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La giusta esperienza La giusta esperienza Bambini Bambini capaci di Dio capaci di Dio Massimo Diana Massimo Diana Mariotto (Bari), 23 novembre 2013 Mariotto (Bari), 23 novembre 2013

Bambini capaci di dio massimo diana

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La giusta esperienzaLa giusta esperienza

Bambini Bambini capaci di Diocapaci di Dio

Massimo DianaMassimo DianaMariotto (Bari), 23 novembre 2013Mariotto (Bari), 23 novembre 2013

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Bambini capaci di DioBambini capaci di Dio

L’adulto competente e il bambino

Cosa sappiamo oggi dei bambini?

Conseguenze per una catechesi che incontri la vita

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L’adulto competente e il bambino L’adulto competente e il bambino

• Quando si diventa e cosa significa essere adulti competenti nei confronti dei bambini (genitori, educatori, catechisti, insegnanti)?

• La generatività e il prendersi cura come dimensioni costitutive dell’essere adulti competenti.

• Generatività è per Erikson il compito del cosiddetto settimo stadio, che caratterizza la seconda età adulta. Con tale termine Erikson intende l’interesse dell’individuo adulto a fondare e a guidare la generazione successiva.

• Generatività e procreazione.

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L’adulto competente e il bambino L’adulto competente e il bambino

• È capacità di “cura”, intesa nel senso della capacità di prendersi cura degli altri.

• La “cura” è disponibilità ad amare, ad accarezzare chiunque, in stato di abbandono, rende manifesto il suo bisogno.

• Un vero e proprio “compito generazionale”: un impegno complessivo verso le nuove generazioni, richiesto a formatori, educatori, insegnanti, genitori, ma più in generale ad ogni adulto!

• Il fallimento in questo compito evolutivo conduce ad una regressione a stadi precedenti, ad esempio ad una esclusiva ed eccessiva preoccupazione per l’immagine del proprio ego… È “la” patologia nevrotica del nostro tempo: il narcisismo.

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L’adulto competente e il bambino L’adulto competente e il bambino

Bisogni profondi, attese ultime, aspettative, sono le stesse per bambini e adulti, anche se si manifestano con modalità diverse a seconda dell’età e con gradi di intensità differenti a seconda delle varie forme di disagio.

Ogni essere umano – e questo in comune anche ad altre forme viventi – ha due bisogni fondamentali:

1. Di essere amato, riconosciuto, visto, rispecchiato, ben-voluto… accettato incondizionatamente;

2. Di essere lasciato libero di essere quello che è, e quindi aiutato a sciogliere quei legami così vitali in una fase della vita ma destinati a diventare puro veleno se non si sciolgono.

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L’adulto competente e il bambino L’adulto competente e il bambino

Per poter rispondere adeguatamente al primo, abbiamo bisogno di empatia e compassione e queste nascono dalla conoscenza di noi stessi e degli altri… imparare ad ‘ascoltare’ e a ‘vedere’, oltre le apparenze e le evidenze. Superando luoghi comuni e stereotipi… questo l’obiettivo della relazione di oggi.

Per rispondere al secondo, dobbiamo anzitutto prenderci cura di noi stessi, dedicarci del tempo e delle sane energie, per sciogliere noi, per primi, i legami che ci tengono (ancora) prigionieri. Solo in questo modo potremo poi aiutare anche altri a farlo.

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Cosa sappiamo oggi dei bambini?Cosa sappiamo oggi dei bambini?

1) Erikson:

Il primo ‘ingrediente’ per uno sviluppo sano: la fiducia di base. Una richiesta psico-fisica della presenza della ‘madre’, del suo sguardo rassicurante e delle sue braccia accoglienti.

La fiducia di base: un senso fondamentale di fiducia in se stessi; una sorta di positività strutturale verso la vita, che può diventare il leit-motiv dell’intera successiva esistenza. Tale positività è favorita e predisposta dalle quasi illimitate capacità di cura e di disponibilità della ‘madre’. Se una tale “sicurezza di base” riesce ad instaurarsi, le crisi evolutive successive saranno affrontate e superate dall’individuo con più serenità e facilità.

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Conseguenze per una catechesi che incontri Conseguenze per una catechesi che incontri la vitala vita

Se la prima richiesta del bambino è quella di una madre accogliente e disponibile, una richiesta psico-fisica della presenza della ‘madre’, del suo sguardo rassicurante e delle sue braccia accoglienti, ne deriva che sarà a questo livello che dovranno esprimersi i feedback, cioè le risposte, delle figure di accudimento.

Grazie ad un tale atteggiamento di fiducia il bambino sa che la madre gli darà da mangiare quando avrà fame e lo conforterà nei momenti in cui proverà paura o dolore; questo stesso bambino sarà inoltre in grado di tollerare il momento in cui la madre scompare dalla sua vista, per esempio quando viene messo a dormire, perché sa che tornerà; infine, sarà in grado di sopportare positivamente le inevitabili frustrazioni, dovute anche ad una madre umanamente imperfetta…

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Cosa sappiamo oggi dei bambini?Cosa sappiamo oggi dei bambini?

2) Winnicott:

“Non vi è possibilità alcuna per il bambino di procedere dal principio del piacere al principio di realtà, o verso e oltre l’identificazione primaria (Freud) a meno che non vi sia una madre sufficientemente buona”. Ma come possiamo descrivere una good enough mother?

E’ anzitutto una holding mother… contenere e sostenere…

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2) Winnicott:

Agli inizi è una madre devota: “Il successo nella cura di un bambino dipende dal senso di devozione, non dall’abilità e dalla informazione intellettiva della madre”. Esiste un istinto materno, preparato in oltre 250 milioni di anni dalla natura (la storia evolutiva dei mammiferi). Una donna in sintonia con il suo istinto – cioè non disturbata da irrisolti psicologici che possono interferire – è, per istinto, una buona ‘madre’!

“La madre, all’inizio, con un adattamento quasi del cento per cento, fornisce al bambino l’opportunità di una illusione che il suo seno sia parte del bambino […]. L’onnipotenza, per il bambino, è quasi un fatto di esperienza. Il compito della madre è di disilludere gradualmente, ma essa non ha speranze di riuscire a meno che non sia stata capace da principio di fornire sufficiente opportunità di illusione”.

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La necessità del distacco. “In questo graduale processo di disillusione – uno dei compiti fondamentali dei genitori e degli educatori – se le cose vanno bene si prepara la scena per le frustrazioni che noi raccogliamo insieme sotto il termine di svezzamento […]. Se l’illusione-disillusione è andata fuori strada, il bambino non può arrivare ad una cosa tanto normale come lo svezzamento”. Accompagnare il bambino alla fatica, al dolore, dello svezzamento. Emblema dei successivi inevitabili distacchi, separazioni, lutti. Le prime frustrazioni indispensabili alla crescita…

Il bellissimo paradosso: Il bambino può essere solo, solo in presenza della madre. Come possiamo, noi, accettare la nostra solitudine, volerla e amarla, se non dentro una relazione che ci faccia sentire amati e benvoluti? Per-donati?

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Cosa sappiamo oggi dei bambini?Cosa sappiamo oggi dei bambini?

3) Bowlby:

Attaccamento: la qualità della relazione primaria tra la ‘madre’ (figura primaria di accudimento) e il suo bambino. Tre fondamentali stili di attaccamento:

a) attaccamento sicuro

b) attaccamento insicuro-ambivalente

c) attaccamento insicuro-evitante

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3) Bowlby:

Lo stile di attaccamento acquisito darà origine, nel tempo, ad una sorta di schematismo interno (M.O.I. Modelli operativi interni) attraverso il quale l’individuo tenderà a vivere anche le successive relazioni della vita. Così chi avrà acquisito un attaccamento sicuro, tenderà a vivere, ad esempio, la futura relazione col partner, nel matrimonio, con equilibrio, con affetto ma senza gelosia, e a considerare la relazione come una base sicura per aprirsi alla vita e alle sue richieste. Chi invece avrà interiorizzato uno stile insicuro-ambivalente, tenderà a ricercare nelle relazioni continue – ma peraltro mai sufficienti – conferme di amore; temerà che il partner possa interessarsi di altri, perché tutti sono comunque migliori di quanto lui stesso si vede, e tenderà a vivere con eccessi di gelosia, di possesso e di controllo sulla vita del partner. In modo opposto, colui che avrà interiorizzato un attaccamento insicuro-evitante non riuscirà mai veramente ad entrare dentro una relazione, tendendo a proteggersi, non mettendosi mai in gioco nei sentimenti profondi, e quindi rimanendo freddo e scostante.

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Tali stili di attaccamento vanno ad incidere sull’immagine e la rappresentazione profonda che ciascuno si fa e ha di sé, sulla propria autostima. “Un bambino che ha avuto modo di interagire con una figura d’attaccamento accessibile e disponibile a soddisfare i suoi bisogni fisici e psicologici costruirà, con molta probabilità, una modello operativo di sé come persona meritevole di essere amata e capace di segnalare i propri bisogni. Al contrario, l’interazione con una figura d’attaccamento costantemente inaccessibile e rifiutante porterà il bambino a costruire un modello complementare di sé come persona poco amabile e poco capace di segnalare i propri bisogni e di ottenere risposte adeguate”.

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I modelli operativi interni possono essere modificati attraverso una buona relazione – una relazione educativa! – che sa pazientemente dare tempo all’altro di ristrutturarsi nella propria immagine di sé o autostima. È naturale che ciascuno farà di tutto per vedersi confermare nell’idea che ha di sé, anche se negativa. Ma se si sa resistere e offrire risposte che spiazzano rispetto a quanto l’altro si aspetta, ecco che, nel tempo, può avvenire, fisiologicamente, una ristrutturazione degli schematismi acquisiti dei modelli operativi interni. La disponibilità ad una relazione all’insegna dell’amore genuino, che sa accogliere senza giudicare, che sa resistere pazientemente ai tentativi dell’altro di distruggerla, può compiere veri e propri miracoli!

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4) Racamier:

Seduzione narcisistica e lutto originario. “La prima relazione con la madre, quella seduzione narcisistica che costituisce il sostrato di un narcisismo adulto sano, deve compiersi e terminare. Il bambino ‘volge le spalle’ alla madre per rivolgersi ad altro, e la madre deve saperlo lasciar andare. Per nascere bisogna tollerare, da entrambe le parti, di essere Altro: cioè di perdere la tranquilla beatitudine, il Paradiso terrestre della relazione amorosa di rispecchiamento tra madre e figlio”.

Il divenire adulti si fonda su una doppia competenza e volontà: “di crescere, da parte del bambino, di lasciar crescere, da parte della madre […]. Quando ciò non avviene, quando la madre (o il padre, o chiunque costringa il bambino ad un ruolo di oggetto parziale) non sa – o non vuole – elaborare il lutto dell’onnipotente diade simbiotica, la seduzione narcisistica non finisce mai. Le menti e le persone saranno intrecciate l’una all’altra in un abbraccio soffocante, che non permette il costituirsi di un vero spazio intrapsichico autonomo”.

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Anche la madre deve accettare di “perdere” il suo bambino! Altrimenti ecco l’incestuale:

“Una famiglia incestuale. Nulla è più inespugnabile di questi legami inconsistenti […]. L’incestuale è un clima, un clima in cui soffia il vento dell’incesto, senza che vi sia incesto […]. L’incestuale ci si presenta come la maggior complicazione che deriva da una seduzione narcisistica non risolta”. “La relazione narcisistica non termina se la madre non vuole che termini: semplicemente non lo sopporta”.

Una relazione narcisistica interminabile è sempre asimmetrica e manipolatoria: “un dramma in cui il genitore è regista e il figlio o la figlia vengono manovrati, agiti […]. Cosa rappresenterà questo bambino per questa madre costantemente avida di conferme narcisistiche? Rappresenterà il suo specchio: uno specchio sul quale incombe il compito di rinviarle un’immagine di se stessa sempre lusinghiera e rassicurante. Sarà il suo complemento: un organo destinato a renderla compiuta, completa e realizzata”.

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Il fallimento del lutto originario (separazione) presuppone l’accettazione acritica di quelli che Racamier chiama i tre dogmi del credo narcisistico:

1. «Insieme ci bastiamo e non abbiamo bisogno di nessuno» (sufficienza nella complicità);

2. «Insieme e uniti, trionferemo su tutto» (onnipotenza nell’unità); 3. «Se mi lasci, io muoio» (morte nella differenziazione).

Il dramma di tante famiglie, oggi…

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5) Freud:

La triade edipica. L’importanza del padre per passare dal due al tre; dal principio del piacere (voglio tutto, subito) al principio di realtà (sono ancora troppo piccolo per poter realizzare tutti i miei sogni… devo crescere… devo aspettare)…

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L’esperienza della castrazione in senso psichico, come esito riuscito della crisi edipica, e cioè il ridimensionamento dell’onnipotenza infantile. L’importanza della legge, delle regole e dei “no”.

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6) Lacan:

La crisi dell’autorità paterna (l’evaporazione del padre) e la nostalgia dell’onnipotenza infantile;

Dalla famiglia normativa alla famiglia affettiva (Charmet: dall’Edipo a Narciso).

”La forza della parola paterna non si regge su un’autorità che esorbita dal campo della relazione con la madre. Al contrario, sarà proprio la parola della madre ad attribuire o meno la giusta autorità simbolica alla parola del padre. Sarà il modo con il quale la madre parla ai suoi figli del padre a rendere o meno autorevole la parola del padre, la quale, dunque, vive in stretta relazione con la parola materna” (M. Recalcati).

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• La funzione del padre: il terzo separativo; • la relazione fondamentale è sempre quella con la madre (primaria); • il padre interviene in un secondo tempo, per aiutare la fine della diade

onnipotente. • Ma il padre può svolgere la sua funzione solo se la madre lo riconosce

(davanti al bambino) e glielo consente. Non c’è padre senza una madre!

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7) Zoja:

”Nell’attuale difesa collettiva verso l’indifferenziato, uomini e donne sono disponibili a fare le mamme ma nessuno fa più il padre. Chi interverrà oggi, come accadeva un tempo grazie alla figura paterna (quando c’era) a interrompere la magica fusione madre (o padre)/bambino? Chi fungerà da ‘secondo oggetto’ insegnando il verbo e la legge? […]. Sembra che gli uomini – a fronte della responsabilità di diventare padre – pratichino essenzialmente tre soluzioni: o fuggono, o fanno i bambini, o fanno le mamme” (Simona Argentieri).

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Resistere alla duplice tentazione dei padri di oggi: una fuga all’indietro, verso il maschio precivile (fuga dalla responsabilità… i centauri); la fuga in avanti: i padri primari, o mammi, che scimmiottano la relazione materna.

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8) Piaget

Il modo attraverso cui un bambino conosce e comprende il mondo che lo circonda – compresa dunque anche la religione – è conforme ai caratteri dello stadio di sviluppo in cui si trova.

Il momento in cui nasce e si sviluppa un primo pensiero religioso (stadio del pensiero pre-operatorio, 2-6 anni circa) è caratterizzato da due tratti specifici:

• l’egocentrismo: il bambino è incapace di porsi da un punto di vista diverso dal proprio, di decentrarsi rispetto alle proprie rappresentazioni. L’egocentrismo cognitivo non ha nulla a che vedere con l’egoismo morale: si riferisce solamente alla modalità propria del bambino di quell’età di conoscere la realtà. Un tratto, peraltro, che è proprio l’opposto di quella apertura all’Altro che costituisce la condizione di una religiosità matura, intesa come incontro personale con Dio;

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8) Piaget

• la precausalità: il bambino è incapace di stabilire legami causali adeguati tra sé e il mondo esterno o tra le cose del mondo esterno; tali legami rispecchiano perlopiù la proiezione della propria esperienza soggettiva di relazione con i genitori. Ne deriva che il mondo del bambino è un modo magico, dove ogni cosa viene percepita come dotata di un’anima, un’intenzionalità, e sempre in relazione al vissuto stesso del bambino, al suo percepirsi più o meno accolto e benvoluto dai suoi genitori.

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Da tutto questo emerge un importante dato, che sempre più numerose ricerche in psicologia della religione sono andate confermando: il bambino sembra molto lontano da quel riconoscimento dell’Altro, nella sua trascendenza, che è inscindibile da una religiosità matura.

Il vecchio adagio latino Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur – Ciò che viene ricevuto lo si riceve secondo la forma del recipiente che accoglie: la professionalità di un buon educatore consiste nella capacità di entrare in relazione con il bambino, posizionandosi là dove il bambino si trova. «La fedeltà al contenuto del messaggio non deve essere disgiunta dalla fedeltà alle attuali possibilità di comprensione di colui che ne è il destinatario».

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Ciò significa che è di fondamentale importanza saper mantenere una fedeltà al bambino e alle sue modalità di comprensione dei contenuti religiosi. Questo è il punto di partenza di ogni atto educativo. Si tratta poi di accompagnare il bambino alla meta che ci prefiggiamo; ma la cosa è possibile solo se prima riusciamo ad ‘agganciare’ il bambino là dove egli si trova.

Quali sono, allora, i caratteri fondamentali del pensiero religioso infantile?

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Conseguenze per una catechesi che incontri la Conseguenze per una catechesi che incontri la vitavita

Aletti

1. Antropomorfismo cioè la tendenza a percepire Dio secondo schemi dedotti dalle proprie esperienze umane

2. artificialismo, cioè la tendenza ad immaginare ogni realtà come fabbricata da qualcuno in senso immediato e materiale3.animismo, cioè la tendenza ad attribuire intenzioni, una coscienza o anima vivente, anche alle cose inanimate4. finalismo, cioè la tendenza a vedere in ogni cosa uno scopo, letto in termini morali, dedotto dall’esperienza egocentrica; ad attribuire agli eventi del mondo esterno una intenzione benefica o malefica in relazione al proprio comportamento

5. magismo, cioè la tendenza a considerare manipolabili a proprio vantaggio, in senso cioè utilitaristico ed egocentrico, le cose che ci circondano. Compreso Dio che viene letto come un grande e potente mago, manipolabile per soddisfare le proprie richieste.

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9) Recalcati:

Il dono del padre. È il dono del desiderio, il dono della facoltà di desiderare. E il desiderio è il grande esiliato oggi, perché siamo sommersi da oggetti del godimento e non c’è più spazio per il desiderio.

Desiderio, in questa prospettiva, è vocazione: spinta verso qualcosa che si vuole realizzare. Compito della funzione paterna è quello di assecondare questa spinta-vocazione… che è la via della felicità.

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Ma come può, il padre, fare questo? Attraverso la testimonianza, non tanto dicendo cosa desiderare, ma mostrando che si può vivere con desiderio la vita, con slancio vitale. È la vita che deve parlare! Più sarò fedele al mio desiderio-vocazione, più sarò felice: è questo che “quel che resta del padre” deve testimoniare alle nuove generazioni, ai Telemaco in attesa del ritorno del padre. E’ come se le nuove generazioni gridassero: dove siete adulti?! Mancano adulti veri! Ma il padre edipico non può più tornare.

Il compito più alto del padre (della funzione paterna), oggi, è quello di restituire ai figli (alle nuove generazioni) la capacità di desiderare. Non dicendo loro cosa desiderare, ma aiutandoli a sostenere la potenza del loro desiderio.

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C’era una volta un paese malmesso, nel quale la gente era infelice.Un giorno arrivò un re in visita e disse loro che aveva scambiato di nascosto un loro bimbo con uno dei suoi figli. Dopo la partenza del re la gente aveva paura. Aveva paura del fatto che se il re fosse tornato li avrebbe puniti se avesse trovato il principino infelice. Ma dato che non avevano idea di quale bimbo fosse, tutto il paese cominciò a trattare ogni bambino come se fosse un re.Molti anni dopo il re fece ritorno a quel paese. Nel frattempo i bambini erano cresciuti, avevano avuto figli a loro volta e il paese era molto diverso: c’erano biblioteche, ospedali, chiese; tutte le famiglie lavoravano sodo ed erano tutti felici. I bambini ormai cresciuti non sapevano nulla, non avevano mai sentito la storia del re, non avevano idea che ci fosse un principe o una principessa tra loro. Erano produttivi, creativi e gentili semplicemente perché loro erano stati amati e protetti. Trattati come se ognuno fosse un re.Una vecchia, in punto di morte, chiese del re e gli disse: “Io so che la mia splendida e adorata figliola è la principessa, non è vero?”. E il re le rispose: “No, sono tutti dei re!”.