ceto autonominato che riesce avedere solo i meccanismi di potere e a discutere solo delle “regole del gioco” (e qui risiede, in primis, la grande am-mirazione di Luporini per la figura politica e teorica di Lenin). La politica deve guardare alla filosofia, perché solo la filosofia può guardare al mondo tracciando un filo diretto tral’esistenza individuale, la costruzione sociale, l’impegno di massa e i percorsi possibili di liberazione. La filosofiadeve fornire intrecciati l’accesso metodologico all’analisi scientifica della realtà e la passione per l’impegno e il cam-biamento. Così come la filosofia deve riguardare la politica, così quest’ultima deve fare con la prima. Per Luporini, come perHegel e Marx (o per Lukàcs, assai vicino a questa posizione), l’“apragmosina filosofica”, cioè la volontà, in filosofia,di non prendere mai partito, è il male peggiore, assolutamente peggiore del pericolo, che pure esiste, di cadere neldogmatismo e nel giustificazionismo partigiano. E qui sta un tratto della profonda attualità/inattualità di Luporini,visto che oggi proprio l’“apragmosina filosofica” sembra essere il sommo bene, l’indice del “libero pensatore” (“li -bero” in verità di accettare il presente, di eternizzarlo e di farne, infine e inevitabilmente, l’apologia). Il marxismo di Luporini corre proprio su questo crinale: è una presa di parte precisa, una condivisione e anche una“compromissione” con tutto un percorso storico-culturale che ha cambiato la storia di questo secolo e il destino diinteri popoli e soprattutto con le sue radicali domande e intenzioni di liberazione (non ancora assolutamente tra-montate); ma nello stesso tempo è attività critica, scontro acerrimo con ogni dogmatismo che cerca di piegare larealtà oggettiva ai propri interessi contingenti (come lo storicismo o lo stalinismo), di nascondere i risultati “scomo-di” del lavoro teorico e di evitare alcune fondamentali domande politiche. Il travagliato rapporto di Luporini con ilPci (travagliato, ma non a caso mai interrotto) è l’indice specifico di questa situazione. Luporini non si è fatto mai ir -rigimentare (e c’è stato questo tentativo proprio in merito alla critica dello storicismo marxista) e ha sempre com -battuto fino in fondo per le sue posizioni, dall’esperienza della rivista Società fino all’ultimo, in tutti i sensi della paro-la, congresso del Pci). La scommessa di Luporini, che credo abbia comunque vinto (come l’ha vinta, assai più tragi -camente, il suo compagno e amico francese Luis Althusser) è quella di essere stato insieme un filosofo libero e uncomunista, senza rassegnarsi in nessun momento, a dover scegliere l’abiura di uno di questi due termini. D’altrondenon è il comunismo il percorso di liberazione per una società di uomini uguali e liberi, veramente liberi?

L’oggetto specifico di questo lavoro è il marxismo di Cesare Luporini ed è affrontato sulla base di un taglio generaledi tipo cronologico. La prima parte (1935-1955), che ha un carattere introduttivo, assolutamente non analitico, de-scrive il periodo precedente (e di passaggio) alla “conversione” marxista e comunista di Luporini: quello esistenziali -sta e degli scritti storico-filosofici. La seconda e la terza parte (1955-1980) analizzano i maggiori scritti marxisti diLuporini con un doppio taglio: da una parte, in negativo, affrontando lo scontro polemico di Luporini con lo stori -cismo marxista, dall’altra, in positivo, ricostruendo la sua proposta interpretativa: l’analisi delle forme. La quarta par-te (1980-1990) ha un carattere conclusivo, se pur analitico, e riguarda la fine della riflessione marxista di Luporini,propriamente detta: l’abbandono di una prospettiva marxista come quadro teorico complessivo e dominante, il “ri -torno” a G. Leopardi e, con questo, la riaffermazione dell’attualità e del bisogno di un orizzonte comunista per ilpresente. Le conclusioni riprendono per sommi capi i temi di una nostra proposta interpretativa, che vede il marxismo di Lu-porini in una posizione originale nel panorama storico-filosofico europeo, come terza via tra il “marxismoorientale” e il “marxismo occidentale” e, in questa situazione, il suo rapporto con chi, a nostro parere, ha percorso

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più energicamente e significativamente questa strada: il Lukàcs nell’ultima parte del suo pensiero.

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Nota biografica

Cesare Luporini è nato a Ferrara il 20 agosto 1909. Nel 1935 si è laureato in filosofia a Firenze con il Professor La -manna, discutendo una tesi su Kant (Critica e metafisica nella filosofia kantiana). Successivamente ha studiato in Germa-nia con Heidegger e N. Hartmann. Da qui prende avvio la fase esistenzialista del suo pensiero, che si concretizzanello scritto Situazione e libertà nell’esistenza umana (1942). Sotto l’influenza dell’analitica esistenziale di Heidegger e diJaspers e in riferimento alla filosofia gentiliana, in questo testo Luporini tratta i classici temi dell’esistenzialismo, ap-prodando però a delle conclusioni assai meno “negative” e anticipando in esse alcune ragioni della crisi stessa diquesto pensiero e alcune linee del suo superamento. La maturazione di queste convinzioni portano Luporini, duran-te la guerra, ad abbandonare l’esistenzialismo e ad avvicinarsi al marxismo. Nel 1945 aderisce al Pci e redige, diventandone in seguito anche direttore, la rivista Società, la quale diviene ben pre-sto uno strumento assai importante di dibattito politico e teorico. In questi anni (’45-’55) Luporini si dedica preva -lentemente a studi di storia della cultura. Il tratto comune di questi studi è rappresentato dall’interesse di Luporiniper il problema del materialismo; troviamo quindi una interpretazione in questa chiave della filosofia tedesca, che siconcretizza in scritti su Scheler (L’etica di Max Scheler, 1935), Fichte (Fichte e la destinazione del dotto, 1946) ed Hegel(G.F.W. Hegel. Un frammento politico giovanile, 1945), nonché in un corposo testo di nuovo su Kant (Spazio e materia inKant, 1961), ma con particolare attenzione all’origine newtoniana della sua teoria. Inoltre Luporini si concentra sull’illuminismo francese (Voltaire e le Lettres Philosophiques. Il concetto della storia e L’illu-minismo, 1955) e sulle origini materialistiche della cultura italiana (Leopardi progressivo, 1947, e La mente di Leonardo,1954). Dalla fine degli anni ’50 Luporini si impegna in un grande lavoro teorico “dentro Marx”, nonché, dal puntodi vista politico dentro al Pci, diventandone anche senatore durante la III legislatura (1958-1963). Il marxismo di Luporini, che ha avuto anche una considerevole eco dal punto di vista internazionale (traduzioni infrancese, tedesco, inglese, giapponese e polacco), è fondato su una radicale critica dello storicismo, sul rifiuto di ogniconcezione teleologica dello sviluppo storico, ma anche sulla negazione di ogni forma di economicismo e meccani-cismo sociale. Esso guarda al pensiero di Marx come ad una concezione aperta e complessa (concretizzatasi soprat -tutto nelle opere mature), dove materialismo e dialettica assumono ruoli indispensabili e compongono una sintesiprofonda, mai conclusiva. I testi più importanti di questo lavoro di Luporini sono Realtà e storicità: economia e dialetticanel marxismo, 1966, e Marx secondo Marx, 1972, che, insieme a tutti gli scritti di quegli anni di ordine marxista, sonocontenuti nella raccolta di saggi Dialettica e materialismo (1974). Successivamente Luporini ha accentuato la sua criticaal marxismo come concezione totalizzante, considerandolo invece come parte fondamentale di una più generaleteoria dei condizionamenti umani (La concezione materialistica della storia in Marx, 1984). Negli ultimi anni il lavoro teorico di Luporini si è concentrato di nuovo sul pensiero di Leopardi, considerato nonpiù come una grande interpretazione della crisi rivoluzionaria di fine ‘700, ma come una eccezionale anticipazionedella ricerca e dei temi del pensiero moderno. Luporini vede in Leopardi la proposizione di un nichilismo che, però,non porta all’accettazione incondizionata della realtà, ma che spinge invece all’attività alternativa, alla decisione uma-na, sia pur votata allo scacco e alla disperazione. Di fronte ad una realtà naturale e sociale, profondamente inumanae degradata, Leopardi, secondo Luporini, non ci invita alla rassegnazione, ma alla resistenza attiva. Intorno a questitemi Luporini stava lavoranso ad un testo sistematico anticipato da alcuni articoli in occasione del 150° anniversariodella morte di Leopardi, e da due brevi saggi apparsi nel 1989 (Assiologia e ontologia del nichilismo di Leopardi) e nel 1990(Nichilismo e virtù nel percorso di Leopardi). Durante il dibattito che, a seguito degli straordinari eventi internazionali del 1989, ha preceduto l’ultimo congressodel Pci e la sua trasformazione in Pds, Luporini si è schierato decisamente contro la svolta (aderendo alla “mozionedue”), nella difesa dell’attualità della prospettiva comunista. Luporini è morto a Firenze nel 1993

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PARTE PRIMAL’esistenzialismo e gli scritti storico filosofici (1935-1955)

Capitolo 1L’esistenzialismo di Luporini

Negli anni ’30 e nei primi anni ’40 Luporini si impose sulla scena filosofica italiana come esponente di primo pianodella stagione esistenzialistica, che in quel periodo fiorì nel nostro paese, protraendosi fino all’inizio degli anni ’50.L’esistenzialismo italiano fu un movimento assai composito, che si presentò ufficialmente con il libro di Nicola Ab-bagnano, La struttura dell’esistenza, pubblicato nel 1939. Qui non è possibile ricostruire la genesi del pensiero esisten-zialista1; è però utile puntualizzare come negli anni ’30 in Italia si sia consolidata una attenzione alle correnti filosofi-che europee, indirizzata nella comune esigenza di guadagnare una maggiore concretezza dell’orizzonte filosofico, ol-tre la sintesi e la tradizione idealistica.Ci si concentrò, infatti, sulla filosofia di Heidegger e sui temi della Kierkegaard Renaissances, si scoprirono Feuerbach eNietzsche, ci si rivolse ad autori francesi come G. Marcel. La ricerca esistenzialistica cercava criticamente il supera -mento dello iato tra pensiero e vita, che caratterizzava contraddittoriamente l’idealismo italiano, anche se con questovennero stabiliti punti di contatto non secondari2. L’esistenzialismo rappresentò sia teoricamente che temporalmen-te l’affermazione della crisi e del declino del crocianesimo e dell’attualismo gentiliano. La posizione del giovane Lu-porini si inscrive complessivamente in questo contesto, che egli vive con grande impegno intellettuale e politico, conla lotta antifascista, militando da prima nelle fila del movimento liberal-socialista di A. Capitini e poi, durante laguerra, aderendo al Pci. Il punto centrale della riflessione di Luporini si muove intorno alla nozione di libertà, alla possibilità teorico-praticadi aprire l’esistenza ad essa. L’opzione esistenziale prende il significato di un tentativo di risposta critica a una crisiradicale, al fallimento storico di tutte le passate concezioni dell’uomo. Né la concezione umanistica, né quella positi -vistica, né quella cristiana sono in grado di esaurirne sufficientemente la problematica. Secondo Luporini la filosofiadell’esistenza si pone come erede della denuncia degli ostacoli all’affermazione della libertà fatta nel XIX secolo,contro il mondo borghese, cristiano e umanistico, da Kierkegaard, Nietzsche e Marx. L’esistenzialismo è quindi, perLuporini una filosofia della crisi, ma senza assegnare a questa affermazione un valore negativo: “la vera filosofia –scrive su Primato – è sempre filosofia della crisi, in quanto coscienza dell’inesauribile dramma umano”3. Dentro que-sta crisi la riflessione di Luporini si concentra sul rapporto tra “uomini e ragione”, come domanda originaria cheprende senso dalla consumazione di ogni sorta di “provvidenzialismo, di storicismo, di automatismo spirituale” eche rivendica con forza l’esigenza “dell’incarnato individuo di liberarsi di tale fardello e a ricostruire come personala propria incondizionata iniziativa”4. La filosofia dell’esistenza viene intesa da Luporini, sotto l’influenza di Jaspers, come “chiarificazione” della possibili-tà della libertà, dove la ragione è intesa come processo consapevole e singolare di unificazione delle domande (radi-cali) ontologiche e delle pretese assiologiche dell’agire pratico. Questo percorso è fondato sulla non-riducibilità dellafinitezza umana e sull’esigenza di riconoscerla e di farla emergere come tale e si pone contro ogni schematismo in -tellettualistico che tenti di interpretare la realtà e la storia prescindendo dalla presenza e dal destino della singolaritàumana.

Kant e SchelerQuesta radicale critica (che accomuna sia la filosofia hegeliana che lo scientismo positivista, che la filosofia di Croce)non porta Luporini ad un rifiuto della modernità, ma alla ricerca di un suo aspetto fondamentale, illuminato daKant, dal suo mantenersi sul limite della finitezza, dall’inscindibilità, nel filosofo di Konisberg, tra cogito e sum. Eproprio in Kant il soggetto finito rivela la sua contraddizione e ambivalenza: quella tra ragion pura e ragion pratica,tra i limiti della conoscenza e l’aspirazione verso la costruzione di un mondo dotato di libertà e di senso per tutti gliesseri ragionevoli. In merito alla posizione kantiana, ai suoi valori e limiti, Luporini esprime il suo pensiero nel suoprimo scritto, che apparve nel 1935 con il titolo Critica e metafisica nella filosofia kantiana5, e che riassume la dissertazio-ne con cui si è laureato nel 1932 a Firenze con Lamanna. L’attenzione di Luporini per Kant è mediata attraverso l’interpretazione che del filosofo di Konisberg diede Heideg -ger, i cui seminari, dedicati ai Fortscritte der Metaphisik, Luporini seguì a Friburgo in quegli stessi anni. Luporini condi-vide con Heidegger l’interpretazione che tende a liberare Kant dall’impostazione gnoseologica, prevalente nellascuola di Marburgo e a superare “l’ingenua immagine di un Kant distruttore di ogni metafisica passata e futura e inciò stesso creditore agli uomini di una definitiva felicità”6. Contro questa ingenua e rassicurante lettura, Luporini in-dividua in Kant uno scarto tra la dimensione della condizionatezza propria dell’esperienza del Dasein (infatti in ra-gione della sua fatticità l’esistente empirico non ha mai in sè stesso la ragione della sua esistenza) e viceversa l’incon-dizionatezza a cui tende la ragione nel suo fine ultimo. Questo scarto trova origine proprio nella finitezza dell’uomo, ma in Kant, a giudizio di Luporini, tale finitezza nonviene problematizzata, ma assunta metafisicamente come presupposto. E questo perché Kant si arresta ad una con-cezione del tempo e dello spazio di tipo newtoniano, che ha come scopo l’individuare il linguaggio matematico

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dell’universo, che riduce così l’ontologia alle scienze della natura, non permettendo la problematizzazione del tempocome dimensione originaria ontologico-esistenziale, e non solo di obiettivazione, nello stabilirsi della coscienza inquanto pura interiorità. Si stabilisce così una disimmetria, uno scarto interno alla soggettività: da una parte l’uomodella conoscenza, dall’altra l’uomo dell’esistenza. E se il campo morale è per Kant un campo d’applicazione dellasua analisi formale, si produce oltremodo un ulteriore dualismo nell’esistenza umana che dà luogo ad un formali -smo morale e prescrittivo, il quale impedisce una comunicabilità forte tra Dasein e moralità, tra esistenza e libertà. Questo dualismo, bloccato e bloccante, risulta del tutto angusto al giovane Luporini, che, infatti, lo problematizzeràin Situazione e libertà dell’esistenza umana come punto centrale della dialettica della libertà (tutt’altro che formale), illu-minandone il carattere tragico, ma produttivo, per l’agire umano. Da questa insoddisfazione nasce, non a caso, un la -voro su L’etica di Max Scheler7. Scheler, che Luporini aveva scoperto seguendo a Berlino le lezioni di Nicolai Hart-mann, non è apprezzato in particolar modo nella sua sistematicità di pensiero, ma piuttosto per la sua predisposizio -ne ad indagare liberamente l’infinita varietà della vita spirituale, contro ogni dogmatismo logicista. Ciò che interessaLuporini è l’etica scheleriana che, proprio partendo da una critica al rigorismo formale kantiano, considera l’uomoin quanto Akt (come in Italia aveva insegnato Gentile), nella sua originaria unità, rifiutando ogni contrapposizionetra ragione e sensibilità e individuando nella sfera emozionale e nel momento assiologico la condizione fondamenta-le di ogni spiritualità. Questa impostazione risulta a Luporini un utile strumento per comprendere in modo più riccol’uomo nella sua totalità e anche un’utile integrazione all’ontologia heideggeriana, giacché in essa le questionidell’etica rimangono marginali.

LeopardiÈ comunque di difficile comprensione il percorso giovanile di Luporini senza tener conto dell’influenza che su di luiebbe un autore come Giacomo Leopardi. Su Leopardi Luporini pubblica un primo saggio nel 1938 8, dove il pensie-ro del poeta di Recanati viene rappresentato come un’esperienza irripetibile, non comprimibile in schemi preordina -ti, come un luogo ermeneutico super-tempora, proiettato cioè oltre le dimensioni teoriche ottocentesche e rivolto alNovecento9. In questo saggio l’esperienza della finitezza, scoperta attraverso Kant, diventa tensione esistenziale, le -game inscindibile tra vita del poeta e vita dell’uomo, unità drammatica dell’esistenza umana. Luporini individua ilnucleo centrale del percorso leopardiano nella riflessione sulla “inimicizia tra natura e ragione”. Nel Leopardi matu -ro, attraverso l’esperienza del dolore, la natura si presenta nemica e ingannatrice. Di converso la ragione acquista la funzione drammatica di “chiarificare” la “crudeltà del vero”; essa scopre che tuttociò che “vive patisce tutto quanto è reale e individuato in sé medesimo, lotta disperatamente contro un limite invali -cabile, un limite interno, quello della sua stessa individuazione”10. E questo è il fatto indiscutibile e bruto dell’essergettato nel mondo. Di fronte all’”esser gettato” “la ragione non ci salva. Se la ragione stessa non soccombesse allavita, cioè ancora alla natura, essa ci condurrebbe alla pazzia”11. La ragione non ha altra funzione, quindi, che rivelareil “nulla”, l’impossibilità dell’esser uomo “genuinamente”. Infatti la vita dell’uomo è possibile “solo in forza di unadistrazione e di una dimenticanza la quale è contraria direttamente alla ragione”12. La vita umana è una continua rimozione del nulla, che insieme la costituisce e la sprofonda in esso. In Leopardil’esistenza si configura come una “lotta disperata” contro la costrizione naturale alla pura riproduzione della specie.Così, nota Luporini, Leopardi identifica natura e male, nonché quest’ultimo con l’esistenza stessa, abbandonando inquesto modo ogni ottimismo razionalistico e avvicinandosi al pessimismo kierkegaardiano (a differenza di Kierke-gaard, però, Leopardi individua la terribile solitudine dell’esistenza non di fronte a Dio, ma al tutto). La resistenza aquesta situazione si concentra nella ricerca del piacere. Quest’ultimo però non ha in Leopardi soltanto un significatoedonistico; rappresenta qualcosa di più ampio: tutto ciò a cui il vivente tende senza mai raggiungere. Il piacere è ilsogno, il “desìo”, il futuro: essenzialmente l’illusione, che ha la sua origine nella fanciullezza, dove è vivo il senti-mento della speranza. Ma con l’età adulta, nel momento in cui cade la speranza, “il piacere diventa la stessa penadella vita”13, perché rivela la coscienza dolorosa dello scarto insuperabile tra l’io come possibilità (e desiderio) e l’ioschiacciato dal nulla della natura. “Il massimo di coscienza – dice Leopardi – è anche il massimo di pena” e questomassimo di coscienza è la noia, che è la piena rivelazione della vita. “La noia – scrive Luporini – non è nessun maleparticolare, Leopardi la definisce come la semplice vita pienamente sentita, provata, conosciuta, pienamente presen-te all’individuo ed occupandolo”14. Essa è quindi una determinazione ontologico-esistenziale (come l’“angoscia” perHeidegger) che sta al centro del circolo di pensiero leopardiano, in cui l’individuo si dibatte nel conflitto tra nulla eillusione. L’orrore per la noia ha di fronte a sé il disperato amore per la vita che “autenticamente” non può essere che riferi -mento alla morte, alla “morte consolatrice”, che è “l’unica verità dolce per l’uomo che è arrivato in fondo al pensie -ro che è il dolore e quindi alla vita”15. Come per Heidegger, anche per Leopardi, è nell’“essere per la morte” che siesprime l’“autenticità” dell’esistenza. Il tratto però originale è, secondo Luporini, ritrovabile nel fatto che questaconsapevolezza non porta Leopardi in una sorta di pessimismo spiritualista e in una religiosità consolatoria (come,ad esempio, in Pascal), ma egli, al contrario, fa esplicita e sicura affermazione di ateismo. Mentre Leopardi si allonta -na dalla concezione settecentesca illuministica, questa sua “paganità” lo porta anche oltre la dimensione del XIX se-colo e lo mette in grado di comunicare direttamente al XX, al travaglio esistenziale venuto in primo piano in quelsecolo.

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Situazione e libertà nell’esistenza umanaIl saggio su Leopardi ha un chiaro approdo esistenzialista, che si sistematizza in una complessiva riflessione nel1942 con il libro Situazione e libertà nell’esistenza umana. A fondamento di quest’opera vi è la domanda sull’uomo, allaquale l’epoca contemporanea non ha saputo dare risposta. Nell’Introduzione, Luporini scrive significativamente:“Se mi domandassero che cos’è l’uomo, io non potrei rispondere; ma se mi domandassero quando l’uomo è uomo,allora risponderei, nel modo più semplice, che l’uomo è uomo, uomo genuino, quando nel proprio agire egli si senteresponsabile di fronte a sé stesso, responsabile cioè di fronte alla propria mente, al proprio giudizio, alla propria cri-ticità. Pure dopo questa risposta io potrei anche sentirmi non del tutto tranquillo, come chi si è espresso con untroppo facile, formale e tradizionale, ‘razionalismo’. E dovrei tornare a rispondere, cercando un modo ancor piùsemplice e meno filosoficamente compromesso, e insieme più esatto e più largo; e allora direi: quando l’uomo sisente in ogni singola azione (volizione, decisione) responsabile di fronte al complesso di tutte le sue azioni passate efuture, cioè si sente in ogni azione la presenza e l’unità di tutta la propria vita, di tutto se medesimo, quando cioè haassunto su di sé il proprio essere e ha accolto la propria libertà”16. Secondo Luporini, quindi, l’uomo è piena assunzione del proprio essere, accoglimento della propria libertà. Ciò rap-presenta la dimensione autentica, il “genuino esistere” dell’uomo, che si pone in contrasto con la situazione inauten-tica, il “qualunque esistere”, in cui l’uomo è gettato concretamente. Autenticità e inautenticità sono ambedue deter-minazioni originarie ontologico-esistenziali, cioè sono entrambe “vere”, ed esprimono la realtà di una dialettica esi -stenziale, esperienza stessa della libertà, che non può ridursi, come nell’idealismo, ad una sintesi conciliativa, ad unaipostatizzazione dell’accaduto. Essa è fondata su una ineliminabile tensione di opposti; rappresenta il “paradossoche noi stessi siamo”, la contraddizione di fronte alla libertà, di due possibilità: quella di assumersi in pieno la pro-pria solitudine (e resistenza), oppure quella di lasciarsi andare alla “corrente della comune leggerezza” del “qualun -que esistere”, nel quale “il nostro peso si sgrava nella compagnia e si annulla nel movimento”17. L’impostazione di Luporini è profondamente influenzata dai contenuti espressi da Heidegger in Essere e tempo (la te-matica del “con-esserci”, quella del “sé-stesso” e della “pubblicità”, la “deiezione”, etc.), ma è anche critica rispettoal filosofo tedesco. Infatti nello scritto luporiniano non è esplicitata, come in Heidegger, una domanda preliminaresul “senso dell’essere”. Il problema dell’essere è fondamentale anche per Luporini, ma non tanto in funzione di unaricerca sul “senso”, quanto in rapporto alla domanda principale: che cos’è l’uomo? Come per Heidegger anche perLuporini l’uomo è prima di tutto Dasein, cioè situazione determinata (essere-nel-mondo), ma, a differenza del filoso-fo di Friburgo, egli indaga la possibilità della sua autorealizzazione cosciente nella dissimetria della sua esistenza,quella che si estende tra il piano oggettivo dell’esperienza quotidiana e la chance della prassi. L’uomo è infatti unitàontologica spezzata; la sua individuazione si definisce, scrive Luporini come “sintesi a priori di fatto e di atto, di sé edi specie, di centro e orizzonte, di spontaneità e situazione di presente (passato) e futuro, di spazio e di tempo”18. La possibilità del “genuino esistere” è nelle mani dell’uomo, del suo atto libero e incondizionato, e in questa situa-zione si esplica il “valore” e il “compito” della persona. Il pensiero e la ragione, che svelano la contradditorietàdell’esistenza e in essa sono irrimediabilmente ancorati (“Dal cogito non si può sottrargli il sum senza togliergli ognicertezza”19, scrive Luporini), aprono una dimensione nuova: “Il mondo della obiettività, della teoricità che rimandadirettamente alla prassi umana, al fare, all’agire”20. All’unità ontologica naturale ne subentra una più complessa, an-che se non meno immediata e originaria: quella tra vita e pensiero, la quale dischiude il fondamento dell’esistenzanella dialettica della scelta, nell’assunzione della propria libertà come valore e compito. Il problema dell’essere si cri-stallizza, quindi, in Luporini, in una questione essenzialmente etica (e pratica), quella della scelta volontaria dell’esi -stenza genuina. In questo senso il pensiero di Luporini si carica di una tonalità assiologica, che non trova confermené in Heidegger, né in alcun momento dell’esistenzialismo tedesco. Questo aspetto è stato giustamente sottolineato da A. Massolo, in un saggio del 1943, in cui infatti scrive: “Il fonda-mento della ragione in Luporini non è ontologico, ma assiologico”21. La libertà, per Luporini, non nasce sul terrenoontologico (cosa che aprirebbe necessariamente e inconcludentemente la dialettica tra libertà e necessità), il quale nerappresenta soltanto la precondizione possibilitante.Questo forte carattere assegnato all’assiologia indica, insieme, un tratto originale del pensiero di Luporini e il suo di -stacco da alcune posizioni fondamentali dell’Existenzphilosophie. Il fondo assiologico afferma la piena identità di ra-gione, valore e sentire; segnala la piena espressività dell’uomo, il tratto originario della prassi umana. L’assiologia èscoperta di una originarietà assolutamente irriducibile e imperscrutabile della ragione. Oltre ad essa non vi è nulla incui “situare” il valore veritativo (e in questo senso Luporini è in netto contrasto con Jaspres e con il suo concetto ditrascendenza ontologica dell’Esser-uno); la questione dell’essere (e della sua verità) è quindi identificato in pieno daLuporini con la dialettica della libertà. Nell’ultima parte di Situazione e libertà nell’esistenza umana, Luporini chiarisce ilproprio pensiero sulla questione dell’essere. Qui si afferma che l’essere non è un dato logicamente rintracciabile edescrivibile, ma “semplicemente” un dono affidato all’uomo, di cui la libertà è il continuo e puntuale rinnovo.L’uomo, nel realizzare sé stesso, nell’affrontare la sua libertà (e sua negazione), partecipa all’essere, che è lo stessoamor vitae, lo stesso percorso per il raggiungimento della beatitudo-serenitas. La libertà, la beatitudo, è infatti possibilesolo nella tensione dialettica con la fattuosità, con l’invincibile insufficienza del dono, che, come angoscia del nulla epresenza totale del disvalore e della noia, è fonte della coscienza morale (rivelativa del fondo assiologico originariodella ragione). La dialettica esistenziale si polarizza nei termini estremi del dramma morale, nella coppia opposizio-nale di angoscia-noia/beatitudo-serenitas, cioè “nell’incentrarsi nel soggetto dell’assoluta opposizione di essere e

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nulla”22.Come in Heidegger, anche in Luporini, l’apertura verso l’essere è possibile attraverso l’esperienza del nulla (colpa,silenzio e morte), derivata dall’esperienza fondamentale dell’angoscia, ma Heidegger scopre il nulla stesso semplice-mente come momento rivelativo dell’originaria apertura all’ente; in Luporini, diversamente, l’implicanza tra essere enulla attiva la dinamica morale dell’uomo e dischiude l’accesso alla libertà. Per questo motivo, nelle pagine finali diSituazione e libertà, Luporini risponde alla domanda heideggeriana sul senso dell’essere (a cui il filosofo di Friburgonon risponde), espressa in conclusione di Essere e tempo, e in termini dell’assoluta insensatezza della domanda stessa,poiché, per lui, l’essere è possibilità come valore. La risposta di Luporini sollevò, da parte di Massolo, un’accusa di insincerità filosofica, perché essa “poneva un ter -mine alla filosofia” negando “quella circolarità in cui questa consiste, per falsificarla e calarla nella rettilinearità deldiscorso intellettuale”23. A questa obiezione di Massolo Luporini risponde nella seconda edizione di Situazione e liber-tà, apparsa nel 1945, cambiando l’ultima parte del libro, ma non la propria opinione. A giudizio di Luporini è pro-prio la domanda sul senso dell’essere a far retrocedere la questione in ambito intellettuale. Rispetto all’intellettol’essere non assume alcun senso, se non in riferimento al nulla: “dalla dimensione del nulla – scrive Luporini –l’essere non può uscire senza perdere la sua stessa dynamis”24. Ma questo nulla è qualcosa di originariamente più pro-fondo, che nessuna “guida mentale” può produrre o ricostruire logicamente, così come nessun ragionamento puòprodurre il valore; quindi la domanda sul nesso dell’essere rivela solo i limiti della ricognizione intellettuale e, one -stamente, può condurre soltanto all’insensatezza della domanda stessa, e cioè all’affermazione, sul piano assiologico,dell’essere come gratuità (dono, creazione), come campo del nostro incondizionato agire. Ed è proprio in tale gra-tuità che risiede l’unica garanzia della libertà. Nella pratica il realizzarsi della libertà è, secondo Luporini, l’imporsidella persona, come unità ricercata dalla ragione, come “assolutezza della iniziativa”25. L’uomo in quanto personascioglie i condizionamenti del “qualunque esistere” e si muove verso una risoluzione (umana) della dicotomiadell’esistenza. La figura della persona in Luporini assomiglia, in tratti sostanziali, al persuaso di Michelstaldter (altro autore impor-tante negli anni giovanili di Luporini). La persona, come il persuaso, resiste all’inautentico ed esprime la volontà di li-berazione dai suoi vincoli (“qualunque esistere”, “retorica”), nell’assunzione piena della fattuosità, del limite dellamorte. Il processo di liberazione non ha come fine l’accettazione dell’essere-per-la-morte, come in Heidegger, bensìuna lotta contro di essa; una vittoria contro la paura della morte, nell’attualità del presente, contro una temporalitàreificata, per essere “padroni” del mondo, e non suoi schiavi. La persona, come ricerca di una armonia tra il singoloe il tutto, non è “eccezionalità eroica”, non è “pura forma di un mondo che non verrebbe mai all’essere” 26, ma rea-lizzazione di un nuovo equilibrio morale, che assume in sé il vecchio, in un processo di superamento-conservazione.Questa dialettica della persona (e della libertà), che è fondata su un concetto attivo di praxis, rimanda necessaria-mente alla dimensione politica. In tre articoli dal titolo “Esistenza”, usciti nel 1941 sulla rivista fiorentina Argomenti,è lo stesso Luporini a confermarcelo, quando scrive: “la libertà del singolo, guadagnata sull’essere di fatto, coinvolgeradicalmente la socialità. Si fa, dunque, politica”27. La politica, cioè, non sta fuori dalla dialettica della libertà o dalloscontro dei valori. Essa, di converso, non è nulla se non in rapporto alla fattuosità, nella sua concretezza storica. L’esistenzialismo di Luporini investe direttamente l’analisi della società; e si può dire che questo è uno dei suoiobiettivi fondamentali, ben oltre i limiti tracciati da Heidegger nella sua analisi del “Si-stesso” (Man-selbts) e del“commercio con le cose” (Zuhandenheit). A differenza di Heidegger, per Luporini è proprio il determinato caratterestorico della società (e quindi la sua forma e la possibilità di mutarla) a divenire centro del discorso sulla libertà 28. Leinvettive di Luporini, come quelle di Michelstaldter, sono rivolte contro la “placida schiavitù” di una società in cuil’unico fine è la conservazione della propria ricchezza, dove la libertà è semplicemente identificata con la sicurezzadei beni. Ciò ha come risultato una concezione giuridica della libertà e una riduzione della moralità a semplice legali -tà, atta a garantire l’egoismo. “La libertà di codesto e falso ideale – scrive Luporini, introducendo una chiara deter -minazione storico-ideologica – è la cosiddetta ‘libertà individuale’ del moralismo liberistico” 29. E continua, usandoper la prima volta, le parole di Marx (non a caso crediamo): “Essa indica ad ogni uomo nell’altro uomo con la realiz-zazione, ma piuttosto il limite della sua libertà”30. Secondo Luporini bisogna uscire dalla ipostatizzazione formaledei rapporti umani. Questa formalità permette all’ingiustizia di mistificarsi e di sfuggire alla individuazione, e quindialla coscienza. Ma ciò non avviene sempre, “in un punto – scrive Luporini – il rapporto non sfugge, nel punto stes -so in cui è più particolarmente sociale, e cioè dove la mortificazione della libertà dell’altro si concretizza in sfrutta -mento della sua libertà tecnica. Il concetto di essa, proiettato sul piano sociale, implica il problema filosofico e morale del lavoro umano, e con essotutta una serie grandiosa di problemi, oggi più che mai storicamente e moralmente urgenti, che possono raccogliersisotto il tema della ‘giustizia’. Valga qui averli soltanto sfiorati. Ma da quanto abbiamo detto è chiaro che il cosiddettoproblema della giustizia non può venire affrontato concretamente senza tener conto del configurarsi sociale del pro -blema della libertà come problema del lavoro. Il lavoro non è qualcosa di casuale o avventizio nell’esistenza umana,ma è momento essenziale del rapporto che l’uomo ha con le cose, è, attraverso le cose, con sé stesso come intrinse -camente interessato alle proprie determinate possibilità”31. Questo passo è estremamente significativo: mostra come l’esito dell’esistenzialismo di Luporini sia fortemente criti-co. Ponendo l’istanza di valore come questione pratica della sua realizzazione sociale (e politica), Luporini rifiutanettamente il circolo esistenzialista fondato sull’interiorizzazione individualistica dell’opzione autentica e quindi an-

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che il suo destoricizzato concetto di condition humaine. In questo modo Luporini pone in crisi tutti i fondamentalipresupposti filosofici dell’esistenzialismo, anche gli stessi a lui assunti. Non è quindi una sorpresa che questo suotravaglio morale (espresso, ricordiamolo, in terribili anni di guerra) lo porti ad avvicinarsi al marxismo, concezioneche, infatti, chiama all’impegno concreto, teorico e politico, per costruire la libertà. Questo avvicinamento costringeLuporini ad un “nuovo inizio”, che prenderà inizialmente (per dieci anni), in campo teorico, una strada di ricercastorico-filosofica.

Note:

1. Si veda in proposito il libro di A. Santucci, Esistenzialismo e filosofia italiana, Il Mulino, Bologna, 1959.2. L’introduzione in Italia del pensiero esistenzialista si configurò inizialmente come attenzione all’opera di Heidegger:

vanno ricordati in questo senso G. Granelli, “La fenomenologia di E. Husserl e l’ontologia di M. Heidegger”, in Rivi-sta di filosofia, 1928, pagg. 330-347; E. Grassi, “Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia tede -sca contemporanea”, in Rivista di filosofia, 1929, pagg. 129-151.

3. In Primato 1940-43, De Donato, Bari, 1977, pag. 480.4. C. Luporini, Situazione e libertà nell’esistenza umana, Le Monnier, Firenze, 1942, pag. VII.5. Questo scritto apparve come nota presso la Reale Accademia dei Lincei, Rendiconti della classe di scienze morali, storiche e fi-

losofiche, 1935, vol. XI, pagg. 87-115. Il saggio era stato presentato dal socio G. Gentile, il 17 febbraio 1935.6. Ivi, pag. 87.7. C. Luporini, “L’etica di Max Scheler”, in Studi germanici, 1935, n° 3, pagg. 320-345. Poi, modificato, in C. Luporini, Fi-

losofi vecchi e nuovi, Editori Riuniti, Roma, 1981, pagg. 11-56.8. C. Luporini, “Il pensiero di Leopardi”, in AAVV, Studi su Leopardi, a cura del Liceo Costanzo Ciano, Belfronte, Livor-

no, 1938, pagg. 41-69.9. Questo concetto è stato riconfermato da Luporini in un’intervista dal titolo “Leopardi moderno”, rilasciata a F. Ador-

nato e pubblicata su L’Espresso, 1987, n°15.10. C. Luporini, “Il pensiero di Leopardi”, cit., pag. 57.11. Ibidem.12. Ibidem.13. Ivi, pag. 59.14. Ivi, pag. 61.15. Ivi, pag. 62.16. C. Luporini, Situazione e libertà…, cit., pag. VI.17. Ivi, pag. 4.18. Ivi, pag. 112.19. Ivi, pag. 59.20. Ivi, pag. 51.21. A. Massolo, “L’esistenzialismo di C. Luporini”, in Giornale critico della filosofia, 1943, n° 1-2, pagg. 45-66.22. C. Luporini, Situazione e libertà…, cit., pag. 204.23. A. Massolo, art. cit., pag. 66.24. C. Luporini, Situazione e libertà nell’esistenza umana, Seconda edizione, Sansoni, Firenze, 1945, pag.207.25. Nel 1941, in un saggio dal titolo “Appunti di filosofia esistenziale” (apparso sulla rivista Civiltà moderna), Luporini ave-

va criticato Pareyson proprio in merito al concetto di persona. Infatti per Pareyson la persona è presupposto generalee fondativo dell’impegno etico, invece per Luporini essa non è presupposto filosofico, ma rottura vitale, imporsi prati-co del valore della libertà.

26. C. Luporini, Situazione e libertà…, Seconda edizione, cit., pag. 150.27. C. Luporini, “Esistenza”, in Argomenti, 1941, n° 1, pagg. 34-44; n ° 2, pagg. 23-37; n ° 5-6, pagg. 59-72. Di questa serie

di problemi ha dato acuta trattazione E. Garin, “Esistenza e libertà”, in Critica marxista, n° 6, 1986, pagg. 5-14.28. Si può dire che le critiche di Luporini ad Heidegger invitano alla collocazione storico-oggettiva delle preziose intuizio -

ni filosofiche del filosofo di Friburgo. In un certo qual modo, anche se con minore “schieramento”, Luporini è qui vi -cino a Lukàcs che, riferendosi alle immagini heideggeriane dell’inautenticità dell’esistenza quotidiana e dello “scadi -mento” dell’esistere, scrive: “(esse) forniscono un quadro vero e fedele dei riflessi coscienti che la realtà dell’imperiali -smo capitalistico del dopoguerra provoca in coloro che non sanno o non vogliono superare le esperienze della loroesistenza individuale e procedere verso l’oggettività, cioè verso la ricerca delle cause sociali e storiche di quelle espe -rienze”. (G. Lukàcs, La distruzione della ragione, Einaudi, Torino, 1980, pag. 507).

29. C. Luporini, Situazione e libertà…, Seconda edizione, cit., pag. 173.30. Ibidem.31. Ivi, pag. 175.

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Capitolo 2La storia della filosofia e il passaggio al marxismo

La storia della filosofiaLa crisi dell’esistenzialismo porta Luporini durante la guerra ad avvicinarsi al marxismo e, contemporaneamente, adaderire al Pci. Ma tra Situazione e libertà nell’esistenza umana, che è del 1942, e il primo scritto direttamente di analisimarxista, La consapevolezza storica del marxismo, che è del 1955, passano tredici anni. “In tale periodo – scrive Luporini– cercai di saggiare la teoria (cioè la mia assimilazione della teoria, o di quella che credevo fosse la necessaria teoria,corrispondente a una determinata pratica politica) con interventi pubblicistici, con il cooperare a riviste di cultura,particolarmente Società, e soprattutto con scritti di storia della filosofia…Ma ricordo soprattutto di questo non breveperiodo la difficoltà di affrontare direttamente temi teorici, collegata, insieme, ad aspetti oggettivi della nuova situa -zione culturale, e alla consapevolezza di una insufficiente preparazione marxista”1. Gli scritti di storia della filosofia sono dunque un “esercizio” di preparazione, benché ciò non significhi che essi nonabbiano la loro autonomia. Vediamone la cronologia. Nel 1947 Luporini pubblica Filosofi vecchi e nuovi, che raccoglie scritti che vanno dal 1945 al 1947, comparsi tutti suSocietà 2. Dopo Filosofi vecchi e nuovi, Luporini pubblica altri tre libri di storia della filosofia: La mente di Leonardo, del19533, Voltaire e le Lettres philosophiques, del 1955 (ma apparso su Società nel 1950)4, con un appendice su “Il concettodella storia e l’illuminismo” (1951), e Spazio e materia di Kant, del 1961 (uscito però in forma privata già nel 1959),con una “Introduzione al problema del criticismo” (che sempre in forma privata è uscita nel 1955)5. La cronologia, a grandi linee, è dunque questa: 1945-1947, i saggi raccolti in Filosofi vecchi e nuovi; 1950-1951, le ricer-che sull’illuminismo e, in particolare su Voltaire; 1953, Leonardo; 1955-1959, Kant. Nella ricerca storico-filosofica diLuporini ci sono due nuclei tematici fondamentali da ricordare. In primo luogo il rapporto tra intellettuali e morale(politica) tra Settecento e Ottocento, indagato nei saggi raccolti in Filosofi vecchi e nuovi (con la parziale eccezione delLeopardi progressivo, che si estende anche su altri temi). Spazio storico, questo, a cavallo della Rivoluzione francese, in-tesa come prospettiva maggiore in cui considerare per un verso, e ovviamente, l’illuminismo francese, e, per l’altroverso, esperienze come quelle di Fichte, del giovane Hegel e del Leopardi. In secondo luogo il rapporto tra scienzedella natura e filosofia (il tema del materialismo) nel mondo moderno, da prima alla sua origine in Leonardo, poi nelsuo punto estremo con Kant. In entrambi i temi Luporini rappresenta una indubbia originalità. Per quello relativoagli “intellettuali”, egli, nel 1947, anticipa nettamente il poderoso dibattito avvenuto, a partire dal 1948, con la pub-blicazione dei Quaderni di Gramsci. Questo tema è dunque proprio di Luporini, presente anche nella sua riflessioneesistenzialista precedente, ed è motivato dalla profonda attenzione alla situazione storica e al suo significato politico.Nell’intervento sul Kant morale, ad esempio, si trova ripensata proprio la tematica che agli intellettuali antifascistis’era imposta nel momento in cui essere antifascisti non era più sufficiente, ma urgevano scelte ulteriori di assaimaggiore specificazione e approfondimento. Quanto poi all’altro tema, quello del materialismo, del rapporto tra fi -losofica moderna e scienze della natura, anche qui Luporini arriva primo. I libri di Luporini su Leonardo, sul mate-rialismo di Leopardi e su Kant (quel Kant tutto coinvolto nelle questioni che sorgevano dal newtonianesimo) risal -gono ad un periodo in cui, salvo l’altra eccezione rappresentata da G. Preti 6, gli storici della filosofia del nostro pae-se non avevano ancora maturato interessi di questo genere, tutti chiusi in una impostazione ancora completamenteidealistica. L’importanza decisiva storico-filosofica di questo tema è evidenziata da Luporini quando, nel Leonardo,scrive: “non è possibile interpretare con una certa concretezza lo sviluppo della filosofia moderna, fino a Kant, fuo-ri dalla sua relazione con lo svolgimento delle scienze della natura” 7. E, in una recensione di questo testo, Cantimoriribadiva, presentando il libro come “una introduzione a comprendere storicamente e realisticamente non soltanto ilfenomeno ‘Rinascimento’, ma anche l’importanza delle scienze fisiche e naturali nella vita storica”8. Che questi scritti di storia della filosofia siano rappresentanti di un passaggio critico nell’itinerario filosofico di Lu-porini, è dimostrato anche dal fatto che egli ritorna di nuovo su pensatori (e problemi) già trattati, evidenziandoprofonde differenze. Abbiamo, infatti, due Scheler (1935; 1947), due Kant (1935; 1955-1959), due Leopardi (1938;1947, a cui se ne aggiungerà un terzo negli ultimi anni). Anche nel caso di Voltaire troviamo questa caratteristica, vi -sto che i protagonisti e i temi dell’illuminismo erano rimasti estranei al precedente Luporini, tutto immerso nella fi-losofia tedesca. L’adesione sincera alla tematica scheleriana, sostenuta da Luporini nel 1935, si trasforma ora, nel1947, in una forte presa di distanza critica in merito alla questione della assenza della storicità e della dialetticadell’orizzonte mentale del filosofo tedesco: “Ciò che difetta appunto allo Scheler è il senso dei rapporti e delle con -nessioni dialettiche, ossia la scoperta fondamentale del pensiero moderno. Tale mancanza provoca nella sua ricercacome una rarefazione permanente, un vuoto d’aria, ossia dell’elemento resistente, che rende inspiegabile il movi-mento e l’attività. Ma questo difetto non caratterizza solo Scheler, bensì tutta la scuola e tendenza a cui egli appar -tiene, quasi tutta la filosofia tedesca degli ultimi cinquant’anni: ad essa, in sostanza, manca quello che Hegel, in sen-so dinamico, chiamava ‘il travaglio del negativo’9. Ben più corposa è la riflessione su Kant. Qui Luporini, addirittura, sostiene una posizione opposta a quella del ’35.in quel primo scritto su Kant Luporini aveva sostenuto come caduta “l’ingenua immagine di un Kant distruttore diogni metafisica” e aveva quindi identificato critica e metafisica; non già “critica che introduce alla metafisica” (comefondamentalmente aveva detto Kant), ma, scrisse Luporini, “critica che è la stessa metafisica”10. Una metafisica nuo-

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va, certo, ma sostanzialmente di genere idealistico (per questo il lavoro non dispiacque a Gentile, che infatti lo pre -sentò). Venticinque anni dopo Luporini sostiene il contrario. Ora è l’immagine idealistica di Kant ad esigere unaspiegazione storica; ora “metafisica” (tradizionale e post-kantiana) e “critica” vengono contrapposte. Questo Kant èpresentato come distruttore della metafisica trascendentale e, in questa impresa, anche come critico ante-litteramdella posizione idealistica, particolarmente in virtù della critica di quella prova ontologica dell’esistenza di Dio, cheinvece Hegel avrebbe inteso restaurare. Luporini rivendica il carattere non metafisico dell’io-penso kantiano: esso non è personaggio speculativo, come è in-teso dall’idealismo post-kantiano, ma mera funzione logica (anche se certamente universale), di cui sono portatorigli unici soggetti veri che Kant conosca: i molteplici, finiti, “individui umani viventi” 11. Anche in questo “secondo”Kant l’indagine è prevalentemente immanente a Kant stesso, ma tutta rivolta ai contenuti effettivi della Critica dellaragion pura, nella prospettiva della problematica imposta dal newtonanesimo: il centro della Critica è ora individuatonell’“analitica dei principi” (com’era indubbiamente per Kant) e non nell’“analitica dei concetti” (come è stato pertutti gli approcci idealistici e per Luporini stesso nel ’35), e, in particolare, nella trattazione della “sostanza”, cioè re -lativamente alla nozione di “materia”. Sul piano storico questo Kant non è più quello astratto della “idealità di spa -zio e tempo” o della “sintesi a priori”, bensì quello che a queste soluzioni è stato indotto dai problemi posti dalla fi-sica di Newton e dall’esigenza di difenderla dagli attacchi di un Barkley e di uno Hume. Il lato di Kant che Luporinivaluta come rivolto al futuro (nel senso di una eredità teorica) è quello dell’eversione alla metafisica e alla specula -zione; infatti egli illustra il kantismo teoretico come una sorta di “filosofia naturale”, in quanto “tutta intimamentecostituita attraverso il legame con i risultati, i metodi, i problemi e le difficoltà delle scienze della natura ad essa con-temporanee, e pressoché intrecciata con quelli”12. E, oltre modo, come “ultima filosofia naturale” e, a differenza del-le altre, “non più scientificamente produttiva”; segno questo “che essa marcava la fine, ormai, di un ciclo storico” 13.Dal punto di vista storico-culturale, questo taglio antidealistico, che accomuna tra l’altro tutti gli scritti storico-filo -sofici di Luporini, è rivolto direttamente contro il crocianesimo. Infatti, nel 1947, presentando la nuova serie di So-cietà, Luporini significativamente scrive: “Naturalmente, al centro del nostro interesse sta la storia. Il mondo umano,per noi comunisti, è mondo storico. Questo ci porta immediatamente a contatto con una parte della nostracultura…, la cultura storicistica. Proprio in questo contatto ha modo di svilupparsi concretamente un aspetto dellanostra polemica. Tale cultura storicistica ha finito per chiudersi in un limite ristretto, in un limite astratto, che è poi ilvecchio limite umanistico-retorico-letterario. Così troppi campi di indagine…vengono da essa…esclusi e ciò falsacontinuamente le sue conclusioni, ciò lo porta a cadere di continuo orami in posizioni moralistiche, che sono un tra-dimento del suo stesso carattere storicistico”14. Non è un caso, quindi, che la scelta di Luporini cada su determinatifilosofi a cui Croce aveva decisamente negato tale patente: Leonardo e Leopardi in primis. E proprio su Leopardi siha un’altra importante revisione. Nel Leopardi progressivo, per l’interpretazione del pensiero del poeta recanatese, nonè più il piano filosofico esistenzialista ad essere fondativo, bensì quello storico-materialistico (e politico). In questo scritto Luporini distingue due Leopardi, pre e dopo il 1823: un primo Leopardi fortemente attento allaproblematica politica e sociale del suo tempo, quello segnato dalla “delusione storica” cui ha dato luogo la rivoluzio -ne culturale e politica dell’ultimo Settecento; e un secondo Leopardi concentrato sulla tematica, altamente filosofica,del rapporto tra natura e umanità. In entrambi i periodi Leopardi è, secondo Luporini, “ateo e materialista” 15; ma,inizialmente, nella prima fase, di un materialismo “agnostico e quindi in sostanza incerto”16, mentre, nella seconda,Leopardi “dà vita ad una elaborazione complessa e consolidata del materialismo” al punto che esso “diventa…ilmotivo teoretico dominante”17. Il nesso tra le due fasi sta nel significato di questo materialismo, che al centro l’atti-vità umana pratica e sensibile. Per Leopardi “l’uomo – scrive Luporini – non è fatto per la contemplazione, per ilpensiero, per la preghiera, ecc…, esso è fatto per agire e per operare. Solo nell’agire e nell’operare può realizzare ilproprio fine e quindi trovare la felicità”18. E infatti, continua Luporini, “egli non ci presenta mai una visione staticadell’uomo, ma l’uomo che muta e si trasforma nella storia”19. Il materialismo di Leopardi non riduce la natura ad oggetto plastico, a sola categoria sociale, ma la presenta come li -mite invalicabile, come alterità dura. Già nel suo primo pensiero ciò è rintracciabile, quando sostiene la dominanza,nei fenomeni naturali, della spontaneità. In un secondo momento tutto questo diventa centrale e la natura come po -sitiva spontaneità viene meno. Essa si identifica con l’esistenza contro alla vita: la natura è indifferente verso gli uo -mini; Luporini fa parlare Leopardi: “la mia filosofia fa rea di ogni cosa la natura e discolpando gli uomini totalmenterivolge l’odio o se non altro il lamento a principio più alto, all’origine vera dei mali dei viventi” 20. Fra natura e vita,quindi, c’è “l’impossibilità di una mediazione dialettica”21. Il materialismo di Leopardi è sempre comunque rivolto verso l’esperienza degli uomini, e quindi verso la storia.Leopardi pensa alla storia in un modo aperto, come una trama segnata dalla presenza della contingenza, dalla possi-bilità del diverso e del negativo. Egli ha un “concetto vagamente ciclico della storia umana, o meglio delle storieumane…, ciclicità onde è possibile e rimane aperto il passaggio da uno stadio all’altro (barbarie, civiltà, natura,ecc…), senza che questi passaggi si presentino come necessari. Proprio in questa indeterminatezza Leopardi è piùmoderno di quel che possa sembrare a tutta prima: egli ha il senso, accanto alle civiltà in sviluppo, di quelle che ri -mangono statiche o si impaludano in uno stato di inciviltà semi-barbarie, finché almeno qualche forza dall’esternonon le venga a svegliare, e accanto ad esse…delle civiltà abortite sul nascere, delle civiltà immediatamente involute 22.Il mondo umano è quindi un mondo di possibilità, caratterizzato nel suo svolgimento e progresso dall’“influenzadell’accidentale”23. È interessante notare che Luporini individua la modernità della concezione della storia di Leo-

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pardi nella sua totale avversione alla teleologia e al determinismo: è moderna perché guarda alla storia senza una fi -losofia della storia, sulla base del suo presupposto materialistico, gli uomini viventi e finiti con le loro azioni indivi -duali e collettive. Il secondo Leopardi, sulla scorta di queste riflessioni, si concentra sui temi della noia e del nichilismo, anticipando,secondo Luporini, il pensiero europeo espresso dal vitalismo e dall’esistenzialismo. Nonostante Luporini, come ab-biamo visto, avvii, con l’interpretazione di Leopardi, un percorso critico della posizione storicistica (che trova im-portanti caratteristiche già in questi scritti storico-filosofici e si svilupperà appieno, senza oscillazioni, nella sua ricer-ca marxista), ciò non gli impedisce, in merito al secondo Leopardi, di riprodurla, compiendo senz’altro una riduzio -ne indebita, rilevata tra l’altro acutamente da Timpanaro24. Infatti Luporini interpreta il pessimismo del Leopardimaturo (quello cosiddetto “cosmico”) come atteggiamento, in sostanza, meramente psicologico, e, quindi comepura conseguenza della sua collocazione storica, da spiegare “semplicemente” riconducendolo all’epoca. La crisi dell’esistenzialismo (e quindi anche del Leopardi interpretato esistenzialisticamente), così produttiva in ge -nerale, trova qui un punto cieco. Alcuni spunti cruciali, evidenziati in quello scritto leopardiano del ’38, non lascianoeredità, anzi vengono esorcizzati attraverso una storicizzazione (storicistica), raccomandata senz’altro dalla colloca -zione culturale e politica che in questi anni l’autore andava assumendo. L’avvicinamento e l’acquisizione del marxi-smo è stato quindi per Luporini non soltanto un itinerario di crescita e liberazione, ma anche un porre delle discri -minazioni interpretative, in alcuni casi, indebite, e, in qualche misura, rispetto al passato, di valore regressivo. Il ma-terialismo come tema fondamentale fa sorgere in Luporini, abbiamo visto, la centralità del tema della storia. Le ri -flessioni sull’illuminismo, presenti nel libro su Voltaire, si inscrivono in pieno in tale questione. Qui Luporini contrasta pienamente l’interpretazione filosofica di secondo rango assegnata all’illuminismo francese,e ne valuta l’estrema importanza, anche nel quadro di una visione politica attuale, in merito al nesso tra storia, co-scienza teorica e strategia politica. Luporini non difende gli illuministi solamente sul piano politico ed etico, ma per-ché, attraverso la consapevolezza che il secolo dei lumi ebbe delle proprie origini storiche e della propria originalità,essi fecero discendere la loro coscienza storica dalla loro stessa coscienza politica. Luporini sottolinea questa singo-larità osservando che Voltaire, Rousseau e Diderot non furono soltanto filosofi e intellettuali, ma, in quanto maitresà penser, anche capi politici della borghesia. Scrive Luporini: “Furono essi a dare a questa borghesia la coscienza delsuo distacco non solo dal medioevo e dal feudalesimo, ma, a un certo momento, anche dalla forma politicadell’assolutismo; a darle la consapevolezza della sua forza, a gettare le prime linee programmatiche del suo futuropotere, a fornirle gli strumenti ideologici con cui riuscirà a muovere le masse popolari, a dare espressione anche aisuoi tentativi di compromesso con la parte avversa. Non a caso la rivoluzione porrà poi questi uomini nel suo Pan-theon”25. Con l’illuminismo la critica storica diventa contemporaneamente critica politica; critica politica consapevole, co-scienza di classe, unità di teoria e prassi; e, in questo senso, l’illuminismo e i suoi intellettuali sono, secondo Lupori -ni, un esempio per tutti i rivoluzionari, anche se si muovono in situazioni storiche diverse.

Storia della filosofia e storicismoQuesto lavoro di Luporini intorno alla nozione di storia e alla sua coscienza come funzione-guida della politica, loschiera, in quegli anni, chiaramente nel campo dello storicismo marxista. Come abbiamo visto nell’editoriale di pre -sentazione della nuova serie di Società, il marxismo è visto come integrale e vero storicismo, di contro ad altre sueforme mistificate (quella crociana), al platonismo e al naturalismo antropologico, cioè ad ogni concezione staticadella “natura umana”, assolutistica ed eternistica nei confronti dei valori. Per Luporini, però, lo storicismo ha avuto, prima di tutto, un valore in sede politica, perché “appariva l’unica inter-pretazione del marxismo perfettamente adeguata e corrispondente alla politica del partito, alla sua linea strategica…La linea che presentava una grande unità con le masse e che poneva in un certo modo il problema delle alleanze an -che dopo il 1947 e l’iniziata ‘restaurazione capitalistica’, la linea infine che salvava l’autonomia e le caratteristicheproprie, pur mantenendo una saldissima unità internazionalistica, centrata sull’Unione Sovietica, di contro all’impe-rialismo. La condividevo pienamente…e la difendevo. Ma a partire da tutto questo cominciavano le vere difficoltàteoriche. Come le spiegazioni che si davano di quella linea potevano essere pensate concettualmente riportandole ailivelli massimi e generali della teoria?”26. Luporini ha sempre sostenuto e praticato un profondo intreccio tra strate-gia politica e lavoro teorico, tanto da subordinare spesso quest’ultimo alle forti esigenze della prima; ma ha sempreteorizzato anche l’autonomia dell’analisi scientifica (quindi anche di quella storiografica). Per questo, benché schieratissimo, Luporini è da considerare sempre un “pensatore di confine”, che pur dentro unaprecisa collocazione teorico-politica, ha tenuto lo sguardo aperto sull’esterno e, soprattutto, sulle valenze “non co -mode” che scaturivano dal suo lavoro. Benché dal 1945 fino alla fine degli anni ’50 Luporini si definisse storicista (ilprimo lavoro direttamente e totalmente critico verso ogni forma di storicismo e Verità e libertà, che è del 1960), nonè rintracciabile in lui una vera e propria storiografia storicista, anzi il suo lavoro storiografico è costituito su lineeportanti assai diverse, se non opposte, a quelle storiciste. Abbiamo già visto il caso specifico del Leopardi progressivo,dove storicismo e sua critica convivono in maniera conflittuale; ma è sul piano più generale che tutto ciò risulta piùchiaro. Uno dei capisaldi dello storicismo è il suo relativismo storico, assunto in funzione antiassolutista e antidog-matica. Orbene Luporini, nel suo lavoro storiografico, rifiuta come paradigma centrale, insieme all’assolutismo e al platoni -

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smo, il relativismo storico, presentandolo come il contrario speculare del platonismo stesso. Secondo lui, quindi, ildogmatismo assolutista non si combatte efficacemente ponendosi su uno dei due poli della stessa coppia di presuntiopposti, in verità in solidarietà antitetico-polare. Nello stesso modo Luporini rifiuta l’altro conseguente caposaldodella storiografia storicista, quello di individuare nelle filosofie solamente l’espressione di un’epoca. Gli storicisti,sulla scorta di una certa interpretazione della nozione marxiana di ideologia, credono di apprendere da Marx che lafilosofia (o la scienza) non è assolutamente autonoma, che non si spiega in nessun modo dal suo interno, e che èquindi sempre “innocente”, perché prodotto necessario e rispecchiante di un determinato svolgimento storico (dicarattere teleologico). Per cui, in questa concezione, un filosofo è tanto più grande non quanto più si tragga fuoridalla sua epoca, ma quanto meglio la esprima (e non è importante con quanta consapevolezza lo faccia). Ora, Lupo-rini non ha mai pensato in questo modo. A suo parere non è riducibile tutta la teoreticità umana all’ideologia. L’autonomia della teoresi, sia pur relativa e condizionata, è un punto fermo per Luporini, che, a una ragione, crededi aver imparato da Marx. Il rapporto di un pensatore con la sua epoca è considerato in modo dialettico, nel sensodella conquista di pensiero verso un orizzonte possibile o verso la sua limitazione e interruzione. L’iniziativa teoricadel pensatore non è mai assunta come una sorta di mera coscienza epocale (e se una situazione simile mai si dessesarebbe, per Luporini, indicazione di blocco, di incapacità; come abbiamo visto, ad esempio, per Scheler), ma innan-zitutto come costruttrice di teoria (che, nei casi più grandi, è rivolta ai problemi non ancora del tutto coscienti allasua epoca, come nel caso di Leonardo o Leopardi). Il procedere del lavoro storico-filosofico di Luporini è caratte-rizzato, in questo senso, da profonde differenze rispetto alla posizione storicista. Prima tra tutte il rifiuto del prefet -to storicista in merito all’esclusione dei giudizi di valore nella attività storiografica. Luporini esprime sempre i suoipresupposti teorici, dai quali fa discendere i suoi giudizi, non li mistifica in una astratta teorizzazione di una sorta di“equidistanza” o di “neutralità” dell’osservatore. Per questo Luporini ha sempre rifiutato la riduzione della storia della filosofia a descrizione la riduzione della storiadella filosofia a descrizione della cultura filosofica nella storia, ed ha sempre assegnato ad essa un’alta valenza teore-tica. Facendo storia della filosofia, secondo Luporini, si fa filosofia, se pur in forma, diciamo, indiretta. Per tredicianni questa “forma indiretta” è stata per Luporini il ponte con il quale produrre tutta una serie di strumenti e con -cezioni, con cui affrontare “direttamente” la complessità e le molteplici valenze del suo “presupposto”: il marxismo,con la sua “filosofia”, la sua “scienza” e la sua “politica”. E come per il suo lavoro storiografico, e grazie anche adesso, questo percorso, gradualmente, trova, nella sua costruzione positiva, un grande antagonista: lo storicismo mar -xista, che è poi, per Luporini, in stretta solidarietà (anche questa antitetico-polare) con l’ortodossia staliniana, con ilDiamat.

Note

1. C. Luporini, Introduzione, in Dialettica e materialismo, Editori Riuniti, Roma, 1974, pag. XXVIII. Di seguito questo testosarà denominato dalla sigla DM. Il lavoro storiografico di Luporini, comunque, non si interrompe con la fine di que -sto periodo; vanno ricordati i suoi corsi fiorentini sullo Hegel maggiore (Fenomenologia dello spirito, grande Logica, Filoso-fia del diritto), sui quali si veda il bel saggio di M. Monetti, “Il verbo “arbeiten” e i suoi composti nella prefazione della“Fenomenologia” hegeliana”, in “Critica marxista”, n. 6, 1986, pagg. 163-170; e l’ Introduzione alla Ideologia tedesca diMarx ed Engels, del 1967, che è un vero e proprio studio complessivo sul giovane Marx. Va ricordato anche, in meritoalla filosofia italiana, lo scritto Il marxismo e la cultura italiana del Novecento, del 1973, apparso nella Storia d’Italia, V, I docu-menti, Tomo II, Einaudi, Torino. In merito all’esperienza di Società si vedano: N. Ajello, Intellettuali e Pci (1944-1958), La-terza, Bari, 1979; M. Ciliberto, “Cultura e politica nel dopoguerra. L’esperienza di Società”, in “Studi storici”, 1, 1980;G. Di Domenico, “Saggio su Società”, Liguori, Napoli, 1979.

2. C. Luporini, Filosofi vecchi e nuovi, Sansoni, Firenze, 1947. Il libro contiene: L’etica di Max Scheler (1935-47); Un frammentogiovanile di G.F. Hegel (1945); Kant e il moralismo moderno (1946); Fichte e la destinazione del dotto (1946); Leopardi progressivo(1947). Di seguito il testo sarà citato con la sigla FVN.

3. C. Luporini, La mente di Leonardo, Sansoni, Firenze, 1953.4. C. Luporini, Voltaire e le “Lettres philosophiques”, Einaudi, Torino, 1977. I concetti qui raccolti sono stati espressi da Lu-

porini nelle sue lezioni del 1946. Si veda in proposito F. Brunetti, “Voltaire e le ‘Lettres philosophiques’, tra storia eimpegno politico”, in Critica marxista, n. 6, 1986, pagg. 99-106.

5. C. Luporini, Spazio e materia in Kant, Sansoni, Firenze, 1961.6. G. Preti, Saggi filosofici, Le Monnier, Firenze, 1976, vol. II, pagg. 293 e sgg.7. C. Luporini, La mente di Leonardo, cit., pag. 5.8. D. Cantimori, Studi di storia, Einaudi, Torino, 1959, pag. 407.9. C. Luporini, FVN, pag. 37.10. C. Luporini11. C. Luporini, Spazio e materia in Kant, cit. pagg. 84 e sgg.12. Ivi, pag. 327.13. Ivi, pagg. 284 e sgg.14. C. Luporini, Editoriale, in Società (nuova serie), III, n. 1, pag. 8.15. C. Luporini, FVN, pag. 188.16. Ivi, pagg. 245 e 251.17. Ivi, pagg. 245 e 251.

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18. Ivi, pag. 215.19. Ivi, pag. 241.20. Ivi, pag. 262.21. Ivi, pag. 248.22. Ivi, pag. 209.23. Ivi, pag. 241.24. S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Nistri-Lischi, Pisa, 1965, pagg. 117 e sgg.25. C. Luporini, Voltaire…, cit., pagg. 224-225.26. C. Luporini, Introduzione, in DM, pag. XXIX.

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PARTE SECONDADallo storicismo alla critica dello storicismo (1955-1965)

Capitolo 1I primi scritti marxisti

Il primo articolo di Luporini dedicato all’analisi sistematica del marxismo è del 1955 ed è intitolato La consapevolezzastorica del marxismo1. Insieme ad altri scritti minori dello stesso periodo (Marxismo e sociologia: il concetto di formazione eco-nomico-sociale (1954)2, Per lo studio delle opere giovanili di Marx ed Engels (1955)3, Il rapporto uomo-natura alle origini del marxi-smo (1955)4, Convergenze per un umanesimo moderno (1957)5, L’uomo e la natura (1958)6, rappresenta una prima fase di av-vicinamento interpretativo alle problematiche marxiste. Questa prima fase che dura fino al 1958-60 (fino agli scritti su Gramsci e a Verità e libertà) è caratterizzata da un at-teggiamento attento all’impostazione dei problemi, in qualche modo critico, inserito però dentro una sostanziale ac-cettazione del doppio dogmatismo storicismo/stalinismo. Luporini cerca di partire sinceramente dai problemi (edalle soluzioni) posti da Marx e dalla loro complessità, benché li voglia in tutti i modi porre su di una linea di conti -nuità con lo storicismo togliattiano e con il Diamat sovietico. Da una parte Luporini rivendica, di fatto, una libera eapprofondita analisi del testo marxiano (engelsiano e leniniano), mentre dall’altra non ammette la possibilità di unadiscrepanza decisiva tra i risultati di tale lavoro e la linea storico/politica del Pci e del movimento comunista inter-nazionale. Questa situazione, comune pressoché a tutti gli “intellettuali organici”, non è spiegabile con una stupida esemplicistica analisi di schizofrenia teorica (analisi comoda e facile da fare, soprattutto con un “senno di poi” deltutto astratto), ma con il fatto che Leporini non ha mai accettato la distanza e l’indipendenza assoluta tra la pura at -tività teorico-scientifica e la militanza politica, assegnando a quest’ultima un corretto potere condizionante, ma an-che spesso un “diritto coercitivo”, una pretesa invalicabilità dei propri confini. Luporini è stato un intellettuale mar -xista “compromesso”, con tutta la contraddittorietà che necessariamente da ciò consegue. Se non si comprendequesto fatto decisivo non si può comprendere a pieno lo sviluppo del pensiero di Luporini, le sue iniziali difesedell’ortodossia e soprattutto la loro compresenza con una attenzione profonda al significato del testo marxiano econ un sostanziale atteggiamento critico. La militanza politica, vissuta fino in fondo (a partire dal 1945), fece di Lu-porini un togliattiano e uno stalinista (con tutte le comunanze, ma anche le contraddizioni che questi due terminicomportano), la sua attività teorica, sostanzialmente ed essenzialmente libera e critica, lo rese capace di un appro -fondimento autocorrettivo altamente produttivo e non solo, come per molti, di una prima e semplice “autocritica”esteriore, poi seguita immancabilmente, in tempi diversi, da un abbandono di ogni politica anticapitalistica e delmarxismo stesso. L’approccio di Luporini al marxismo è di tipo unitario e sistematico. Il marxismo è, per lui, secondo il detto labrio-lano e gramsciano, una “concezione del mondo”, in qualche modo autosufficiente, caratterizzata da un atteggia -mento scientifico verso la realtà (filosofia materialistica, materialismo storico e critica dell’economia politica) e dauna nuova concezione dell’uomo e della sua azione (teoria politica rivoluzionaria e tema del comunismo). Il marxi -smo come filosofia, come “riforma intellettuale e morale di massa” (Gramsci) rappresenta la sintesi complessiva diquesti due aspetti, a partire dalle opere giovanili di Marx e di Engels, considerate essenzialmente come una doppiacritica della filosofia idealistica ed empirico-naturalista, fino alle opere mature dove è contenuto un comprensivopiano sistematico. Dal punto di vista filosofico in questi primi scritti di Luporini vi è l’identificazione tra questo pia-no sistematico (e le sue origini “giovanili”) e il materialismo dialettico staliniano, cosicché tutto è interpretato in unquadro di essenziale continuità di sviluppo. Scrive infatti Luporini: “In sede storica ciò che si chiama, in senso specifico, materialismo dialettico si è svolto dalmaterialismo storico. Vi è contrasto tra questi due fatti? Non solo non vi è contrasto, ma vi è piena e assoluta coin -cidenza. Ciò che a un certo momento si è chiamato materialismo dialettico, in quanto concezione generale dellarealtà e metodo di indagine di essa, non è che l’estensione alla sfera della natura della concezione e del metodo dia -lettico-materialistico già affermatosi, come ‘materialismo storico’ nei riguardi del mondo storico-umano”7. Successivamente, già nel ’58 scrivendo a proposito di Gramsci, Luporini abbandonerà questa posizione lineare“evoluzionistica” e, conseguentemente all’abbandono del Diamat, si aprirà la ricerca per un nuovo piano sistematicointerpretativo; infatti in questa sede egli scrive esattamente il contrario: “Non sembra conciliabile con il pensiero diGramsci un’esposizione del marxismo (anche a scopi meramente didascalici) in cui il materialismo storico appaia(secondo un’implicita logica classificatoria) come caso particolare di applicazione di un più generale materialismodialettico”8. Comunque anche in questi primi scritti i termini di naturalismo, materialismo, dialettica e umanesimorestano decisivi e non privi di interpretazione originale. I piani sui quali si svilupperà la ricerca marxista di Luporinisono qui già essenzialmente presenti: il nesso fondamentale e “vitale” tra materialismo e dialettica, la considerazione“forte” del tema della soggettività come elemento teorico centrale del marxismo, la stretta correlazione tra unascienza dello sviluppo dei modi di produzione (il concetto di formazione economico-sociale) e una teoria politica ri -voluzionaria (il tema del comunismo) e, infine, la proposta critica di un nuovo umanesimo.

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Il criterio della praticaIniziando lo scritto “La consapevolezza storica del marxismo” Luporini traccia un quadro sistematico nel quale oc-corre situare il marxismo. Egli pone a confronto due citazioni: la prima di Engels, tratta dal Ludwig Feuerbach, chedice: “…i fatti concepiti nel loro proprio nesso e non in un nesso fantastico…il materialismo (storico) non vuoldire niente altro che questo…”9; l’altra di Marx, tratta dalle Tesi su Feuerbach: “I filosofi hanno soltanto diversamenteinterpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo”10. E Luporini commenta: “Si può dire che tra queste due propo-sizioni apparentemente così diverse (esse sembrano appartenere a due opposte filosofie) sia compreso tutto il mar-xismo, come pensiero e come azione. Non solo come azione reale sociale, politica, il marxismo è la loro mediazione(questa azione si muove sempre da una analisi della situazione presente, secondo i suoi nessi reali), ma, in modo pa -rallelo, anche teoricamente, il marxismo è la mediazione critica di ciò che è indicato in quelle due proposizioni: me-diazione che rende evidente come l’un aspetto dipenda dall’altro, come sia fra essi un nesso dialettico” 11. Il marxi-smo è dunque analisi materialistica (scientifica) della realtà e anche teoria politica per la trasformazione consapevoledi quest’ultima. È “cultura integrale” (Gramsci) come nesso dialettico tra questi due aspetti. Come teoria della cono-scenza e della trasformazione del reale il marxismo assegna una decisiva importanza al condizionamento pratico diogni conoscere umano. “Innanzi tutto – scrive Luporini – la pratica umana è sempre pratica sociale (e ha il suo fon -damento nell’attività sensibile dell’uomo come essere vivente). Non si può in alcuna maniera staccare l’uomo (l’indi-viduo) dalla società. L’uomo è tale nel suo rapporto pratico con gli altri uomini: innanzi tutto è fondamentalmentenell’attività produttiva che amplifica e prosegue la sua vita naturale. Non c’è quindi uomo e società ma l’uomo è ilproprio essere sociale, che cresce sul suo essere naturale di vivente, e lo modifica anche…La pratica non soltanto stadunque all’inizio e alla fine di ogni processo conoscitivo, come suo condizionamento e come sua meta. Essa ne èanche, in definitiva, l’unico criterio di verità…”12. Per il marxismo, dunque, “noi conosciamo operando”13.

Il rapporto uomo-naturaMa anche il “criterio della pratica” diviene astratto se non si chiarisce il fondamento materialistico del rapportouomo-natura. A proposito Luporini utilizza i contenuti de L’ideologia tedesca e soprattutto la critica di Marx ed Engelsa Feuerbach. L’unità sostanziale dell’uomo con la natura e la priorità ontologica assegnata alla “natura esterna”, cosìfortemente messe in rilievo da Feuerbach, trovano Marx ed Engels d’accordo; ma queste affermazioni non sonosufficienti; è a questo punto che nascono le questioni più importanti. Scrive Luporini: “La riconosciuta unità praticadell’uomo con la natura dissolve forse la distinzione e l’antitesi uomo-natura? È forse anche quest’ultima solo unanebbia e un’illusione speculativa? O quell’unità non comporta in qualche modo la distinzione? E, in tal caso, la di -stinzione in che modo dev’essere pensata perché non si ricada in una posizione astratta e speculativa?14. A parere di Luporini il discorso di Marx ed Engels dà piena risposta a queste domande, laddove produce una pro-pria e nuova nozione di natura. Per Marx ed Engels non si tratta “di una natura astrattamente contrappostaall’uomo, tanto meno allo ‘spirito’, alla maniera hegeliana, né della negazione di questa contrapposizione, o del suocapovolgimento, nell’affermazione dell’immediata naturalità e sensibilità (semplicemente ‘oggettiva’) dell’uomo, allamaniera di Feuerbach. Si può considerare, per Marx, ‘l’uomo come distinto dalla natura’ solo in quanto egli se ne èvenuto, con la sua storia, realmente distinguendo e differenziando”15. In altra sede Leporini ribadiva: “La distinzionetra uomo e natura è legittima, è significante, in quanto si fonda su qualche cosa che si è prodotto realiter, cioè inquanto agli uomini, di fatto, si sono distinti come uomini da ciò che, in contrapposizione, diciamo natura. In quantoessi, cioè, uomini sono divenuti e lo sono divenuti nel tempo e inoltre per opera propria. Cioè ancora: in quanto laloro attività sensibile e ‘materiale’, e come tale naturale e corporea, ha prodotto nella natura (e sulla natura) il ‘mon -do umano’…Il fondamento reale della distinzione tra uomo e natura fornisce così anche la soluzione al problemadella loro unità”16. Marx ed Engels invocano a sostegno della propria posizionala considerazione storica,e, di nuovo,è risolutivo il criterio della prassi: “Ancora una volta è la prassi, la prassi umana associata e storica, a fornire il crite -rio decisivo: nella questione dell’unità come nella questione della distinzione uomo-natura, e anche quest’ultima,possiamo dire, è strappata alla speculazione per essere consegnata alla scienza e alla ricerca particolare. Se la distinzione uomo-natura si produce innanzi tutto come un fatto reale e pratico è chiaro che essa non può to -gliere l’unità pratica degli uomini con la natura, ma anzi la presuppone come sempre presente e operante, in varie esuccessive forme, ed è, essa distinzione, un aspetto di quell’unità nel suo storico svolgimento”17.

Il lavoro e i rapporti di produzione. I concetti di struttura e sovrastrutturaIl nesso tra il criterio della prassi e la trattazione materialistica e storica del rapporto uomo-natura, dà il senso a ciòche Marx ed Engels definiscono come “base reale della storia”: “Il reale processo della storia non può intendersi senon partendo dalla produzione della vita stessa, dalla produzione materiale della vita immediata” 18. La produzione ela riproduzione della vita fisica è comune agli uomini e agli animali, ma in questa unità diventa, ancora una volta,fondamentale la distinzione: “Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, pertutto ciò che si vuole; ma essi cominciano a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionatodalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente laloro vita materiale. Il modo in cui gli uomini producono i loro mezzi di sussistenza dipende prima di tutto dalla na -

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tura dei mezzi di sussistenza che essi trovano e che debbono riprodurre. Questo modo di produzione non si deve giudicare solo in quanto è la riproduzione della esistenza fisica degli indivi-dui; anzi, esso è già un modo determinato di estrinsecare la loro vita, un modo di vita determinato. Come gli indivi -dui esternano la loro vita, così essi sono. Ciò che essi sono coincide dunque con la loro produzione, tanto che ciòche producono quanto col modo come producono. Ciò che gli individui sono dipende dunque dalle condizioni ma-teriali della loro produzione”19. Questa distinzione, nell’unità ontologica dell’essere naturale, apre la strada per la de-lineazione della specificità umana come essere sociale. La prima nozione che Luporini mette in campo è quella di la -voro: “L’azione degli uomini sulle cose, sui prodotti della natura, per trasformarli a loro uso e vantaggio, è il lavoro.Dal lavoro è sorto il mondo umano sopra il mondo naturale: gli uomini, in quanto storici, sono figli del proprio la-voro. e il lavoro è ciò che tiene insieme la società umana, il suo cemento…Ora, il lavoro ha due aspetti, quello rivol-to alle cose materiali, per modificarle, e che dà luogo alla produzione, e quello appunto, per cui esso tiene insieme lasocietà umana; ossia i rapporti reciproci in cui gli uomini si trovano fra di loro producendo”20. I rapporti reciprocitra gli uomini che, storicamente, con il lavoro, si configurano nella totalità della produzione sono ciò che il marxi -smo chiama rapporti di produzione. I rapporti di produzione, come rapporti dialettici, ci danno il senso della loro profonda unità interna, ma anche illato reale dell’opposizione: “ci mostrano cioè la società divisa in classi antagonistiche”21. Il sorgere di una divisionedella società in classi antagoniste presuppone un lungo processo storico di divisione del lavoro fra gli uomini, cioè lacomparsa, a partire dalle condizioni di lavoro, di un “sistema dello sfruttamento”: esso “ha il suo primo presuppo-sto in un aumento delle forze produttive umane, e più precisamente nell’acquisizione da parte della forza-lavoroumana della capacità di creare un prodotto maggiore di quanto sia necessario al suo mantenimento. Questa capacitàè la base di ogni sfruttamento, ma è anche stata la base di ogni progresso di civiltà” 22. A questo punto Luporini con-tinua: “Ora, l’esistenza di un sistema di sfruttamento, qualunque esso sia (schiavitù, feudalesimo o salariato), com-porta un rapporto di sottomissione e di dominazione fra gli uomini nella loro attività produttiva ed è questo l’ele -mento essenziale per intendere che cosa sono le classi sociali; non, genericamente, la divisione del lavoro. Qui, nellanecessità di mantenere e sostenere un dato rapporto di soggezione-dominazione, si costituisce il potere politico, os -sia lo Stato, come un potere, una forza che si presenta al di sopra della società degli uomini”23. Luporini giunge così al rapporto, essenziale per il marxismo, tra struttura e sovrastruttura. Per trattare questa impor-tante questione, Luporini parte da una famosa citazione di Marx, espressa nella Prefazione del 1859 al Per la criticadell’economia politica, che dice: “nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determina-ti, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato gradodi sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la strutturaeconomica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale cor -rispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in ge-nerale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro esse -re, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”24. In questa posizione, secondo Luporini, risiede “il nocciolo del marxismo…come materialismo”25. Ma, per compren-derla correttamente, Luporini ci avverte di nono ossificarla nei suoi contenuti: di non identificare la sovrastruttura,in quanto connessione/opposizione alla struttura come “base reale”, con qualcosa di irreale o poco importante; dinon interpretare il fatto che l’essere sociale determina la coscienza come se quest’ultima non agisse affatto in manie-ra decisiva sull’essere sociale stesso; di non concepire, in definitiva, il marxismo come un “platonismo capovolto” 26.Scrive Luporini: “La struttura è la ‘base reale’ rispetto alla sovrastruttura perché da essa…la sovrastruttura trae lasua origine reale…ma per contro, altra cosa è l’origine…altra cosa è l’importanza” 27. È interessante notare che Lu-porini compie questo percorso interpretativo, sicuramente caratterizzato, come si è visto, da un atteggiamento criti -co, appoggiandosi su citazioni di Stalin: è un grande merito di Stalin, secondo Luporini, l’aver puntualizzato insiemel’origine subordinata e la grande importanza, politica e di lotta, della sovrastruttura. L’intero testo che stiamo esami -nando è infatti disseminato di citazioni da Stalin, ma se nella maggior parte dei casi esse hanno una motivazioneesclusivamente politica ed ideologica, sono “obbligate” dalla collocazione politica contingente dell’autore e del testo,non credo che ciò sia vero anche per il caso che stiamo ora focalizzando.Abbiamo detto che Luporini, in questa fase, si colloca pienamente in un quadro teorico di doppio dogmatismo sto -ricismo/stalinismo. Questa sintesi teorico-politica propria del Pci e, in particolare, di Togliatti, che assume come“padri filosofici” comuni Gramsci e Stalin, non dimostra certamente la correttezza di una identificazione sostanzialetra le posizioni teoriche dei due. Nel caso delle nozioni di struttura e sovrastruttura troviamo certamente sia inGramsci che in Stalin una coincidenza formale nell’esposizione della basiliarità della prima dell’importanza della se-conda, ma esiste certamente una sostanziale differenza nella ricchezza dialettica assegnata al loro nesso; differenzache deriva della profonde discrepanze generali tra la filosofia di Gramsci e quella di Stalin. Mentre la prima è carat -terizzata da una impostazione di ricerca multiforme e fortemente critica, la seconda costruisce le sue posizioni inbase ad una concezione sostanzialmente meccanicistica e deterministica (il Diamat appunto). Ora Luporini èsenz’altro in sintonia assai più con Gramsci che con Stalin, solo che crede di poter distinguere in quest’ultimol’esposizione del contenuto. Crede in un contenuto profondamente ricco e dialettico dentro una esposizione mecca-nica, che cita, considerata essenzialmente accidentale. Questo profondo equivoco è dovuto al fatto che Luporini, in questa fase, accetta pienamente, e cerca anche di so-

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stenere, la continuità tra il pensiero originale di Marx ed Engels, il Diamat sovietico e il pensiero di Gramsci. Èl’interpretazione storicistica di Gramsci che gli permette, paradossalmente, di tenere unite, in un insieme generaleerrato, la ricchezza critica di quest’ultimo (e di Marx) con la scolastica dottrinale e deformante di Stalin. Mostreremonel corso del nostro lavoro come a seguito del processo di liberazione del Diamat, conseguito da Luporini fin dal1958, i concetti qui esposti troveranno e produrranno una nuova collocazione teorica in grado di sviluppare le po-tenzialità critiche qui già presenti, ma bloccate. In questi scritti siamo di fronte più che ad un esempio di stalinismoteorico (c’è anche questo ovviamente) ad una mistificazione del pensiero di Stalin, compiuta, in gran parte inconsa -pevolmente, da uno stalinista in senso di schieramento politico-ideologico. Luporini assegna a Stalin ciò che non èdi Stalin: un contributo importante al marxismo nel senso della sua scientificità e criticità; progetto a cui Luporini, ealcuni altri studiosi a quali presto lui si riferirà (in particolare Althusser), andavano lavorando proprio a partire daquegli anni. Per tornare al testo che stiamo analizzando, quanto poco esso sia uniformato ad un approccio teoricogenerale di tipo stalinista, è dimostrato anche dal fatto che Luporini, proprio per spiegare la ricchezza dialettica delnesso struttura/sovrastruttura, ricorre alla nozione hegeliana di totalità (ricordiamo che Hegel era del tutto esclusodal “campo teorico” staliniano): “base e sovrastruttura costituiscono una totalità (secondo il significato hegelianodel termine) e vanno pensate come una totalità, ove l’un termine è relativo all’altro…e la loro realtà implica recipro-canza d’azione (reciprocanza d’azione di molti lati, perché la sovrastruttura non è, evidentemente, mai un bloccosolo, ma un composto di molteplici aspetti, vari storicamente”28. Nel commentare ulteriormente questa affermazio-ne, Luporini, in una nota, in merito alla nozione di riflesso (la sovrastruttura riflette la base che la produce), ne ri -marca il valore dialettico e la complessità, contro ogni riduzionismo: “La nozione di ‘riflesso’ o riflessione, che hacosì vasta applicazione (anche gnoseologica) nel marxismo, mi pare che non possa venire intesa pienamente, e rischianzi di venire equivocata meccanicisticamente, se ne viene obliterata la natura dialettica, per la quale essa aveva tro -vato già così largo uso sistematico (anche se spesso arbitrariamente aprioristico e indirizzato alla costruzione ideale,distaccata da nessi reali) nel movimento interno della logica hegeliana”29. A seguito della trattazione del nesso struttura/sovrastruttura come totalità, Luporini introduce quella nozione che,nel marxismo, concretizza la società, nel suo sviluppo storico e materiale, come sistema, e che sarà di così grandeimportanza per il percorso antistoricista e antidogmatico di Luporini: la nozione di formazione economico-sociale.In uno scritto di poco precedente (1954), Luporini aveva trattato specificatamente questa nozione marxiana (pre -sente nel Capitale e nella Prefazione del 1859 al Per la critica dell’economia politica). Essa ha avuto una prima tematizzazio-ne diretta da parte di Lenin nello scritto “Che cosa sono gli amici del popolo?” 30, del 1894. Siccome Luporini, inquesta fase, abbraccia pienamente questa interpretazione di Lenin, credo occorra ricordarla brevemente.

Il concetto di formazione economico-sociale: la posizione di Lenin e una prima interpretazione di LuporiniIn questo scritto Lenin polemizza con la sociologia borghese dell’epoca, impersonata, per lui, da Michajlovskij, im-putandole, come fondamento, un concetto di generalità del tutto soggettivistico: per Lenin partire, in sociologia, dalconcetto di “società in generale” è antiscientifico, come in psicologia da quello di “anima” o, in biologia, da quellodi “vita”; lo stesso significato ha il concetto più generico di “natura umana”: “questo sociologo si interessa soltantodi una società che soddisfi la natura umana e nient’affatto di questa o quella formazione sociale che, per giunta, puòessere fondata su un fenomeno non corrispondente alla ‘natura umana’, come l’asservimento della maggioranza daparte di una minoranza”31. A questo modo di affrontare i problemi della società, Lenin contrappone l’oggettività di Marx, la quale consiste nel -la capacità di esaminare dettagliatamente una determinata “formazione sociale”, quella borghese-capitalistica, secon-do le sue leggi di funzionamento ed evoluzione, intese “scientificamente” alla stessa guisa di un Naturgesetz: “Marxparla di una sola ‘formazione economica sociale’, della formazione capitalistica; dice cioè, di aver esaminato la leggedi sviluppo di questa sola formazione, e di nessun altra”32. Secondo Lenin questo permette a Marx di individuare“ciò che distingue un paese capitalistico dell’altro” e “ciò che è comune a tutti”, in quanto Marx ha separato “da tut -ti i rapporti sociali i rapporti di produzione, come rapporti fondamentali e primordiali, che determinano tutti gli al -tri”33. Questi concetti, che sono espressi da Marx nella Prefazione del ’59 al Per la critica dell’economia politica, rappresen-tano poi, per Lenin, lo “scheletro del Capitale”, che egli descrive così: “(Marx) prende una delle formazioni econo-mico-sociali – il sistema dell’economia mercantile – e sulla base di una mole prodigiosa di dati, da una analisi minu -ziosissima delle leggi di funzionamento di questa formazione e della sua evoluzione. Questa analisi è limitata ai solirapporti di produzione tra i membri della società: Marx, senza mai ricorrere, per spiegare la cosa, a un qualsiasi ele -mento che si trovi al di fuori di questi rapporti di produzione, dà la possibilità di vedere come si evolve l’organizza -zione mercantile dell’economia sociale, come essa si trasforma in organizzazione capitalistica, creando le classi anta -goniste della borghesia e del proletariato, come essa accresce la produttività del lavoro sociale e, con ciò stesso, in-troduce un elemento che entra in contraddizione inconciliabile con le basi di questa stessa organizzazione capitali -stica”34. Questo è dunque, per Lenin, il significato autenticamente marxista del concetto di formazione economico-sociale.Esso è la specificazione sociale di un determinato e strutturale modo di produzione, il quale è a sua volta determi -nato da particolari rapporti di produzione. A diversi modi di produzione corrispondono diverse formazioni sociali.Come concetto scientifico basilare, esso permette la fondazione di una sociologia materialistica antisoggettivistica.

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Anche per Luporini il concetto di formazione economico-sociale dà il carattere materialistico della ricerca sociologi-ca e costituisce una relazione fondativi tra il marxismo e quest’ultima. Come Lenin, anche Luporini parte dalla defi-nizione dei rapporti di produzione. Essi, come rapporti materiali fondamentali, stabiliscono il fondamento materia-listico del marxismo come concezione dell’uomo e della sua storia. Così l’uomo si identifica con il proprio esseresociale, cioè con i modi e i rapporti in cui avviene la produzione materiale della sua vita. I rapporti di produzionesono quindi connessi con un concetto di totalità; scrive infatti Luporini: “i rapporti di produzione non sono dunqueuna generalizzazione di singoli o particolari atti umani, bensì i nessi reali entro cui gli atti umani come tali si produ -cono. Non una generalità, nel senso di generalizzazione, ma, di volta in volta, o di grado in grado, un totum, una to-talità”35. Così, con Marx, Luporini giunge a definire la società “non speculativamente come ente a sé stante, comeun ‘unico soggetto’, …(ma come)…quell’insieme di relazioni tra gli uomini che di volta in volta, ossia di fase storicain fase storica, con la varie differenze di svolgimento dei popoli che costituiscono l’umanità, ha una forma o struttu -ra, in quanto totalità o sistema di rapporti di produzione”36. Questa totalità, secondo Luporini, dà il significato reale al concetto di “formazione economico-sociale”, essenzialeal marxismo ed esplicitato da Lenin in Che cosa sono gli amici del popolo?. Inoltre Luporini osserva che questo concettopermette al marxismo di stabilire “le grandi partizioni periodizzanti della storia” (i modi di produzione asiatico, anti -co, feudale e capitalistico) “ossia il fondamento obiettivo della storiografia” 37. La storia come soggetto generale assi-cura la continuità e lo svolgimento del corso dell’umanità, il concetto di formazione economico-sociale permettel’analisi scientifica dei diversi stadi e gradi di sviluppo di questo svolgimento, quindi dà fondamento alla scientificitàdella storia (storiografia) e della società (sociologia). Nel testo che stiamo esaminando, Luporini non tematizza ulteriormente queste osservazioni, ma continua occupan-dosi della questione della sociologia, riassumendo e commentando le argomentazioni di Lenin a cui abbiamo accen-nato. La cosa importante da sottolineare è che qui Luporini è convinto che queste argomentazioni leniniane (e sul)poggino su un significato di “formazione economico-sociale” identico a quello messo in rilievo da Marx nella famo -sa Prefazione del ’59. Vedremo più avanti che, proprio in sede di abbandono dell’interpretazione storicistica del mar-xismo, la categoria di formazione economico-sociale svolgerà una funzione decisiva, a partire proprio dal ribalta -mento di questa tesi.

La dialetticaQuanto finora è stato affrontato da Luporini rappresenta, potremmo dire, una elencazione e un commento dei con-cetti sistematici propri del marxismo: il rapporto uomo-natura, inteso materialisticamente (né semplicemente in sen-so naturalistico, alla Feuerbach, né astrattamente, in senso speculativo, alla Hegel) con il suo nesso di unità e distin -zione nel lavoro; a partire da questo, i rapporti tra gli uomini come rapporti di produzione; il loro concretizzarsi sto-rico in un sistema dello sfruttamento (divisione del lavoro, divisione della società in classi antagonistiche) che trovail suo presupposto in un aumento delle forze produttive e la sua spiegazione scientifica nella analisi della società (at-traverso le nozioni di struttura e sovrastruttura) come formazione economico-sociale. Ora Luporini affronta la rela -zione tra questi concetti, il loro movimento nel corso storico, il loro sviluppo e le loro contraddizioni; in una parola,la loro dialettica. Luporini si chiede dove nasca l’autorizzazione teorica all’uso di termini come “processo”, “svilup -po”, “grado di sviluppo”, etc., così frequenti ed importanti nei testi marxiani. Scrive Luporini: “Essi erano stati adoperati anche dall’idealismo hegeliano, e hanno qui la loro nascita. Per l’ideali -smo hegeliano la storia non è soltanto successione di eventi, semplice divenire, ma è svolgimento. L’idea dello svol-gimento comporta che ciò che viene dopo contenga in qualche modo ciò che è venuto prima: che non solo il dopoabolisca il prima, in quanto esso è attuale e il ‘prima’ non lo è più, ma che ne sia il risultato e contenga l’antecedentenon più nella sua attualità che è sparita, ma appunto come risultato”38. Questa idea hegeliana che, secondo Luporini,il marxismo ha ereditato, insieme all’altra fondamentale scoperta di Hegel e cioè che “non si dà svolgimento, e ingenerale movimento, senza contraddizione”39, si è però costituita nella storia della filosofia, da Aristotele a Hegelstesso, come “processo-modello” a “carattere chiuso”40, contrassegnato dalla necessità del finalismo: “la nozione disvolgimento che Hegel applica alla storia umana (che per lui è storia dello ‘spirito’), per quanto grandemente arric -chita di determinazioni, non differisce nel fondo da quella aristotelica. Anche la storia come svolgimento è per He -gel, sostanzialmente, almeno nei termini in cui si produce e in cui necessariamente si raccoglie, un processo a siste -ma chiuso. L’autocoscienza è il suo intrinseco finalismo”41. È proprio questo tipo di modello chiuso, con la sua conclusione necessaria di tipo teleologico, che il marxismo rifiu -ta. “La storia – scrive Marx – non è altro che la successione delle singole generazioni, ciascuna delle quali sfrutta imateriali, i capitali, le forze produttive che le sono stati trasmessi da tutte le generazioni precedenti, e quindi da unaparte continua, in circostanze del tutto cambiate, l’attività che ha ereditato; d’altra parte modifica le vecchie circo-stanze con un’attività del tutto cambiata; è un processo che sul terreno speculativo viene distorto al punto di faredella storia successiva lo scopo della storia precedente, di assegnare per esempio alla scoperta dell’America lo scopodi favorire lo scoppio della Rivoluzione francese; per questa via poi la storia riceve i suoi scopi speciali e diventa una‘persona accanto ad altre persone’ (che sono: ‘autocoscienza, critica, unico’, ecc.), mentre ciò che viene designatocome ‘destinazione’, ‘scopo’, ‘germe’, ‘idea’ della storia anteriore altro non è che un’astrazione della storia posterio-re, un’astrazione dell’influenza attiva che la storia anteriore esercita sulla successiva”42. Scrive Luporini in proposito: “Tutta l’impalcatura metafisica, speculativa finalistica, dell’idea di sviluppo cade infatti

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col marxismo. Non è l’individuo universale, lo spirito autocoscienze nel suo processo di formazione (questa costru -zione speculativa) a costituire la concatenazione e lo sviluppo della storia degli uomini, ma molto più semplicementeil loro lavoro, il prodotto e il risultato di esso”43. È dunque, con il lavoro, lo sviluppo delle forze produttive che dà ilsenso reale (non speculativo) allo “svolgimento” storico: “la continuità della storia umana…è la continuità materialedelle forze produttive nell’evoluzione delle società storiche. Il fondamento di ciò che si chiama sviluppo è nel loroaccrescersi e accumularsi (che non implica affatto, naturalmente, un ritmo unico e sempre ascendente per ogni par -ticolare società o fusione di società, ma è ascendente nel complesso: il che è un rilievo empirico)”44. Il carattere oggettivo e la presenza della necessità nella storia non risiede nel suo intrinseco sviluppo finalistico, manel fatto che gli uomini non possono scegliere, nella presenzialità, le proprie forze produttive. La concezione mate -rialistica della storia di Marx “mostra che la storia non finisce col risolversi nella ‘autocoscienza’ come ‘spirito dellospirito’, ma che in essa ad ogni grado si trova un risultato materiale, una somma di forze produttive, un rapportostoricamente prodotto con la natura e degli individui tra loro, che ad ogni generazione è stata tramandata dalla pre -cedente una massa di forze produttive, capitali e circostanze, che da una parte può essere senza dubbio modificatadalla nuova generazione, ma che d’altra parte impone ad essa le proprie condizioni di vita e le dà uno sviluppo de-terminato, uno speciale carattere; che dunque le circostanze fanno gli uomini non meno di quanto gli uomini faccia-no le circostanze. Questa somma di forze produttive, di capitali e di forme di relazioni sociali, che ogni individuo eogni generazione trova come qualche cosa di dato, è la base reale di ciò che i filosofi si sono rappresentati come ‘so -stanza’ ed ‘essenza dell’uomo’, di ciò che essi hanno divinizzato e combattuto, una base reale che non è minima -mente disturbata, nei suoi effetti e nei suoi influssi sulla evoluzione degli uomini, dal fatto che questi filosofi, inquanto ‘autocoscienza’ e ‘unico’, si ribellano ad essa”45. Il nesso dialettico che il marxismo istituisce tra le decisioni alternative degli uomini e le condizioni oggettive in cuiesse si esplicano, mette in luce la storicità delle leggi economiche, che è una delle fondamentali scoperte del marxi-smo. Esse non “sono eterne, come apparivano all’economia classica, né possono costituire modelli ideali ed armoni-ci dell’attività economica umana, ma neppure possono essere distrutte ad arbitrio”46. Nel loro presentarsi come “lo-gica” delle condizioni oggettive presenti, le leggi economiche agiscono, rispetto ad ogni singolo individuo, come na -tura, ma hanno un carattere storico e quindi, a certe condizioni, possono essere distrutte e modificate dagli uomini.

La teoria della rivoluzione: marxismo e filosofiaSe lo sviluppo delle forze produttive mostra l’oggettività e la storicità delle leggi economiche, la loro relazione strut -turale con i rapporti di produzione apre il discorso sulla trasformazione rivoluzionaria della società. Scrive Marx nel1859: “A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con irapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) den -tro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si con-vertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale”47. Secondo Luporini “il marxismo come dottrina rivoluzionaria e prassi rivoluzionaria, è tutto fondato su questa pro-posizione”48. Ma la presenza di una possibilità rivoluzionaria strutturale non è sufficiente perché la trasformazionerivoluzionaria abbia luogo; occorre necessariamente anche l’intervento umano cosciente: “Gli elementi necessaridella rivoluzione sono dunque di due ordini: l’esistenza delle condizioni oggettive nello sviluppo della produzionesociale; l’esistenza delle condizioni oggettive nello sviluppo della produzione sociale; l’esistenza delle condizionisoggettive nella ‘massa rivoluzionaria’. La prassi del marxismo si volge, attraverso l’analisi delle prime, alla creazionee promozione delle seconde. Ed è qui che emerge l’importanza rivoluzionaria delle idee”49. A questo punto Luporini ripercorre la classica teoria politica del marxismo-leninismo. Il primo momento messo inrilievo è quello relativo alla funzione storica della classe operaia. Le “idee” marxiste “forniscono così la coscienza ri -voluzionaria che trasforma quella forza sociale, il proletariato, da classe in sé (storicamente creata dal sistema bor -ghese di produzione e di scambio) in classe per sé; da classe virtualmente o spontaneamente rivoluzionaria in classeche si assume un compito storico, attraverso la consapevolezza, sperimentata nella lotta e nell’organizzazione, dellapropria posizione nella presente società umana”50. Il secondo momento, strettamente connesso al primo, riguarda il modo in cui la teoria può diventare coscienza rivo-luzionaria del proletariato; riguarda, cioè, il rapporto tra intellettuali e classe operaia, il nesso spontaneismo/organiz -zazione, la costruzione e la funzione del partito rivoluzionario. In merito a questa questione Luporini ricalca piena-mente la famosa concezione che Lenin aveva espresso nel 1902, nel suo Che fare?, e cioè: il fatto che la classe operaiada sola può esprimere solo una coscienza tradunionista, impone la necessaria costituzione del partito, come avan-guardia esterna al proletariato, che porti in esso la teoria rivoluzionaria e quindi permetta la trasformazione della ri -vendicativa coscienza tradunionista nella rivoluzionaria coscienza socialista. La funzione della teoria rivoluzionarianei confronti dell’organizzazione del proletariato e della costituzione del partito, pone al centro del discorso il rap -porto tra marxismo e filosofia, affrontando il quale Luporini conclude lo scritto che stiamo analizzando. Luporinimette in luce insieme la continuità e la discontinuità presenti in questo nesso. Il riferimento principale diventa anco-ra Hegel e, in proposito, Luporini riconferma la famosa posizione di Engels, espressa nel Ludwig Feuerbach, in meritoalla distinzione tra sistema e metodo, e conclude: “il marxismo accoglie da Hegel il concetto della fluidità e dialetti -cità delle categorie, fondandolo sulla loro storicità che per essere umana, non per questo è meno obiettiva (perchélegata alla prassi e quindi all’unico criterio decisivo di obiettività del conoscere). Accoglie da Hegel, così incerandolo,

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il suo ‘metodo di pensiero essenzialmente rivoluzionario’. Ma ne rigetta non soltanto la costruzione, ma lo spirito dicostruzione. Respinge cioè la sintesi ideale come artificioso (in realtà sempre ideologico, classistico) e astratto surro-gato della sintesi reale che vien prodotta nel corso produttivo e creativo della storia effettuale delle cose e degli uo-mini”51. Le ragioni specifiche della continuità e della discontinuità tra il marxismo ed Hegel, permettono di indicare anchel’assoluta novità e originalità che il marxismo stesso rappresenta; il marxismo è tutt’altro che “un’accettazione passi -va del reale…è l’unico modo per agire efficacemente in esso; perché la filosofia diventa una forza per ‘mutare ilmondo’, traducendosi in prassi umana associata. La pretesa sintesi ideale, che si ponga al di sopra o al di fuori diquesta prassi, non esprime se non il ‘desiderio di conciliare le contraddizioni’…allorché invece la loro concreta sto -rica conoscenza si compie solo nella conoscenza delle condizioni del rovesciamento pratico della base di esse. Lacontinuità ideale in cui siffattamente il marxismo si pone con la precedente filosofia…è dunque al contempo l’affer-mazione della sua originalità filosofica, di un piano assolutamente nuovo stabilito da esso al pensiero filosofico, equindi anche della sua irriducibilità o inconciliabilità con altre filosofie”52.

L’umanesimo socialistaPrima di concludere con alcune riflessioni generali intorno a questi primi testi marxisti di Luporini, devo ancora ac -cennare ad un tema importante: quello dell’umanesimo. Di questi primi scritti infatti uno è dedicato proprio a que-sto tema: Convergenze per un umanesimo moderno (1957).Per Luporini il marxismo non si può ridurre ad un mero economicismo: i temi della soggettività, dell’individuo e dei“valori umani” (etica), sono fondamentali per il marxismo, che ne compie infatti una trattazione originale, indirizza-ta alla promozione di un nuovo e moderno umanesimo socialista. Questa originalità non è senza genesi e senza sto -ria. Dall’“umanesimo storico” del ‘400, il marxismo eredita una idea fondamentale: quella “che l’uomo, posto in mezzoad un mondo di cose costrette entro leggi prescritte, non ha, a differenza di esse, una natura determinata, ma se laviene facendo con la sua opera, come plasmatore e statuario di se stesso: la sua natura la determinerai da te, tibi illampraefinies, gli dice il supremo artefice. Ed era questa per l’umanista l’eccellenza incomparabile dell’uomo nell’univer -so. In una veste ancora mitologica e immaginosa vi era qui un’intuizione della realtà dell’uomo che il pensiero el’esperienza moderni hanno svolto, dandole una dimensione storica. Un umanesimo moderno non può non accetta-re questi termini”53. Secondo Luporini, nell’epoca presente, la possibile convergenza tra questa idea fondamentale e la costituzione di unmoderno umanesimo socialista si può meglio delineare per via negativa e per contrasto. Scrive Luporini: “ciò che unmoderno umanesimo innanzi tutto respingerà e combatterà è la sfiducia nella ragione umana quanto alla sua capaci -tà di scrutare sempre più a fondo la realtà che ci circonda, o che noi stessi produciamo, e a dirigerci in questa realtà:come uomini singoli e come gruppi di umanità associata. Respingerà cioè ogni evasione per le vie dell’irrazionali -smo e del misticismo, e anche quella più sottile evasione che consiste nell’innalzare in un cielo di pura astrattezza laragione umana e nel separarla così dalla pratica quotidiana degli uomini e della società”54. Questa posizione preliminare, però, non può bastare di fronte alla mutata realtà odierna. Un umanesimo modernonon potrà costituirsi se non “terrà continuamente aperta la domanda sulla reale condizione umana nel mondo dioggi, ad ogni latitudine geografica e ad ogni livello sociale. Non si possono più staccare alcuni valori dell’uomodall’uomo stesso, considerarli ‘in sé’ e chiudere gli occhi sul resto. Questo fu il limite…del vecchio ‘umanesimo’(dando al termine la più vasta accezione: dalla filosofia greca al liberalismo moderno). Avvertiva Marx che non esi -stono da una parte l’importanza e il significato dell’uomo…e dall’altra l’uomo; ma che l’unica importanza dell’uomoè appunto quella di esser uomo. Il che significa: nella sua realtà e concretezza storico-sociale”55. L’essenziale riferimento alla concretezza storico-sociale e alla sua possibile e necessaria analisi scientifica deve esclu -dere, prima di tutto, rispetto al tema dell’umanesimo, caratterizzazioni di tipo moralistico e cioè da una parte deverifiutare “ogni generale significato…di provvidenzialismo e di ottimismo ad ogni costo” e dall’altra “ogni radicalepessimismo storico”56. In proposito riportiamo una citazione piuttosto lunga, ma altamente significativa; scrive Luporini: “Anche i più pes-simisti circa le sorti dell’uomo, anche coloro che rifiutano come illusione l’idea del progresso, almeno un fatto nonpossono negare e cioè l’ascesa economica e tecnica dell’umanità. Proprio questa ascesa (che è dominio progressivodegli uomini sulle forze naturali) – e nello stesso tempo i ritardi e gli impedimenti che tuttavia si frappongono adessa – proprio questo processo storico nella fase che attualmente viviamo, ci mette dinnanzi ai più gravi problemi eanche alle più gravi contraddizioni presenti nel mondo umano. Antiche questioni come quelle della povertà e dellaricchezza, del nutrimento, del lavoro o della sua mancanza, del potere politico, dei rapporti di soggezione e domina -zione tra i popoli, o socialmente all’interno di essi, hanno assunto nella nostra epoca un volto completamente nuo -vo. Il cui tratto essenziale è senza dubbio la partecipazione alla loro elaborazione di grandi masse umane, con gli ele-menti di consapevolezza, con le forze direttive che esse sprigionano da sé. Il nesso che viene a stabilirsi fra tali forzedirettive e le masse stesse, il processo di formazione delle volontà collettive, le relative trasformazioni sociali, la mi-sura in cui in esse intervengono il momento della forza e quello del consenso, con le conquiste e i progressi, e insie -me con le difficoltà, gli errori e i conflitti cui danno luogo, non possono essere considerati con indifferenza o sem-plicemente respinti o condannati, alquanto comodamente, attraverso sbrigative analogie storiche, quali espressioni

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di una nuova barriera: poiché sono gli aspetti essenziali del moderno problema dell’uomo, della sua vera libertà e di-gnità, che si presentano in un orizzonte mondiale involgente, per la prima volta, tutto il genere umano. Determinan-te, in tutto ciò, è appunto il fatto che il corso storico dell’umanità, attraverso gli stessi presenti contrasti, si è unifica -to e sembra attenderlo un comune destino”57. L’unità concreta del genere umano è assicurata dallo sviluppo del modo di produzione capitalistico e dal mercatomondiale (dall’aumento delle forze produttive, dalla nascita di un sistema dello sfruttamento e dalla divisione in clas-si della società), ma questa unità così contraddittoria, è anche la condizione necessaria per dar vita ai percorsi di libe-razione dell’umanità. (È interessante notare che qui Luporini fa emergere il tema del comunismo coniugato conquello della democrazia, tema ancor più attuale oggi. Dai problemi qui esposti “ebbe origine la democrazia moder-na, il che avviene talvolta che oggi si dimentichi, nella confusione non del tutto innocente tra democrazia e liberali -smo”58. L’unità del genere umano, nel mercato mondiale, costituita storicamente dalla società di classi, rappresenta dialetti-camente anche il momento di maggior scissione tra gli uomini e dell’uomo da se stesso. Scrive Luporini: “Nella cri -tica marxista dell’economia politica, nell’analisi da essa compiuta del sistema borghese di produzione e di scambio,della sua genesi e dei suoi presupposti, vi è un nucleo di essenziale rilevanza umanistica ed è la scoperta che denaro,merce, capitale, nella loro parvenza oggettiva di cose o rapporti tra cose, nascondono e dissimulano rapporti fra uo -mini”59. Il carattere umanistico e rivoluzionario del marxismo parte da questa essenziale posizione: da “una situazione reale:l’estraneazione dell’uomo a se stesso, la sua soggezione al proprio prodotto”60, come fatto storico e quindi trascen-dibile. In questo contesto s’incontrano e si legano “nel marxismo…critica dell’economia, metodo d’interpretazionedella storia e metodo dell’azione rivoluzionaria”61. Così la realtà del capitalismo si presenta come un insieme di grandi contraddizioni storiche (sviluppo progressivo eestraneazione e soggezione degli uomini) e il marxismo ne rappresenta una grande e complessiva forza interpretati-va e trasformativa, proprio perché ruota intorno alla consapevolezza di queste contraddizioni e della loro sostanzia-le unità. Conclude Luporini: “Nel tenere aperta questa consapevolezza è la vera e unica garanzia contro ogni dog -matizzazione (del marxismo). Negando ogni ‘filosofia perenne’ esso esclude anche sé da tale pretesa arcaica. Se miraad una società integralmente umana, nel senso che si è visto, rilevandone le condizioni dalle cose stesse, non perquesto chiude e fissa idealmente l’uomo in alcuna visione del mito di una ‘natura umana’ o di un ‘uomo in generale’,esso ripropone e traduce nella prassi associata il tema centrale dell’umanesimo: se possono gli uomini, con le loroforze e la loro ragione, dominare il proprio destino”62.

Lo storicismo “critico” di LuporiniIn questo capitolo abbiamo situato questi primi scritti di Luporini dentro una collocazione di doppio dogmatismo,tra storicismo e stalinismo. È stato Luporini stesso, nel 1974, a darci questa definizione: “Mi sembra che eravamovissuti (cioè avevamo operato e pensato) come in un’intercapedine, l’intercapedine fra due ortodossie e, in ultimaanalisi, tra due dogmatismo, quello stalinista e quello storicista”63. Abbiamo anche sostenuto che lo stalinismo, più che rappresentare una vera e propria opzione teorica indipendente,indica una collocazione ideologico-politica tipica di quegli anni. Quindi il vero e proprio soggetto teorico di riferi-mento deve essere individuato nello storicismo, in particolare nello storicismo marxista. Ogni storicismo assume lastoria come ente razionale, presuppone a priori l’esistenza di un continuum temporale omogeneo dentro il quale scor-rerebbero gli avvenimenti in un divenire consequenziale. Per lo storicismo esiste quindi uno svolgimento storico, dauna Origine ad un Fine, attraverso l’evoluzione di un Soggetto, che compie questo percorso. C’è uno svolgimentoappunto perché il tutto è determinato teleologicamente. Questa concezione, intrecciandosi con una considerazionedi giudizio (che è sempre anche una preoccupazione politica), legittima una lettura della “storia universale” comeProgresso (o come decadenza che, dal punto di vista teorico, è lo stesso). Lo spazio e il tempo degli eventi storici di-ventano uno spazio assoluto e un tempo assoluto, denominati, in maiuscolo, Geografia e Storia, dove una catena dieventi avviene in successione continua, dalla preistoria al comunismo. L’interpretazione storicistica del materialismostorico traduce, in maniera particolare, quel triplice mito della Origine, del Fine e del Soggetto, a cui abbiamo accen-nato. Il mito dell’Origine si identifica con una sorta di prima “economia naturale”, dominata dal valore d’uso e dovenon esiste il valore di scambio; il mito del Fine si identifica con lo stadio finale del comunismo, a cui tutto lo svolgi -mento tende; il mito del soggetto si identifica con la “concretizzazione” nel Proletariato dell’unità hegeliana di Sog -getto-Oggetto. Il Proletariato diventa, al posto dell’astratto Spirito assoluto o Autocoscienza, il Portatore strategicoe essenziale del Progetto storico. Lo storicismo fa della storia la “Grande narrazione” dello sviluppo di un Soggetto.Lo storicismo marxista interpreta il marxismo come questa compiuta grande narrazione64. Il movimento dello svolgimento storico segue un processo dialettico inteso meccanicamente come cammino ad unaunità originaria conchiusa ad una totalità nuova finale, passando per uno Stato di alienazione contraddittorio. Adesempio: nella originaria “economia naturale” esiste solo il valore d’uso che, nel travaglio storico del “negativo” si“aliena” nel valore di scambio, per restaurarsi di nuovo nel comunismo, dove ritorna a regnare; oppure: soggetto eoggetto si alienano nella pratica umana, e qui si identifica alienazione e oggettivazione, per poi ricongiungersi in unSoggetto-Oggetto identico, totalmente consapevole della sua autoreferenzialità storica, identificato con il Proletaria -to, portatore del senso assoluto della storia e del suo fine (il comunismo). Noi crediamo che in questi primi scritti

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Luporini sia ancora pienamente inserito in questa concezione, anche se, l’abbiamo accennato, ne introduce degli ele-menti critici. Egli accetta in pieno l’idea hegeliana dello svolgimento e anche se la caratterizza in modo prudente (ildopo che contiene il prima come risultato), non la critica complessivamente nella sua insita teleologicità. Luporinicritica, in verità, il finalismo hegeliano e correttamente introduce il lavoro empirico come elemento determinante diconcatenazione dello sviluppo storico, ma fa appunto solo questo, senza trarne conseguenze radicali. Al Soggetto assoluto hegeliano (l’Autocoscienza) Luporini non contrappone l’insensatezza di presupporre un mitodel Soggetto storico, ma un altro Soggetto, secondo lui reale perché concreto (non astratto come l’autocoscienza),identificato con il Proletariato, “classe in sé per sé”. Proletariato che infatti si promette l’assoluzione necessaria econsapevole (in sé e per sé) di un “compito storico”, la realizzazione del Fine, del comunismo, assicurata dal deter -minato svolgimento storico (che va da un’Origine ad un Fine, appunto). Luporini concepisce correttamente lo svi-luppo storico-empirico del “progressivo arretramento delle barriere naturali” (Marx), permesso dal fatto empiricodella crescita delle forze produttive, ma immediatamente identifica tutto ciò con l’idea di progresso (“anche il pessi-mista storico non può negare il progresso della civiltà”), riportando così la posizione marxiana ad una concezionedella storia come continuum omogeneo, dall’inferiore al superiore. La categoria di formazione economico-sociale ègiustamente riconosciuta elemento centrale del materialismo storico come scienza della trasformazione dei modi diproduzione, ma viene anche considerata come indicatore di una successione di stadi, dal meno evoluto al più evolu-to, dal meno progressivo al più progressivo65. Gli importanti riferimenti di Luporini alle posizioni marxiane ed en-gelsiane de L’ideologia tedesca, che noi abbiamo ampliamente citato, volutamente quasi senza commento, sono insiemecapiti e fraintesi. Sono capiti nella loro pars destruens contro Hegel e Feuerbach, ma sono fraintesi nella loro pars con-struens, in quanto anticipatori di una concezione totalmente diversa da quella storicista, “grande-narrativa”. Con que-sto non vogliamo dire che nel “giovane” Marx (ma anche in quello “maturo”) non ci siano spunti teorici che auto -rizzano una filosofia della grande-narrazione come lo storicismo (o, in generale, come quello che è stato il cosiddet -to “marxismo occidentale”); pensiamo, per esempio, ai passi della Sacra famiglia dedicati al ruolo del proletariatocome “Liberatore totale”. In Marx ed in Engels ci sono anche elementi per avallare una più generale grande narra -zione ontologico-naturalistica come il Diamat (o “marxismo orientale”), soprattutto nel suo significato tipicamenteottocentesco. Questo percorso Luporini infatti lo compie nell’intrecciare storicismo e stalinismo. Comunque siamconvinti che queste posizioni siano solo spunti e che la concezione filosofica generale di Marx (la sua “metafisica in -fluente”) sia un’altra, indirizzata alla costituzione di un’ontologia materialistica dell’essere sociale, cosa del tutto anti -tetica alla grande narrazione, sia in versione “occidentale” che “orientale!. Crediamo che verso questa consapevolez -za si muova Luporini nello sviluppo del suo pensiero durante tutti gli anni ’60 e ’70. Questo lavoro che ha il suomomento iniziale nella destrutturazione dello storicismo, prende avvio (prudentemente) già nel 1958, affrontandodi nuovo il tema del materialismo, del rapporto tra naturalità e storicità, nei confronti di un argomento inevitabileper ogni marxista italiano: Gramsci.

Note

1. Pubblicato su Società, XI, n°3, 1955. Ora in DM, pagg. 3-41. Da qui citeremo.2. Comunicazione al Convegno indetto della Sezione di Bologna della Società Filosofica Italiana (Bologna, 22-23 aprile

1954) e pubblicato in AAVV Filosofia e società, Il Mulino, Bologna e in Rinascita, XI, n°7, 1954. Ora, senza note, in DM,pagg. 297-304. Da qui citeremo.

3. Pubblicato in Rinascita, XII, n°1, 1955. Ora in DM, pagg. 305-321. Da qui citeremo.4. Pubblicato in Rivista critica di storia della filosofia, X, n°2, 1955. Ora in DM, pagg. 322-328. Da qui citeremo.5. Pubblicato in Società, XXII, n°1, 1957. Ora in DM, pagg. 329-342. Da qui citeremo.6. Comunicazione al Congresso Internazionale di Filosofia (Venezia, 12-18 settembre 1958) e pubblicato in Società, XIV,

n°5, 1958. Poi in “Atti del XII Convegno internazionale di Filosofia”, Sansoni, Firenze, 1960, II. Ora in DM, pagg.349-351. Da qui citeremo.

7. C. Luporini, Per lo studio delle opere giovanili di Marx e di Engels, in DM, pag. 308.8. C. Luporini, Appunti su alcuni nessi interni del pensiero di Gramsci, (1958), in DM, pag. 48.9. F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1976, pag. 56.10. K. Marx, Tesi su Feuerbach, in F. Engels, Op. cit., pag.86.11. C. Luporini, La consapevolezza storica del marxismo, in DM, pag. 3.12. Ivi, pag. 4.13. Ivi, pag. 9.14. C. Luporini, Il rapporto uomo-natura alle origini del marxismo, in DM, pag. 324.15. Ivi, pag. 325.16. C. Luporini, L’uomo e la natura, in DM, pagg. 347-348.17. C. Luporini, Il rapporto uomo-natura alle origini del marxismo, in DM, pag. 325.18. Ivi, pag. 324.19. K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1983, pagg. 8-9.20. C. Luporini, La consapevolezza storica del marxismo, in DM, pag. 10.21. Ivi, pag. 11.

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22. Ivi, pag. 12.23. Ibidem.24. K. Marx, Prefazione del 1859 al Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma, 1984, pag. 5.25. C. Luporini, La consapevolezza storica del marxismo, in DM, pag. 14.26. Ibidem.27. Ivi, pag. 15.28. Ivi, pag. 16.29. Ibidem, nota 21.30. Lenin, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma, 1965, pagg. 1-62.31. Ivi, pag. 5.32. Ivi, pag. 4.33. Ivi, pag. 5.34. Ivi, pagg. 8-9.35. C. Luporini, Marxismo e sociologia: il concetto di formazione economico-sociale, in DM, pag. 298.36. Ivi, pagg. 298-299.37. Ivi, pag. 299.38. C. Luporini, La consapevolezza storica del marxismo, in DM, pag. 23.39. Ivi, pag. 25.40. Ivi, pag. 24.41. Ibidem.42. K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, cit., pag. 30.43. C. Luporini, La consapevolezza storica del marxismo, in DM, pag. 25-26.44. Ivi, pagg. 26-27.45. K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, cit., pag. 30.46. C. Luporini, La consapevolezza storica del marxismo, in DM, pag. 29.47. K. Marx, Prefazione del 1859 al Per la critica dell’economia politica, pag. 5.48. C. Luporini, La consapevolezza storica del marxismo, in DM, pag. 30.49. Ibidem.50. Ivi, pagg. 32-33.51. Ivi, pagg. 40-41.52. Ibidem.53. C. Luporini, Convergenze per un umanesimo moderno, in DM, pagg. 333-334.54. Ivi, pagg. 334-335.55. Ivi, pag. 335.56. Ibidem.57. Ivi, pagg. 335-336.58. Ivi, pag. 340.59. Ivi, pag. 341.60. Ibidem.61. Ibidem.62. Ivi, pag. 342.63. C. Luporini, Introduzione a DM, pag. XXXII.64. Queste considerazioni e, in parte, anche il linguaggio sono mutuati dalle posizioni di Costanzo Preve. In particolare da

C. Preve La filosofia imperfetta, F. Angeli, Milano, 1984, e da C. Preve La ricostruzione del marxismo fra filosofia e scienza. Unpercorso di riflessione dalla rivoluzione epistemologica di Luis Althusser alla rifondazione filosofica di Georg Lukàcs , in AAVV, La co-gnizione della crisi, Franco Angeli, Milano, 1986, pagg. 87-133.

65. Il riferimento all’idea del progresso ha anche un importantissimo connotato politico. È stato il cavallo di battaglia delPci, il quale ha sempre diviso il panorama culturale e politico tra due schieramenti: i “progressisti” e i “conservatori”.Questo è conseguenza della concezione di Togliatti in merito al capitalismo avanzato (del tutto similare a quella impe-rante nella III Internazionale), dove quest’ultimo veniva interpretato essenzialmente come sottoconsumo e sottosvi -luppo. È chiaro che, con questa concezione, il “compito progressivo dello sviluppo delle forze produttive” doveva es -sere assunto direttamente dal movimento operaio (l’unico in grado di concepirlo nel suo senso assoluto in quantoSoggetto storico consapevole) con tutte le conseguenze storiche che ciò ha avuto, ad esempio, nel nostro paese: dallaposizione frontista e riformista del dopoguerra, all’appoggio del “boom” economico degli anni ’60, fino alla “politicadei sacrifici” degli anni ’70.

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Capitolo 2La lettura di Gramsci

Il marxismo italiano e GramsciMolto sinteticamente Giuseppe Bedeschi, nel suo libro La parabola del marxismo in Italia (1945-1983), in merito al de-cennio 1945-1955, sostiene la tesi di una divisione conflittuale dei marxisti italiani in due filoni:“storicista-dialettico” (gramsciano) e “materialista-dialettico”, che così descrive: “l’uno più legato alla nostra culturae alla nostra storia, l’altro largamente ispirato a Engels e alla filosofia sovietica” 1. Tedeschi esprime anche un chiarogiudizio: associa i primi ad un piano di ricerca critico e filosoficamente aperto, mentre definisce i secondi come por -tatori della ortodossia propria della filosofia sovietica, il Diamat. Tutto questo è ricondotto alla doppia e conflittualeposizione del Pci e di Togliatti: da una parte la ferrea e incondizionata “scelta di campo” internazionale a favoredell’Urss, dall’altra la scelta politica “coraggiosa” per una “via nazionale al socialismo”, dalla quale prendeva vigoreun’attenzione particolare per la cultura e per la storia nazionale in senso specifico, con al centro, ovviamente, la ri-flessione di Gramsci (identificato come erede della tradizione Vico-De Sanctis-Spaventa-Labriola-Croce)2. Questa tesi di Bedeschi mi sembra imprecisa ed eccessivamente di parte, dalla parte dei gramsciani, ovviamente.Così come promuove acriticamente questi ultimi, almeno nelle intenzioni, boccia unilateralmente gli altri, i materiali-sti-dialettici, senza alcun appello, precludendosi la strada per una possibile considerazione più attenta alla maggiorecomplessità e eterogeneità delle posizioni. Fa bene Bedeschi a sottolineare l’enorme settarismo che accompagnavale critiche della cultura marxista nei confronti delle correnti scientifiche e filosofiche più importanti del Novecento,bollate e rifiutate con l’etichetta di “decadenza borghese”, ma sbaglia nel non considerare nel merito tali critiche e ledifferenze tra chi le avanzava. Egli fa notare, per esempio, la stroncatura dogmatica e settaria fatta da Mario Spinellarelativamente al libro di Ludovico Geymonat, Saggio di filosofia neorazionalista (uscito a Torino nel 1953), accusato di“neopositivismo” e cioè di “idealismo mascherato”, ma non ricorda che lo stesso Geymonat, divenuto poi uno deimaggiori esponenti del materialismo dialettico (pur non avvicinandosi allo “stalinismo teorico” in materia di filoso-fia della scienza), non ha mai rinnegato, nonostante questo, i contenuti fondanti di quel testo. Oppure Badeschi ri -corda ancora, come esempio chiaro di quel settarismo, il grande successo ottenuto nel 1959 dalla traduzione italianadel libro di György Lukàcs, La distruzione della ragione, in cui – scrive Bedeschi – “quasi tutto il pensiero filosofico-sociologico tedesco (Weber compreso) veniva presentato come un percorso ‘da Shelling a Hitler’”3. Ora è indubbio,e anche ovvio, che nel testo di Lukàcs sia presente il clima della guerra fredda, è indubbio anche che in quel libroesistano giudizi affrettati (credo pochi) su alcuni pensatori (ad esempio Freud), ma non è ammissibile descrivere laricchezza dell’opera lukacciana e il suo tentativo, penso legittimo, di rintracciare le caratteristiche fondamentali delclima culturale che ha fatto da sfondo o da protagonista all’ascesa del nazismo, come se si trattasse di un volgare li -bello stalinista, assolutamente sordo alla complessità e alle differenze concettuali, tutto teso a distorcere la realtà perdimostrare una tesi pregiudiziale di mero carattere politico contingente4. Comunque, per tornare alla tesi principale di Bedeschi, penso che ciò che in essa non funzioni non sia tanto l’esi -genza di porre una distinzione tra chi assunse il pensiero di Gramsci come elemento centrale e chi cercò di intro -durlo dentro paradigmi generali di provenienza marxiana ed engelsiana interpretati dogmaticamente nel Diamat, mail fatto unilaterale di associare solo a queste ultime posizioni lo status di ortodossia dottrinale bloccata e settaria. Credo, invece, che sia assai più rispondente al vero la tesi che nel 1974, ripensando a quel periodo, espresse Lupori -ni: “Mi sembra che eravamo vissuti (cioè avevamo pensato e operato) come in una intercapedine, l’intercapedine fradue ortodossie e, in ultima analisi, fra due dogmatismi, quello stalinista e quello storicista”5. Entrambe le posizioni, ricordate da Bedeschi, hanno cioè sofferto di settarismo e hanno bloccato la ricerca, sia inmerito al materialismo marxista e alla dialettica, sia nei confronti della interpretazione del pensiero di Gramsci. Ciònon significa, evidentemente, che la riapertura di un piano di ricerca debba passare dalla sottovalutazione di queglielementi di diversità tra le posizioni dei “classici del marxismo”, soprattutto Engels e Lenin, e alcune osservazioni,assai importanti, di Gramsci, che, per chiarezza, credo vadano ricordate. In merito, ad esempio, al problemadell’oggettività e del materialismo Gramsci scrive: “Oggettivo significa sempre ‘umanamente oggettivo’, ciò che puòcorrispondere esattamente a ‘storicamente soggettivo’, cioè oggettivo significherebbe ‘universale soggettivo’” 6; e an-cora: “Si è dimenticato in una espressione molto comune (Materialismo storico) che occorreva posare l’accento sulsecondo termine ‘storico’ e non sul primo di origine metafisica”7. In merito al problema della scienza (e diversa-mente dalla posizione rigorosamente materialistica di Lenin) Gramsci scrive: “Anche nella scienza, cercare la realtàfuori degli uomini, inteso ciò nel senso religioso e metafisico, appare niente altro che un paradosso. Senza l’uomo,cosa significherebbe la realtà dell’universo? Tutta la scienza è legata ai bisogni, alla vita, alla attività dell’uomo. Senzal’attività dell’uomo, creatrice di tutti i valori, anche scientifici, cosa sarebbe l’oggettività?. Un caos, cioè niente, ilvuoto, se pure così si può dire, perché realmente, se si immagina che non esiste l’uomo, non si può immaginare lalingua e il pensiero”8. E infine, in merito ai rapporti tra Marx ed Engels, Gramsci scrive: “Anche il fatto che uno hascritto qualche capitolo per un libro scritto dall’altro, non è una ragione perentoria perché tutto il libro sia conside-rato come risultato di un perfetto accordo. Non bisogna sottovalutare il contributo del secondo, ma non bisognaneanche identificare il secondo con il primo, né bisogna pensare che tutto ciò che il secondo ha attribuito al primosia assolutamente autentico e senza infiltrazioni…Si tratta che il secondo non è il primo e che se si vuole conoscere

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il primo occorre cercarlo specialmente nelle sue opere autentiche, pubblicate sotto la sua diretta responsabilità. Da questa osservazione conseguono parecchie avvertenze di metodo e alcune indicazioni per ricerche collaterali”9. Alla luce di tali posizioni chi si avvicinava a Gramsci con l’intenzione di adottarlo come “padre filosofico” della pro-pria ricerca marxista, incontrava non poche difficoltà a coniugarlo con tutta una tradizione interpretativa che assu-meva il Diamat, con tutta la sua acriticità (anche nei confronti di Engels e Lenin), come unica e autentica filosofiamarxista. La motivazione della convivenza conflittuale (in verità quasi del tutto innocua) di tali eterogenee tendenze nel Pci,va ricercata dentro la particolare impostazione che il partito diede al rapporto tra politica e cultura e quindi al ruolodegli intellettuali. Mentre, da un lato, il Pci mostrava grandi capacità di reclutamento intellettuale e anche di organiz -zazione e agitazione culturale, promuovendo vasti dibattiti e costituendo riviste con redazioni assai composite (adesempio, Società), dall’altro non permetteva che gli eventuali risultati critici di tale lavoro divenissero motivi politici ditrasformazione della linea del partito. Si ebbe una apertura culturale notevole (soprattutto se paragonata a ciò che,ad esempio, avveniva nel Pcf) che però non ebbe sbocco politico significativo rispetto, soprattutto, all’indiscutibilerapporto di fedeltà tra il Pci e Mosca. Questo percorso non fu ovviamente senza “incidenti”, si pensi, ad esempio, aVittorini e al suo Politecnico, ma funzionò almeno fino al 195610. Occorse, infatti, una profonda crisi politica e ideolo-gica di respiro epocale perché la riflessione culturale e l’azione politica ritrovassero reali (e non fittizi) canali di co-municazione, e cioè il grandioso processo economico e sociale che, iniziatosi in Italia già dal 1953, trasformò radi -calmente e in pochi anni il nostro paese, e le crisi convulsive delle nazioni dell’Est europeo che ebbero la loro massi-ma espressione nel XX congresso del Pcus, nei moti polacchi e nella rivoluzione ungherese. Dentro questa profonda crisi entrambi gli “schieramenti” del marxismo italiano dovettero trovare nuovi percorsi diricerca; e per quanto riguarda il nostro argomento specifico, seguendo ancora la ricostruzione storica di Bedeschi,questi furono “gli anni della ‘riscoperta’ di Gramsci, cioè di un pensatore marxista la cui opera risaliva agli anni Ven-ti e Trenta. Ciò aveva, in realtà, una motivazione profonda. È naturale, infatti, che a partire dal 1956, quando inco-minciavano ad entrare in crisi nel movimento comunista italiano e occidentale il mito stalinista e la prassi delloStato-guida, ci si volgesse con maggiore attenzione all’opera gramsciana, cioè ad un tipo di riflessione marxista chenon soltanto non era né viziato né condizionato da ipoteche staliniste, ma era strettamente legato alla tradizione ita-liana, alla nostra storia sociale e culturale, alle nostre peculiarità nazionali, e che quindi appariva come piattaformateorica più adatta per l’elaborazione di una originale, ‘nazionale’, via al socialismo. Al tempo stesso, però, in questo stesso periodo, insieme ad una lettura non convenzionale e non di manieradell’opera gramsciana, incominciarono anche a essere espresse, in modo coerente e sistematico, molte riserve criti -che verso tale opera”11. Questo apparente paradosso, riscoperta e critica al contempo, si spiega con la caduta diquell’atteggiamento dogmatico (presente in tutti), di cui si diceva, e con il tentativo di riprendere più liberamente illavoro di interpretazione e “attualizzazione” del marxismo. Scrive ancora Bedeschi: “Sia che si avvertisse l’esigenza di ‘svecchiare’ il marxismo, di arricchirlo e di rinvigorirlocon tutta una gamma di interessi e di campi di ricerca che gli erano rimasti sostanzialmente estranei; sia che ci siproponesse di riscoprire il marxismo come sociologia materialistica, come analisi scientifica della formazione eco-nomico-sociale borghese, nell’un caso e nell’altro era inevitabile che la linea storicistico-dialettica del marxismo ita-liano (da Labriola a Gramsci) venisse nettamente contestata. Il fatto si è che il gramsciano appariva troppo legatoall’idealismo crociano e troppo condizionato da esso (cioè da una filosofia che aveva mostrato una totale incom-prensione verso il sapere scientifico-teorico); e, in ogni modo, troppo povero di fermenti e di indicazioni per unaanalisi economico sociologica rigorosa, all’altezza della società industriale avanzata (quale l’Italia ormai era o si av -viava ad essere)”12.

Il primo convegno di studi gramsciani In questo clima fu organizzato il primo convegno di studi gramsciani, svoltosi a Roma nel gennaio del 1958 13. Quile due posizioni, i fautori della “riscoperta” e i “critici”, presero corpo in diversi interventi. Tra i primi si possonobrevemente ricordare i contributi di E. Garin, di L. Gruppi e di G. Tamburano. Garin sostenne il carattere sistema-tico e unitario dei Quaderni gramsciani, nonostante la loro forma esteriore di note, appunti e testi ancora incompiuti,sottolineandone la novità e l’importanza nell’aver tradotto “il marxismo in italiano”, nel permettere cioè uno sguar-do critico, concreto e specifico, sulla storia della società e del pensiero del nostro paese, essenzialmente dominata,secondo Garin, dalla matrice culturale crociata e gentiliana di cui Gramsci, appunto, rappresenta insieme l’erede e ilsuperatore14. Nei confronti della tradizione marxista classica, Gruppi sottolineò l’eterogeneità tra la concezione dell’“obbiettività”di Gramsci e la teoria della conoscenza come riflesso e rispecchiamento di Lenin. Egli fece notare che per Gramsciparlare di obbiettività, indipendentemente dall’uomo e dalla sua storia, non ha senso e che, proprio per questo oc-corre contrapporre ad una teoria del mero rispecchiamento una teoria della conoscenza come “attività”. SecondoGruppi l’assunzione di tale punto di vista avrebbe permesso di superare il determinismo economico e il fatalismomeccanicistico propri di tanti filoni del marxismo15. Dal punto di vista della teoria politica, Tamburano sostenne la grande innovazione portata dal concetto gramscianodi “egemonia” rispetto alle linee classiche del marxismo-leninismo. Egli puntò il suo discorso sulla distinzionegramsciana tra “società politica” e “società civile”, rimarcando l’importanza di quest’ultimo concetto in merito ai

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problemi della conquista del potere, del dominio e del consenso. Ciò significava, per Tamburano, che in occidente ilprocesso di transizione al socialismo non poteva considerarsi come una “guerra manovrata”, bensì come una “guer-ra di posizione”, come conquista politico-culturale della società civile16. Dall’altro lato, tra i “critici”, si possono ri-cordare gli interventi di L. Geymonat e di M. Tronti. Secondo Geymonat le posizioni di Gramsci sono troppo condizionate dalla concezione filosofica di Croce tantoche, pur criticando quest’ultimo, ne accetta i temi ritenuti centrali: “Proprio qui – scrive Geymonat – vanno ricerca-te le radici ultime della perplessità di alcuni studiosi italiani, legati all’odierna rinascita illuministica, nel giudicarel’attualità ‘piena e completa’ dell’opera di Gramsci. Il neoilluminismo ha costituito un rivolgimento profondo dellafilosofia e ha fatto affiorare temi nuovi, assolutamente ignoti alla problematica crociata (basti ricordare quelli con-nessi alla metodologia scientifica, alla tecnica, alla logica formale, ecc.) e presenti invece in altri filoni della culturaitaliana (Cattaneo, Vailati, Enriques) trascurati dal crocianesimo”17. In definitiva, a parere di Geymonat, è l’intero terreno della riflessione di Gramsci ad essere limitativo per una rinno-vata cultura marxista. Tronti, ispirandosi alle posizioni teoriche di Della Volpe, respingeva pressoché tutta la conce -zione gramsciana del marxismo. Secondo lui “la filosofia della prassi” di Gramsci o è “la crociana filosofia della pra -tica, oppure quel non meglio precisato ‘realismo storico-critico’ che fa capo a Rodolfo Mondolfo. Ambedue i con-cetti, credo, di origine gentiliana, del Gentile del saggi sul marxismo”18. A parere di Tronti tutta la riflessione diGramsci andava collocata, e rifiutata, sotto questo massiccio influsso dell’idealismo. A dimostrazione di ciò Trontiricordava le famose affermazioni di Gramsci in merito all’oggettività (“oggettivo” come “umanamente oggettivo” equindi come “storicamente soggettivo”) e indicava come, in esse, tale concetto sfumava nell’intersoggettività, ovve-ro in una forma di empiriocriticismo, tale per cui si identificava si, crocianamente, la filosofia con la storia, ma non,marxianamente, con la scienza, aprendo, appunto così, la strada all’idealismo.

Le posizioni di LuporiniDentro questo contesto si inserisce il contributo di Luporini (il suo intervento al convegno e gli appunti preparatoridi quest’ultimo), che ora analizzeremo19. Se volessimo etichettare la posizione di Luporini dovremmo senz’altro“schierarla” tra quelle dei “gramsciani”. Questo fatto però non implica una concezione acritica e conchiusa del pen -siero di Gramsci: esso, scrive Luporini, “non è fatto per chi cerchi una sistemazione di formule, un’esposizione dog-matica del marxismo; esso è una ricerca in movimento…La sua fecondità e attualità è legata a questo carattere” 20.Tuttavia Luporini, in questo momento, accetta pienamente la collocazione assegnata a Gramsci dallo “storicismomarxista”, la “teoria ufficiale” del Pci: “il pensiero di Gramsci è articolato nella cultura italiana e profondamente ra -dicato nella realtà italiana. Sotto questo riguardo Gramsci succede ad Antonio Labriola nell’aver fatto del marxismo,in una fase storica diversa e più matura, una corrente fondamentale del pensiero italiano”21. Comunque, e credo che questa sia la cosa più importante, pur in questo contesto “allineato”, a Luporini non sfug-gono i fondamentali punti critici e problematici presenti nella riflessione di Gramsci, i quali, sviluppati in seguito,spesso sotto altre forme (a partire dallo scritto “Verità e libertà” del 1960), contribuiranno a portarlo lontano daogni forma di storicismo. Si può dire che questi scritti gramsciani segnano un punto di passaggio. La questione cen -trale che, secondo Luporini, caratterizza l’importanza e l’attualità di Gramsci è la sua concezione del marxismo, ilquale “non è per Gramsci soltanto un ‘metodo’ ma è la filosofia, in quanto integrale e ‘generale’ concezione dellarealtà o, come egli suole dire, sulle orme del Labriola, ‘concezione del mondo’. Il momento metodico (riferito sia alconoscere, sia al pratico agire) e il momento ‘concezione del mondo’ si condizionano e provano reciprocamente,... enon sono separabili senza grave deformazione”22. In questa tesi gramsciana non c’è la riproposizione del vecchio punto di vista idealistico sulla filosofia come Weltan-schauung, ma, al contrario, il suo superamento dialettico. Secondo Luporini, a chi, come Husserl, contrappone giusta -mente alla filosofia come Weltanschauung una idea della filosofia come strenge Wissenschaft 23, Gramsci, con la sua con-cezione del filosofo, dà una risposta nuova ed esauriente. Scrive Gramsci: “(Il filosofo) ha nel campo del pensiero la stessa funzione che nei diversi campi scientifici hanno glispecialisti. Tuttavia c’è una differenza tra il filosofo specialista e gli altri specialisti: che il filosofo specialista si avvici -na più agli altri uomini di ciò che avvenga per gli altri specialisti. L’aver fatto del filosofo specialista una figura simile,nella scienza, agli altri specialisti, è appunto ciò che ha determinato la caricatura del filosofo. Infatti si può immagi-nare un entomologo specialista, senza che tutti gli altri uomini siano ‘entomologhi’ empirici, uno specialista della tri -gonometria senza che la maggior parte degli altri uomini si occupino di trigonometria ecc…, ma non si può pensarea nessun uomo che non sia anche filosofo, che non pensi, appunto perché il pensare è proprio dell’uomo cometale”24. In questo modo la filosofia perde la sua caratteristica idealistica e reazionaria di “sapere per eletti”, senza diventaresemplicismo, e si intreccia in modo dialettico con la realtà concreta e quotidiana di tutti gli uomini.È ovviamente proprio il marxismo che incarna questa nuova concezione. Secondo Gramsci, scrive Luporini, “ilmarxismo si presenta così come riforma intellettuale e morale di massa dei tempi moderni. La parte forse più nuovadella problematica gramsciana si svolge da questa concezione. L’esigenza di far coincidere storicamente tale aspettocon la soluzione dei compiti teorici, scientifici, ecc. più alti e complessi, cioè l’esigenza di una ‘cultura integrale’, che,sulla base della classe rivoluzionaria, possieda una espansività illimitata fra gli uomini, appare perciò essenziale alladinamica del marxismo, e viene a caratterizzare la sua originalità irriducibile a tutte le precedenti filosofie”25.

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Tutto questo impone una ridefinizione della nozione di “senso comune”, non a caso centrale nella riflessione diGramsci. Scrive Luporini: “Essa nel contesto gramsciano è ben più complessa del consueto riferimento dei filosofiper indicare un presunto atteggiamento mentale staticamente contrapposto alla ‘criticità’ della filosofia o della meto-dologia scientifica. Il ‘senso comune’ non è per Gramsci univocamente riducibile, nei suoi contenuti: esso è sempre‘prodotto storico’ che contiene e cristallizza contraddittoriamente le più varie eredità passive del passato, oltre, natu-ralmente, gli elementi attivi da liberare e elaborare”26. Questa serie di temi e di riflessioni pone al centro del discorso il problema della conoscenza e della azione praticacome consapevolezza, come coscienza politica, e quindi il problema fondamentale dell’ideologia (e dell’educazio-ne)27. Su questo terreno il marxismo (e la filosofia), come riforma intellettuale e morale di massa, come “radicale ri-voluzione culturale”28, impone l’identificazione di filosofia e politica, tanto da dar corpo a quel principio marxiano,così importante per Gramsci, espresso nella XI delle Tesi su Feuerbach. Scrive Gramsci: “Si giunge così ancheall’uguaglianza o equazione tra ‘filosofia e politica’ tra pensiero e azione, cioè ad una filosofia della prassi. Tutto èpolitico, anche la filosofia o le filosofie, e la sola ‘filosofia’ è la storia in atto, cioè è la vita stessa”29. In Gramsci diventa così centrale il problema della storia ed impossibile ogni riferimento all’uomo e alla natura pre -scindendo da esso. Scrive Luporini: “Si potrebbe pensare che in questa risoluzione gramsciana dell’uomo in storia,sia pure intesa la storia…in un senso ‘non formale’, vada perduta la componente naturalistica del marxismo”30. Tale interpretazione sarebbe, secondo Luporini, unilaterale perché caratterizzata da un peccato di incompletezza: in-fatti “la naturalità dell’uomo, in senso puramente biologico, è per Gramsci, come per tutto il marxismo, soltanto unpresupposto della storia umana. Non può essere cercata lì quell’unità dell’umano che sta dinanzi a noi come unobiettivo, posto dallo svolgimento storico. Ma, d’altronde, quel ‘presupposto’ della storia (umana) non è, sotto un al-tro riguardo, inoperante in essa. Potremmo dire: non più in quanto oggetto della biologia (che appunto astrae, con -siderando l’uomo, dallo svolgimento della sua storica socialità), ma in quanto oggetto della economia politica, ossiadi una scienza storico-umana, che il marxismo, in quanto ne ha fatto la ‘critica’, ha integralmente storicizzato. Sottotale aspetto l’uomo rimane pur sempre, insuperabilmente, natura, ma di una naturalità ormai inglobata nella stori -cità-socialità umana e funzione di essa. E, tuttavia (contro ogni idealismo), un momento irriducibile di questa. Que-sta è la posizione integralmente marxista; e qui, ci sembra, è il più rigoroso fondamento materialistico del marxi -smo…Questa è anche la posizione di Gramsci”31. In proposito, sostiene Luporini, l’originalità e l’importanza delpensiero di Gramsci, in senso anti dogmatico, è data dalla sua inconciliabilità con “una esposizione del marxismo incui il materialismo storico appaia (secondo un’implicita logica classificatoria) come caso particolare di applicazionedi un più generale ‘materialismo dialettico’ la cui ‘descrizione’ possa, sia pur momentaneamente, prescindere dallapresenza dell’uomo nel mondo”32. Nella problematica gramsciana, continua Luporini, “ciò che non trova posto…èla dottrina gnoseologica nota sotto il nome di teoria del riflesso”33.

Una critica fondamentaleTuttavia in questa chiara posizione di difesa della concezione generale gramsciana, Luporini non può fare a meno diintrodurre un importante e decisivo rilievo critico; scrive: “Qui è necessario aggiungere che, se è vero che il marxi -smo come rivoluzione filosofica è coincidenza di naturalismo e umanismo, può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto,soprattutto per ragioni di interna polemica (contro le penetrazioni di materialismo metafisico nel marxismo), unacerta attenuazione dell’istanza o componente naturalistica rispetto a quella umanistica, uno squilibrio in questo sen-so. Chi scrive lo ritiene. A Gramsci interessò soprattutto il lato umano (e quindi anche ideologico, super-strutturale,storico) della questione dell’oggettività, attorno a cui le sue riflessioni sono di grande importanza e originalità. Maper quanto concerne il grave problema del nesso tra questa oggettività e la naturalità si è ormai come al margineestremo del suo interesse e della sua meditazione. E non è detto che qui non si verifichi qualche oscillazione o in -certezza…La questione che abbiamo dinnanzi è quella della difficile saldatura obiettiva (ossia non più soltanto nelsoggetto umano, come prassi sensibile-razionale) fra naturalità e storicità, che è indubbiamente, credo, il punto teo -rico più delicato di tutta la filosofia marxista”34. Questo passo è di grande interesse e di fondamentale importanza. Qui Luporini comincia a porsi davanti ad un,sempre più chiaro, bivio teorico. Da una parte si situa ancora dentro la prospettiva teorica dello “storicismo marxi -sta” e definisce, in questo senso, il pensiero di Gramsci come “storicismo integrale” o “storicismo assoluto” 35, madall’altra, è estremamente significativo che egli collochi il limite del pensatore sardo proprio là dove individua il cen-tro (problematico) di tutta la filosofia marxista: il tema del rapporto tra naturalità e storicità. Abbiamo visto che le prime riflessioni sistematiche di Luporini intorno ai testi marxiani (e engelsiani) hanno avutoal centro il tema filosofico del rapporto uomo-natura, e quindi la questione del materialismo. Però queste riflessionisembravano maturare liberamente accanto ad una adesione incondizionata alla linea generale dello “storicismo mar-xista”. Con questi scritti su Gramsci Luporini è costretto a cominciare a confrontare e a verificare la pretesa validitàinterpretativa di questa linea, e benché qui il suo giudizio resti ancora oscillante, ben presto, a partire dal 1960, conlo scritto Verità e libertà, diverrà chiaro nel senso dell’espressione di un netto rifiuto e dell’inizio di una ricerca peruna rifondazione totale. E nello specifico, in merito a Gramsci, Luporini scrive nel 1974: “come interpretare lo sto-ricismo di Gramsci? Proprio in questo punto le acque si confondevano…, cioè veniva a confondersi l’effettualecontenuto del pensiero di Gramsci (che sarebbe stato, come si è cominciato a fare in anni più recenti, da scrutarsimolto liberamente) con la sua interpretazione generale o d’insieme in un certo modo bloccata in quanto veniva a

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collegarsi immediatisticamente con il terreno ideale e culturale in cui nel dopoguerra si collocava il partito nei con -fronti della tradizione prevalente della cultura italiana di questo secolo: il terreno dello storicismo. Storicismo controstoricismo. Storicismo marxista e rivoluzionario contro storicismo borghese e idealistico (conservatore e reaziona -rio). Storicismo antispeculativo come vera interpretazione del marxismo. Ma storicismo anche come tradizione pro-pria e specifica del marxismo italiano, da Labriola (che aveva alle spalle l’hegeliano Spaventa) a Gramsci, secondouna linea di collegamento Labriola-Gramsci, che era in verità del tutto falsa (e che implicava una mistificazione, an -cor oggi non riscattata, di Labriola, in un certo modo simmetrica all’operazione compiuta da Croce sul pensiero delmaestro), ma alla quale allora tutti credemmo: anche coloro che la osteggiavano in nome di un marxismo menoumanistico e più scientifico”36.

Note

1. G. Bedeschi, La parabola del marxismo in Italia (1945-1983), Laterza, Roma-Bari, 1983, pag. 47.2. Questa linea di continuità storico-teorica, accompagnata ai “classici” del marxismo (Marx, Engels e Lenin) rappresen-

ta la “spina dorsale” del cosiddetto storicismo marxista, assunto come “cultura ufficiale” dal Pci. Come Marx ed En-gels venivano considerati, secondo la nota tesi, eredi di tutta la filosofia classica tedesca, così era anche per Gramsciper tutta la tradizione culturale italiana, costituendo in questo modo alcuni parallelismi di cui i più importanti eranoovviamente quelli tra Marx e Gramsci e tra Hegel e Croce.

3. G. Bedeschi, Op. cit., pag. 29, nota 42.4. Quanto le posizioni di Lukàcs siano diverse rispetto alle linee teoriche e culturali dello stalinismo è dimostrato dal fat-

to che il filosofo ungherese, nel suo libro, utilizza, come motivo teorico fondamentale, al coppia opposizionale tra ra -zionalismo e irrazionalismo, e non quella, di chiara ispirazione stalinista, tra materialismo e idealismo. Questa differen -za radicale è particolarmente evidente in merito alla considerazione di Hegel: mentre Lukàcs rivaluta, in maniera fon -damentale, il pensatore di Jena, per lo stalinismo egli non era altro che un “cane morto”, il massimo rappresentantedell’idealismo, del tutto inconsistente e insignificante per il marxismo. Si veda in proposito il bel saggio, del 1985, diDomenico Losurdo, Lukàcs e la distruzione della ragione, in György Lukàcs nel centenario della nascita 1885-1985, QuattroVenti, Urbino, 1985, pagg. 135-163.

5. C. Luporini, Introduzione a DM, pag. XXXII.6. A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Einaudi, Torino, 1948, pag. 142. Abbiamo utilizzato la

prima edizione dell’opera di Gramsci perché questa è quella utilizzata dagli studiosi che prenderemo in esame. Co-munque in merito a Gramsci e alla sua interpretazione la storia delle edizioni delle sue opere è altamente significativa.Si veda in proposito il libro di N. Ajello, Intellettuali e Pci 1944-1958, Laterza, Roma-Bari, 1979, in particolare il III capi-tolo, pagg. 77-113.

7. Ivi, pag. 159.8. Ivi, pag. 55.9. Ivi, pagg. 78-79.10. Vedi ancora N. Ajello, Op. cit.11. G. Bedeschi, Op. cit., pagg. 69-70.12. Ivi, pagg. 70-71.13. Gli atti di questo convegno sono pubblicati in AA.VV., Studi gramsciani. Atti del convegno tenuto a Roma nei giorni 11-13 gen-

naio 1958, Editori Riuniti, Roma, 1958.14. E. Garin, Gramsci nella cultura italiana, in Studi gramsciani cit., pagg. 395-419.15. L. Gruppi, I rapporti tra pensiero ed essere nella concezione di Gramsci, in studi gramsciani cit., pagg. 165-182.16. G. Tamburano, Gramsci e l’egemonia del proletariato, in Studi gramsciani cit., pagg. 277-286.17. L. Gymonat, Per un intervento al convegno di studi gramsciani, in Studi gramsciani cit., pag. 148.18. M. Tronti, Alcune questioni intorno al marxismo di Gramsci, in Studi gramsciani cit., pag. 313.19. C. Luporini, Appunti su alcuni nessi interni del pensiero di Gramsci, in DM, pagg. 43-51 ( di seguito con la sigla GR1) e C.

Luporini, La metodologia del marxismo nel pensiero di Gramsci in DM, pagg. 53-75 ( di seguito con la sigla GR2).20. C. Luporini, GR1, pag. 43.21. Ivi, pagg. 43-44.22. C. Luporini, GR2, pag. 53.23. In riferimento soprattutto all’opera di E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologia, Einaudi,

Torino, 1950-52.24. A. Gramsci, Op. cit., pag. 24.25. C. Luporini, GR1, pag. 45.26. Ivi, pagg. 45-46.27. Come per Marx anche per Gramsci ideologia non è soltanto, in senso negativo, il dominio e la falsificazione propri del

pensiero dominante, ma anche ogni strumento teorico che l’uomo utilizza per combattere i propri conflitti. Ideologianon è solo “falsa coscienza”, ma anche consapevolezza teorica della propria azione e realtà.

28. C. Luporini, GR2, pag. 61.29. A. Gramsci, Op. cit., pag. 32.30. C. Luporini, GR2, pag. 64.31. Ivi, pagg. 64-65.32. C. Luporini, GR1, pagg. 48-49.33. Ivi, pag. 49. Queste posizioni non vanno intese in senso generale antileniniano. In Verità e libertà (1960) Luporini con-

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fermerà la sua lontananza da ogni teoria del riflesso come ingenua coincidenza tra l’immediata sensazione e la veritàreale; considererà questa posizione un ritorno al sensualismo del XVIII secolo e criticherà Lenin su questo punto, maaccetterà i criteri fondamentali della leniniana teoria del rispecchiamento, anzi tenterà un suo approfondimento. Perfar questo Luporini partirà da una posizione rigorosamente materialistica (l’indipendenza dell’esistenza del realedell’esistenza dell’uomo) che in qualche modo contrasta con alcune incertezze presenti in questi scritti su Gramsci.

34. C. Luporini, GR2, pagg. 66-67.35. C. Luporini, GR1, pag. 49.36. C. Luporini, Introduzione a DM, pag. XXVIII-XIX.

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Capitolo 3Verità e libertà. Il fondamento materialistico del marxismo

Nel 1960 Luporini scrive il saggio “Verità e libertà”, che viene pubblicato nello stesso anno sulla rivista Società1. Il1960 è per Luporini un anno di crisi: “La crisi, a lungo latente dell’interpretazione storicistica del marxismo” 2. Giànel 1958, affrontando il pensiero di Gramsci, questa crisi era diventata un punto centrale non rimandabile. “Verità elibertà” rappresenta il primo sviluppo “cosciente” di questa crisi. Come ha scritto lo stesso Luporini nel 1974, que-sto testo rappresenta il primo “tentativo di cambiare assai profondamente l’impostazione generale, ma ‘senza perde-re i collegamenti’”3. In questo saggio c’è l’intenzione di reinterpretare il pensiero di Marx a partire dai suoi fonda-menti ontologici, senza per questo rinunciare alla sua valenza politica e rivoluzionaria. Per questo è preso a soggettoil nesso verità-libertà. Il materialismo e la dialettica, come parti di un nucleo filosofico essenziale (unitario) di una fi -losofia marxista, sono strettamente collegati con i temi della libertà e del comunismo. Un discorso scientifico intor-no alla verità in senso obiettivo è parte fondamentale per la lotta contro l’ideologizzazione mistificante di entrambie per ristabilirne il vero significato. Vediamo come Luporini affronta la questione.

Verità e materialismoIl nesso verità-libertà è, per Luporini, di fondamentale importanza, perché riguarda la possibilità di intendere corret-tamente il nesso tra scienza e ideologia, il loro intreccio come prodotto di “falsa coscienza”, ma, e soprattutto, laloro oggettiva indipendenza. Nell’enunciare le intenzioni che soggiacciono a questo suo lavoro, Luporini scrive:“Qui…si cercherà di esaminare il concetto di verità per vedere se attraverso tale esame non si apra eventualmenteuna strada che sbocchi su un certo concetto di libertà…Ma di deve dare anche un avvertimento preliminare. La di -rezione, o metodo, accennati non sono invertibili; non si può cioè muovere indifferentemente dall’uno o dall’altrodei due termini. Intorno alla parola libertà si sono, storicamente, costruite molte ideologie. Naturalmente si può os-servare che ideologie sono state costruite anche intorno alla nozione di verità. (Ma)…Se la verità tuttavia si riduces -se ed esaurisse sempre tutta in ideologia, la critica della ideologia non potrebbe pretendere ad alcune verità scientifi -ca e obiettiva: la critica della ideologia, cioè, non avrebbe propriamente senso…Ciò che si intende per verità in sen-so obiettivo e scientifico non può ridursi a mera ‘forma ideologica’, a mera ‘forma organizzatrice dell’esperienzaumana’, nel suo carattere ‘collettivo’ e ‘sociale’. Naturalmente la ‘verità’ in senso scientifico e critico è anche questo,ma non può risiedere lì il suo carattere distintivo”4. Posta in questi termini la questione della verità diventa quella della possibilità di una verità obiettiva o scientifica; siapre cioè la questione del materialismo: “Verità obiettiva o scientifica non può essere se non quella che rappresenta(riflette, rispecchia, esprime, ecc.) una realtà indipendente nel suo esistere da chi la conosce e tale per cui il conosce -re la rappresenti (sia pure per approssimazione e in senso relativo) così come è”5. Secondo Luporini per poter porre correttamente (non ideologicamente) il problema della verità come obiettività diuna conoscenza (scientifica) occorre accettare come vera e fondamentale la tesi essenziale del materialismo, e cioè“che il mondo fisico esiste indipendentemente da tutti gli uomini (passati, presenti e futuri) e che la scienza lo de -scrive in tale sua indipendenza, così come è, anche se con strumenti mentali e categorie che sono storicamente e so -cialmente condizionati e prodotti”6. Luporini fa notare come questa posizione rientri in un concetto classico della verità, come verità intellettuale, che sitrova esplicitata nella formula scolastico-medievale di adaeguatio intellectus et rei. L’origine di questo concetto va fattaperò risalire ad Aristotele e al suo problema della verità del discorso: “In tutta la tradizione, da Aristotele ad Hegel,ereditata dal marxismo, il momento sensibile, o anche soltanto rappresentativo, è ritenuto insufficiente a fornirecompiuta verità obiettiva di alcunché di reale o esistente”7. Secondo Aristotele la proposizione come sede della verità non ha semplicemente carattere significativo, ma si pre-senta come connessione di elementi, riferiti all’oggetto, in quanto collega o divide in conformità alla costituzionedell’oggetto stesso. Contro questa teoria si sono scatenate le obiezioni idealistiche. Luporini, schematicamente, leriassume in tre principali. “La prima obiezione – scrive – è che non si vede come la coscienza possa uscire da sestessa. È la obiezione che si riferisce all’assunto dell’eterogeneità di conoscente e conosciuto. Se spogliamo l’ambi-guo termine di ‘coscienza’ da tutti gli elementi psicologici e metafisici, e lo prendiamo al livello…della verità del di -scorso, quella affermazione significherebbe che le proposizioni sono soltanto proposizioni. Ma una proposizioneche è soltanto proposizione non è né vera né falsa. Il carattere veritativo di una proposizione consiste nel suo verte-re intorno a qualcosa. Ossia nell’essere una relazione (di elementi significanti) che ha relazione a qualche cos’altro.Quell’affermazione è perciò autocontraddittoria. Il carattere veritativo della proposizione comporta una eterogenei-tà radicale (radicale dal punto di vista puramente teorico) del proprio oggetto”8. Questa eterogeneità radicale dell’oggetto conosciuto è, secondo Luporini, l’esistenza, in senso obiettivo, e continua:“Quella diversità radicale è implicita nella nozione di adaeguatio…che comporta l’idea del muoversi da una diversitàantecedente. Il materialismo soddisfa a questa diversità radicale nel modo più pieno. Quanto si è ora detto vieneespresso da molti materialisti con l’uso del termine ‘rispecchiamento’ per indicare ogni forma di conoscenza. (È daritenere legittimo questo uso finché si rimane nei limiti di una considerazione puramente, o astrattamente, teoretica

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del conoscere)”9. La seconda obiezione che ricorda Luporini è quella del “terzo incomodo”: chi dice mai che la adaeguatio si verifichi?“Ma questa obiezione – scrive Luporini – non fa che approfondire la natura di ciò che è verità: essa si realizza sol -tanto in processi, i quali comportano sempre un prima di essi”10. Inoltre questa obiezione pone un problema inevi-tabile: quello del “criterio di verità”. Luporini affronta questa questione abbracciando la ben nota risposta che diedeMarx in proposito nella seconda tesi su Feuerbach, che dice: “la questione se al pensiero umano spetti una verità og-gettiva, non è questione teoretica bensì una questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la real -tà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà del pensiero – isolato dallaprassi – è una questione meramente scolastica”11. In questo modo Luporini accoglie un punto di vista integrale sul conoscere, quello marxista, nel quale esso si pre -senta come funzione della pratica. Ma a suo giudizio va a questo aggiunto una puntualizzazione chiarificante di Le-nin, che infatti cita: “Il criterio della pratica – Lenin scrive – non può mai confermare o confutare completamenteuna rappresentazione umana, qualunque essa sia. Anche questo criterio è talmente ‘indeterminato’ da non permette -re alle conoscenze dell’uomo di trasformarsi in ‘assoluto’; ma nello stesso tempo è abbastanza determinato da per -mettere una lotta implacabile contro tutte le varietà dell’idealismo e dell’agnosticismo”12.La terza obiezione, la più impegnativa, può venir tratta indirettamente dall’inizio della Fenomenologia di Hegel e dallasua analisi del linguaggio. Questa analisi mette in luce il carattere di universalità di ogni proposizione apofantica, an -che di quelle che sembrano essere più vicine alla determinatezza sensibile. La verità, in questo contesto, sembra ri -solversi tutta nella idealità, così come la coscienza sensibile viene a risolversi nell’universalismo del linguaggio. Contro questa obiezione Luporini scrive: “La risposta fu data da Feuerbach e ha un valore decisivo. Dice Hegel:‘L’albero, per esempio, è qui: ma se io mi volto questa verità è svanita’. Osserva Feuerbach: ‘questa va bene nella Fe-nomenologia, dove voltarmi costa una piccola parola; nella realtà, invece, dove devo voltare il mio corpo pesante, il quimostra di avere un’esistenza perfettamente reale anche dietro le mie spalle. L’albero limita le mie spalle; e mi cacciadal posto che esso occupa. Hegel non confuta il qui quale è oggetto della coscienza sensibile, a differenza del pen -siero puro, ma soltanto il qui ed ora della logica’”13. Questa risposta di Feuerbach, così potentemente dialettica, nonè tuttavia in grado, secondo Luporini, di vedere fino in fondo la portata della sua stessa critica; non è in grado “diconcepire il sensibile stesso così come egli germinalmente lo presenta nell’esempio citato (il voltare le spalle): ‘qualeattività sensibile umana, quale attività pratica’”14. Questo “passo avanti” lo compie Marx, e Luporini così lo illustra: “Lo stesso criterio della pratica svanisce nella suaportata teoretica se la pratica stessa non è concepita non solo come ‘sociale’ ma, irriducibilmente, anche come ‘sen-sibile’ (ancorché, in quanto umana, sia anche sempre intellettuale e finalistica). In ultima analisi è qui il nocciolo delmaterialismo moderno o materialismo dialettico”15. Quelli esposti fin qui da Luporini sono gli elementi essenzialiche sorreggono teoreticamente tale materialismo. Il tratto distintivo è quello di rendere possibile una distinzione og-gettiva tra verità e ideologia, tra scienza e ideologia, “Materiale in senso esteso e categoriale – scrive Luporini – risul-ta essere tutto ciò che esiste fuori e indipendentemente da un pensiero attuale e può essere intenzionato da esso. Inquesto senso è materiale anche il pensiero…Ma in questa generale materialità di tutto ciò che è oggettivo…vi è unaessenziale precedenza del materiale in senso naturalistico”16. In questo contesto compare quella che Luporini chiama “l’antinomia del materialismo dialettico” e cioè la sua sup -posta integrale conoscibilità del reale o esistente. A giudizio di Luporini questa pretesa del materialismo dialetticonon è altro che un intrinseco riferimento a ciò che si chiama soggettività. A questo punto Luporini aggiunge una in -tuizione molto importante; scrive: “Dall’antinomia del materialismo dialettico non credo che si possa dare soluzionesul piano strettamente logico o gnoseologico (porla in luce serve solo a rilevare l’importanza della problematica del -la soggettività, scoperta dalla filosofia moderna e su cui Marx fece leva, ma che poi è stata assai trascurata dai suoiprosecutori); bensì solo sul piano genetico e largamente storico (storico-biologico) e, successivamente, sul piano on-tologico. Che il concreto conoscere abbia sempre come punto o polo di riferimento il sensibile e l’attività sensibileindica come la soggettività ha un suo fondamento e una sua genesi in ciò che si chiama ‘natura’ nel senso materiale(biologico, in questo caso) della parola; che è poi, ancora una volta, una conferma del materialismo”17.Riflettendo su questo passo sembra che Luporini faccia risalire la presenza della citata antinomia ed, in fondo, dellasua irrisolvibilità logica, proprio alla scelta teoretica esclusiva di un piano logico e gnoseologico e alla classica con-trapposizione differenziale tra questo ed un piano ontologico. Sembra cioè che Luporini intraveda la possibilità diporre correttamente il problema del materialismo (e, in questo caso, anche il tema della soggettività) solo spostan-dosi verso la costituzione di una ontologia materialistica rivolta, in particolar modo, verso l’essere sociale. Dico“sembra” perché Luporini, a questo punto del suo discorso, non tematizza ulteriormente tali intuizioni, ma si spostasu una diversa argomentazione. Egli infatti scrive: “La indipendenza (dai soggetti umani) e conoscibilità del reale so -stenuta in una filosofia rigorosamente materialistica sembra trascinarsi dietro…il fantasma del dio conoscente-crea-tore; sembra trascinarsi dietro, per quanto camuffata, una ombra teologica”18. L’“ombra” teologica, cioè, può esserel’impronta propria di un materialismo metafisico che si mistifica come qualcos’altro. Contro questa possibile realtàLuporini si affida a Marx, ad una nota filosofica del Capitale dove, riprendendo Vico, egli sostiene una differenza es-senziale tra la storia umana e quella naturale (e quindi anche relativamente alla loro conoscibilità), poiché gli uominihanno fatto la prima, ma non la seconda. Questa posizione essenziale introduce parametri differenti in merito allanostra conoscenza di questi due mondi ed inoltre, da subito, sottolinea la dimensione storico-umana come originale

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ed irriducibile a qualsiasi entità divina. Tale punto di vista è proprio di un vasto indirizzo della storia della cultura ca -ratterizzato dal “bisogno di elaborare un tipo di razionalità valido per comprendere il mondo storico-umano, diver-so da quello esemplato sui metodi delle scienze fisico-matematiche”19. In questo tipo di razionalità entra in gioco lanozione di “fine” e l’esclusione metodologica di tale nozione dalla natura e dalle scienze che la rispecchiano. In pro-posito si introduce qualcosa di molto importante, che sfuggiva alle menti di un Leibniz o di un Newton, e cioè il“fatto che il mondo della natura…non presenta nulla di propriamente interno”. Infatti, “per questo – continua Lu -porini – le moderne scienze fisiche sono tutt’altra cosa che una fenomenologia del sensibile, e il loro descrivere nonha nulla a che fare con un descrivere narrativo…: è un descrivere matematico” 20. In questo modo nella scienza si èdato avvio ad un processo disantropomorfizzante: “Lungo tale strada la scienza ha continuato a svolgersi, allonta -nandosi in modo sempre più marcato da ogni possibilità di applicare alla realtà fisica nozioni di origine antropomor-fica”21. Si ha così una mutazione profonda nel modo di intendere la nozione di materia, che però non toglie nulla alla no -zione stessa, ma anzi la rafforza in senso fisico e dialettico per il fatto che in modo decisivo ne accresce la specifici -tà, separandola nettamente dalle immagini proprie della sfera dei rapporti umani. Scrive Luporini: “Ciò che infatti,in definitiva, viene a cadere è la raffigurazione, imposta da Aristotele, di una materia come substratum che riceve oraccoglie altrove la sua forma…La raffigurazione di una materia a cui si sovrappongono forme che la organizzano –anche se rimane oggettivamente valida per superiore livelli come quelli in cui esiste la materia vivente – è senza al -cun dubbio una immagine antropomorfica che trae la sua origine dal fare-fabbricare, foggiare, plasmare – umano. Igreci, che possedevano una lingua molto filosofica, distinguevano tra questo tipo di ‘fare’ e il fare proprio delle rela-zioni interumane…Il marxismo, di fatto, accoglie e usa questa distinzione, e anzi essa è essenziale per comprenderela differenza tra ‘produzione’ e ‘rapporto di produzione’. Ma il marxismo scopre anche, e mette in luce, che il faretecnico, modificante una materia, è un momento della pratica della vita associata (articolato in essa attraverso la ca-tegoria della finalità, come finalità cosciente o ‘rappresentazione del fine’…) e che l’uno e l’altra appartengono comenozioni, ad una visione antropomorfica del reale, evidentemente legittima quando questo reale sia appunto la socie-tà umana”22. Questa posizione del marxiano non contrasta, ma anzi aiuta a confermare, la concezione che sostienel’illegittimità di alcunché di interno per la natura non vivente. Il marxismo, quindi, si associa in pieno al processo didisantropomorfizzazione inaugurato dalla scienza moderna, anche perché questo rappresenta la dissoluzione di ogniresiduo teologico nel pensamento scientifico della materia; il che significa aiutare il materialismo dialettico a liberarsidall’“ombra teologica” di cui si diceva.

Soggettività e oggettivitàFinora Luporini ha trattato una polarità ontologica: quella tra l’essere vivente umano e l’essere naturale non vivente.A questo livello del discorso egli introduce una considerazione metodologica: “se si è adoperata l’immagine (appros -simativa e provvisoria) di una differenza polare è piuttosto per giungere a indicare che esistono gradi intermedi,quelli relativi al vivente e alla conoscenza del vivente (scienze biologiche): ossia a quei livelli determinati in cui la na-tura è costituita in stati ‘organizzati’ e si svolge organicamente: e viene ad acquistare così una propria ‘internità’” 23.Così “l’internità” diventa un concetto materialistico e pone, giustamente in questa chiave, di nuovo, il tema dellasoggettività: “Quell’internità, siffattamente intesa, propria del vivente…è evidentemente la radice prima di ciò chechiamiamo soggettività. Questo richiamo non è senza importanza, perché mostra quanto la filosofia idealistica o uncerto tipo di essa (idealismo soggettivo) ci abbia ingannato: non vi è nulla, alla radice, di più naturalistico e biologicodella soggettività. Non siamo immediatamente natura, viventi, a un livello di soggettività (non siamo natura a guisadi un minerale); e non vi è nessun essere che sia più chiuso nella propria soggettività dell’animale. Sembra oggi assaistrano che un fenomeno così complesso come la soggettività umana – e ciò che si può intendere come ‘coscienza’umana, prodotto di evoluzione biologica e sociale – sia stato assunto da tanta parte della filosofia moderna qualepunto di partenza e di riferimento indifferenziato, e a guisa di presupposto assoluto. Assai strano; se non intervenis-sero, a spiegare, motivi non scientifici ma ideologici. Anche indipendentemente da ogni indagine psicologica, o ge -netico-psicologica, appare invece che la coscienza umana ha due radici, o sorgenti originarie, una biologica che con-duce a soggettivizzare il mondo e una pratico-sociale (tecnica) che tende a conquistarlo e ricostruirlo nella sua og -gettività. Si tratta di un dualismo artificioso, ma necessariamente correlativo al nesso animale-uomo, ovvero indivi -duo vivente-ente sociale (ente che è le proprie relazioni sociali), ove il primo termine non è esterno, ma interno alsecondo, e tuttavia lo precede geneticamente, nell’evoluzione da animale a uomo”24. Questa posizione contrasta con l’idealismo soggettivo, ma anche con l’impostazione ben più complessa e pertinenteelaborata da Kant. Kant avanzò la pretesa di “costruire” l’oggettività partendo da due diverse soggettività: quella deicontenuti sensibili (naturalistica ed empirica) e quella delle categorie intellettuali (mentale, pura e aprioristica). Tra ledue soggettività Kant intrapponeva “l’oggetticità” intuizionale dello spazio e del tempo. Hegel critica questa impo -stazione mettendo in luce la sua intrinseca necessità di ridurre ogni contenuto oggettivo a qualcosa di soltanto sog-gettivo: anche spazio e tempo, come forme di contenuti soggettivi giungono a costituire, di fatto, una terza soggetti-vità. “La critica di Hegel – scrive Luporini – è calzante; e tuttavia nella posizione di Kant si affacciava una grandeesigenza che soltanto il materialismo marxista può portare nella giusta luce e tradurre in verità. L’esigenza di mante -nere lo scarto tra l’immediatamente sensibile ed empirico, attraverso cui ci viene data ogni realtà ed esistenza attuale,e le categorie intellettuali con cui tale contenuto (provocato da altro, dal di fuori, ma insorgente nella coscienza

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come materiale sensibile, in dipendenza dagli organi di senso) viene elaborato in direzione di una oggettività scienti -fica. Solo l’introduzione marxista della dimensione tecnico-pratica e storico-sociale consente di soddisfare in formanon metafisica e immaginaria (o ‘speculativa’) all’istanza critica di Kant nei riguardi delle difficoltà e limiti propridell’empirismo. Il che significa salvare ciò che compete all’operosità del pensiero come tale nell’esperienza umana:non solo negli aspetti immediati del suo intervenire, ma nella funzionalità e autonomia delle elaborazioni, ipotesi,anticipazioni teoriche”25. Così la critica marxista dell’empirismo (e della critica kantiana ad esso) ha comunque alla sua base un riferimentoforte all’esperienza, intesa però in modo assai più ricco e complesso: distinguendo, da una parte, l’esperienzadell’umanità nel suo corso storico, e, dall’altra, quella individuale (o di gruppo) nella vita quotidiana. In questo modoil concetto di “pensiero” e di “mentale” assumono una valenza nuova ed inedita. Scrive Luporini: “Nel marxismo il pensiero concettuale è visto, di contro alla mera soggettività dei contenuti sensi -bili e della istintività animale, per quello che è, nel suo sorgere dagli impulsi tecnici anche elementari della vita uma -na associata: orientamento o movimento verso la obiettività di ciò che è reale (materiale) e obiettivo in se stesso;progressiva scoperta e appropriazione mentale di tale obiettività. Ove ‘movimento verso…’ e ‘appropriazione di…’esprimono la natura temporale e storico-pratica della teoresi scientifica: la quale, d’altronde, in quanto teoresi, legit -timamente, e in senso molto proprio, può essere detta ‘rispecchiamento’ o ‘riproduzione mentale’ della realtà mate-riale”26. Allora, proprio in questa sua costituzione, “il pensiero concettuale è, per sua natura, veritativo o scopritoredi verità obiettiva; e quindi in ogni atto tecnico, sia pure primordiale, dell’attività di lavoro e di produzione esso è giàgerminalmente scientifico, anche quando ciò venga rivestito e ricoperto da credenze superstiziose e interpretazionimagiche, generali o particolari”27. Il marxismo, descrivendo così il pensiero umano, non fa altro che raffigurarlocome esso è comunemente e normalmente presente a sé: “il pensiero umano non è affatto presente a se stesso inuna forma o interpretazione idealistica. Esso si considera sempre pensiero di qualcosa che sia esistenzialmente altrodal proprio atto, dalle operazioni soltanto mentali”28. Ciò vuol dire anche che il “criterio della prassi”, introdotto dal marxismo, non modifica affatto la natura mentale diciò che è mentale (il conoscere): “esso prova solo – nei limiti indicati da Lenin – la non illusorietà e la illusorietà diciò che di volta in volta un pensiero attuale pretende di asserire introno a quel che esiste fuori di lui” 29. In tal sensocontinua Luporini: “C’è dunque un ‘fuori’ non metaforico che è al di fuori della nostra soggettività fisiologica e c’èun ‘fuori’ metaforico, ma non per questo meno rigoroso; in questo caso il termine serve per indicare la eterogeneitàfra il mentale e il materiale (in senso ampio) o esistente, rispetto al quale la ‘rappresentazione’ (il designatum; il conte-nuto dei concetti; l’essenza; ecc.) funge da elemento mediatore”30. Questa funzione mediativa rimanda alla valenza conoscitiva della dialettica, alla sua capacità di oltrepassare una co -noscenza realistica ingenua e superficiale fondata sull’assolutezza dell’apparenza sensibile. Luporini, a proposito, faun esempio chiarificante: “Nel marxismo i ‘rapporti di produzione’ fra gli uomini vengono detti anche rapporti ma-teriali (onde ‘materialismo storico’) e ciò in un duplice senso: 1) perché all’interno di essi si realizza il rapporto ma-teriale ossia pratico-sensibile dell’uomo con la natura fisica nella produzione economica; e quindi dall’interno di essisi sviluppano le forze produttive ‘materiali’ della società su cui i rapporti di produzione sono fondati. Potremmochiamare questo un uso ontologico del termine ‘materiale’. 2) perché questi rapporti di produzione esistono (nellospazio geografico e nel tempo storico) anche se non sono consaputi. Ed è questo un uso evidentemente gnoseolo -gico del medesimo termine ‘materiale’. Ma questi stessi ‘rapporti di produzione’, benché realissimi, non sono poi,come tali, nulla di immediatamente sensibile, o fisico-sensibile, e sotto questo aspetto li potremmo anche dire obiet -tivamente ‘ideali’ (purché a questo termine si tolga ogni sfumatura di trascendenza, rispetto al concetto di esperien -za). In altre parole, sensibilmente io non incontro mai l’uomo in quella che è la realtà propria di ogni individuo uma-no in quanto umanamente e non soltanto biologicamente storico: e cioè quale ‘ente sociale’”31. Una considerazione dialettica e materialistica del conoscere, quindi, esclude che i nessi del reale (sia storico che na-turale) si presentino, a rigore, come immediatamente sensibili; indica e rifiuta il profondo errore kantiano, giusta-mente messo in luce da Hegel, che consiste nel separare il mentale (come universalmente soggettivo) dal sensibile(proveniente ab extra) e che costringe all’introduzione della misteriosa ed extra-esperenziale cosa in sé. “Se le cosenon stessero come si è detto – conclude Luporini – il marxismo non potrebbe sostenere, come giustamente sostie -ne, che la astrazione scientifica rispecchi la realtà a un livello più veritiero della semplice ‘rappresentazionesensibile’”32.

Essenza e fenomenoTutto il discorso svolto finora da Luporini ha avuto come oggetto la verità, nella sua definizione aristotelica, comeverità intellettuale, la quale ha poi, come si è visto, un radicamento nel senso comune. “Ma, nello stesso linguaggiocomune – scrive Luporini – si parla di verità in altri sensi. Si dice, per esempio, che ‘Tizio è un vero amico’ o che‘questa rosa è una vera rosa’. È solo in senso figurato o traslato che si adoperano queste espressioni? L’intellettuali-sta (anche in chiave marxista) risponde di si. Chi scrive non lo crede. Naturalmente, dal punto di vista formale, quel-le espressioni si risolvono nel tipo di verità che già abbiamo esaminato. La proposizione ‘Tizio è un vero amico’equivale all’altra ‘Tizio è un amico è un giudizio vero’. Ma in questa riduzione si perde il senso del loro uso reale.Quei modi di espressione rispondono alla domanda se la data cosa corrisponde, o no, a una certa essenza. Vi è an-che qui, dunque, una questione di corrispondenza o di adaeguatio, ma in senso del tutto diverso dal già visto. È evita-

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bile il problema delle essenze?”33. Il problema delle essenze, così posto, mostra bene come quest’ultimo non sia as-solutamente identificabile con quello dei contenuti di pensiero (designata) o delle classi logiche. Luporini è convintoche dal punto di vista logico, tra le essenze e le classi logiche esista la stessa differenza che si riscontra tra l’estensio-ne e l’intensità (o comprensione) di un concetto nella logica tradizionale. Egli infatti scrive: “Credo che il materiali -sta moderno non dovrebbe avere nessuna paura di queste essenze. Credo che, anzi, egli possa rimanere, come il ma-terialismo medievale, sul piano del nominalismo e quindi del mero empirismo. Nel nesso fra estensione e compren-sione di un concetto è possibile che debba trovarsi anche il punto di inserimento della differenza fra logica formalee dialettica. Chi scrive non crede che le classi (logiche), in quanto classi, abbiano un correlato nella realtà…Ma altracosa è la questione delle essenze e del loro correlato reale”34. La classica dialettica tra essenza e fenomeno, la molte-plice manifestazione del reale e il suo riferimento ad una totalità organica (empirica), ad una reale essenzialità unita -ria, è un problema materialistico e scientifico di grande importanza, con il quale il marxismo, in quanto materialismostorico, si confronta e si intreccia in maniera fondamentale35.

L’ontologia materialistica di MarxA questo punto Luporini entra nel vivo della problematica centrale del suo discorso ma prima di esporre le coordi -nate in cui va posto il nesso verità-libertà occorre esplicitare complessivamente la posizione marxiana. Luporini ini -zia mostrando una apparente contraddizione nel modo in cui Marx intende e critica il materialismo di Feuerbach.Scrive Marx: “Il difetto capitale d’ogni materialismo fino ad oggi (compreso quello di Feuerbach) è che l’oggetto, larealtà, la sensibilità, vengono concepiti solo sotto la forma dell’obietto o dell’intuizione; ma non come attività uma-na sensibile, prassi; non soggettivamente…Feuerbach vuole oggetti sensibili, realmente distinti dagli oggetti del pen-siero: ma egli non concepisce l’attività umana stessa come attività oggettiva”36. La soluzione di questo apparentecontrasto (soggettività e oggettività dell’attività umana sensibile e pratica) è da ricercarsi nella ben più completa ar -gomentazione presentata da Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, in merito alla critica della dialettica hege-liana. Qui Marx scrive: “Un essere che non abbia la propria natura fuori di sé, non è un essere naturale, non parteci -pa all’essere della natura. Un essere, che non abbia un oggetto fuori di sé, non è un essere oggettivo. Un essere, chenon sia esso stesso oggetto nei confronti di un terzo, non ha nessun essere per suo oggetto, cioè non si comportaoggettivamente, il suo essere non è oggettivo. Un essere non oggettivo e un non-essere” 37. In questa radicale impo-stazione materialistica il problema del soggetto (e della soggettività) posto dall’idealismo (come la pura soggettivitàsi fa individuo corporeo-vivente) viene rovesciato (come l’individuo corporeo-vivente si fa soggetto): “Se con la suaalienazione l’uomo reale, corporeo, piantato sulla terra ferma e tonda, questo uomo che espira ed aspira tutte le for-ze della natura, pone le sue forze essenziali, reali ed oggettive, come oggetti estranei, questo atto del porre non èsoggettivo; è la soggettività di forze essenziali oggettive, la cui azione deve essere quindi anch’essa oggettiva. L’esse -re oggettivo opera oggettivamente; né opererebbe oggettivamente, se l’oggettività non si trovasse nella determina -zione del suo essere. Crea, pone solo oggetti, perché è posto da oggetti, perché è originariamente natura”38. Queste osservazioni di Marx assolvono alla necessità di situare l’uomo nella sua materialità e naturalità (come “im -mediato ente naturale”, come “individuo umano vivente”), contro la dissolvenza di queste ultime presente nell’idea -lismo hegeliano. Ma l’uomo non è soltanto ente naturale; la relazione che hanno gli individui tra loro non può “esse-re concepita soltanto come ‘genere’, cioè come universalità interna muta, che leghi molti individui naturalmente”39. Quella relazione è quella dei rapporti sociali, fa dell’uomo un insieme di rapporti sociali. Questo è quello che speci -ficamente può definirsi momento propriamente umano, il legame nell’uomo tra quest’ultimo e il momento naturalesi ha praticamente nella soddisfazione dei bisogni vitali, nella produzione e riproduzione della vita materiale, ma, insenso specificamente umano, nel modo un cui ciò avviene. Questa modalità differenzia radicalmente uomo e anima-le, mondo umano e sfera zoologica. Scrive Marx: “L’animale è immediatamente una cosa sola con la sua attività vi -tale. Non si distingue da essa. È quella stessa. L’uomo fa della sua attività vitale l’oggetto stesso della sua volontà edella sua coscienza. Ha una attività vitale cosciente. Non c’è una sfera determinata in cui l’uomo immediatamente siconfonda”40. E scrive ancora nel Capitale: “Noi supponiamo il lavoro in una forma nella quale esso appartengaesclusivamente all’uomo. Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l’ape fa vergognaremolti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architet -to dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera”41. L’agire finalistico e la rappresentazione di fini nel pensiero è ciò che caratterizza l’uomo (originariamente) in sensospecificamente umano. Scrive Luporini: “Il pensiero dell’uomo non è pura teoreticità o contemplatività che si ag-giunga dal di fuori, teologicamente o miracolosamente, alla sua animalità. Troviamo, così, un piano più profondo,che sottende a quanto si è detto sopra intorno alla verità in senso intellettuale, piano in cui ha la sua radice la stessadifferenza fra verità e ideologia, ossia fra coscienza tecnica (e scientifica) quale si realizza prima di tutto nell’attivitàdi lavoro e mera coscienza ideologica come riflesso di un insieme di determinati (storicamente) rapporti sociali (o diproduzione). È il punto questo,…in cui tutto ciò che concerne l’uomo in quanto uomo fa nodo e si articola. E pro -prio perché la coscienza dell’uomo in quanto coscienza capace di verità ha questo carattere originariamente tecnico,nel senso della rappresentanza del fine (l’uomo, si potrebbe dire, è l’animale che introduce il finalismo nel mondo),ha senso riporre il criterio di verità in ultima analisi sempre nella pratica”42. L’agire umano, appunto, come prassi in senso marxiano, trova il suo modello e la sua forma originaria nel lavoro. ciòcomporta “il frangersi di quella chiusura nella specie, che è caratteristica dell’animale, e quindi l’aprirsi alla coscienza

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di un orizzonte infinito (i cui confini, potremmo dire, sono quelli dell’essere)” 43. Lo “specifico umano” che qui sidescrive, ontologicamente connesso alla naturalità e fisicità dell’uomo, permette all’uomo stesso di oltrepassare lasua specie zoologica: “questo oltrepassamento…è la dissoluzione, nell’uomo, dell’immediatezza animale (immediataidentità con la propria attività vitale), e ciò condiziona – quindi attraverso il lavoro e la produzione sociale – il costi -tuirsi per l’uomo di un ‘mondo oggettivo’, e il modo del costituirsi (o porsi) di esso: ‘né gli oggetti umani sono glioggetti naturali quali si presentano immediatamente, né la sensibilità umana, quale è immediatamente e oggettiva-mente, è umana sensibilità, umana oggettività. Né la natura obiettiva, né la natura subiettiva è immediatamente pre -sente come adeguata all’ente umano’. In questo enunciato è forse da vedersi il nucleo filosofico più profondo delpensiero di Marx. La adaeguatio del mondo (reale, ecc.) in senso umano non concerne solo la oggettività di ciò chenoi conosciamo, ma anche la radice naturalistica della stessa oggettività che noi siamo; quella per cui siamo articolaticon tutto il reale e, per così dire, insediati in esso”44. L’orizzonte mentale illimitato che attraverso il lavoro, si apre all’uomo (l’essere è il confine della coscienza umana)costituisce una “nuova” natura (storico-sociale), che non può non investirlo radicalmente. “Ma ciò significa – scriveLuporini – che nessuna antropologia o psicologia, o filosofia, ecc. (e neppure logica, sia che abbia a oggetto la logi -cità immanente al linguaggio comune, sia il suo perfezionamento in ulteriori linguaggi strettamente razionali o mate-matici) è sufficiente a cogliere integralmente l’ente umano. Per esprimersi con un vecchio termine, che è stato mo-dernamente rinnovato, possiamo dire che quel punto di vista integrale sull’uomo insito nella comprensione della suanatura storico-sociale conduce a mettere in luce la ontologicità (in senso attivo: la capacità di riferirsi all’essere dellecose) dell’uomo stesso. Ossia conduce a un piano di verità più profondo di quello del discorso logico, dal qualequest’ultimo è condizionato (ma che, d’altronde, è a sua volta da quest’ultimo controllato). È il piano in cui la natu -rale (sensibile) articolazione dell’uomo con tutto il reale (o suo insediamento nel reale) primariamente riceve un si -gnificato umano. Se questa è metafisica affermiamo che il marxismo è questa metafisica. In questo senso Marx puòscrivere, in un’altra pagina dei Manoscritti del 1844, che ‘i sentimenti, le passioni, ecc. dell’uomo’ (i quali ‘si affermanorealmente per il fatto che il loro oggetto è per essi sensibile’) non sono soltanto determinazioni antropologiche insenso stretto’, bensì hanno valore ontologico, sono ontologische Wesen (Natur) Bejahungen. Non si tratta, soltanto, di unMarx giovane. Il punto di vista critico da cui si svolge quella critica della economia politica che è Il Capitale implicaesattamente questo”45. Questo passo è estremamente importante; rappresenta una conferma di ciò che dubitativamente abbiamo avanzatoin precedenza. È chiaro (non più “sembra”) che per Luporini la “filosofia” di Marx non è riducibile ad una logica ognoseologia, ma che, in qualche modo, essa sia da interpretarsi come una nuova ontologia. Nuova perché perdeogni riferimento ad una trascendenza sopra-naturale, presentandosi cioè come coerentemente materialistica. Unaontologia materialistica dell’essere storico-sociale, che si radica nella materialità e fisicità, e che trova il suo concettocentrale nel lavoro, inteso geneticamente come modello e forma originaria della prassi specificamente umana. Ab-biamo visto che questa ontologia si concretizza filosoficamente anche come punto di vista chiarificatore rispetto aclassiche e insolute opposizioni gnoseologiche: interpreta diversamente e materialisticamente la dialettica tra tenden-ze antropomorfizzanti e disantropomorfizzanti per quanto riguarda il pensiero umano (“scientifico” o “quotidiano”che sia); rifiuta la classica contrapposizione tra teologia e causalità, mostrando la loro reale specificazione e connes-sione nel lavoro umano; sottrae la soggettività umana ad una considerazione puramente spiritualistica o speculativa(e, in qualche modo, misteriosa), senza appiattirla ad una semplice manifestazione particolare dell’attività sensibile;in generale permette di non ridurre il materialismo a meccanicismo o determinismo naturale, attraverso una valuta -zione della realtà e della capacità conoscitiva della dialettica, la quale, proprio in questo contesto, non è più conside-rata idealisticamente come astratto e puro pensiero. Questa posizione avanzata da Luporini rimette completamente in discussione tutta l’impostazione storicistica delmarxismo, iniziando a fornirle alternative positive di interpretazione e di ricerca (permette, come intenzione di Lu-porini, “di cambiare assai profondamente l’impostazione generale, ma ‘senza perdere i collegamenti’”). Il pensierodi Larx, così, mantiene la sua “aspirazione filosofica generale” e la sua “unità interna” senza dover ricorrere a filoso -fie generali sostitutive; esso si presenta anche come una nuova concezione filosofica generale da scoprire: cosa cheevidenzia l’inutilità e l’erroneità delle impostazioni che, a fondamento del materialismo storico e della critica dellaeconomia politica, cercano “metafisiche influenti” in riletture filosofiche altre, da Kant a Hegel. Questo nuovo contesto da esplorare consente quindi anche una rinnovata critica della filosofia borghese e della ve-xata questio del suo rapporto di continuità/discontinuità con il marxismo. Scrive infatti Luporini: “Si potrà osservareche quella ontologicità dell’ente umano, a cui ci siamo riferiti, è una nozione propria anche dell’esistenzialismo e cheè stata svolta da esso. Ma, se consideriamo le correnti principali del pensiero borghese contemporaneo, esistenziali -smo, pragmatismo e neopositivismo, il marxista si può forse meravigliare che in ognuna di esse si trovi sviluppatounilateralmente (e in guisa deformata talvolta fino alla mostruosità) un aspetto intrinseco del marxismo? Il marxi-smo si potrà forse meravigliare che tutta la filosofia borghese contemporanea consista in una dissociazione degli ele-menti fondamentali del marxismo in cui va perduto l’essenziale (cioè l’unità): la dialettica e il materialismo?”46.

Il problema della libertàA questo punto Luporini può porre, in verità solo per brevi accenni, il problema della libertà. Scrive: “Solamente sulpiano più profondo della problematica della verità che si è ora raggiunto viene in luce pienamente e senza artificio la

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sua oggettiva connessione con quello della libertà; cioè si trova un passaggio (non ideologico e non retorico) fral’una e l’altra”47. Luporini premette alle sue considerazioni un breve excursus storico. Egli fa notare che l’uso dellaparola “libertà” ha la sua origine nel rapporto di produzione dominante nel mondo antico, dal rapporto schiavo -padrone, e dalla successiva estensione di significato alla vita politica della polis. Non a caso Aristotele indicava nellalibertà il valore caratterizzante una precisa forma politica come la democrazia. In un altro senso, comunque non deltutto eterogeneo al primo, la libertà è connessa con la sfera morale, con il problema del rapporto tra l’individuo e lesue passioni (“essere padroni o schiavi di esse”). Si trovano in questo contesto, per esempio, le coordinate teorichedei concetti di uomo tirannico e di uomo democratico esplicitati da Platone nella Repubblica. Successivamente, incollegamento con situazioni sociali e ideologiche nuove, il tema della libertà si inserisce all’interno della problemati -ca del volere (la volendi nolendique libertas di Boezio) e così si entra nella grande questione del liberum arbitrium, collega-ta con l’ideologia cristiana, che ha avuto molteplici traduzioni speculative e laicali, come per esempio, ancora inKant. E oggi? “In che senso – scrive Luporini – possiamo parlare correttamente di ‘libertà’ muovendo dalle questioni che già ab-biamo esaminato? In un senso che non tragga il suo significato, evidentemente, dal rapporto di produzione domi -nante nel mondo antico; ma che poi sia anche in grado di spiegare i vari usi ideologici del termine storicamente pro-dottisi e di assumere o non assumere i corrispondenti valori o ideali. Tuttavia l’immagine rimane quella storicamenteoriginaria: libero è il padrone, o chi ha la capacità…di essere padrone e proprietario. Ciò corrisponde alla nozione diappropriazione e di padroneggiamento, o dominio, che troviamo nel marxismo innanzi tutto applicata al rapportoattivo dell’uomo con la natura. In questa attività, in quanto umana, è essenziale il finalismo cosciente sopra indicato.A partire da questo nesso si può parlare di ‘libertà’ dell’uomo in senso non ideologico, ma critico e filosofico. Veritàe libertà hanno dunque nell’uomo la medesima radice. Ciò comporta che l’uomo sia originariamente sovrastato edominato da una natura che egli è indirizzato a sua volta a dominare attraverso la forma o modo umano in cui eglicome vivente produce e riproduce la propria vita (biologica, innanzi tutto); e cioè attraverso il lavoro sociale e laproduzione. Mediante la quale attività l’uomo insieme mantiene (riproduce) ed esplica, o applica, le proprie forze eenergie naturali o fisiche, in indissolubile sintesi con le energie e capacità mentali (intellettuali e morali) che si ripro-ducono, accumulano e trasmettono nello svolgimento storico-sociale. Ma questa continuità avviene sulla base diun’altra continuità: del sommarsi e accumularsi di forze produttive che, generate nella vita sociale, prodotte dagli uo -mini nel loro rapporto attivo con la natura, vengono a sovrastarli e dominarli come una ‘potenza estranea’, comeuna ‘seconda natura’…Appare così, in linea di principio, un nuovo problema di ‘libertà, che è quello del padroneg -giamento di questa ‘seconda natura’” 48. Ora Luporini fa di nuovo notare che appena questo problema fu avvertito apparvero ideologie e utopie comunisti -che, che infatti troviamo nel mondo antico e in epoca cristiana. Questo evidentemente non è un caso. Allo sviluppodi questa “seconda natura” è connessa l’origine della disuguaglianza tra gli uomini. Con l’aumento della produzione(divisione sociale del lavoro, nuove tecniche, ecc.) e con la conseguente capacità di creare un prodotto maggiore delminimo necessario, si verificano le condizioni perché un gruppo umano si appropri del prodotto del lavoro di un al -tro gruppo umano, diventando così dominante su tutta la società (divisione in classi antagoniste, costruzione del po-tere politico o Stato). Ogni problema di libertà va ricondotto a questa sua origine materialistica; mentre il suo possi -bile sviluppo non ideologico è necessariamente connesso con il tema e con la possibilità reale del comunismo: con -clude infatti definitivamente Luporini: “Al limite si può dire che ciò che razionalmente rimane di ogni ideale politicoo giuridico o morale di libertà storicamente prodottosi è il movimento verso il comunismo; ossia verso una formadi vita associata in cui sia stato possibile abolire lo sfruttamento del lavoro, e quindi la divisione della classi, in cui ilpotere politico abbia perso le ragioni di esistenza, e lo sviluppo delle forze produttive venga dominato e regolatocollettivamente dagli uomini. Le condizioni storiche del mondo moderno hanno reso reale la possibilità di questopassaggio: e intorno ad essa, sia pure in forme fino ad oggi drammatiche, si è già di fatto venuto unificando il corsostorico del genere umano. Tuttavia, come osserva Marx, quella libertà rimane ancora legata alla necessità naturalesempre presente attraverso le condizioni biologiche della vita umana. epperò, muovendo dal comunismo, sulla basepermanente di quel ‘regno della necessità’, ma al di sopra e al di là di esso, si inizia uno sviluppo delle energie e per -sone umane che vale interamente come scopo a se stesso. Che è il segno reale dell’ideale morale espresso nel ‘regnodei fini’. O ‘regno della libertà’, come Marx lo chiamava”49. Il nesso verità-libertà, che è poi quello tra materialismo estoria (politica), apre a Luporini l’altro grande tema di analisi marxiana: quello della dialettica e del rapporto traMarx ed Hegel. A proposito Luporini non si accontenta della sua riflessione individuale, ma promuove nel 1962,sulle colonne di Rinascita, un vasto dibattito, con la partecipazione dei maggiori filosofi marxisti italiani. Tutto que-sto sarà oggetto del prossimo capitolo.

Note

1. Il saggio uscì sul n° 2-3 (marzo-giugno 1960) di Società. Le nostre citazioni sono però tratte dal testo ripubblicato daLuporini nel 1974 in Dialettica e materialismo, Editori Riuniti, Roma, 1974, pagg. 77-109.

2. C. Luporini, Introduzione a Dialettica e materialismo, cit., pag. XXXII.3. Ibidem.

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4. C. Luporini, Verità e libertà, in DM, pag. 78.5. Ivi, pag. 79.6. Ibidem.7. Ivi, pag. 80.8. Ivi, pagg. 80-81.9. Ibidem.10. Ibidem.11. K. Marx, Tesi su Feuerbach, in F. Engels, L. Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Editori Riuniti, Roma,

1976, pag. 82.12. C. Luporini, Verità e libertà, in DM, pag. 82.13. Ivi, pagg. 82-83.14. Ivi, pag. 83.15. Ibidem. Qui materialismo dialettico è evidentemente diverso da Diamat.16. Ibidem.17. Ivi, pag. 84.18. Ibidem.19. Ivi, pag. 86.20. Ibidem.21. Ivi, pag. 87.22. Ivi, pag. 88.23. Ivi, pag. 89.24. Ivi, pagg. 90-91. Si veda in proposito anche C. Luporini, Marxismo e soggettività, del 1962 e pubblicato in DM. Questo

testo ha origine da un’ampia discussione sul tema della soggettività avvenuta a Roma tra Luporini, Sartre e Paci.25. Ivi, pag. 93.26. Ivi, pag. 94.27. Ivi, pagg. 94-95.28. Ibidem.29. Ivi, pagg. 96. Qui Luporini, evidentemente, abbraccia l’impostazione filosofica generale che dà Lenin in Materialismo e

empiriocriticismo, ma la critica anche nella sua estremizzazione; scrive infatti Luporini in una nota: “Ritengo invece daescludersi che l’astratta e isolata ‘sensazione’ o ‘qualità sensibile’, possa assumersi come diretto rispecchiamento (foto -gramma o altro di analogo) del reale. Avere ammesso questo mi sembra il punto debole di Lenin. È da osservare chesu questo punto Lenin rimane esattamente sul terreno dell’avversario (Mach), ossia, in ultima analisi, sul terreno delsensualismo passivo del XVIII secolo” (nota n° 18, pag. 96).

30. Ivi, pagg. 96-97.31. Ivi, pagg. 97-98.32. Ivi, pag. 99. Vedi, a proposito, la famosa introduzione di Marx del 1857 al Per la critica dell’economia politica.33. Ivi, pagg. 99-100.34. Ibidem. Intorno a questo problema logico Luporini si soffermerà più ampiamente nel corso del dibattito sulla dialetti -

ca avvenuto nel 1962 sulle colonne di Rinascita, in particolare nel suo confronto polemico con Della Volpe e la suascuola.

35. Si veda in proposito la trattazione luporiniana del concetto marziano di “formazione economico-sociale”, in particola -re i saggi Realtà e storicità del 1966 e Marx secondo Marx del 1972.

36. K. Marx, Tesi su Feuerbach, in F. Engels, Op. cit., pag.81.37. K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 1980, pag. 173.38. Ivi, pagg. 171-172.39. K. Marx, Tesi su Feuerbach, in F. Engels, Op. cit., pagg. 84-85.40. K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 1980, pag. 783.41. K. Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma, 1980, I, pag. 212.42. C. Luporini, Verità e libertà, in DM, pag. 103.43. Ibidem.44. Ivi, pag. 104.45. Ivi, pag. 105.46. Ivi, pag. 106. Avanziamo in questa nostra interpretazione una tesi (che verrà ripresa sistematicamente solo alla fine del

nostro lavoro): quella dell’esistenza di un parallelismo tra il nuovo piano di ricerca proposto da Luporini (e in partesuccessivamente sviluppato) e quello elaborato nello stesso periodo da G. Lukàcs, concretizzatosi nella sua ultima ope-ra filosofica: l’Ontologia dell’essere sociale.

47. Ibidem.48. Ivi, pagg. 107-108.49. Ibidem.

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Capitolo 4La dialettica in Marx. Il dibattito su Rinascita del 1962

Nella seconda metà del ’62, sulle colonne di Rinascita, si sviluppa, tra i principali marxisti italiani, un dibattito sulladialettica, sul rapporto tra Marx e Hegel1. Con questo dibattito, però, non siamo di fronte ad una disputa scolasticatra cultori di filosofia marxiana, ma ad una riflessione collettiva sui fondamenti filosofici del marxismo e sulla suaconseguente capacità di interpretare correttamente la realtà e quindi di trasformarla. Esso, inoltre, come dice giusta-mente F. Cassano, “cade nel vivo di una polemica ben più vasta sull’adeguatezza dell’analisi e della strategia del mo-vimento operaio italiano rispetto ai nuovi livelli di sviluppo del capitalismo e alla nuova strategia elaborata dalle clas -si dominanti con il lancio della politica del centro sinistra”2. Il nodo problematico affrontato, anche se da una ango-latura teorica particolare, è quello relativo alla capacità o meno del capitalismo avanzato di superare l’arretratezzaeconomica e sociale, da cui esso stesso nasce3. Per questo la nozione teorica centrale in questo discorso risulta esse-re quella di contraddizione e, più specificatamente, di contraddizione dialettica in Marx e in Hegel. In questo sensoil dibattito si presenta come un confronto, a volte polemico, tra due posizioni generali distinte e opposte: da unaparte troviamo un fronte variegato e con posizioni spesso diverse, accomunato, però, dalla convinzione intorno allacontinuità tra Hegel e Marx proprio a partire dalla nozione di contraddizione dialettica, e qui possiamo indicare Lu-porini, Badaloni e Gruppi; dall’altra troviamo un fronte compatto rappresentato da Della Volpe e la sua scuola, atte-stati invece su posizioni di radicale discontinuità tra Marx ed Hegel (ed in Colletti, in particolare tra Marx edEngels). L’occasione del dibattito viene fornita dal libro di Nicola Badaloni, Marxismo come storicismo (Feltrinelli, Milano, 1961)in cui si attaccavano duramente le posizioni di questi ultimi, in particolare quelle espresse da Colletti nella sua intro-duzione al libro di E. V. Il‘enkov’, La dialettica dell’astratto e del concreto nel Capitale di Marx (Feltrinelli, Milano, 1961).Badaloni osserva: “il Colletti risolve la questione della dialettica in Marx teorizzando l’impossibilità della contraddi-zione reale, escludendo cioè l’oggettività reale della contraddizione, al momento in cui fa di quest’ultimo un fruttodella relazionalità umana. la contraddizione in se non esiste; ciò che esiste sono solo fatti empirici non relazionabilialtro che nella mente dell’uomo; il nesso dialettico tra ricchezza e sfruttamento umano è quindi un nesso che la ra-gione crea e che non corrisponde ad alcuna legge oggettiva”. E, continua Badaloni, “alla luce delle considerazionidel Colletti, tutto dovrebbe ridursi all’intervento teorico soggettivo, in quanto crea, relazionando i fatti, non solo lacoscienza, ma la realtà stessa della contraddizione”4. Questo è il contesto teorico “ravvicinato” che fornisce il terre-no per il dibattito che prenderemo in esame, cercando di analizzarlo attraverso i principali interventi e con un oc -chio di riguardo alla posizione di Luporini. Il dibattito in questione potremmo suddividerlo idealmente in due parti: la prima che raccoglie il primo interventodi Luporini, quello di Colletti, di alcuni studenti romani, di Badaloni, di Gruppi e di M. Rossi, e che ha come ogget -to principale il tema della “oggettività reale della contraddizione” ed il suo ruolo nel rapporto tra Marx ed Hegel; laseconda che riguarda il secondo intervento di Luporini e quello di Della Volpe e che ha come oggetto un ambitoteorico più ampio, la metodologia di Marx, il quale viene affrontato nei due interventi, attraverso l’interpretazione(contrapposta) della Introduzione del 1857 di Marx al Per la critica dell’economia politica.

La prima parte del dibattitoÈ Luporini ad intervenire per primo e ad indicare, a grandi linee, i punti su cui si svolgerà il dibattito 5. Differenzian-dosi da Luciano Gruppi che, in una recensione al libro di Nicola Badaloni Marxismo come storicismo, accomunava, innegativo, per il marxismo, le influenze del materialismo volgare e dell’hegelismo, Luporini non accetta una sovrap-posizione tra questi due piani e, mentre per il primo non pone problemi al suo netto rifiuto – cosa sulla quale tutti,per altro, si trovano d’accordo – individua, invece, nel secondo un problema assai più complesso, non liquidabilesemplicemente, e che rompe nettamente l’unanimità delle posizioni del marxismo. Infatti l’obiettivo polemico prin-cipale di Luporini diventano quelle posizioni che propongono una interpretazione di radicale discontinuità tra Marxe Hegel, cioè quelle di Galvano Della Volpe e della sua scuola. Per Luporini “Della Volpe tende ad avvicinare forte -mente al modello del ‘metodo galileiano’, assunto come tipico della moderna ricerca scientifica, il metodo marxistaquale è esposto da Marx nella Introduzione del ’57 – incompiuta e postuma, ma importantissima – al Per la Criticadell’economia politica, e realizzato in questa opera e soprattutto nel Capitale. Tale avvicinamento porta ad accentuaremolto marcatamente la contrapposizione tra dialettica marxista e dialettica hegeliana e questa contrapposizione vie -ne esasperata da alcuni scolari di Della Volpe, come il Colletti, il Rossi e altri, che intendono cancellare dal volto delmarxismo ogni traccia di ciò che a loro appare come ‘dialettica hegeliana’. Calcando le differenze fra Marx ed En-gels essi rigettano largamente quest’ultimo, sotto la taccia di hegelismo” 6. Di fronte a queste posizioni Luporini sitrova in netta opposizione. Secondo lui, il “metodo galileiano”, che oggi non è nemmeno in grado di rappresentareadeguatamente il moderno metodo delle scienze naturali, applicato alle strutture proprie del mondo umano nonpuò che pregiudicarne l’intelligibilità, aprendo la strada ad un riduzionismo semplicista incapace di sviluppi. Rispet -to agli ambiti della fisica e delle scienze biologiche, nel mondo umano “le categorie della necessità (che non può maiintendersi come ferrea o assoluta) e della possibilità (possibilità reale, e non semplicemente logica, che è la pura noncontraddittorietà di qualcosa), entrano in un gioco assai diverso rispetto ai due ambiti precedenti. E la questione del-la prevedibilità scientifica dei fenomeni non può non risultarne assai modificata”7.

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Accusando di “meccanicismo sociale” il metodo galileiano di Della Volpe, Luporini pone al centro del discorso lanozione di contraddizione. Egli si chiede se l’uso del termine contraddizione in dialettica si puramente metaforico oindichi, invece, una realtà oggettiva, prevedibile e verificabile; se, cioè, la contraddizione dialettica, come categoria,sia solamente un modo del pensiero o una determinazione d’esistenza, un modo dell’essere8. La sua risposta in pro-posito è molto chiara: “il metodo di Marx – egli scrive – è fondato innanzitutto sul riconoscimento della oggettivitàreale della contraddizione e questo riconoscimento è l’elemento di continuità fra Hegel e Marx. Non l’unico certo,ma il principale”9. Questa è la tesi centrale del primo intervento di Luporini e il mancato riconoscimento di essa, o ilsuo rifiuto, come nel caso di Della Volpe e della sua scuola, non può che portare, secondo lui, ad una interpretazio -ne del marxismo soltanto come metodologia, dimenticando come questo aspetto “non sia separabile dal marxismocome ‘concezione del mondo’, sia pure intesa quest’ultima in modo aperto, cioè non mai sistematicamente conchiu-so e tale quindi che le posizioni susseguenti possono sempre modificare le antecedenti”10.La prima risposta a Luporini viene da Colletti e da alcuni studenti romani (M. Figurelli, E. Mercuri, C. Petruccioli) 11.Colletti riassume la posizione di Luporini ed espone la sua critica in questo modo: “Si torni ora con la menteall’affermazione di Luporini che ‘l’elemento di continuità tra Hegel e Marx’ è proprio il riconoscimento della ‘ogget-tività reale’, e si capirà perché la mia impressione, a dirla schiettamente, è che, nel suo pensiero, sia qui attivo ancoraun residuo di idealismo”12. Esposta così la posizione di Luporini, l’impressione di Colletti non può che essere giusta:il riconoscimento dell’oggettività reale è in Hegel riconoscimento della sua finitezza e della sua subordinazione dia -lettica alla totalità dell’Infinito. La realtà oggettiva è, per Hegel, falsa realtà “lato negativo dell’assoluto”, che prepara,come momento necessario nel processo dialettico, il riconoscimento della vera realtà, la realtà dell’Idea. È evidenteche chi ponesse queste posizioni come elementi di continuità tra Hegel e Marx avrebbe necessariamente una conce-zione del marxismo di stampo idealistico, nettamente in opposizione a ciò che ha chiaramente sostenuto Marx inmoltissimi testi. E per puntualizzare meglio la sua posizione Colletti aggiunge: “Da questa banda, si riconosce, aper -tamente, una eredità da Hegel. Solo che si riconosce questa eredità tenendo conto della complessa critica di Marx aisuoi processi di ipostatizzazione, non ignorandola come se si trattasse di un incidente giovanile!”13. Ora, se si ricordaesattamente la posizione di Luporini, si vedrà come nella sua riesposizione fatta da Colletti sia intervenuta una “di-menticanza essenziale”. Luporini aveva sostenuto che il nesso di continuità tra Hegel e Marx era costituito dal riconoscimento della oggetti -vità reale della contraddizione, e non, in modo assai poco comprensibile, dell’oggettività reale in sé. Nell’interventodi Colletti ( e degli studenti romani, che su questo punto lo ricalcano fedelmente) ogni riferimento alla contraddizio-ne subisce un eclissi totale (come farà notare lo stesso Luporini in una brevissima successiva replica). Questa “di -menticanza” ha delle ragioni profonde; non è, evidentemente, un banale incidente di scrittura. Per Della Volpe e lasua scuola, con in testa il Colletti, i conti e i rapporti tra Hegel e Marx si sono definitivamente chiusi con le critichemarxiane del ’43 e del ’44 alla filosofia del diritto e alla dialettica hegeliane. Nelle opere mature di Marx, in particola -re nel Capitale, secondo Della Volpe e Colletti, agirebbe si una dialettica, ma del tutto eterogenea e senza alcun debi-to rispetto a quella hegeliana (vedremo poi nell’intervento di Della Volpe come questa dialettica marxista si identifi-chi con il circolo logico concreto-astratto-concreto). Confrontata con tutti i testi di Marx questa visione mi sembradecisamente unilaterale. Nei Manoscritti del ’44, ad esempio, Della Volpe sottolinea fortemente (e giustamente) loscritto dedicato alla critica della dialettica hegeliana, ma ignora l’importanza e la compresenza di altre parti, in parti -colare quelle dedicate al lavoro estraniato, che tanto devono ad Hegel. Scrive infatti Della Volpe: “i Manoscritti del ’44presentano un interesse filosofico solo nell’ultima parte dedicata alla critica della filosofia hegeliana…e constandoper il resto di una specie di ‘zibaldone’ economico-filosofico, ricco a tratti di spunti brillanti, di ragionamenti e teoriesviluppatesi solo più tardi”14. E allora, per tornare allo specifico intervento di Colletti, è giusto sottolineare la parzia-lità miope di chi considera la critica di Marx ad Hegel un incidente giovanile di poco conto, ma è altrettanto parzialechi individua in questa la fine di ogni rapporto importante di continuità tra i due pensatori. Colletti non può inten -dere il riferimento di Luporini alla oggettività reale della contraddizione, perché per lui ogni elemento della dialetticahegeliana è dialettica speculativa, metafisica, mentre completamente eterogenea a tutto ciò è la “determinatezzaconcreta” della dialettica marxiana. Per quanto riguarda gli studenti romani, essi aggiungono, contro Luporini,un’accusa, che potremmo definire, di “neokantismo”. Scrivono infatti: “La trascuranza del nucleo e della portatadella critica galileiano-marxiana dell’apriorismo, conduce Luporini a reintrodurre una distinzione tra le scienze che siriferiscono ai vari ‘campi della ricerca naturalistica’ e quelle che concernono ‘strutture proprie del mondo umano(per es., le formazioni economico-sociali, come quella capitalistica), una distinzione che ricorda Max Weber e Win-delband, a non voler citare Kant”15. Ora, a mio parere, anche questa accusa è, a dir poco, illegittima. Luporini, sottolineando i diversi complessi proble -matici che intercorrono prendendo in esame il mondo sociale ed umano rispetto a quelli che si presentano con le“scienze naturali”, non intende sostenere una distanza metodologica radicale tra queste ultime e le “scienze storico-sociali”. Egli conosce troppo bene i famosi passi di Marx in difesa di una unica scienza storico-naturale, contenutine L’ideologia tedesca, per compiere questo grossolano errore. Difendendo il marxismo come “concezione del mon-do”, Luporini vuole semmai dare un contributo positivo in merito ad una possibile “unità” metodologica. Per Lu-porini, è proprio partendo dai capisaldi teorici del materialismo storico, primo fra tutti quello che individua, con lacomparsa del lavoro (come modello e forma originaria della prassi umana), un “salto ontologico” tra l’essere socialee l’essere organico e inorganico, che si può difendere questa unità complessa contro il “relativismo” storicista o il

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“meccanicismo” dell’empirismo e del positivismo. In difesa di Luporini, ma non, in verità, partendo dalle stesse posizioni (come vedremo nelle conclusioni), interven -gono Nicola Badaloni e Luciano Gruppi16. Per Badaloni, merito di Della Volpe e della sua scuola è quello di aver re-spinto “quella conclusione dell’hegelismo per cui la scienza si libera dal reale”, ma, nonostante questo essi – scriveBadaloni – “mantengono in direzione della storia umana il convincimento che, dato un certo risultato semplificato,astratto dall’esperienza, il reale sia deducibile sic et simpliciter da quella astrazione o concetto scientifico” 17. Ora, perBadaloni, “ciò è esatto solo nella misura in cui si presupponga per una certa società uno sviluppo lineare senza con -traddizione, ed inoltre ove si ritenga che non sia effettivamente rilevante l’intervento della prassi umana cosciente”18.Queste caratteristiche segnalano le profonde insufficienze del metodo galileiano di Della Volpe. Infatti Badaloniprosegue: “la identificazione del metodo del Capitale con quello galileiano, implica che i fatti raccolti nella leggeastratta siano perfettamente ripetibili; ma Della Volpe e Colletti dimenticano che la ripetizioni scientifica di tipo gali -leiano è basata sull’isolamento sperimentale del fatto; nella storia reale invece una tal pretesa di ripetibilità compor-terebbe ancora una volta un intellettualistico voler porre ‘le brache al mondo’” 19. In definitiva, per Badaloni, la pro-spettiva teorica di Della Volpe, in guisa proprio del suo metodo, è incapace di interpretare la realtà sociale proprioperché non può comprenderne la complessità dialettica, evidente nella oggettività reale della contraddizione. ControDella Volpe e Colletti, Luciano Gruppi è ancora più esplicito. Per lui Colletti giunge ad una “liquidazione non deiresidui hegeliani nella dialettica marxista, ma della dialettica nel marxismo, tout court” 20. Ed in modo più esaustivo,egli scrive: “Nell’indirizzo che fa capo a Della Volpe la dialettica si riduce al rapporto concreto-astratto-concreto. Seè un merito di questo indirizzo aver appuntato l’attenzione sul metodo e sulle categorie logiche del Capitale, il meto-do logico del Capitale appare, in questa interpretazione, sostanzialmente impoverito. Mi pare cioè che esso risulti im-poverito precisamente rispetto a ciò che lo caratterizza sin dalle prime pagine dell’opera fondamentale di Marx: sipensi al rapporto tra valore d’uso e valore di scambio che è chiaramente presentato da Marx come rapporto diquantità e qualità, come coincidenza degli opposti nella merce, nella cosa cioè, e non soltanto nel pensiero” 21. Inquesto contesto “mistificato”, per Gruppi, non si può che ritornare ad una “concezione del conoscere come rifles-so” la quale rappresenta senz’altro un “involgarimento dal marxismo…nella riduzione del suo materialismo a unmaterialismo di tipo pre-marxista”22. Conclude la prima parte del dibattito l’intervento “dellavolpiano” di MarioRossi23. Per avvalorare la sua critica a Luporini, Rossi parte da una descrizione del rapporto Marx-Hegel. Egli scrive:“L’opposizione fra Hegel e Marx è, a mio avviso, quella che sussiste tra una concezione della comprensione-accetta -zione del mondo, e una concezione della comprensione-trasformazione di esso. Ma se i due atteggiamenti conse-guenti sono opposti, neppure il termine comprensione può significare, nei due casi, la stessa cosa. E infatti la ‘com-prensione’ hegeliana è incondizionata e assolutamente teoretica, quella di Marx è condizionata e intimamente con-nessa con l’elemento della prassi. Per Hegel il compito dell’uomo razionale è di comprendere la totalità della verità,perché la verità non si lascia parzializzare né dividere…D’altra parte l’intero, che deve essere compreso ‘interamen-te’, non può esserlo dall’individuo particolare ed empirico. Esso può essere compreso solo da se stesso. (Infatti) Lastoria dello spirito è il processo della sua autocomprensione, della quale tutti gli episodi…non sono che momenti omanifestazioni”24. Questa “lettura” di Hegel è senz’altro corretta. La totalità hegeliana non lascia spazio autonomoalle differenze. Essa si manifesta in maniera necessaria entro lo sviluppo storico inteso finalisticamente: da uno sta -dio primitivo fino al livello massimo di autocomprensione, rappresentato dalla filosofia hegeliana stessa. Qui sta ilcarattere conchiuso del pensiero di Hegel, la sua “impermeabilità” alla novità, in genere, al futuro. Ma fin qui nonc’è critica a Luporini; quest’ultimo potrebbe sottoscrivere tutto quello sopra indicato. Questa critica avrebbe ragiond’essere, e sarebbe giustificatissima, se Luporini avesse assunto come propria la premessa teorica fondamentale delcosiddetto hegelo-marxismo: la trasposizione-concretizzazione del soggetto assoluto hegeliano nel Proletariatocome soggetto-oggetto identico, con la conseguente accettazione di una filosofia della storia a carattere teleologico.Ma non è così. Per Luporini il marxismo non è hegelianizzabile, pena la sua più totale incomprensione. A dimostrazione di ciò egli scriveva già nel ’59: “(Il) terreno del sempre rinnovatesi tentativo di hegelianizzazionedel marxismo (si trova)…sul terreno della nascosta o inavvertita reintroduzione in questa ‘razionalità del reale’ (an-cora indipendente dall’uomo) della categoria della finalità. (Solo nel) rapporto dell’uomo, attivo, pratico, sperimenta-le, ecc., col reale…c’è la finalità e questa finalità o finalismo è proprio il segno distintivo dell’intelligenza, ossia razio -nalità, dell’uomo e solo dell’uomo”25. Pertanto, tornando all’articolo di Rossi, la sua esposizione dei tratti crucialidella impostazione hegeliana, non pone problemi a Luporini, finché non viene introdotta una parziale conclusione.Scrive Rossi: “La veduta ‘speculativa’ consiste appunto nel non lasciare né la distinzione né l’opposizione a se stesse,ma nel ridurre la distinzione reale a opposizione logica, e l’opposizione logica all’unità” 26. E, riferendosi specificata-mente all’affermazione di Luporini in merito all’oggettività reale della contraddizione come nesso di continuità traHegel e Marx, egli continua: “Naturalmente non posso non dissentire radicalmente da questa affermazione, perchéd’un tale riconoscimento si può parlare sia a proposito di Hegel che di Marx solo a patto d’intenderlo in due modiassolutamente diversi”27. Ora se Rossi sostiene la netta opposizione tra Hegel e Marx e individua come tratto specu-lativo sostanziale hegeliano il “non lasciare né la distinzione né l’opposizione a se stesse”, allora vuole dire, al con-trario, che in Marx, “antispeculativo”, il “lasciarle a se stesse” dovrebbe essere tratto distintivo: diviene impossibilecioè ogni riferimento al concetto di totalità organica. Per Rossi ogni rimando ad una totalità dialettica è frutto di una“visione speculativa” (e quindi antimarxista). Le opposizioni reali non possono essere contraddizioni dialettiche cioèinserite in uno sviluppo complessivo unitario, caratterizzato in qualche modo anche dalla necessità; non c’è “via di

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mezzo” tra una concezione che pensa le contraddizioni autocomponentesi da sé (Hegel) ed una che le relaziona, nelloro sviluppo, all’intervento pratico umano (Marx): tertium non datur. Nella scuola dellavolpiana esiste una sovrapposizione senza residui della prassi sulla prassi cosciente, ed è a partireda qui che si identifica il metodo d’analisi sociale scientifico (marxista) con il “metodo galielaiano”, dove la presenzadello sperimentatore cosciente e supervisore è conditio sine qua non per l’intero processo. Luporini abbraccia una con-cezione del tutto diversa: quella che individua nelle “decisioni alternative” degli uomini un fattore importantissimo edecisivo, ma dentro una totalità empirica definita storicamente, con le sue leggi, in qualche modo indipendenti; quel-la concezione che pensa al superamento dell’opposizione filosofica classica tra teleologia e causalità, senza accettare,per questo, il “finalismo storico” o il “determinismo naturalista”. Insieme alla grande valorizzazione della prassiumana cosciente e rivoluzionaria, Marx ha spesso scritto che gli uomini, “lo fanno ma non lo sanno”, e queste duesituazioni non costituiscono una opposizione fine a se stessa, ma sono parti di una contraddizione oggettiva semprein movimento. Luporini mette in evidenza questa serie di problema, mentre sembrano scomparire, almeno nelleloro implicazioni essenziali, in Della Volpe e nella sua scuola.

La seconda parte del dibattito

L’intervento di Della Volpe28

Della Volpe pone al centro del suo intervento l’interpretazione della famosa Introduzione del 1857 di Marx al Per lacritica della economia politica. Il concetto fondamentale che è preso in esame inizialmente è quello di “produzione in ge -nerale”. Marx scrive: “tutte le epoche della produzione hanno taluni caratteri comuni, talune determinazioni comu-ni. La produzione in generale è un’astrazione, ma un’astrazione sensata, in quanto mette effettivamente in luce, fissal’elemento comune, risparmiandoci quindi la ripetizione. Nondimeno questo generale…è esso stesso qualcosa dimolteplicemente articolato, che diverge in differenti determinazioni. Parte di esso è di tutte le epoche; un’altra parteè comune solo ad alcune. Talune determinazioni saranno comuni all’epoca più moderna e alla più antica. Senza diesse non si potrà concepire alcuna produzione; ma se le lingue più sviluppate hanno in comune leggi e determina-zioni con le meno sviluppate hanno in comune leggi e determinazioni con le meno sviluppate proprio ciò che costi -tuisce il loro sviluppo le differenzia da questo elemento generale e comune; le determinazioni che vigono per la pro-duzione in generale debbono venir separate proprio perché al di là dell’unità…non si dimentichi la differenza essen-ziale. In questa dimenticanza risiede ad esempio tutta la saggezza degli economisti moderni, che dimostrano l’eterni-tà e l’armonia dei rapporti sociali esistenti”29. Commentando queste considerazioni, il primo elemento importanteche mette in rilievo Della Volpe è che gli economisti borghesi, per dimostrare questa eternità e armonia, per spiega-re il capitale come un “generale eterno rapporto naturale”, devono compiere, e compiono, una “ipostatizzazione” euna “interpolazione”: ipostasi nell’aver aprioristicamente “sostantificato, ossia assunto come realtà, una idea astrat-tissima quale il più generico concetto di produzione come appropriazione della natura, di modo che questa esauriscain sé anche la produzione moderna, borghese, trascendendo così le specifiche caratteristiche di questa”; e interpola -zione nell’aver “sostituito il senso specifico dei rapporti borghesi di produzione con quello più generico possibile diproduzione, di cui sopra, preconcepito come legge naturale eterna di una società economica in astratto” 30. Per DellaVolpe Marx elaborerebbe il suo metodo d’analisi dell’economia (“scientificamente corretto”) contro questa impo-stazione, seguendo la stessa “strada logica” che aveva percorso nel ’43 criticando Hegel. A questo scopo Marx, se -condo Della Volpe, formulerebbe un metodo a carattere circolare che dal concreto caotico iniziale (ad esempio lapopolazione) permette di giungere, attraverso un procedere ad astrazioni, a categorie “semplici” (come la divisionedel lavoro, il valore di scambio, ecc.) e che, da queste ultime, procedendo all’inverso, può riprodurre nel pensieroquel concetto iniziale, non più confusamente e disarticolatamene, ma in maniera scientificamente corretta, indivi -duandone cioè le cause e le ragioni di sviluppo ed eventualmente di decadenza e di trasformazione. Questo, perDella Volpe, è il “metodo logico” corretto, rappresentato dal circolo concreto-astratto-concreto. Questo circolo, scrive Della Volpe, è essenzialmente una “messa appunto storica (sperimentale) delle categorie” 31, laquale permette sia di dare una ragione coerente allo sviluppo, sia di spiegare lo “storico presente”, la società borghe -se, nella sua radicale unità e diversità; permette, in definitiva, di oltrepassare compiutamente le ipostatizzazioni e leinterpolazioni dell’economia politica classica (come è già stato fatto per la sua “compagna di metodo”: la filosofiahegeliana). Il concetto fondamentale che individua questa radicale opposizione è quello di astrazione. Se il marxi -smo, a differenza dell’hegelismo (e dell’economia classica), vuole non solo comprendere il mondo, ma trasformarlo(secondo la famosa undicesima tesi su Feuerbach), allora, scrive Della Volpe: “i criteri usati da tale metodo di pen -siero del presente sono astrazioni ‘determinate’ in quanto valide nell’ambito dei ‘rapporti storici’ costituiti dallo spe -cifico e sue cause: sono quindi concetti storico-ideali (il ‘lavoro’, ecc.) e però scientifici già in quanto esenti dalla in -determinatezza o genericità dei concetti metafisici; la loro scientificità si precisa nella loro capacità di valere comecriteri sperimentali e propriamente come criteri-modelli dell’azione e dell’evento, sempre determinati per definizio-ne”32. Della Volpe conclude questa serie di riflessioni sostenendo che questa “sperimentabilità” e questa “determi-natezza” delle astrazioni marxiane (il loro radicale carattere antispeculativo), non costituiscono altro che il “galilei-smo morale” del marxismo. A questo punto Della Volpe affronta il tema della contraddizione oggettiva e della suadialettica. Egli sostiene che questo problema è affrontabile in tre termini: (1) “richiamando il concetto che il concre-to…appare al pensiero…come un processo di sintesi, come un risultato, in quanto è assieme di molte determinazio-

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ni, ed è quindi ‘unità molteplice’: al cui proposito si noti subito che il concreto è stato definito – in quanto luogo dioggettive contraddizioni – non già unità di opposti, ossia di una generica diversità momentanea, com’è l’Idea hege -liana, …bensì come la unità di un molteplice o diverso effettivo (il discreto ch’è la materia); (2) precisando che – sedunque le contraddizioni oggettive sono contraddizioni diverse, materiali, determinate, storiche, e quindi la contrad-dizione oggettiva è permanente e non transuente e apparente come quella hegeliana – allora la sola dialettica capacedi riprodurre nel pensiero la contraddizione oggettiva non può essere che una dialettica di astrazioni determinate oscientifica;(3) concludendo che la dialettica scientifica è l’anima della contemporaneità pratica della storia la cui struttura è co-stituita di quei criteri-modelli operativi e non ripetibili – o astrazioni determinate – che producono una unificazioneo razionalizzazione del molteplice mai definitiva, perché, appunto, sempre determinata o storica, e producono quin -di una unità progressiva e che è questa la dialettica come ritmo – non immaginario o mistico – di negazione e con -servazione insieme (la continuità-rivoluzione storica)”33.Queste considerazioni non costituiscono altro, per Della Volpe, che l’esplicazione complessiva del suddetto circolomarxiano di concreto-astratto-concreto. Concludendo possiamo dire che Della Volpe utilizzando metodologica-mente i temi da lui messi in rilievo, della radicale opposizione, senza alcuna soluzione di continuità, tra il metodomarxista dell’economia (che è anche metodo d’analisi storica) e l’economia borghese. Al contrario va da sé che inquesta posizione vi è l’affermazione implicita di una identità sostanziale, nel carattere speculativo (antiscientifico),tra la filosofia hegeliana e l’economia classica.

Il secondo intervento di Luporini 34

Luporini si accinge anch’egli ad una interpretazione della famosa Introduzione del ’57, cercando di metterne in rilievouna significanza e una importanza del tutto diverse da quelle esplicitate da Della Volpe. Anche Luporini cominciadal concetto di “produzione di generale”, riferendosi ad un passo di Marx, che dice: “Quando si parla di produzio-ne, si parla quindi sempre di produzione a un determinato livello di sviluppo sociale – della produzione di individuisociali. Potrebbe dunque sembrare che, per parlare in generale di produzione, si debba seguire il processo dello svi -luppo storico nelle sue differenti fasi, oppure dichiarare sin da principio che si ha a che fare con una determinateepoca storica, quindi ad esempio con la moderna produzione borghese, la quale in effetti è il nostro tema ideale”35.La disgiunzione che Marx presenta tra le ”due strade” su cui può procedere l’analisi (1. considerare il processo nellesue differenti fasi; oppure 2. concentrarsi su una determinata epoca storica), diviene l’oggetto iniziale delle riflessio-ni di Luporini, che scrive: “Marx ha presentato la disgiunzione con la parola ‘sembra’. Perché? Per aprirsi il varco auna più approfondita considerazione (la quale da ultimo…condurrà alla reciproca necessaria complementarietà delledue strade). In verità infatti non basta tener distinte quelle due possibilità, perché esse hanno anche qualcosa in co -mune, che non è soltanto la rilevata ma ancora generica storicità di ambedue; esse hanno in comune qualcosa di bendeterminato (o determinabile) e precisamente quelle che sono le ‘determinazioni comuni’ a ‘tutte le epoche dellaproduzione’. In base alle quali si costruisce un’astrazione intellettiva…e cioè il concetto di produzione in generale. Ora questa generalità, come tutte le generalità che hanno un contenuto ben determinato, ancorché questo contenu -to possa essere poverissimo, ha per Marx una importanza scientifica enorme: proprio al contrario di ciò che la scuo-la della volpina tende a far credere…Infatti soltanto sullo sfondo di quel concetto è possibile cominciare a dar rilie -vo a quello che è stato lo sviluppo storico effettivo della produzione, per caratterizzarne le diverse fasi” 36. A questopunto Luporini fa notare come Marx, proseguendo in questi passaggi teorici, vada oltre la logica tradizionale. “Main verità nel discorso di Marx – egli scrive – sia pur attraverso qualche incertezza di esposizione, con la detta nozio-ne di universale o generale se ne incrocia quasi subito un’altra che, senza escludere la prima (ma riducendone la por-tata), caratterizza diversamente l’attività astrattiva della mente dell’uomo e i risultati di essa. Marx infatti dice chequel generale non è un semplice, ma è ‘esso stesso un qualcosa di complessamente articolato che si dirama in diffe -renti determinazioni’”37. Per Luporini dal punto di vista logico, specificatamente intorno al rapporto tra universale e particolare, ovvero tral’intensione di un concetto e la sua estensione, Marx anticipa i tempi: supera la logica di Port Royal (1662), che af -ferma la proporzione inversa tra l’estensione di un concetto e il suo contenuto, e si avvicina alla logica moderna laquale, viceversa, sostiene che un concetto diviene tanto più universale quanto più si arricchisce di casi speciali. Inquesto modo, continua il suo discorso Luporini, l’attività dell’astrarre, con Marx, si modifica radicalmente: non con-siste più nel lasciar da parte via via sempre un maggior numero di note, ma nel trasformarle in variabili. Scrive Lu -porini: “Solo muovendosi su questa linea (Marx) riesce a dare un concetto di ‘produzione in generale’ come articola-zione di differenti determinazioni (corrispondenti a diversi casi speciali, a diverse fasi storiche), e su tale base a con-netterlo con il concetto di ‘sviluppo storico della produzione’, per rendere poi conto di questo non come un sempli -ce incremento quantitativo, ma in modo da far emergere la diversità qualitativa e reciproca opposizione delle succes-sive formazioni sociali della storia”38. Di fatto Luporini accusa Della Volpe e la sua scuola di essere ancora dei “por-troyalisti”, di ignorare, per questo, l’essenza del processo teorico che compie Marx, e mette in rilievo come tutto ciòli porta, di conseguenza, ad errori di interpretazione decisivi. Infatti egli scrive: “Non è vero dunque – come tende afar credere la scuola di Della Volpe – che Marx contrappone al concetto di ‘produzione in generale’ degli economi-sti borghesi semplicisticamente soltanto il carattere sempre storicamente determinato, e quindi l’immancabile parti-colarità, di ogni concreta forma di ‘produzione’. (Se fosse così Marx poteva sbrigarsela con poche parole).

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Quella contrapposizione (che pur c’è) è resa possibile, da parte di Marx, in quanto egli elabora un concetto di ‘pro -duzione in generale’ toto coelo diverso da quello degli economisti borghesi. Il che gli consente una radicale critica diessi, la quale, come tutti sanno, consiste nel mostrate che essi compiono una interpolazione dei ‘rapporti borghesi’nella nozione di ‘produzione in generale’ trasformandoli così in leggi di natura eterne e indipendenti dalla storia” 39.Luporini riconosce il merito di Della Volpe e della sua scuola nell’aver richiamato fortemente l’attenzione su questaimportantissima critica, ma li considera incapaci di comprenderne i fondamenti teorici, proprio per la loro mancan-za di chiarezza in merito all’inizio stesso del discorso di Marx, cioè intorno al concetto di “produzione in generale”.Questa mancanza di chiarezza, secondo Luporini, impedisce a Della Volpe e alla sua scuola una lettura corretta deltesto marxiano. “Li mette – scrive Luporini – nell’impossibilità di capire, per esempio, perché nel paragrafo ‘il meto-do dell’economia politica’ il ‘semplice’ o ‘più semplice’ non si identifichi senz’altro e necessariamente col ‘generale’ e‘più generale’; perché Marx contrapponga il ‘più semplice’ al ‘più concreto’ (e non immediatamente ‘al più comples-so’); o che cosa significhi l’incontro, quando c’è (come nella nozione di ‘lavoro’) di ‘più semplice’ e ‘più generale’, ecosì via. Soprattutto li mette in condizione di non capire che il grado di generalità di una astrazione scientifica nonha nulla a che fare con quello che Marx chiama il suo carattere ‘determinato’, cioè la sua riferibilità (nel caso dellecategorie economiche) a una determinata società storica, o formazione storico-sociale, quale astrazione che neesprime certi rapporti (dominanti o meno)”40. Quest’ultimo fraintendimento è, a giudizio di Luporini, molto grave,anche perché permette operazioni liquidatorie, senza riscontri, come quella operata da Colletti, in riferimento alleleggi della dialettica enunciate da Engels; permette cioè la critica e la condanna di una legge scientifica per “il reatodi eccesso di generalità”. A questo punto Luporini arriva al nocciolo del problema; si chiede: “è operante nel discor -so che fa Marx intorno al ‘metodo dell’economia politica’ un circolo logico (o metodologico) concreto-astratto-con-creto?”41. Per rispondere a questa domanda egli inizialmente riassume il percorso d’analisi che compie Marx nel testo del ’57:“Marx parla di due vie, una via che conduce, mediante l’analisi, dalla rappresentazione ancora ‘caotica’ di un concre-to…ad astrazioni sempre più sottili; un’altra via (…un ‘viaggio all’indietro’…) che riporta al concreto da cui si erapartiti, ma ormai non più ‘come a una caotica rappresentazione di un insieme, bensì come una totalità ricca, fatta dimolte determinazioni e relazioni’. La prima via è di per sé ‘falsa’, dice Marx, perché porta semplicemente alla ‘vola -tizzazione’ del ‘concreto rappresentato’. Ci vuole anche la seconda via, la quale è resa possibile allorché il preceden-te procedimento d’analisi abbia trovato dei punti fermi (che vengono ‘fissati’ e ‘astratti’ dal pensiero, dice Marx) cioèsia giunto a dei ‘semplici’…quali ‘lavoro, denaro, valore, ecc.’. Con questa integrazione rappresentata dalla ‘secondavia’ si giunge, dice Marx, ‘alla riproduzione del concreto nel pensiero’. Solo a questo punto ho propriamente lascienza, cioè, nella fattispecie la scienza dell’economia”42. Anche per Luporini, dunque, nel discorso che fa Marx, ilcircolo concreto-astratto-concreto è presente; ma subito egli sottolinea (cosa non messa in rilievo dai dellavolpiani)che il “concreto”, il quale sta all’inizio e alla fine del processo, è sempre un “concreto pensato”, che sta “solo nellamente”. “Ciò significa – egli scrive – che finché rimaniamo nei limiti ora visti, il riferimento al (presupposto) ‘con -creto reale’ rimane sempre un riferimento vago, generico, sfuggente. Per questo…può nascere la ‘illusione’ idealisti -ca di Hegel – che Marx non solo respinge, ma in qualche modo giustifica – la quale consiste nell’eliminare quel pre-supposto reale e nell’esibire il ‘concreto pensato’…come l’unico concreto, come esso stesso il concreto reale: equindi il reale come un prodotto del pensiero”43. Allora nella misura in cui il circolo concreto-astratto-concreto èpresente nel discorso di Marx, Luporini continua chiedendosi che cosa esso davvero significhi e descriva appunto inquesto discorso. La sua risposta è molto chiara: “Esso descrive il procedimento della scienza borghese (classica)dell’economia: né più né meno. E ciò in un senso del tutto preciso, che Marx esplicita molto chiaramente: la primavia è quella rappresentata dagli economisti del XVII secolo, la seconda via (che corregge e integra la prima) daglieconomisti del XXVIII secolo e seguenti, fino a Marx escluso”44. Alla luce di questa considerazione Luporini ne ag-giunge subito un’altra, ancora più importante: “Sulla base di siffatto circolo, o, per essere più aderenti a Marx, didetta integrazione delle due vie. Marx riconosce all’economia borghese classica i caratteri e la dignità di scienza, no-nostante i limiti che egli ha già messo in luce precedentemente, i quali conducono all’errore dell’eternizzazione dellecategorie economiche inerenti alla società borghese. Con l’esercitare quella critica Marx si poneva in un rapporto lo-gico (o meglio metodologico) di opposizione e di rottura con l’economia borghese (che naturalmente è anche unrapporto storico); col mettere in luce invece il suo carattere di scienza Marx si pone in un rapporto di continuità conessa”45. Secondo Luporini non comprendere questo fatto significa necessariamente non comprendere neppure il significatoreale dell’espressione “critica dell’economia politica”, che ha in sé, in maniera dialettica, un fondamentale elementodi rottura (che deve scansare ogni ipotesi di marxismo economicista), ma anche di continuità, proprio in relazionealla dimensione delle scientificità (cosa che deve scansare ogni ipotesi di marxismo soggettivista e utopistico). Que -sta incomprensione è “Ciò che accade a Della Volpe e ai suoi scolari i quali insistono solo sull’aspetto di rottura delmarxismo con l’economia classica, nello stesso preciso modo in cui insistono solo o prevalentemente sull’aspetto dirottura di Marx con Hegel, dandoci una interpretazione tipicamente settaria, chiusa, (e intellettualistica) del marxi-smo. E falliscono in pieno quella storicità propria del pensiero di Marx nella quale egli stesso si pone e si riconosce,per ragioni non aggiuntive…,ma essenziali e costitutive della sua dottrina”46. In definitiva, per Luporini, l’errore grave di Della Volpe sta nell’attribuire alla metodologia marxista dell’economia,ciò che Marx presenta invece come tipicamente caratterizzante la metodologia dell’economia borghese. Questo er -

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rore impedisce di affrontare chiaramente e nelle giuste coordinate anche il problema centrale che si pone Marx nelloscritto in questione (e poi compiutamente analizzato nel Capitale): in che modo raggiungere scientificamente, ossiain modo determinato, la conoscenza della realtà concreta della società borghese, cioè in che modo ricostruirne il“modello”. Ora, a giudizio di Luporini, l’errore di Della Volpe non sta nel non aver individuato questo problema difondo del testo di Marx, ma nel non poterlo essenzialmente capire, a causa del suo sistema filosofico. “Si tratta –scrive Luporini – della liquidazione che nel pensiero di Della Volpe subisce la categoria della totalità (totalità organi-ca) in quanto categoria di uso empirico (e non speculativo): ossia riferibile a nessi o fatti particolari della realtà” 47. Laidentificazione tra la totalità organica hegeliana e ogni concetto di totalità, anche di questa “totalità organica empiri -ca”, e il rifiuto netto di quest’ultima a partire dal rifiuto (giustificato) altrettanto netto della prima, conduce DellaVolpe e la sua scuola in un vicolo cieco. In conclusione Luporini torna al problema del circolo concreto-astratto -concreto, e scrive: “esso è del tutto svanito…Il metodo marxista dell’economia è tutt’altro e lo potremmo sintetica -mente definire: dall’astratto all’astratto. Mega scandalon; ma è proprio così. Il riferimento al concreto non sta né inprincipio né in fondo, ma sta nella riferibilità a fatti determinati, mediante enunciati fattuali, delle categorie usate edelle loro combinazioni (qualunque sia il grado di generalità di esse). Il fondamento primo di questa riferibilità è nelcaso nostro, il carattere sempre storicamente determinato delle categorie economiche. È proprio questo nuovo me-todo di esposizione che Marx vuole spiegare o giustificare nel capitoletto ‘il metodo dell’economia politica’. Egli in -tende rendere conto del metodo come sarà costruito il Per la critica dell’economia politica o, assai più organicamente, IlCapitale. I quali muovono appunto non da una presunta rappresentazione del concreto, ma da categorie economicheche suppongono il lavoro precedente (diverso metodologicamente) dell’economia borghese classica. E muovono dilì non per giungere a una finale ‘riproduzione del concreto’, bensì per costruire sulla base di una enorme indagine difatti particolari, il ‘modello’ (astratto e perciò scientifico) della società borghese capitalistica”48.

La posizione “anomala” di LuporiniPur essendo Della Volpe e la sua scuola l’obiettivo polemico di Luporini, non si può dire che le posizioni diquest’ultimo siano riconducibili, nella sostanza, a quelle sostenute da Badaloni e da Gruppi. Pur accompagnandosi aquesti ultimi nella polemica anti-Della Volpe, proprio la polemica contro questi, lo allontana decisamente dallo sto-ricismo. Il tema della contraddizione ed il suo ruolo nel Capitale di Marx dà il segno di questa distanza. Scrive moltoacutamente Cassano: “ciò che è singolare nella concezione storicistica della contraddizione è la coincidenza che inessa tende a definirsi tra terreno delle contraddizioni e terreno di quella realtà empirica che cade fuori dal grandemodello della società ricostruito da Marx nel Capitale. In altri termini sembra che il grado di allontanamento dal mo-dello e la capacità di avvicinarsi alle contraddizioni coincidano, sembra cioè che la contraddizione tenda a collocarsie a definirsi lungo la linea di tensione tra quel modello e la realtà empirica, in quel luogo cioè dove il pieno dispie -garsi del modello urta contro la realtà empirica della singola formazione economico-sociale. Il concetto di contrad -dizione è quindi, secondo tale concezione, interamente ricalcato sul carattere ineguale ed anarchico dello sviluppocapitalistico, esaustivamente definito dall’impossibilità del capitalismo di estinguere le arretratezze e di estendereuniformemente lo sviluppo”49. Questa concezione ha ai suoi poli due elementi considerati staticamente, e quindi erroneamente: l’interpretazionedel modello teorico elaborato da Marx e le leggi di sviluppo del capitalismo. Qui il Capitale di Marx è concepito es-senzialmente (e solamente) come analisi scientifica di una struttura sociale situata storicamente, sotto, cioè, il puntodi vista del relativismo storico. Alla luce di questa visuale, le inevitabili modificazioni storiche di questa struttura, e lesue particolarità nazionali, aprono un terreno d’analisi totalmente nuovo rispetto a quello di Marx. Su questo terre -no si costituiscono le contraddizioni, che possono essere affrontate applicando ad esse il metodo di Marx, ma cheriguardano, in ultima analisi, anche quest’ultimo, nel senso della verifica della sua capacità (o meno) di trasformarsiadattandosi alle nuove realtà empiriche. A questo proposito, e non a caso, lo storicismo marxista postula una linea ascendente e progressiva tra Marx, Lenine Gramsci. Il pericolo presente in tale concezione è che, abbinandosi ad un atteggiamento ortodosso e dogmatico (edate le premesse è quasi impossibile che ciò non succeda), cerchi di trasmutare la realtà empirica (o di vederne solodegli aspetti “comodi”) in modo da adattarla ad una interpretazione possibile, da effettuare con gli strumenti teoricidel marxismo, inteso come dottrina conchiusa e onnicomprensiva. Il fermarsi al problema della arretratezza e il nonvedere il dispiegarsi della contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione ai livelli altidello sviluppo capitalistico, rappresenta una emblematica prova della staticità della concezione storicista e della suainterpretazione del marxismo. In un certo senso lo storicismo marxista parte da una concezione limitata e (ancheper questo) errata del pensiero di Marx, individua contraddizioni nella realtà, e, con atteggiamento dogmatico, cercadi “piegarle” ad un significato comprensibile alla sua ottica iniziale. La sua pecca sta in questa concezione originaria,non nel positivo atteggiamento di attenzione alla realtà empirica e alla ricerca storica. Lo storicismo, pur con il suorichiamo alla storicità oggettiva, grazie alle insufficienze strutturali del suo metodo, si permea di una pseudo-scienti-ficità la quale, in ultima analisi, fa il contrario di ciò che si prefigge, mistifica, cioè, la realtà e il marxismo stesso. Te -nendo conto di questa situazione va letta, in Luporini, la compresenza di comuni atteggiamenti e di radicali diver -genze teoriche nei riguardi, ad esempio, di Badaloni. Sull’altra sponda del dibattito, Della Volpe si accorge delle con -naturate insufficienze dello storicismo, ma cerca di contrastarle all’interno del suo impianto filosofico, indirizzatoessenzialmente all’abbandono della dialettica. Così il marxismo diviene sì una teoria scientifica generale non richiusa

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nel relativismo storico, ma sotto le spoglie “ridotte” di una metodologia e di una sociologia teorica. Luporini nonpuò accettare questa soluzione, ed è qui che è rintracciabile il fulcro della sua polemica antidellavolpiana; perché an-che Luporini riconosce le profonde storture dello storicismo, ma non le crede emendabili attraverso una operazionedi fatto riduzionistica del significato e del valore del pensiero di Marx. Per Luporini anche Della Volpe ha una con-cezione non sufficientemente ricca e, per questo, in punti essenziali, errata dal marxismo. Storicismo marxista e del -lavolpismo sono due posizioni opposte, ma, secondo Luporini, sono anche in profonda solidarietà, proprio nellascorretta interpretazione di Marx. Ricompare qui l’esigenza luporiniana del lavoro “dentro Marx” e il significatonon puramente filologico della sua accurata attenzione filologica. Il suo secondo intervento né è una prova perché,proprio qui, come abbiamo visto, attraverso una attenta valutazione del testo marxiano, egli cerca una strada alterna-tiva (il metodo di Marx come cammino dall’astratto all’astratto), che svilupperà molto più approfonditamente echiaramente, di lì a poco, in scritti di ben maggiore importanza teorica.

Note

1. Tutti gli interventi del dibattito sono raccolti, a cura di Franco Cassano, in: Marxismo e filosofia in Italia. (1958-1971), DeDonato, Bari, 1973. Le nostre citazioni sono tratte da questo testo, per cui accanto all’autore e al titolo dell’interventocomparirà il numero di pagina relativo ad esso, e non al testo originale comparso su Rinascita. In seguito l’opera a curadi F. Cassano sarà indicata con la sigla MF.

2. F. Cassano, Premessa, in MF, pag.7.3. Questo tema, che è un tema classico del dibattito marxista, assume in Italia un peso particolare soprattutto in relazio-

ne allo sviluppo ineguale tra nord e sud avvenuto nel nostro paese. A questo proposito nel dibattito che analizziamosono grosso modo presenti due posizioni generali distinte, anche se sarebbe riduttivo leggere gli articolati schieramen-ti presenti soltanto alla luce di tale situazione. Una prima posizione, che è riconducibile all’impostazione teorica “uffi -ciale” dello storicismo marxista (Gruppi e Badaloni), sottolinea l’organica incapacità del capitalismo italiano di elimi -nare gli squilibri storici che lo caratterizzano, e da qui pone l’accento sulla specificità del carattere nazionale sia dellosviluppo del capitale che della lotta contro di esso. È evidente come in questo contesto sia presente una coincidenzapressoché totale con le linee teoriche e politiche del Pci. Una seconda posizione, sostenuta senz’altro da Della Volpe edella sua scuola, si mostra invece convinta della necessità di dover rispondere alla nuova fase di sviluppo delle forzeproduttive abbandonando il terreno di lotta, privilegiato dalla prima posizione, centrato sul problema dell’arretratezzae del suo recupero, in quanto destinato ad essere soppresso dalla iniziativa politica dei settori più avanzati delle stesseclassi dominanti. Questa seconda posizione rifiuta di rinchiudersi nella “specificità nazionale” e sostiene invece il ca -rattere comune e globale del capitalismo avanzato, compreso in questo anche quello italiano pur con le sue differenzeparticolari. È indicativo, a proposito, il fatto che in quegli anni le nascenti nuove correnti teoriche e politiche e il cosid -detto “operaismo” – assai critiche verso lo “storicismo marxista” e il Pci, trovassero nel pensiero di Della Volpe piùche una ispirazione. Comunque in questo dibattito del ’62 entrambe le posizioni presenti non tematizzano direttamen-te questo problema centrale, il quale indirizza si le posizioni e le polemiche, ma rimane sullo sfondo, in qualche mododisatteso.

4. N. Badaloni, Marxismo come storicismo, Feltrinelli, Milano, 1962, pagg.205-206.5. C. Luporini, “Punti per una discussione tra filosofi marxisti in Italia”, in MF, pagg. 159-163.6. Ivi, pag. 160.7. Ivi, pag. 161.8. L’espressione è parafrasata da Marx; quella originale dice: “Le categorie esprimono forme d’esistenza, determinazione

dell’esistenza” (K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1967, pag. 31).9. C. Luporini, art. cit., pag. 161.10. Ivi, pag. 162.11. L. Colletti, “Il rapporto Hegel-Marx”, in MF, pagg. 164-170, e M. Figurelli, E. Mercuri, C. Petrucccioli, “Un contribu -

to di studenti dell’Università di Roma”, in MF, pagg. 171-177.12. L. Colletti, art. cit., pag. 167.13. Ibidem.14. G. Della Volpe, Rousseau e Marx, Editori Riuniti, Roma, 1974, pag. 150, (sottolineature mie).15. M. Figurelli, E. Mercuri, C. Petruccioli, art. cit., pag. 175.16. N. Badaloni, “La realtà oggettiva della contraddizione”, in MF, pagg. 178-181, e L. Gruppi, “Contro l’impoverimento

della dialettica marxista”, in MF, pagg. 192-196.17. N. Badaloni, art. cit., pag. 180.18. Ibidem.19. Ivi, pagg. 180-181.20. L. Gruppi, art. cit., pag. 195.21. Ibidem.22. Ivi, pagg. 195-196.23. M. Rossi, “Teoria e prassi”, in MF, pagg. 197-209.24. Ivi, pag. 202.25. C. Luporini, Marxismo, neopositivismo e altre cose, in “Il contemporaneo”, II, n° 10, 1959, pag. 5. Questo articolo di Lupo-

rini si inserisce in un ampio dibattito, avvenuto nel 1959 sul “contemporaneo” in merito al libro di G. Preti Praxis edempirismo. Questo importante dibattito è stato riassunto schematicamente e magistralmente da M. Cingoli nel suo Mar-

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xismo, empirismo, materialismo, Marcos y Marcos, Milano, 1986 (in particolare il capitolo II, pagg. 55-123).26. M. Rossi, art. cit., pag. 203.27. Ibidem.28. G. Della Volpe, Sulla dialettica, in MF, pagg. 210-225.29. K. Marx, Op. cit., pag. 7.30. G. Della Volpe, art. cit., pagg. 211-212.31. Ivi, pag. 213.32. Ivi, pagg. 217-218.33. Ivi, pag. 222.34. C. Luporini, “Il circolo concreto-astratto-concreto”, in MF, pagg. 226-239.35. K. Marx, Op. cit., pag. 7 (sottolineatura mia).36. C. Luporini, art. cit., pagg. 228-229.37. Ivi, pag. 229.38. Ivi, pag. 230.39. Ibidem.40. Ivi, pag. 231.41. Ivi, pag. 232.42. Ivi, pag. 233.43. Ivi, pagg. 233-234.44. Ivi, pag. 234.45. Ibidem.46. Ivi, pagg. 234-235.47. Ivi, pag. 237.48. Ivi, pag. 238.49. F. Cassano, “Premessa”, in MF, pagg. 15-16.

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PARTE TERZADalla critica dello storicismo all’analisi delle forme (1965-1980)

Capitolo 1Realtà e storicità

Fino alla metà degli anni ’60 la ricerca marxista di Luporini ha imboccato principalmente due strade pressoché pa -rallele, anche se non contrapposte. Da una parte, con al centro il saggio del 1960 Verità e libertà, il lavoro di Luporinisi è concentrato intorno al tema del materialismo in senso marxista, dall’altra, con gli scritti successivi, ha affrontatoil tema della dialettica. Questi due piani hanno in comune un atteggiamento critico antistoricistico: contro lo storici -smo in merito al materialismo di Marx, contro lo storicismo in merito alla dialettica e al rapporto tra Marx ed Hegel.Il saggio Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo, del 1966, che sarà riferimento centrale, anche se non esclusi-vo, dell’analisi compiuta in questo capitolo, rappresenta il primo scritto importante dove questa critica allo storici-smo si trasforma in un approccio interpretativo positivo ed originale, di taglio sistematico ed unitario. Qui le ragionidell’antistoricismo di Luporini si collocano dentro un piano interpretativo del pensiero di Marx di tipo strutturale,legato all’analisi delle forme scientifiche di sviluppo della realtà sociale: per questo Luporini parla di un passaggio“dallo storicismo alla riscoperta delle forme”1. Marx ha elaborato, nel Capitale, un modello astratto, e per questo scientifico, per l’analisi del modo di produzionecapitalistico, della sua genesi e del suo sviluppo, anche se determinato empiricamente e storicamente. Il materialestorico-empirico è dunque da considerarsi una variabile entro limiti dati, non la “sostanza” unica del modello.L’attenzione quindi non viene posta esclusivamente sul “corso della storia” e sulla sua “legalità interna” (inevitabil-mente teleologica), ma sulle strutture morfologiche, varianti e non, secondo leggi, del processo di costituzione dellarealtà sociale. In questo approccio “strutturalistico” Luporini è influenzato dallo studio, avvenuto tra il ’64 e il ’65,della moderna linguistica strutturale, e, soprattutto, dalla posizione filosofica di Luis Althusser, con la quale ha unrapporto dialettico: concordanza sostanziale sui suoi assunti basilari, considerati ineludibili per una nuova ricercamarxista; divergenza su alcune conclusioni, prima fra tutte quella relativa al problema dell’uomo e dell’umanesimo inMarx (come vedremo meglio in seguito).

Luporini ed AlthusserSecondo Althusser Marx compie, con il suo lavoro, una rivoluzione scientifica: quella che fornisce gli strumenticoncettuali per effettuare una distinzione (scientifica) tra scienza ed ideologia, in merito all’analisi della realtà sociale.E compie questa rivoluzione proprio partendo da una radicale critica dell’ideologia (nell’Ideologia tedesca), che rappre-senta una sostanziale “rottura epistemologica” col percorso precedente (l’antropologia filosofica imperante nei testigiovanili di Marx) e l’inaugurazione di una nuova “Teoria” scientifica, quella del materialismo storico, che permettela costituzione del lavoro più importante di Marx: la critica dell’economia politica. La distinzione implacabile trascienza ed ideologia non significa, però, per Althusser, l’identificazione tout court della filosofia con l’ideologia; non ècorretto, cioè, sancire, utilizzando Marx, la “morte della filosofia”. A giudizio di Althusser Marx costituisce unanuova filosofia (che il filosofo francese chiama, con la maiuscola, “Teoria”); una filosofia scientifica, il cui caratteredi irriducibilità è dimostrato dal suo atto di nascita: la “rottura epistemologica” stessa, di cui si diceva. Tutto il lavo-ro di Althusser, dal Per Marx fino ai saggi raccolti in Leggere il Capitale, è teso alla definizione di questa specificità irri-ducibile della teoria marxista; specificità che si rivolta contro ogni interpretazione che fa del pensiero di Marx unavariante, se pur critica, di altre concezioni: sia che si trasformi la teoria di Marx in un economicismo deterministicoe in una ingenua ontologia cosmologico-naturalistica (come il Diamat sovietico), sia che si introducano in essa i pre -vicaci “miti ideologici” della tradizione occidentale, primo fra tutti quello della coppia opposizionale soggetto-oggetto. Quindi il marxismo è, in negativo e innanzitutto, un antideterminismo e un antisoggettivismo. Per questo esso nonè riducibile a nessun storicismo e, in particolare per Althusser, a nessun umanesimo (allo storicismo necessariamen -te connesso)2. L’impostazione fondamentale di Althusser, che è sempre di ricerca e mai conclusiva (il suo è un workin progress) trova in sintonia Luporini (che già in precedenza, come abbiamo visto, aveva espresso posizioni simili),soprattutto nell’esigenza, ivi esposta, della necessità “del ritorno consapevole e voluto a uno sforzo di strenua og -gettività concettuale, di contro all’illusione di un lavoro filosofico in presa diretta sul vissuto, sul coscienziale,sull’esistenziale, ecc.”3. L’accordo di Luporini è però presente su un punto più generale (e preliminare): quello relati -vo alla ricerca e alla preservazione dell’autonomia filosofica di Marx: qual è, in positivo, la “filosofia” di Marx? Chesenso ha, nel profondo (ontologicamente), la sua rottura epistemologica? A domande così radicali Luporini nonpuò che rispondere partendo dall’analisi di nozioni altrettanto fondamentali, quelle di “realtà” e di “storicità”.

Il concetto di realtà e il fondamento materialistico del marxismoNei testi di Marx di “realtà” (Wirklichkeit) e di “reale” (wirklich) si parla ovunque, ma queste nozioni non sono preseesplicitamente a soggetto tematico. Secondo Luporini siamo noi a doverne specificare il senso e, in questo compito,

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risiede la possibilità di una interpretazione corretta del marxismo. Nel marxismo la nozione di “realtà” è connessanecessariamente con quella di materialismo. È a questo livello, quindi, che va rintracciato il punto d’avvio del discor-so. A fondamento di quest’ultimo Luporini introduce una considerazione metodologica generale di grande impor-tanza, tale da dare, da subito, un taglio specifico a tutta la trattazione successiva; scrive: “al marxismo è estranea ori -ginariamente, soprattutto per quanto concerne Marx, una problematica gnoseologica…Originario nel marxismonon è il problema della conoscenza, bensì quello della scienza”4. L’insufficienza del solo punto di vista logico-gnoseologico per interpretare il pensiero di Marx era già stato afferma-to da Luporini in Verità e libertà. Qui al piano gnoseologico era stato contrapposto un piano di verità più profondo,quello ontologico, “la capacità di riferirsi all’essere delle cose”, caratterizzato però materialisticamente come “pianogenerico e largamente storico (storico-biologico)”. Ora Luporini riconferma la contrapposizione tra gnoseologia eontologia e identifica il marxismo, come possibile interpretazione scientifica della realtà dell’essere sociale, con lacostituzione materialistica di quest’ultima. Questo “punto di vista” generale (che in questo saggio Luporini andrà apuntualizzare concretamente “dentro Marx”) permette inizialmente di “evitare il doppio pericolo di una decifrazio-ne della nozione di ‘realtà’…in chiave hegeliana, oppure in chiave feuerbachiana. Dall’analisi risulterà che anche unainterpretazione naturalistica (o, in particolare, sensualistica), positivistica (o, in particolare, empiristica), ingenuamen-te realistica, o anche immediatamente storicistica (in uno qualsiasi dei significati correnti di questa parola), sarebbefondamentalmente sbagliata”5. Se il marxismo, che si pretende atteggiamento scientifico verso la realtà, pone allasua base una ontologia materialistica, allora è proprio il materialismo a dover diventare primo argomento di discus-sione.

Una divergenza sostanziale tra Marx ed EngelsLuporini inizia producendo una difficoltà. Scrive Engels nel 1886: “La rottura con la filosofia hegeliana siprodusse…attraverso il ritorno alla concezione materialistica. Ciò vuol dire che ci si decise a concepire il mondoreale (die wirkliche Welt) – natura e storia – nel modo come esso si presenta e chiunque vi si accosti senza ubbie idea-listiche preconcette (vorgefasste idealistiche Schrullen), ci si decise a sacrificare senza pietà ogni ubbia idealistica che nonsi potesse conciliare con i fatti (Tatsachen) concepiti nel loro proprio nesso (in ihrem eignen Zusammenhang) e non in unnesso fantastico. E il materialismo non vuol dire altro che questo”6. Queste parole di Engels sono riferite alle posizioni sue e di Marx nel 1845, quando lavoravano alla Ideologia tedesca, esignificano sinteticamente che il mondo reale nel suo complesso (natura e storia) liberato (mediante la critica dellaideologia e della speculazione idealistica) da ogni “ubbia idealistica” si dà ad ognuno così com’è, nel “proprionesso”. Questa posizione, che sembra valere ancora per l’Engels del 1886, era sicuramente valida anche per il Marx del1845. Ma, si chiede Luporini, “è ancora valida per il Marx maturo, per il Marx che ha dato esecuzione alla sua gran -de impresa, al Capitale?”7. Ciò che Luporini vuole mettere in discussione non è la corretta pretesa e possibilità scien-tifica della messa in evidenza dei fatti nel loro proprio nesso (premessa necessaria, questa, di ogni materialismo), mache ciò possa concretamente avvenire solamente con un’opera di svelamento ideologico, liberandosi, cioè, da “ognidubbia idealistica”.

Le categorie di “genetico-formale” e di “genetico-storico”A questa domanda che è, in parte, retorica, perché porta con sé una evidente risposta negativa, Luporini comincia arispondere ponendo un’altra domanda più specifica: che cos’è il Capitale di Marx? Luporini scrive: “esso è la costruzione di un modello scientifico astratto o ideale: il modello scientifico del modo diproduzione borghese (capitalistico). Questa costruzione avviene attraverso un certo sviluppo (dialettico) di ‘forme’,che si presenta regolato da leggi interne al sistema (leggi di tendenza, di sviluppo, ecc.) e dal loro cooperare, conver -gere o anche possibile contrastare: onde appunto la dialetticità consistente nel modificarsi, o anche arrovesciarsi, disituazioni precedentemente accertate”8. E in altra sede Luporini puntualizza: “la costruzione del modello teorico (Il Capitale) ha epistemologicamente, unanatura formale-sistematica che si alimenta di dati storici. Il Capitale non è un’indagine storica, né tanto meno, quantoal metodo, storicistica. Esso ha come campo di riferimento ‘l’attuale società’ e come punto di partenza una forma-zione sociale pura (il ‘sistema dell’economia mercantile’) che in tale purezza non è mai esistita nella realtà storica. Ilmateriale storico-empirico è sì indispensabile alla costruzione di quel modello, ma la sua presenza è la presenza,sempre, di una variabile entro limiti determinati. Ecco perché il metodo del Capitale non è affatto un metodo storici-stico. Esso è, piuttosto, un metodo strutturalistico, in coerenza col canone del materialismo storico”9. Come è noto, a partire da Engels, il Capitale di Marx è stato letto, dal punto di vista contenutistico e metodologico,come costituito da parti sistematiche (o logiche) e da parti storiche; ma secondo Luporini, da ciò non consegue lapossibilità di “leggere” ed “esporre” la materia del Capitale secondo due modi, indifferentemente buoni: quello “lo-gico” e quello “storico”, come appunto riteneva Engels10: “sarebbe un grosso errore concepire quella alternanzacome un più o meno occasionale ricorrere, secondo opportunità didascaliche ed espositive, ad analisi e a narrazionidiacroniche”11. In alternativa a ciò, se si vuole adottare, in prima istanza, la coppia epistemologica sincronia/diacronia, divenuta ef -ficace specialmente nella linguistica, “si deve dire che il Capitale è tutto sincronico; ma che la costruzione formale

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che esso costituisce (costruzione dialettico-sistematica, o, se si vuole, genetico-sistematica: nel senso della deduzionegenetica delle forme stesse) non è possibile – cioè non è possibile il passaggio dalle forme più semplici alle più com-plesse – se non via via includendo, in certi punti determinati e necessari, tranche storiche, che meglio che ‘diacroni-che’ si dovrebbero dire ‘genetiche’ (per la funzione a cui adempiono), nel senso proprio o storico della parola”12. Al posto della imprecisa coppia sincronico/diacronico, Luporini introduce dunque una coppia epistemologica di-versa: quella che si estende tra il genetico-formale (costruzione dialettico-sistematica o genetico-sistematica), nelsenso della deduzione delle forme dalla più semplice alla più complessa, e lo storico-genetico, nel senso della spe-cificazione storico-empirica di quello sviluppo formale. Entrambi i termini della coppia sono essenziali alla intelleggibilità del Capitale, benché, come vedremo, il secondo èsubordinato al primo. È interessante notare che Luporini utilizza la categoria di genetico in entrambi i poli dellacoppia, nonostante ci avverta, in una nota, del diverso significato che questa categoria assume in corrispondenzadella sua posizione. Ma perché utilizzare la stessa categoria per indicare opzioni differenti, benché correlate? Credoche la risposta stia in ciò a cui abbiamo accennato all’inizio: se il marxismo, interpretato correttamente, è fondato suun’ontologia materialistica, il riferimento allo sviluppo e al dinamismo dei processi reali dev’essere costante e divie -ne di importanza centrale; è essenziale, cioè, il nesso con la genericità di tali processi, sia “astrattamente” in sensoformale-sistematico, che “concretamente” in senso storico-empirico.

Il concetto di formazione economico-socialeQuesto percorso interpretativo Luporini lo compie in continuo parallelo con l’esempio della linguistica (anche la lin-gua funziona sincronicamente e si costituisce diacronicamente, come sostiene Roman Jakobson), ma ciò che distin-gue l’analisi marxista dell’accadere economico dall’analisi scientifica dell’accadere linguistico, è che nel primo caso èstato possibile produrre una nozione che rende conto della continuità storica: la nozione di formazione economico-sociale. Secondo Luporini i tratti comuni di ogni possibile modello di formazione economico-sociale sono tre. In primoluogo il modello (come in generale ogni modello scientifico) “ha una funzione interpretativa rispetto all’accadereconcreto dell’ambito a cui esso si riferisce e che delimita. Nella fattispecie questa funzione interpretativa permette dirilevare obiettive tendenze di sviluppo e compiere previsioni in tal senso. Si tratta di quel tipo di previsione, relativoai caratteri propri del campo economico e delle sue leggi, che consente di inserire l’azione concreta: di una forza po-litica o di un gruppo sociale cosciente”13. Un buon esempio di applicazione di tale modello lo troviamo, a parere diLuporini, nell’opera di Lenin, Lo sviluppo del capitalismo in Russia. Processo di formazione del mercato interno , del 1898 (e an-che, in parte, nell’opera di Kautsky, Die Agrarfrage). Ciò che in questo contesto vi è di importante è che, in primoluogo, la generalità (o se vogliamo, l’astrattezza) del modello non viene pregiudicata nella sua applicazione particola -re (la Russia zarista) e che, anzi, quest’ultima è compresa nella sua profondità proprio perché, attraverso il modellointerpretativo, è messa in relazione funzionale con un piano esplicativo più generale ed esaustivo. In secondo luogo,dal punto di vista politico, l’esempio leniniano “mostra…quale errore sia da ritenersi, in una organizzazione politicarivoluzionaria di classe, qualsiasi contrapposizione di economia e politica, più o meno esplicita, ma che in qualchemodo tenda nella pratica a sostituire con l’esclusivo o quasi esclusivo predominio di uno dei due momenti, la loronecessaria complementarietà, la quale esiste secondo un verso obbligato, e cioè a partire dalla ricerca delle obiettivetendenze economiche di sviluppo del campo in cui si deve agire”14. Ciò significa che la ricaduta politica del modello,correttamente inteso, media “scientificamente” l’atteggiamento politico stesso, impedendone il declino sia versol’economicismo che verso il volontarismo. Infatti, non a caso, la battaglia contro questa possibile doppia deforma-zione resta un grande merito di Lenin.Altra caratteristica essenziale di ogni modello di formazione economico-sociale, in senso marxista, “è la sua capacitàstoriograficamente periodizzante. Non nel senso, naturalmente, che il modello contenga in se stesso una qualsiasicronologia (o qualsiasi calendario). Bensì nel senso che, riportato alla analisi storica concreta, esso consente di stabi -lire periodi o epoche corrispondenti”15. Qui vi è una prima importante revisione rispetto a ciò che Luporini avevasostenuto in precedenza nei suoi primi scritti (in particolare in Marxismo e sociologia del 1954). L’elemento di conti-nuità, sulla cui base è possibile effettuare la periodizzazione, non è più connesso all’esistenza a priori di un conti-nuum storico, m alla determinatezza, rilevabile empiricamente, dei collegamenti oggettivi. Scompare qui, infatti, illegame tra questo contesto di problemi e il tema storicistico del progresso. In ciò che si è affermato, continua Lupo -rini, “non vi è nulla di aprioristico o platonizzante, poiché gli elementi di cui è costituito il modello sono essi stessidesunti dall’esperienza”16.Ultima caratteristica è che “il modello si costituisce nella opposizione fra le leggi generali della produzione (validecioè per ogni forma storica) e le leggi speciali – integranti o modificanti le precedenti – che definiscono la formazio-ne economico-sociale”17. A questo punto Luporini, però, non si accontenta di aver determinato queste tre impor-tanti caratteristiche; esse non ci illuminano su cosa stia alla loro base: “qual è la condizione della loro possibilità,teoreticamente determinabile? Che cos’è che ci garantisce della non-arbitrarietà delle corrispondenti costruzioni?”18.La risposta che a queste domande dà l’indirizzo marxista in economia politica (ad esempio Oscar Lange), e cioè il ri -ferimento al cosiddetto carattere storico del procedere marxiano, non basta a giudizio di Luporini, poiché “la stessastoricità ha bisogno di venir fondata nella sua oggettività (oltre che nella sua specificità di campo)” 19. Anche Leninaveva cercato risposte a queste domande quando, nel 1894, in Che cosa sono gli amici del popolo?, aveva cercato di strin-

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gere il discorso intorno alle caratteristiche del “criterio oggettivo” introdotto da Marx. Egli ne aveva individuato dueaspetti essenziali: in primo luogo lo stesso canone del materialismo storico, la separazione tra i rapporti di produzio-ne come struttura della società e gli altri rapporti sociali, e, in secondo luogo, a partire da questo punto, la possibilitàdi applicare a tale canone il criterio scientifico alla reiterabilità: criterio che permette di illuminare le regolaritàdell’analisi dei rapporti sociali materiali consentendo così la produzione della nozione scientifica di formazione eco-nomico-sociale e l’analisi della sua evoluzione empirica come, dice Marx, “processo storico-naturale” 20. L’interpreta-zione di Lenin, pur restando assolutamente superiore alla vaga impostazione di stampo storicistico, non risulta, se-condo Luporini, comunque sufficiente; e questo perché lo “stesso riferimento di Lenin all’isolamento operato daMarx dei ‘rapporti di produzione quale struttura della società’ è sì, evidentemente, giusto; tuttavia è un riferimento aqualcosa di troppo ‘largo’, per poter stringere dappresso il criterio oggettivo che ci interessa”21.

La legge generale delle formazioni economico-socialiOra, a giudizio di Luporini, la risposta all’“insufficienza” di Lenin la si trova direttamente in Marx; si tratta solo diporla in relazione alla serie di problemi qui individuati. Scrive Marx nell’Introduzione del 1857 ai Lineamenti fondamenta-li di critica dell’economia politica, nel paragrafo “Il metodo dell’economia politica”: “In tutte le forme di società è unaproduzione determinata che assegna rango ed influenza a tutte le altre, come del resto anche i suoi rapporti assegna-no rango ed influenza a tutti gli altri. È una luce generale in cui sono immersi tutti gli altri colori e che li modificanella loro particolarità”22. Questa enunciazione di Marx, che, secondo Luporini, è da considerarsi la legge generaledelle formazioni economico-sociali, “quella che ne consente la loro oggettiva (non arbitraria) costituzione in modellideterminati”23, fa esattamente comprendere perché e in che senso i rapporti di produzione vengono chiamati “strut-tura economica” della società, che “non è affatto nel marxismo un concetto generico o una metafora, bensì una pre-cisa nozione appunto strutturalistica”24, e perché questa struttura deve essere considerata dotata di un carattere on-tologico dominante. Questo momento dominante o soverchiante (ubergreifendes Moment), che Marx individua, è de-sunto dall’esperienza, è una determinazione o criterio oggettivo, non un “punto di vista” gnoseologico che si puòscegliere a piacere. Commenta in proposito Luporini: “Quale sia infatti, in ogni determinata fase storica della produ-zione, la categoria dominante non è una scelta che il ricercatore possa compiere ad arbitrio; egli deve soltanto sco-prirla attraverso la concreta indagine empirica. Indubbiamente si tratta di una indagine su materiali storici, ma nonpiù ‘storici’ di quelli che si presentano, ad esempio, al fisico (nonché al linguista, ecc.). Storico è, qui, semplicementeuguale ad empirico. Questa conclusione non ha proprio nulla di traumatizzante, se non per i generici storicismi, del -le cui confusioni, è proprio giunta l’ora, anche nel marxismo, di sgomberare i nostri cervelli”25. In questo modo non è esclusa definitivamente la complessità della nozione di storia; ci si incammina invece versouna sua corretta definizione: è nel binomio marxiano “storico-naturale” dove “è racchiuso il punto di partenza (masoltanto questo) per la ricerca dei caratteri differenziali di una storicità specifica (quella relativa all’accadere econo-mico). Tale strada è oggi l’unica metodologia che sembra aprirsi per una determinazione non verbalistica e non re-torica (cioè non semplicemente connessa alla logica della persuasione, invece che a una logica scientifica) della no-zione ‘storia’, almeno relativamente al mondo umano”26. Il “criterio oggettivo”, introdotto da Marx, permette di contrastare ogni relativismo storico e, con esso, ogni “filoso-fia della storia”; permette di guidare, in maniera scientifica, la scelta del materiale storico, nella sua essenzialità omeno. Scrive Luporini, infatti: “non basta contrapporre essenziale e inessenziale nella scelta dei caratteri empirici(storici) da includere nei modelli teorici, se non si sa quale sia il criterio per la determinazione del cosiddetto essen-ziale”27.

Il modello teorico del Capitale di MarxAlla luce di queste premesse Luporini ritorna all’analisi del Capitale. Benché esso, come modello scientifico, sia daconsiderarsi tutto sincronico (si occupa infatti dell’“attuale società”), d’altra parte esso non è costruibile se non at -traverso inclusioni genetiche, in senso storico. Lo storico-genetico è quindi componente essenziale alla costruibilitàdel modello. Ciò ci è fatto comprendere dalla legge generale delle formazioni economico-sociali, la quale, però, cimostra anche che “il carattere appunto dominante (cioè organizzante sistematicamente) che una determinata produ-zione sempre assume ci fa comprendere la costruibilità del modello, e quindi la posizione subordinata che spetta almomento storico-genetico rispetto a quello genetico-formale, ovvero sistematico28. Lo storico-genetico è quindi insieme essenziale e subordinato al genetico-formale; permette a quest’ultimo il massi -mo di autonomia scientifica e di flessibile applicazione, a condizione però che lo si consideri correttamente come la“presenza di una componente…che dal punto di vista strettamente sistematico va intesa come presenza di una va -riabile (o insieme di variabili) entro limiti dati”29. Scrive Luporini: “Il Capitale di Marx è un modello scientifico inter-pretativo dell’ordinamento economico borghese, o capitalistico, e nello stesso tempo – necessariamente – una illu-strazione della sua genesi storica (secondo leggi). Ciò non sarebbe possibile se la componente genetico-storica nonsolo non mantenesse la sua presenza autonoma pur entro la forma sistematica, ma se essa non si riflettessesull’insieme e sul risultato (condizionando appunto la costruzione sistematica). Nell’esecuzione dell’opera ciò com-porta che, almeno indirettamente, il Capitale contiene anche il modello interpretativo della formazione economico-sociale precedente, quella feudale; in base ai materiali effettivamente studiati da Marx. Questa è la maniera in cui lavariabile si determina. Sotto tale angolatura il Capitale di Marx contiene anche la descrizione delle transazioni tipiche

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(forme e leggi) in cui in una determinata società (o complesso più o meno intercomunicante di società, quelle occi -dentali) si è passati dal modo di produzione feudale a quello borghese”30.L’essenzialità del genetico-storico e la sua relazione sistematica di subordinazione con il genetico formale assegna alCapitale le sue due caratteristiche scientifiche più importanti: “l’universalità” e la “flessibilità” di applicazione”31. Laposizione engelsiana di sostanziale eguaglianza teoretica tra “modo logico” e “modo storico” di leggere il Capitalenon permette questa chiarificazione, esclude il genetico-storico come variabile, ed anzi si presta assai facilmente aduna dogmatizzazione, cosa che infatti è avvenuta in senso meccanicistico ed evoluzionistico. Luporini ne ricordadue aspetti centrali. In primo luogo, durante il periodo staliniano, si è prodotta la tendenza ad imporre lo schemadella storia occidentale (ad esempio il modo di produzione feudale) alla storia dei popoli orientali, espugnando dallavisione marxista il modo di produzione detto da Marx “asiatico”; e, in secondo luogo, si è prodotta l’idea, del tuttomeccanicistica, che tutti i popoli, soprattutto quelli cosiddetti sottosviluppati, dovessero percorrere le stesse tappe disviluppo dei popoli occidentali (si è pensato quindi il capitalismo in una forma storica “unica”). Questo tipo di dogmatizzazione, di stampo evoluzionistico, è un esempio sostanziale della scorrettezza derivantedall’identificazione tra il modello teorico presente nel Capitale e la sua genesi storica effettiva. È lo stesso Marx adarci un chiaro esempio della sua consapevolezza di questo grave errore quando, in una lettera del 1877, risponden -do ad un redattore della rivista russa Otecesstvennye Zapisky, scrive: “Egli sente l’irresistibile bisogno di metamorfosareil mio schizzo della genesi del capitalismo nell’Europa occidentale in una teoria storico-filosofica della marcia gene-rale fatalmente imposta a tutti i popoli, in qualunque situazione storica essi si trovino, per giungere infine alla formaeconomica che, con la maggiore somma di potere produttivo del lavoro sociale, assicura il più integrale sviluppodell’uomo. Ma io gli chiedo scusa: è farmi insieme troppo onore e troppo torto”32. In contrapposizione all’errata impostazione evoluzionistica, presente nella lettura del Capitale fatta dal redattore rus-so, che esclude la genesi storica come variabile determinata appunto storicamente, la posizione marxiana indica “lapiena disponibilità teorica del modello, anche in direzioni diverse da quella dell’effettiva esperienza storica su cuiesso è stato originariamente costruito”. Cioè, attraverso il modello, si può comprendere “come il sistema capitalisti -co possa venir trasportato, inserito e magari imposto e quindi fatto svolgere in società di esperienza storica (econo-mico-sociale) del tutto diversa da quella delle società occidentali”33. La lotta contro la deformazione evoluzionisticanon deve comunque portarci a negare che in Marx esiste una idea di sviluppo, di relazione e di passaggio tra le di -verse formazioni economico-sociali; c’è in Marx, in un certo senso, una idea di evoluzione, che però va chiarita mol-to attentamente. Scrive Marx: “La società borghese è l’organizzazione storica più sviluppata e differenziata dellaproduzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti, la comprensione della sua struttura, permettono quindi inpari tempo di comprendere l’articolazione e i rapporti di produzione di tutte le forme di società scomparse, sulle cuirovine e con i cui elementi essa si è costruita…L’anatomia dell’uomo fornisce una chiave per l’anatomia della scim-mia. Gli accenni a momenti superiori nelle specie animali inferiori possono invece esser compresi solo se la formasuperiore stessa è già nota. L’economia borghese fornisce quindi la chiave di quella antica ecc. In nessun caso peròprocedendo come fanno gli economisti, i quali cancellano ogni differenza storica e in tutte le forme di società vedo-no sempre quella borghese”34. Nonostante le apparenze questo passo di Marx non va interpretato in senso evoluzionistico, magari sotto la sugge-stione del rapporto tra Marx e il darwinismo, che è pure avvenuto; l’analogia ivi presente con il rapporto anatomicouomo-scimmia non deve essere compresa, per quanto riguarda le formazioni sociali, in quel senso. Questo è dimo -strato dalle stesse parole di Marx, che, poco oltre, non senza ironia, aggiunge: “La cosiddetta evoluzione storica sifonda generalmente sul fatto che l’ultima forma considerata pensa quelle trascorse come gradini che portano adessa…”35. In proposito commenta acutamente Luporini: “Non è dunque il nesso evolutivo fra le diverse formazioni socialiche viene sottolineato da Marx, ma il fatto che muovendo dalla più complessa si comprendono le più semplici. Na-turalmente per Marx esiste un ‘processo di sviluppo storico’ della produzione che ha attraversato ‘diverse fasi’: cioèle diverse ‘epoche storiche’ della produzione a cui corrispondono le diverse formazioni sociali. Ma la ricostruzionedi questo processo appare nella sua concezione (se non le si sovrappongono immagini allotrie, sia pur sorte in senoal marxismo, posteriormente) possibile solo a posteriori. Il processo stesso infatti non appare dotato di alcuna ne-cessità aprioristica o analitica (altrimenti sarebbe un processo in qualche modo finalistico)…Il processo storicod’insieme e l’ordine successivo delle formazioni economico-sociali non possono venire infatti dedotti dalle leggi ge-nerali della produzione, che non sono da tanto; e le leggi specifiche delle particolari formazioni sociali si riferisconosoltanto alle stesse: alla loro genesi e sviluppo. Non che il passaggio dall’uno all’altra sia lasciato da Marx alla puraaccidentalità…Ma l’accadere concreto economico-sociale è non meramente accidentale soltanto perché realizza cer -te possibilità e non altre: e queste possibilità, a loro volta, prese complessivamente, non sono in numero illimitato.Sono anzi in numero assai limitato, come mostra l’elenco delle categorie economiche che le esprimono, e i gradi disviluppo determinabili delle medesime. Gradi che si evidenziano in rapporto non a un progresso storico totale, maalla varia collocazione che trovano le categorie economiche nelle differenti formazioni sociali” 36. Se questa interpre-tazione è corretta siamo quindi ben lontani dall’alternativa presentata da Engels tra “modo logico” e “modostorico”: “qui – scrive Luporini – al ‘modo logico’ (cioè sistematico) non si presenta proprio nessuna alternativa. Èevidente, all’opposto, che solo l’elaborazione sistematica potrà rendere intelligibili i fatti della storia. Senza di essa, ilcanone del materialismo storico, isolatamente preso, perderebbe quasi completamente la sua efficacia” 37. La defor-

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mazione evoluzionistica e necessitante, di impianto finalistico, relativa a questo punto cruciale del pensiero di Marx,ha anche ragioni politico-ideologiche, risponde all’esigenza di inculcare in grandi masse oppresse la fede incrollabilenell’avvento del comunismo, presentato infatti come esito e Fine necessario e quindi inevitabile. Ma in questo modosi perde “uno degli aspetti più caratteristici…del pensiero di Marx, a cui è connessa la stessa idea della ‘necessità’ delpassaggio dal sistema borghese al socialista. E cioè il senso dello stringersi dei tempi storici, con l’avvento della so -cietà borghese, congiunto a quello dell’allargarsi e unificarsi del teatro d’azione…Ciò che Marx esprimeva, con He -gel e contro Hegel, nel concetto che la storia universale, la Weltgeschichte, è soltanto un risultato, ma un risultato or-mai presente. La ‘necessità’ del passaggio dalla società borghese a quella socialista non ha poi in lui nulla di mistico,ma come ogni necessità scientifica è semplicemente legata a certe ipotesi, e da esse dipende”38. Questa necessità in senso marxiano è stata studiata attentamente dall’ultimo Lukàcs, il quale la fa dipendere dallecondizioni e possibilità reali, che sono intrecciate dialetticamente con le possibili “decisioni alternative” degli uominie con gli “ulteriori risultati” che queste possono creare, indipendentemente dalla coscienza, sull’accadere storico.Lukàcs descrive molto significativamente questa necessità come “necessità” del “se – allora” (Werm-Dam-Notwendig-keit)39. È assai significativo che Lukàcs, come Luporini, colleghi queste riflessioni sulla categoria di necessità con lacritica ad Engels ed alla sua “griglia” di lettura del Capitale; ed è interessante che entrambi colleghino questa criticacon una critica ad Hegel. Per Lukàcs la logicizzazione della storia compiuta da Hegel, e ripresa da Engels, “spogliala storia della sua forma storica”, per Luporini, contro Hegel, la storia universale come risultato non è l’esito di unprocesso logico predeterminato di stampo storicistico, ma, come per Lukàcs, l’effetto di un processo reale: la costi-tuzione del mercato mondiale40. A questo punto, date queste premesse, si può comprendere fino in fondo il nesso che esiste tra ciò che è stato chia-mato genetico-storico e la costruzione sistematica della produzione capitalistica compiuta da Marx. Marx parte dallaformazione economico-sociale data, il modo di produzione capitalistico, ma presa astrattamente come generale si -stema dell’economia mercantile. Il carattere astratto di questa operazione (ma ricordiamo che astratto per Marx nonsignifica assolutamente inessenziale o irreale: non a caso parla di “astrazione concreta”) è dimostrato dal fatto cheMarx non include il “sistema dell’economia mercantile” tra i modi di produzione che designano lo sviluppo dellaformazione economica della società. Scrive Luporini: “è appunto questa iniziale operazione astrattiva a determinarepotenzialmente fin dal primo momento l’universalità e flessibilità del modello. Ed è in funzione di essa che il pas-saggio da una formazione sociale precedente si presenta non come valore necessariamente predeterminato, macome una variabile entro certi limiti. L’applicazione del modello a un qualsiasi concretum storico-sociale è resa, per la-tro, possibile solo dalla presenza di questi limiti, i quali coinvolgono sempre certe condizioni costituitesi storicamen -te, ma non di per sé (per necessità teoretica, cioè logicamente analitica), legate a questa piuttosto che a quell’altraformazione sociale antecedente”41. Nel caso del sistema borghese-capitalistico le condizioni storiche a cui fa riferimento Luporini si riassumono nellapresenza e disponibilità del lavoratore libero, nella definizione che ne dà Marx: “Dunque per trasformare il denaroin capitale il possessore di denaro deve trovare sul mercato delle merci il lavoratore libero; libero nel duplice sensoche disponga della propria forza lavorativa come propria merce, nella sua qualità di libera persona, e che, d’altra par-te, non abbia da vendere altre merci, che sia privo ed esente, libero da tutte le cose necessarie per la realizzazionedella sua forza-lavoro…Una cosa è evidente, però, la natura non produce da una parte possessori di denaro o dimerci e dall’altra puri e semplici possessori della propria forza lavorativa. Questo rapporto non è un rapporto risul -tante della storia naturale e neppure un rapporto sociale che sia comune a tutti i periodi della storia. Esso stesso èevidentemente il risultato d’uno svolgimento storico precedente, il prodotto di molti rivolgimenti economici, del tra-monto di tutta una serie di formazioni più antiche della produzione sociale. Anche le categorie economiche che ab-biamo già considerato, portano le tracce della loro storia. Nell’esistenza del prodotto come merce, sono racchiusedeterminate condizioni storiche. Per divenire merce, il prodotto non dev’essere prodotto come mezzo immediato disussistenza per colui che lo produce. Se avessimo indagato per vedere in quali circostanze tutti, o anche soltanto lamaggior parte dei prodotti, assumono la forma di merce, avremmo trovato che ciò avviene soltanto sulla base di unmodo di produzione assolutamente specifico, cioè dal modo di produzione capitalistico. Ma tale ricerca era estraneaall’analisi della merce. La produzione delle merci e la circolazione delle merci possono aver luogo anche se la massa,di gran lunga preponderante, dei prodotti destinati al fabbisogno del produttore, non si trasforma in merce, e dun -que anche se ci manca ancor molto a che il processo sociale della produzione sia dominato in tutta la sua estensionee in tutta la sua profondità dal valore di scambio. La rappresentazione del prodotto come merce esige una divisionedel lavoro entro la società, tanto sviluppata che la separazione fra valore d’uso e valore di scambio, che nel commer -cio di permuta diretta comincia soltanto, sia già compiuta. Tale grado di sviluppo è però comune a formazioni sociali economiche storicamente diversissime l’una dall’altra” 42.In questa pagina di Marx è espressa chiaramente la necessità della componente storico-genetica per la costruzionedel modello dell’economia capitalistica, ma anche, e insieme, il suo carattere di variabili entro certi limiti, nettamenteindicato dall’ultima frase. Concludendo questa serie di argomentazioni, scrive infatti Luporini: “la presenza di siffat-ta variabile è ciò che rende possibile la costruzione sistematica del modello: il genetico-formale che lo caratterizzadipende dal genetico-storico in quanto variabile. Si tratta di due aspetti di una sintesi (sincronico-genetica, o, piùsemplicemente, sistematico-genetica) fra loro inseparabili, in base alla costituzione del modello in questione. Che al-trimenti andrebbe in pezzi”43.

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La realtà come sensibile/sovrasensibileOra Luporini passa ad analizzare l’argomento proprio del saggio e cioè il rapporto tra l’analisi compiuta da Marx nelCapitale e la nozione di “realtà”, e lo fa iniziando dal punto di partenza dello stesso Marx: la merce. Per questa anali -si Luporini si riferisce, oltre che alla prima sezione del Capitale, all’ultimo lavoro economico di Marx, le Glosse margi-nali al manuale di economia politica di Adolph Wagner 44, in cui si trovano utili elementi di precisazione. In questo lavoroMarx, di principio, definisce la merce in due modi: come la “forma sociale più semplice in cui si presenta il prodottodel lavoro nell’attuale società”, ma anche come un concretum, come il “più semplice concreto economico da analiz -zare”. In proposito Luporini scrive: “La comprensione del Capitale di Marx è in ultima analisi tutta legata all’intelli-genza di questo punto: rendersi conto del perché l’analisi di tale concretum sia fin dall’inizio un’analisi di ‘forme’ che sisviluppano organicamente”45. Il riferimento di Marx alla merce come concreto non va relazionata alla qualità delprodotto del lavoro in quanto valore d’uso o oggetto d’uso (in contrapposizione al valore di scambio, che ne costi -tuirebbe la forma). La merce, scrive Luporini, “ha sì tale ‘doppia esistenza’, ma essa è un concretum per Marx non sol-tanto come valore d’uso, ma proprio in quella complessità che fin da principio possiede in quanto merce” 46. È lostesso Marx ad indicarci questo aspetto quando, nelle stesse Glosse a Wagner, introduce una terza definizione dellamerce come “figura” (espressione di chiara origine hegeliana), come “concreta figura sociale del prodotto del lavo -ro”. In proposito Luporini commenta: “La ‘figura’ si distingue dalla semplice ‘forma’ (non ci sarebbe senzaquest’ultima) in quanto contiene un esplicito riferimento al ‘contenuto’ (Inhalt) della forma stessa. Il contenuto (sitratta, nella fattispecie, del valore) non ha infatti fenomenicamente la medesima determinazione della ‘forma’” 47. Ilrelazionarsi delle caratteristiche di queste tre definizioni lo troviamo in opera nell’andamento iniziale del Capitale,dove Marx analizza la merce “dapprima nella forma nella quale essa appare”, cioè in quella forma fenomenica che èil “valore di scambio”. Nel Capitale troviamo infatti un primo avvio di analisi del “valore di scambio”, che viene inqualche modo sospeso per compiere una determinazione autonoma del “valore”, quale oggettivazione di “lavoro”in quanto “astrattamente umano”; dopodiché si riprende l’analisi della forma fenomenica del valore, cioè del valoredi scambio stesso. Luporini si chiede il motivo di tale situazione iniziale in qualche modo oscillante: “perché siffattoandirivieni? Appunto perché forma e contenuto non coincidono, non sono il medesimo…cioè tra le rispettive de -terminazioni sussiste una ‘hegeliana’ differenza. Che è appunto ciò che tutta l’economia classica non ha colto, con-fondendo ‘valore di scambio’ con ‘valore’. La criticità della situazione iniziale…è racchiusa intermanete in tale diffe-renza. Si tratta infatti di una differenza di enorme importanza perché la forma fenomenica, la Erscheinungsform (‘valo-re di scambio’), non rivela immediatamente il proprio ‘contenuto’, ciò di cui essa è Erscheinung (il ‘valore’), ma tendeinvece a nasconderlo”48. Per questo il compito della critica dell’economia politica è quello di mettere in evidenzaquesto nascondimento mediante, come è noto, il disvelamento del plusvalore. “Ma questo rapporto di nascondi-mento – scrive Luporini – non è per questo abolito nella realtà, finché il modo di produzione rimane lo stesso” 49. Inquesto caso allora la forma fenomenica del valore dà luogo a quello che Luporini chiama una “parvenzainevitabile”50. La parvenza per cui i rapporti tra gli uomini, in quanto legati a cose, appaiono come rapporti tra cose:il tema cioè della reificazione o, più specificamente nel Capitale, dal feticismo delle merci. È interessante notare cheLuporini, solo partendo da una impostazione corretta, supera in merito sia le posizioni del marxismo economicista,sia quelle del cosiddetto “marxismo occidentale” (espresse, in particolar modo, dal giovane Lukàcs, nel 1923, in Sto-ria e coscienza di classe). Contro l’economicismo, che considera la reificazione come un tema laterale, una conseguenza sociale-esistenziale, opeggio come un tema di matrice speculativa, Luporini conferma la sua strutturale importanza per comprendere ilconcetto stesso di realtà in Marx. Il “marxismo occidentale”, invece, considera sì la reificazione una questione cen -trale, ma la identifica con la concretizzazione materialistica del concetto hegeliano di alienazione, che, a sua volta, èidentificato con il processo di oggettivazione. In questo modo si introduce nel marxismo la contrapposizione onto -logica tra soggetto e oggetto e, di conseguenza, il suo superamento, di matrice hegeliana, in un soggetto-oggettoidentico: soggetto assoluto che oltrepassa l’alienazione e con essa, perché ad essa identificata, anche l’oggettivazio-ne; si apre così la strada all’abbandono del fondamento materialistico del marxismo. Contro questa impostazione,criticata già, anche se indirettamente, in Verità e libertà 51, Luporini, come si è visto, riconduce la reificazione alla suadeterminatezza storica e alla specificazione particolare che essa trova nel modo di produzione capitalistico. La reificazione, in quanto situazione storica, è superabile concretamente, ma solo con il superamento di questomodo di produzione, a cui essa è strutturalmente legata. La reificazione non è assolutamente identificabile con il“naturale” comportamento alienativi presente nel lavoro e nella prassi umana, e non è superabile dentro un astrattopercorso logico, se pur dialettico (e qui abbiamo di nuovo una profonda critica alla hegeliana “logicizzazione dellastoria”). La realtà complessa del modo di produzione capitalistico racchiude in se anche una “parvenza inevitabile”:“parvenza” perché nasconde una realtà più “vera”, originaria, l’estorsione del plusvalore; “inevitabile” perché è essastessa realtà e realtà strutturale, cioè necessaria all’esistenza dell’intero sistema; scrive infatti Luporini: “Non appenain un settore qualsiasi dell’economia si produce in vista dello scambio (cioè compare la ‘merce’) ha luogo anchequella ‘illusione’ (Taüschung) o quella ‘parvenza’ (Schein) oggettiva, al livello delle forme fenomeniche”52. È evidenteche in questa situazione siamo ben lontani dalla posizione di Engels, espressa nel Ludwig Feuerbach, che abbiamo ri-cordato all’inizio. A questo livello non basta più la critica dell’ideologia, delle “ubbie idealistiche”, perché i fatti sipresentino nel loro nesso interno. La reificazione non è una “ubbia idealistica”, ma un fatto concreto che ne mistifi -

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ca altri. Per Marx, però, la merce non è soltanto una merce; essa è anche una “cosa” (Ding), un “oggetto d’uso” (Ge-brauchsgegenstand), e questo carattere è indispensabile alla costituzione della merce stessa. Scrive Luporini: “nel casodella ‘merce’ l’oggetto d’uso, vale (gilt) come pura e semplice oggettivazione di lavoro umano. Tale ‘oggettivazione’non appare (erscheint nicht) nella ‘forma naturale’ (Inhalt), abbiamo già visto, ‘viene rappresentato come carattere og-gettivo della cosa’ (als gegenstandlicher Charakter der Sache dargestellt ist)…Rimane tuttavia anche dopo la ‘critica’ – dopola denuncia del ‘carattere di feticcio della merce’ e il disvelamento del suo ‘arcano’, anzi emerge come risultato diessa – che il lavoro umano sociale utile produce una sfera dell’oggettività (Gegenstandlichkeit) diversa da quella natura-le, ancorché edificata su questa. È il mondo dei rapporti sociali (storico-sociali) di cui l’economia costituisce la baseperché è la sfera in cui l’uomo dapprima oltrepassa le proprie determinazioni naturali, cioè diventa uomo (individuosociale)”53. Questa sfera dell’oggettività propria dell’essere sociale, cioè dell’attività pratica, sensibile-intelligente e tecnico-finali -stica, dell’uomo, non ha il mero carattere “materialistico-sensualistico” della realtà di Feuerbach e nemmeno il carat -tere “idealistico” (se pur oggettivo) della realtà di Hegel. Marx, per indicare la specificità di questo carattere differen-te, utilizza la designazione molto significativa di “sensibile-sovrasensibile”. Scrive Marx: “A prima vista, una mercesembra una cosa triviale, ovvia. Dalla sua analisi risulta che è una cosa imbrogliosissima, piena di sottigliezza metafi -sica e di capricci teologici. Finché è valore d’uso, non c’è nulla di misterioso in essa, sia che la si consideri dal puntodi vista che essa soddisfa, con le sue qualità, bisogni umani, sia che riceva tali qualità soltanto come prodotto di la -voro umano. È chiaro come la luce del sole che l’uomo, con la sua attività, cambia in maniera utile a se stesso le for -me dei materiali naturali. Per esempio quando se ne fa un tavolo, la forma del legno viene trasformata. Ciò non dimeno, il tavolo rimane legno, cosa sensibile e ordinaria. Ma appena si presenta come merce, il tavolo si trasforma inuna cosa sensibilmente sovrasensibile. Non solo sta con i piedi per terra, ma, di fronte a tutte le altre merci, si mettea testa in giù, e sgomitola dalla sua testa di legno dei grilli molto più mirabili che se cominciasse spontaneamente aballare”54. Questa peculiare espressione marxiana (sensibile-sovrasensibile), scrive Luporini, “non è la designazionedi una coppia, bensì di una sintesi e in un certo modo (per un suo lato) di una ‘sintesi a priori’. Ma la cui origine èstorico-genetica, come ogni determinazione del ‘mondo dell’uomo’ che si ponga al di sopra dei rapporti puramenteanimali, o li riassorba in sé. In essa il termine ‘sovrasensibile’ non designa nulla di sovrannaturale, o anche soltantodi ‘extrafenomenico’ (nonostante la ‘inevitabile parvenza’ di cui abbiamo parlato) perché la concezione marxianadell’apparire fenomenico risulta qui, almeno per un aspetto (che è però decisivo), simile alla hegeliana; opposta cioècomunque a quella di Kant”55. Infatti sia per Hegel che per Kant il fenomeno contiene in sé un rinvio ad altro, maper Kant questo rinvio rimanda a qualcosa di in conoscibile, la famosa “cosa in sé”, ed indica una separatezza totaletra due campi rigidamente stabiliti. Per Hegel, invece (e così anche per Marx, se pur dentro una interpretazione dif -ferente, di tipo materialistico) questa separatezza ed eterogeneità non sussiste: la differenza-relazione tra il fenome -no e l’essenza è sempre penetrabile in ogni sua parte, mediante la conoscenza scientifica. In questo senso il termine“sovrasensibile” in Marx “designa semplicemente il riflesso della socialità (Gesellschaftlichkeit) in quanto essa è presen-te e operante nel prodotto del lavoro, e cioè, come si è visto, il ‘carattere sociale del lavoro ‘in quanto ‘dispendio dilavoro sociale’”56. In questo modo Luporini ha delucidato l’insieme della sfera oggettuale del mondo umano, secon-do Marx. In questo contesto, allora, si comprende fino in fondo l’affermazione iniziale di questo saggio e cioè chenel marxismo originario (come del resto in Hegel) il problema della conoscenza, in senso stretto, non esiste:“L’uomo, in quanto animale sociale, vive e opera all’interno di forme fenomeniche prodotte dalla sua stessa attività(sensibile-intelligente) necessariamente indirizzata, innanzitutto, alla produzione e riproduzione della propria vitamateriale. Il problema che si presenta è quello della riduzione scientifica di tali forme fenomeniche; cioè il problemaè quello della scienza”57. L’impostazione marxiana va alla ricerca della genesi sistematica e storica dei processi reali e del loro sviluppo, ed èquindi di matrice ontologica e non gnoseologica. “L’impostazione del Capitale – continua Luporini – è la rispostacritica all’esigenza di siffatta riduzione, per quanto concerne l’economia politica. Una riduzione, o riconduzione,dell’apparente al non apparente, attraverso la quale risultino spiegati i modi dell’apparente stessa, e quanto vi è inessa di reale o di irreale. Sotto tale riguardo (e non sotto quello di un mero sperimentalismo cosiddetto galileiano)l’analogia è profonda con il procedere delle scienze della natura dal ‘600 ad oggi” 58. La “riduzione scientifica” opera-ta da Marx è comunque decisiva per il campo relativo alle scienze dell’uomo, ed è quindi fondamentale per ognunadi esse.

La realtà degli uomini e la questione dell’umanesimo di MarxDa tutte queste considerazioni Luporini trae un’ulteriore domanda: che cos’è quella realtà che noi stessi siamo, gli“uomini”? Si pone cioè il problema, di nuovo, dell’umanesimo o meno di Marx. A questo livello la quasi piena con-cordanza teorica di Luporini con Althusser, dimostrata finora, mostra un’importante incrinatura: per Luporini lagiusta critica radicale di ogni forma di storicismo non include, come per Althusser, il rifiuto necessario di ogni uma -nesimo. Come è noto nella storia del marxismo questo tema è stato messo in relazione all’analisi dello sviluppo, del -la coerenza e della continuità, del pensiero di Marx, dalle opere giovanili a quelle della maturità. Per Althusser è pro-prio in questo contesto che si situa la “rottura epistemologica” interna al pensiero di Marx. Il giovane Marx, quello soprattutto dei Manoscritti del ’44, pone a fondamento della sua riflessione una antropologiafilosofica di tipo umanistico (il comunismo come naturalizzazione dell’uomo e umanizzazione della natura), mentre

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il Marx maturo l’abbandona completamente grazie ad un innovativo approccio scientifico (il materiale storico), ilquale muove i primi passi nell’Ideologia tedesca, per giungere a completamento nel Capitale. Luporini è essenzialmented’accordo con questa posizione; egli crede che in Marx ci sia un effettivo trasferimento dei fondamenti teorici da unambito “filosofico” ad uno “scientifico”. Ma da ciò non crede “di dover trarre conseguenze liquidatrici per il cosid-detto ‘umanesimo’ marxista, come fa Althusser, poiché in tale operazione liquidatoria vengono confuse due questio-ni affatto diverse: quella, appunto, dei fondamenti; e l’altra di una problematica dell’animale uomo (e, se vogliamo,del suo destino) nel quadro del marxismo”59. Per affrontare questo tema, però, non si tratta, secondo Luporini, ditornare o peggio fermarsi al giovane Marx, bensì di muovere dalle basi scientifiche del marxismo e da tutti gli altrifondamenti scientifici ad esso integrabili, ad esempio la psicoanalisi. Nel giovane Marx dei Manoscritti del ’44 esisteun salto tra la critica al “comunismo rozzo”, assai elaborata e la concezione che gli si contrappone, la quale è essen -zialmente la raffigurazione di un risultato. Qui il tema dell’emancipazione umana è interpretato quale integrale solu-zione (comunistica) di tutte le antinomie conosciute (e, si direbbe, conoscibili) relative all’uomo. Scrive, infatti,Marx: “Il comunismo come soppressione positiva della positiva della proprietà privata intesa come autoestraniazio -ne dell’uomo, e quindi come reale appropriazione dell’essenza dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo; perciòcome ritorno dell’uomo per sé, dell’uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente, matu-rato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi. Questo comunismo s’identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento, con l’umanismo, in quantoumanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo; è la vera risoluzione dell’antagonismo tra la natura el’uomo, tra l’uomo e l’uomo, la vera risoluzione della contesa tra l’esistenza e l’essenza, tra l’oggettivazione el’autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l’individuo e la specie. È la soluzione dell’enigma della storia, ed èconsapevole di essere questa soluzione”60. Il “salto” a cui abbiamo fatto riferimento è l’indicatore di una profondamancanza, che Marx non poteva colmare perché nei Manoscritti non ne aveva i mezzi concettuali, non derivabili in-fatti da una antropologia filosofica; la mancanza che “concerne ciò che nella terminologia del marxismo maturo sichiama ‘formazione sociale (o economico-sociale), che a sua volta presuppone la nozione dei rapporti di produzio-ne, nella loro dialettica con le forze produttive. Socialismo e comunismo non possono non rientrare anch’essi in talenozione (e quindi non venire a costituire, a un certo punto, uno stato di cose)”61. Tuttavia Luporini riconosce che già nei Manoscritti del ’44 è presente un primo germe di tale nozione. Infatti nella se-zione dedicata al lavoro estraniato, Marx scrive: “Col lavoro estraniato l’uomo costituisce non soltanto il suo rap -porto con l’oggetto e con l’atto della produzione come rapporto con forse estranee ed ostili; ma costituisce pure ilrapporto in cui altri uomini stanno con la sua produzione e col suo prodotto, e il rapporto in cui egli sta con questialtri uomini”62. Generalizzando questa riflessione oltre i limiti del discorso sul lavoro estraniato, si intravedono iconcetti di rapporti di produzione e si struttura economica della società. Per Luporini ciò è di estrema importanza;infatti, a partire da questo punto non c’è “più bisogno di presupporre negli individui una misteriosa e metafisica‘qualità sociale’; essenza la cui ‘oggettivazione’ produrrebbe la società e le sue istituzioni. Basta constatare e presup-porre il fatto empirico del lavoro umano associato (di individui, cioè, associati e cooperanti, in qualche modo, nellaproduzione e riproduzione della loro vita materiale) la cui origine non spetta alla filosofia bensì a scienze empirichericercare e ricostruire per rendersi conto delle forme della società, delle loro mutazioni e dei loro svolgimenti” 63. Daquesta scoperta fondamentale si deduce anche l’erroneità e la metafisicità della diametrale contrapposizione tra indi -viduo e società; “gli individui sciolti – scrive Luporini – non li troviamo mai. Li troviamo o prigionieri nelle loro de-terminazioni naturali o condizionati dai ‘rapporti sociali’, o nel collegamento, che contiene necessariamente unacomponente genetica, dalla prima alla seconda situazione. Questo non significa affatto però che l’individuo venga dissolto nelle relazioni sociali. All’opposto: questo significache il problema dell’individuo non è semplice, e può essere correttamente impostato solo a partire dalla situazioneindicata”64. A seguito di tale situazione è spiegato perché l’espressione “individuo sociale”, uno dei termini-chiavedel marxismo maturo, non ha in Marx alcun colorito essenzialistico. Commenta Luporini: “La rottura con l’essen-zialismo fa tutt’uno con la rottura con l’antropologia filosofica. Ad esso è sostituito un peculiare operativismo cheun suo fondamento la nozione di lavoro umano e di produzione (in senso economico), ma che non deriva necessa -riamente dal lavoro ogni modello di prassi (come erroneamente crede Althusser): per il fatto stesso che il lavoro, inquanto di individui sociali, oltre che produrre oggetti d’uso, genera e mantiene in vita rapporti sociali (e quindi prati-ci) che hanno uno status ontologico toto genere diverso da quello della produzione materiale”65. Tra il “germe” ini-ziale presente nei Manoscritti del ’44 e lo sviluppo successivo del pensiero di Marx esiste, secondo Luporini, un testodi passaggio, rappresentato dalle Tesi su Feuerbach: esse “costituiscono un testo bifronte: il ponte, o meglio la sottilepasserella lanciata sulla ‘rottura epistemologica’ che si è venuta producendo. Nel senso che costituiscono (comples-sivamente), per un verso il bilancio critico del lavoro compiuto, per altro verso l’apertura sulla nuovaproblematica”66. Questa apertura è particolarmente evidente nella VI tesi in cui Marx afferma: “…l’essenza umana non è qualcosa diastratto che sia imminente all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’”insieme dei rapporti sociali” 67. Il caratteredi passaggio di questa tesi è evidenziato dal fatto che in Marx e in Feuerbach vi è un termine comune che rimanefisso nel cammino marxiano dall’antropologia filosofica al materialismo storico, e cioè l’individuo (o meglio, gli indi -vidui, nella loro pluralità). Esso è, per Marx, sempre in rapporto con un altro termine: quest’ultimo, nell’antropolo -gia filosofica, e il “genere”, mentre nella VI Tesi (e in seguito) è invece “l’insieme dei rapporti sociali. In entrambi i

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casi il secondo termine ha la funzione di costituire il legame tra gli uomini. “Ma – scrive Luporini – la sostituzionedel secondo termine cambia anche la natura del legame e la sua localizzazione. Nel caso di Feuerbach (antropologiafilosofica) l’individuo è inizialmente preso come isolato e quindi ‘astratto’ ed a esso si contrappone l’astrazione delgenere. Questa è a sua volta concepita come ‘astrazione immanente’ agli individui, ‘universalità interna’, che stabilisce traloro un legame puramente ‘naturale’ (‘naturale e muto’, dice suggestivamente Marx). È una struttura che lascia fuoridi sé, che non riesce cioè ad includere il ‘corso della storia’. Nel nuovo rapporto invece non è il ‘genere’ ad essere in-terno agli individui (‘astrazione immanente’), bensì sono gli individui ad essere collocati nell’’’insieme dei rapportisociali’”68. Dunque, continua Luporini, “nella VI Tesi la rottura con il fondamento antropologico-filosofico è com-piuta nettamente. Siamo nello stesso tempo assai vicini all’interpretazione di Althusser e assai lontani da essa. Fran-camente, nonostante i grandi meriti che sono da riconoscerle, tale interpretazione ci sembra perdere per strada untermine che rimarrà sempre centralissimo nel discorso scientifico di Marx: gli individui umani nella loro pluralità in -dividuale, che, congiunta al riconoscimento della loro concretezza sensibile, rappresenta in Marx il retaggio antispe-culativo feuerbachiano (gli ‘individui umani viventi’ come unico ‘presupposto’ della storia, secondo la nota formula -zione che si trova nella Ideologia tedesca). La scientificità del discorso di Marx consiste, mi sembra, anzi proprio in questo: nel pensare le strutture in funzionedegli individui (e viceversa): che nel caso in questione sono gli individui umani. Uno strutturalismo che perda o, inqualche modo, consumi tale presupposto (in cui gli unici individui o unici discreti divengano le strutture stesse) èmera ideologia, anche se di apparenza scientifica”69. In definitiva, secondo Luporini, il rifiuto da parte di Althusserdi ogni umanismo, lo porta a perdere una grande ricchezza dialettica presente in Marx, riguardo al tema dell’indivi -duo sociale. Ma questa mancanza non può essere considerata laterale, perché comporta una possibile interpretazio -ne riduttiva, immancabilmente ideologica, la quale non permette di distinguere il il significato dell’astrazione marxia-na dalla complessità e pluralità della concretezza reale. È vero che Marx assume gli uomini come “nudi individui”, inquanto “portatori” (Trager) dei rapporti sociali, ma questa astrazione ha valore scientifico solo in funzione dei rap-porti di produzione; non indica la realtà complessiva dell’uomo in senso concreto e plurale 70. Marx ha messo in luceil segreto del “valore” (ha scoperto cioè il “plusvalore”) quando ha trovato la differenza tra il lavoro e la forza-lavo -ro: non è il lavoro ad essere una merce; non è il lavoro ad essere venduto sul cosiddetto “mercato del lavoro”, bensìla forza-lavoro. ma la forza-lavoro è un’astrazione: non è essa che va al mercato del lavoro, bensì un uomo in carneed ossa, il lavoratore; qui egli ha di fronte un altro uomo in carne ed ossa, il capitalista, che è portatore in senso op -posto, dello stesso rapporto di produzione. Ma in carne ed ossa io percepisco sensualisticamente uomini grassi, ma-gri, bianchi, scuri, ecc., non capitalisti ed operai. Per gli uomini siamo quindi di fronte ad una realtà complessa. Scrive infatti Luporini: “Anche l’individuo umano nella sua realtà (quella realtà storico-sociale per cui ‘l’uomo è ilmondo dell’uomo’) è dunque ‘sensibile-sovrasensibile’: correlativamente a quanto accade per le ‘cose’ in quanto, aldi là della loro ‘forma naturale’, esse sono prodotti utili del lavoro sociale. In altre parole: in quanto storico-sociale ilsoggetto umano ha gli stessi caratteri (perché li produce) della sfera oggettuale dei suoi ‘valori d’uso’ (quando essisiano non semplici ‘oggetti naturali’, ma altresì oggettivazioni del suo lavoro sociale o inglobati nella sua sfera)”71. Questa condizione è da considerarsi strutturale e non accidentale; la sua comprensione è quindi di fondamentaleimportanza; ma essa “non è affatto la soluzione del problema dell’individuo (di quella realtà che noi stessi siamo),ma solo il punto di partenza per impostare il problema”72. Per ogni ricerca relativa agli uomini esiste cioè una condi-zione iniziale necessaria, che ha “come obbligatorio punto di riferimento (il) rapporto funzionale tra individui e for-mazione economico-sociale specificata, o data”73.

La dialettica di MarxLa realtà in senso marxiano ha, come si è visto, un segno fortemente contraddittorio e quindi un carattere marcata -mente dialettico. Ritorna così, nelle conclusioni delle riflessioni di Luporini, il tema della dialettica e del rapporto traMarx e Hegel. Nel famoso poscritto alla II edizione del I Libro del Capitale, Marx aveva intavolato con Hegel un du-plice rapporto: dal punto di vista storico si era professato suo “scolaro”, dal punto di vista sistematico aveva affer-mato che il suo metodo non solo era differente da quello hegeliano, ma che ne era direttamente l’opposto: “Per He-gel il processo del pensiero, che egli, sotto il nome di Idea, trasforma addirittura in soggetto indipendente, è il de -miurgo del reale, mentre il reale non è che il fenomeno esterno del processo del pensiero. Per me, viceversa, l’ele -mento ideale non è altro che l’elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini”74. In questo passo marxiano compare la coppia categoriale “materiale-ideale”, da cui deriva, nel marxismo, la contrap-posizione tra idealismo e materialismo. In accordo con le argomentazioni fin qui svolte, Luporini avverte che sareb-be del tutto sbagliato interpretare il marxismo come se in esso la nozione di realtà si esaurisse e risolvesse soltantonel secondo termine; tutto il discorso sulle “forme fenomeniche” è sufficiente a dimostrare l’erroneità di questa tesi,il suo meccanismo dogmatico. Secondo Luporini quel che è essenziale nel marxismo “è la precedenza di ciò che èinteso con il secondo termine, rispetto a ciò che è inteso col primo: precedenza sia in senso genetico-storico, sia insenso sistematico”75. Qui rintracciamo ancora una volta un punto essenziale del ragionamento di Luporini: troviamo il trasferimento sulpiano ontologico (genetico-storico e sistematico) e metodologico di ciò che Marx ha definito “momento sover -chiante” (Ubergreifendes Moment) in merito alla definizione del concetto di struttura come reale basis. Il momento so-

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verchiante non è soltanto una scoperta empirica condizionata storicamente, la scoperta del fondamento economicodella costruzione e sviluppo di ogni società, ma criterio scientifico generale di interpretazione della realtà, il canonestesso del materialismo storico. Questo punto decisivo caratterizza essenzialmente la differenza tra il marxismo el’hegelismo, ma non dice molto, da solo, sulla questione della dialettica in Marx e sulla relazione di continuità omeno con Hegel. Secondo Luporini, in proposito, non serve arrovellarsi sulle parole che Marx ci ha lasciato direttamente dedicate atale problema: quelle famose relative alla liberazione della dialettica hegeliana dalla “scorza mistica” (mystische Hulle)per scoprirne il “nocciolo razionale” (rationeller Kern). Nello stesso tempo Marx presenta il suo “metodo dialettico”come il “diretto opposto” (direkter Gegenteil) di quello hegeliano (nel poscritto già citato) e anche come il medesimo,solo “applicato” (angewandt) in “maniera critica”76. Per Luporini la strada giusta muove dall’analisi della effettiva applicazione della dialettica in Marx. La concezionematerialistica della storia di Marx si fonda su un criterio o canone di interpretazione scientifica, sulla ricerca del mo-mento soverchiante. Esso consiste nell’isolamento del processo sociale della produzione, il quale mette in luce unatotalità dinamica assunta come reale basis, come base materiale della società. A questo livello troviamo la dialetticafondamentale tra forze produttive e rapporti di produzione. Riassumendo Marx Luporini scrive: “I rapporti di pro -duzione (rapporti fra uomini, di cui gli uomini sono portatori, da cui gli uomini sono condizionati) nascono dalleforze produttive (di cui la primaria è l’uomo stesso o la sua forza-lavoro, applicata alla natura) come loro forme disviluppo (Entwicklungsformen). Con l’ulteriore sviluppo delle forze produttive i rapporti di produzione si arrovesciano ( schlagen…um) in catene dellemedesime. Cioè è nata una ‘contraddizione’, a cui corrisponde nella realtà storica ‘un’epoca di rivoluzionesociale’”77. Tale percorso, in apparenza assai semplice, è in realtà il fondamento, ma solo questo, di una situazioneconcreta assai complessa, che a partire dalla divisione del lavoro, si compone di gruppi sociali diversi, dei loro rap -porti antagonistici e del conflitto, latente o aperto, che di conseguenza si instaura (che non è detto che sia soltantoquello tra capitale e lavoro). “Perciò quella dialettica – continua Luporini – costituisce, appunto, un criterio o cano -ne di interpretazione, non è una chiave universale che apra, aprioristicamente, le porte segrete della storia: questaanche dal punto di vista dell’accadere economico sociale e delle mutazioni che attraverso di esso si presentano vastudiata e indagata in tutte le sue particolarità e particolari contraddizioni…La conclusione è questa: abbiamo unadialettica di ‘contraddizioni’ che nessuna ‘ragione’ (Vernunft) può conciliare. Esse rappresentano forze e situazioni‘reali’ e vengono soppresse solo quando nel conflitto la vittoria di una di queste forze reali sopprima le basi o fontidella contraddizione stessa”78. Esiste quindi una rappresentazione mentale della dialettica, che è fondamentale per l’analisi scientifica, ma che nonrisolve in sé, in una eventuale sintesi, la realtà contraddittoria, la differenza tra i poli della contraddizione. Non acaso in un appunto posto alla fine della Introduzione del ’57, Marx scrive: “Dialettica dei concetti di forza produtti -va (mezzi di produzione) e di rapporto di produzione, una dialettica di cui si devono determinare i limiti e che nonannulla la differenza reale”79. In questo passo va messo in rilievo la contrapposizione tra il sostantivo “concetti” e l’aggettivo “reale”; la dialetticaconcettuale trova il suo limite nel non poter annullare la dialettica reale delle differenze; è quindi nella realtà materia -le, e non nel pensiero, che dobbiamo scorgere il presentarsi e lo sviluppo delle contraddizioni. Il canone del materia-lismo storico trova qui il suo nucleo dialettico dove però assolutamente non si esaurisce. Scrive Luporini: “L’accade -re storico complessivo (sincronicamente parlando) è un intreccio di specificità diverse, come indica il canone stesso.In concreto, cioè, non esiste una società puramente economica. I rapporti di produzione non sono tutta la società,ma solo la sua ‘anatomia’, o il suo ‘scheletro’. La struttura economica non è tutta la struttura della società. Vi sonoaltre ‘forme’ che costituiscono la cosiddetta sovrastruttura. L’organismo sociale è sempre la totalità strutturata e sin-cronica del loro insieme. Il carattere di ‘reale basis’ della ‘struttura economica’ indica solo il versus che rende intelligibi-le la struttura d’insieme”80. Qui Luporini riconferma di nuovo un punto fondamentale di carattere ontologico e metodologico: il “momento so-verchiante”, la “determinazione in ultima istanza” non mette la parola fine alla comprensione della realtà, ma indicasolo il versus (ontologico) che la rende intelligibile come totalità, come struttura d’insieme. Da questo punto di par-tenza, da questo “criterio oggettivo, si aprono le possibilità “scientifiche” di interpretazione e trasformazione dellarealtà sociale, che sono tutte da costruire, e, in parte, ma solo in parte, costruite anche da Marx. Dal nucleo dialetti -co tra forze produttive e rapporti di produzione, enunciato da Marx, non si deve arrestare il cammino, come in par-te hanno fatto i marxisti, a partire già da Engels, i quali si sono accontentati di parlare di “azione reciproca” ( Wech-selwirking) tra le parti del sistema sociale (in generale tra struttura e sovrastruttura). È Marx stesso infatti ad indivi -duare un problema più profondo e di ben altra portata: quello dell’ineguale sviluppo delle altre attività umane. Suquesto punto Luporini, seguendo il ragionamento che Marx compie alla fine della Introduzione del ’57, interpreta,credo, a senso unico: quello della discrepanza tra l’alto livello raggiunto da alcune attività umane (quella artistica oquella relativa all’elaborazione dei sistemi giuridici, ad esempio) e la “povertà” della produzione materiale; individuacioè il problema importantissimo dell’eredità storica e culturale nel passaggio da una formazione sociale ad un’altra,della “permanenza e trasmissione dei valori”81. Ma esiste un’altra questione, a questa comunque correlata, forse oggipiù importante, che possiamo individuare plasticamente leggendo inversamente le intuizioni di Marx: quella cioèdella discrepanza sempre più ampia tra il grandissimo sviluppo delle capacità produttive dell’umanità e lo sviluppo

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in senso umano della personalità individuale: il tema cioè dell’estraniazione umana, nella definizione datale, ad esem-pio, dall’ultimo Lukàcs, nell’Ontologia dell’essere sociale 82. Questo tema è strettamente connesso con il tema dell’emancipazione umana e quindi con il comunismo. Se è veroche il comunismo ha come sua condizione necessaria la liberazione dell’umanità dalla “scarsità” materiale, che haquindi bisogno di un grande sviluppo delle forze produttive, ciò significa anche che questa condizione è solo unpreliminare e che essa non assicura per niente sulla costruzione di una società senza classi. Anzi lo sviluppo del ca-pitalismo moderno e la condizione dell’estraniazione dimostrano proprio questo. Il comunismo quindi non è perniente intrecciato con la tematica storicistica del progresso. Secondo Luporini, infatti, il tema marxiano dello “sviluppo ineguale” permette anche di “mettere in questione lanozione di progresso, escludendone l’accezione comune”83. Se esiste per Marx una sostanziale continuità accresciti-va nello sviluppo delle forze produttive, questa non si identifica con il continuum storico dell’inferiore al superiore,fino al comunismo, di ispirazione teleologica e storicistica. In conclusione, quindi, si intrecciano la questione delladialettica con quella dello “svolgimento storico”; la luce è di nuovo gettata necessariamente sul rapporto tra Marxed Hegel. La dialettica di Hegel non è una semplice dialettica di tesi, antitesi e sintesi, la quale appartiene piuttosto aFiche; essa è la dialettica delle differenze che si concretizzano e acutizzano in contraddizioni. Hegel non si fermaalla enunciazione della differenza: questa presuppone per lui la scissione di una unità semplice non ancora sviluppa-ta, i cui “lati”, i lati della differenza, esprimono non solo la propria determinatezza e posizione, ma anche, e questo èfondamentale, il movimento dell’interno, che nasce appunto dalla differenza stessa. Ora anche per Marx la merce èun semplice: semplice come forma e semplice come concreto. Così il valore di scambio, che si scinde immediata -mente in due: la forma di valore relativo e la forma di equivalente. È a partire da questa prima scissione di un sem-plice in due “lati” che è possibile tutto il successivo sviluppo delle forme, cui è costituito il modello del Capitale. Maquesta scissione illustra il senso di un atto reale, non di un movimento di pensiero. La sua condizione concreta èl’esistenza di due merci di natura e qualità diverse, in possesso di persone diverse. Nessuno realmente scambia ventibraccia di tela con venti braccia di tela. È proprio in ragione di siffatta diversità che le merci giocano due ruoli diver -si; appunto quelli di valore relativo e di equivalente. L’atto dello scambio è l’implicazione di due relazioni asimmetriche. “Questa dualità – scrive Luporini – non può innessun modo venir interpretata come la scissione di un semplice. Viene distrutta così la dialettica? Niente affatto:essa viene soltanto illuminata non verbalisticamente. La dialettica del legame rimane. Essa non consiste nell’implica -zione delle due relazioni asimmetriche reciprocamente inverse (altrimenti tutte le relazioni asimmetriche sarebberoeo ipso dialettiche), ma nel fatto che secondo l’angolo visuale in cui mi metto l’una assume il ruolo attivo (forma divalore relativo) e l’altra il ruolo passivo (forma di equivalente); e viceversa. Ripetiamo dunque: lo scindersi della for -ma semplice ‘valore di scambio’ esprime il significato di un atto reale, ma questo atto reale presuppone una doppiadualità reale: quella di tre individui, e due specie di merci. Per il primo aspetto la dialettica marxiana è identica aquella di Hegel, per il secondo se ne diversifica radicalmente: ma naturalmente l’intervento del secondo è decisivo. Ilprimo aspetto emerge infatti (analiticamente) sul piano epistemologico, ma questo piano epistemologico ha signifi -canza non in sé, ma solo in quanto riferibile (e riferito) a ciò che viene empiricamente alla luce sul piano dei condi-zionamenti reali”84. Le dialettiche di Marx e di Hegel sono quindi insieme la stessa cosa e due cose radicalmente diverse. Potremmo direche nella sua “basiliarità teoretica” (il piano analitico ed epistemologico) la dialettica di Marx è la stessa di Hegel (ein questo Marx è “scolaro” di Hegel, che infatti non va considerato un “cane morto”), ma, nella cosa più importan-te, il riferimento alla realtà, essa se ne distingue totalmente (ne è “direttamente l’opposto”. Il piano dominante, quel-lo dei “condizionamenti reali”, è quello stesso della storia e dell’interpretazione ed intelleggibilità del suo corso. Lu -porini conclude infatti così il saggio che stiamo analizzando: “Il modo hegeliano di concepire la dialettica, come dia -lettica di un’unità che si scinde, si diversifica, si oppone, si moltiplica e arricchisce, per poi riunificarsi e conciliarsinell’autocoscienza, anzi nel sapere assoluto…Comporta la visione di un finalismo immanente nel mondo. Perciòtutto il processo è da Hegel necessariamente presentato come processo dell’idea, o suo attuarsi. Essa sta all’inizio inquanto rappresenta la trazione finalistica del processo stesso; ed è quindi anche la verità obiettiva (idealismo asso -luto-obiettivo) di ogni suo momento, che ad essa si commisura in maggiore o minore adeguatezza (o grado di real-tà). Questo è, in definitiva, il ‘velo mistico’ della dialettica hegeliana. Il senso del capovolgimento marxiano e la sualacerazione, cioè la messa fuori opera di un finalismo totale. Solo a partire da questa messa fuori opera…si può co -minciare a scorgere ciò che Marx intendeva per ‘nocciolo razionale’”85. In definitiva Marx distrugge ogni filosofia della storia, che è sempre in qualche modo teleologica. Così inaugura glistrumenti per una possibile analisi scientifica, materialistica e dialettica, della realtà sociale, che esclude ogni determi-nismo assoluto ed ogni soggettivismo, e, con essa, apre la strada per una dimensione politica rivoluzionaria fondatasu possibilità reali e non, volontaristicamente, su un fideismo idealistico.

Note

1. C. Luporini, Introduzione (1974), in DM, pag. XXV.2. L. Althusser e E. Balibar, Leggere il Capitale, Feltrinelli, Milano, 1980. in particolare pag. 126 e seguenti. Non c’è spazio

qui per una descrizione più approfondita del pensiero di Althusser. In proposito si rimanda al volume collettivo La co-

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gnizione della crisi. Saggi sul marxismo di L. Althusser, F. Angeli, Milano, 1986.3. C. Luporini, Nota introduttiva a L. Althusser, Per Marx, Editori Riuniti, Roma, 1967, pag. X.4. C. Luporini, Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo; pubblicato in “Critica marxista”, IV, n°1, 1966; ora in DM,

pag. 154.5. Ivi, pag. 153.6. F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1976, pag. 56.7. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pag. 155.8. Ibidem.9. C. Luporini, Marxismo e scienze umane. Pubblicato per la prima volta con il titolo Una visione critica dell’uomo in

“Rinascita”, XII, n°51, 1965. ora, con il primo titolo citato, in DM, pag. 367.10. Nella recensione in due puntate (e non compiuta) al Per la critica dell’economia politica, apparsa negli ultimi due numeri di

Das Volk, nel 1859. ora in appendice a K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma, 1984,pagg. 200-210 (in particolare pag. 208).

11. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pag. 156.12. Ivi, pagg. 156-157.13. Ivi, pag. 161.14. Ivi, pag. 163.15. Ivi, pagg. 163-164.16. Ivi.17. Ibidem.18. Ibidem.19. Ivi, pag. 166.20. Il passo di Marx a cui si riferisce Lenin è il seguente: “Non dipingo affatto in luce rosea le figure del capitalista e del

proletario fondiario. Ma qui si tratta delle persone soltanto in quanto sono la personificazione di categorie economi-che, incarnazione di determinati rapporti e di determinati interessi di classi. Il mio punto di vista, che concepisce losviluppo della formazione economico della società come processo storico-naturale, può meno che mai rendere il sin -golo responsabile di rapporti dei quali esso rimane socialmente creatura, per quanto soggettivamente possa elevarsi aldi sopra di essi”. (K. Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma, 1980, I, pag. 34).

21. C. Luporini, Realtà e storicità…in DM, pag. 169.22. K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1976, pag. 32.23. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pag. 170.24. Ibidem.25. Ivi, pagg. 170-171.26. Ivi, pag. 172.27. Ivi, pag. 173.28. Ivi, pag. 175.29. Ibidem.30. Ivi, pagg. 175-176.31. Ivi, pag. 176.32. K. Marx, F. Engels, India, Cina, Russia, Il Saggiatore, Milano, 1970, pag. 303.33. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pag. 178.34. K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, cit., pagg. 30-31.35. Ivi, pag. 31.36. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pagg. 179-180.37. Ivi, pag. 181.38. Ivi, pagg. 181-182.39. G. Lukàcs, Ontologia dell’essere sociale, Editori Riuniti, Roma, 1976/81. In particolare il capitolo IV del Primo volume “I

principi ontologici fondamentali di Marx”.40. Ivi, pag. 354 e seguenti. Sia Lukàcs che Luporini si schierano contro Hegel, ma anche con lui (Luporini scrive infatti

“con Hegel e contro Hegel”). Credo che si possa sostenere che per entrambi esiste una forte discrepanza tra i conte-nuti essenziali della Logica di Hegel e la sua traduzione in una filosofia della storia di tipo teleologico. Ma vedremo me-glio più avanti.

41. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pag. 183.42. K. Marx, Il Capitale, cit., pagg. 201-202.43. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pag. 184.44. Contenuto in K. Marx, Scritti inediti di economia politica, Editori Riuniti, Roma, 1963.45. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pag. 188.46. Ibidem.47. Ibidem.48. Ivi, pag. 189.49. Ivi, pag. 190.50. Ibidem.51. In quello scritto Luporini aveva criticato questa impostazione idealistica tipica dell’hegelo-marxismo, ricostruendo

puntualmente “l’irriducibile oggettività” marxiana presente nei Manoscritti del ’44 (“un ente non oggettivo e un non-ente”). È interessante notare che anche Lukàcs perviene alla sua svolta ontologico-materialistica autocriticando e rifiu-tando le sue posizioni giovanili di Storia e coscienza di classe, dopo la lettura dei Manoscritti del ’44. (Si veda, in proposito,la Prefazione, del 1967, di Lukàcs, a Storia e coscienza di classe, Sugarco Edizioni, Milano, 1978, pag. VII-XLIII. In partico-

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lare le pagine XXIV, XXV, XXVI).52. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pag. 190.53. Ivi, pag. 191.54. K. Marx, Il Capitale, cit., pag. 103.55. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pagg. 191-192.56. Ivi, pag. 192.57. Ivi, pag. 194.58. Ibidem. Questo paragone ha, in Luporini, un duplice senso: da una parte, come già aveva ricordato in Verità e libertà,

significa riconfermare per il marxismo lo statuto ontologico e scientifico disantropomorfizzante, tipico dello sviluppodelle scienze naturali dal ‘600 ad oggi; e, dall’altra, in chiave polemica, rappresenta una contrapposizione con DellaVolpe e con il suo marxismo inteso come “galeleismo morale” (si veda in proposito il dibattito sulla dialettica del ’62):il rapporto non è, appunto, con lo sperimentalismo, visto in chiave sociale (e sociologica ma con la “metafisica in-fluente” che lo ha sottointeso e reso possibile: il materialismo come dialettica tra tendenze antropomorfizzanti e di -santropomorfizzanti. (E qui è rintracciabile un ulteriore paragone con Lukàcs, in particolare con i fondamenti teoricidella sua Estetica).

59. C. Luporini, Introduzione (1967) a K. Marx-F. Engels, Ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, pag. LXXXI.60. K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 1980, pag. 111. 61. C. Luporini, Introduzione (1967) a K. Marx-F. Engels, Ideologia tedesca, cit., pag. LXXXII.62. K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, cit., pag. 82.63. C. Luporini, Introduzione (1967) a K. Marx-F. Engels, Ideologia tedesca, cit., pag. LXXXII.64. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pagg. 191-196. in proposito molto significativamente Luporini aggiunge: “È

falsa perciò una contrapposizione di principio – quale è stata a lungo alimentata nel periodo dogmatico, e ancora oggiè dura a morire – del marxismo con la psicoanalisi: ove si faceva confusione tra una posizione di principio e la giustaesigenza di eliminare dalla psicoanalisi le intrusioni non scientifiche, ideologiche, di classe”.

65. C. Luporini, Introduzione (1967) a K. Marx-F. Engels, Ideologia tedesca, cit., pag. LXXXIII.66. Ibidem.67. K. Marx, tesi su Feuerbach, in F. Engels, Ludwig Feuerbach…, cit., pag. 84.68. C. Luporini, Introduzione (1967) a K. Marx-F. Engels, Ideologia tedesca, cit., pag. LXXXIV.69. Ivi, pag. LXXXV.70. Dai “nudi individui”, cioè, non si passa on un atto formale alla società. Solo partendo da quest’ultima si può concepire

l’astrazione concreta “nudi individui” e il suo valore scientifico.71. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pag. 199.72. Ibidem.73. Ibidem.74. K. Marx, Il Capitale, cit., pag. 44.75. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pag. 201.76. Nella lettera a Kugelman del 27 giugno 1870, Marx scrive: “In primo luogo (Lange) non capisce rien del metodo he-

geliano e perciò, in secondo luogo, tanto meno del mio modo critico di applicarlo”. (In K. Marx - F. Engels, Operecomplete, Editori Riuniti, Roma, 1975, XLIII, pag. 739). E, in un’altra lettera a Kugelman, del 6 marzo 1868, scrive:“La dialettica di Hegel è la forma fondamentale di ogni dialettica, ma soltanto dopo l’eliminazione della sua forma mi-stica, ed è appunto questo che distingue il mio metodo”. (in K. Marx - F. Engels, Opere complete, cit., pag. 582).

77. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pag. 205.78. Ivi, pagg. 205-206.79. K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, cit., pag. 35.80. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pagg. 206-207.81. Ivi, pag. 208.82. G. Lukàcs, Ontologia dell’essere sociale, cit.; in particolare il capitolo IV del secondo tomo del secondo volume, intitolato:

“L’estraniazione”, pagg. 559-808.83. C. Luporini, Realtà e storicità…, in DM, pag. 208.84. Ivi, pag. 210.85. Ivi, pag. 211.

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Capitolo 2Marx secondo Marx

In Realtà e storicità Luporini ha formulato una teoria generale di interpretazione del pensiero di Marx, puntando il di -scorso, essenzialmente sui Grundrisse e sul Capitale.Qualche anno più tardi, nel 1972, egli scrive Marx secondo Marx1, che è insieme una riformulazione e un aggiorna-mento di quella teoria e che, a ragione, va considerato il testo marxista più importante di Luporini. Questo testo traeorigine da un confronto con Emilio Sereni, con il suo testo del 1970, Da Marx a Lenin: la categoria di ‘formazione econo-mico-sociale’2, ma non si esaurisce a questo livello. Esso diventa infatti un excursus generale interpretativo fondato sul -la ricerca di una definizione corretta di corrispondenza tra le due parti più importanti del pensiero marxiano: la teo -ria del materialismo storico e la critica dell’economia politica. Luporini percorre questo itinerario affrontando alcune“questioni” fondamentali, di ordine filologico e sistematico.

Questioni filologiche: ancora sul concetto di formazione economico-socialeIn Marx secondo Marx Luporini discute le tesi di E. Sereni in merito al rapporto di continuità tra Marx e Lenin, pro-prio in relazione alla categoria di ‘formazione economico-sociale’. Il testo marxiano, preso in esame da Sereni, ovecompare, per la prima volta, l’espressione “formazione economica della società”, è la Prefazione del 1859 al Per la cri-tica dell’economia politica. Secondo Luporini, Sereni legge questo testo con un’ottica precostituita: quella del Che cosasono gli ‘amici del popolo’? di Lenin, (descritto nel primo capitolo della seconda parte) e ciò gli impedisce di considerarequale fosse l’ottica propria del Marx del ’59, di leggere appunto Marx secondo Marx. “Questo condizionamento –scrive Luporini – è stato fino ad oggi proprio di tutti noi” (quindi anche di Luporini stesso nel ’54), “di tutti noi for-matici al marxismo in una certa tradizione (postleniniana). Ma tematizzare l’espressione ‘formazione economica del-la società’ avrebbe dovuto significare fare lo sforzo di sospendere tale condizionamento e instaurare un confrontoeffettivo”3. Invece “Sereni – continua Luporini – subisce ancora l’effetto di una certa sacralizzazione delle posizioniteoriche espresse dai classici del marxismo, per cui il loro succedersi viene accolto soprattutto sotto l’angolo visualedell’arricchimento e approfondimento e perciò dell’accumulazione; e non anche come eventuale sostituzione diconcetti e teorie. Ma la storia della scienza si compone sempre dall’intreccio di questi due momenti e ciò deve esserevalido anche per il marxismo (all’interno, per cominciare, dello stesso sviluppo del pensiero di Marx)”4. Dunque,questa “situazione filologica” scorretta fa sì che la posizione di Marx sia dedotta dalle tesi centrali dell’interpretazio-ne di Lenin. Secondo Luporini, la forte sottolineatura di Lenin in merito alla “fondamentalità” e alla “primordialità”dei rapporti di produzione lo porta ad intendere la formazione economica solo come una specificazione strutturaledelle formazioni sociali. A questo proposito la tesi di Luporini è che in realtà Lenin abbia prodotto una nozionenuova di formazione economica della società, che non c’è in Marx, nel Marx del 1859. “(Lenin) – egli scrive – lo hafatto – in sede, si noti, di interpretazione metodologica del Capitale” (descrivendone lo “scheletro”, come abbiamogià ricordato) “non in sede di riflessione sul ‘materialismo storico’ della prefazione del ’59 – maneggiandoun’espressione verbale che si trova in Marx (‘formazione economica della società’), ma attribuendole di fatto un si -gnificato diverso da quello che Marx le assegnava. Ora, questo nuovo significato, una volta proiettato sulla prefazio-ne del ’59, ne deforma il senso, proprio per quanto concerne il termine tematizzato…”5. Ma allora, a parere di Lu-porini, come stanno veramente le cose in Marx? Prima di tutto egli fa notare che, analizzando la prefazione del ’59,colpisce il fatto che l’espressione “formazione economica della società” sia usata al singolare, in contrapposizione,invece, ad una pluralità di “formazioni sociali”. Questo “singolare” ha una ragione logica, non grammaticale, cioè “teoreticamente” non ammette plurale. Questoperché esso, scrive Luporini, “designa evidentemente qualcosa che si presenta come un unicum del campo conside-rato. (Nel) campo teorico correlato alla messa in serie storica di una molteplicità, di ‘modi di produzione’ che Marxenumera e a cui dà un nome (asiatico, antico, feudale e borghese). Ognuno di essi, dice Marx, può essere designatocome un’’epoca’. Ognuno di essi – possiamo commentare – rappresenta rispetto a quello successivo una ‘vecchiasocietà’, cioè una ‘formazione sociale’ precedente”6. Per comprendere meglio ci conviene citare per intero il passo diMarx a cui si riferisce Luporini, eccolo: “Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte leforze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che sia -no maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non sipropone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il pro -blema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. Agrandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epo -che progressive della formazione economica della società”7. Per Marx esiste una corrispondenza precisa tra i modidi produzione e le formazioni sociali; ad una pluralità determinata di modi di produzione corrisponde una pluralitàdeterminata di formazioni sociali. Egli, come è noto, individua anche una “legge” in relazione al passaggio da unaformazione sociale all’altra, chiamando in causa le forze produttive, e cioè che “una formazione sociale non periscefinché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui si può dar corso”. Questa legge è dominata da una con -traddizione dialettica i cui termini sono il perire della formazione sociale e lo sviluppo delle forze produttive. Men -tre la formazione sociale decade, le forze produttive, il cui sviluppo stesso è causa di questa decadenza, non deperi-

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scono anch’esse, ma si trasferiscono alla formazione sociale successiva, al nuovo modo di produzione. “Questo significa – scrive Luporini – che deve esistere, teoreticamente distinguibile, un luogo della loro continuitànella discontinuità delle ‘epoche’ storiche. Questo luogo è ciò che Marx chiama ‘formazione economica della socie -tà’. Esso appare come un unicum continuum che si estende nel tempo, ma che è anche dotato di quantità intensiva;fondamentalmente per Marx nel senso dell’aumento o incremento), che attraversa la discontinuità delle epoche, deimodi di produzione e delle formazioni sociali”8. Lenin non poteva percepire questo significato dell’espressione“formazione economica della società”, perché, secondo lui, l’“economico” stava “semplicemente” ad indicare il lato“strutturale” della formazione sociale, relazionato cioè esclusivamente con i rapporti di produzione; per Lenin, a piùformazioni sociali corrispondono più formazioni economiche. Nello scritto Per l’interpretazione della categoria ‘formazione economico-sociale’ , del 1977, Luporini fa notare, con maggioreprecisione filologica, questa “unilateralità” di Lenin. Riferendosi ancora a quella parte della Prefazione del 1859, cheabbiamo già citato, egli scrive in una nota: “Mi sembra molto significativo il fatto che in questo caso Lenin, tradu -cendo una parte della Prefazione di Marx, ampiamente citata nel Che cosa sono gli amici del popolo?, deforma il concettodi Marx. Dove Marx infatti scrive ‘epoche progressive dello sviluppo della formazione economica della società’ (pro-gressive Epochen der ökonomischen Gesellschaftsformation) Lenin traduce ‘epoche progressive nella storia delle formazionieconomiche della società’ (progressivnye èpoche v istorii èkonomiveskich formacij obscestva). Si inserisce il termine ‘storia’, as-sente in Marx, e in luogo di ‘formazione economica’ (al singolare) subentra ‘formazioni economiche’ (al plurale).Non si può pensare certo ad un errore volontario, ma tanto meno ad una svista perché non è certo fortuito il com-parire della parola ‘storia’. Dunque Lenin, mentre traduce, intende chiarire il testo di Marx interpretandolo inquell’unico senso che era coerente con la sua propria concettualizzazione. Evidentemente Lenin ‘pensava’ dentro leparole. Ma questa è una riprova assolutamente fattuale della divaricazione dei due significati di ökonomischen Gesell-schaftsformation” 9. Dunque, secondo Luporini, il corretto significato di “formazione economico-sociale”, espresso daMarx nella Prefazione del 1859, è quello da lui messo in rilievo come unicum continuum, non certo in senso assoluto,ma relativo all’effettiva contiguità temporale, geograficamente condizionata, di un grande contesto storico. Ma se -guendo il percorso successivo di Marx le cose non cambiano. A dimostrazione di ciò Luporini ricorda la Prefazione del 1867 alla prima edizione del Capitale, dove Marx presenta ilsuo “punto di vista” come quello che “concepisce lo sviluppo della formazione economico della società quale unprocesso storico-naturale”. E a proposito scrive: “Anche qui ‘formazione economica della società’ è un singolareche non ammette plurale all’interno del processo storico in cui è collocato. Solo interpretate così, le proposizioni diMarx divengono intellegibili, perfettamente trasparenti, almeno nei testi considerati” 10. Dunque, il significato princi-pale e fondamentale dell’espressione “formazione economica della società” sta nella sua capacità rappresentativa dielementi di discontinuità e differenzialità epocali, dentro un quadro di essenziale continuità strutturale. Un passo delCapitale dimostra, abbastanza chiaramente, questa posizione. In esso si legge: “Quali che siano le forme sociali dellaproduzione, lavoratori e mezzi di produzione restano sempre i suoi fattori. Ma gli uni e gli altri sono tali soltanto inpotenza nel loro stato di reciproca separazione. Perché in generale si possa produrre, essi si devono unire. Il modoparticolare (die Art und Weise) nel quale viene realizzata questa unione distingue le varie epoche economiche dellastruttura della società”11. La continuità reale di un intero processo storico (delimitato da un grande contesto geografico, asiatico-europeo, nelcaso di Marx) trova, in questo passo, sia l’oggetto della sua permanenza, la struttura economica (la reale Basis), sia lefasi del suo movimento antagonista: i modi di produzione e le diverse formazioni sociali; e mostra anche l’intimacostituzione dialettica dell’intero processo. Se il problema della continuità, attraverso questa ridefinizione-correzionedella categoria di “formazione economico-sociale”, viene in qualche modo avviato verso risultati più chiari e sicuri(e vedremo in seguito più precisamente), rimane però ancora aperto il problema della discontinuità. In tal senso Lu -porini si richiama all’esigenza di Lenin, e cioè quella di trovare un “criterio oggettivo”, che dia ragione del passaggioda una formazione sociale ad un’altra. Secondo Luporini questo criterio è contenuto nella “legge generale delle for -mazioni sociali”, che è formulata da Marx nei Grundrisse: “In tutte le forme di società vi è una determinata produ-zione che decide del rango e dell’influenza delle altre, e i cui rapporti decidono del rango e dell’influenza di tutti glialtri”12. Questa legge porta in primo piano, necessariamente, il problema del rapporto tra “formazione sociale” e“modo di produzione”. Scrive Luporini: “per modo di produzione si deve intendere la maniera (Art und Weise) in cuivariamente si connettono tra loro i due fattori della produzione. Purché a questa Art und Weis non si dia soltanto unsignificato tecnico-materiale, ma si concepisca come ‘unità’ delle condizioni materiali e delle condizioni sociali dellaproduzione stessa: ciò che dà alla produzione la sua immancabile e determinante ‘forma sociale’…Il ‘modo di pro-duzione’ è dunque in generale un sistema complesso in cui una forma di produzione domina sulle altre, anche eredi -tate dal passato, dando ad esse la propria impronta (per esempio la rendita fondiaria nel capitalismo). Esso generaquindi necessariamente una determinata ‘formazione sociale’, o un determinato tipo di formazione sociale. La ‘for -mazione sociale’, nell’uso rigoroso dell’espressione, non può essere concepita come eventuale compresenza o com-binazione empirica di diversi modi di produzione”13. Per Luporini Marx ha così prodotto una nozione di “tipo”, relativa alla “formazione sociale”, ma che non è, fonda-mentalmente, uno strumento per raggiungere una corretta “applicazione scientifica” dei principi scoperti nel Capita-le, come invece credeva Lenin in relazione alla possibilità di correlare differenze e comunanze proprie di “sistemi didiversi paesi”. La “tipizzazione” operata da Marx ha valore epistemologico e metodologico. “Dal punto di vista me-

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todico – scrive Luporini – Marx nel Capitale non ha affatto separato (empiricamente) ciò che accomuna da ciò chedistingue ‘i sistemi dei diversi paesi’, ma, cose del tutto diversa, ha dato la possibilità di farlo…portando alla luce lastruttura formale del modo di produzione capitalistico, e con essa i meccanismi che lo fanno funzionale”14. Marxnon compie quindi delle separazioni (e degli avvicinamenti) di carattere classificatorio, ma compie una separazionepreliminare che permette di allontanare dalla riflessione tutti gli elementi empirici accidentali di disturbo, e che con -siste nel rivolgersi al “piano strutturale” (la determinata produzione che domina le altre, e i cui rapporti dominanogli altri), il quale denota, in maniera essenziale, il “tipo” di formazione sociale (o economico-sociale) che si ha difronte. Marx ci dà egli stesso una rappresentazione di questo criterio metodico. Dice nel Capitale, in una nota: “Perconcepire l’oggetto dell’indagine nella sua purezza, libero da circostanze secondarie perturbatrici, qui dobbiamoconsiderare tutto il mondo del commercio come una nazione e dobbiamo presupporre che la produzione capitalisti -ca si dia stabilita dappertutto e si sia impadronita di tutti i rami dell’industria”15. A tal proposito Luporini pensa cheil criterio metodico qui rappresentato sia in esecuzione in tutto il Capitale, e così commenta: “Tale rappresentazionemette in luce indirettamente il carattere tipizzante del procedimento di Marx e del suo risultato…Una tipizzazionesui generis non essendo ottenuta o costruita per via empirico-deduttiva, né tanto meno intuizionale, ma attraversouna concettualizzazione che dà conto del funzionamento di un meccanismo nascosto di cui si vedono e vivono glieffetti…Questa tipizzazione rende possibili le applicazioni differenziali dell’analisi compiuta da Marx nel Capitale al‘sistema dei diversi paesi’, nonostante le loro diversità storico-ambientali e di livello economico, una volta che in essisi sia impiantato con sufficiente potenzialità di sviluppo il modo di produzione capitalistico. Questo effetto di tipiz-zazione credo sia da ritenere estendibile, mutatis mutandis, a ogni modo di produzione in quanto dà luogo a ciò che sichiama ‘formazione sociale’ (o economico-sociale). Penso cioè che esso abbia una validità categoriale”16. Ora, guardando specificatamente allo sviluppo della formazione sociale capitalistica, Luporini fa notare che ciò chein essa c’è di tipizzante, il suo carattere fondamentalmente estendibile a situazioni diverse, entra in rapporto dialetti -co con la “natura” stessa del modo di produzione capitalistico e cioè con il suo sviluppo necessario a livello mon -diale. In questo senso la creazione del mercato mondiale (per la prima volta nella storia) non può considerarsi unaderivazione accidentale (solo empirica) della formazione sociale capitalistica. Conclude Luporini: “Questi due lati –cioè quello tipizzante che collega idealmente tra loro ‘i sistemi di diversi paesi’ e quello per cui la formazione socialecapitalistica si attua come unico sistema reale (sistema di sistemi), ancorché internamente antagonistico e diseguale –sono indubbiamente ambedue presenti di fatto in Marx. Ma non si può dire che egli abbia concettualizzato tale nes-so, cioè la reciprocità dialettica dei due lati stessi. In essa tuttavia è insita quella potenzialità da cui è scaturita l’ultimafase del capitalismo, quella imperialistica”17.

Questioni sistematiche: continuità e discontinuitàAnche se Lenin ha prodotto una nozione diversa di formazione economico-sociale rispetto a Marx, egli ne ha peròindividuato un punto centrale: quello di considerarla, in quanto formazione sociale, una interpretazione globale dellasocietà. L’accento sull’“economico”, come parte determinante e soverchiante, permette di isolare i rapporti di pro -duzione da tutti gli altri, ma anche di intenderli come fondamento di una globalità di rapporti che da essi si genera-no (il Capitale, infatti, non è solo scheletro). Secondo Sereni Lenin è in grado di interpretare il Capitale di Marx comemodello di siffatta globalità perché egli compie un’associazione/integrazione tra il taglio verticale, che mette in luceil lato struttural-economico, e, in generale il “piano storico”. Questo piano è quello della totalità e dell’unità di tuttele sfere della vita sociale, nella continuità e, al tempo stesso nella discontinuità del suo sviluppo. Dunque in Lenin, a giudizio di Sereni, vi è una sottolineatura del “piano storico” (simmetria alla sottolineatura dellaparte privilegiata spettante ai rapporti di produzione), la quale permette l’interpretazione corretta del Capitale diMarx. Secondo Luporini tale impostazione è di schietto stampo storicistico e quindi del tutto fuori bersaglio. Pensa-re come Sereni, per Luporini, “è come dire: signori, nella storia c’è tutto. E come no? Ma non si è fatto un passoavanti, anzi si è stabilita un’estrema confusione. Resta infatti esclusa dall’indagine la domanda principale che è sem-pre la medesima per ognuno dei temi considerati: la domanda del come. Come si produce nel Capitale di Marx ladetta integrazione che consente a Lenin di associare, ecc., ecc.?...E inoltre: come da questa, chiamiamola pureunità/totalità di una formazione sociale si passa alla presunta continuità/discontinuità del processo storico (anzi,addirittura a una sua unità/totalità)?”18.

Questioni sistematiche: unità e totalitàA giudizio di Luporini il problema fondamentale da valutare, in merito all’impostazione marxiana, è quello del rap -porto (di corrispondenza e di distinzione) tra l’esigenza di dare una interpretazione non relativistica e casualistica delpercorso storico (continuità/discontinuità del suo sviluppo) e la costituzione di un modello astratto formale (di uni -tà e totalità) che, rivolto all’”attuale società” ne concepisca anche la genesi, senza però ridursi a semplice descrizionestorica. Per permettere l’illuminarsi di questo rapporto è essenziale che la distinzione tra continuità/discontinuità eunità/totalità (distinzione che non esiste più in Sereni) resti ferma, altrimenti non è evitabile la riduzione della teoriamarxiana esposta nella Prefazione del 1859 a una filosofia della storia, ad una “storia di disegno”, come avrebbedetto Labriola. In merito a tale problematica centrale occorre stare molto attenti. La concezione di Marx non si sot-trae al problema fondamentale, di fatto posto da Hegel, e cioè che cosa tiene insieme il corso storico dell’umanità egli fornisce un senso progressivo; solo che la risposta marxiana è, scrive Luporini, “una risposta non idealistica e

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non teleologica”. E continua: “il ‘senso progressivo’ stesso non è presupposto o riconosciuto preliminarmente o,comunque, ricavato come una necessità a priori, ma è legato (condizionato) esso stesso alla verifica di quell’ipotesi.L’avvio di questa risposta è reso possibile proprio dal fatto che viene criticamente scalzato da un problema di totali-tà, almeno a parte ante (ma ciò è sufficiente per spezzarne il carattere speculativo). Certo vengono fornite alcune caratteristiche essenziali del modo di essere umano che viene fatto coincidere, quasiontologicamente, con modi di produzione, ma questa è una risposta sistematica, di validità permanente, trasversale,per così dire, all’indagine storiografica, che non produce di per sé alcuna totalizzazione dell’effettivo corso storico etanto meno una sua unificazione”19. Marx non esclude il problema dell’ontologia, anzi lo pone in primo piano (pia -no da definire e costruire ex novo, fuori e contro la tradizione filosofica; qui sta il significato di quel “quasi”), manon fa discendere da esso, inevitabilmente, l’autorizzazione ad un’interpretazione della storia come se fosse una“grande-narrazione” del percorso di un Soggetto da un’Origine ad un Fine. Marx esclude, nei processi oggettivi sto-rico-empirici, ogni teleologia, che è, invece, presente soltanto nell’agire finalistico umano, cioè nel lavoro. Scrive Luporini: “Le concezioni unificanti-totalizzanti (e teleologiche) della storia umana, come quella di Hegel,sono demistificate da Marx come proiezioni metafisiche di un fatto storico reale ed empirico, la unificazione e tota -lizzazione (usiamo pure questi termini) prodotta dall’instaurarsi di un ‘mercato mondiale’ ad opera del modo di pro -duzione borghese”20. Il problema generale della storia e della storicità è così “filtrato” in Marx attraverso il proble-ma determinato di quel processo storico che ha condotto alla costituzione del modo di produzione capitalistico edella società borghese. A questo livello si produce certamente una totalizzazione, ma essa è confacente ad un pro-cesso reale e cioè all’effettiva mondializzazione della produzione e del mercato capitalistici, che investono di sé or -mai l’intero genere umano (che in qualche misura diviene, per questo e per la prima volta, un soggetto unitario con-creto). Marx sa benissimo che la sua periodizzazione delle formazioni sociali in quanto epoche, non esauriscono pernulla i passati del genere umano. “Il suo problema – scrive Luporini – è però quello di avere una teoria funzionale alproblema del percorso storico (in sostanza il processo storico della proprietà privata) che ha condotto al modo diproduzione capitalistico. Perciò egli isola una sia pur ragguardevole tranche di storia su una tematica che è indubbia -mente di continuità (forze produttive, formazione economica della società) e di discontinuità (modi di produzione,formazioni sociali)”21. Questa continuità, se guardata da un angolo visuale ristretto (quello dogmatico-deterministi -co), può assumere un carattere assolutamente necessitante; ma questa è un’apparenza fuorviante poiché, nel caso diMarx, si tratta di un procedimento a posteriori. Anzi è la stessa classica rigida contrapposizione tra apriori e aposte -riori che è inadeguata a capire l’essenziale del metodo di Marx, poiché egli tenta di illustrare una processualità chenon è mai comunque un flusso omogeneo. Tutto questo non esclude l’importanza di comprendere il significato rea -le della relazione di continuità presente nel corso storico. Quest’ultimo, scrive Luporini, “è senza dubbio empirico (ed è non-teleologico), ma esso si produce sempre in de -terminate forme. Ora, a prescindere dagli aspetti generali costanti di esse, tali forme in quanto via via specifiche dideterminati modi di produzione non esistono sistematicamente, cioè come non-collegate fra loro, come semplice -mente sorrette dall’empirico corso storico che le produce, quasi in una specie di rapsodia. Al contrario: esse sonocollegate fra loro in quanto forme, nella logica (cioè nell’interna necessità) di quel determinato modo di produzione.È il lato di verità dello strutturalismo, anticipato da Marx. Esse via via comandano il corso storico che empiricamen-te ne produce i sistemi. Questa situazione intrinsecamente dialettica è analizzata e ricostruita passo passo da Marxnel Capitale per il modo di produzione borghese. Il rapporto in esso fra empirico e formale, fra sviluppo (sistemati-co) delle ‘forme’ e attuosità e processualità empirica è la chiave di volta di tutta l’opera” 22. Un’impostazione determi-nistica e storicistica non può comprendere questa posizione marxiana e tanto meno la natura della categoria di ne-cessità ivi utilizzata. In Marx è indubbio che via una “necessità”, “ma del tipo soltanto strutturale (relativo cioè aglieffetti delle strutture o ‘forme’ sui processi) che lascia perciò gioco – ma non uno spazio teorico indefinito – allaspontaneità empirica, attraverso le possibilità reali che vengono determinandosi, o che sono determinate dalle strut -ture stesse”23. E concludendo questa serie di argomentazioni Luporini continua: “(In Marx) una logica di funziona -mento-evoluzione (e le relative leggi) può imporsi con il suo carattere necessitante solo all’interno di un determinatomodo di produzione. L’origine di esso (così come del resto la sua fine), cioè il suo nesso con un altro modo di pro-duzione, non è con ciò devoluta a una assoluta indeterminatezza empirica, ma una serie di possibilità reali – serie ecombinazioni di condizionamenti, e quindi di ipotesi – che possono presentarsi in alternativa”24.

Questioni sistematiche: statico e dinamicoTutto il procedimento marxiano è anche osservabile sotto il taglio categoriale che scaturisce dalla coppia statico/di -namico. Ma a questa coppia non va applicata una considerazione di valore (negativo=statico, positivo=dinamico),bensì una di ordine sistematico. Luporini cerca di individuare questa strada puntando l’attenzione sull’interna strut-tura del Capitale. L’oggetto iniziale del Capitale, la circolazione delle merci, è senza dubbio dinamico. Questa dinami-cità rimane evidente anche nella riduzione della circolazione delle merci al suo minimo termine: il processo di scam -bio. A questo punto Luporini, come già aveva fatto in Realtà e storicità, introduce però una constatazione che divieneun problema: Marx non inizia la sua analisi dal processo di scambio (che è infatti il titolo del secondo capitolo delprimo libro del Capitale), ma dalla forma di merce. La spiegazione di questo fatto sta nella particolare natura del mo-dello scientifico che è il Capitale: l’inizio di Marx è formale e non empirico; “tutto il Capitale di Marx – scrive Lupori-ni – è uno sviluppo (in senso sistematico, non storico) di forme”25. Questo accesso formale non è la trasposizione

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sistematica (e inevitabilmente semplicistica) di una descrizione storico-empirica, ma l’inaugurazione di un taglioscientifico diverso. Scrive Luporini: “Lo sviluppo (sistematico, non storico) delle ‘forme’ (al plurale) nel Capitale è ra-dicalmente differenziato dalla attuosità e processualità dei loro contenuti: che appunto perciò possono comparirenel loro carattere proprio di empiricità, e divenire accessibili in quanto empirici. Credo che questo sia, gnoseologica-mente, il punto più importante da cogliere: il carattere scientifico proprio del Capitale consiste nell’aver stabilito, oscoperto, un accesso non empirico (morfologico, strutturale) sull’empiria”26. Esistono quindi in Marx due piani pro-fondamente diversificati, quello dello sviluppo e successione delle forme e quello della processualità empirica, chesono collegati da una doppia relazione: lo sviluppo delle forme viene rappresentato come generato dalla processua -lità empirica, ma, in pari tempo, quest’ultima è comandata sistematicamente dal generarsi delle forme. Questo è ilrapporto (con un verso obbligato) che Luporini, in Realtà e storicità, aveva costituito tra le categorie di genetico-for-male e di genetico-storico. In questo rapporto e nella sua corretta interpretazione risiede la possibilità di attivare unaccesso non empirico all’empiria: accesso che è l’unico in grado di illuminare realmente quest’ultima, proprio perchéessa, in Marx, non è considerata un’entità semplice immediatamente data, ma una complessità articolata, intimamen-te dialettica. (In Marx la realtà è sensibile/soprasensibile e non si dà nel suo nesso semplicemente attraverso lo sve -lamento ideologico, con un’eliminazione delle “ubbie idealistiche” – diceva Luporini in Realtà e storicità). È dunque importante capire la demarchi, la mossa iniziale di Marx. Egli parte dalla constatazione empirica della“immane raccolta di merci”, relativa alla “attuale società”, cioè al modo di produzione borghese”; ma questa nozio-ne non è affatto anticipata e immortalata: essa deve venire costruita; e questa sarà infatti l’intera opera del Capitale.Questa constatazione iniziale è ridotta da Marx al suo nucleo elementare, la merce; e in questa operazione si apre ladimensione sistematica. Scrive Luporini: “La domanda è dunque: che cosa è ‘merce’ indipendentemente e prima delmodo di produzione capitalistico? È una domanda puramente sistematica che inizialmente sospende ogni riferimen-to alla storia e alla storicità. Non per escluderlo, ma possibilmente per guadagnarlo all’interno dell’impostazione si -stematica stessa. Se ciò non dovesse riuscire la ricerca sarebbe fallita. È già evidente che l’accesso alla storia non po-trà essere guadagnato se non attraverso un accesso all’empiria che comporti la riduzione di essa al piano sistematicostabilito inizialmente…Il che significa che il principio empirico ‘merce’ da cui si prendono le mosse deve essere im-mediatamente spogliato della sua empiricità in un modo che risulti criticamente appropriato alla natura di ciò cheviene designato con la parola ‘merce’”27. L’inizio di Marx è quindi di natura fenomenologia, ed è questa l’unica possibilità di soddisfare l’esigenza sistematica.La natura di questo inizio è rappresentata chiaramente da Marx in un passo delle Glosse a Wagner (1881-1882), in cuisi dice: “Ciò da cui parto è la forma più semplice in cui si presenta il prodotto del lavoro nell’attuale società, il pro-dotto in quanto ‘merce’. Io analizzo la merce, e precisamente dapprima nella forma in cui essa appare” 28. Commen-ta in proposito Luporini: “Il principio empirico ‘merce’ si dissolve così, quanto alla sua empiricità, non per gradi maimmediatamente, nella problematizzazione di cosa è ‘forma di merce’. D’altra parte questa problematizzazione èpossibile e ha senso solo in quanto ‘forma di merce’ (qualunque cosa essa si rivelerà essere) sia intesa come forma diun ‘apparire’ (cioè di una fenomenicità). Altrimenti ogni legame con il principio empirico ‘merce’…verrebbe meno.Se io chiamo quel presupposto iniziale (la ‘merce’) un ‘principio’ (empirico) non credo affatto di forzare entro unprecostituito schema epistemologico la mossa iniziale di Marx: credo, anzi, di essergli strettamente fedele. La rap-presentazione ‘merce’ (cioè la merce quale è denominata nell’esperienza e nel linguaggio ordinari) stabilisce infatti inMarx, immediatamente, un campo teorico determinato cui egli dà un nome (evidentemente convenzionale): ‘mondodelle merci’ (Warenwelt). L’astrazione designata così da Marx non è però arbitraria (convenzionale è solo il nome), perché essa è significativanon per se stessa (in questo caso non sarebbe altro se non una duplicazione dell’espressione meramente rappresen-tazionale ‘raccolta di merci’), ma è significativa in relazione a una nozione, o concetto, che funge da ipotesi: la no-zione di ‘società’ di ‘produttori di merci’. È un concetto costruito con la ‘forza dell’astrazione’, ma anch’esso nonarbitrariamente, bensì necessariamente, sulla base dell’unico elemento concettuale che possediamo nella rappresen-tazione empirica ‘merce’, o che comunque possiamo e dobbiamo associare con essa: e cioè che la merce è un ‘pro -dotto del lavoro’”29. La presenza di questo elemento concettuale fa si che la prima sezione del Capitale non è soltan-to una fenomenologia. L’analisi fenomenologia come tale mostrerebbe semplicemente la relazione di rinvio tra il“valore di scambio” e il “valore” come una relazione ad una incognita, mentre non è così:. Questa incognita vienecostruita progressivamente: “Quella prima sezione – scrive Luporini – è invece un intreccio di analisi fenomenolo -gia e costruzione concettuale”30. Questo intreccio mostra la necessità dell’analisi fenomenologia, ma descrive anchela struttura interna del Capitale, dove, nel momento in cui procede l’analisi delle “forme” (strutturali), irrompe sem-pre più abbondantemente il “contenuto” (empirico-storico), quella “mole prodigiosa di dati” di cui parlava Lenin inChe cosa sono gli amici del popolo?. Scrive Luporini: “Il contenuto empirico viene così immesso nella costruzione siste-matica. Ciò non sarebbe possibile se quelle ‘forme’ non fossero innanzitutto forme di un apparire, cioè senza lacomponente fenomenologia. L’interferire della costruzione concettuale – a partire dal campo teorico ‘mondo dellemerci’ della nozione di merce come ‘prodotto del lavoro’ (nozione, ripetiamo, di per sé non fenomenologica’) –produce nell’analisi fenomenologia (è qui che entra in opera la ‘forza dell’astrazione’, è qui che essa si determina insenso specifico) la scoperta di ciò che sta al di là dell’apparenza fenomenica…la scoperta, potremmo dire, dei ‘motireali’ dietro i ‘moti apparenti’”31. La costruzione concettuale è indirizzata sulla merce come soggetto reale (non sol -tanto epistemologico), perché coinvolge essenzialmente le sue condizioni di esistenza; la merce è quindi “soggetto

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reale di processi reali”32. Ma è soggetto reale di una realtà complessa (sensibile/sovrasensibile), che non corrispondetotalmente con la superficie dei dati empiro-fenomenici. A questo livello Luporini introduce un breve, ma impor-tante, excursus in merito ad una posizione centrale di Althusser. È noto che, secondo il filosofo francese, Marx ere -dita da Hegel l’idea di processo senza soggetto. Luporini è decisamente contrario a questa posizione: Marx critican-do Hegel punta la sua attenzione sulla costituzione reale dei soggetti, non sulla loro esistenza: “per Marx – scriveLuporini – è inconcepibile un qualsiasi processo senza soggetto”33. Ma, secondo Luporini, la posizione di Althusser,pur nella sua incongruità, contiene (indirettamente) due verità profonde: in primo luogo “che il soggetto reale deiprocessi umano-sociali non è quello dato empiricamente o nell’apparenza fenomenica; non è quello che si vede, maquello a cui corrisponde una costruzione concettuale (‘rispecchiamento ideale’) la quale fa capire ciò che si vede e siesperimenta quotidianamente”34; e, in secondo luogo che, in merito all’interpretazione della storia (e alla critica diogni filosofia della storia) è vero che il Marx maturo rifiuta l’idea di un soggetto narrante, protagonista di una “sto-ria a disegno” (e questa posizione non è ereditata da Hegel, ma esperita contro di lui). Anche qui, come in Realtà e storicità, è da segnalare il particolare rapporto ambivalente che si costituisce tra Althus-ser e Luporini. Secondo quest’ultimo, il filosofo francese produce, attraverso una serie di intuizioni metodologichegeniali, un campo interpretativo del pensiero marxiano essenzialmente corretto e, soprattutto, innovativo, il qualeperò, nella sua costruzione complessiva (e in tutte le sue conseguenze), non si sviluppa appieno, perché intervengo -no, a guisa di fattori bloccanti, alcune posizioni estreme erronee e fuorvianti: quella che abbiamo enunciato sopra,quello in merito all’umanesimo di Marx e, in generale, quella relativa all’indispensabilità (e spregiudicatezza) di una“lettura sintomale” dei testi. Infatti il titolo del saggio di Luporini che stiamo analizzando, Marx secondo Marx, èstato scelto in chiaro taglio polemico nei confronti di Althusser35. Dopo questo breve excursus, Luporini torna allaquestione principale: la coppia interpretativa statico/dinamico. È costitutivo per le “forme” di cui parla Marx il rife -rimento ad un contenuto di atti e processi empirici, cioè ad una materia in movimento, “dinamica”. Se il “dinamico”va a riferirsi ai contenuti storico-empirici, lo “statico”, per contrasto, deve segnalare una caratteristica delle “forme”.Esse, infatti, non mutano, non si sviluppano, ma soltanto si succedono e si complicano nella costruzione sistemati-ca. La forma semplice di merce, o di valore, resta sempre quella che è, e così pure la sua forma completa o perfetta:la “forma di denaro”. “Le forme – scrive Luporini – sono statiche, non per ragioni lessicali, ma perché tali risultanoall’interno del contesto problematico-concettuale a cui vengono riportate, in confronto (in questo caso) con la dina-micità dei loro contenuti”36. L’opposizione epistemologica statico/dinamico non va assolutamente irrigidita in un quadro di giudizi di valore, néva eternizzata come coppia categoriale omnicomprensiva. Essa indica una differenza sistematica (che rimanda a unadifferenza ontologica): se i processi reali storico-empirici, nella loro caratteristica essenziale di mutabilità, possonoessere designati complessivamente e generalmente nella categoria di “dinamico”, lo “statico”, di converso, indica laperduranza strutturale delle forme, la loro caratteristica sistematica peculiare. Luporini utilizzando questa opposizio-ne epistemologica non vuole affatto produrre una semplicistica e rassicurante via interpretativa, ma, bensì, puntarel’attenzione proprio sul contrasto, sulla contraddizione dialettica tra le forme (sistematiche, “statiche”) e i contenuti(storico-empirici, “dinamici”); contrasto che non introduce un principio differenzialistico, un’”incongruità episte-mologica”, ma che indica una relazione complessa, dialettica, penetrando la quale, e solo così, è possibile illuminarela costituzione della realtà (in particolare la realtà del sistema borghese), secondo Marx.

Questioni sistematiche: l’ingresso della storiaQuesta relazione complessa è senz’altro fondata su una dissociazione: quella fra “forme” (strutturali, statiche) e“contenuti” (empirici, dinamici), ma, a questo punto, il problema diviene relativo alla loro articolazione. Si domandaLuporini: “Come quelle ‘forme’ si applicano a quei ‘contenuti’, una volta che sono stati resi reciprocamente eteroge -nei, fino al punto di poter dire le une statiche, gli altri dinamici? Ovvero come questi ultimi recepiscono le forme nelloro seno, anzi, eventualmente, le partoriscono da esso, pur essendone diretti e comandati?”37. Se l’ipotesi iniziale èche dette forme siano forme dell’attuosità e della processualità empirica, e prima di tutto del suo apparire, allora, perrispondere alle domande citate, bisogna porre un’ulteriore questione: qual è il termine intermedio che rende possibi -le l’applicazione? Qual è la struttura o forma propria di quei contenuti dinamici in quanto tali? E in astratto, qualeforma rende possibile l’applicazione di una forma? Le risposte a queste domande sono contenute nel Capitale, e tut-to il suo criticismo ne dipende. Nel primo capitolo dell’opera principale di Marx si passa dalla trattazione della for-ma semplice di merce, o di valore, a quella completa, cioè alla “forma di denaro”. Un punto nodale di questa tratta -zione è quello in cui si analizza la “forma generale di equivalente” come una forma del valore in genere. Qui siamo alla soglia del passaggio sistematico della “forma generale di valore” alla “forma di denaro”. Scrive Marx:“Una merce si trova in forma generale di equivalente solo perché e in quanto viene esclusa da tutte le altre merci,come equivalente. E solo dal momento nel quale questa esclusione si limita definitivamente a un genere specifico dimerci, la forma unitaria relativa di valore del mondo delle merci ha raggiunto consistenza oggettiva e validità gene-ralmente sociale. Ora il genere specifico di merci con la cui forma naturale s’è venuta identificando man mano so-cialmente la forma di equivalente, diventa merce denaro, ossia funzione come denaro” 38. In questo passo Marxavanza un’esigenza funzionale al “mondo delle merci”, perché esso possa esistere socialmente, e cioè l’esigenza del -lo stabilizzarsi in un “genere specifico di merci” della “forma generale di equivalente”. Qui avviene un fatto di gran -de rilevanza epistemologica: il necessario riferimento all’empiria non è più ad una qualsiasi empiria, ma ad una carat -

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terizzata quale storica.Si ha, così, il primo ingresso della storia nella problematica del Capitale. Scrive Luporini: “(Questo) è un ingresso an-cora puramente esigenziale, se lo consideriamo (come si deve) a partire dalla struttura sistematica. Tuttavia ha giàqualche caratterizzazione specifica: ci si riferisce a un ‘momento’ (Augemblick) in cui qualche cosa si stabilizza definitivamente (endgulting). Questo ‘momento’ a sua volta è visto comepunto di arrivo dell’intrecciarsi o concrescere (verwachsen) – cioè dello identificarsi sociale – di una ‘forma naturale’con la funzione di generale equivalente (cioè con la ‘forma di equivalente’ che è appunto sociale e non ‘naturale’).Senza tale riferimento a un siffatto prodursi storico-processuale (scandito però da un ‘momento’ di specifica stabi -lizzazione) il passaggio sistematico alla forma di denaro non sarebbe possibile” 39. Nel primo capitolo del Capitalel’ingresso della storia ha il carattere di una semplice anticipazione, ma, nonostante questo indica un fatto importantee cioè che questo primo capitolo non sta in piedi da solo, ma solo nell’ipotesi che esista una soluzione sistematicaalla presenza della realtà empirica rappresentata dall’esistenza storica del denaro come mezzo della circolazione dellemerci. Questa soluzione Marx la costruisce ricominciando l’analisi da un’angolatura diversa, nel secondo capitolo, affron-tando il processo di scambio. In questo capitolo, il quale dipende necessariamente (sistematicamente) dal primo,Marx valuta il processo di scambio nella sua forma elementare di atto di scambio. Il semplice atto di scambio apparecomandato dalla forma semplice di merce (o di valore): esso obbedisce, necessariamente, alla sua struttura asimme -trica (forma di valore relativa e forma di equivalente), proprio perché già in ipotesi ciò che si scambia sono appuntomerci. Qui infatti non si esce dal campo teorico “mondo delle merci” e dalla ipotesi “società di produttori dimerci”. Ciò che è importante rilevare è che Marx ritiene possibile l’applicazione di una forma elementare (la formasemplice di merce) ad un contenuto dinamico (il processo di scambio). Per Marx questa possibilità è reale solo allacondizione che il semplice scambio di due merci ha già una struttura o forma sua propria diversa, in quanto atto,dalla forma di merce da cui pure viene comandata; ecco, cioè, la forma che permette l’applicazione di una forma. Questa nuova forma, in qualche modo, modifica la precedente struttura statica a guisa di retroazione, diciamo, epi-stemologica, su di essa. Scrive Luporini: “la prima è la ‘forma’ dell’oggetto ‘merce’ (oggetto‘sensibile-sovrasensibile’), forma stabilita in vista o in funzione dello scambio; mentre la seconda è la forma dell’atto(di scambio), forma stabilita in quanto gli oggetti dello scambio sono ‘merci’. Ma non si tratta di due forme pariteti -che che vengono giustapposte o semplicemente combinate. La seconda si rivela piuttosto essere la modalità (l’unicamodalità possibile) di applicazione della prima alla propria materia empirica, cioè, in objecto, la modalità in cui essa siattua o effettua. L’importante è che questa modalità si presenta appunto con una propria forma, che se è una formad’attuazione della precedente (forma del comandare di questa) è in pari tempo forma dell’assunzione in essa delcontenuto empirico-dinamico”40. Le due forme in questione hanno in verità gli stessi ingredienti, fatto salvo per laseconda all’aggiunta della figura dei “possessori di merce”. Questa aggiunta modifica il livello epistemologico e per -mette la retroazione sulla prima forma mentre la realizza. Vediamo più in concreto. L’analisi della forma semplice oelementare di valore coinvolge due strutture: la struttura di “cosa di valore” (Werding) e la struttura di “cosa utile”(nitzliches Ding). In questa analisi la seconda struttura funge soltanto da condizione alla prima (una merce non è mer-ce se non è anche un oggetto d’uso). Invece nella forma dell’atto di scambio la struttura “cosa utile” cambia posi -zione: “non sta più – scrive Luporini – soltanto alle spalle (condizione), ma sta anche davanti, diventa un fine (unfine dell’atto stesso)”41. Essa non sta più al di fuori della “forma”, ma vi piomba dentro, appunto, come finalità in-terna. In questa questione la struttura “cosa utile” si scinde distribuendosi inversamente fra i due “possessori dimerci” nei confronti della merce che rispettivamente essi portano al mercato: “Tutte le merci – dice Marx – sonopei loro possessori valori non d’uso e per i loro non possessori valori d’uso. Quindi devono cambiare di mano daogni parte”42. È evidenziata qui una contraddizione che Marx individua plasticamente: “Ma questo cambiamento dimano costituisce il loro scambio, e il loro scambio le riferisce l’una all’altra come valori e le realizza come valori.Dunque, le merci debbono realizzarsi come valori, prima di potersi realizzare come valori d’uso. D’altra parte, lemerci debbono dar prova di sé come valori d’uso, prima di potersi realizzare come valori” 43. Questa contraddizioneè sottolineata da Marx non solo di per sé stessa, ma nei suoi effetti sulla struttura o forma dell’atto di scambio:“Ogni possessore di merci vuole alienare la sua merce soltanto contro altra merce, il cui valore d’uso soddisfi il suobisogno. Fin qui lo scambio è per lui soltanto processo individuale. D’altra parte, egli vuole realizzare la sua mercecome valore, cioè la vuol realizzare in ogni altra merce dello stesso valore, a scelta, sia che la sua propria merce ab -bia o non abbia valore d’uso per il possessore dell’altra merce. Fin qui lo scambio è per lui processo generalmentesociale”44. A livello dell’analisi formale la contraddizione individuata produce una impasse insormontabile se applicata alla real-tà empirica corrispondente45. Tuttavia, di fatto, in questa realtà empirica la difficoltà è stata risolta storicamente conl’introduzione del denaro. Questa introduzione rivela una cosa importante, e cioè che “storicamente la pratica nonha avuto bisogno della teoria”46. Infatti, “la ‘forma denaro’ non può essere sorta per convenzione fra ‘persone’ (giu-ridicamente riconoscentesi, anche se in forme non ancora legali), perché esse si pongono come tali solo nell’atto discambio che, in quanto fatto molecolare di un generale (‘sociale’) processo di scambio di merci, supera la propria in -trinseca contraddittorietà logica e la propria impossibilità reale, solo a patto che sia già sorto il denaro, e quindi siagià in funzione la ‘forma denaro’”47. Perciò in proposito Marx parla per la produzione della forma denaro di azionesociale. Scrive: “Nel loro imbarazzo i nostri possessori di merci pensano come Faust. All’inizio era l’azione. Ecco

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che hanno agito ancor prima di aver pensato. Le leggi della natura delle merci hanno già agito nell’istinto naturaledei possessori di merci. Costoro come merci, soltanto riferendole per opposizione, oggettivamente, a qualsiasi altramerce quale equivalente generale. Questo è il risultato dell’analisi della merce. Ma soltanto l’azione sociale può fare di una merce determinata l’equivalente generale. Quindi l’azione sociale di tut -te le merci esclude una merce determinata nella quale le altre rappresentano universalmente i loro valori. Così la for-ma naturale di questa merce diventa forma di equivalente socialmente valida. Mediante il processo sociale, l’esserequivalente generale diventa funzione sociale specifica della merce esclusa. Così essa diventa denaro”48. Qui Marxevidenzia un effetto di struttura che sotto forma di un processo sociale si è fatto strada nell’empiria e nella storia.Gli uomini, che ne sono il soggetto, “hanno agito prima di aver pensato”, sono cioè tramiti inconsci, meramentepratici, del realizzarsi di quell’effetto. Così, nel Capitale, attraverso l’analisi di una struttura determinata dell’empiria,il processo di scambio, compare per prima volta la “storia”, e non più in forma esigenziale, ma con riferimento adun modo determinato della sua effettualità. “Questo modo – scrive Luporini – è la prassi sociale, in una figura definita di essa la quale importa un agire incon-scio e istintuale degli uomini: non una prassi sociale fondata su un rapporto fra ‘persone’, ma un rapporto fra ‘per -sone’ (riconoscentesi reciprocamente: i possessori di merci’) fondato su tale prassi e dalle soluzioni strutturali (oformali: nella fattispecie, la ‘forma denaro’) affermatesi in essa”49. L’ingresso della prassi, come processo sociale,condiziona, quindi il rimando alla storia, in maniera determinata. In Marx vediamo “come nell’empiria (ormai, sto-ria) si possa costituire la struttura in uno con il prodursi del suo effetto” 50. Siamo qui di fronte a un tipo di causalitàspecifica. Scrive Marx: “L’estensione e l’approfondimento storico dello scambio dispiega l’opposizione latente nellanatura della merce tra valore d’uso e valore. Il bisogno di dare, per gli scopi del commercio, una presentazione ester -na di tale opposizione, spinge verso una forma indipendente del valore delle merci; e non s’acquieta e non posa finoa che tale forma non è definitivamente raggiunta mediante il raddoppiamento della merce in merce e denaro. Quin-di, la trasformazione della merce in denaro si compie nella stessa misura della trasformazione dei prodotti del lavoroin merci”51. Commenta Luporini: “L’effetto della struttura dunque precede il costituirsi della struttura stessa (è uneffetto della sua latenza, derivato, nella fattispecie, dalla natura di ‘merce’ che alcuni prodotti del lavoro hanno acqui-sito o vengono acquisendo) e guida un processo (storico) che dapprima è un processo graduale e a tentoni, finchénon si sta costituita nella sua pienezza la struttura stessa, e come tale possa funzionare”52. In questo modo è chiama-ta in causa da Marx la storia: non già con una stabilita forma caratterizzante (una forma di sviluppo), ma come qual -cosa che comunque assume la figura di “processo sociale” (effetto e causa del presentarsi delle forme). Nel Capitale, Marx esemplifica in uno schizzo questo processo: “Per un oggetto d’uso la prima maniera d’essere, vir -tualmente, valore di scambio, è la sua esistenza come non-valore d’uso, come quantità di valore d’uso eccedente i bi-sogni immediati del suo possessore. Le cose, prese in sé e per sé, sono esterne all’uomo, e quindi alienabili. Affinchétale alienazione sia reciproca gli uomini hanno bisogno solo di comportarsi tacitamente come proprietari privati diquelle cose alienabili, e proprio perciò di affrontarsi come persone indipendenti l’una dall’altra. Tuttavia tale rappor-to di reciproca estraneità non esiste per i membri di una comunità naturale originaria, abbia essa forma di famigliapatriarcale, di comunità paleoindiana, di Stato degli Incas, ecc. Lo scambio di merci comincia dove finiscono le co -munità, ai loro punti di contatto con comunità estranee o con membri di comunità estranee. Ma, una volta le cosedivenute merci nella vita esterna della comunità, esse diventano tali per reazione anche nella vita interna di esse. Inun primo momento il loro rapporto quantitativo di scambio è completamente casuale. Sono scambiabili per l’atto divolontà dei loro possessori di alienarsele reciprocamente. Intanto, il bisogno di oggetti d’uso altrui si consolida apoco a poco. La continua ripetizione dello scambio fa di quest’ultimo un processo sociale regolare. Quindi nel corsodel tempo per lo meno una parte dei prodotti del lavoro dev’essere prodotta con l’intenzione di farne scambio. Daquesto momento in poi si consolida, da una parte, la separazione fra l’utilità delle cose per il bisogno immediato e laloro utilità per lo scambio. Il loro valore d’uso si separa dal loro valore di scambio. Dall’altra parte il rapporto quan -titativo secondo il quale esse vengono scambiate diventa dipendente dalla loro produzione. L’abitudine le fissa comegrandezze di valore”53. Ciò che è importante in questa descrizione del modello di processo storico è il mutarsi delsoggetto della produzione sociale. Inizialmente tale soggetto sono gli uomini, in quanto stretti in una comunità (nonnecessariamente semplice); successivamente questi ultimi si trasformano in meri agenti inconsci della forma di mer-ce (perché la loro coscienza è solamente legata alla immediata intenzione di produrre per lo scambio). Lo stabiliz-zarsi di questa separazione delineata, che ha immediate conseguenze (fissarsi delle “cose” come “grandezze” di va -lore), porta la merce ad essere il soggetto reale della produzione. Il Capitale di Marx, in quanto analisi del modo di produzione borghese, è l’analisi del dispiegarsi e complicarsi dialet -tico-sistematico dello sviluppo di tale soggetto. Scrive Luporini: “Il processo delineato è un processo specifico diprogressiva strutturazione storica, nel senso dell’affermarsi di ‘forme’ nella storia, e contemporaneamente della lorofunzione di guida in essa. Se si deve concettualizzare dunque qualcosa come ‘storia’ (in senso umano-sociale) ‘è evi -dente che questo qualcosa non potrà essere assunto come indifferente o estraneo a tale strutturabilità da parte delle‘forme’ dei possibili rapporti umani in generale e dei rapporti di produzione in particolare: è evidente, cioè, che que -sto qualcosa (la storia) – con tutto ciò che esso implica: processualità, forme della temporalità, forme della prassi(nella dimensione sociale), sistema di linguaggio-comunicazione o di segnalazione e via dicendo – dovrà esserne af -fetto intrinsecamente, nella sua essenza e natura. Categorie come quelle dello ‘accadere’, o della ‘azione’ (di individuio di gruppi), o nessi come quello di ‘individuale-particolare-universale’ (introdotto nel pensiero e nella teoria storio -

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grafici soprattutto dall’idealismo di marca hegeliana), o dei ‘tipi’, e quanti altri mai raggruppamenti o nessi categoria -li sono stati accumulati e si possono rastrellare da alcuni secoli di attività storiografica, dovranno passare dal vaglio edallo stretto varco (a direzione unica) di questa problematica morfologica, o strutturale, se alla storicità della storia sivoglia fornire un accesso o un impianto scientifico. Il Capitale di Marx – benché il suo soggetto sistemologico nonsia propriamente la storia, né tale oggetto sia (direttamente) storico – ci fornisce l’unico modello di una vettorialitàepistemologica che porta dalle ‘forme’ ai contenuti empirici, e dalla generica empiria agli effettivi processi storici. Sitratta non soltanto di un modo possibile di guardare alla storia, ma del criterio stesso fondamentale perché la tratta -zione di essa diventi, appunto, scientifica”54. Questa articolata osservazione di Luporini ci dà il taglio generale dellasua interpretazione. Il Capitale trova un oggetto specifico, che non è propriamente storico, nella critica dell’econo -mia politica, cioè nell’analisi del modello di produzione borghese, ma non è avvicinabile correttamente senza com-prendere le caratteristiche teoriche di un piano più generale (che è poi, nella sua complessità, il Materialismostorico), che lo rende possibile nella sua costituzione. Questo piano, attraverso l’analisi specifica, permette di inaugurare un approccio scientifico (non ideologico) allarealtà (e quindi alla storia) di tipo essenzialmente nuovo, rivoluzionario. Questo è, per Luporini, il grande contributoteorico fornito da Marx (anche se certamente da Marx non concluso); ma tutto questo è stato ereditato? Il marxi -smo, o i marxismi, hanno percorso questa strada? La stessa intrapresa da Marx?

Questioni sistematiche: la “Lettura” engelsiana di MarxL’analisi delle interpretazioni di Marx ci permette di rispondere a queste domande. Luporini si concentra sulla lettu -ra engelsiana e, in specifico, sull’interpretazione metodologica del Capitale, sui famosi “modo logico” e “modo sto -rico”. Già in Realtà e storicità Luporini aveva affrontato questo tema, sostenendo la scorrettezza della posizione diEngels. Ora però questa sua posizione “contro” Engels si approfondisce, tanto da sostenerla causa fondamentale diun originario processo di dogmatizzazione del marxismo. La lettura di Engels ha come centro il modo in cui collocail rapporto tra il metodo di Marx e quello di Hegel. Il testo di riferimento è la recensione di Engels del 1859 al Per lacritica dell’economia politica di Marx. Secondo Engels la questione centrale posta da Marx, ma anche da Hegel, è quelladello sviluppo (in senso sistematico) di una scienza, “nella sua connessione interna”. Se la scienza in questione è la storia, il metodo di Hegel, secondo Engels, fa epoca, è epochemachend. Scrive Engels:“Ciò che distingueva il modo di pensare di Hegel da quello di tutti gli altri filosofi era l’enorme senso storico che necostituiva la base. Per quanto astratta e idealistica fosse la forma, ciò non di meno lo sviluppo del suo pensiero an-dava sempre parallelamente allo sviluppo della storia mondiale, e quest’ultimo non doveva in sostanza essere altroche la prova del primo…Egli fu il primo che cercò di dimostrare l’esistenza nella storia di uno sviluppo, di una coe-sione interiore…Nella fenomenologia, nell’estetica, nella storia della filosofia, dappertutto la materia viene trattatain modo storico, in una certa connessione, sia pure astratta e a rovescio, con la storia”55. Questa posizione di Hegelè, per Engels, il “presupposto teorico diretto” della nuova concezione materialistica di Marx. Però, perché questapotesse sorgere, il metodo di Hegel doveva essere rovesciato: “esso partiva dal pensiero puro, mentre qui si dovevapartire dai fatti più testardi”56. Questo “rovesciamento” è per Engels il grande contributo metodologico fornito da Marx. Luporini non crede chequesta di Engels sia una descrizione corretta del rapporto di Marx con Hegel. Nella recensione di Engels il rapportoMarx-Hegel è rappresentato dalla coppia opposizionale di “pensiero puro” e “fatti testardi”. Invece, nel poscrittomarxiano del 1873 alla seconda edizione del Capitale, Marx contrappone ad Hegel, e al suo “processo di pensiero (oidea)”, il suo “das Materielle”, l’elemento materiale; scrive Marx: “Per Hegel il processo del pensiero, che egli, sotto ilnome di Idea, trasforma addirittura in soggetto indipendente, è il demiurgo del reale, mentre il reale non è che il fe-nomeno esterno del processo del pensiero. Per me, viceversa, l’elemento ideale non è altro che l’elemento materialetrasferito e tradotto nel cervello degli uomini”57. Scrive Luporini: “Per Marx, contro Hegel (esplicitamente), ‘soggetto indipendente’ (nel senso logico-ontologico,non gnoseologico o personalistico di ‘soggetto’) non è l’idea, bensì ‘das Materielle’. Ma anche (implicitamente), con-tro la posizione che abbiamo trovato in Engels, ciò che viene opposto a ‘processo di pensiero’ o ‘pensiero puro’ (ledue formulazioni rispettivamente di Marx e di Engels sono semanticamente coincidenti) non è l’immediatismo posi-tivistico dei ‘fatti testardi’ (nella fattispecie, storici), bensì il materialismo specifico di ‘das Materielle’, termine che rac-chiude tutto ciò che per Marx sono le condizioni della produzione e riproduzione della ‘vita immediata’ (nella fatti -specie, umana o umano-sociale)”58. Dunque per Luporini la posizione engelsiana è essenzialmente positivistica,mentre quella di Marx ne è l’opposto: “La differenza profonda ed essenziale fra l’interpretazione engelsiana el’interpretazione marxiana del ‘capovolgimento’ marxiano è che in quest’ultima non vi è nessun ricorso diretto allaimmediata attualità e alla storicità di essa. Anzi fa parte del suo rigore che questo ricorso diretto venga escluso.L’effetto essenziale del criticismo della marxiana critica dell’economia politica nel suo dispiegarsi è infatti quello diricostruire concettualmente ciò che sta dietro ai fatti fenomenici e che in essi non appare: e questo, e non la sempli -ce descrizione positivistica dei fenomeni, è per Marx, in generale, il compito della scienza”59. È la posizione positivi-stica che permette ad Engels di pensare che la critica dell’economia politica possa essere intrapresa indifferentemen-te in due modi: storicamente o logicamente; e questo perché esiste, secondo lui, un’evoluzione lineare dal più sem-plice al più complesso (che quindi è possibile descrivere sia logicamente che storicamente): “La critica dell’econo-mia, anche dopo che era stato acquisito il metodo, poteva ancora essere intrapresa in due modi: storicamente o logi-

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camente. Poiché nella storia, come suo riflesso letterario, l’evoluzione va pure in sostanza, dai rapporti più sempliciai rapporti più complicati, lo sviluppo storico-letterario dell’economia politica offriva un filo conduttore naturale acui la critica poteva aggrapparsi, e in sostanza le categorie economiche sarebbero apparse anche in questo caso nellostesso ordine che nello sviluppo logico”60. La scelta marxiana del “modo logico” è, per Engels una necessità, ma deltutto pratica, di opportunità di trattazione. Secondo Engels, “Il modo logico di trattare la questione era dunque il solo adatto. Questo non è però altro che ilmodo storico, unicamente spogliato dalla forma storica e degli elementi occasionali perturbatori. Nel modo comeincomincia la storia così deve pure incominciare il corso dei pensieri, e il suo corpo ulteriore non sarà altro che il ri -flesso, in forma astratta e teoricamente conseguente, del corso della storia”61. Questa, commenta Luporini, “è una tipica posizione empiristico-positivistica: con tutte le implicite inestricabili diffi-coltà che si presentano sempre all’empirismo-positivismo di far stare insieme la moltitudine dei fatti empirici, regi-strati come tali, con quanto di oggettivamente sistematico ne rende possibile innanzitutto la stessa individuazione eregistrazione. Nel fatto queste difficoltà vengono eluse e ignorate da Engels con un nascosto ricorso a un essenziali-smo, o quasi-essenzialismo, di marca hegeliana”62. La reductio engelsiana ha come condizione prima, che costituiscela sua coerenza interna, la coincidenza tra l’ordine dello “sviluppo logico” e l’ordine dello “sviluppo storico” (fattua-le), riferendosi entrambi allo stesso genere di percorso, dal più semplice al più complesso, dall’origine al fine. ScriveLuporini: “Tale principio condizionante è ciò che potremmo chiamare lo storicismo di Engels, in tutto coincidentecol suo positivismo dei ‘fatti’ immediati, e insieme col suo hegelismo essenzializzante, nella misura in cui quest’ulti -mo viene astratto all’interno di siffatto positivismo”63. Ora, l’interpretazione che deriva dalla posizione engelsiana è,secondo Luporini, “esattamente il contrario di ciò che pensava Marx”64 e che egli ha esplicitato nei Grundrisse e inparticolare nella Introduzione del 1857. scrive Marx: “Come in generale per ogni scienza storica e sociale nella suc -cessione delle categorie economiche va sempre tenuto presente che, come nella realtà così anche nella mente, il sog-getto è dato, e che quindi le categorie esprimono forme di esistenza, determinazione dell’esistenza, spesso soltantosingoli aspetti di questa determinata società, di questo soggetto, e di conseguenza anche sul piano scientifico l’eco-nomia politica non comincia affatto solo dove si parla di essa come tale. Ciò va tenuto ben presente, poiché fornisceimmediatamente elementi decisivi per la divisione della materia. Nulla sembra ad esempio più naturale del comincia -re la rendita fondiaria…dal momento che essa è legata alla terra…E tuttavia nulla sarebbe più errato”65. Marx respinge il parallelismo individuato da Engels sebbene, al senso comune, esso sembri del tutto “naturale”.Questa opposizione è ancor più chiara direttamente sul piano sistematico: “Sarebbe dunque inopportuno ed erratodisporre le categorie economiche nell’ordine in cui sono state storicamente determinanti. La loro successione è in -vece determinata dalla relazione in cui esse si trovano l’una con l’altra nella moderna società borghese, e questa suc -cessione è esattamente l’inverso di quella che sembra essere la loro successione naturale o di ciò che corrispondealla successione dello sviluppo storico. Non si tratta del posto che i rapporti economici assumono storicamente nelsuccedersi di differenti forme di società. Men che meno della loro successione ‘nell’idea’ (Proudhon), (una rappre -sentazione confusa del movimento storico). Bensì della loro articolazione all’interno della moderna società borghe-se”66. Dunque per Marx non solo il “modo storico” è impraticabile ma, a differenza di Engels, è anche assolutamen-te falso. Di questa importantissima non coincidenza tra Marx ed Engels, Luporini illustra un’ulteriore prova filologi -ca. Sollecitando l’amico perché recensisse il suo libro, Marx, il 22 luglio 1859, scrive ad Engels: “Nel caso che tu neparli non bisognerebbe dimenticare:…che si analizza subito nella sua forma più semplice, quella di merce, il caratte-re specificatamente sociale e niente affatto assoluto della produzione borghese”67. Questa indicazione è, nella recen-sione di Engels, completamente fraintesa; infatti scrive: “Seguendo questo metodo prendiamo come punto di par -tenza il primo e più semplice rapporto che si presenta storicamente, di fatto, cioè, in questo caso, il primo rapportoeconomico che troviamo davanti a noi. Questo rapporto lo scomponiamo, per il fatto che è un rapporto, ne derivagià che esso ha due alti che sono in relazione uno con l’altro. Ognuno di questi lati viene esaminato in sé; da questoesame risulta il modo del loro reciproco rapporto, la loro azione e reazione reciproca. Ne risultano delle contraddi -zioni che richiedono di essere rimosse”68. Qui Engels introduce qualcosa che era del tutto assente nell’indicazione di Marx, e cioè il rimando alla storia eall’immediata attualità; e questo in coerenza con la sua convinzione che il più semplice storico deve essere anche ilpiù semplice nel quadro dello sviluppo sistematico (logico). Infatti, quando Engels, subito dopo, inizia a parlare del -la merce, la sua esposizione è assolutamente confacente con siffatta convinzione: “L’economia politica incominciadalla merce, dal momento (Moment) in cui dei prodotti sono scambiati con altri prodotti, sia da individui singoli cheda comunità primitive. Il prodotto che viene scambiato è merce”69. Così come nella premessa metodica è stata inserita la “storia”, altrettanto si fa nell’esposizione della problematicadella merce, inserendo una designazione temporale (Moment), quale riferimento a un dato originario o originante.“Quella che per Marx – scrive Luporini – è una attualità storica che viene scoperta solo a un certo punto dello svi-luppo sistematico, da Engels è dislocata (necessariamente secondo la sua impostazione) all’inizio di esso, stravolgen-done radicalmente l’andamento critico-sistematico che aveva in Marx”70. In questo contesto, quindi, Engels compieun completo stravolgimento del pensiero di Marx. Marx chiede ad Engels, inutilmente, di mettere in luce ciò che luistesso, più tardi, farà nella Glosse a Wagner, lottando contro l’economia volgare, e cioè la nozione iniziale di “merce”come “più semplice” concretum economico della società borghese, quale risulta dall’analisi microscopica di essa me-diante l’applicazione della “forza d’astrazione” e non da una messa in correlazione della società borghese con la

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propria origine storica. Scrive Luporini: “Criticamente e sistematicamente essenziale alla richiesta che Marx avevafatto ad Engels è che il ‘carattere non assoluto della produzione borghese’ si trova accoppiato al suo carattere ‘speci -ficatamente sociale’ e non al suo carattere storico (qui neppure nominato). Ciò premeva a Marx. È attraverso la de -terminazione critico-sistematica della specificità sociale di un modo di produzione che si scoprirà anche la sua speci -ficità storica (e in questo senso si può parlare di storicità delle categorie economiche) e non viceversa. Altrimenti sisa già che cos’è storia (ideologicamente, cioè borghesemente, lo si sa già!) e con la storia si spiega tutto (cioè nulla).Ma nell’impostazione critica marxiana che cosa è storia lo si sa dopo e non prima; e la determinazione dei modi diproduzione e delle corrispondenti formazioni sociali come ‘stadi’ fondamentali di uno ‘sviluppo storico’ richiedeappunto la determinazione della loro specificità sociale, che è prodotta da un’analisi critico-sistematica differenziale(a partire dall’attuale società), e non dalla storiografia, anche se naturalmente si elabora su dati in senso lato (e classi-co) storici (ovvero descrittivi). Possiamo dire che lo stravolgimento-fraintendimento engelsiano della richiesta diMarx, idealmente autorizzava quei fraintendimenti con cui si troverà alle prese Marx nelle Glosse a Wagner in polemi-ca con Rodbertus e gli economisti volgari, ove non a caso egli deve proprio rettificare, e lo fa sarcasticamente, il rap -porto di logico e storico”71. Lo stravolgimento/fraintendimento di Engels ha gravi conseguenze: introduce nel marxismo il mito dell’origine. Sulpiano della critica della economia politica esso obbliga a storicizzare, come uno stadio a sé, quel “sistema dell’eco-nomia mercantile” (per usare l’espressione di Lenin) che è invece soltanto un momento necessario dell’analisi gene-tico-sistematica del modo di produzione borghese, a cui, in linea di principio, è del tutto indifferente quale “dose” inrealtà storica gli abbia corrisposto. “Ma in linea generale – scrive Luporini – con questa deformazione…si introducenel marxismo il cancro dello storicismo – do cui appunto in Engels esiste il germe – (perfettamente fuso con quellodi una deformazione positivistica e insieme, si è visto, pseudo-hegelistica); cancro che lo ha pervaso ampiamente(ma non in Lenin), e che è una malattia teoretica ma di cui sarebbe poi importante ricercare e vedere lo conseguen -ze di carattere pratico che a chi scrive sembrano andare in direzioni, in ultima analisi, revisionistiche o opportunisti-che, e non in quella rivoluzionaria del marxismo”72.

Materialismo storico e critica dell’economia politicaLa lettura deformante di Engels non solo introduce nel marxismo il “cancro” dello storicismo, ma, con questa ope -razione, rende impossibile la comprensione di un punto fondamentale: il carattere della relazione fondativi che siistituisce tra il materialismo storico e la critica della economia politica. Secondo Luporini la peculiare criticità diMarx si situa esattamente in questo campo teorico. “Il Capitale di Marx – scrive Luporini – reca come sottotitolo‘critica della economia politica’. Il significato storico di questa espressione…è generalmente noto. Non altrettantoben compresa è invece, talvolta, la sua piena portata teorica. Che è indubbiamente complessa, ma di cui importa quirilevare il lato essenziale. Il valore permanente della fondazione critica dell’economia, fornita da Marx, sta anche nel-la possibilità di respingere qualsiasi soggettivismo economico e di mettere fuori causa, come pseudoscientifiche, lecorrelative astrazioni o ipotesi…Questo punto, a mio parere, non sempre è colto dagli stessi economisti marxisti,che giustamente combattono il cosiddetto soggettivismo economico: non è il preteso storicismo della concezioneeconomica marxista a metterlo in scacco (nessuno storicismo, in quanto tale, è in grado di vincere un qualsiasi sog-gettivismo), bensì, all’opposto, quegli elementi sistematici a cui sopra ho accennato, e il tipo di oggettività su cui essisi fondano. Al centro dei quali sta una costante di riferimento (quali che siano le variabili storiche con cui essa ne-cessariamente si compone), che il marxismo esprime nella nozione di ‘produzione e riproduzione della vita materia-le’. Senza di che non avrebbe alcun significato l’isolamento scientifico, nell’insieme della vita sociale, del ‘processoproduttivo’ (in senso economico)”73. Questo brano indica bene in quale direzione, secondo Luporini, occorre guidare per conquistare quel livello di real-tà (con la sua profondità), indispensabile alla critica dell’economia politica. La direzione corretta è indicata dalla no-zione di “produzione e riproduzione della vita materiale”, vale a dire da una nozione che in quanto tale, non appar -tiene all’apparato categoriale della economia politica, ma è propria della teoria del materialismo storico. La proprietàfondativi del materialismo storico viene da Luporini affermata seguendo la determinazione di un punto di vistaobiettivo che dia ragione di un tipo di oggettività complessa e che consenta l’accesso ad una scienza obiettivamentefondata: “Esiste un punto di vista obiettivo…per affacciarsi all’ensemble dei rapporti sociali? Se questo punto di vi-sta…esiste…il metodo ricercato dipenderà da esso e non viceversa…Ora Marx ha individuato un punto di vista chesi impone obiettivamente (con necessità) nella azione di ‘produzione e riproduzione della vita immediata’ proiettataal livello delle scienze umane”74. Tale punto di vista nella teoria del materialismo storico passa dall’essere fondamen-talmente un “canone”, ad assumere un carattere concettuale ed ordinatore nella costruzione della nozione marxianadi “formazione economico-sociale”, con le specifiche caratteristiche che abbiamo visto. Da qui il passaggio fondati -vo tra teoria del materialismo storico e specificità della critica dell’economia politica. La complessa relazione che Lu-porini, in Marx secondo Marx, instaura tra forma-empiria-concetto, e che dà ragione della fondazione metodica del -la critica dell’economia politica, è resa possibile dallo specifico modello teorico che è il materialismo storico (chenon sta solo prima della critica dell’economia politica, ma si costruisce e modifica anche a seguito dei risultati diessa), il quale apre la strada ad un “accesso non empirico dell’empiria”. Cioè ad “un sapere della società che eviti ildoppio scoglio dell’empirismo storicistico e del cattivo apriorismo”75. Ed è proprio sulle caratteristiche fondanti (fi-losofiche) del materialismo storico che si svilupperà la ricerca successiva di Luporini.

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Note

1. C. Luporini, Marx secondo Marx, in DM, pagg. 213-214.2. E. Sereni, “Da Marx a Lenin, la categoria di ‘formazione economico-sociale”, in “Quaderni” di “Critica marxista”, n.

4, 1970, pagg. 29-73.3. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pag. 215.4. Ivi, pag. 216.5. Ivi, pag. 218.6. Ibidem.7. K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma, 1984, pagg. 5-6.8. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pag. 219.9. C. Luporini, “Per l’interpretazione della categoria di formazione economico-sociale”, in “Critica marxista”, n. 2, 1977,

pagg. 7-8 (nota).10. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pag. 220. Tuttavia nel Capitale l’espressione “formazione economico-sociale” è

presente anche nel senso evidenziato da Lenin: ne ricordiamo due esempi: “Le reliquie dei mezzi di lavoro hanno peril giudizio su formazioni economiche delle società scomparse la stessa importanza che la struttura delle reliquie osseeper conoscere l’organizzazione di generi animali estinti”. (K. Marx Il Capitale, Editori Riuniti, Roma, 1980, I, pag. 214).E inoltre: “Solo la forma in cui viene spremuta al produttore immediato, al lavoratore, questo pluslavoro, distingue leformazioni economiche della società”. (Ivi, pag. 250).

11. K. Marx, Il Capitale, cit., II, pag. 41.12. K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1976, pag. 32.13. C. Luporini, “Per l’interpretazione…”, cit., pag. 9.14. Ivi, pag. 10.15. K. Marx, Il Capitale, cit., I, pag. 637, (nota).16. C. Luporini, “Per l’interpretazione…”, cit., pag. 11.17. Ibidem. 18. Luporini riprende questa problematica in merito alla definizione marxiana del “politico” e dello “statuale”, in Critica

della politica e critica dell’economia politica in Marx, del 1978.19. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pag. 223.20. Ivi, pag. 224.21. Ivi, pagg. 224-225.22. Ivi, pag. 225.23. Ivi, pag. 226.24. Ivi, pag. 227.25. Ivi, pag. 228.26. Ivi, pag. 234.27. Ivi, pag. 234-235.28. Ivi, pag. 236. K. Marx, Glosse marginali al “Manuale di economia politica” di Adolph Wagner , in K. Marx, Scritti inediti di econo-

mia politica, Editori Riuniti, Roma, 1963, pag. 175.29. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pag. 237.30. Ivi, pag. 238.31. Ivi, pagg. 238-239.32. Ivi, pag. 238.33. Ivi, pag. 239.34. Ibidem. 35. Luporini non contesta l’esigenza di Althusser verso uno “scavo profondo” nel testo marxiano, ma crede che una “let -

tura sintomale” sia troppo rischiosa, cioè che non dia sufficienti garanzie di “scientificità”. Egli è assai più portato ver -so una accurata ricerca filologica, cosa che infatti rappresenta una costante nel lavoro di Luporini.

36. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pag. 240.37. vi, pag. 241.38. K. Marx, Il Capitale, cit., I, pag. 101.39. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pagg. 242-243.40. Ivi, pagg. 244-245.41. Ivi, pag. 245.42. K. Marx, Il Capitale, cit., I, pag. 118.43. Ibidem.44. Ivi, pagg. 118-119.45. Scrive Marx: “se guardiamo più da vicino, per ogni possessore di merci ogni merce altrui conta come equivalente par-

ticolare della propria merce, e quindi la sua merce conta per lui come equivalente generale di tutte le altre merci. Mapoiché tutti i possessori di merci fanno la stessa cosa, nessuna merce è equivalente generale di valore, nella quale siequiparino come valori e si mettano a paragonare come grandezze di valore”. (K. Marx, Il Capitale, cit., I, pag. 119).

46. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pag. 247.47. Ibidem.48. K. Marx, Il Capitale, cit., I, pag. 119.49. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pag. 247.

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50. Ivi, pag. 249.51. K. Marx, Il Capitale, cit., I, pagg. 119-120.52. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pag. 250.53. K. Marx, Il Capitale, cit., I, pag. 120.54. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pagg. 251-252.55. F. Engels, Per la critica dell’economia politica (recensione), In K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma,

1984, pag. 207.56. Ivi, pagg. 206-207.57. K. Marx, Il Capitale, cit., I, pag. 4.58. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pag. 266.59. vi, pag. 267.60. F. Engels, Op. cit., pag. 208.61. Ibidem.62. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pag. 268.63. Ivi, pagg. 268-269.64. Ivi, pag. 269.65. K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, cit., pag. 31.66. Ivi, pag. 33.67. K. Marx, F. Engels, Opere complete, Editori Riuniti, Roma, 1973, vol. XL, pag. 488.68. F. Engels, Op. cit., pag. 208-209.69. Ivi, pag. 209.70. C. Luporini, Marx secondo Marx, cit., pag. 272.71. Ivi, pag. 272-273.72. Ivi, pag. 273-274.73. C. Luporini, Marxismo e Scienze umane, in DM, pag. 364.74. C. Luporini, Marx: problemi filosofici e epistemologici, in DM, pag. 383.75. F. Izzo, “Marx tra materialismo storico e critica dell’economia politica”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pag. 141.

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Capitolo 3Dialettica e materialismo

Nel 1974 Luporini raccoglie in un unico testo quasi tutti i suoi principali scritti marxisti, intitolando questa raccoltaDialettica e materialismo1, e gli pone a fronte un’importante introduzione, che, oltre a dare utili cenni biografici, rap -presenta un quadro generale complessivo del suo marxismo. Materialismo e dialettica sono i due poli tra cui si estende la ricerca marxista di Luporini. Egli non è interessato allaricostruzione di un nuovo “materialismo dialettico”, per ciò che questa espressione ha significato per un intero pe-riodo storico; invece prende questi due termini nel loro contenuto teoretico minimale, presente nella coscienza cul -turale corrente. Qui la parola dialettica evoca un movimento puro di un procedere che passa (o scatta) attraverso de-terminazioni opposte. Materialismo, invece, evoca il senso della fissità e ripetizione della cosa (o oggetto) materiale,della sua autoidentità, indipendente, nella sua esistenza, da chi la guardi o maneggi. C’è dunque tra materialismo edialettica una “iniziale distanza, eterogeneità, non sintonia”2. Secondo Luporini “tutto il marxismo (correttamenteinteso) nella sua complessità sistematica - e come filosofia per ‘mutare il mondo’ – si muove tra questi due terminipresi e accolti inizialmente nella loro distanza e difformità…Non riconoscere questo fa precipitare o verso il loroabbandono (o di uno di essi), o verso la costruzione dogmatica. Ciò significa che il marxismo stabilisce fra quei ter -mini (naturalmente ciò che conta è vedere come e perché) un campo di tensione teorica entro il quale esso si collo-ca”3. Questo campo di tensione teorica dà senso al marxismo anche come progetto e attività rivoluzionaria, la quale nonpuò consistere se non nella ricognizione della realtà oggettiva delle contraddizioni. Vi è qui un problema specificodi oggettività e l’oggettività è, in generale, il problema specifico della scienza. E questo, infatti, è il medesimo pro -blema del materialismo storico il quale sorge a seguito dell’importanza basilare data alle condizioni materiali di pro-duzione e riproduzione della vita immediata degli individui nella società umana e ai modi del loro svolgimento nellastoria. Scrive Luporini: “Questa ‘materialità’ non è un’espressione convenzionale (prodotta, cioè, solo in opposizio -ne all’idealismo-ideologismo storiografico), anche se non è correlata ad alcuna nozione metafisica di ‘materia’. Maessa è correlata (e di qui nasce proprio l’opposizione a qualsiasi idealismo storico) a una fisicità e naturalità primarieed irriducibili, a cui la critica dell’ideologia e delle costruzioni speculative proibisce di voltare le spalle” 4. E, continuaLuporini, “il materialismo storico è materialismo non solo per il peso accordato alle condizioni materiali della ripro-duzione della vita individuale nelle società umane, ma perché tali condizioni sono ancorate in quella fisicità e natura -lità irriducibile. Se il riconoscimento di questa irriducibilità è primarietà si chiama materialismo, rispetto ad esso il‘materialismo storico’ è un materialismo secondario, anche se domina tutto il campo dei rapporti sociali umani, econ loro il mondo dello ‘spirito’, cioè il mondo dei ‘significati’ e della creatività e produttività specificatamente uma-na”5. La naturalità, in Marx, è concepita in modo tale da essere sufficientemente omogenea a quel “mondo umano” che sierge non solo al di sopra, ma all’interno di essa, quasi una sua dilatazione. Il salto ontologico che il mondo sociale -umano rappresenta, attraverso il lavoro, rispetto all’immediata naturalità, è un processo, come dice Marx, di progres -sivo “arretramento delle barriere naturali”, ma sempre dentro i limiti di insuperabilità dettati dal mondo naturale,che è anche interno all’uomo stesso e inestirpabile (in quanto soggetto l’uomo è anche natura inorganica, diceMarx). Esiste in Marx, in proposito, un rapporto dialettico di omogeneità e differenza, senza capire il quale non èpossibile comprendere il lavoro di Marx, anche specifico, come la critica dell’economia politica. Se si interpretaquindi la natura solo come categoria sociale, come, ad esempio, ha fatto il marxismo occidentale (e si veda il giovaneLukàcs di Storia e coscienza di classe), si sostiene soltanto una mezza-verità e quindi si compie un grave errore: “ilmodo di concepire questa natura (in enorme parte pre-umana, anzi previdente) deve essere tale da rendere a suavolta pensabile concettualmente, in forma ad essa omogenea, il posteriore mondo umano-sociale” 6. La naturalità diMarx coinvolge il soggetto umano alla radice, e non lo lascia mai, comunque gli la trasformi edificando il suo speci -fico mondo sociale. “Il materialismo del ‘materialismo storico’ – scrive Luporini – è fissato inestricabilmente in que-sto naturalismo e fisicismo, e perfino in questo cosalismo; e per un suo lato essenziale e permanente lo stesso sog-getto umano ‘vivente e cosciente’, si presenta come una modalità di esso (natura organica e inorganica in quantosoggetto)”7. Questa posizione ha un grande significato filosofico; prende corpo dalla critica ad Hegel, facendo proprio unospunto di Feuerbach. Marx svincola il problema della oggettività dalla coppia tradizionale soggetto-oggetto (che èpoi simmetricamente la coppia alienazione-oggettivazione) premettendolo ad essa (“un ente non-oggettivo è unnon-ente”, scrive Marx nei Manoscritti del ’44) e trasformandolo in un problema di ‘comportamento’: “la domanda –scrive Luporini – non è più: ‘che cos’è oggetto?’, bensì: ‘che cosa significa comportarsi come oggetto?’. La rispostaè: comportarsi come oggetto significa essere, o poter essere, oggetto di qualcos’altro che a sua volta possa essereoggetto, o termine di attività, di azione, di qualche cos’altro in una circolarità aperta. Ne nasce la visione di unastruttura pluralistico-interrelazionale (in cui le relazioni sono nessi di attività-passività, o meglio di azione-reazione)che trova la sua unica verifica in quel mondo della fisicità nel quale è collocato ogni vivente e con esso anche l’indi -viduo umano-sociale”8. Questa posizione marxiana si libera di ogni gnoseologismo e ontologismo metafisico e si presenta come una conce-

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zione ontologica innovativa caratterizzata dal fatto di avere in se stessa il possesso del proprio limite: “essa non èimmediatamente proiettabile su uno sfondo cosmico o dilatabile a dimensioni cosmiche”, è “una visione di fondonaturalistica entro la quale si può costruire il materialismo storico e la critica dell’economia politica” e “ha validitàscientifica in quanto, di fatto, è legata a quella che è la nozione epistemologicamente fondamentale della scienza mo-derna della natura e cioè la nozione di ordine di grandezza”9. I processi reali indagati da Marx sono riferiti materialisticamente sempre ad un ordine di grandezza specifico, dentroun campo epistemologico consapevole dei propri limiti, che sono in primis di ordine naturale. “Le cose stanno così– scrive Luporini – alla scala e nell’ordine di grandezza in cui agisce (o subisce) l’uomo come individuo corporeo vi-vente. Il bicchiere che stringo in mano è un oggetto d’uso, prodotto dall’uomo sociale per certi suoi fini e bisogni,ma la sua ‘forma’ è al contempo per Marx una ‘forma naturale’, ancorché impressa dal lavoro umano, perché èomogenea a quella degli oggetti in cui il lavoro dell’uomo si impossessa, strappandoli al loro immediato contestonaturale (di qui comincia la produzione e la sua preminenza); e può farlo perché quello stesso lavoro ha una corri -spondente forma naturale (fisica), ancorché sia un’attività guidata dalla rappresentazione cosciente di un fine. Sequel bicchiere cade in terra e si rompe, o viceversa rimbalza, a seconda dei materiali di cui è costruito, ciò accade inquanto esso, come ‘forma naturale’, è necessariamente anche un sistema fisico, e ubbidisce alle sue leggi. Ma comestanno le cose al di sopra e al di sotto di quell’ordine di grandezza in cui tali leggi si verificano, cioè come stiano lecose in microstrutture e macrostrutture dell’universo fisico (del cosiddetto ‘cosmo’), come si configurino in esse,per esempio, le dimensioni della temporalità e spazialità, e quali siano le condizioni e i limiti di conoscibilità perl’uomo, non è più cosa che direttamente coinvolga i presupposti fisicali del materialismo storico” 10. Caratterizzarecosì la concezione marxiana non significa, però, assegnarle un posto secondario nella riflessione filosofica. Anziessa modifica radicalmente alcuni presupposti centrali della tradizione; in primo luogo quello del rapporto tra causa-lità e teleologia. Se queste due categorie appartengono propriamente a due mondi differenziati, quello naturale equello umano, proprio a seguito del rapporto non differenzialistico, ma dialettico, che Marx istituisce tra questi duemondi, esse non devono più essere contrapposte, ma intrecciate in una relazione specifica: relazione che non signifi-ca identificazione. Le catene causali costituiscono il processo naturale come l’introduzione della teleologia, attraver -so il lavoro, caratterizza la costituzione dell’essere sociale. Ma la loro presenza non è di contiguità incomunicante; èprocesso dialettico per cui la posizione teleologica trasforma le catene causali e queste ultime rappresentano il limitenaturale dell’applicabilità dell’azione umana efficace. Così va inteso il rapporto tra i poli delle coppie categoriali utilizzate da Marx nella critica dell’economia politica. Illavoro è caratterizzato da una differenziazione tra “lavoro utile” e “lavoro astratto” (duplice carattere che corrispon -de a quello altrettanto duplice della merce tra “forma valore” e “forma naturale”), ma quest’ultimo, in quanto astra -zione reale, non è disancorato dalla concretezza naturale, anzi esso è fisicamente concretissimo quale dispendio diforza lavoro, cioè di energie fisiche e nervose, benché non individuato specificamente in una particolare attività pra -tica. Secondo Luporini, quindi, a fondamento del materialismo storico (e della critica dell’economia politica) sta ilnaturalismo di Marx: un naturalismo del tutto specifico, come abbiamo visto. Esso infatti si prolunga oltre i suoitermini fisicali. Marx parla in senso proprio dei rapporti economici come di una seconda natura, perché essa è sot-toposta a leggi oggettive, e non annullabili, nello stesso modo in cui lo è la prima. Ciò che avviene, ed è decisivo, èun mutamento di forma. Scrive Marx a Kugelman: “che sospendendo il lavoro non dico per un anno ma per unpaio di settimane ogni nazione creperebbe, lo sa ogni bambino. Parimenti sa che le masse di prodotti corrispondentialle diverse masse di bisogni richiedono diverse masse, quantitativamente determinate di lavoro sociale complessivo.Che questa necessità della distribuzione del lavoro sociale in proporzioni determinate non possa naturalmente venirsoppressa dalla forma determinata della produzione sociale, è self-evident. È un fatto generale che le leggi di naturanon possono venir soppresse. Ciò che in condizioni storiche diverse può cambiare è soltanto la forma, in cui le leg -gi si affermano”11. Questo mutamento di forma caratterizza il costituirsi delle formazioni sociali, ma sempre come processo “storico-naturale”, cioè sempre in relazione alla costanza delle leggi naturali nel mutamento dei rapporti storici, sia formali ostrutturali, sia empirico-quantitativi (con tutto ciò che questo significa e che abbiamo visto sia in Realtà e storicità chein Marx secondo Marx). Questo tipo di lettura del pensiero di Marx, che si contrappone abbastanza evidentemente aquelle di tipo storicistico, corre però un serio pericolo di dogmatizzazione anche in senso strutturalistico. Questadogmatizzazione tende ad una ideologica “espulsione del soggettivo; o meglio a relegarlo in un campo di dissocia -zioni delle sue componenti umane, che gioca sulla loro effettiva reciproca dislocazione (per esempio, dell’inconsciorispetto al conscio), ma nello stesso tempo eternizza e sublima negativamente le dissociazioni che esistono realmen -te come prodotto della società di classi e dei modi estremi di pressione sull’uomo che stiamo vivendo nella societàcapitalistica: fino a negare, sembra, il senso stesso di una possibile ricomposizione emancipatrice delle strutture dellapersonalità umana in una società diversa (comunista)”12. Osservando attentamente, la posizione strutturalistica si fonda su una precisa concezione dell’uomo in cui la premi -nenza è associata all’uomo dello scambio e della distribuzione piuttosto che a quello della produzione e del consu -mo. In ciò sta la sua diametrale opposizione al marxismo. Essa però si nutre, in senso mistificatorio, proprio del latofondamentale e centrale del marxismo stesso e cioè il rilievo condizionante dato alle strutture formali oggettive, lequali si generano nella storia umano-sociale entro limiti naturali e in possibilità combinatorie non illimitate. È quindicompito essenziale del marxismo esplicitare chiaramente il suo discorso intorno al cosiddetto “problema

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dell’uomo”. Il marxismo, come materialismo storico, si fonda sui rifiuto di ogni antropologia filosofica (e di ogniantropologia in genere) reso possibile dalla scoperta dell’oggettività dei rapporti sociali di produzione, quale quadro,appunto oggettivo, di ogni attività umana anche interpersonale. Questa oggettività-limite (sempre appurabile scientificamente) regge l’insieme delle relazioni umane e le dà un sensocomplessivo non soggettivistico; non permette, ad esempio, l’introduzione del concetto esistenzialistico, del tuttodestoricizzato, di condition humaine. Ma tutto questo non elimina il problema dell’uomo, il problema che l’uomo ponedi sé a sé stesso. Il marxismo incarna la soggettività nella naturalità (come già Luporini aveva sostenuto in Verità e li -bertà e in Marxismo e soggettività), ma questo è soltanto un punto di partenza. Esiste qualcosa, nel problemadell’uomo, che esorbita da siffatta articolazione. Per affrontare questo aspetto occorre primariamente stringere il di -scorso intorno alla trasformazione che subisce la nozione di genere umano. Il materialismo storico nasce controquesta nozione, nell’espressione datale da Feuerbach in un ambiguo concetto misto biologico-antropologico-filoso-fico. Ma, scrive Luporini, “quella nozione ha ottenuto, per un processo storico rapido, e sempre più accelerato, unreferente reale e concreto (sinteticamente biologico-storico-sociale) che essa di fatto non aveva mai avuto; e con ciòun significato globalmente sincronico”13. Lo sviluppo del modo di produzione capitalistico e la conseguente costituzione del mercato mondiale ha creato difatto questo referente globale, reale e concreto, anche se ciò non significa per nulla una avvenuta unificazionedell’umanità in un unico regime sociale o area di civiltà. “La lotta di classe – continua Luporini – passa indubbia-mente attraverso siffatta situazione complessiva. Ma questa è intrecciata con altro e dominata da altro. Intanto, dallaforbice tragica dello sviluppo e del sottosviluppo; squilibrio a cui è connesso il problema delle risorse e di incontrol -late crescite demografiche, con effetto già esso globale. Effetti negativi del sottosviluppo, come questi, ed effetti ne-gativi dello sviluppo (crisi energetica e inquinamento dell’ambiente, con tendenza anch’essa globale) si sommanocon tutta evidenza. Il parlare di una “crisi globale” (esplosiva) a distanza di tempo calcolabile, e ravvicinata nel girodi pochissime generazioni, non è un discorso astratto e vuoto. È un discorso scientifico che nessun rivoluzionario serio può ignorare, nonostante i ricatti di potenza o di potereche dietro di esso possono insinuarsi. Gli opposti meccanismi e regimi sociali anche su questo punto sono chiamatiad un confronto ultimo. In una parola, non si può ignorare che esiste un problema globale di salvezza e sopravvi -venza del genere umano; cioè, in senso concreto e attuale, un problema del suo destino”14. Questo problema, essen-zialmente politico (e morale), è reso possibile nella sua attualità dal fatto che la nozione di genere ha assunto un sen -so del tutto materiale e fisico. Siamo di fronte ad un “sistema globale”, ad un “insieme degli insiemi”, caratterizzatoda un fatto nuovo che irrompe e si impone nella storia, e cioè “che l’azione degli uomini (delle società umane) sullanatura, che è sempre esistita da quando essi esistono (con effetti insieme creativi e distruttivi), sotto l’impulso deimoderni processi industriali ha raggiunto una soglia per cui quell’azione sta diventando un effetto anch’esso globale,cioè che si svolge (e deve essere affrontato) in dimensioni globali. Ciò costituisce il genere umano in un sistema uni -co, in un sistema fisico che sta entrando in contraddizione (per esso potenzialmente distruttiva, a partire da un pun-to di non-ritorno) col sistema di equilibri fisico-biologici che gli assicura le possibilità vitali. Questo è il grande fattostorico nuovo (un fatto fisico) che discende dalle contraddizioni dello sviluppo sociale e s’intreccia con esse. Nonmai come oggi è apparso chiaro che l’uomo, anche inteso come genere, è innanzitutto il proprio processo produtti-vo”15. Il quadro così intrecciato da Luporini è di grande attualità; individua perfettamente un problema oggi divenu -to centrale: quello della compatibilità o incompatibilità del modo di produzione capitalistico e dei suoi scopi (neces-sariamente, in ultima istanza, interni poiché relativi alla valorizzazione del capitale) con il suo destino complessivo eultimo del pianeta (come sistema fisico) e dell’umanità. Problema non eludibile per chiunque voglia pensare e prati -care forme alternative di organizzazione sociale e di coltura, sia che si muova dal punto di vista della contraddizioneeconomica (capitale e lavoro), sia di quella tra uomo e natura16. Luporini non è comunque animato da un sentimento “antimoderno”; è perfettamente consapevole che lo sviluppodelle forze produttive e l’arretramento delle barriere naturali costituiscono nella storia dell’essere sociale soglie onto-logiche irreversibili; ed è altrettanto convinto che le decisioni e le azioni degli uomini, nel quadro oggettivo di unaformazione economico-sociale data, siano il punto centrale da focalizzare. Scrive: “Ogni strada a ritroso sarebbe im-possibile e, probabilmente, non meno mortale. Ma è altrettanto chiaro, sembra, che per procedere così in avanti al‘posto di comando’ sta la politica”17. Per questo il problema dell’individuo non è assolutamente in contraddizione (olaterale) al quadro complessivo ora delineato. Luporini fa notare che in Marx questa consapevolezza è ben presente.Egli, infatti, non identifica mai empiristicamente tutto l’individuo con le sue determinazioni sociali: la differenza tracapitalisti e operai esiste per Marx solo dal punto di vista della società, che non è l’unico. Ciò non significa che Marxassuma come proprio il principio esistenzialista che vede “l’uomo autentico” solo in quanto spogliato delle sue de-terminazioni sociali. Ma, “indubbiamente – scrive Luporini – egli si riferisce ad uno scarto esistenziale fra l’indivi -duo e le sue determinazioni sociali…Tale “scarto esistenziale” dà luogo al non completo identificarsi dell’individuosociale nel ruolo o nella funzione sociale che lo definisce, gli imprime il suo carattere, ma unilateralmente lo limita.Sul manifestarsi di questo scarto alle coscienze sono basate, nei momenti di crisi di determinate società o stati delpassato, le grandi e quasi sempre disperate rivolte dei subalterni, le grandi rivolte di soggettività associate, in qualcheguisa quasi sempre aspiranti all’uguaglianza e al comunismo. Cioè a dire quello “scarto esistenziale” segnalato daMarx, quel punto di vista che non coincide più con quello della società, di volta in volta nella storia o si disperde in-dividualisticamente o si raccoglie in qualche sforzo collettivo di ribellione, che ha come punto di riferimento ideale

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una diversa società”18. Quello che Luporini qui tocca è il tema dell’estraniazione umana, della sua costituzione storica, della resistenza adessa, e del suo possibile superamento. Per questo il discorso si lega istantaneamente al tema del comunismo. Untratto saliente del comunismo di Marx è proprio quello relativo all’abolizione dei limiti, derivati dalla divisione del la-voro, ad uno sviluppo multilaterale dell’individuo sociale. Il “regno della libertà” comporta un recupero nella comu -nità di quello scarto esistenziale, almeno nella misura in cui esso sia prodotto storicamente. “L’uomo di Marx – scri-ve Luporini – è l’uomo del lavoro e della produzione (non solo in senso materiale), e quindi delle capacità, delle atti-tudini, delle facoltà, correlato all’uomo del bisogno: ma si attribuisce a quest’ultimo termine una grande elasticità edestensibilità, in rapporto allo sviluppo storico, e fino ai più alti livelli dello “spirito”, poiché è la produzione in ognisenso che crea i bisogni non elementari”19. Secondo Luporini questa concezione marxiana dell’individuo deve consi-derarsi oggi non del tutto sufficiente e su tratti importanti non esaustiva, perché non considera nuovi campi di con-dizionamento corrispondenti a strutture più nascoste dell’uomo vivente-sociale (i campi relativi alle scoperte, adesempio, della psicanalisi, della sessuologia o della linguistica). Ma essa costituisce il solo fondamento corretto attra -verso il quale si può riproporre in guisa non ideologica un’integrale problematica della libertà, può verificarne i ter -mini”20. Il tema del comunismo, e della libertà ad esso necessariamente connesso, come questione del tutto aperta,sta dunque alla fine della riflessione di Marx e anche della lettura di Luporini. Le caratteristiche di questo esito sonoperò condizionate dalla matura del progresso teorico intrapreso. Il contributo di Marx ha una forte intenzionescientifica; nasce contro la speculazione idealistica e ha pretese di verità in merito all’oggettività della realtà dell’esse -re sociale. Per questo esiste una fondazione costante in un naturalismo e cosalismo specifici. Nel marxismo il mate-rialismo storico (e la critica dell’economia politica) appare come una scienza dei condizionamenti materiali (econo-mici) umani, legati indissolubilmente ai condizionamenti naturali e vitali o almeno ad una parte di questi. Questa impostazione, che è senz’altro di tipo ontologico, benché “controllato”, consapevole cioè dei suoi limiti epi-stemologici, non azzera empiristicamente e scientificamente la differenza specifica tra l’essere sociale e l’essere orga -nico e inorganico, ma indica l’unica direzione teorico-sistematica corretta per tematizzarla efficacemente. In questosenso diventa indispensabile il rapporto tra materialismo e dialettica per comprendere complessivamente la posizio-ne marxiana, ma questo compito non può essere assolutamente svolto dentro una concezione cosmico-ontologicadi tipo meccanico-naturalistica21.Infatti Luporini non è interessato alla riproposizione di un materialismo dialettico, ma viceversa della definizioneprecisa di una dialettica materialistica. Tutte le riflessioni di Luporini in merito alla dialettica marxista e al rapportotra Marx e Hegel hanno come obiettivo questo punto e sempre come sfondo condizionante il materialismo di Marx,con le sue caratteristiche. Solo partendo da qui si può affrontare il tema della storia (e del suo senso) e contrastare lasua dogmatizzazione storicistica. Critica allo storicismo e questione della dialettica vanno quindi di pari passo. Lu -porini non accetta la modellizzazione althusseriana dello storicismo sulla dialettica hegeliana: per lui la nozione distoricismo va intesa in senso assai più largo e comprensivo, e si incrocia solo parzialmente con Hegel (senz’altro conla sua filosofia della storia, ma assai meno con la sua logica). “Ogni storicismo – scrive – entifica la storia, dice chec’è la storia, e finisce, lo confessi o meno, per identificarla con tutta la realtà. Cioè, crea un ens rationis…Nettamentebisogna rispondere che la ‘storia’ come soggetto (o oggetto) autonomo, comunque mascherato o metaforizzato nonesiste…La storia di per sé non fa nulla (è illusionistico quindi, in generale, dare un’interpretazione finalistica del‘corso storico’, presentando via via il dopo come la meta finalistica del prima)…Ciò che esiste è la natura (coi suoidiversi livelli), ciò che esiste sono le sue società umane, ciò che esiste è la riflessione, o autoriflessione di queste duesfere nella sfera ‘pensiero’…In ognuna di queste sfere non si trova mai un elemento isolato o assolutamente isolabi -le: esse sono sempre sistema (e sistema di sistemi)…A partire di qui si deve cominciare ad appurare che cosa vuoldire storico. Ci si può esprimere così: la storicità, lo storico, è sempre predicato, ma predicato relazionale, nel sensoche denota relazioni e insiemi di relazioni, non proprietà o qualità di ‘sostanze’”22. Questo non significa, a giudiziodi Luporini, escludere i soggetti storici, come sostiene Althusser rivendicando per Marx l’eredità del concetto hege -liano di processo senza soggetto. “Anzi, solo a partire dalla determinazione di soggetti storici, e in riferimento adessi, ha senso l’espressione ‘avere una storia’. Questi soggetti storici non hanno nulla di sostanziale, anche se fungono via via da substrati, ma si costituiscono e sidisfano. Ne viene che il problema del rapporto fra ‘processi’ e ‘soggetti’ diventa uno dei problemi centrali della dia -lettica materialistica: non esistono processi che non presuppongono ‘soggetti’ (in detto senso); ma li trasformano,ne producono altri, li sostituiscono, oppure li tolgono da determinati sistemi, li immettono in altri (questo accade,per esempio, al materiale genetico, nel riprodursi della vita). Attraverso tale quadro problematico (e la logicadell’ordine a cui è legato) vanno ridefiniti o vagliati concetti come ‘processo’, ‘riproduzione’, ‘sviluppo’, ‘accumula -zione’, ‘trasferimento’, ‘genesi’ ecc…Ma ripeto tutto questo coinvolge la dialettica, a partire, almeno, dalle nozioni diidentità di differenze e di opposizionalità (come appunto faceva Hegel nella logica cosiddetta dell’essenza)”23. La dialettica materialistica accoglie un quadro problematico ( e in parte metodologico) segnalato in primis da Hegel,e cerca di ridefinirlo nella sua realtà escludendo in primo luogo la storia come grande narrazione teleologica di unSoggetto assoluto, nel suo sviluppo predefinito da un’Origine ad una Fine (e poco importa se questo fine è l’Auto -coscienza o il Comunismo). Lo storicismo produce, invece, l’assolutizzazione della continuità: fa esplodere la dialet-tica, fondamentale per Marx, tra continuità e discontinuità, epurandone un termine, escludendo così dalla storia ilmomento della rottura, l’idea stessa di rivoluzione. Per questo, scrive Luporini, “quasi sempre gli effetti ideologici

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storicismi sono reazionari” perché li accomuna “il contributo pratico ideologico che viene dato al dominio del pas-sato sul sistema del presente, l’indirizzano a bloccarne determinate alternative e possibilità reali rispetto al futuro, oa trattenerle”24. Come si vede il discorso di Luporini, al suo termine, ritorna di nuovo alla dimensione politica, o me-glio, al rapporto tra filosofia e politica. Benché Marx abbia sempre difeso l’autonomia della riflessione teorica, è purvero che il marxismo perde ogni suo significato globale se resta “accademia”, se non diviene strumento utile in sen -so politico. “Oggi – scrive Luporini – dobbiamo chiederci ed è inevitabile chiederci: facendo filosofia marxista checosa si fa? Politicamente che cosa si fa?”25. Lo stalinismo aveva dato a queste domande una risposta sistematica,benché del tutto deviante. Nel momento in cui scriveva queste parole, Luporini si trovava di fronte al crollo storicodi ciò che viene chiamato stalinismo: “crollo storico – scrive – che sembra del resto prolungatissimo: che ha detona-to come un’esplosione, e che si svolge poi sotto i nostri occhi e nelle cose come al rallentatore” 26. Una situazionequesta (forse anche molto simile a quella odierna) che ha lasciato tutti i comunisti senza una “solida base” filosofica,senza quel nesso, istituito così strettamente da Lenin, tra i problemi della strategia e quelli della filosofia. Secondo Luporini, però, non si tratta esclusivamente di riaggregare capacità soggettive in grado, teoricamente, di ri -comporre in forma nuova questa base; si tratta di individuare “le reali condizioni oggettive perché quella base filo -sofica possa divenire un’altra volta solida; e adempiere così alla sua funzione storica…Ma la ‘base filosofica’ nonpuò essere una piattaforma che si libera in aria, distaccata verso l’alto. Per essere solida essa ha bisogno di venire ag -ganciata, diciamo così, in basso, al livello della strategia e dei problemi teorici che essa pone, sul fondamento di ana-lisi concrete di ciò che Gramsci chiamava il ‘blocco storico’…: comunque analisi ininterrotte dei rapporti di classe edel configurarsi dei rapporti proprietari (che vuol dire economia e Stato). Che questo livello non si estenui e dilegui,producendo così uno iato e un vuoto, non è una esigenza della filosofia, bensì della politica, anche se si esprime a li -vello della filosofia. Più esattamente: è l’esigenza fondamentale della lotta di classe della classe rivoluzionaria e dellasua direzione politica. Non è certamente accettabile, per ragioni che è persino inutile richiamare, un ridursi, di fattoo tendenziale, della politica a empiricità”27. La domanda politica, che da sempre ha condizionato il lavoro teorico diLuporini, diviene la diretta protagonista del suo successivo interesse imperniato sulle nozioni di “politico” e “statua-le” in Marx.

Note

1. C. Luporini, Dialettica e Materialismo, Editori Riuniti, Roma, 1974.2. C. Luporini, Introduzione, in DM, pag. VIII.3. Ibidem.4. Ivi, pag. IX.5. Ivi, pag. X.6. Ibidem.7. Ivi, pag. XI.8. Ivi, pagg. XI-XII.9. Ivi, pag. XII.10. Ibidem.11. K. Marx a Kugelman in una lettera del 11-7-1868 in K. Marx-F. Engels, Opere Complete, Editori Riuniti, Roma, 1976,

vol. XLIII, pagg. 547-548.12. C. Luporini, Introduzione, in DM, pag. XVI.13. Ivi, pag. XVIII.14. Ivi, pagg. XVIII-XIX.15. Ivi, pagg. XIX-XX.16. Si veda in proposito la posizione di J. O’Connor, L’ecomarxismo, Datanews, Roma, 1989, e di W. Schnied Kowarzik, “Il

significato della critica marxiana per il padroneggiamento dei nostri attuali problemi ecologici”, in “Marx 101”, n° ½,1983, pagg. 205-213.

17. C. Luporini, Introduzione, in DM, pag. XX.18. Ivi, pag. XXI.19. Ivi, pag. XXII.20. Ibidem.21. Vi è qui una critica netta al Diamat sovietico e anche, in forma diversa, alle posizioni di Engels presenti nella Dialetti -

ca della natura. Non per questo, comunque, Luporini si allinea con posizioni del cosiddetto “marxismo occidentale”,ad esempio Sartre con la sua Critica della ragion dialettica, che vedono la dialettica presente solo nel mondo umano eassente (o introvabile) nella natura.

22. C. Luporini, Introduzione, in DM, pagg. XXXVI-XXXVII.23. Ivi, pag. XXXVII.24. Ivi, pag. XL.25. Ivi, pag. XLV.26. Ibidem. Sottolinerei il valore profetico di queste parole.27. Ivi, pag. XLVI.

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Capitolo 4Critica della politica e critica dell’economia politica

Con uno scritto del 1978, Critica della politica e critica dell’economia politica in Marx 1, Luporini affronta direttamente, allaluce delle sue ultime posizioni teoriche, la questione del “politico” e dello “statuale” in Marx, accompagnandoci inun excursus specifico che va dal “giovane” Marx, attraverso i Grundrisse, fino al Capitale e alla Critica al programma diGotha. Secondo Luporini lo sviluppo giovanile di Marx (che egli chiama “premarxista”, con lo scopo di evidenziarnela specificità teorica) è stato fondamentalmente politico e ciò è di essenziale importanza per comprendere corretta -mente anche lo sviluppo successivo. Marx parte da un riconoscimento, mutuato da Hegel, che gli appare con l’evi -denza di un fatto: la separazione tra società (civile) e Stato (politico), che si produce nel mondo moderno e si ac -compagna all’affermarsi della borghesia come classe dominante e che ha come conseguenza “individuale” la scissio-ne tra il concreto, individualistico, egoistico, bourgeois e l’astratto, universale, egualitario citoyen. Nella sua critica giova-nile ad Hegel (la Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico del 1841) Marx pensa ad un superamento di tale separa-zione attraverso uno sviluppo integrale della democrazia, con lo strumento del suffragio universale e con una com -plessiva ristrutturazione dello Stato. Ma questa soluzione di assoluto democratismo entra rapidamente in crisi, la cuiespressione sono i due articoli, sull’opera di B. Bauer, la Questione ebraica, pubblicati da Marx negli “Annali franco te-deschi” nel 1843. Qui Marx giunge alla conclusione che la democrazia pienamente sviluppata lungi dall’essere il superamento della se-parazione tra società civile e Stato politico e, quindi della scissione tra bourgeois e citoyen, ne è, invece il perfeziona-mento conclusivo. Così la posizione precedente viene ribaltata: non è più la Società civile che deve riversarsi nellatotalità dello Stato politico (con la “partecipazione il più possibile generale al potere legislativo”), ma, viceversa, lasocietà e ogni suo singolo membro debbono recuperare e riassorbire le “forces propies” (dice Marx citando e adattan-do Rousseau), le quali si sono divise da loro per costituire il potere separato dello Stato politico. Abbiamo qui, innuce, un programma rivoluzionario che mira all’abolizione dello stato, il quale segna il luogo di nascita di Marxcome teorico della rivoluzione sociale e politica (in senso antistatale).

La questione della proprietà privataIl passaggio di Marx al comunismo lo indirizza, in modo specifico, all’interno di questa contraddizione. Ciò avviene,inizialmente, nei Manoscritti del ’44 e, in seguito, nell’Ideologia tedesca e nei Grundrisse, affrontando la questione dellaproprietà privata. La proprietà privata, quale oggi la conosciamo, nel suo rapporto complesso tra capitale, terra, in -dustria e lavoro, è un prodotto e un risultato della storia, del suo “movimento”. Per questa strada, quindi, Marx ècostretto ad occuparsi del problema della storia e lo fa, in generale, attraverso la sua metodologia, che punta ad una“riconquista della diacronia attraverso la complessità della sincronia…attraverso la ricostruzione di uno sviluppo in-terno sistematico, quale si presenta configurato nella attuale società, e prendendo in parola gli economisti sulla cen -tralità delle categorie di lavoro, lasciar venire alla luce, a ritroso, la ‘coerenza del movimento’ storico (economico), dacui è risultato il sistema presente. Questo metodo di riconquista della storia e del suo movimento è dunque un metodo differenziale che funziona à re-bours. Marx ragiona per coppie opposizionali e la più ampia di esse appare in questo momento quella fra proprietà enon-proprietà”2. La fuoriuscita da un’impostazione generale di tipo antropologico-filosofico, costituita nell’Ideologiatedesca e nei Grundisse, porta Marx a non accettare una metafisica originaria opposizione teorica tra proprietà e non-proprietà. In Marx, scrive Luporini, “di originario c’è solo la proprietà, o il possesso, nella forma di appropriazione:appropriazione stabile o temporanea della terra in cui gli uomini raggruppati in comunità, in qualche modo struttu -rate, si muovono o risiedono”3. Il centro del discorso diviene, materialisticamente, la produzione e riproduzione del-la vita materiale: scrive Marx nell’Ideologia tedesca: “La produzione della vita, tanto della propria nel lavoro quantodell’altra nella procreazione, appare già in pari tempo come un duplice rapporto: naturale da una parte, socialedall’altra. Sociale nel senso che si attribuisce a una cooperazione di più individui, non importa sotto quali condizio -ni, in quale modo e per quale scopo. Da ciò deriva che un modo di produzione o uno stadio industriale determinato è sempre unito con un modo dicooperazione o uno studio sociale determinato, e questo modo di cooperazione è anche esso una ‘forza produttiva’;ne deriva che la quantità delle forze produttive accessibili agli uomini condiziona la situazione sociale e che dunquela ‘storia dell’umanità’ deve essere sempre studiata e trattata in relazione con la storia dell’industria e delloscambio”4. La cooperazione tra gli uomini che sussiste sempre in ogni società e che costituisce il sociale in essa, èfondata su un elemento naturale costituito, in primis, dal rapporto con la terra (con il suo prodotto) e con l’insedia -mento umano (stabile o mobile) su di essa. Qui sta l’origine della totalità epistemica prodotta dal materialismo stori-co e rappresentata dalla famosa metafora architetturale della struttura economica (e delle sovrastrutture “ideologi -che”), intesa come base (“reale basis”). Tale totalità epistemica, scrive Luporini, “ha un valore conoscitivo per il fat -to che essa possiede un primo referente visibile nell’oggettività reale: il rapporto attivo e intercooperante degli uo-mini con la terra su cui sono insediati, che essi hanno, in senso proprio, come loro base. In altre parole, la metaforaparziale della ‘base’ ha questo addentellato o referente reale (naturale) la cui concettualizzazione (che si traduce inquelli ‘di ricambio organico’ e ‘processo lavorativo’) fornisce valore concettuale all’intera metafora. Marx dunque

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oppone e coordina ‘naturale’ e ‘sociale’ (solo secondariamente e derivatamene ‘naturale’ si contrapporrà a ‘storico’).Vi è dunque un lato di naturalità permanente nella socialità e storicità degli uomini (comunità umane). Ovviamente ciò comprende non solo il rapporto esterno (‘ricambio organico’ della società con la ‘cosiddettanatura’…), ma anche il rapporto degli uomini con se stessi, con la propria fisicità, con il proprio corpo” 5. Questanaturalità permanente, sempre sussulta socialmente e trascesa di continuo negli sviluppi storici, rimanda ad una na-turalità originaria, dalla quale il processo della storia allontana. La problematica dell’originario non è quindi esclusadalla riflessione marxiana; essa “viene, nel materialismo storico, liberata dall’immaginario, dal metafisico, dallo spe-culativo e trasferita interamente alla ricerca scientifica”6. Marx, nei Grundrisse, dà un fondamento teorico di massima importanza in merito a tale questione. Scrive: “Le condi -zioni originarie della produzione…non possono originariamente essere prodotte esse stesse, esser cioè risultati dellaproduzione. Non è l’unità degli uomini viventi e attivi con le condizioni naturali inorganiche del loro ricambio conla natura, e di conseguenza la loro appropriazione della natura, bensì la separazione di queste condizioni inorgani -che dell’esistenza umana da questa esistenza attiva, una separazione che è posta compiutamente solo nel rapportotra lavoro salariato e capitale, che ha bisogno di una spiegazione o che è il risultato di un processo storico” 7. Questaposizione teorica apre la strada per scavare a fondo e in modo corretto nella nozione di proprietà e per fondarne lalegittimazione strutturale (non nella produzione, ma nelle condizioni d’essa) oltre, cioè prima, dei suoi successivi as -sestamenti storico-ideologici, e in modo tale da fornire il quadro concettuale per spiegarli. Scrive Marx: “In origineproprietà – nella forma asiatica, slava, antica, germanica – significa dunque rapporto del soggetto che lavora con lecondizioni della sua produzione e riproduzione come condizioni sue. Essa avrà quindi anche forme diverse, a se-conda delle condizioni di questa produzione. La produzione stessa ha per scopo la riproduzione del produttore in econ queste sue condizioni oggettive di esistenza. Questo comportamento dell’individuo come proprietario – non come risultato, ma come presupposto del lavoro,cioè della produzione – presuppone una esistenza determinata dell’individuo in quanto membro di una tribù o diuna comunità (della quale egli stesso è fino a un certo punto proprietà)”8. Questo significa che all’origine storica del-le società umane dovremmo trovare sempre delle strutture sociali non determinate, in quanto tali, dalla produzione,ma che la determinano e che hanno altrove la loro determinazione originaria: in una istituzionalizzazione del rap -porto sessuale di riproduzione e quindi nei legami di parentela. Ma ciò non indica, in Marx, la postulazione di “unaprecedenza temporale (cronologia) del sociale sull’economico”9. Infatti: la comunità primitiva (“naturale”) è già ori-ginariamente economica, in quanto appropriazione comune delle condizioni della produzione e, essa stessa, forzaproduttiva (nella cooperazione). Solo che le sue strutture istituzionali, in cui il momento economico si realizza, nonderivano ancora da questa.

La questione del politicoNella comunità originaria, dunque, nelle sue evoluzioni storiche primitiva, il sociale e l’economico coincidono, rica -dendo essi, immediatamente, nel naturale. Qui non possiamo trovare il politico, almeno nel significato da esso as-sunto nella tradizione occidentale. “Credo si possa dire – afferma Luporini – che l’elemento politico sorge (o che lacategoria del politico diventa di valida applicazione) quando la società ha bisogno di una forza organizzata extraeco-nomica – la quale può essere costituita dalla stessa struttura comunitaria (dalle sue istituzioni) – per mantenere e ri -produrre rapporti sociali ed economici diseguali che in essa si sono stabiliti. A ciò corrisponderà di regola una for -ma giuridica che sanziona e garantisce il riconoscimento di tali rapporti. Penso che ciò che caratterizza la forma po -litica genericamente intesa è la presenza di un rapporto dirigenti-diretti e/o governanti-governati, comunque esso siconfiguri (o non si configuri) formalmente. È evidente, mi sembra, che in una siffatta definizione il politico noncoincide con lo statuale, ma lo contiene come specificazione; se per Stato, in senso proprio, si intende una entitàistituzionalmente separata dalla società e ad essa sovrapposta con un suo apparato” 10. In questo senso il marxismoparla dello Stato come luogo dove si “riflettono” e si “concentrano” i “bisogni economici della classe che domina laproduzione”. Questa definizione del politico è, secondo Luporini, quella che meglio si adatta all’analisi marxiana delmodo di produzione capitalistico e, soprattutto, alla sua differenza rispetto alle formazioni sociali che lo hanno pre-ceduto. Infatti ciò che cambia radicalmente con l’instaurarsi del modo di produzione capitalistico è il rapporto traeconomico e politico. Scrive Luporini: “Il fondo della differenza sta nel diverso modo della riproduzione sociale.Tutte le forme precapitalistiche, dominate dal valore d’uso, tendono a riprodursi direttamente in quanto forme so-ciali. Sono, cioè, i rapporti sociale come tali, e la loro eventuale forma politica, a garantire il mantenimento (riprodu-zione) dei rapporti economici che stanno alla loro base. Del tutto assente è in essi un meccanismo economico che liriproduce direttamente come meccanismo economico. La loro riproduzione è perciò affidata alla forza dell’organizzazione sociale, della tradizione, del costume e, soprat-tutto nella società di classi, alle leggi e quindi alla coercizione politica. Nel modo di produzione capitalistico avvieneinvece il contrario, anche se rimane valida una legge generale comune: chi dispone delle condizioni della produzionecomanda sulla produzione e quindi sui produttori. Ma è la sostanza e quindi la forma di questo ‘comando’ ad esserecambiata radicalmente. Lo scopo del modo di produzione capitalistico non è più il mantenimento di una determina-ta forma sociale e tanto meno politica (esso è sempre disposto a rivoluzionarle). Lo ‘scopo diretto’ e il motivo de-terminante del modo di produzione capitalistico…è semplicemente la valorizzazione del capitale, cioè la sua espan-sione”11. Il modo di produzione capitalistico costituisce un “meccanismo economico” che, una volta stabilito, tende

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a mantenersi, a riprodursi e a crescere, tende cioè ad una espansione assoluta delle forze produttive. Questo “meccanismo economico” è ovviamente, per Marx, anche un meccanismo sociale, e la sua caratteristica pe-culiare è quella di occultarsi da questi rapporti sociali e il presentarsi come “cosa”. I caratteri capitalistici di questofenomeno sono specifici. Mentre il “feticismo delle merci” esiste dovunque si instaura una produzione mercantile, il“feticismo del capitale” è proprio del sistema capitalistico. In esso il capitale appare come “cosa” (mezzi di produ-zione e denaro) e non come rapporto sociale; ciò che rimane nascosto è la natura del salario insieme alla sua essen -zialità per il capitale nel costituirlo rapporto sociale di produzione. “La differenza – scrive Luporini – scoperta daMarx tra forza-lavoro e lavoro come funzione della prima svela l’arcano (Geheimnis) del salario, cioè porta alla luce ilfatto che in esso il rapporto di assoluta dipendenza economica non solo si maschera, ma necessariamente si realizzanella forma giuridica contrattuale di compravendita di equivalenti. E quindi di formale libertà ed eguaglianza tracontraenti (uti singuli), rispettivamente possessori della merce-capitale e della merce-lavoro. Il lavoro non pagato, ilpluslavoro, non compare più alla superficie, come nelle forme precapitalistiche e non dipende più da una coazioneextraeconomica. La ‘forma fenomenica’, mediata dal rapporto contrattuale, quindi dal diritto, qui è completamentediversa dal suo contenuto economico…Ciò accade per il fatto che la coercizione extraeconomica sul lavoro…è statasostituita dalla coercizione economica. Per essa, nel suo intreccio necessario e funzionale con la forma giuridicamercantile, l’operaio salariato, dice suggestivamente Marx, ‘è costretto a vendersi volontariamente’”12. Il complessodi questa situazione, che si è prodotta storicamente, è delineato da Marx in una pagina del capitolo del Capitale sulla“cosiddetta accumulazione originaria”: “Non basta che le condizioni di lavoro si presentino come capitale a un poloe che all’altro polo si presentino uomini che non hanno altro da vendere che la propria forza-lavoro. e non bastaneppure costringere questi uomini a vendersi volontariamente. Man mano che la produzione capitalistica procede, sisviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi maturali ovvie le esigen-ze di quel modo di produzione. L’organizzazione del processo di produzione capitalistico sviluppato spezza ogni re-sistenza; la costante produzione di una sovrappopolazione relativa tiene la legge dell’offerta e della domanda di la-voro, e quindi il salario lavorativo, entro un binario che corrisponde ai bisogni di valorizzazione del capitale; la silen-ziosa coazione dei rapporti economici appone il suggello al dominio del capitalista sull’operaio. Si continua, è vero,sempre ad usare la forza extraeconomica, immediata, ma solo per eccezione. Per il corso ordinario delle cose l’ope -raio può rimanere affidato alle ‘leggi naturali della produzione’, cioè alla sua dipendenza dal capitale, che nasce dallestesse condizioni della produzione, e che viene garantita e perpetuata da esse. Altrimenti vanno le cose durante lagenesi storica della produzione capitalistica. La borghesia, al suo sorgere, ha bisogno del potere dello stato, e ne fauso, per ‘regolare il salario’, cioè per costringerlo entro limiti convenienti a chi vuol fare del plusvalore, per prolun -gare la giornata lavorativa e per mantenere l’operaio stesso a un grado normale di dipendenza. È questo un momen-to essenziale della cosiddetta accumulazione originaria”13.

Un paradosso teoricoIn questo passo Marx esprime a chiare lettere che la borghesia ha bisogno dello Stato solo nella fase di instaurazionedel modo di produzione capitalistico e non per il suo perpetuarsi; per questo è sufficiente il “corso ordinario dellecose”, il funzionamento interno del meccanismo economico. Ma si chiede Luporini: perché lo stato politico nonsolo esiste, ma si è perfezionato? Perché esso esiste come tale, in quanto apparato coercitivo-repressivo separatodalla società, proprio durante il dominio capitalistico della borghesia? Questa esistenza è di fatto una costatazioneempirica infatti, in Marx, dirige tutti gli scritti teorico-politici. In essi i concetti fondanti sono intelligibili all’internodella copiia opposizionale Società civile-Stato politico, che Marx (ed Engels) non ha mai cessato di adoperare. “Ma– scrive Luporini – non è affatto un caso, anzi è del tutto coerente, che quella coppia non funzioni più all’internodella concettualizzazione propria della ‘critica dell’economia politica’, cioè del Capitale, la quale è invece dominatadalla coppia opposizionale metacritica ‘struttura (economica) – sovrastrutture (giuridiche, politiche, ecc.)’, che non èdescrittiva, che di per sé cioè non rende ‘visibile’ nulla immediatamente sul piano empirico, e che richiede appunto,per la sua applicazione e la sua verifica, la piena concettualizzazione dei contenuti a cui viene riferita, attraverso lecategorie assunte e vagliate dalla ‘critica dell’economia politica’. Fra quelle due coppie opposizionali vi è dunque ete-rogeneità logica”14. Nel Capitale la coppia struttura-sovrastruttura funziona perfettamente, comanda l’intero procedere. Secondo questaangolatura l’analisi del processo produttivo illustra non solo le classi che gli sono essenziali (o quelle che vengonosubordinate al meccanismo economico dominante), ma, in modo non meno essenziale, illumina la correlativa lottatra le classi. Questo contesto di osservazioni si traduce nella coppia opposizionale (descrittiva) Società civile-Statopolitico in ciò che esprime Engels, nel Ludwig Feuerbach, quando sostiene che nella storia moderna lo Stato è l’ele-mento subordinato alla società civile, che, in quanto regno dei rapporti economici, risulta dominante (rovesciandosi,così, la concezione hegeliana). Luporini fa notare che in proposito Marx non la pensava diversamente 15, ma nellatrattazione del Capitale troviamo una difficoltà teorica: “nel Capitale è presente organicamente il diritto e anche lapolitica (lotta di classe), ma all’interno del campo della politica non troviamo lo Stato. Naturalmente lo Stato e le suefunzioni (non soltanto economiche) sono ricordati più volte nel Capitale di Marx. Non di questo si tratta, ma dellaconcettualizzazione teorica. Non solo questa non si trova che sarebbe poco male, si trova il contrario: si trova bloc -cato…ogni possibile passaggio teorico allo stato, in rapporto al funzionamento del modo di produzione capitalisti-co. Quest’ultimo funziona e deve funzionare per conto suo. Che la borghesia abbia avuto bisogno dello ‘Stato politi-

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co’, e del suo perfezionamento moderno…non solo per instaurare ma per riprodurre e mantenere il suo dominio diclasse, rimane per Marx la constatazione di un fatto empirico”16. Da qui deriva il relativo reciproco isolamento degli scritti teorico-politici (e programmatici) di Marx rispetto a quelli“economici”. A giudizio di Luporini vi è comunque in Marx, nella Critica al programma di Gothe, un tentativo di supe-ramento di questo isolamento e del più generale paradosso teorico prima descritto, che alla fine, però, risulta insuffi -ciente. Questo tentativo è visto da Luporini nel confronto tra due parti del testo marxiano in esame: una relativa allaquestione dello “Stato libero”, l’altra relativa alla questione del “diritto”. Criticando il programma del partito tede-sco Marx scrive: “Stato libero, che cos’è? Non è affatto scopo degli operai, che si sono liberati dal gretto spirito disudditanza, rendere libero lo stato. Nel Reich tedesco lo ‘Stato’ è ‘libero’ quasi come in Russia: la libertà consiste nelmutare lo Stato da organo sovrapposto alla società in organo assolutamente subordinato ad essa, e anche oggigior-no le forme dello stato sono più libere o meno nella misura in cui limitano la ‘libertà dello stato’”17. Questo passo importante mostra chiaramente che Marx ha profondamente accolto il concetto centrale del liberali -smo. “Lo stato è quella cosa, quella entità, i cui poteri più vengono (legalmente) limitati, e più nella società si è liberi.È a partire da questo liberalismo incorporato, in certo modo connaturato, che Marx può polemizzare col liberali -smo nelle sue incarnazioni storico-politiche. Ed è a partire da esso, soprattutto, che Marx può porre l’obiettivo, ex -tra ed ultra liberale, di rovesciare il rapporto Stato-società”18. La libertà è collocata da Marx in questo punto di rove-sciamento che però, nella sua realtà, è percepibile solo dal punto di vista del comunismo (la democrazia borghesepermette solo parzialmente di individuarne dei gradi). È infatti con una duplice domanda che Marx pone la questio-ne: “quale trasformazione subirà lo Stato in una società comunista? Quali funzioni sociali persisteranno ivi ancora,che siano analoghe alle odierne funzioni statali?”19. A queste domande non c’è risposta di contenuto, perché Marxnon confonde elaborazioni teoriche con anticipazioni dottrinarie. Esse sono domande di confine, e infatti così ven-gono delineate: “A questa questione si può rispondere solo scientificamente, e componendo migliaia di volte la pa -rola popolo con la parola Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna” 20. In Marx ilproblema dello Stato diviene quello “dell’eredità statalistica, sulla base di una organizzazione sociale radicalmentetrasformata (comunismo), come questione della ‘analogia’ fra determinate nuove ‘funzioni sociali’ e precedenti ‘fun -zioni statali’”21. Qui si oltrepassano i confini empirici in cui la problematica dello Stato era stata fino ad ora relegata, ma non si su -pera, però, il nesso anch’esso empirico “Società civile-stato politico”. È interamente su questo terreno comunqueche Marx si muove. Il discorso si fa diverso in merito alla questione del diritto. Nel comunismo, per Marx, almenoper tutta una prima fase, il diritto mantiene la caratteristica di qualsiasi “ugual diritto”, cioè quella di essere un “dirit -to della disuguaglianza”. “Questo diritto uguale è un diritto disuguale per lavoro disuguale. Esso non riconosce nes-suna distinzione di classe, perché ognuno è soltanto operaio come tutti gli altri, ma riconosce tacitamente la inegualeattitudine individuale, e quindi capacità di rendimento, come privilegi naturali. Esso è perciò, nel suo contenuto, undiritto della disuguaglianza, come ogni diritto”22. Tale diritto è destinato a sopravvivere in tutta una prima fase stori-ca della società comunista, finché non sia “scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione dellavoro” proprio perché il “diritto non può essere mai più elevato della configurazione economica e dello sviluppoculturale, da essa condizionato, della società”23. Questa importante discussione sul diritto sbocca significativamente nel problema della “ripartizione degli oggetti diconsumo” in quanto relazionata dalla critica dell’economia politica alla “ripartizione delle condizioni diproduzione”. A differenza di quanto avveniva per la discussione intorno allo Stato qui ci troviamo per intero sul ter-reno regolato dalla coppia opposizionale struttura-sovrastruttura. E quello che è altrettanto importante è che tale di-scussione è posta, nella Critica al programma di Gotha, prima di quella sullo Stato. Secondo Luporini, Marx si è “trova-to vicinissimo al punto in cui i due ambiti si sarebbero saldati, facendosi omogenei, e cioè a trasportare la problema -tica di ‘Società-Stato’ all’altezza logico-concettuale di quella di ‘struttura-sovrastruttura’. Questo tuttavia non è acca-duto. Il capitalismo studiato da Marx era il capitalismo concorrenziale, cioè quello del suo tempo. Ma questo nonsopprime per niente il limite teorico che abbiamo riscontrato nel Capitale, cioè l’impossibilità di trovare un passaggioalla problematica dello Stato dall’interno della critica dell’economia politica”24. In Marx, dunque, il passaggio teoricodal politico allo statuale è bloccato. Ci troviamo di fronte ad un “nodo teorico non risolto, il che ha avuto probabil -mente grandi conseguenze nella dottrina marxista dello Stato”25.

Le conseguenze di una mancata concettualizzazione teoricaSe le ragioni di tale impasse non sono di natura storica (inscrivibili, cioè, al capitalismo studiato da Marx) devono es-sere di natura teorica. Infatti, secondo Luporini, stanno nel modello stesso del Capitale, nel suo tipo di astrazionescientifica. Scrive: “Questo tipo di astrazione scientifica era del tutto legittimo – e la sua efficacia è dimostratadall’opera eseguita – ma aveva un limite di cui, mi sembra, Marx non si è accorto, e che quindi non ha oltrepassato.Esso impediva di render ragione concettualmente o sistematicamente (e non come mera constatazione storico-empirica) del fatto che il modo di produzione capitalistico per sua natura si sviluppa fin dall’origine, e poi sempre,come su un doppio binario: 1) la costituzione di un mercato interno di certe dimensioni, al di dentro del quale sistabilisce la concorrenza dei capitali che ne suppone il funzionamento; 2) il ‘sistema globale’ (cioè la creazione delmercato mondiale) all’interno del quale si produce la concorrenza fra le varie borghesie nazionali, protette dalle lorostrutture statali, e ha luogo lo sviluppo ineguale dei diversi paesi entrati nell’ambito dello sviluppo capitalistico. Nul -

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la o quasi che non sia di fatto, cioè empiricamente, presente nel Capitale di Marx. Ma ciò che non è presente è laconcettualizzazione di questi due lati simultanei, la dimostrazione cioè del loro legame necessario, della loro recipro-cità. E quindi della necessità per la borghesia capitalistica della esistenza dello stato moderno” 26. La critica dell’eco-nomia politica constata, per sua natura, la propensione del capitalismo a trasformarsi in un “sistema mondo”, maper questa concettualizzazione teorica e modellizzazione generalizzante risulta inadeguata la relativa concezione del“politico” e dello “statuale”. Continua, infatti, Luporini: “Non dalla lotta di classe direttamente, ma da questa confi-gurazione ed articolazione complessiva (nazionale-internazionale) del capitale di poteva pervenire concettualmentealla nozione di Stato politico”27. Le successive teorie dell’imperialismo, quelle di Lenin e Rosa Luxemburg, hannocertamente coperto una mancanza, ma partendo da una interpretazione del pensiero marxiano in qualche modo in -sufficiente: Lenin con un concetto limitato di formazione economico-sociale (come Luporini ha sottolineato inMarx secondo Marx), Rosa Luxemburg con un’interpretazione errata della teoria delle crisi e della conseguente “ne -cessità” del passaggio al socialismo. Occorre, quindi, a parere di Luporini, riprendere il discorso partendo dalla“mancanza” di Marx (e di Engels) nella “necessità di riuscire, con metodo differenziale, ad affrontare e padroneg-giare concettualmente i grandi mutamenti avvenuti nelle strutture economico-politiche del tardo capitalismo, nelquadro attuale del mondo, il loro rapporto con la dinamica delle forze produttive (e quindi con la ‘crisi’), e come ciòcondiziona e può orientare l’attuale lotta di classe e di massa”28.

Note:

1. C. Luporini, Critica della politica e critica dell’economia politica in Marx, in “Critica marxista” n°1, 1978, pagg. 17-50.2. Questi stessi temi sono trattati in C. Luporini, Sentieri interrotti e sentieri non interrotti nell’ultimo Althusser, in

AAVV, Discutere lo Stato. Posizioni a confronto su una tesi di L. Althusser, De Donato, Bari, 1978.3. Ivi, pagg. 26-27.4. Ivi, pag. 27.5. K. Marx, F. Engels, Ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1983, pag.20.6. C. Luporini, Critica della politica e critica dell’economia politica in Marx, cit., pagg. 28-29.7. Ivi, pag. 29.8. K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica della economia politica, Einaudi, Torino, 1980, pag. 468.9. Ivi, pagg. 475-476.10. C. Luporini, Critica della politica e critica dell’economia politica in Marx, cit., pag. 31.11. Ivi, pagg. 36-37.12. Ivi, pagg. 37-38.13. Ivi, pagg. 38-39.14. K. Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma, 1980, I, pagg. 800-801.15. C. Luporini, Critica della politica e critica dell’economia politica in Marx, cit., pag. 41.16. A dimostrazione di ciò Luporini cita un passo dei Grundisse dove Marx dice: “übergreifen der bürgerlichen Gesell-

schaft über den Staat (prevalere della società civile sullo Stato)”. (Ivi, pagg. 43-44).17. C. Luporini, Critica…, cit. pag. 44.18. K. Marx, Critica al programma di Gotha, Editori Riuniti, Roma, 1978, pagg. 42-43.19. C. Luporini, Critica…, cit. pag. 45. è da notare che questo “liberalismo incorporato è assolutamente in contraddizione

con la matrice ultrastatalistica della dottrina dello stato propria del marxismo successivo, soprattutto di quello sovieti -co.

20. K. Marx, Critica al Programma di Gotha, cit., pag. 43.21. Ibidem.22. C. Luporini, Critica…, cit., pag. 31.23. K. Marx, Critica al Programma di Gotha, cit., pag. 31.24. Ivi, pag. 32.25. C. Luporini, Critica…, cit., pag. 47.26. Ivi, pag. 48.27. Ivi, pagg. 48-49.28. Ivi, pag. 49.29. Ivi, pag. 50.

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PARTE QUARTALa crisi del marxismo, il ritorno a leopardi e l’attualità del comunismo (1980-1990)

Capitolo 1La crisi del marxismo come paradigma teorico totalizzante

Come si è visto in Marx secondo Marx, il nucleo centrale della ricerca della ricerca marxista di Luporini è individuabilenella doppia relazione fondativi che si instaura tra materialismo storico e critica dell’economia politica (il materiali -smo storico è fondativi della critica dell’economia politica, ma è anche una concezione modificatesi a seguito dei ri -sultati di quest’ultima), la quale dischiude la problematica generale di qual è la “filosofia” di Marx, di che tipo di“metafisica influente” ha accompagnato e reso possibile il suo lavoro specifico (Luporini ha costruito le condizioniper questa risposta affrontando il nesso dialettica-materialismo e il concetto “politico e statuale” in Marx).

Marx senza marxismoPrima di affrontare questa questione, Luporini introduce una premessa teorico-metodologica importante. La man-canza diretta, negli scritti di Marx, di una trattazione filosofica generale non ne ha reso, nella storia, meno necessariala presenza, tanto che fu edificata da altri. Il primo tentativo, avallato da Marx, è quello rappresentato dall’Antiduh-ring di Engels, il cui complesso di dottrine fu chiamato, per la prima volta (da Kautsky), “marxismo”. In questo asse-stamento il materialismo storico si presenta come la premessa necessaria del “socialismo scientifico”, ma serba, ri-spetto a quest’ultimo, una certa sua autonomia epistemologica. Questa sistematizzazione ha avuto storicamente un importantissimo ruolo nell’indirizzare la cultura del movimentooperaio socialista e delle sue organizzazioni politiche e rivoluzionarie. In un secondo momento, ad opera di Plecha-nov e Lenin, a questo insieme si è sovrapposto uno scenario più inglobante, una massimizzazione sistemica più ge-nerale della teoria, detto, come è noto, “materialismo dialettico” (locuzione costituita essa stessa a partire da alcuneespressioni di Engels, soprattutto in riferimento ai suoi appunti dedicati alla dialettica della natura). Luporini, e que -sto è altamente significativo, dubita che questi assestamenti corrispondano “all’andamento più profondo e alla criti-cità intrinseca del pensiero di Marx”, e, comunque, secondo lui, “noi viviamo oggi in una situazione tale per cui, sesi vuol penetrare nel vivo della problematica di Marx, è opportuno liberarsi da tali ‘scenari’ e dal ‘marxismo’ stesso(o dal ‘marxismi’ in genere)”1. Per cercare la “filosofia” di Marx, quindi, occorre “tornare” a Marx, prescindendodalle “filosofie” successive che ad esso si sono storicamente sovrapposte. “Il pensiero di Marx – scrive Luporini –va rifluidificato, per così dire, liberandolo dagli schemi e schemi del marxismo”2. Tuttavia, a giudizio di Luporini, “ladizione ‘materialismo storico’, nella sua rappresa semanticità anche polemica (‘materialismo’ ma ‘storico’; storia glo -bale o integrata, ma su basi materialistiche) serba sufficiente verità e utilità da poter ancora essere usata quale ap-prossimazione e indicazione problematica di un determinato modello di teoria”3. Questa posizione di Luporini ha attirato su di se una profonda critica di G. Tedeschi, che infatti scrive: “L’operazio -ne proposta da Luporini lascia alquanto perplessi, non perché non sia legittimo, in linea di principio, distinguere fi-lologicamente e criticamente tra un pensatore e i suoi seguaci, ovvero tra una determinata dottrina e gli sviluppi suc -cessivi…Ma perché Marx è un pensatore di tipo particolare, mentre nell’impostazione di Luporini questa particola -rità va perduta, nel senso che dalla sua proposta sembra discendere che la concezione marxiana…non si sarebbemai veramente realizzata, ma in modo tale che, per intendere Marx, occorrerebbe prescinderne completamente…Ora, il minimo che si possa dire è che questa proposta interpretativa di Luporini rischia di essere essa stessa la piùdura e netta confutazione di Marx in quanto pensatore/rivoluzionario. In realtà Luporini non configura un ‘recupe-ro’ di Marx, bensì, al massimo, la sua collocazione in un capitolo di storia della filosofia. Sotto questo profilo, la suaproposta può essere accettabile: solo, bisognerebbe ammettere tutte le conseguenze, rinunciando quindi, in primoluogo, alla pretesa di continuare a definirsi ‘marxisti’”4. Poi Bedeschi riconduce questa critica ad una più generale,quella rivolta contro gli “eurocomunismi” e contro la loro ambiguità, oscillante tra una difesa di principio di unateoria rivoluzionari e una pratica politica riformista e del tutto interna al quadro capitalistico. Ambiguità che cercapace “attraverso la ricerca e la ricostruzione di un Marx introvabile perché immaginario” 5. E, ricordiamolo, ambigui-tà da risolvere, per Bedeschi, nell’abbandono definitivo del marxismo (Marx compreso) e della prospettica comuni-sta, nella piena accettazione dell’intrascendibile orizzonte capitalistico. Ora, la critica di Bedeschi è del tutto fuoribersaglio; non tanto nella sua valenza politica ricolta contro il Pci degli anni ’80 e i suoi intellettuali (benché, questacritica, sia accettabile da posizioni politiche nettamente opposte a quelle di Bedeschi), quanto sul significato teoricoassegnato all’operazione di Luporini. Bedeschi confonde due piani (che sono certamente intrecciati e interdipenden-ti) identificandoli, chiudendosi così la strada della comprensione del punto centrale della riflessione di Luporini. PerLuporini il marxismo non ha solo interpretato il modello teorico avanzato da Marx (in modo, a parere di Luporini,non completo e certamente generalmente errato), ma ha costruito, sopra questa interpretazione, tutta una serie dinuove concezioni e schemi che sono risultati incapaci di dare ragione della complessità che il capitalismo ha assuntonella sua storia: “si ha l’impressione diffusa – scrive – che una macchina si sia inceppata nella sua capacità di incide-re sulle cose e sulla loro complessità ‘moderna’ (economica, sociale, statuale). E prima di tutto nella capacità stessa

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di conoscerle analiticamente nei propri strumenti. Questa macchina si chiama ‘marxismo’”6. Ora, Luporini si chiede se tale incapacità non derivi anche e soprattutto da quella errata interpretazione e innanzi -tutto se la ricerca, in Marx, del significato autentico del suo modello teorico non possa, in qualche modo, aprirenuove strade (nuove “costruzioni teoriche” da realizzare), capaci di aggredire questa complessità con risultati effica -ci. Si chiede, cioè, e risponde affermativamente, se in Marx non vi sia una indicazione teorica generale del tutto nonsviluppata dai suoi “eredi storici”, che, anzi, l’hanno resa quasi introvabile a seguito delle loro sovrapposizioni (Lu -porini infatti parla di “profondità” e “criticità intrinseca” del pensiero di Marx), per questo occorre tornare a Marx;ma ciò non significa per Luporini negare acriticamente, con un comodo colpo di spugna, tutto ciò che è stato ilmarxismo e le sue “realizzazioni” pratiche, con tutte le “deformazioni”, ma anche “liberazioni”, che ciò ha compor-tato. È l campo teorico di Marx che ha bisogno di liberarsi dal marxismo, per tornare potenzialmente vitale (con lecaratteristiche e i limiti che vedremo); ciò non ha direttamente e immediatamente a che vedere con il giudizio dicondanna o di relativa assoluzione da esprimere sulla funzione storica e sulle contraddizioni dei sistemi socialisti.Inoltre, e soprattutto, le intenzioni di Luporini sono rivolte al futuro: il bisogno di comunismo, che certamente nonsi spegne di fronte al fallimento del “socialismo reale”, e che ha bisogno di una capacità interpretativa della realtà at -tuale, ha qualcosa da imparare da Marx, dal suo modello teorico originario? La critica di Bedeschi, cercare un Marx “buono”, “non compromesso”, per emendare in qualche modo il propriomarxismo e l’appoggio al movimento comunista internazionale (e alle sue “deformazioni”), non coglie, in nessunmodo, lo spirito di Luporini, che è esattamente l’opposto. Per Luporini, Marx non è né un “classico” (nel senso diun pensatore importante, ma, diciamo, non più in “presa diretta” con l’attualità), né un costruttore di teoria del tut -to dissolto nelle sue interpretazioni successive. L’eterogeneità tra Marx e il marxismo (distinzione generale, questa,tra un pensatore e i suoi seguaci, per Luporini valida anche per altri casi, almeno per Kant e Hegel) diviene fonda-mentale perché, secondo Luporini, in Marx esiste una “ricchezza metodologica” non sviluppata, o meglio, in alcunesue parti fondamentali, rimasta nell’ombra, soffocata da concezioni successive aggiunte a guisa di quadro generale,come “metafisiche influenti”. Questa posizione è per Luporini un risultato del suo lavoro marxista, non un punto d’avvio dopo una grande abiu -ra. Al marxismo, specificatamente a quello di Engels e di Lenin, vanno riconosciuti grandi meriti, che Luporini nonmanca mai di ricordare (soprattutto per Lenin), ma anche la loro caratteristica, sul piano filosofico, di sostituzione enon solo di integrazione (come, sempre nel caso di Lenin, Luporini ha dimostrato relativamente alla nozione mar-xiana di “formazione economico-sociale”). La domanda fondamentale e in qualche modo conclusiva di Luporini èdunque questa: qual è la “filosofia” di Marx, nel senso di Marx? Qual è la sua “metafisica influente” rintracciabile trale righe del suo lavoro specifico? E che luce prende questo lavoro sulla base di questa filosofia fondante?

Il pensiero di Marx come parte fondamentale di una generale teoria dei condizionamenti umaniAbbiamo visto che la dizione “materialismo storico”, secondo Luporini, rimane comunque valida per indicare il de -terminato modello teorico di Marx. Il materialismo storico è il “filo conduttore”, una “metateoria” che “determinale categorie fondamentali di ricerca (‘modi di produzione’ e corrispondenti ‘formazioni sociali’) destinate ad entrarein azione nelle analisi particolari, via via organizzando categorie subordinate”7. Ne L’ideologia tedesca il materiali-smo storico nasce da un’opposizione ad una filosofia (speculativa), che pretende di essere senza presupposti. Marxfa quindi valere, viceversa, la necessità del richiamo ad alcuni presupposti presenti in ogni “storia”: il fondamentonaturale della produzione e riproduzione della “vita immediata”, innanzitutto nella sua materialità e nei suoi condi -zionamenti fisici (anche oro-geografici) e quindi i bisogni elementari correlativi, che costituiscono un livello perma-nente di necessità. Il punto di partenza della considerazione marxiana è dunque nella nozione di “produzione e ri-produzione della vita immediata”, come già Luporini aveva ricordato sia in Marx secondo Marx, che nella trattazio-ne dello specifico “naturalismo” di Marx nell’Introduzione e Dialettica e materialismo. Dunque ciò che da Marx “vienemesso in rilievo è prima di tutto una relazione di ‘dipendenza’ e di ‘condizionamento’ fisici”8. La specificità della visione marxiana si inserisce proprio a questo punto. Si assiste ad un allargamento filosofico dellanozione di modo di produzione dei mezzi materiali di sussistenza. Scrive Marx: “Questo modo di produzione nonsi deve giudicare solo in quanto è la riproduzione dell’esistenza fisica degli individui; anzi, esso è già un modo deter -minato di estrinsecare la loro vita, un modo di vita determinato. Come gli individui esternano la loro vita, così essisono. Ciò che essi sono coincide dunque con la loro produzione, tanto con ciò che producono quanto col modocome producono. Ciò che gli individui sono dipende dunque dalle condizioni materiali della loro produzione”9. Questo brano di Marx è, per Luporini fondamentale, e infatti così commenta: “In queste proporzioni è in nuce tut-to il materialismo storico (tranne le tesi relative alla coscienza e alla ideologia). In esse è evidente il passaggio da unaconsiderazione meramente fisicale (di dipendenza e condizionamento) a una considerazione ontologica…onde siprodurrà più tardi la nozione di ‘essere sociale’”10. E, sull’ontologia, in una nota continua: “Sull’ontologismo specifi-co di questo passaggio e del carattere decisivo che esso assume nella struttura più intima del pensiero di Marx, vor -rei insistere…Attraverso tale differenziazione articolata – e soltanto attraverso di essa – Marx distingue in re la ri -produzione sociale della riproduzione biologica, facendo corrispondere, di conseguenza, due diversi livelli epistemo-logici e due diversi livelli ontologici, con le leggi (o tendenze) loro proprie. Ma tenendo fermo nello stesso tempoche il secondo livello (che nella Prefazione del 1859 verrà chiamato ‘essere sociale’) è instaurato sul primo e lo pre-suppone permanentemente, mentre permanentemente lo assume in sé in parte almeno modificandolo (nella prassi

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produttiva, e nelle sue conseguenze fisico-ambientali), in un nesso indissolubile di naturalità e socialità, in cui i duemomenti rimangono però sempre distinti o distinguibili. Ciò vale quindi non solo sotto il riguardo teorico (cogniti -vo), ma anche sotto quello pratico (e di conoscenza della prassi), almeno per ciò che concerne gli aspetti materiali(corporei) del fare produttivo”11. La specifica concezione di Marx è dunque caratterizzata da un superamento di unafilosofia astratta e speculativa, ma anche di un conchiuso e deterministico naturalismo, e si muove, in questo senso,verso una ontologia (dell’essere sociale) caratterizzata materialisticamente. Il passaggio da una considerazione fisica-le ad una ontologica, con le conseguenti distinzioni d’essere (essere inorganico-organico; essere sociale), non soppri-me il naturalismo, ma lo relaziona, in modo materialistico, con la storia (naturale ed umana). secondo Luporini,però, questo carattere materialistico dissolve da subito il richiamo forte dell’ontologia: “questo ontologismo – scrive– è tutto risolto per un verso in empiricità, per altro verso, ante litteram, in pragmatismo…e in una sorta di com -portamentismo”12. A giudizio di Luporini la relazione tra materialismo e ontologia è solo un punto d’avvio, che co-struendosi e strutturandosi, si dissolve. Una volta stabilita la distinzione ontologica dell’essere sociale (e il suo carat-tere materialistico) la concezione marxiana si rivolge alle caratteristiche materiali (comportamentali e pragmatiche)della produzione. Così infatti Marx continua quel brano citato: “Questa produzione non appare che con l’aumento della popolazione.E presuppone a sua volta relazioni tra gli individui. La forma di queste relazioni a sua volta è condizionata dalla pro -duzione”13. Da una parte ci sono le relazioni tra gli individui (condizionate e ontologicamente determinate), edall’altra la loro prassi trasformativi, anch’essa ontologicamente determinata essenzialmente, nella sua forma origi-naria, dal lavoro. “Credo si possa dire – scrive Luporini – che la concezione di Marx consiste in una peculiare com-binazione di prassismo e relazioniamo, ove ciò che si può denotare che il primo termine (la prassi) sta alla base diciò che è denotato dal secondo, che a sua volta ne indica la modalità di organizzazione (relazioni sociali quali sistemidell’interazione pratica degli individui). La peculiarità di questa combinatoria sta nel fatto che le relazioni sociali siautonomizzano (e, in certo modo, ontologizzano: ‘essere sociale’) come condizioni via via storiche della prassi dacui si generano”14. Come si nota le riflessioni di Luporini sull’ontologia di Marx sono oscillanti: da una parte l’ontologismo si risolve inprassismo e relazioniamo, dall’altra l’ontologia continua ad operare, costituendo soglie (storiche), in qualche modoirreversibili (“le relazioni in qualche modo si ontologizzano come condizioni via via storiche della prassi”). Sembrache Luporini abbia paura di una concezione forte dell’ontologia, perché forse impossibile da emendare da possibilivalenze metafisiche e assolute, che, in qualche modo però, rimane come problema aperto (che continuamente infattiritorna), perché ineliminabile nella sua fondamentalità (nonostante siano possibili, e raccomandabili per Luporini,“riduzioni” prassistiche e comportamentistiche). E come più volte abbiamo notato in altri luoghi, su questo punto ilsuo pensiero si blocca, imboccando altre strade. “Marx – scrive – propone un concetto relazionale delle societàumane, che egli sempre manterrà opponendolo esplicitamente alle concezioni aggregative, come mere somme di in -dividui in qualche modo accorpati”15. Questa “relazionalità”, tuttavia, benché non possa mai mancare nelle societàumane, non è in Marx un dato ultimo di spiegazione. Dietro questo livello ci sta uno sfondo naturalistico, rappre-sentato dall’impossibilità di produrre le condizioni originarie della produzione da parte della produzione stessa. Lafondamentalità delle strutture parentali, che non sono veri e propri rapporti di produzione, è riconosciuta da Marxin modo evidente. Questo perché le “forme di relazione” come sistemi dell’interagire pratico umano, suppongono una funzione co -stante e necessaria (anche se assume forme storiche diverse): la cooperazione di più individui. Qui si saldano e arti -colano naturalità e socialità nei modi specificatamente umani (quelli propri del lavoro); e correlativamente, siccomead ogni stadio determinato della produzione è necessariamente unito un modo determinato della cooperazione, siha l’ulteriore intreccio e saldatura tra il sociale e l’economico che, indicando di fatto questa fondamentalità, diventamomento soverchiante (ubergreifendes Moment), ancor più nell’automizzazione massima dei processi economici pre-sente nel modo di produzione capitalistico (che per questo diventa la “porta d’ingresso” per l’analisi della storia del-la produzione e delle formazioni sociali). In questa situazione la relazionalità è caratterizzata dal conflitto, e ciò met-te in luce ciò che Marx chiama la “forma antagonista della società”, aprendo la problematica del dominio (Herr-schaft). Ma anche qui Luporini invita all’attenzione e ad una analisi del pensiero marxiano di tipo profondo. È infatti,secondo lui, un fraintendimento grave pensare la radice ultima del dominio, cioè della sua possibilità, nella divisionein classi antagoniste, cioè in un fenomeno derivato che richiede tante peculiari condizioni storiche per realizzarsi.“Quella radice – scrive Luporini – appare più profonda in Marx e, soprattutto, è concettualmente autonoma, anchese il suo terreno rimane quello della cooperazione, nel suo complicarsi attraverso la divisione sociale del lavoro. Quiinterviene un altro lato del ‘naturalismo’ di Marx. Ripetutamente egli osserva che la cooperazione…è ‘naturale’ e‘volontaria’ (in questo contesto naturale è dunque opposto a volontario), intendendo che essa sorge e si evolve incondizioni di socialità i cui rapporti non sono stati scelti dai soggetti, ma si sono stabiliti, e si evolvono, indipenden-temente dalle loro volontà individuali (anche gli individui sono destinati a venire ‘sussunti’ in determinati ruoli so-ciali, e a subirne i limiti nello sviluppo della loro personalità). Questo è possibile perché attraverso la cooperazionesviluppata nella divisione del lavoro si fissa e si consolida un ‘potere obiettivo’ (Sachliche Gewolt) sociale, che sfugge alcontrollo degli individui dalla cui cooperante attività pratica…pur si origina (permanentemente)”16. A questo livello il discorso di Marx, come più volte accade, passa dalla descrivibilità empirica ad un piano ermeneu -tico, riferendosi alla specifica tematica dell’apparire, così importante e complessa nel pensiero di Marx (come Lupo -

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rini ha ben rilevato soprattutto in Marx secondo Marx). Scrive Marx: “Il potere sociale, cioè la forza produttiva molti-plicata che ha origine attraverso la cooperazione dei diversi individui, determinata dalla divisione del lavoro, appare aquesti individui, poiché la cooperazione stessa non è volontaria ma naturale, non come il loro proprio potere unifi-cato, ma come una potenza estranea, posta al di fuori di essi, …che quindi non possono, più dominare…”17. Questa estraneità, che, aggiunge Marx, è il contenuto reale di ciò che i filosofi hanno indicato con il termine “estra-niazione” (Eutfremdung), è un concetto sistematico fondamentale del pensiero di Marx e della sua visione storica. Dauna parte esiste, nell’estraneazione, una valenza ontologico-sociale nel render conto di un “potere oggettivo” nel vi -vere sociale degli uomini (che deriva dalla “naturalità” della cooperazione e che viene sentito “soggettivamente”come potenza estranea), che diventa di fatto una “seconda natura” (e qui è presente tutto l’antisoggettivismo e il“naturalismo” di Marx); dall’altra l’estraneazione è “storica”, cioè assume una forma determinata corrispondentealla specifica formazione sociale presente (e qui sta tutto l’antideterminismo di Marx). A livello della società capitalistica esiste l’espressione massima di questa realtà storica, la divaricazione completa trale capacità tecnico-produttive umane e lo sviluppo, in senso umano, della personalità individuale. E questo perché ilmodo di produzione capitalistico, per la prima volta, assume carattere planetario e la sua storia diventa “storia uni-versale” (in questo senso Marx recupera e, insieme, de-speculativizza la nozione hegeliana di Weltgeschichte). ScriveMarx: “Nella storia fino ad oggi trascorsa è certo un fatto empirico che i singoli individui, con l’allargarsi dell’attivitàsul piano storico universale, sono sempre stati asserviti a un potere a loro estraneo (oppressione che essi si sonorappresentati come un dispetto del cosiddetto spirito del non do ecc.), a un potere che è diventato sempre più smi-surato e che in ultima istanza si rivela come mercato mondiale”18. Commenta Luporini: “Questo singolare intreccioconcettuale di ‘storia universale’, ‘mercato mondiale’ e ‘potenza estranea’ non è per Marx qualcosa che passa soprala testa dei ‘singoli individui’ (come la Weltgeschichte di Hegel) ma è qualcosa che li concerne esistenzialmente nonmeno del loro essere sussulti sotto ruoli sociali determinati per effetto della divisione del lavoro” 19. Il tema dellaestraniazione è quindi fondamentale (non è quindi riducibile a mera conseguenza esistenziale, così come non è indi -catore di una eterna condizione umana); e in Marx, infatti, è sempre connesso con quello principale del comunismo.La determinazione ontologica dell’estraneazione e la sua forma storica sono dialetticamente intrecciate. Il comunismo rivoluziona radicalmente questa forma storica distruggendo la società capitalistica, ma non ipotizzaassolutamente il superamento astratto della sua originaria determinazione ontologica (rappresentata dalla “naturali-tà” della cooperazione). Esso non presuppone, con il superamento della estraniazione capitalistica, il superamento(idealistico) della differenza soggetto-oggetto, in un soggetto assoluto autocoscienze, il superamento, cioè, dellostesso processo di oggettivazione (come invece ha sempre sostenuto, ad esempio, l’hegelo-marxismo). In questoaspetto sta il profondo significato della saldatura, presente in Marx in riferimento al comunismo, tra rovesciamentorivoluzionario e continuità storica rispetto al sistema borghese. L’altro aspetto decisivo, connesso a questo, è quellorappresentato dal nesso universale-particolare. L’esistenza del mercato mondiale (con la sua valenza universale), benché segno delle più profonde disuguaglianze eoppressioni, apre la possibilità strutturale (comunista) di superare le ristrettezze localistiche e di aprire universalmen-te il mondo delle relazioni dell’individuo. E se, in questo senso, il comunismo è sviluppo multilaterale e complessivodell’individuo (per Marx vale l’assioma che la ricchezza spirituale dell’individuo dipende interamente dalle sue rela -zioni reali), si vede chiaramente qui, sia l’esigenza della trasformazione radicale, sia la relazione di continuità storica.Tutte queste problematiche, in definitiva, riguardano la risposta alla domanda radicale di Marx e cioè su come siapossibile empiricamente il comunismo. E poiché questo processo riguarda la coscienza degli individui, perché daessi, necessariamente, deve essere costruito consapevolmente, entra in gioco anche un’altra questione: quella dellaideologia. Solitamente questo concetto ha una valenza negativa (anche Luporini, come Althusser, lo utilizza conquesta valenza in contrapposizione alla scienza). Marx costruisce la concezione materialistica della storia partendoda una contrapposizione antiideologica e l’ideologia è vista come ottica illusionistica e deformante. I passi di Marxin questo senso sono famosissimi. Ma il concetto di ideologia non ha solo questa valenza. Copre un campo teoricopiù vasto: “è presente – scrive Luporini – anche un concetto in parte diverso, e a suo modo positivo, di ideologia,come qualcosa che acquista nel processo complessivo, le sue ‘forme’ (‘forme ideologiche’ e corrispondenti ‘forme dicoscienza’)”20. Nel più maturo materialismo storico, segnatamente nella Prefazione del 1859, le forme ideologichenon appariranno più soltanto come semplici “sublimazioni” ma come vere e proprie funzioni della vita reale degliuomini: “le ‘forme ideologiche’(giuridiche, politiche, religiose, artistiche, o filosofiche), vengono considerate tali percui solo attraverso di esse gli uomini divengono ‘coscienti del conflitto e combattendo lo conducono a termine’. Lafunzionalità qui è del tutto evidente. Nel trapasso da ‘ideologia’ a ‘forma ideologica’ vi è dunque un’ambivalenza se -mantica, per quanto internamente correlata, che i fondatori del materialismo storico non hanno ben chiarito, dandoluogo a moti successivi fraintendimenti”21. Siamo così giunti al nesso sistematico fondamentale per il materialismostorico: quello tra struttura e sovrastruttura. Questa relazione è assai complessa, come Luporini ha più volte mostrato nei suoi precedenti scritti. La configura-zione sistematica che Marx introduce si articola su diversi livelli dentro una logica di ordine ascendente. Scrive Lu-porini: “Si ottiene una specie di architettonica concettuale a tre livelli: struttura economica (a cui si assimila la ‘basereale’) e sovrastruttura giuridico-politica, legata alla prima da una relazione di dipendenza, e un ulteriore livello costi-tuito dalle ‘forma sociali della coscienza’ (o anche ‘forme ideologiche’), le quali appaiono libere rispetto al secondolivello ma poste in una relazione diretta di corrispondenza con la struttura economica”22. Questo sistema, che si pre-

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senta aperto verso l’alto, è, in questo modo presentato con un taglio statico. Per comprenderlo, però, nella sua com-plessità, occorre caratterizzarlo dinamicamente. Per Marx, infatti, esiste una processualità che si evidenzia in una re-lazione di condizionamento unidirezionale, designata dal fatto che il modo di produzione della cita materiale condi-ziona in generale il processo di vita sociale e politico e spirituale. La relazione di corrispondenza è inizialmente risol -ta da Marx in una generica relazione di condizionamento (dello ‘spirituale’ da parte del ‘materiale’). Ma è di nuovo ildiscorso ontologico ad innescare l’ulteriore passaggio (decisivo). Questo discorso lo troviamo all’opera nella drasticadicotomia presentata nella famosa affermazione marxiana per cui “non è la coscienza degli uomini a determinare illoro essere, ma il loro essere sociale a determinare la coscienza”. Qui vi è la chiara determinazione ontologica diquella relazione di condizionamento e, importante, della sua unidirezionalità, del suo verso specifico. In questomodo Marx si incammina verso un determinismo economico o socio-economico? “Quanto a Marx – scrive Lupori-ni – tutto sta a intendere il valore dell’uso che egli fa della parola ‘determinazione’ o del corrispondente nomed’azione. Esso sembra da riportarsi a una grande tradizione filosofica, da Spinosa a Hegel, piuttosto che a un deter -minismo di tipo scientistico-ottocentesco. Come a dire che non il ‘condizionamento’ si restringe in‘determinazione’, ma al contrario, che la ‘determinazione’ si precisa, alla scala fenomenica, quale‘condizionamento’”23. Il materialismo storico è dunque, secondo Luporini, una teoria fondamentale del condizionamento umano, con unapproccio ontologico-naturalistico alla sua base e, al suo capo, aperta ad una costruzione sistematica (la teoria delleformazioni sociali o della loro successione) di una teoria della storia antideterministica (anche se non senza precisedeterminazioni presenti nel suo “canone” fondamentale) e, come tale, antiteleologica; teoria che apre una concezio -ne delle società di tipo relazionale, comunque antiaggregativa. “Nulla fa più orrore a Marx – scrive Luporini – di unuso della sua teoria nella guisa di una ‘filosofia della storia’. L’avversità a quest’ultima è, insieme, la sua prima ed ulti-ma parola”24. Infatti “ciò che emerge con forza in Marx nell’ultimo periodo del suo pensiero è un alternativismo, almeno poten -ziale, se non proprio controfattuale, quale contrafforte teorica atta a correggere ogni tentazione di necessaritarismoaprioristico nella visione del succedersi storico dei modi di produzione e quindi delle formazioni sociali” 25. Ciò èparticolarmente evidente quanto emerge, nell’ultimo Marx, la rilevanza decisiva della categoria di ambiente (Milieu)storico26. Questa categoria, in un certo senso antisistemica, nell’uso che Marx ne fa, (dentro però una visione siste -matica), raccoglie tutte le variabili empiriche storiograficamente accertabili, ma non sistematicamente dominabili (al-meno per via diretta). Ad esempio già in una fase storica dell’antica Roma erano date sistematicamente le condizioniper il formarsi della produzione capitalistica (esproprio dei piccoli proprietari, da una parte, e accumulo di grandicapitali monetari, dall’altra). Ma non ragioni relative ad elementi sistematici, bensì quelle prevalenti dalla contingenzedell’”ambiente storico”, produssero invece la grande proprietà terriera schiavistica. “Si può dire – commenta Lupo-rini – che la matura versione marxiana della storia è quella di un campo teorico dominato da due opposti poli: quel-lo autodeterministico, se così si può dire, della varia combinatoria storico-sistematica dei fattori economici (lavora -tori, mezzi di produzione), con i verificabili automatismi dei suoi sviluppi (quando siano esprimibili in leggi) – mo-mento fondante della epocalità economica – e quelle estremamente indeterminabile, da un punto di vista sistemati -co, espresso da Marx con la categoria di ‘ambiente storico’, che mette in scacco ogni presunzione di totalizzante ogeneralizzato determinismo economico”27.

Marx e LuhmanA giudizio di Luporini il taglio sistematico di Marx e il suo relazioniamo lo mette in comunicazione con la modernateoria dei sistemi, e in particolare con Luhman28. La tesi conclusiva di Luhman, sulla quale si regge tutto il suo siste-ma di analisi della società, è che uomo e società sono ambiente e sistema l’uno per l’altro. Questa relazione è di tipocircolare, poiché cambiando punto di vista ciò che era ambiente diventa sistema e viceversa. Ne consegue, a pareredi Luporini, “che nel sistemiamo alla Luhman, formalmente, non può apparire mai nulla di propriamente basilare.Neppure qualcosa di analogo al problema di una ‘complessità fondamentale’, al di sotto della cui soglia il grado didisordine sarebbe incontrollabile”29. Nel rapporto uomo-società la mossa strategica fondamentale di Luhman consiste nell’estraniarli reciprocamente, inquanto sistemi e dal punto di vista sistematico funzionale. L’uomo concreto, per Luhman, non è “parte” della socie-tà, non si risolve mai, cioè, nei propri ruoli sociali; egli costituisce sempre sistema per se stesso, non è mai integratototalmente nella società, per quanto coinvolto in essa da più parti. Scrive Luhman: “L’uomo vive come un organi -smo guidato da un sistema psichico (personalità). Le possibilità strutturalmente ammesse da questo sistema psi -chico-organico non sono identiche a quelle del sistema sociale ‘società’”30. Commenta Luporini: “La posizione diLuhman è suggestiva, nel suo contenuto…Non è affatto una messa fuori gioco dell’uomo individuale e ‘personale’,perché esso (come ambiente) appare strutturalmente necessario al sistema sociale. Nello stesso tempo esso apparepreservato nella sua autonomia e perfino esaltato nella concreta diversità di ogni singolo rappresentante della specieumana (in verità è esaltato l’uomo privato). Anche se si manifesta nulla l’efficacia sociale di tale autonomia, rispettoal funzionamento dei sistemi sociali. Come dire, siamo autonomi, ma impotenti”31. Luporini si chiede se sia sosteni-bile fino in fondo, nonostante la sua funzionalità specifica, questa separazione sistematica proposta da Luhman; o senon si tratti di fatto di una generalizzante di una situazione particolare (alienata) storica, che, in quanto tale, assumevalore mistificante, invitando così, implicitamente, alla rassegnazione sociale. Anche per Marx esiste uno “scarto esi -

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stenziale” fra l’individuo e i suoi ruoli sociali, e anzi su tale scarto, è fondata la possibilità rivoluzionaria dal lato dellesue condizioni soggettive. Questo implica, naturalmente, che si riflettano nei soggetti, in modo più o meno acuto,tensioni e contraddizioni oggettive del sistema sociale. Non che Luhman non individui questo problema; egli è con-sapevole che di fatto ogni ordinamento sociale deve scaricare un gran numero di problemi non risolti dalla strutturasulle personalità individuali, e che questo non può non essere produttore di crisi del sistema “società”, ma a tale si -tuazione Luhman dà una risposta ideologica, come proposta di adattamento, attraverso un assai avventuroso rifor-mismo psichico (adattamento che è poi di fatto la vecchia rassegnazione). L’impostazione di Luhman, secondo Luporini “contiene una asimmetria sostanziale per cui la società può separarsidall’uomo, ma quest’ultimo non dalla società e dal suo funzionamento di sistema. Su che cosa è fondata tale asim-metria? La risposta a questa domanda non la potremo trovare in Luhman e nel suo formalismo sociologico (temoproprio che vada cercata sviluppando l’impostazione di Marx)”32. Questa asimmetria, continua Luporini, “apre pro-spettive (e retrospettive) completamente diverse, di azione non solo nella ma sulla società, proprio in quanto sistemadato (con le sue articolazioni), prospettive che in Luhman appaiono escluse come illusionistiche e addirittura nonconcettualizzabili. Ciò, naturalmente, implica la possibilità di un antagonismo che non stia soltanto ‘negli interstizidel sistema, fuori dalla sua influenza, nel mondo ultimo del soggetto’ (Luhman), ma si collochi nel sistema stesso,nelle sue tensioni interne, socialmente e storicamente determinate, nei loro possibili sviluppi, e che da essi traggauna prospettiva di azione comune (appunto un antagonismo che muove dal sistema – come Marx ed Engels cerca-rono di definire analiticamente – e non perciò semplicemente utopico, ancorché in forma ‘critica’)” 33. Ciò che Marxpone come problema è l’origine genetica di quel rapporto differenziale uomo-società. In proposito Luhman è assaivago e parla di “necessità vitale” e di “bisogno di sicurezza”34, ma, in verità, quello spazio è lasciato semplicementevuoto. “Tale vuoto – scrive Luporini – non vedo come possa essere riempito se non rifacendosi al principio marxia-no della produzione e riproduzione della vita materiale quale fondamento e primum della vita sociale (appunto per‘necessità vitale’), e delle ‘forme’ sociali che i suoi sviluppi generano, attraverso la cooperazione e la divisione socialedel lavoro; e le loro conseguenze non meno relazionali che funzionali rispetto agli aggruppamenti umani. E come lainterazione e articolazione dei sottoinsiemi sociali che si possono individuare non sia anche oggi condizionata daciò, da questo elemento basilare, per quanto grande risulti la distanza che ci separa da situazioni societarie o comu-nitarie più primitive e più ‘semplici’ (o più ‘naturali’)35. E, come si vede, è di nuovo la determinazione ontologica a fare la differenza sostanziale. Il materialismo storico diMarx resta la strada portante di una teoria generale del condizionamento umano, e quindi del rapporto sistematicotra ambiente e società (tra individuo concreto e società), perché individua un presupposto materiale verificabile edominante. E in questa operazione si apre la possibilità di deideologizzare il suo percorso scientifico, cioè di non“naturalizzare, come fa Luhman, di fatto, il sistema sociale presente eternizzandolo e così rendendolo inspiegabilealla sua origine. Da qui prende senso (e non da un volontarismo soggettivista) la valenza emancipativi e rivoluziona -ria della teoria di Marx, in particolare in riferimento alle decisioni alternative degli individui e alla loro prassi associa -ta cosciente, cioè, in ultima analisi, la problematica del comunismo36. La moderna teoria dei sistemi non è dunqueun’alternativa complessiva a Marx, anche se ne può essere un’utile integrazione (in parte anche correttiva). Resta co-munque alla fine della riflessione di Luporini un dubbio importante: “Il materialismo storico risponde all’esigenza difornire una concezione integrata dei processi storici e tenta di soddisfarla diversificandone i livelli a partire da quelloche è considerato di ‘base’. Rispetto a ciò il determinismo (in senso scientistico ottocentesco o in sensi assimilabili)risulta un falso problema. Rimane la domande se non si tratta pur avendo riguardo a questa finale complessità tutta-via di una concezione che non riesce ad evitare un riduzionismo socio-economico. Forse la risposta è da cercarsi nelmodo in cui nella pratica conoscitiva la si interpreta e la si usa”37.

Note

1. C. Luporini, La concezione della storia in Marx, in AAVV., Marx un secolo, Editori Riuniti, Roma, 1984, pagg. 174-175.2. C. Luporini, “Liberiamo Marx dal marxismo”, in L’Unità, del 27/02/1983.3. C. Luporini, La concezione della storia in Marx, cit., pag. 175.4. G. Bedeschi, La parabola del marxismo in Italia, La Terza, Bari, 1983, pagg. 171-172.5. Ivi, pag. 174.6. C. Luporini, “Liberiamo Marx dal marxismo”, cit.7. C. Luporini, La concezione della storia in Marx, cit., pag. 175.8. Ivi, pag. 177.9. K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1983, pagg. 8-9.10. C. Luporini, La concezione della storia in Marx, cit., pagg. 178-179. Sottolineatura mia.11. Ivi, pag. 178 (nota).12. Ivi, pag. 179.13. K. Marx, F. Engels, Op. cit., pag. 9.14. C. Luporini, La concezione della storia in Marx, cit., pag. 195 (nota).15. Ivi, pag. 180.16. Ivi, pagg. 185-186.

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17. K. Marx, F. Engels, Op. cit., pag. 24.18. Ivi, pagg. 27-28.19. C. Luporini, La concezione della storia di Marx, cit., pag. 187.20. Ivi, pag. 193.21. Ivi, pagg. 193-194.22. Ivi, pag. 196.23. Ivi, pagg. 197-198.24. Ivi, pag. 203.25. Ivi, pag. 202.26. Questa espressione (anche nelle traduzioni tedesche si serba il termine milieu) viene adoperata da Marx per la prima

volta nella sua lettera del 1877 alla rivista russa Otecestn venne Zapiski (Annali della patria) e più volte utilizzata negliabbozzi della lettera a Vera Zasulic del 1881. entrambi i testi si possono leggere (in traduzione parziale) in K. Marx, F.Engels, India, Cina, Russia, Il Saggiatore, Milano, 1960. la lettera alla Zasulic si può leggere nel testo originale negliAnsgewählte Briefe di Marx-Engels, Berlin, 1956, pag. 408.

27. C. Luporini, La concezione della storia di Marx, cit., pag. 204.28. C. Luporini, Marx/Luhman: trasformare il mondo o governarlo?, in AAVV, La crisi del marxismo come problema del marxismo,

Franco Angeli, Milano, 1983.29. Ivi, pag. 67.30. N. Luhman, Sociologia del diritto, La Terza, Bari. 1977, pag. 161.31. C. Luporini, Marx/Luhman, cit., pag. 68.32. Ivi, pag. 70.33. Ivi, pag. 73.34. N. Luhman, Op. cit., pag. 162.35. C. Luporini, Marx/Luhman, cit., pag. 74.36. Anche se è innegabile per Luporini che Marx abbia una concezione semplicistica della personalità umana (derivata da

un trasferimento in sede etica di un modello giuridico), imputabile alla sua collocazione storica.37. C. Luporini, La concezione della storia in Marx, cit., pag. 204.

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Capitolo 2L’originalità di Leopardi e l’attualità del comunismo

La fine della riflessione marxista di Luporini contiene una duplice conclusione: da una parte la teoria di Marx è con-siderata fondamentale e imprescindibile per ogni odierna teoria della società, ancor più se quest’ultima è orientata insenso critico ed emancipativi (caratteristica indispensabile per Luporini), dall’altra essa sembra solo un presupposto;per la critica del sistema capitalistico non si può fare a meno di Marx, ma non è detto che egli debba ancora avereuna funzione-guida e di quadro teorico complessivo, nel dirigere questa critica. Luporini dubita fortementedell’attualità di un rinnovato marxismo (intendendo con questo termine la riproposizione di un paradigma teoricototalizzante centrato sul pensiero di Marx), anche se crede e lavora per una rinnovata interpretazione di Marx. È danotare comunque che questa posizione di Luporini non tiene conto, almeno esplicitamente, di tutto il marxismo cri -tico (diverso dalle tradizioni engelsiane e leniniane) a lui contemporaneo: dove sono la Scuola di Francoforte, Sartre,E. Bloch, l’ultimo Lukàcs, Gramsci e lo stesso Althusser? Non ci sono perché forse il dubbio di Luporini è più radi-cale: sembra che Marx non sia più in grado di essere punto focale e centrale di una indispensabile ed epocale criticarivoluzionaria della “modernità” capitalistica, di tutto il percorso culturale, sociale e politico che si è esteso dal Sette-cento fino ai giorni nostri. Non si tratta più di integrazioni “attualizzanti” da apportare al marxismo, ma di un puntodi vista complessivo, “filosofico”, diverso, più avanzato. Paradossalmente per Luporini questo “avanzamento” nonva ricercato in un pensiero postmarxiano, ma in un filosofo-poeta italiano, contemporaneo di Napoleone, morto seianni dopo Hegel: Giacomo Leopardi.

Leopardi modernoLeopardi è, secondo Luporini, “come una di quelle figure che ogni tanto Hegel introduce nella sua Fenomenologiadello Spirito. Non è catturabile in nessuno schema storico. Il suo pensiero usciva fuori dalle dimensioni del XIX se -colo. E lui stesso, del resto, rivendicava il diritto alla non contemporaneità. Si sentiva stretto, soffocato, dal suo tem -po. Era in parte un uomo del Settecento: viveva la grande storia dell’illuminismo. Ma, in parte, la superava proiettan-dosi oltre la sua crisi. Era anche un uomo del futuro, guardava al Novecento”1. Ma questa nuova lettura del pensieroleopardiano non si esaurisce in quella precedentemente fatta nel 1947 da Luporini (che riconosceva, come abbiamovisto, questa “modernità” di Leopardi), o in quella simile tentata da S. Timpanaro2, tesa ad un rapporto organicocon il marxismo; “per capire Leopardi – scrive Luporini – bisogna avere il coraggio di liberarsi da tutta l’eredità cul -turale dell’Ottocento. Di Hegel, di Marx, dello stesso Nietzsche. Bisogna presentarsi spogli, liberi, senza pesi, “libe-ri” da ogni filosofia o religione che si presenti come ‘grande illusione’ sui destini dell’uomo. E sullo sviluppo linearedella storia e della ragione”3. A giudizio di Luporini Leopardi è “il primo a darci un’idea storicizzata della ragione. Ilprimo a capire in profondità la storia della civiltà umana”4. Egli ha una visione assai più vasta del tempo storico ri-spetto a quella che hanno avuto i filosofi dell’Ottocento; per questo il suo pensiero guarda a questo nostro secolo, ein modo del tutto originale.

Natura, ragione e storia: il valore veritàIl pensiero di Leopardi non è per Luporini eclettico e frammentario, nonostante alcune apparenze in tal senso, inesso “vi è un fondo sistematico in movimento”5. Questo ci fa individuare nel pensiero di Leopardi due costanti, cherimarranno sempre presenti come nodi problematici: la condizione umana in generale e la propria epoca. L’intrec-cio di questi due nodi impedisce a Leopardi, da una parte, il relativismo storico, il chiudersi della riflessione dentrole connotazioni proprie di un’epoca, dall’altra non permette una concezione astratta metafisica dell’uomo; egli è si -tuato nella sua condizione che “è radicata per un verso nella ‘struttura del mondo’ (è una espressione di Leopardiche troviamo nello Zibaldone), ma per l’altro verso è ciò che si rivela, e insieme cambia, nel dispiegarsi della storia,nel procedere di essa”6. Nella prima fase del pensiero leopardiano, dominata dal nesso antitetico (insanabile) natura-ragione, questa serie diproblemi si concretizza nella specificità che assume la nozione di ragione: essa è infatti nozione storicizzata. “Si puòdire – scrive Luporini – che la ‘ragione’ in generale ha in Leopardi pochissimi connotati comuni e invece moltiaspetti differenti, secondo le epoche e le civiltà. La ragione/antica non è quella ‘moderna’, la ragione come tale èpossibile delle più diverse combinazioni (per esempio con la religione e perfino con la superstizione)” 7. Leopardi siconfronta con la ragione moderna, quella analitica, critica e scientifica, che ha permesso il profondo dinamismo del“secolo dei Lumi” e la rivoluzione francese. Qui rispetto agli esiti di questo processo vi è una profonda “delusionestorica” (categoria ermeneutica, questa, già introdotta dalla interpretazione di Luporini in Leopardi progressivo).Scrive Luporini: “Lo sguardo di Leopardi contempla l’intero XVIII secolo visto assai compattamente come il secolodi una ‘ragione’ che esce dai recinti del sapere scientifico per investire tutta la società allo scopo di cambiarla e trarlafuori da una precedente ‘barbarie’ sociale e politica (il dispotismo). Ma questo proposito immane della ‘ragione’ èfallito, come mostra la società presente di cui Leopardi è fiero critico”8. Ma l’oggetto della delusione non riguardasoltanto la rivoluzione francese con i suoi cupi esiti (come Luporini aveva invece pensato nel 1947), ma ha una por-tata assai più grande: “riguarda l’intero secolo dell’Illuminismo. La ragione moderna nata con Galileo e Machiavelliha avuto un’occasione enorme: uscire dagli stretti ambiti della scienza per invertire tutta la società. Ma l’ha persa. Hafallito. Il dramma di Leopardi gioca tutto intorno a questo fallimento. Una tragedia etica…L’idea di geometrizzare il

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mondo, di imporre i valori della verità, sopra e contro i valori della vita. La natura, dice Leopardi, può sempre soste -nere la ragione. Ma la ragione non può sempre sostenere la natura. L’uomo ha tradito la natura: perché ha permessoalla ragione di svilupparsi troppo, di diventare troppo autonoma”9. Questa profonda crisi e il suo riconoscimento trasforma il pensiero di Leopardi, indirizzandolo verso una profondasvolta. Le motivazioni vitalistiche addette a spiegazione della crisi, che Luporini ha ricordato, cominciano a risultarea Leopardi del tutto insufficienti; se non false. L’uomo, e il suo fondo vitalistico (poiché l’uomo è essenzialmentedesiderio e immaginazione), che comunque rimane sempre presente, perde il suo fondamento oggettivo: una naturanemica, ma armonica, materna, provvidenziale, finalizzata e le “illusioni vitali” degli uomini, fondamento della sop-portazione e maschere della realtà. Ritornano potentemente, allora, nell’intessere di Leopardi, i valori della verità,con tutte le loro conseguenze. “Verità e uomo – scrive Luporini – si collocano ora in un rapporto positivo, esisten-ziale, che sta al polo opposto di quello preconizzato precedentemente quale rinnovamento comunitario delle vitali‘illusioni’”10. Ciò che ora diventa dominante è il nichilismo, “mediazione e sentimento del nulla, sentimento e con-cetto della noia”11. (Che in verità è sempre stato presente, benché in una prima fase come “nichilismo contenuto”)12.

L’ontologia negativa di LeopardiÈ una profonda crisi esistenziale (evidente in una lettera del 1825 indirizzata a Giordani) che apre a Leopardi (quasiobbligatoriamente) il discorso sul nichilismo. Luporini fa parlare Leopardi: “Io studio il dì e la notte fino tanto chela salute me lo comporta. Quando ella non lo sostiene, io passeggio per la camera qualche mese; e poi torno aglistudi; e così vivo. Quanto al genere degli studi che io fò, come io sono mutato da quel che io fui, così gli studi sonomutati. Ogni cosa che tenga di affettuoso e di eloquente mi annoia, mi sa di scherzo e di fanciullaggine ridicola.Non cerco altro più fuorché il vero, che ho già tanto odiato e detestato”13. Questo è un Leopardi disperato, ma che non demorde, deciso a procedere sulla strada della verità. Le operette mo -rali rappresentano questo passaggio. Il “nulla” (e la noia) diventa il punto centrale della riflessione di Leopardi. Mala sua originalità sta nel campo teorico e metafisico scelto per trattare questo punto e cioè quello materialistico. Lu -porini fa notare che di fronte a quella “disperata solitudine” si avrebbero potuti avere le più diverse scelte: religiose,mistiche o scettiche e rassegnate. “Le alternative – scrive Luporini – non erano poche;, e basti guardare a tante ap -parizioni ottocentesche, da Schopenauer a Nietzsche, da Kierkegaard a Dostojevskij, per rendercene conto. Propriosu tale sfondo emerge la unicità dell’esperienza leopardiana…Anche nella ‘storia del materialismo’ – del materiali -smo passato prossimo (cioè settecentesco) e prossimo futuro (penso a Feuerbach particolarmente) – Leopardi oc -cupa un posto a sé, per la singolare combinazione di esso con il nichilismo”14. Questa combinazione è sorretta eresa possibile da un ragionamento ontologico più vasto, imperniato intorno all’elemento del tempo. Esso erodeogni cosa, mostrando che tutto è destinato alla morte, a tornare nel nulla. Materialismo e nichilismo dunque: tutto è,dice Leopardi assai significativamente, “solido nulla”, e, questa espressione, commenta Luporini, “è espressione diuna ontologia negativa”15. E questa ontologia negativa (caratterizzata da un fondamento materialistico) è chiaramen-te presentata da Leopardi nella ultima delle Operette morali scritte nel 1824: il Cantico del gallo silvestre. Qui la na-tura è, infine, identificata con la morte stessa, e così viene esteso a tutto l’universo il destino di decadenza che Leo-pardi pensava proprio delle formazioni politico-sociali umane. Di per sé, però, questa posizione risulta debole; incerto qual modo e necessariamente, prelude ad un fondamento più generale, ad un sostegno “metafisico” forte, cheinfatti giunge, ad un anno di distanza, con lo scritto Frammento apocrifo di Stratone di Lampsaco (rimasto inedito perpiù di vent’anni), che rinnova e consolida il materialismo di Leopardi (esito questo non scontato e originale, vista lapossibilità di risposte del tutto diverse, essenzialmente mistiche). In questo scritto Leopardi “esprime, innanzitutto,il rovesciamento della sua precedente epistemologia ispirata alla provvida e finalistica ‘natura’”16. Il soggetto esplici-to dell’operetta è l’idea antica dell’eternità della materia che Leopardi ci invita a cogliere, però, nella sua modernità esignificato attuale. Scrive Luporini: “Questa idea è sfruttata fino in fondo da Leopardi, ivi compresa quella del diffe -renziale temporale enorme fra storia del genere umano e i processi dell’universo, universo che poi non esiste se noncome avvicendarsi di ‘modi di essere’ diversi dalla materia – ‘Modi d’essere’ = ‘mondi’. Il tempo è presente comemisura, per fare emergere appunto quella incommensurabilità. Su tale base concettuale l’esito principale è la nega-zione dell’idea di un ordine fisso e predisposto della natura, alla Newton per intendersi. Tale idea nasce per Leopar -di dalla limitata ottica temporale umana. non che gli ‘ordini’ non esistano per lui, ma essi sono relativi ai ‘mondi’,cioè ai successivi ‘modi d’essere’ della materia, e vengono prodotti e distrutti dal suo perpetuo movimento nello‘spazio infinito della eternità’. La natura cessa di avere la benché minima impronta del divino”17. Questo assoluto materialismo (estremamente moderno nelle sue caratteristiche: “sembra Prigogine”, commentaAdornato sull’Espresso) conduce Leopardi alla piena conversazione all’ateismo. Sulla scorta di queste riflessioni lavita appare come un fenomeno casuale e marginale della materia; così l’uomo è casualmente comparso a vivere sullaterra, non a seguito di qualsivoglia destino o volontà provvidenziale. La natura è del tutto indifferente alle sortiumane. Così infatti la Ginestra: “Così, dell’uomo ignara e dell’età di/ch’ei chiama antiche, e del seguir de fanno /dopo gli avi i nipoti, / sta natura ognor verde, anzi procede / per sé lungo camino/che sembra star. Cagiono i regeriintanto, / passan genti e linguaggi ella nol vede: / e l’uom d’eternità s’anoja il vanto” 18. Il Frammento apocrifo determi-na la visione della Ginestra: una natura che procede del tutto per conto proprio. Ciò ha profonde conseguenze incampo storico-politico. Vi è una contrapposizione netta tra il ‘700 e l’800, con una scelta di campo a favore del pri-mo contro il secondo, dove viene rivalutato l’Illuminismo e il suo coraggio di verità, e aborrito il neo-spiritualismo

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ottocentesco con il suo ottimismo liberale, capace solo di sorreggere una “società egoista” e di mistificarne l’essen-za. Ma soprattutto vi è una visione del progresso legata essenzialmente alla possibilità e volontà singole e (sperabil -mente) collettive; una visione del tutto antiprovvidenzialistica e antiteleologica, non iscritta in nessuna filosofia dellastoria già disegnata (da qualsivoglia Soggetto) e lineare, come una Grande-narrazione. Leopardi pensa ad una storiache procede a salti, in un ciclico alternarsi tra barbarie e civiltà, in una perenne tensione dialettica tra ragione e natu -ra, e introduce un’ideale di media civiltà nel quale la natura limiti le eccessive pretese della ragione.

La “virtù moderna” e il nichilismo attivo di LeopardiQuesta visione, già presente nel Leopardi degli anni giovanili (come già aveva rilevato contraddittoriamente Lupori-ni nel ’47), trova ora una concettualizzazione sul lato soggettivo in quello che W. Binni ha chiamato “nichilismo esi -stenzialista”19. L’uomo per Leopardi non è “un dato al centro del cosmo, ma una esigenza forte ai margini di esso:un’esigenza operativa”20. Questa è la “virtù” moderna che l’intellettuale deve incarnare di fronte al nulla. “Tale virtù– scrive Luporini – è la capacità di testimoniare il vero contro tutto, di non abbassare il capo e dunque di avere il co -raggio del rifiuto e della sua contestazione. Più che il ‘lamento’…o la stessa protesta è la virtù contestativi ad essereesaltata dal Leopardi. Nulla di istituzionale le resiste…”21. Questa virtù ha un immediato riscontro politico in unaradicale critica del potere in quanto tale. Per Leopardi, e ciò è particolarmente evidente nella Palinodia al marcheseGino Capponi, il “potere, sia concentrato che decentrato, è sempre uguale ad abuso di potere, per una specie di leg-ge di natura”22. Secondo Leopardi la felicità individuale non si può edificare sulla sopraffazione altrui. Questo sfondo individualisti-co trova uno sbocco (non individualistico, ma anzi collettivistico) nell’appello solidaristico della Ginestra (che, fanotare giustamente Luporini, poteva non giungere ma sopraggiungere) che indubbiamente ha un siffatto fondamen-to anarchico. “Il passaggio logico – commenta Luporini – che possiamo indovinare è questo: se un singolo può diredi no, in linea di principio, tutti lo potranno. Liberatevi almeno di questa parte del male che nasce dalle vostre risse,poiché è possibile, per difendervi uniti da quel male che la indifferente e ostile natura ci procura. A una difesa co -munitaria pratica indubbiamente pensava e invitava Leopardi”23. Ciò non significa, a parere di Leopardi; il supera-mento ottimistico e volontaristico del suo nichilismo; contro l’infelicità strutturale dell’individuo, dovuta al meccani-smo dell’esistenza naturale, difesa non c’è: “c’è solo la risposta della dignità-virtù dell’uomo, che può diventare col-lettiva sulla base della diffusione della verità razionale, unico progresso possibile. Una sorta di socializzazione diquella ‘renitenza al fato’ che è tutto l’orgoglio dell’uomo. La Ginestra ne è il simbolo: (essa) non allude all’individuosingolo, ma a una massa, a un insieme di individui conviventi”24. Nelle caratteristiche della “virtù moderna” (virtùdel rifiuto e della contestazione) è presente tutta l’assiologia del Leopardi in un rapporto di contraddizione-collega-mento con la sua ontologia negativa25. Così “la verità di cui Leopardi intende dare testimonianza, è una virtù dispe-rata, nel senso più letterale della parola…disperata per causa, in ultima analisi, della finitezza dell’uomo, inserita nellacieca ‘struttura del mondo’. È una virtù fiera (eroica) perché si sa costituita in rapporto alla verità, e in questo rap-porto appare tutta fondata su se stessa”26. Essa però non è pura forma razionale (come l’imperativo categorico kantiano); non perde cioè la propria radice neldesiderio e nell’immaginazione, che costituiscono i tratti salienti della antropologia vitalistica di Leopardi (soggetta aprofonde trasformazioni, come abbiamo visto, ma mai negata nella sua essenzialità). In rapporto a questa “virtù” ilnichilismo di Leopardi (che non perde assolutamente la sua “dominanza”) diventa “attivo”. Luporini ne dà una defi-nizione: “Il sapersi soli di fronte alla storia, senza speranze – senza nessuna garanzia, senza nessuna ideologia, senzanessuna consolazione. Eppure non restare incantati a seguire presunte destrutturazioni del soggetto o fughenell’immaginario teologico. Ma scommettere, impegnarsi nella virtù: saper resistere e dire di no anche di fronte adun fallimento sicuro. Spendersi in una alleanza civilizzatrice. Nella nostra epoca così confusa e in fase di assesta -mento, nella crisi di tutte le categorie con le quali ci siamo mossi finora, questa mi sembra un’idea liberatoria. Sipuò, anzi si deve, essere disillusi: ma non per questo inerti e rassegnati. Essere nichilisti e insieme attivi: ecco l’attua-lissimo messaggio di Leopardi”27. Così Leopardi è “materialismo ateo, di fatto anarchico” e “finì per definirsi un‘mal pensante’. Sapeva ormai di non avere interlocutori nel proprio tempo, e neppure, forse, nei decenni che si pre -paravano”28. Leopardi guarda verso il nostro secolo, anche, e soprattutto, con il suo nichilismo. Ma anche in questocontesto rimane originale, irriducibile, e in qualche modo, “avanti”. Il suo nichilismo, infatti, ha esattamente l’esitoopposto di quello odierno, sbandierato ovunque: chiama all’impegno (rivoluzionario) nello sdegno più profondo peril presente fatto di oppressione; non al riconoscimento della “debolezza” del pensiero ed infine alla pratica rasse-gnazione rassicurante.

L’attualità del comunismoSi potrebbe osservare che, nelle riflessioni finali di Luporini, Leopardi scalza Marx; e, in un certo senso ciò è vero.Non lo è completamente perché il contributo di Marx rimane fondamentale per l’analisi della società presente, che,secondo Luporini, rimane nella sua essenzialità, e nonostante le enormi modificazioni, quella capitalistica. Marx eLeopardi se non si saldano più dentro una prospettiva marxista, si trovano però insieme nella critica radicale alla so-cietà presente e nell’appello all’impegno soggettivo e collettivo per mutarla. Il lavoro politico, in senso lato, rimane per Luporini compito indispensabile da assolvere. Ed è un’aspra e decisivabattaglia politica a riportare Luporini su Marx e sull’attualità della prospettiva comunista: quella che, dopo gli straor -

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dinari eventi internazionali dell’89 (crollo del socialismo reale e del muro di Berlino, le grandi modificazioni in Ursscon la fine della guerra fredda), ha preceduto il XX Congresso del Pci, il quale ha sancito la sua morte e la nascitadel Partito democratico della sinistra. In questa battaglia Luporini si è decisamente schierato contro questa svolta,aderendo alla “mozione due” e alle posizioni espresse in particolar modo da Pietro Ingrao. In qualsiasi modo si presenti la svolta del Pci essa abbandona strategicamente l’orizzonte comunista. Qui si situal’opposizione radicale di Luporini. “Per noi – scrive – si tratta di un orizzonte del presente e qui sta tutta la nostrascommessa – che è quella di non rimanere, a nessun costo, prigionieri dell’orizzonte opposto: l’orizzonte del capita -lismo. Dal punto di vista teorico-strategico non c’è scampo. O l’uno o l’altro. Sfido chiunque a dimostrare teoretica-mente il contrario. Naturalmente purché si accetti che il fatto economico (ovvero l’economico tout court) conti an-cora qualcosa nelle società umane (sia inteso come ‘base’ o ‘dimensione’ o ‘sistema’ ecc.)”29. Comunismo, secondoLuporini, non è soltanto “movimento reale” ma è orizzonte di libertà e liberazione, di cui oggi, forse più di ieri, siha bisogno. Scrive: “Se guardo non solo ai paesi sviluppati, ma a tutto il genere umano che è ormai un insieme realedi parti comunque interdipendenti, se guardo ai suoi conflitti tragici, alle lotte di liberazione, alla gerarchia delle po -tenze, e infine alle minacce che nascono dal mondo industrializzato e che gravano in comune sulla sopravvivenzadella vita in terra, mi pare che l’orizzonte del comunismo nonché scomparire si sia straordinariamente allargato e sisiano moltiplicate le sue radici sociali ed etniche possibili”30. Il comunismo è potenzialità e possibilità che si apre difronte a qualcosa di assolutamente nuovo e non di vecchio: “l’unificazione di fatto del genere umano – pur tanto di-viso tra culture, civiltà, morali, religioni ed etnie diverse – non solo nelle interdipendenze accennate, ancora carichedi effetti di dominio e di subalternità spesso tragici, ma unificazione, ripeto, di fatto, di fronte a ciò che minaccia lavita biologica almeno ai suoi livelli superiori, sul pianeta (quindi al di là della stessa questione guerra-pace)” 31. Il co-munismo è alternativa radicale perché “è impensabile l’estensione a tutto il genere umano del capitalismo sviluppa -to, con i consumi e le dilapidazioni energetiche che esso comporta”32. Nonostante i sistemi autoregolativi della so-cietà capitalistica ciò non va assolutamente perso di vista come orizzonte totale, perché “mette in evidenza i limitiintrinseci al sistema…condizionati dal suo scopo immanente, l’accumulazione del capitale, cioè dal suo equilibrio di-namico. Mantenere l’orizzonte del comunismo significa appunto questo”33. Questo richiede l’analisi del modo di produzione capitalistico nelle sue forme presenti e nelle ricadute attualisull’intero genere umano: “ove Marx ci occorre e insieme non ci basta più. Ma per integrarne e anche correggernela lezione non tramontata, non mancano oggi elementi di conoscenza nuovi e fondamentali, specie relativi al rap-porto fra uomo e natura”34. Bisogna assolutamente abbandonare, secondo Luporini, l’idea di uno sviluppo illimitatodello sfruttamento della natura, che è stata purtroppo eredità del capitalismo nella tradizione ideologica e pratica co-munista e socialista. E anche l’idea corrispettiva di una possibile crescita infinita della produzione della ricchezza.Così la questione del comunismo si fa questione…politica. Anche in questo senso occorre cambiare rotta. A giudi-zio di Luporini l’idea del “blocco storico” (la classe operaia, il suo partito e i suoi alleati) di gramsciana memorianon funziona più. “Il ‘blocco storico” (la classe operaia, il suo partito e i suoi alleati) di gramsciana memoria nonfunziona più. “Il ‘blocco storico’ – scrive – se c’è (come credo) è da una parte sola, quella avversaria. Ciò che dob-biamo opporgli nella lotta e nella progettualità di governo, è un modo attivo di alleanze che lascia autonomi tutti isoggetti (collettivi ma anche individuali), che li attraversa senza mortificarli, ma anzi esaltandoli nella reciproca colla -borazione, e dalle cui ‘intersezioni’ nasce, nel dato momento storico, la definizione di un comune ‘programma fon-damentale’”35. L’orizzonte del comunismo, quindi, significa essenzialmente impegno politico nel presente. E cosìconclude: “le morali come le religioni ci dividono (nessuna è universale), ma la politica ci può riunire, su una scalauniversalmente umana. se lo si voglia; responsabilmente e comunitariamente, e senza nascondersi le difficoltà da su -perare, ma prima che altre catastrofi sopraggiungano, se non è troppo tardi (poiché è lecito chiederselo). Non è que -stione di potere…è piuttosto la grande questione del consenso, di cui parlava Gramsci, su cui hanno fatto naufragioi ‘socialisti reali’. Naturalmente parlo di una politica riformata, sostanziata di democrazia, sovranazionale, portatricedi nuovi modi di convivenza anche fra diversi (e quindi essa sia fondatrice di morale), per la quale vale la pena impe-gnarsi e combattere. Ed è una politica che, quasi per definizione, non può essere lasciata ai soli ‘politici’”36.

Note

1. C. Luporini, “Leopardi moderno”, intervista a cura di F. Adornato, in L’Espresso, 1-3-1987, pagg. 109-110.2. S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’800 italiano, Nistri-Lischi, Pisa, 1965.3. C. Luporini, Leopardi moderno, cit., pag. 110.4. Ibidem.5. C. Luporini, Giacomo il filosofo, in L’Unità, 19-7-1987, pag. 12.6. Ibidem.7. Ibidem.8. Ibidem.9. C. Luporini, Leopardi moderno, cit., pag. 112.10. C. Luporini, Giacomo il filosofo, cit., pag. 13.11. Ivi, pag. 12.12. Ibidem.

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13. Ibidem.14. Ibidem.15. C. Luporini, “Nichilismo e virtù nel percorso di Leopardi”, in Micro Mega, n°1, 1990, pag. 124.16. C. Luporini, Giacomo il filosofo, cit., pag. 12.17. Ivi, pag.13.18. G. Leopardi, Canti, Garzanti, Milano, 1975, pag. 322.19. W. Binni, La protesta di Leopardi, Sansoni, Firenze, 1973.20. C. Luporini, Giacomo il filosofo, cit., pag. 13.21. Ibidem.22. Ibidem.23. Ibidem.24. Ibidem.25. In proposito C. Luporini, Assiologia e ontologia nel nichilismo di Leopardi, in AAVV, Leopardi e il pensiero moderno,

Feltrinelli, Milano, 1989, pagg. 233-244.26. C. Luporini, Giacomo il filosofo, cit., pag. 13.27. C. Luporini, Leopardi moderno, cit., pag. 116.28. C. Luporini, Giacomo il filosofo, cit., pag. 13.29. C. Luporini, “Gli orizzonti antagonisti”, in L’unità, 8-3-1990.30. C. Luporini, “Oggi l’utopia della liberazione ha un futuro?”, in “Il manifesto”, 19-10-1989, pag. 5.31. Ibidem.32. Ibidem.33. Ivi, pag. 6.34. C. Luporini, “Gli orizzonti antagonisti”, cit.35. Ivi.36. C. Luporini, “Oggi l’utopia della liberazione ha un futuro?”, cit., pag. 6.

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Conclusioni

Partendo all’incirca dagli anni ’20, in particolare con la pubblicazione di Storia e coscienza di classe di G. Lukàcs e diMarxismo e filosofia di K. Korsch, la riflessione marxista europea imbocca due strade parallele: nasce così il cosiddetto“marxismo occidentale”. Esso si caratterizza come critica filosofica della conformazione teorica, ontologico-natura-listica, del “marxismo orientale”. Questo, nato sulla scorta delle indicazioni di Engels (quelle presenti soprattuttonella Dialettica della natura), denominato “materialismo dialettico”, è divenuto sistema in Unione Sovietica soprattuttonel periodo staliniano. Il punto focale del confronto diventa la dialettica e il rapporto di Marx con Hegel, in generale la natura e le caratte -ristiche della filosofia della storia di Marx. Il “marxismo occidentale” rifiuta il determinismo naturalistico del Diamat, considera la dialettica in senso specifica-tamente umano; non accetta, certamente, sulla scorta delle posizioni neo-kantiane affermatesi all’inizio del secolo,l’unità (se pur dialettica) tra natura e storia e quindi ogni idea legata ad una dialettica della natura (e qui sta la nettacontrapposizione ad Engels). Esso propone un rapporto organico tra Hegel e Marx (da qui la denominazione essenzialmente corretta, anche se inqualche modo limitativa, di hegelo-marxismo) nella convinzione che Marx risponda alle stesse domande poste daHegel: che cosa tiene insieme lo sviluppo della storia dalla sua origine al suo fine? Qual è il Soggetto di questo per -corso? Secondo l’hegelo-marxismo, Marx accetta completamente questa impostazione e rovescia le risposte astratte di He-gel: al posto dell’“Autocoscienza” (luogo speculativo del pensiero) introduce il Proletariato (concreto soggetto stori-co, classe in-se e per-se); al posto dello spirito assoluto, il comunismo, fine necessario e concreto del percorso stori -co. Il Proletariato come l’“Autocoscienza”, nel suo percorso verso il comunismo diventa soggetto-oggetto identico(classe in-se e per-se appunto), supera cioè la contrapposizione alienativa di soggetto e oggetto. Il “marxismo occidentale” pensa dunque che in Marx ci sia ovviamente una filosofia della storia e che questa si attuicon la sostituzione dei soggetti “concreti” al posto di quelli “astratti”. Unicamente in funzione di questa sostituzione, è indicativo e importante il materialismo di Marx. Durante il periodostaliniano l’elaborazione teorica del “marxismo occidentale” è stata assai limitata, per riesplodere potentementedopo il 1956 soprattutto con Sartre e la sua Critica della ragione dialettica (1960). In Italia il “marxismo occidentale” trova spazio aperto nello storicismo marxista soprattutto a seguito del pensierodi Gramsci, anch’egli antesignano, con Lukàcs e Korsch, di queste posizioni. In più, nel nostro paese, queste tematiche trovano un’originale convivenza teorica con e nella particolare natura cul -turale e politica del Pci e del suo segretario, Palmiro Togliatti. In questa situazione nasce il marxismo di C. Luporini, che ne diventa, però, quasi da subito, acerrimo critico. Inquesto Luporini è originale, ma non è assolutamente solo. Il riesplodere del “marxismo occidentale” mostra anchela sua sterilità e indirizza alcuni pensatori, Althusser, E. Bloch e Lukàcs, su altre strade, alla ricerca di una “terzavia”. “Marxismo occidentale” e “Marxismo orientale” sono riconosciuti in solidarietà autentico-polare: l’uno idealistico,l’altro deterministico, entrambi bloccati di fronte alla scommessa principale di Marx: individuare una teoria dellarealtà che, su fondamenta materialistiche, superi insieme il soggettivismo idealista e l’empirismo naturalista. Luporini, come abbiamo visto, orienta il suo pensiero in un confronto stretto con Althusser, delle cui posizioni,però, rimane, in ultima analisi, insoddisfatto. Contro il “marxismo occidentale” Althusser evidenzia il distacco diMarx da Hegel, ma in questa operazione, giunge ad uno strutturalismo marxista che espelle il soggetto individuale(l’individuo sociale e la tematica dell’umanesimo) dal pensiero di Marx, spezzandolo in due tronconi incomunicanti:il “giovane” Marx, dominato dall’Antropologia filosofica (idealista) e il Marx “maturo”, scienziato della società capi-talistica e teorico del suo passaggio concreto al comunismo. Così Althusser non riesce a superare il mito del Soggetto assoluto, proprio del “marxismo occidentale”, che infattinel suo pensiero, ricompare in pieno nella figura delle “masse”, portatrici palingenetiche della trasformazione comu-nista. Luporini è consapevole dei limiti di Althusser e pur riconoscendo enormi meriti alla sua analisi strutturale del Capi-tale, non ne condivide gli esiti “filosofici”. Sia il “marxismo orientale” che “occidentale” hanno posto a fondamento del lavoro di Marx (materialismo storico ecritica dell’economia politica) una filosofia, una “metafisica influente”; riconosciuta, questa, errata, per Luporini nonè comunque evitabile la domanda su qual è, nel senso di Marx, questa “metafisica influente”; domanda la cui rispo-sta dà significato, a suo parere, al nesso, fondamentale in Marx, tra materialismo e dialettica. Qui, ha inizio il parallelismo che ci è sembrato di individuare tra Luporini e l’ultimo Lukàcs. Entrambi iniziano (eper Lukàcs si tratta di un “nuovo inizio”) la loro interpretazione dal fondamento materialistico e oggettivo del pen-siero di Marx, individuato nelle opere giovanili, soprattutto nei Manoscritti del ’44 e nelle Tesi su Feuerbach, assegnandoad esso la sua chiara valenza antisoggettivistica, ma anche antideterministica. Entrambi istituiscono tra Marx e He-gel un rapporto complesso, non riducibile alla famosa tesi (semplicistica) del “rovesciamento”, agganciando la dia -lettica di Marx a quella di Hegel (contro i marxisti antihegeliani, come è evidente nel caso di Luporini, nella polemi -

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ca del 1962 contro Della Volpe), ma, differenziandola nel complessivo rapporto con la realtà (sulla scorta di quelfondamento materialistico di cui si diceva), gli assegnano un valore e una portata pratica del tutto diversa. In questosenso esprimono giudizi negativi sull’opera di interpretazione di Engels e sulla sua griglia di lettura del Capitale (i fa-mosi “modo logico” e “modo storico”). Sia Lukàcs che Luporini giungono al rifiuto, per Marx, di ogni ipotesi di filosofia della storia, inevitabilmente teleo -logica. La teleologia appartiene per entrambi esclusivamente al lavoro umano, forma originaria e modello della pras-si (che però non è riducibile al lavoro, ma solo da esso teoreticamente e ontologicamente ricavabile). E soprattutto,la loro critica, giunge ad individuare in Marx, come “metafisica influente” del suo pensiero, una ontologia materiali -stica dell’essere sociale. Qui il rapporto però si interrompe. Lukàcs crede di individuare appieno in Marx questa ontologia e ne descrive le caratteristiche nella sua ultima opera,Luporini la ritrova solamente come intenzione e problema. Anzi la ritrova come problema aperto, ma anche supera -to (ed evitato) in una concezione operativistica e comportamentista. Questa concezione non permette ulteriori svi-luppi e segna la fine del marxismo di Luporini. Marx diventa un punto fondamentale, ma anche non più generale ecomplessivo. Non solo il suo pensiero non è più paradigma teorico totalizzante, ma non è più nemmeno in grado difunzionare come “quadro” d’orientamento complessivo. È indispensabile per capire il presente, ma è anche un fre-no nella sua limitata (ottocentesca) concezione della storia e della temporalità e nella sua considerazione semplicisti -ca dell’individuo. Ma soprattutto non può più essere fonte principale di una possibile costruzione complessiva davalorizzare e da denominarsi di nuovo marxista. Noi crediamo che queste convinzioni di Luporini, che sono senz’altro sostanziate da analisi precise, siano ancheperò una liquidazione troppo affrettata, senz’altro non in grado di essere superata dal materialismo e dal nichilismo“attivo” di Leopardi (ma ci è sembrato di non trovare nemmeno in Luporini questa piena convinzione). Forse, anche se non è condivisibile appieno la sicurezza dell’ultimo Lukàcs, la strada per una elaborazione di unaontologia dell’essere sociale, sulla cui base erigere una teoria critica della società odierna di taglio marxista, meritauna maggiore attenzione e approfondimento di quella riconosciutagli da Luporini. Prima di concludere definitivamente occorre fare un’ulteriore puntualizzazione. Negli ultimi dieci anni del Novecento abbiamo assistito all’identificazione pressoché totale dell’abbandono del mar-xismo con l’abbandono della prospettiva comunista. Lasciare Marx è significato nella stragrande maggioranza deicasi rinunciare all’orizzonte comunista, alla sua realizzabilità, e accettare, più o meno criticamente, i confini della “at-tuale” società. Luporini anche in questo senso fa assolutamente eccezione. La sua fuoriuscita dal marxismo non ha certamente mi-nato la sua convinzione comunista, anzi in un certo modo l’ha rafforzata, come si è visto nell’ultimo capitolo. Nell’ultima parte della sua vita, Luporini non è forse più definibile come filosofo marxista, ma come comunistasenz’altro.

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Bibliografia degli scritti di Cesare Luporini

Riportiamo di seguito e in ordine cronologico gli scritti di C. Luporini da noi utilizzati. Fino al 1979 esiste una completa e accu -rata bibliografia degli scritti di Luporini a cura di Patrizia Guarneri pubblicata in appendice a AA.VV., Filosofia e politica, La Nuo-va Italia, Firenze, 1981. Ad essa rimandiamo. Luporini ha raccolto alcuni suoi scritti principali in due opere che indicheremocon le seguenti sigle: FVN = Filosofi vecchi e nuovi; DM = Dialettica e materialismo.

(1) Critica e metafisica nella filosofia kantiana, in Reale Accademia Nazionale dei Lincei, Rendiconti della Classe di Scienzemorali, storiche e filosofiche, s. 6°, vol. XI, 1935, pagg. 87-115.

(2) L’etica di Max Scheler, in Studi Germanici, I, n° 3, 1935, pagg. 320-345. Poi lo stesso titolo, ma completamente rielabo-rato in FVN.

(3) Il pensiero di Leopardi, in AAVV, Studi su Leopardi a cura del R. Liceo Scientifico ‘Costanzo Ciano’, I, Belfronte e C., Li -vorno, 1938, pagg. 41-69.

(4) Esistenza, in Argomenti, I, n°1, 1941, pagg. 34-44; n°2, 1941, pagg. 23-37; n° 5-6, 1941, pagg. 59-72.(5) Appunti di filosofia esistenziale, in Civiltà moderna, XIII, n° 2-3, 1941, pagg. 151-160.(6) Situazione e libertà nell’esistenza umana, Le Monner, Firenze, 1942; e II edizione, riveduta e ampliata, Sansoni, Firenze,

1945.(7) L’esistenzialismo in Italia, in Primato IV, n°5, 1943, pagg. 84-85. Poi in AA.VV. Primato 1940-43, De Donato, Bari,

1977.(8) G.F.W. Hegel. Un frammento politico giovanile, in Società I, n°3, 1945, pagg. 61-114. Poi in FVN.(9) Situazione, in Società, I, n° 1-2, 1945, pagg. 3-7.(10) Situazione, in Società, I, n° 3, 1945, pagg. 3-5.(11) Fichte e la destinazione del dotto, in Società, II, n°7-8, 1946, pagg. 639-666 e III n°2, 1947, pagg. 193-216. Poi in FVN.(12) Rigore della cultura in Società, II, n° 5, 1946, pagg. 5-17.(13) Torti e ragioni del moralismo, in Società, II, n° 6, 1946, pagg. 310-317. Poi con il titolo Kant e il moralismo moderno in

FVN.(14) Filosofi vecchi e nuovi: Scheler-Hegel-Kant-Fichte-Leopardi, Sansoni, Firenze, 1947. (15) Voltaire e le ‘Lettres Philosophiques’, in Società, VI n°2, 1950, pagg. 620-649. poi riveduto e ampliato in C. Luporini, Vol-

taire e le ‘Lettres Philosophiques’. Il concetto della storia e l’illuminismo, Sansoni, Firenze, 1955.(16) “Il concetto della storia e la polemica intorno all’illuminismo” in “Belfagor”, VI, n°3, 1951, pagg. 249-264. poi rivedu-

to e ampliato in C. Luporini, Voltaire e le ‘Lettres Philosophiques’. Il concetto della storia e l’illuminismo, cit.(17) La mente di Leonardo, Sansoni, Firenze, 1953.(18) Marxismo e sociologia. Il concetto di formazione economico-sociale, in AAVV. Filosofia e Sociologia, Il Mulino, Bologna, 1954, pagg.

195-203. Poi, senza note, in DM, pagg. 297-304.(19) Il criticismo di Kant, Sansoni, Firenze, 1955. Poi con il titolo “Introduzione al problema del criticismo di Kant” in C.

Luporini, Spazio e materia in Kant, Sansoni, Firenze, 1961.(20) Voltaire e le ‘Lettres Philosophiques’. Il concetto della storia e l’illuminismo, Sansoni, Firenze, 1955.(21) “Il rapporto uomo-materia alle origini del marxismo”, in “Rivista critica di storia della filosofia”, X, n° 2, 1955, pagg.

142-147. Poi in DM, pagg. 322-328.(22) “La consapevolezza storica del marxismo” in “Società” XI, n° 3, 1955, pagg. 415-434; n° 4, 1955, pagg. 647-664. Poi

in DM, pagg. 3-42.(23) “Per lo studio delle opere giovanili di Marx ed Engels”, in “Rinascita”, XII, n° 1, 1955, pagg. 34-39. Poi in DM, pagg.

305-321.(24) “Convergenze per un umanesimo moderno”, in “Società”, XIII, n° 1, 1957, pagg. 3-17. Poi in DM, pagg. 329-348.(25) La metodologia filosofica del marxismo nel pensiero di A. Gramsci – Appunti, in AAVV, Studi gramsciani, Editori Riuniti, Roma,

1958, pagg. 37-46. Poi, con il titolo “Appunti su alcuni nessi interni al pensiero di A. Gramsci”, in DM, pagg. 43-52.(26) La metodologia filosofica del marxismo nel pensiero di A. Gramsci, in AAVV, Studi gramsciani, cit., 1958, pagg. 445-468. Poi in

DM, pagg. 53-76.(27) “L’uomo e la natura”, e “Postilla”, in “Società XIV, n° 5, 1958, pagg. 809-818. Poi in DM, pagg. 349-351.(28) Il criticismo di Kant, Sansoni, Firenze, 1959. Poi in C. Luporini, Spazio e materia in Kant, Sandon, Firenze, 1961.(29) “Marxismo, neopositivismo e altre cose”, in “Il contemporaneo” II, n° 10, 1959, pagg. 3-22.(30) “Verità e libertà”, in “Società” XVI, n° 2, 1960, pagg. 191-227. Poi in DM, pagg. 77-110.(31) Spazio e materia in Kant, Sansoni, Firenze, 1961.(32) “Appunti per una discussione tra filosofi marxisti” in Italia. A proposito dello storicismo, in “Rinascita” XIX, n° 8,

1962, pag. 27. Poi in AAVV, Marxismo e filosofia in Italia (1958-1971), a cura di F. Saccano, De Donato, Bari, 1973, pagg.159-163.

(33) “Il circolo concreto-astratto-concreto”, in “Rinascita”, XIX, n° 24, 1962, pagg. 26-28. Poi in Marxismo e filosofia in Ita-lia, cit., pagg. 226-239.

(34) “Rovesciamento e metodo della dialettica marxista”, in “Critica marxista”, I, n° 2, 1963, pagg. 109-117. Poi in DM,pagg. 352-361.

(35) “Una visione critica dell’uomo”, in “Rinascita”, XII, n° 51, 1965, gag. 1. Poi con il titolo “Marxismo e scienze umane”in DM, pagg. 362-372.

(36) “Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo”, in “Critica marxista”, IV, n° 1, 1966, pagg. 56-109. Poi inDM, pagg. 153-212.

(37) Introduzione e Avvertenza, in K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1967, pagg. IX-LXXXVIII epagg. LXXXIX-XCII. Poi ridotte e con il titolo “Dalla filosofia alla scienza: la questione dell’umanesimo” in DM.

(38) Nota introduttiva, in L. Althusser, Per Marx, Editori Riuniti, Roma, 1967, pagg. VII-XXVII.

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(39) Problemi filosofici ed epistemologici, in Marx vivo, Mondadori, Milano-Verona, 1969, Vol. 1°, pagg. 286-299. Poi in DM,pagg. 380-390.

(40) “Dentro Marx: il presente e la prospettiva”, in “Rinascita”, XXVIII, n° 42, 1971, pagg. 10-12. Poi in Marxismo e filoso-fia in Italia, cit., pagg. 384-401.

(41) “Marx secondo Marx”, in “Critica marxista”, X, n° 2-3, 1972, pagg. 48-118. Poi in DM, pagg. 213-296.(42) Il marxismo e la cultura italiana del Novecento, in Storia d’Italia, V, I documenti, t. II, Einaudi, Torino, 1973, pagg. 1583-1611.(43) Dialettica e materialismo, Editori Riuniti, Roma, 1974. Contiene oltre ad una importante “Introduzione” (pagg. VII-

LXVII), uno scritto inedito del 1962 dal titolo “Marxismo e soggettività” (pagg. 111-151), gli scritti indicati ai punti18, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 30, 34, 35, 36, 37, 39, 41.

(44) Il marxismo, in Dizionario di filosofia, Rizzoli, Milano, 1976, pagg. XXV-XXIX.(45) “Per l’interpretazione della categoria ‘formazione economico-sociale’”, in “Critica marxista”, XV, n° 3, 1979, pagg.

3-26.(46) “Critica della politica e critica dell’economia politica in Marx”, in “Critica marxista”, XVI, n° 1, 1979, pagg. 17-50.(47) Sentieri interrotti e sentieri non interrotti nell’ultimo Althusser, in AAVV, Discutere lo Stato, De Donato, Bari, 1978, pagg.

155-179.(48) Marx/Luhman: trasformare il mondo o governarlo?, in AAVV, La crisi del marxismo come problema del marxismo, F. Angeli, Mila-

no, 1983, pagg. 62-75.(49) “Liberiamo Marx dal marxismo”, in L’Unità, del 27-11-1983.(50) Voce “Concezione materialistica della storia”, in Dizionario Marx Engels, a cura di Fulvio Papi, Zanichelli, Bologna,

1983, pagg. 84-93.(51) Voce “Ideologia” (scritta con Fulvio Papi), in Dizionario Marx Engels, a cura di Fulvio Papi, Zanichelli, Bologna, 1983,

pagg. 195-197.(52) La concezione della storia in Marx, in AAVV, Marx un secolo, Editori Riuniti, Roma, 1984, pagg. 175-204.(53) “Giacomo il filosofo”, in L’Unità del 19-VII-1987.(54) “Leopardi moderno”, in L’Espresso del 1-III-1987.(55) Assiologia e ontologia del nichilismo di Leopardi, in AAVV, Leopardi e il pensiero moderno, Feltrinelli, Milano, 1989, pagg.

233-244.(56) “Oggi l’utopia della liberazione ha un futuro?”, in Il manifesto del 19-XI- 1989.(57) “Nichilismo e virtù nel pensiero di Leopardi”, in Micro mega, n° 1, 1990, pagg. 123-136.(58) “Gli orizzonti antagonisti”, in L’Unità del 8-III-1990.(59) Decifrare Leopardi, Gaetano Macchiaroli Editore, Napoli 1998.

Bibliografia degli scritti su Cesare Luporini

(1) F. Adorno, “Nell’università di Firenze”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 95-98.(2) N. Badaloni, “Una filosofia critica”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 74-94.(3) F. Brunetti, “Voltaire e le ‘Lettres philosophiques’ tra storia e impegno politico”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986,

pagg. 99-106.(4) F. Cerutti, “Prassi, individuo e norme”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 107-112.(5) B. De Giovanni, “La lettura di Gramsci”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 107-112.(6) E. Galeotti, “Umanesimo e anti-umanesimo nella riflessione di tre marxisti italiani”, in “Il politico”, Università di Pa-

via, 1976, XLI, n° 2.(7) E. Garin, “Esistenza e libertà”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 5-14.(8) V. Gerratana, “Marxismo e cultura italiana del Novecento”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 133-138.(9) F. Izzo, “Marx tra materialismo storico e critica all’economia politica”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 43-68.(10) S. Landucci, “Storia della filosofia e storicismo”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 151-162.(11) A. La Penna, “Incontri pisani degli anni quaranta”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 151-162.(12) G. Mele, “Esistenzialismo e significato della libertà in Cesare Luporini”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg.

105-130.(13) M. Monetti, “Il verbo ‘arbeiten’ e i suoi composti nella prefazione della ‘Fenomenologia’ hegeliana”, in “Critica marxi-

sta”, n° 6, 1986, pagg. 163-170.(14) G. Prestipino, “Storia e natura dopo Gramsci”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 171-188.(15) M. Proto, “L’impegno per un nuovo umanesimo”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 189-196.(16) A. Santucci, “A proposito di ‘situazione e libertà nell’esistenza umana’”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg.

197-204.(17) A. Schiavone, “Filosofia e impegno civile”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 205-206.(18) A. Tosel, “Sul marxismo italiano degli anni sessanta”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 69-78.(19) F. S. Trincia, “La concezione della dialettica”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 227-230.(20) M. Vacatello, “Prospettive sulla morale”, in “Critica marxista”, n°6, 1986, pagg. 217-226.(21) F. Valentini, “Un breve scritto su Hegel”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 227-230.(22) A. Zanardo, “Un orizzonte filosofico materialistico”, in “Critica marxista”, n° 6, 1986, pagg. 15-42.

Altri testi consultati

(1) AA.VV., Primato 1940-46, De Donato, Bari, 1977.

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(2) AA.VV., La cognizione della crisi, F. Angeli, Milano, 1986.(3) AA.VV., Studi Gramsciani, Atti del convegno tenutosi a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958, Editori Riuniti, Roma, 1958.(4) Abbagnano M., Dizionario di filosofia, Utet, Torino, 1972.(5) Abbagnano M., Storia della filosofia, Utet, Torino, 1982.(6) Aiello N., Intellettuali e Pci (1944-1958), La Terza, Bari, 1979.(7) Althusser L., Per Marx, Editori Riuniti, Roma, 1967.(8) Althusser L., Leggere il Capitale, Feltrinelli, Milano, 1968.(9) Asor Rosa A., Dall’unità ad oggi. La cultura, in Storia d’Italia, Vol. IV, Einaudi, Torino.(10) Badaloni N., Il marxismo italiano degli anni ’60, Editori Riuniti, Roma, 1971.(11) Badaloni N., Marxismo come storicismo, Feltrinelli, Milano, 1962.(12) Badaloni N., “La realtà oggettiva della contraddizione”, in Marxismo e filosofia in Italia (1958-1971), a cura di F. Cassano,

De Donato, Bari, 1973.(13) Badaloni N., “Il problema della dialettica”, in Marxismo e filosofia in Italia (1958-1971), cit.(14) Bedeschi G., La Parabola del marxismo in Italia, La Terza, Bari, 1983.(15) Bloch E., Il principio speranza, Garzanti, Milano 1994.(16) Cantimori D., Studi di storia, Einaudi, Torino, 1959.(17) Cassano F., “Premessa e Introduzione” a Marxismo e filosofia in Italia, cit.(18) Carandini G., Lavoro e capitale nella teoria di Marx, Mondadori, Milano, 1977.(19) Chiodi P. (a cura di), L’esistenzialismo, Loescher, Torino, 1964.(20) Chiodi P., Sartre e il marxismo, Feltrinelli, Milano, 1976.(21) Ciliberto M., “Cultura e politica nel dopoguerra. L’esperienza di ‘Società’”, in “Studi storici”, 1, 1980.(22) Cingoli M., Marxismo, empirismo, materialismo, Marcos y Marcos, Milano, 1986.(23) Cingoli M., Il II Libro del Capitale, Libreria CUEM, Milano, 1989.(24) Colletti L., “Il rapporto Hegel-Marx”, in Marxismo e filosofia in Italia, cit.(25) Colletti L., “Marx, Hegel e la Scuola di Francoforte”, in Marxismo e filosofia in Italia, cit.(26) Colletti-Gerretana, “Il marxismo e Hegel. A proposito dei ‘Quaderni filosofici’ di Lenin (1958-1959)”, in Marxismo e

filosofia in Italia, cit.(27) Del Pra M., La dialettica in Marx, Laterza, Bari, 1965.(28) Della Volpe G., Rousseau e Marx, Editori Riuniti, Roma, 1974.(29) Della Volpe G., “Sulla dialettica”, in Marxismo e filosofia in Italia, cit.(30) Di Domenico G., Saggio su ‘Società’, Liguori, Napoli, 1979.(31) Engels F., Ludovico Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1976.(32) Engels F., Anti-Düring, in K. Marx-F. Engels, Opere complete, Vol. XXV.(33) Engels F., Dialettica della natura, in K. Marx-F. Engels, Opere complete, Vol. XXV.(34) Engels F., Per la critica dell’economia politica. (Recensione), in K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma,

1984.(35) Figurelli M., Mercuri E., Petruccioli C., “Un contributo di studenti dell’Università di Roma”, in Marxismo e filosofia in

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