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Bam! Sock! Lo scontro a fumetti

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Dramma e spettacolo del conflitto nei comics d’avventura. Un geniale excursus sul fumetto d’azione, dai primordi ai supereroi con super problemi, dalla rinascita degli anni Ottanta alle ultime tendenze. Applicando l’analisi semiotica e narrativa alla rappresentazione della lotta, l’autrice porta alla luce gli strumenti espressivi più usati e più efficaci nel narrare i conflitti nei principali comics avventurosi usciti negli Usa a partire dal 1929, anno in cui il fumetto d’azione fa la sua comparsa sui quotidiani.

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«Il tema apparentemente così specifico della lotta nei fumetti d’avventura ne nasconde un altro, che è quello – davvero generale – della spettacolarità e dei suoi modi di mani-festarsi. E alla luce della maniera in cui viene raccontata la lotta, e del peso narrativo che gli episodi di lotta hanno nell’economia delle storie, è possibile ricavare uno spaccato dell’evoluzione del fumetto americano e del suo modo di rapportarsi al proprio pubblico che sarebbe difficile ottenere altrimenti».

Dalla Prefazione di Daniele Barbieri

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Valentina Semprini (Roma 1971) si è laurea-ta in Filosofia all’università di Bologna nel 1997. Fa parte dello staff della manifesta-zione riminese «Cartoon Club» e scrive sulla rivista Fumo di China. Ha curato diver-si cataloghi per mostre di fumetti, tra cui Nathan Never: eroe del futuro (con Paolo Guiducci), Batman: la leggenda (con Egisto Quinti Seriacopi) e Diabolik. Sulle tracce della pantera. Collabora con la società AD LIBITUM per adattamenti e sottotitolazioni di serie animate.

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Valentina Semprini

Bam! Sock! Lo scontro a fumettiDramma e spettacolo del conflitto nei comics d’avventura

Prefazione di Daniele Barbieri

Lapilli. Segni 9

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I edizione: novembre 2006Copyright © Tunué Srl

Via degli Ernici 3004100 Latina – [email protected]

Diritti di traduzione, riproduzionee adattamento riservati per tutti i Paesi.

ISBN 88-89613-18-1ISBN-13 EAN 978-88-89613-18-4

Progetto grafico: Daniele InchingoliGrafica di copertina: Carlo Piscicelli© Tunué

Stampa e legatura:Tipografia Monti SrlVia Appia Km 56,14904012 Cisterna di Latina (LT)Italy

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Prefazione di Daniele Barbieri IX

Introduzione 3Una classificazione cronologica 5Ringraziamenti 10

I Teorie del testo e fumetti 11I.1 Narratologia e Lettori Modello, profondità e superficie 11I.2 I cardini del fumetto americano d’avventura:

come analizzarli? 16I.2.1 I personaggi 16I.2.2 La serialità 22

I.3 La lotta: fase di passaggio o racconto? 31I.4 Categorie operative 35

I.4.1 Le cinque W 35I.4.2 Due macro-categorie

(e una micro-categoria importante) 37I.4.3 In dettaglio 42

II Narratività del personaggio a fumetti 51II.1 Cenni di semiotica del personaggio 51

II.1.1 Personaggio e azione 51II.1.2 Personaggio e coerenza 56II.1.3 Personaggio e identità 58

II.2 Attanti e prospettive 63II.2.1 Prospettive monodirezionali 66II.2.2 Prospettive multidirezionali 67

II.3 Una sottoclasse importante: l’eroe 71

Indice

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II.4 Paratesto e personaggi nel fumetto 76II.5 Il riconoscimento 82

II.5.1 Il nome proprio 82II.5.2 Fisiognomica 84II.5.3 L’abbigliamento 89II.5.4 Lo stato civile 90II.5.5 Le competenze 93II.5.6 Alcuni dettagli 95

III La lotta e la sua narrazione 97III.1 Un’ultima premessa teorica 97III.2 Prospettive monodirezionali: criminali

e invasori alieni 100III.3 Codici e serialità 102

III.3.1 Garantire una corretta fruizionedel testo seriale 102

III.3.2 Buck Rogers (1929) 106III.3.3 Tarzan (1929) 109III.3.4 Dick Tracy (1931) 112III.3.5 Flash Gordon e Secret Agent X-9 (1934) 116III.3.6 Terry and the Pirates (1934) 122III.3.7 Mandrake the Magician (1936) 125III.3.8 The Phantom (1936) 127III.3.9 Prince Valiant (1937) 131

III.4 Tempo rappresentato e tempo raccontato nelle lotte 133

IV La «Golden Age». Uomini e superuomini 142IV.1 Eroi superumani 142

IV.1.1 Una nuova mitologia 142IV.1.2 Lotte e iteratività 146IV.1.3 Supereroi e Oggetti di Valore 150IV.1.4 Nuove esigenze figurative 153

IV.2 Eroi umani 160IV.2.1 The Spirit (1940) 160IV.2.2 Rip Kirby (1946) e Steve Canyon (1947) 163

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IV.3 La leggenda vivente 168V La «Silver Age». Mutazioni nel tempo di lettura 175

V.1 La nascita della Marvel 175V.2 L’istituzione di competenze: lotte da capire 177V.3 Alcune considerazioni sulla verosimiglianza 181

V.3.1 Personaggi e combattimenti 181V.3.2 Realismo grafico e narrativo 186

V.4 Battersi in centro e nell’ora di punta 192V.4.1 New York, New York 192V.4.2 Proporzioni tra episodi e scene di lotta 192

V.5 Lotte e Oggetti di Valore 197V.5.1 Il fattore pubblico 197V.5.2 Il fattore privato 199V.5.3 Tutto deve cambiare,

affinché tutto resti uguale: la riconquista 202V.6 Costruzione delle tavole e tempi di lettura 204

V.6.1 Le tavole di Jack Kirby & soci 204V.6.2 Enfasi e retorica 209

V.7 Anni di crisi e rinascite 217V.7.1 La crisi dei supereroi 217V.7.2 Segni di ripresa 219

VI Gli anni Ottanta. Romanzi a fumetti 227VI.1 Nuove strategie narrative, nuovi Lettori Modello 227

VI.1.1 Uomini, bestie ed eroi:una morale problematica 227

VI.1.2 Il paradosso della casualità 233VI.1.3 Il conflitto di sfondo 234VI.1.4 She-Hulk e Animal Man:

combattere per un Autore Modello 238VI.2 Una nuova etica della lotta: intersezioni di prospettive 243

VI.2.1 Gli X-Men e il conflitto interiore:la lotta come metafora dell’anima 243

VI.2.2 Oggetti di valore epocali e personaggida ridefinire: la «crisi sui mondi infiniti» 249

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VI.2.3 Brevi considerazioni grafiche 252VI.3 Frank Miller: il cinema a fumetti 256

VI.3.1 Ninja assassine e samurai senza padrone 256VI.3.2 Batman: The Dark Knight Returns 269VI.3.3 Da Elektra: Assassin a Hard Boiled 275

VI.4 Alan Moore: lotte psicologichee battaglie perse in partenza 283VI.4.1 V for Vendetta 283VI.4.2 Batman: The Killing Joke 286VI.4.3 Watchmen 287

VII Oltre il limite 294VII.1 Supergruppi e superartisti 294

VII.1.1 La nuova generazione 294VII.1.2 La trama al servizio della lotta:

il conflitto onnipresente 296VII.2 Serialità d’autore 303

VII.2.1 Dinamismo e pose minacciose 305VII.2.2 Effetti speciali 309VII.2.3 Imitatori e oppositori 312VII.2.4 La città del peccato 316

VII.3 Sacro e profano 325VII.3.1 Mistiche vertigini 325VII.3.2 L’ultima frontiera 329VII.3.3 Binari paralleli 338

Conclusioni 344Riferimenti bibliografici 349

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Prefazionedi Daniele Barbieri

Una caratteristica di molte idee brillanti è quella di apparire, dopo chehanno avuto successo, del tutto ovvie. Che cosa c’è di più ovvio e sem-plice di una ruota, per esempio? Eppure, ci sono volute decine di miglia-ia di anni per arrivare a questa idea ovvia e semplice, e vi sono civiltàevolute e raffinate che ne hanno persino fatto a meno. È il principio del-l’uovo di Colombo, l’idea a cui nessuno pensa prima, e che solo dopoessere stata espressa viene trovata evidente da tutti.

Scrivere la storia del fumetto statunitense a partire da un punto di vistaparticolare, quello della lotta, potrà forse sembrare un’idea sufficiente-mente ovvia dopo essere stata esposta, ma anche a questa non aveva maipensato nessuno, prima d’ora. E questo libro mostra brillantementecome invece la lotta sia un tema cruciale nel fumetto d’oltreoceano.

Ricordo bene un commento spontaneo di Umberto Eco alla prima ver-sione di questo scritto, prodotta come tesi di laurea in Semiotica, cheebbi la fortuna di seguire insieme a lui. Un giorno mi disse improvvisa-mente, senza che fosse nel discorso, qualcosa come: «Ehi, hai visto que-sta Semprini quante idee interessanti è riuscita a tirar fuori da un temache sembrerebbe così ultraspecifico! Da non crederci…»

Il fatto è che questo tema apparentemente così specifico ne nascondeun altro, che è quello – davvero generale – della spettacolarità e dei suoimodi di manifestarsi. E alla luce della maniera in cui viene raccontata lalotta, e del peso narrativo che gli episodi di lotta hanno nell’economiadelle storie, è possibile ricavare uno spaccato dell’evoluzione del fumet-to americano e del suo modo di rapportarsi al proprio pubblico chesarebbe difficile ottenere altrimenti.

Insomma: questo libro non contiene una ricerca specialistica su untema specialistico che chissà perché dovrebbe interessare qualche letto-re non accademico. Al contrario, in queste pagine viene raccontata una

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X PREFAZIONE

raffinata storia del fumetto americano e del suo modo di costruire il pro-prio spettacolo. Da Buck Rogers a Sin City e oltre, la rappresentazionedel conflitto ha avuto ruoli, modalità e pesi diversi nell’indurre l’atten-zione del lettore.

Questo libro possiede però, a mio parere, anche un secondo e nonminore pregio. È nato, dunque, almeno nella sua prima versione, cometesi di laurea in Semiotica; e contiene perciò, evidentemente, un saggiodi impostazione semiotica. Nonostante questo, esso non richiede ai suoilettori di conoscere i principi di una teoria non sempre semplicissima, eanzi talvolta persino un poco astrusa. Al contrario, questo libro è leggi-bile da parte di chiunque, con in più il vantaggio che numerosi concettisemiotici che qui vengono utilizzati con intelligenza e senso critico sonoanche spiegati bene, e resi accessibili con facilità.

È dunque con una certa invidia per un’idea brillante che non ho avutoio, sviluppata poi in maniera ugualmente brillante e rigorosa, che hoscritto queste quattro righe di presentazione, nella speranza che il letto-re voglia addentrarsi in questo libro, per scoprirvi quello che vi ho sco-perto anch’io.

D.B.Bologna, settembre 2006

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BAM! SOCK! LO SCONTRO A FUMETTI

A Sandra,l’orizzonte che non mi ha mai abbandonata

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Introduzione

Osservando gli abituali oggetti d’attenzione degli studi e della criticasul fumetto ci si rende subito conto di un particolare fenomeno, e cioèche analizzare e studiare un Corto Maltese di Hugo Pratt, o un Cerebusdi Dave Sim, o ancora la Mafalda di Quino, appare nell’opinione comu-ne più nobile di quanto non lo sia uno studio dello Zagor di GuidoNolitta e Gallieno Ferri o dei Wetworks di Whilce Portacio. È cioè anco-ra in voga un certo habitus mentale per cui vi sono oggetti di studio piùmeritevoli di altri.

È comprensibile che l’analisi di un fumetto qualitativamente elevatosia fonte di piacere per lo studioso, che in questo modo non deve passa-re il suo tempo su opere noiose o scontate. In questo senso, si può capi-re che, in effetti, sia più stimolante studiare Cerebus piuttosto che iWetworks. Questo, però, riguarda il divertimento e la passione del ricer-catore, e non la nobiltà o ignobiltà dell’oggetto di studio. Talvolta ilsenso comune deve ancora fare un salto di qualità che gli permetta diandare oltre l’apparente banalità di determinati fenomeni, per scoprirnei meccanismi e il funzionamento. Questo è ben noto alla semiotica; nonaltrettanto alla critica sulla narrativa disegnata. Infatti, stabilito che ifumetti sono oggetti degni di nota e di studio, al pari della letteratura odell’arte tradizionale, ecco subentrare un nuovo tipo di scetticismo, ten-dente a dividere il materiale a disposizione in «fumetto popolare» e«fumetto d’autore».1 Ed ecco quindi scorrere fiumi d’inchiostro sul

1 Va peraltro segnalata l’ambiguità di questi due termini, ormai entrati nel linguaggio corrente.Etimologicamente, per «fumetto d’autore» dovrebbe semplicemente intendersi l’opera a fumetti scrit-ta e disegnata da una sola persona (o da una coppia particolarmente affiatata sceneggiatore-disegnato-re), laddove invece il «fumetto popolare», essendo nella stragrande maggioranza dei casi seriale e quin-di prodotto in grande quantità e per lunghi periodi di tempo, presuppone molte persone al lavoro su diesso, che ne pregiudicano quindi l’uniformità e la caratura artistica e stilistica. A fronte di un discorso«produttivo», emerge quindi un discorso qualitativo: sempliciotto il fumetto popolare, colto e istruitoquello d’autore. Una distinzione a volte valida, a volte no, certamente ormai d’uso comune.

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4 INTRODUZIONE

montaggio cinematografico in Valentina di Guido Crepax o sullo stile diMœbius, mentre aspetti più quotidiani di fumetti cosiddetti popolarivengono trascurati, poiché ritenuti banali.

Il fumetto d’avventura statunitense e in particolare il tema della lottaal suo interno, argomento di questo libro, non ha bisogno di essere nobi-litato: è già un oggetto di studio interessante e stimolante, se non altroperché è una delle caratteristiche più evidenti del fumetto d’avventurastesso. Che cosa fanno Tarzan, Flash Gordon, The Phantom (l’UomoMascherato), Batman, gli Avengers (i Vendicatori)? Indagano, parlano,si innamorano, a volte filosofeggiano, ma prima o poi, per questo o quelmotivo, combattono.

Perché combattono? come lo fanno? contro chi? dove? quando? gra-zie a quali strumenti espressivi il fumetto ce li mostra mentre lottano?tramite quali tecniche figurative? Le risposte a queste domande sono piùinteressanti di quanto sembri. Esse emergeranno da un corpus costitui-to dai principali fumetti avventurosi usciti negli Stati Uniti d’America apartire dal 1929, anno in cui il fumetto d’avventura fa per la prima voltala sua comparsa sui quotidiani statunitensi, prima con Buck Rogers, poicon Tarzan. Sarà peraltro abbastanza evidente una certa preferenza (inparte dovuta al gusto personale, ma anche alla loro effettiva importan-za, sempre cresciuta nei decenni) per quelli supereroici.

Per quanto riguarda invece la letteratura critica, costituita naturalmen-te sia da testi di semiotica che di critica e/o studio sul fumetto, in questasede vanno almeno menzionati i due principali autori che hanno analiz-zato il fumetto da un punto di vista semiotico, fornendo così diversispunti di riflessione. Si tratta di Pierre Fresnault-Deruelle e DanieleBarbieri, i quali tuttavia affrontano l’argomento con metodi diversi. Illavoro di Fresnault-Deruelle mostra infatti un’impronta strutturalista,mentre Barbieri lavora con una prospettiva più vasta, che lascia ampiospazio anche a un approccio di tipo interpretativo.2 Si pone dunque qui,

2 Si vedano in particolare i seguenti testi: Pierre Fresnault-Deruelle, Il linguaggio dei fumetti (ed. or.La bande dessinée, Paris, Hachette, 1972), Palermo, Sellerio, 1977 e I fumetti: libri a strisce (ed. or.Récits et discours par la bande, Paris, Hachette, 1977), Palermo, Sellerio, 1990; Daniele Barbieri, I lin-guaggi del fumetto, Milano, Bompiani, 1991. Fresnault-Deruelle tende ad analizzare le strutture piùprofonde della narrazione a fumetti, gli «scheletri» che stanno alla base di ogni storia; Barbieri mutua

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5INTRODUZIONE

come si era posto per loro, il problema di una scelta metodologica; essa,inoltre, è tanto più difficile quanto più si nota che entrambi i tipi di ana-lisi dimostrano la loro validità a seconda degli oggetti di studio a cuivengono applicati. E, dal momento che il problema è vasto e la questio-ne importante, a questo argomento e ad altre premesse di metodo sonodedicati i primi due Capitoli di questo libro. Nel primo si affrontano ingenerale le questioni teoriche derivanti dall’applicazione dell’uno o del-l’altro metodo alla narrativa disegnata e si individuano alcune categorieoperative, delle quali servirsi per l’analisi dei singoli testi; nel secondoviene sviscerato un particolare aspetto del problema, ovvero lo statutosemiotico che nei fumetti è riservato ai personaggi. Una delle convin-zioni su cui infatti si basa questa analisi è che il fumetto mainstream creisì delle storie, ma soprattutto dei personaggi. Esso, infatti, come ogniforma di narrativa popolare, si basa su fenomeni di iterazione e soddi-sfazione delle aspettative di un pubblico desideroso di vedere conferma-te le sue abitudini di fruitore del medium.

Per ragioni di comodità (ma non solo), il corpus dei fumetti analizza-ti è suddiviso in cinque sezioni, ciascuna corrispondente a un certo arcodi tempo nella storia del comic americano d’avventura. I motivi e i van-taggi di questa soluzione sono illustrati qui di seguito.

Una classificazione cronologica

Maneggiare quasi ottant’anni di storia del fumetto avventuroso pro-dotto negli USA non è semplice: una suddivisione si rendeva necessaria.Essendo questo uno studio di impronta semiotica, si sarebbero potutiprendere in considerazione alcuni aspetti semioticamente interessantidella narrativa disegnata e osservarne il funzionamento in alcuni casirilevanti. Per esempio si sarebbe potuto studiare il montaggio dellevignette in Tarzan, Flash Gordon, Spider-Man e Sin City, oppure ana-lizzare l’uso della fisiognomica in Dick Tracy, Fantastic Four e Ghostinvece alcune nozioni dalla semiotica interpretativa di Umberto Eco e le elabora nell’ambito dell’ana-lisi del fumetto. Dei diversi approcci ci si servirà anche in questo libro, a seconda dell’utilità che assu-meranno caso per caso.

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6 INTRODUZIONE

Rider. Gli argomenti sarebbero stati interessanti, ma lo studio avrebbeassunto la veste di una raccolta di tante piccole monografie.

Si è allora pensato di procedere in ordine cronologico, partendo dai pri-missimi fumetti d’avventura per arrivare alle ultime testate uscite negliUSA e suddividendo la storia del fumetto d’avventura in cinque periodi.La suddivisione è emersa praticamente da sé e le tappe sono state pres-soché obbligate, ma in esse vi sono ottimi argomenti di analisi semioti-ca. Per esempio gli anni Ottanta, caratterizzati dalla rinascita del fumet-to supereroico dopo un periodo di crisi,3 hanno visto in diversi autori unradicale rinnovamento sia delle strutture narrative sia dei mezzi espressi-vi adottati per mettere in evidenza tali strutture. In ultima analisi è quasiovvio assumere che, se la storia del fumetto è stata scandita da certi auto-ri e certi titoli, è perché essi presentavano qualcosa di nuovo: quindinuove storie da narrare, nuovi strumenti espressivi, e in definitiva nuovilegittimi oggetti di studio da un punto di vista squisitamente semiotico.Giustificata quindi la scelta di una scansione cronologica, e chiarito chequesta non è, se non in misura marginale, una «storia del fumetto ameri-cano d’avventura dalle origini a oggi», sarà bene spiegare finalmentequali sono questi periodi e cosa li ha resi fondamentali.

1929: LE ORIGINI. Con Buck Rogers e Tarzan nasce il fumetto d’av-ventura e la rappresentazione della lotta si fa più realistica, meno stiliz-zata, più precisa che nel precedente fumetto umoristico o satirico. Gliautori studiano le anatomie, i muscoli, le espressioni facciali, ma inalcuni casi c’è ancora un ampio margine di interferenza tra fumetto eillustrazione, sicché anche scene che dovrebbero essere molto dinami-

3 Gli anni Settanta vengono percepiti come confusi e inquietanti dalla sensibilità comune, perchécaratterizzati da tensioni sociali e critica ideologica. Non vi sono più l’ottimismo e il desiderio di pro-gresso che avevano permeato i due decenni precedenti, non c’è ancora la sterzata politica internazio-nale che avrebbe modificato la compagine politica del pianeta nel decennio successivo (in modo noncerto radicale, ma se non altro chiaro e netto). Il senso di instabilità e circospezione, la paura dell’olo-causto nucleare, la guerra in Vietnam e il ritorno dei reduci, la presenza insomma di problemi maiapparsi così complicati, rendono obsoleti e ingenui i fumetti di supereroi, ancora aggrappati a un’iden-tità avventurosa dotata di valori troppo categorici e troppo poco ricercati. Crisi di vendite e crisi crea-tiva al tempo stesso, insomma, tanto che perfino le storie di un personaggio importante come l’UomoRagno passano, verso la metà del decennio, dalle canoniche 22 pagine a sole 17. Della crisi dei supe-reroi parlano Sergio Brancato in Fumetti. Guida ai comics nel sistema dei media, Roma, Datanews,1994 e Daniele Brolli e altri saggisti come lo stesso Brancato e Daniele Barbieri in Daniele Brolli (acura di), Il crepuscolo degli eroi, Bologna, Telemaco, 1992.

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7INTRODUZIONE

che appaiono in realtà abbastanza statiche: le didascalie sono fondamen-tali per riempire gli spazi bianchi (in senso sia grafico che semiotico)lasciati dalle vignette. Tra i fumetti di questo periodo ricordiamo BuckRogers, Tarzan, Flash Gordon, Brick Bradford, Ace Drummond, SecretAgent X-9, The Phantom, Terry and the Pirates, Mandrake, Dick Tracy,Prince Valiant. Certo non erano affatto spariti i fumetti umoristici o lesoap-opera di carta: restavano sulla cresta dell’onda anche titoli comePopeye, Joe Palooka, Little Orphan Annie, Gasoline Alley, Felix TheCat.4 Generi di fumetto molto diversi che avevano però un importanteelemento in comune, la sede di pubblicazione. Tanto i viaggi interplane-tari di Flash Gordon quanto le lacrimevoli traversie dell’orfanella Annievenivano pubblicati non su supporti editoriali autonomi ma sulle paginedei quotidiani, che si contendevano gli autori migliori a suon di contrat-ti, in particolare per quei personaggi che, oltre alla tradizionale strisciagiornaliera, riuscivano a guadagnarsi anche l’onore di un’intera tavolasettimanale a colori.

1938: LA «GOLDEN AGE».5 Viene pubblicato Superman, seguito l’an-no dopo da Batman, e con essi si impone non solo il fumetto supereroi-co, ma anche la nuova modalità di pubblicazione sui comic book, cheavrà le sue conseguenze anche sull’impianto semiotico di strutturazio-ne della narratività. Mentre Batman, essendo sostanzialmente umano, èancora legato ai suoi predecessori del fumetto avventuroso anche sottoil punto di vista della rappresentazione della lotta (ma aggiungendoviun importante elemento acrobatico), per Superman emergono alcunenuove esigenze allo scopo di narrare i combattimenti: bisogna cioè rap-

4 Veloci riferimenti cronologici dei titoli citati. Buck Rogers, 1929, Philip Francis Nowlan e RichardW. Calkins; Tarzan, 1929, Harold Foster; Flash Gordon, 1934, Alex Raymond; Brick Bradford, 1933,William Ritt e Clarence Gray; Ace Drummond (in Italia Fulmine Rosso), 1934, Eddie Rickenbacker eClayron Knight; Secret Agent X-9 (Agente Segreto X-9), 1934, Dashiell Hammett e Alex Raymond:The Phantom (L’Uomo Mascherato), 1936, Lee Falk e Ray Moore; Terry and the Pirates (Terry e iPirati), 1934, Milton Caniff; Mandrake, 1934, Lee Falk e Phil Davis; Dick Tracy, 1931, Chester Gould;Prince Valiant, 1937, Harold Foster; Popeye (Braccio di Ferro),1929, Elzie Crisler Segar; Joe Palooka,1927, Ham Fisher; Little Orphan Annie, 1924, Harold Gray; Gasoline Alley 1918, Frank O. King; FelixThe Cat (Mio Mao), 1923, Otto Messmer.

5 Le nozioni di «Golden Age» e «Silver Age» emergono e si sviluppano non in seno a una criticafumettistica di impianto rigorosamente accademico bensì all’interno del fandom americano; tuttavia, siè scelto di farne uso perché esse individuano comunque due periodi ben distinti della storia dei comics,che ben si adattano alla scansione cronologica su cui viene condotta l’analisi in questa sede.

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8 INTRODUZIONE

presentare personaggi che volano, velocità elevatissime, superpoteriche colpiscono gli avversari, muri che vanno in frantumi per un pugno.Tali esigenze risultano sempre più evidenti a mano a mano che vengo-no creati gli altri eroi storici della DC Comics: Flash, Captain Marvel,Aquaman, Green Lantern (Lanterna Verde), Hawkman, WonderWoman, Black Canary e diversi altri. La dimensione naturale del supe-reroe è la lotta, che diventa un momento centrale delle storie; le vienededicato sempre maggiore spazio, i margini bianchi fra una vignetta el’altra costituiscono elisioni di archi temporali sempre più brevi: la lottaè quasi narrata «in tempo reale». Accanto al fumetto supereroico,comunque, continua a vivere quello tradizionale, che sulle pagine deiquotidiani presenta nuovi personaggi di successo (Steve Canyon, RipKirby, The Spirit).6

1961: LA «SILVER AGE». Stan Lee e Jack Kirby creano i Fantastic Four(Fantastici Quattro) e, in seguito, altri cosiddetti «supereroi con super-problemi»: nelle lotte ci sono tempi più lunghi per dare spazio ai dialo-ghi e ai pensieri, sicché il tempo di lettura muta radicalmente. La vero-simiglianza (termine che nel caso dei supereroi va di per sé inteso insenso lato) è un obiettivo costante, ma spesso perde terreno a favoredella spettacolarità, che Kirby ricerca e offre con inquadrature dal taglioinusuale e prospettive azzardate. Sempre Jack Kirby offre per la primavolta scene di lotta realistiche dal punto di vista dei corpi dei personag-gi, disegnando sangue che cola dal naso e volti tumefatti. La fortuna deinuovi supereroi7 subisce un inarrestabile calo negli anni Settanta, chevedono una crisi generale del fumetto supereroico, illuminato saltuaria-mente da eccezioni come il Batman di Neal Adams.

1981: LA RINASCITA. Il fumetto supereroico risorge e raggiunge nuovevette di qualità grazie a tre autori in particolare: Chris Claremont, FrankMiller e Alan Moore. Le trame si fanno complesse e ricercate, sicché lelotte, funzionali a queste storie più «adulte» che in passato, assumono

6 Steve Canyon, 1947, Milton Caniff; Rip Kirby, 1946, Alex Raymond; The Spirit, 1940, Will Eisner.7 Per esempio: Hulk, di Stan Lee e Jack Kirby su The Incredibile Hulk n. 1, maggio 1962; Spider-

Man (in Italia l’Uomo Ragno), di Stan Lee e Steve Ditko, su The Amazing Spider-Man n. 1, agosto1962; Iron Man, di Stan Lee, Don Heck e Jack Kirby, su Tales to Astonish n. 39, marzo 1963; gli X-Men, di Stan Lee e Jack Kirby, su The X-Men n. 1, settembre 1963; Daredevil (in Italia solo Devil), diStan Lee e Bill Everett, su Daredevil n. 1, aprile 1964; e numerosissimi altri.

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9INTRODUZIONE

una funzione narrativa caratterizzata da motivazioni plausibili e vengo-no descritte con dovizia di particolari. Miller in particolare, appassiona-to di arti marziali, fumetto giapponese e cinema, realizza scene di lottadescritte in ogni dettaglio, dal punto di vista sia della verosimiglianzache del disegno, giocando a piacere con il tempo di lettura.

1991: OLTRE IL LIMITE. Dopo i primi tre numeri della collana X-Men,Chris Claremont abbandona la Marvel e lascia la sua testata (insiemealle altre a essa collegate) in mano a disegnatori come Jim Lee, WhilcePortacio e Rob Liefeld, che si improvvisano scrittori. La qualità globa-le dei soggetti affonda, ma le scene di lotta, estremamente gratificanti dadisegnare, si fanno più frequenti e dettagliate. La stessa tendenza è visi-bile negli albi della Image, nuova casa editrice creata dai suddetti dise-gnatori, ove l’azione è al primo posto. Si vuole dare maggiore dinami-smo, una velocità di lettura molto elevata, che coincida con una rapidavisione della lotta: aumenta l’uso delle linee cinetiche e delle espressio-ni deformate, mentre ambienti e sfondi vengono trascurati. Nelle testa-te di altre case editrici l’inizio degli anni Novanta ha visto o prenderepiede questa tendenza, oppure adottare consapevolmente uno stile aesso opposto, a opera di autori meno mainstream e più innovativi come,nuovamente, Frank Miller. Più di recente, la tendenza alla spettacolari-tà è andata moderandosi: a un modo nuovamente più sobrio di rappre-sentare l’azione si è inoltre affiancata una nuova attenzione a storie epersonaggi, caratterizzata da una prosa secca e asciutta, da protagonistimolto spesso decisi e sicuri di sé, da trame audaci e talvolta ciniche, allaricerca di un continuo superamento di quelli che, tempo prima, eranoconsiderati limiti quasi invalicabili.

Si tratta di periodi che coprono archi di tempo molto vasti, ragion percui una selezione nell’analisi del materiale si è resa necessaria. Fra tuttii fumetti prodotti negli Stati Uniti d’America dal 1929 a oggi, verrannoqui trattati quelli più rilevanti dal punto di vista della rappresentazionedella lotta, mettendone in luce somiglianze e differenze, cercando diporre in evidenza gli strumenti espressivi più usati e più efficaci e indi-viduando percorsi, narrativi e grafici, che da un insieme di premesseall’inizio del XX secolo hanno condotto a significative conseguenze alsorgere del XXI.

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10 INTRODUZIONE

Ringraziamenti

Dalla nascita di questo libro in forma embrionale alla sua stesura definitiva,molte persone mi hanno dato una mano nelle maniere e nelle misure più dispa-rate. Per primo il professor Daniele Barbieri, insostituibile critico e consigliere,e ora anche prefatore. A seguire, in ordine alfabetico, Andrea Antonazzo,Giancarlo Berardi, il professor Umberto Eco, Gianfranco Goria, PaoloGuiducci, Jim Lee, Paolo Livorati, Vittorio Pavesio, Marco Pellitteri, LucaScatasta, Antonio Serra.

Non meno importanti sono state le persone che hanno contribuito a questolavoro da un punto di vista strettamente personale: i miei genitori, mia sorellaFederica, mio marito Gianluca, e poi Monica, Anna Maria, Sabrina e tutti glialtri amici che mi hanno appoggiata.

A tutti, il mio grazie più sentito.

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III. La lotta e la sua narrazione

III.1 Un’ultima premessa teorica

Si potrebbe introdurre l’argomento di questo Paragrafo partendo dauna citazione di Scott McCloud, il quale, in uno dei suoi due interessan-ti libri, si chiede: «È possibile rendere visibili le emozioni?».1 Può unalinea spezzata e tremolante esprimere l’ansia? Può una tonalità di azzur-ro significare il freddo? McCloud si pone insomma l’eterno problemadel rapporto tra espressione e contenuto di un testo, di un’opera, di unsegno. Inoltre, si chiede se essi siano separabili o se possano esistere sol-tanto insieme, in un’unità inscindibile.

Credo che la risposta sia abbastanza semplice: no, non possono esse-re materialmente scissi, ma sì, possono essere almeno presi in conside-razione separatamente l’uno dall’altro, allo scopo di analizzarli ciascu-no nelle sue caratteristiche fondamentali. Una posizione scontata, forse,ma che ha il pregio di garantire un adeguato rigore metodologico e unacerta comodità quando arriverà il momento di analizzare i singoli testi.

Seymour Chatman e Claude Bremond affermavano (cfr. infra,Paragrafo I.1) l’indipendenza tra storia e discorso, tra ciò che si raccon-ta e come lo si racconta. Ma, se è vero che una stessa trama può servireda soggetto per un romanzo come per un film, è anche vero che i risul-tati finali dei connubi storia-prosa e storia-cinema sono piuttosto diver-si, e non solo dal punto di vista del valore estetico, ma da quello, ben piùumile, della storia stessa. In altri termini, esiste un costante influsso reci-

1 Scott McCloud, Capire il fumetto. L’arte invisibile (ed. or. Understanding Comics. The InvisibleArt, Kitchen Sink Press, 1993), Torino, Vittorio Pavesio Productions, 1996, p. 126. Dello stesso auto-re: Reinventare il fumetto (ed. or. Reinventing Comics, Paradox Press, 2000), Torino, Vittorio PavesioProductions, 2001. Sulla «visibilità delle emozioni», cfr. anche Daniele Barbieri, «Linee inquiete.L’emozione e l’ironia nel segno grafico», in Daniele Barbieri (a cura di), La linea inquieta. Emozionie ironia nel fumetto, Roma, Meltemi, 2005, pp. 193-213, e Sergio Algozzino, Tutt’a un tratto. Una sto-ria della linea nel fumetto, Latina, Tunué, 2005.

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98 LA LOTTA E LA SUA NARRAZIONE

proco tra l’espressione e il contenuto, tale da impedire che raccontareuna storia in un romanzo sia la stessa cosa che raccontarla in un film.Ogni medium ha caratteristiche proprie che permettono di comunicaredeterminati contenuti e non altri, o determinati contenuti meglio di altri,quindi conferendo ai testi sfumature diverse che, nate per via di esigen-ze formali, influenzano anche il livello del contenuto.2

Qui mi preme soprattutto indicare le conseguenze dell’inscindibilitàdi espressione e contenuto nel fumetto, tramite un paio di esempi.

La linea piatta è in generale molto più immobile di quella modulata,mentre quest’ultima è molto più dinamica dell’altra. Non che con lalinea piatta io non possa esprimere il movimento, ma farò molta piùfatica a renderlo che con la modulazione […]. Calvin e Hobbes diWatterson è un fumetto di grande effetto dinamico, e il suo umorismoè in buona parte basato sulla resa delle imprese di un bambino scate-nato. Questo naturalmente non è abbastanza per dire che Wattersonnon avrebbe mai potuto usare la linea piatta per disegnare le sue stri-sce, ma è comunque una ragione sufficiente per capire perché non l’hafatto. Se il suo fumetto ha avuto successo, è certamente anche perchéil segno con cui è disegnato è adatto a quello che viene raccontato.3

Seguendo l’esempio citato, si osservi la Figura III.1, che mette a con-fronto una striscia di Calvin and Hobbes con una dei Peanuts di Schulz.Questi ultimi sono famosi più per i loro dialoghi cerebrali che per attivi-tà particolarmente dinamiche (fanno eccezione pochi casi, come le parti-te di baseball tra i bambini oppure le corse di Snoopy per addentare lacoperta di Linus); al contrario, Calvin è un bambino pestifero, spessoripreso nell’atto di andare sullo slittino o di azzuffarsi con Hobbes, il suotigrotto (in carne e pelo per Calvin, di pezza per il resto del mondo).

Si torni ora a McCloud e si veda la Figura III.2, tratta da Capire ilfumetto. Ogni linea, tratto o stile esprime al meglio certi contenuti piut-

2 Per chi volesse addentrarsi nei meandri teorici di tale questione, cfr. U. Eco, Apocalittici e integra-ti, cit.; Id., Le forme del contenuto, Milano, Bompiani, 1971; Id., Trattato di semiotica generale, cit.;Id., Lector in fabula, cit.

3 D. Barbieri, I linguaggi del fumetto, cit., p. 27.

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99UN’ULTIMA PREMESSA TEORICA

tosto che certi altri, e la mole di esempi presentata dall’autore rende lesue argomentazioni convincenti. La cosa ha le sue conseguenze ancheper ciò che riguarda le scene di lotta. Se ogni genere narrativo (polizie-sco, fantascientifico, supereroico) prevede strutturalmente determinatitipi di scontri e combattimenti piuttosto che altri, caratterizzati da tipo-logie standard di nemici, luoghi, Oggetti di Valore, ecco che ognuno diquesti fattori dovrà essere espresso al meglio dal segno che il disegna-tore adotterà. Si potrà verificare, caso per caso, come si manifesterà ilnesso tra espressione e contenuto.

A sinistra, in alto: Figura III.1aBill Watterson, Dieci anni di Calvin & Hobbes (ed. or. The Calvin and Hobbes Tenth AnniversaryBook, Kansas City, Andrews McMeel Publishing, 1995), Modena, Comix, 1997, p. 161.

A sinistra, sopra: Figura III.1bCharles M. Schulz, Peanuts (vignetta tratta dalla striscia del 29 dicembre 1964), inL’Enciclopedia Delle Strisce n. 8: Scuola, Modena, Panini, 2006, p. 121.

A destra: Figura III.2Scott McCloud, Capire il fumetto. L’arte invisibile (ed. or. Understanding Comics: TheInvisible Art, Kitchen Sink Press, 1993), Torino, Vittorio Pavesio Productions, 1996, p. 134.

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100 LA LOTTA E LA SUA NARRAZIONE

III.2 Prospettive monodirezionali: criminali e invasori alieni

Contro chi combattono gli eroi?Il nemico tipico, l’antagonista malvagio, l’Anti-soggetto per eccellen-

za, nel gergo della narrativa avventurosa (a fumetti e non) viene dettovillain, che in inglese significa ‘malvagio’ (in francese vilain, anch’essoa volte usato).4 Ciò significa che, con regolarità e come anticipato nelCapitolo II, il protagonista della testata è buono e il suo rivale è cattivo.

Non c’è nulla di strano in tutto questo; ci si potrebbe tuttavia chiede-re il motivo di una tale regolarità nelle avventure a fumetti, la cui strut-tura è in effetti abbastanza monotipica anche e soprattutto per quantoriguarda il rapporto tra eroe e villain. I romanzi d’avventura del XIXsecolo avevano già creato una vasta gamma di personaggi, senza neces-sariamente ricondursi al luogo comune dell’assolutamente buono control’assolutamente cattivo: si pensi per esempio a Long John Silver,5 perfi-do pirata ma anche uomo affascinante (non fisicamente, s’intende) eprovocatorio. I fumetti, che proprio dai romanzi avventurosi prendonospunto, avrebbero direttamente potuto fare propria questa lezione.

A determinare l’uso di una certa struttura fissa nelle avventure deglieroi a fumetti è la serialità, della quale si parlerà più diffusamente nelprossimo Paragrafo. Per ora ci si limiterà a notare che, al fine di renderepiù agevole la lettura di puntata in puntata, gli autori si servono di codi-ci semplici e riconoscibili, senza ricercare una raffinatezza e una compli-cazione della quale non tutti i lettori potrebbero agevolmente fruire (esi-stono infatti numerosi lettori occasionali o disattenti, oppure attenti manon forniti – magari per carenze culturali – degli strumenti necessari allacorretta interpretazione di un testo basato su dinamiche narrative com-plesse). Lo stesso principio va tenuto presente nella creazione dei perso-naggi: anche quelli apparentemente ambigui come Aura (la figlia del-l’imperatore Ming in Flash Gordon) si basano in realtà su modelli pree-

4 Entrambi i termini derivano dal latino villanus, ovvero villico, contadino, e per estensione igno-rante, vile, zotico. Quindi, da un punto di vista etimologico, lo status sociale, economico e culturale diuna certa tipologia di persone ha determinato un’accezione negativa in senso morale.

5 Personaggio da Robert Louis Stevenson, L’isola del tesoro (ed. or. The Treasure Island, 1883).

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101PROSPETTIVE MONODIREZIONALI: CRIMINALI E INVASORI ALIENI

sistenti, tipici del romanzo d’appendice, che è pieno di donne belle e dan-nate, misteriosi eroi mascherati, malvagi redenti e così via.

Volendo abbozzare una descrizione del villain, si potrebbe dire che lasua malvagità interiore si ripercuote spesso anche sull’aspetto fisico. Inemici di Buck Rogers sono mongoli o extraterrestri; Ming, eternonemico di Flash Gordon, è un orientale con gli occhi piccoli e furbi, ilnaso adunco e un perfido ghigno disegnato sul volto; i guerrieri barbaricontro cui spesso combatte Valiant sono massicci e rozzi, ben lontanicioè dalla prestanza e dall’eleganza del principe; Tarzan si batte controbelve selvagge, oppure contro bracconieri dai volti rudi e barbuti (si notiche Tarzan, pur vivendo nella giungla in uno stato di assoluta e selvag-gia libertà e, di conseguenza, inciviltà, non ha mai un filo di barba); e sipensi infine alle sgradevoli fattezze dei nemici di Dick Tracy.

In altri termini, l’unione di espressione e contenuto nell’inscindibilitàdel segno permette di veicolare, tramite modelli grafici tutto sommatomolto semplici, diversi tipi di valori che la sensibilità del lettore acco-glie e condivide, se orientati verso il bene, o condanna, se orientati versoil male, grazie a una sua preliminare conoscenza di una elementare fisio-gnomica intuitiva.6 Va da sé che tale conoscenza è situata in una culturadi riferimento specifica tale che, per esempio, i nemici degli eroi deglianni Trenta (Buck Rogers, Flash Gordon) hanno fattezze orientali inquanto creati nel contesto di un paese nel quale era radicato il timore peril cosiddetto «pericolo giallo», mentre i delinquenti comuni sgominatidai supereroi che sorvegliano le metropoli appartengono non di rado aceppi etnici non integrati nella società WASP statunitense (messicani, por-toricani, afroamericani).7

Bene e male diventano a loro volta concetti semplici e monodimensio-nali, aproblematici. Eroi e criminali perseguono Oggetti di Valore disegno opposto l’uno all’altro, che assumono l’aspetto di un sistema a cop-pie: libertà-conquista, vita-morte, verità-falsità, interesse pubblico-inte-resse personale, altruismo-egoismo ecc. Con binomi di questo genere, al

6 Sull’esistenza di una fisiognomica intuitiva o naturale nell’enciclopedia sociale, cfr. Umberto Eco,«Il linguaggio del volto», in Sugli specchi e altri saggi, Milano, Bompiani, 1985, pp. 45-54.

7 WASP: White, Anglo-Saxon, Protestant: ‘bianchi, anglosassoni, protestanti’.

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lettore non è permesso di ingannarsi o problematizzare; gli è invece impo-sto di delineare un mondo fittizio privo di equivoci, assolutamente sem-plice e, volendo, banale, ma adatto alle esigenze di un prodotto seriale.

La lotta mette platealmente in scena queste dicotomie, giacché, anchese l’eroe non sempre si batte con il villain in persona, tuttavia quest’ul-timo è il remoto responsabile di ogni scontro in cui l’eroe debba impe-gnarsi (per esempio quando Flash Gordon, nella prima delle sue avven-ture, deve battersi in un’arena con quattro uomini-scimmia allo scopo didivertire Ming).

Il combattimento diventa così una conferma della struttura attanzialeprevista dal testo, struttura che il lettore ha già individuato ma è conten-to di sentire approvare nuovamente; se è vero infatti che questi fumettisono macchine che producono ridondanze ed effetti di «già visto», èanche vero che tali effetti sono graditi dal lettore, appunto perché glifanno provare il piacere della ripetizione.

III.3 Codici e serialità

III.3.1 Garantire una corretta fruizione del testo seriale

Il 7 gennaio 1929 debuttavano sulle pagine dei giornali sia Tarzan cheBuck Rogers, il che rappresenta per l’oggetto di questo libro un ottimoinizio. Si trattava delle prime strisce dichiaratamente avventurose e instile drammatico-realistico, dato che fino a quel momento il fumetto erastato utilizzato per narrare storie anche di trama possibilmente avventu-rosa, ma principalmente dal registro comico-umoristico e satirico (dacui l’uso della parola comics per indicare i fumetti stessi).8

Il racconto d’avventura, naturalmente, esisteva già da millenni e si erasviluppato per tramite di numerosi media: tradizione orale, prosa, poe-sia epica e cavalleresca, teatro, cinema… si trattava cioè, per il fumetto,di agire come un «parassita» in un mondo narrativo già esistente, e che

8 Tra le strisce di questo genere, Phil Hardy e Bobby Tatcher di George Storm (1925-1927); TimTyler’s Luck (in Italia Cino e Franco) di Lyman Young (1928), sul quale ci si soffermerà più avanti;Wash Tubbs e Captain Easy di Roy Crane (1924).

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aveva già formato, in numerosi modi, diversi contenuti. A questi stessicontenuti e generi si rifacevano gli autori dei primi fumetti d’avventura.

Riandando ai più caratteristici eroi del fumetto tra le due guerre, ciaccorgiamo che in essi il luogo comune romanzesco si semplificaall’estremo: l’Uomo Mascherato, ovvero l’Avventuriero Errante eMisterioso; Mandrake, ovvero la Magia; Gordon, ovvero lo Spazio;X9, ovvero l’Investigatore; Jim della Giungla, ovvero il Cacciatore;Cino e Franco, ovvero i Ragazzi a Cui è Stata Concessa l’Avventura,e così via. E in misura subordinata, ciascuno di costoro rappresentavolta a volta l’Ascesi, l’Ironia, la Bellezza, l’Acume, eccetera.9

Si trattava cioè di assimilare, nelle loro linee generali, dei contenutivecchi e di adattarli a un metodo espressivo nuovo, in modo però dafarne emergere un connubio funzionale, che non desse l’impressione diraccontare qualcosa di già visto (cosa che accade quando il connubio,appunto, non è funzionale e ben amalgamato).

Una riflessione sui contenuti, provvisoriamente separati dalla formaespressiva destinati ad assumere, si rende però necessaria; più in genera-le, nel corso di questo testo ci si soffermerà prima sui «chi», i «dove», i«quando», i «perché», in altre parole sul livello narrativo, che verrà per-corso dalla profondità alla superficie e viceversa; e successivamente sui«come», sulle scelte grafiche, sul livello discorsivo.

Qualora si assuma che un determinato prodotto narrativo appartengaa un dato genere, in esso si ritroveranno cliché e luoghi tipici e caratte-ristici di quel genere. Ammettere una tipicità narrativa significa ammet-tere una struttura profonda, in cui ogni elemento narrativo occupa unagamma di posizioni limitate nell’ambito della struttura generale. Peresempio in un fumetto poliziesco come Dick Tracy difficilmente si col-locherà una lotta nell’ambito di una sfida o di un torneo, bensì si sele-zioneranno altri frame,10 come il detective che impedisce al criminale difuggire, oppure sventa un attentato fermando il cecchino all’ultimo

9 U. Eco, Apocalittici e integrati, cit., p. 150.10 «Un frame è una struttura di dati che serve a rappresentare una situazione stereotipa, come esse-

re in un certo tipo di soggiorno o andare a una festa di compleanno per bambini. Ogni frame compor-

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momento. Al contrario, sceneggiature di questo tipo saranno assenti inuna saga heroic fantasy come quella di Prince Valiant, dove invecesaranno previsti duelli, tornei e battaglie campali. Il genere narrativoinfluisce insomma su parecchi degli elementi che sono stati individuatie ordinati nelle tabelle al termine del Capitolo I, anche se, naturalmen-te, eccezioni e casi particolari sono previsti. Questa regola è inoltre vali-da più nel fumetto che in altri casi, per via di quella caratteristica che,sin dal Capitolo I, si è detto essere propria di gran parte di questomedium, e cioè la serialità.

Il fatto che i fumetti procedano per puntate, distanti l’una dall’altra neltempo, impone tutta una serie di accorgimenti finalizzati a consentireuna rapida e facile sintesi mnemonica da parte del lettore: a questo èdovuto l’uso di segni appartenenti a codici noti e inequivocabili, dalpunto di vista sia grafico che testuale. L’uso di tali codici deve inoltregarantire, oltre alla sintesi memoriale, la possibilità di sostituirla – qua-lora essa venga a mancare – con una semplice inferenza. Supponiamoche un lettore di Prince Valiant non possa leggere le avventure del suoeroe per tre domeniche di seguito; può darsi che, quando riprenda inmano la tavola domenicale di una certa settimana, trovi Valiant non piùdove lo aveva lasciato, supponiamo in una sala del castello di Artù men-tre gioca con i suoi bambini, bensì in tutt’altra situazione, per esempiomentre dall’alto delle mura colpisce degli uomini che si stanno arrampi-cando sulle mura dall’esterno; il lettore riconoscerà allora con una certafacilità il frame «assedio», con tutto ciò che esso comporta (freccevaganti, calderoni di olio bollente gettati sugli assedianti, arieti che ten-tano di sfondare le porte).

Nella maggior parte di questi fumetti, dunque, le attività dei personag-gi e le situazioni narrative sono sufficientemente tipiche da consentireun’immediata comprensione anche da parte del lettore più distratto, ilquale, se non bastassero i semplici codici utilizzati, viene spesso aiuta-to anche da numerose didascalie. Per esempio, una didascalia all’inizio

ta un certo numero di informazioni. Alcune concernono ciò che qualcuno può aspettarsi che accada diconseguenza. Altre riguardano quello che si deve fare se queste aspettative non sono confermate»(Marvin M. Minsky, «A Framework for Representing Knowledge», AI Memo 306, MIT ArtificialIntelligence Laboratory, 1974, in Patrick H. Winston [ed.], The Psychology of Computer Vision, NewYork, McGraw-Hill, 1975; tradotto e citato in U. Eco, Lector in fabula, cit., p. 80).

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di una striscia o di una tavola serve a fare il riassunto di quanto è acca-duto nella puntata precedente, o del punto al quale si era arrivati, o diqualche dettaglio importante che il lettore deve conoscere. Si veda laFigura III.3 e si tenga presente che, in origine, le tre strisce di cui sicompone la tavola erano state pubblicate separatamente. Un lettore cheabbia letto la prima striscia non ha difficoltà a capire come mai, nellaprima vignetta della seconda striscia, la scimmia possa saltare tranquil-lamente addosso a Franco, che pure è armato, senza che egli le spari. Unlettore nuovo, invece, ha bisogno della didascalia che gli spieghi: «lapistola di Franco non spara».11

Tornando al problema dei codici inequivocabili da utilizzare pergarantire una corretta fruizione del testo, ci si dovrà anche soffermare

Figura III.3Lyman Young, La grande avventura di Cino e Franco, n. 17 (ed. or. Tim Tyler’s Luck, striscedel 1938), Firenze, Nerbini, 1974.

11 Si noti che la presenza di tutti questi richiami mnemonici perde valore, e anzi diventa abbastanzaridicola quando, come nel caso della nostra figura, le strisce vengono raccolte in tavole e in volumi.Quelli che prima erano stratagemmi necessari per una buona comprensione del testo diventano in que-sto modo messaggi ridondanti.

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sul tratto usato dai disegnatori, che è a sua volta uno di questi codici,come già detto parlando di Calvin and Hobbes. Si procederà quindi averificare quale rapporto sussista fra stile e contenuto di alcuni tra i piùimportanti fumetti avventurosi del periodo preso in esame, cercando discoprire se questo rapporto abbia qualcosa da dire sulla rappresentazio-ne delle scene di lotta.

III.3.2 Buck Rogers (1929)

L’avventura fantascientifica è il genere narrativo scelto da DickCalkins per la sua striscia quotidiana, che narra le avventure di BuckRogers. Buck è un terrestre del XX secolo, rimasto accidentalmente inanimazione sospesa per circa cinquecento anni, che al suo risvegliotrova l’America soggiogata dagli invasori cinesi. Egli si mette allora incontatto con l’esercito americano che lotta per la libertà e contribuisceattivamente prima a liberare la sua patria, e in seguito a difendere laTerra da minacce extraterrestri.

La dicotomia buono-cattivo che sta alla base di Buck Rogers è quindifondata sul modello americano-straniero, laddove con quest’ultimoaggettivo si possono indicare tanto gli esponenti del cosiddetto «perico-lo giallo», quanto coloro che provengono dallo spazio profondo, miste-rioso e inesplorato. In altri termini, l’ideologia spicciola su cui si fondaBuck Rogers è quella, banale forse ma sempre valida per ricamarvisopra storie d’avventura, che il diverso si presume sia pericoloso.

Dal punto di vista della struttura attanziale e degli Oggetti di Valoreche l’eroe persegue opponendosi ai suoi nemici, questo fumetto assumequindi una fisionomia semplice e schematica, adatta a un prodotto seria-le, che non necessita di ulteriori commenti. Il fumetto d’avventura eraappena agli inizi, sicché, da un punto di vista narrativo, bisognerà atten-dere almeno qualche anno per poter vedere altre serie che, pur basando-si a livello profondo sulle stesse strutture, riescano a lavorare con piùfantasia e meno ingenuità sul livello di superficie.

Per quanto riguarda la parte grafica, lo stile di Calkins, soprattuttonelle piccole vignette delle strisce quotidiane, mostra il suo debito neiconfronti dei fumetti a esso precedenti, quindi ai fumetti umoristici. Si

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veda per esempio la Figura III.4, in cui l’effetto del colpo di Wilma sulsuo avversario è indicato con le tipiche stelline intorno alla testa. Essefanno parte di un’iconografia tipica del linguaggio dei fumetti comici,come le goccioline di sudore che esprimono la tensione. D’altra parte,anche a livello narrativo Buck Rogers prevede brevi intermezzi ironici,gag e situazioni umoristiche. Le lotte corpo a corpo sono piuttosto raree ancor più lo diventano a mano a mano che la guerra contro gli invaso-ri orientali lascia il posto alle avventure spaziali. In questo ambito sicombatte più che altro pilotando astronavi o altri mezzi, sicché Calkins(e i colleghi che a lui si affiancano, come Rick Yager) optano per inqua-drature dalla prospettiva più raffinata che in precedenza e per campi lun-ghi, panoramiche, ampie visioni dall’alto. È questo un genere di scontroin cui i disegnatori hanno modo di sbizzarrirsi con effetti grafici tipica-mente utilizzati per illustrare l’uso delle armi da fuoco: gli sbuffi lumi-nosi che mostrano la bocca del fucile mentre fa fuoco, le linee che indi-cano le traiettorie dei proiettili, gli scoppi colorati quando il proiettileraggiunge un bersaglio. Decisamente meno efficaci sono le soluzioni

Figura III.4Phil Nowlan – Dick Calkins, «Sunken City of Atlantis», The Collected Works of Buck Rogersin the 25th Century, New York, Chelsea House, 1969, p. 201 (strisce nn. 707-708 del 1931).

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grafiche adottate per le lotte vere e proprie, dove ogni colpo sembralento e graficamente privo di grande efficacia, a volte contraddicendo lanarrazione, la quale può attribuire buoni risultati a pugni o calci benpoco violenti a vedersi, o viceversa.

I risultati nella rappresentazione della lotta, dunque, sono altalenanti.Si torni per esempio alla Figura III.4: nella prima striscia, Wilma sem-bra colpire duramente al volto Killer Kane: il suo braccio è teso, le lineecinetiche che ne illustrano il movimento mostrano che il pugno ha per-corso una discreta traiettoria e ha avuto il tempo di acquistare velocità;il volto di Killer Kane è rivolto verso l’alto, a quanto pare perché ilpugno lo ha colpito sotto il mento; non mancano neppure stelline e pia-netini intorno al viso di Killer Kane, e inoltre il suo balloon ha i contor-ni tremolanti, cosa che sembra voler significare un’alterazione nella suavoce, dovuta al colpo. Si direbbe in sostanza che Wilma abbia piazzatodavvero un bel pugno, eppure Killer Kane, nella vignetta successiva,non dà segni di particolare dolore.

Quando, nella striscia successiva, è lui a colpire Wilma, il suo braccio èpiegato ad angolo retto, posizione alquanto scomoda per assestare unbuon colpo; inoltre la traiettoria del braccio stesso, indicata dalle lineecinetiche, mostra uno strano giro intorno alla testa, come se Killer Kaneavesse ruotato l’intero suo corpo al fine di far acquistare velocità al colpo,ma la posizione del suo corpo e l’assenza di altri simboli grafici non con-fermano questa supposizione. Infine, l’effetto del pugno su Wilma nonsembra troppo grave: la sua testa rimane ferma in una posizione del tuttonaturale, e inoltre a indicare l’impatto sono presenti solo alcune lineedisposte a raggiera intorno al viso della donna. Ciò nonostante, la didasca-lia afferma: «Wilma cercò di combattere, ma la brutalità di Killer Kane eraincredibile!», in palese contraddizione con quanto comunica il disegno.Tanto che, nella vignetta successiva, Wilma è stesa a terra, priva di sensi.

Può darsi che questa scarsa efficacia rappresentativa sia dovuta al fattoche, come già detto, Buck Rogers era uno dei primissimi fumetti d’avven-tura; i fumetti precedenti, essendo umoristici o satirici, non necessitavanodi una grafica particolarmente realistica per rendere situazioni violente,che dovevano risolversi nel segno del ridicolo. Dick Calkins, adottando lesoluzioni grafiche dei cartoonist che lo avevano preceduto, sembra pur-

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troppo adagiarvisi, senza ricercare nuovi metodi espressivi, più efficaci aifini di ciò che andava raccontando. In questo caso, il rapporto tra livellodiscorsivo e contenuto non ha raggiunto buoni risultati.

III.3.3 Tarzan (1929)

Parlare dello stile di Tarzan (in scene di lotta e non) significa, in dueparole, parlare di Burne Hogarth. A dire il vero, il primo disegnatore diquesto fumetto fu Harold Foster, noto per la sua linea morbida, modula-ta, sinuosa. Foster non manca né di senso della prospettiva, né dellacapacità di dare effetti di dinamismo alle vignette; tuttavia c’è un moti-vo se Harold Foster è famoso non per Tarzan, ma per Prince Valiant, edè (cosa fin troppo ovvia per chi abbia seguito le tesi fin qui proposte) ilrapporto espressione/contenuto. Di converso, esso è anche il motivo percui invece, a diventare famoso per Tarzan, fu un disegnatore dallo stileassolutamente diverso da quello di Foster, ovvero Burne Hogarth.12

Si può partire con una considerazione abbastanza semplice: indipen-dentemente dalla versione che di Tarzan ha dato nei suoi romanzi il suocreatore Edgar Rice Burroughs (il quale ne dipingeva un ritratto elegan-te, raffinato, composto), un uomo che sin da bambino sopravvive nellagiungla armato solo delle sue mani o, al limite, di un coltello, deve esse-re una specie di forza della natura, un uomo straordinario, quasi unsemidio. Le sue eccezionali caratteristiche devono inoltre riguardaretanto il suo fisico quanto la sua mente, in modo da ottenere uno straor-dinario concentrato di astuzia e forza al tempo stesso.

Le attività tipiche di Tarzan devono essere: correre, nuotare, cacciare,battersi con animali feroci. Tarzan non è un uomo che, nel suo tempo libe-ro, si dedica ad attività sportive e non è neppure un uomo che investiga

12 Questo accostamento tra Foster e Hogarth permette di tornare su un punto importante, che nelParagrafo III.1 era stato solo accennato: la qualità grafica non è l’unico criterio con cui si possa valu-tare il risultato estetico di un’opera. Anch’esso dipende dal connubio tra espressione e contenuto. Lostile di Foster, preso a sé, non è in alcun modo inespressivo o piatto rispetto a quello di Hogarth, tantoè vero che nessun critico assennato tenterebbe neppure di rispondere a una domanda come: «È meglioriuscito il Prince Valiant di Foster o il Tarzan di Hogarth?». Lo stesso Tarzan di Foster è indubbiamen-te valido e bello a vedersi; tuttavia il suo stile pare veicolare contenuti che sembrano più pertinenti nelcontesto di Prince Valiant, laddove invece il tratto di Hogarth è in grado di esprimere significati asso-lutamente adatti a un personaggio come Tarzan.

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con calma su casi polizieschi (come Dick Tracy) o ha poteri magici (comeMandrake), e che quindi conosce il pericolo ma almeno non ha il proble-ma di procurarsi il cibo ogni giorno, perché vive in una società civilizza-ta. Egli non può passare un solo giorno in pieno relax: la giungla e i suoiabitanti non perdonano. Bisogna cacciare per nutrirsi, bisogna battere invelocità l’antilope e in forza il leone, per non essere a propria volta unapreda. Di conseguenza, Tarzan ha un fisico e una muscolatura di cui glialtri eroi dei fumetti non devono neppure lontanamente essere dotati.

Fatte le dovute eccezioni, Tarzan non combatte quasi mai per sfida,per divertimento, perché partecipa a un torneo: lotta per la sua soprav-vivenza, come se vivesse una guerra continua, fatta di innumerevoli bat-taglie la cui posta in gioco è la vita. Come tutte le bestie, alle quali egli,pur essendo uomo, deve assomigliare perché è cresciuto tra loro, Tarzanrispetta la legge del più forte e si aggrappa alla vita con ogni mezzo: nonpuò conoscere l’orgoglio dell’uomo civilizzato davanti alla morte, puòconoscere solo l’ostinata determinazione di un animale.

Il disegno di Burne Hogarth riesce a esprimere tutto questo. Il suo rea-listico e verosimile assunto è che Tarzan sia tanto uomo quanto bestia, eche questi suoi due lati emergano a seconda delle situazioni in cui egliviene a trovarsi. Sarà uomo, e quindi converserà con gli uomini delletribù africane, siederà in mezzo a loro e mangerà carne cotta; ma poisarà anche bestia, sicché lotterà con le altre bestie in modo selvaggio eirruento. Nella tavola riportata in Figura III.5, anche la didascalia fina-le insiste su questa dicotomia.

La linea di Hogarth è dinamica, corposa, proprio per mostrare la sel-vaggia vitalità di Tarzan, la cui muscolatura è disegnata sin nei minimidettagli grazie a uno studio approfondito dell’anatomia umana. I musco-li di Tarzan sono gonfi e formosi non perché lui sia una specie di cultu-rista, ma perché sono sempre in tensione, sempre all’opera. Nelle inqua-drature più ravvicinate, perfino le venature della mano emergono.

I combattimenti fra Tarzan e i suoi nemici (uomini o animali che siano)sono all’insegna, si diceva, della legge del più forte. Essendo questa unalegge che non prevede eccezioni né compromessi, ogni lotta è disperatae selvaggia, cosa che Hogarth mostra utilizzando diversi strumenti grafi-ci: dalle linee cinetiche, ai virtuosismi fisiognomici, alle pose contorte e

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inverosimili. Hogarth predilige le inquadrature a figura intera, i panora-mi, i campi lunghi che gli permettono una visione ampia di quanto acca-de, per esempio mostrando interamente i corpi di Tarzan e del leone nellaFigura III.5. Infrequenti sono i primi piani, eppure la loro presenza risul-ta comunque funzionale a esprimere quel misto di umanità e bestialitàche in un combattimento emerge più che in altri momenti (Figura III.6).

Ogni singola vignetta, dunque, veicola significati direttamente con-nessi all’essenza stessa del personaggio Tarzan e ciò, nelle frequentiscene di lotta, assume un’importanza ancora maggiore. Per quanto con-cerne però gli accostamenti tra le vignette, quindi il montaggio e, insostanza, l’effetto narrativo,

A sinistra: Figura III.5Edgar Rice Burroughs – Burne Hogarth, Tarzan: il re della giungla (ed. or. Tarzan, tavola del1949), Milano, Mondadori, 1971, p. 110.

A destra: Figura III.6Edgar Rice Burroughs – Burne Hogarth, Tarzan: il re della giungla (ed. or. Tarzan, tavola del1948), Milano, Mondadori, 1971, p. 169.

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il testo scritto narrativo (non vi sono dialoghi) ha un’importanza deter-minante, di cui le immagini rappresentano palesemente solo un com-mento, per quanto importante. Lo prova il fatto che se leggessimo iltesto senza vedere le immagini capiremmo lo stesso quello che sta suc-cedendo, mentre avremmo molte difficoltà a capirlo a partire dalleimmagini senza il testo […]. L’ideale di Hogarth è classico, monumen-tale, non può ridursi alla episodicità e alla rapidità di lettura grafica deifumetti. E così crea questo strano ibrido, un po’ fumetto, un po’ storiaillustrata.13

A proposito delle contaminazioni tra fumetto e illustrazione, sarà inte-ressante confrontare Tarzan con altri due fumetti in cui questa ibridazio-ne è molto evidente: Flash Gordon e Prince Valiant. Questi ultimi duehanno in comune la caratteristica di essere ambientati in mondi favoli-stici, lontani nel tempo o nello spazio, ove si compiono gesta eroicheche i disegnatori si incaricano di immortalare: sicché anche in questicasi, ogni vignetta sembra fare quadro a sé e sacrificare, in nome dellapropria epicità, il rapporto con le precedenti e le successive.

Anche dell’uomo della giungla, d’altra parte, si può dire che compiaimprese epiche. Tarzan si batte abbastanza frequentemente contro gros-si e pericolosi animali, il che può ricordare Ercole e il leone Nemeo.Ogni battaglia di Tarzan è un inno alla sua forza che, secondo la leggeda tutti rispettata, continua a vincere. Non per nulla, al termine di ogniscontro, l’uomo-animale innalza il suo grido di guerra.

Hogarth ha quindi il diritto di optare per una via di mezzo tra fumettoe illustrazione, oltre che per via del suo ideale pittorico, anche in nomedell’eccezionalità di cui Tarzan è portatore, e che lo rende un legittimosoggetto per veri e propri quadri, oltre che per le vignette di un fumetto.

III.3.4 Dick Tracy (1931)

Anche in questo caso, è opportuno cominciare con una considerazio-ne molto semplice: Dick Tracy è un poliziotto, dunque deve sembrare

13 D. Barbieri, I linguaggi del fumetto, cit., p. 63.

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un poliziotto: acuto, onesto, sicuro. Essendo lui un poliziotto, i suoinemici saranno automaticamente dei criminali, i quali a loro voltadovranno sembrare dei criminali.

Fin qui, non c’è nulla di particolarmente diverso da quello che l’eter-no problema del binomio espressione-contenuto avrebbe fatto supporreper ogni testo narrativo che narrasse le imprese di un poliziotto. In DickTracy, però, si va oltre: il disegnatore Chester Gould porta tale premes-sa a conseguenze estreme, optando per un segno diretto, sintetico e ine-quivocabile, e dando vita a una serie di personaggi che si inseriscono aperfezione e senza equivoci nella struttura attanziale nascosta sotto lestorie del detective.

Dick Tracy […] non fa concessioni all’umorismo. È un poliziescod’azione, serrato, senza pause narrative, affascinante e coinvolgenteproprio per questa monoliticità […]. La mascella quadrata del protago-nista, così innaturale, rappresenta il vero prototipo del mento volitivoda uomo d’azione americano, così come le fattezze in un modo o nel-l’altro grottesche dei cattivi rappresentano l’abiezione e la crudeltà.14

Tutto lo stile di Gould, comunque, insiste su una netta contrapposizio-ne tra mondo dei buoni e mondo dei cattivi, impegnati in un violentoscontro l’uno contro l’altro, ben oltre le caratterizzazioni fisiognomiche.

Basate esclusivamente sulla contrapposizione di masse nere e bianche,le vignette di Dick Tracy rappresentano in modo simbolico proprio loscontro tra Bene e Male. Chester Gould eleva fin dagli inizi la violen-za a tema ossessivo delle sue storie, con un compiacimento insistitoper certe rappresentazioni – diremo oggi – decisamente splatter. Manon si tratta solo di scene truculente […]. È anche una violenza sim-bolica, una particolare carica d’ansia presente in ogni vignetta, chetende irresistibilmente alla inevitabile scena sanguinosa (o comunquemacabra) inserita nel plot a intervalli regolari.15

14 Ivi, pp. 82-83.15 Leonardo Gori, «Prefazione» a Chester Gould, Dick Tracy. Le storie originali di Chester Gould,

Roma, Comic Art, 1994, p. 1.

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Paradossalmente, ciò non riguarda in senso stretto le scene di lotta,che sembrerebbero le più indicate per lasciarsi andare all’illustrazione diatti violenti. In realtà le storie di Dick Tracy prevedono sì sequenze ric-che di tensione e crudeltà, ma anche in circostanze estranee agli scontricorpo a corpo. Per esempio, nella storia intitolata «Selbert» (1941),prima la signora Depool, una malvagia vecchietta, spara al compliceSelbert, del quale Gould mette in evidenza la sofferenza e il tremore aessa dovuto, unitamente all’atteggiamento spietato e sicuro della signo-ra Depool; ma poi Selbert, per vendicarsi, dopo averla avvelenata lascial’anziana signora a morire in una casa che sta andando a fuoco. Se simi-li scene confermano l’intenzione di Gould di rappresentare il mondomalvagio e spietato dei criminali, altre invece devono mostrare la rivin-cita del bene sul male; ed è in queste circostanze che il detective Tracysi batte o scambia colpi di pistola con gangster e furfanti.

Se Dick Tracy «è un duro», quando indaga e quando picchia i crimina-li deve comportarsi da duro. Ecco allora che tanto le sparatorie quanto lelotte sono brevi e concise: si vedano le Figure III.7 e III.8. Nella prima,a Gould sono sufficienti due vignette per mettere Tracy nelle condizionidi uccidere due gangster a colpi di pistola; nella seconda, un paio di calci

Figura III.7Chester Gould, «Dick Tracy: Pinkie l’accoltella-tore» (ed. or. «Dick Tracy: Pinkie the Stabberer»,striscia del 27 novembre 1931), in Dick Tracy, n.1, Roma, Comic Art, 1994, p. 100.

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ben assestati gli bastano a mettere al tappeto l’avversario, per giunta incondizioni proibitive come un tunnel allagato che sta franando.

Gould usa contemporaneamente strumenti grafici umoristici e dram-matici; per esempio, nella seconda striscia della Figura III.8, quandoDick colpisce Mole con un calcio, sopra la testa dell’avversario appaio-no le stelline già viste anche in Buck Rogers; l’espressione di Mole,però, non assomiglia a quella tutto sommato buffa di Killer Kane colpi-to da Wilma (Figura III.4), anzi è realisticamente dolorante.

Anche quando combatte, quindi quando sta svolgendo un’attivitàimpegnativa che può dare origine a momenti di decisione come ad altridi momentaneo spaesamento, Dick Tracy non perde mai la sua espressio-ne facciale dura e determinata, che varia ben poco (per esempio, la boccaaperta invece che chiusa). Questo toglie forse realismo alle scene violen-te, perché è oggettivamente pensabile che un uomo impegnato a difende-re la propria vita possa provare tensione se non paura, ma conferma il

Figura III.8Chester Gould, «Dick Tracy: gli inganni di Duke e l’avidità di Talpa» (ed. or. «Dick Tracy:Duke’s Deceptions and Mole’s Greed», strisce nn. 69-70 del 1941), in Franco Fossati – SergioGiuffrida – Sergio Pomati, La grande avventura dei fumetti: gli eroi, la storia, i segreti, Novara,De Agostini, 1990, allegato al fascicolo n. 47, p. 19.

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temperamento granitico del detective. Le espressioni di Mole, invece,variano dalla rabbia al dolore; il male ha un carattere più debole e fragi-le, che le situazioni di tensione come la lotta mettono in evidenza. Comeanticipato parlando in generale di scontri e strutture attanziali, i combat-timenti sono programmi narrativi d’uso che sanzionano definitivamentei ruoli standardizzati rivestiti dai vari personaggi. Mole, per esempio, è ilcriminale malvagio e codardo, il villain per eccellenza, che al momentodi confrontarsi direttamente con Dick mostra tutta la sua mediocrità.

III.3.5 Flash Gordon (1934) e Secret Agent X-9 (1934)

È d’obbligo segnalare, per tutti i fumetti in generale ma per FlashGordon in particolare, che un prodotto diluito nel tempo mostra, a manoa mano, un’evoluzione più o meno lenta nello stile (narrativo e grafico)in cui è realizzato. Il tratto, le prospettive, il montaggio delle vignettenelle oltre cinquecento tavole di Flash Gordon realizzate da AlexRaymond muta molto rapidamente.16 Se quindi vi sono elementi stilisti-ci costanti nell’opera raymondiana, bisogna però fare i conti anche conaltre caratteristiche, mutevoli nel tempo.

Dopo un esordio narrativo caratterizzato dal susseguirsi incessante evorticoso di avvenimenti, tali che in ogni tavola accade una quantità dieventi, Flash Gordon, grazie ai testi di Don Moore, si trasforma dafumetto di fantascienza in una vera e propria epopea a metà tra la fanta-scienza vera e propria e lo heroic fantasy. Luoghi narrativi tipici diFlash Gordon diventano la prigionia, la fuga, i tornei, le sfide, le guer-re tra popoli conquistatori e popoli ribelli. Una sorta di nuova epica, cheRaymond traduce sulla carta inventando armi e abiti fantasiosi, e dandouna precisa fisionomia a tutti gli abitanti di Mongo, il pianeta dove sisvolge l’azione: gli uomini falco, gli uomini leone, gli uomini lucertolaecc. Un clima narrativo di questo genere non lascia spazio ad azioni scat-tanti o a scaramucce di scarsa entità, ma piuttosto a grandi battaglie, aimprese eroiche, a eventi memorabili. Infatti le avventure di Flash pren-

16 Cfr. a questo proposito Daniele Barbieri, «Linea e mito di Flash Gordon», Linea Grafica, n. 5,Milano, Azzurra Editore, 1988, pp. 10-19.

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dono rapidamente questa piega, e il tratto di Raymond passa da uno stiletipicamente fumettistico, fatto cioè di tante piccole vignette strettamenteconnesse tra loro, a uno stile vicino all’illustrazione più che al fumetto,dedicandosi a vignette più grandi, ognuna delle quali può essere conside-rata un piccolo quadro (sempre però garantendo la consequenzialità logi-ca e temporale che permette di seguire l’azione). Secondo DanieleBarbieri, l’episodio «Re Gordon contro Ming» è esemplare da questopunto di vista:

È con questo episodio che la figura umana comincia ad assumere quel-l’aspetto monumentale che conserverà per tutta la produzione successi-va. La luce, in queste immagini, è sempre violenta e radente, e gli sfondisono scuri di ombreggiature emotive. La gestualità è quella del grandemelodramma, di Delacroix e Gericault: i personaggi sono vestiti comenei corpi d’armata più mitici dell’Ottocento, i Lanceri del Bengala, gliUlani, i Turchi in Crimea… È nel corso di questo episodio, che l’esigen-za di spettacolarità porta Raymond a passare dallo schema a 9 vignette a

Figura III.9Don Moore – Alex Raymond, «Flash Gordon: Il torneo di Mongo» (ed. or. «Flash Gordon:Tournaments of Mongo», tavola del 23 dicembre 1934), Flash Gordon, n. 2, Roma, ComicArt, 1991, p. 25.

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quello a 6 vignette per tavola, con un montaggio della tavola estrema-mente libero, con abbondanza di vignette verticali o molto grandi.17

Come già detto, lo stile di Raymond è soggetto a numerosi mutamen-ti; tuttavia, almeno finché Flash agirà su Mongo, la sua figura, le sueespressioni saranno sempre quelle di una sorta di semidio, caratterizzatoda una profonda immutabilità. È per questo che anche le scene in cuisarebbero necessari maggiore dinamismo e senso del movimento, comeappunto i duelli o le battaglie, appaiono invece statiche. Raymond non fauso di alcuno degli strumenti grafici più adatti a esprimere il moto, comele linee cinetiche o i cosiddetti lampi di luce: si limita a illustrare un even-to, come se fosse un pittore. Si può dunque dire, per semplificare, che seinizialmente lo scopo principale di Raymond era quello di raccontare, inseguito egli persegue piuttosto la finalità di illustrare. La differenza traquesti due obiettivi si nota anche nelle scene in cui Flash combatte.

Nel primo caso, Raymond racconta con un considerevole numero didettagli e di passaggi (ovvero di vignette) lo svolgimento dei combatti-menti: si veda per esempio la Figura III.9, tratta dall’episodio «Il torneodi Mongo»: tutti i momenti fondamentali delle lotte sono presentati. In

Figura III.10Don Moore – Alex Raymond, «Flash Gordon: Re Gordon contro Ming» (ed. or. «FlashGordon: At War With Ming», tavola del 29 dicembre 1935), Flash Gordon, n. 4, Roma, ComicArt, 1991, p. 13.

17 Ivi, p. 14.

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seguito, date le nuove esigenze narrative, la soluzione adottata daRaymond è quella di operare una rigorosa selezione sulle azioni damostrare, e in particolare di insistere sull’esordio e la conclusione dellalotta, sorvolando su tutte le possibili fasi intermedie, che pure potrebbe-ro essere degne di interesse. Nella Figura III.10, tratta dall’episodio «ReGordon contro Ming», si vede una vignetta in cui, in una cella delle pri-gioni di Ming ove è tenuto Flash, un grosso serpente gli si avvicina; poic’è uno stacco, dovuto alla presenza di altre vignette che seguono unavicenda parallela, e, quando si torna alla scena nelle prigioni, Flash hagià sconfitto il suo avversario.

Passando dagli scontri corpo a corpo alle vere e proprie battaglie, que-sto sistema dà frutti decisamente migliori. Si veda per esempio la tavo-la nella Figura III.11: Flash e Dale, impegnati in battaglia nell’episodio«Re Gordon contro Ming», sembrano due paladini, decisi a non retroce-dere e a non lasciare la loro postazione, mentre sullo sfondo una massadi fuoco e fiamme lascia intuire al lettore l’entità della guerra che si sta

Figura III.11Don Moore – Alex Raymond, «Flash Gordon:Re Gordon contro Ming» (ed. or. «Flash Gordon:At War With Ming», tavola del 10 novembre1935), Flash Gordon, n. 4, Roma, Comic Art,1991, p. 6.

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combattendo. Le due figure sono immobili, statuarie, irremovibili: inaltri termini, si tratta di eroi nel senso più antico ed epico del termine,quello che rimandava a un’ascendenza divina.

La linea di Raymond è statica, come a voler congelare nel tempo imitici eventi che sta raccontando; tutt’altro aspetto assumerà invecenegli episodi in cui Flash tornerà sulla Terra e qui vivrà alcune avventu-re, prive però del tono epico che caratterizzava le precedenti. La Terranon è un mondo fantastico come Mongo e non ha più il sapore dellalanda immaginaria, del luogo incantato in cui tutto è possibile; di con-seguenza il disegno deve farsi più realistico.

La linea subisce un nuovo cambiamento. Da lunga, sottile e sinuosaqual era, diviene breve e nervosa, molto più disposta a ispessirsi anchein maniera angolosa e improvvisa: insomma, diviene dinamica. FlashGordon si ricicla in un fumetto di azione, anzi, in un fumetto di guer-ra. È probabilmente l’incursione in questo nuovo genere che ha indot-to Raymond al cambiamento, un cambiamento di cui si intravvedonoi prodromi anche nelle ultime tavole di Mongo, ma che esplode dav-vero da una tavola all’altra con l’inizio del nuovo episodio.18

Flash viene dunque trasportato, dai duelli e dai tornei di Mongo, in unaguerra terrestre. Le battaglie della grande guerra su Mongo tra Flash eMing, ricche di macchinari fantascientifici, uomini alati che calano in pic-chiata sui nemici, battaglie con fucili laser misti a duelli all’arma bianca,eserciti di cavalieri e lancieri schierati a battaglia, permettevano quel tonoepico che i soggetti di Don Moore richiedevano e che i disegni di AlexRaymond conferivano alle storie. Una guerra sulla Terra, invece, è fatta diuniformi militari color bruno oliva, pistole e fucili, non ha nulla di gran-de né maestoso: dunque il cambiamento di stile è giustificato (si è tornatial problema del rapporto fra espressione e contenuto) e le battaglie terre-stri sono alquanto realistiche, perdendo la maestà e l’epicità di quelle suMongo. Non per nulla Raymond adotta tutto un altro stile, tratteggiato e«sporco», non più lineare e sinuoso come quello che ho definito epico, per

18 Ivi, p. 18.

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realizzare un altro suo fumetto, che nasce quasi contemporaneamente aFlash Gordon. Si tratta di Secret Agent X-9, il cui titolo dice già molto.

X-9 è, come si presenta egli stesso nel suo primo episodio, «più omeno» un poliziotto, raffinato e deciso, che lotta contro il crimine soprat-tutto grazie alla sua intelligenza e alla sua furbizia. L’ambientazione rea-listica di questa serie permette ad Alex Raymond (che disegna su testi delgrande romanziere noir Dashiell Hammett) di concentrarsi non più suigrandi spazi e sulle pose epiche, ma sugli interni, sui primi piani, sui dia-loghi, molto più di quanto non facesse con Flash Gordon. X-9 lottamolto raramente; preferisce sparare. Le sparatorie sono abbastanza fre-quenti e molto vivaci, tant’è vero che Raymond non si limita a fare usodelle linee cinetiche per indicare i proiettili che volano, ma spesso dina-mizza la scena tramite dettagli come le pieghe dei vestiti mossi, le posi-zioni dei corpi agitati, oggetti che cadono e rotolano. Si vedano per esem-pio le Figure III.12 e III.13; nel primo caso, persino le ombreggiature sul

Figura III.12 (in alto) e Figura III.13 (sopra)Alex Raymond, «Agente segreto X-9» (ed. or. Secret Agent X-9, striscia del 1935), inMandrake, n. 14, Roma, Comic Art, 1992.

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pavimento contribuiscono a vivacizzare la vignetta, in quanto disegnatecon due differenti tecniche: matita in primo piano, retino sullo sfondo. Sinotino inoltre i due banditi, sulla destra, immersi in una nuvola di polve-re e in pieno movimento. Nella seconda striscia compare sempre una spa-ratoria, disegnata però secondo schemi grafici del tutto opposti: X-9 èquasi immobile, e può permetterselo perché ha preso in mano la situazio-ne; la sua silhouette che si staglia contro la finestra grazie a un sapienteuso degli effetti di chiaroscuro, mentre qualcuno urla davanti a lui, è dasola tutto ciò che serve a dinamizzare la scena.

Passando dalle sparatorie alle lotte vere e proprie, esse sono piuttostobrevi; o X-9 riesce rapidamente ad avere ragione degli avversari, oppurela sua sconfitta avviene quasi subito. La tendenza di X-9 a evitare lo scon-tro fisico garantisce una certa varietà di situazioni, al di fuori dello scam-bio di colpi di pistola; e nel caso di veri confronti corpo a corpo, Raymondsi serve comunque dei piccoli stratagemmi di cui si è già detto: vestiti pie-gati, capelli in disordine, scie di fumo dalle canne delle pistole, ringhierespezzate, oggetti che cadono. Flash Gordon, anche nei momenti di mag-giore tensione e impegno atletico, non ha mai i capelli spettinati.

III.3.6 Terry and the Pirates (1934)

Oriente, esotismo, popoli sconosciuti, pirati d’alti tempi: quandoMilton Caniff iniziò a disegnare la sua striscia Terry and the Pirates,l’impostazione narrativa si reggeva su questi pochi ma coinvolgenti fat-tori fondamentali. Per quanto poi concerne i personaggi principali, essisono il ragazzino Terry e il suo amico Pat, un uomo sulla trentina, aitan-te e di bell’aspetto. Se Terry mostra la faccia dell’avventura più spensie-rata e stupita, Pat è quello che si occupa di risolvere le situazioni piùpericolose, dove servono l’esperienza e la forza fisica di un uomo. Nonmanca la spalla comica, nella persona del cinese George WebsterConfucius, detto Connie.

Dal punto di vista delle strutture attanziali e degli Oggetti di Valore,nella loro prima avventura Terry e Pat costituiscono un Soggetto a dueteste (e non un Soggetto più un Aiutante) che contende uno stessoOggetto di Valore all’Anti-soggetto: un tesoro. Se però Terry ne è il

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legittimo proprietario, i pirati che danno volto all’Antagonista sono ladrie assassini disposti a tutto, sicché l’opposizione tra buoni e cattivi, sin-tetica ed efficace, è chiara.

Il tratto di Milton Caniff è molto pulito e gradevole, ma soprattuttosintetico: pochi tratti bastano a far trovare al lettore, nei visi di Terry ePat la sicurezza e la fiducia, in quello di Connie l’umorismo, e in quel-li dei nemici (massicci, con la barba di tre giorni, o con lineamenti daorientali malvagi in stile Ming) il pericolo. La rappresentazione dellelotte varia con una certa precisione in funzione di chi sta lottando.Rispetto ai protagonisti degli altri fumetti di cui si è parlato, l’unico adassomigliare loro è Pat, che riassume in sé le caratteristiche dell’occi-dentale pragmatico e di buon senso. D’altra parte Pat si ritrova dotatoanche di un fisico atletico, del quale si serve in maniera efficace almomento di battersi.

Un elemento grafico che permette di attribuire ai colpi di Pat unanotevole efficacia e di distinguere le sue lotte da quelle di Terry eConnie, è il modo in cui Caniff fa uso delle linee cinetiche, disegnando-le ben diversamente nell’uno o nell’altro caso. Per i due amici di Pat, piùche di lotte si può parlare di zuffe: Terry è ancora un ragazzino, sicché

Figura III.14Milton Caniff, Terry e i pirati (ed. or. Terry and the Pirates, striscia del 1934), in Maurice Horn(a cura di), The Golden Age, n. 4, New York, Nostalgia Press, 1965.

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nel suo caso veri e propri pugni o calci sarebbero poco credibili; ma lacosa vale anche per Connie, in quanto spalla umoristica che non devecombattere in modo serio.

Per esempio, nella Figura III.14, Terry e Connie collaborano per atter-rare un pirata, ma non gli fanno veramente male. Il salto di Connie è esa-gerato e buffo, e la sua traiettoria è indicata da linee cinetiche rade e sot-tili, che danno una sensazione di leggerezza e agilità. Nella FiguraIII.15, Terry lotta da solo contro un pirata, cercando di sbilanciare l’av-versario o di sgusciare via, mai di colpirlo direttamente. Anche in que-sto caso, quindi, Caniff si serve di linee cinetiche sottili ed evanescenti.

Le traiettorie di colpi veramente violenti, invece, sono indicate conlinee cinetiche decise e corpose, tanto che gli spazi bianchi tra l’una e l’al-tra coprono parzialmente il disegno sottostante (Figura III.16). Sembracioè che queste linee accumulino in sé peso e potenza pronti a essere sca-ricati sul bersaglio, e che diventino vere e proprie componenti dell’imma-gine, invece che elementi aggiunti per ottenere effetti di movimento.

Qui, dunque, va a situarsi la differenza fondamentale fra il tratto diCaniff e quello di tanti altri disegnatori: proprio nell’uso più robusto e

Figura III.15Milton Caniff, Terry e i pirati (ed. or. Terry and the Pirates, striscia del 1934), in Maurice Horn(a cura di), The Golden Age, n. 4, New York, Nostalgia Press, 1965.

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deciso delle linee di movimento, che diventano parte integrante dellacomposizione visiva, e dotate di una propria plasticità; il che serve adiversificare i tipi di moto e, conseguentemente, di lotta.

III.3.7 Mandrake the Magician (1934)

Se c’è un fumetto d’avventura in cui di lotta si può parlare ben poco,questo è Mandrake the Magician di Lee Falk e Phil Davis. Il protagoni-sta, un distinto signore con baffetti, cilindro e bastone da passeggio, chedi professione fa il mago e l’illusionista, è di per sé un personaggio ina-datto a scene violente. Infatti Mandrake è un tipo flemmatico e raffina-to. Anche quando si trova in situazioni dai risvolti drammatici, i suoicommenti sono sempre sereni e pacati ed esprimono più sconcerto chepaura, rabbia o tensione. Un personaggio di questo tipo tende a fare usodei suoi poteri magici e non è fatto per impegnarsi nello scontro fisico,incombenza che spesso e volentieri cade sulle spalle del suo servitore eamico Lothar.

Come il carattere e l’aspetto fisico di Mandrake anticipano già la suaavversione per il corpo a corpo, così per Lothar accade l’inverso. Egli èuna specie di colosso, alto e muscoloso, dotato di un carattere rude esbrigativo; usare i suoi muscoli è il sistema più rapido e comodo, a suo

Figura III.16Milton Caniff, Terry e i pira-ti (ed. or. Terry and thePirates, striscia del 1934), inMaurice Horn (a cura di),The Golden Age, n. 4, NewYork, Nostalgia Press, 1965.

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avviso, per sbrigare diverse questioni. Come in tanti altri casi, le lottevengono cominciate e concluse nel giro di poche vignette, ma stavoltala cosa non dipende solo dalle scarse dimensioni della sede editoriale incui il fumetto viene pubblicato. Si tratta più che altro di un discorso dibuon senso: se Lothar si batte contro un avversario qualsiasi, deveimpiegare pochi istanti a concludere la lotta, altrimenti la sua caratteriz-zazione (basata sullo stereotipo del gigante forzuto) ne verrebbe com-promessa. A maggior ragione i combattimenti appaiono statici e quasiimmobili, come quello nella seconda striscia della figura Figura III.17,perché Lothar non ha certo l’aspetto di un personaggio agile e scattan-te. Davis si limita a illustrare le azioni dei personaggi e le loro conse-guenze tramite le posizioni dei corpi e le indicazioni in didascalia; fainvece un uso scarso e rozzo di linee cinetiche (si veda come sono maldisegnate e mal dirette nella seconda vignetta della Figura III.17).

Le sequenze di lotta più efficaci sono quelle in cui Lothar affrontaavversari del suo calibro, per esempio il leone della Figura III.18.Anche in questo caso il disegnatore opta per uno scontro fatto di musco-li tesi e di prove di forza, ma non di colpi veloci. La lotta assume quin-di la fisionomia di un confronto tra forze della natura, come quelli checaratterizzavano Tarzan.

Figura III.17Lee Falk – Phil Davis, Mandrake, n. 8 (ed. or. Mandrake, strisce del 1937), Roma, Comic Art,1992.

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Nei rari casi in cui a combattere è Mandrake, lo stile del disegno illu-stra le sue azioni nella maniera più sintetica possibile, come è ben visi-bile nella sesta vignetta della Figura III.19. A Mandrake non si addico-no strumenti grafici di forte impatto: sono sufficienti le posizioni deicorpi dei duellanti e un piccolo scoppiettio di luce che indica l’impattodel pugno di Mandrake sul mento di Blozz. L’atmosfera di tranquillità epacatezza che avvolge il protagonista si irradia all’intera narrazione,perfino nelle sequenze di violenza, rendendo l’evasione del lettore piùrilassante che mai.

III.3.8 The Phantom (1936)

Come in Tarzan era stato possibile osservare una straordinaria compe-netrazione tra il piano del contenuto e quello della forma, così accade

Figura III.18Lee Falk – Phil Davis, Mandrake, n. 10 (ed. or. Mandrake, strisce del 20-21-22 dicembre1937), Roma, Comic Art, 1992.

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(anche se in misura minore) per The Phantom (in Italia, l’UomoMascherato). Quest’ultimo è un uomo misterioso che vive in Africa,amato e adorato dagli indigeni che lo considerano una specie di semidioimmortale, venuto tra loro per amministrare la giustizia. Phantom, «l’om-bra che cammina», è l’ultimo di un’intera stirpe di uomini che, da quat-trocento anni a questa parte, ha dedicato la propria vita a difendere la giu-stizia. Il mito dell’immortalità di Phantom dipende dal fatto che diversepersone si sono succedute per recitare il suo ruolo, nascondendo la propriaidentità sotto una maschera e un costume. La peculiarità di Phantom è diessere mascherato, quindi di rappresentare il Mistero, l’Avventura senzavolto. Come poi avverrà per alcuni dei futuri supereroi (per esempioBatman), l’Uomo Mascherato basa gran parte della sua attività sul propriomito e sulla paura che incute negli avversari apparendo di notte, oppurelasciando tracce della propria silenziosa presenza a un passo da loro, chehanno quindi la sensazione di essere stati visitati da un fantasma.

Date queste premesse narrative, Ray Moore e i disegnatori che coltempo lo sostituirono optarono per una definizione grafica del loro perso-naggio scarna e simbolica. Il volto di Phantom è talmente stilizzato, eforse caratterizzato solo dal naso leggermente aquilino, che può esseretutti e nessuno, quindi non può essere identificato con nessun uomo in

Figura III.19Lee Falk – Phil Davis, Mandrake, n. 12 (ed. or. Mandrake, strisce dell’8 e 9 settembre 1938),Roma, Comic Art, 1992.

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particolare e rimane il simbolo dell’Uomo in generale, anzi dell’uomosuperiore agli altri. Nascosto dietro al proprio anonimato, l’UomoMascherato può permettersi di fare qualsiasi cosa (incluso baciare unadonna appena conosciuta) e si comporta, fra gli altri uomini, come sefosse diverso, superiore a loro. I confronti fisici tra Phantom e i suoiavversari sono quindi di due tipi: quelli in cui egli riesce a sfruttare le pro-prie caratteristiche fondamentali (l’alone di mistero e la furtività) e quelliin cui, invece, è necessario un esplicito e dinamico impegno fisico.

Per quanto riguarda quest’ultimo caso (di cui è riportato un esempionella Figura III.20), non si rilevano sostanziali differenze espressive coni fumetti già presi in considerazione: al solito, troviamo uno scarso usodi tecniche grafiche atte a esprimere il movimento, che quindi vienemostrato sostanzialmente grazie alle posizioni dei corpi impegnati negliscontri. Le Figure III.21a e III.21b, invece, presentano esempi di quelleche si potrebbero chiamare «lotte istantanee». Phantom emerge dal-l’ombra come uno spirito e conduce il gioco a suo piacimento, impeden-do agli avversari di reagire. Si può parlare di lotta vera e propria? Forsenon nel primo caso, in cui sembra che Phantom e Diana siano uscitidalla stanza ben prima del colpo di pistola esploso da Fats; ma senz’al-tro nel secondo, in cui l’eroe riesce a bloccare istantaneamente l’uomoche si sta minacciosamente avvicinando a Diana.

Tipico metodo per rappresentare questo tipo di lotta è la messa in scenanon del suo svolgimento, ma direttamente delle sue conseguenze. Non sivede cioè l’uomo cadere ai piedi di Phantom, ma appare subito quest’ul-

Figura III.20Lee Falk – Ray Moore, Phantom, n. 1 (ed. or. The Phantom, striscia del 1936), Roma, ComicArt, 1991.

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timo che bacia Diana. In altri termini, Phantom compare e, un istantedopo, ha già compiuto ciò per cui è venuto. Se quindi la rappresentazio-ne grafica della lotta in quanto tale non è particolarmente efficace, ocomunque non presenta sostanziali differenze con altri fumetti dello stes-so periodo, tuttavia questo metodo di procedere per elisioni, lasciando allettore il compito di cooperare attivamente al riempimento delle lacunevolutamente lasciate dal testo, è probabilmente la caratteristica fonda-mentale della rappresentazione della lotta in Phantom.

Figura III.21a (in alto) e Figura III.21b (sopra)Lee Falk – Ray Moore, Phantom, n. 1 (ed. or. The Phantom, strisce del 1936), Roma, ComicArt, 1991.

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III.3.9 Prince Valiant (1937)

Parlando di Tarzan si era detto che il connubio fra espressione e con-tenuto ottenuto dallo stile di Burne Hogarth era più adatto rispetto aquello di Harold Foster. Con Prince Valiant, Foster scrive e disegna unfumetto dalle caratteristiche narrative tali per cui il suo tratto pulito, raf-finato, delicato ed elegante trova la sede ideale. Valiant è un giovaneprincipe che vive nel medioevo arturiano, anzi proprio alla corte di ReArtù in persona. Intorno a lui si muovono quindi personaggi già notiall’immaginario popolare come Lancillotto, Ginevra, Merlino. Foster sitrova così a rappresentare un mondo antico, una specie di età dell’oronon esente da guerre e pericoli, dove tuttavia anche questi ultimi sonocome avvolti da una luce dorata.

Tre sono le sedi narrative ideali per introdurre sequenze violente:duelli, tornei, battaglie campali. Nel primo caso, Foster sceglie di voltain volta se descrivere la lotta secondo precisi nessi di causa ed effetto,oppure riassumendola tutta in un’unica vignetta. Si osservi, come esem-pio della prima possibilità, la Figura III.22: la posizione del braccio diValiant nella terza vignetta è una diretta conseguenza della posizioneche aveva assunto nella seconda, come pure la stessa consequenzialità èevidente dalla terza alla quarta e dalla quarta alla quinta vignetta. Alcontrario, nella Figura III.23, le immagini che ritraggono Valiant eCidwic sono semplici istantanee di una lotta che si presume essere diuna certa durata. Il compito di raccontare è più a carico delle didascalieche delle vignette, come accadeva nel Tarzan di Hogarth.

Questa tecnica è decisamente la più utilizzata nel caso di conflitti diver-si dallo scontro individuale. Le scene corali (assedii, assalti all’arma bian-ca, battaglie campali, schiere di cavalieri in corsa durante i tornei) nonpossono evidentemente essere seguite con precisione matematica, altri-menti si dovrebbe frazionare la scena in tante micro-sequenze, ciascunarappresentante un cavallo, un cavaliere o un fante. È quindi pienamentegiustificato l’uso, da parte di Foster, di ampie vignette con inquadrature acampo lungo, in cui inserire numerosi personaggi e oggetti fra i quali,eventualmente, sceglierne poi uno su cui concentrarsi (Figura III.24).

Va da sé che, se nelle sequenze costituite da più vignette il racconto

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In alto, a sinistra: Figura III.22Hal Foster, «L’Irlanda e i suoi pericoli» (ed. or.Prince Valiant, tavola del 31 marzo 1963), PrinceValiant, n. 62, Firenze, Nerbini, p. 8.

In alto, a destra: Figura III.23Hal Foster, «Il rapimento di Arn» (ed. or. PrinceValiant, tavola del 31 marzo 1963), PrinceValiant, n. 97, Firenze, Nerbini, p. 15.

Di lato: Figura III.24Hal Foster, Prince Valiant (ed. or. Prince Valiant,tavola del 23 ottobre 1938), in Franco Fossati –Sergio Giuffrida – Sergio Pomati, La grandeavventura dei fumetti: gli eroi, la storia, i segreti,Novara, De Agostini, 1990, allegato al fascicolon. 5, p. 5.

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nasce appunto dalla fruizione consequenziale delle immagini, al contra-rio nel caso in cui una sola vignetta deve raccontare diverse cose, eccorendersi necessario l’impiego di tecniche grafiche adatte a esprimere lavelocità dei colpi, la loro potenza, i loro effetti. Foster opta allora per lasoluzione già vista in Secret Agent X-9 di Alex Raymond e utilizza tantiminuti stratagemmi che, presi nella loro globalità, siano in grado di vei-colare i significati necessari. Si osservi per esempio la seconda vignettadella Figura III.24; la sensazione generale di velocità e violenza è datada numerosi fattori concomitanti, come alcune linee cinetiche, le posi-zioni dei corpi di cavalli e cavalieri, la lancia spezzata e le sue schegge,le nuvole di polvere sotto gli zoccoli, le pieghe dei mantelli e delle gual-drappe, le criniere dei cavalli.

Un dettaglio narrativo non trascurabile, nelle avventure di PrinceValiant, è la prudenza con cui Foster gestisce le azioni dei personaggi. LaFigura III.24 mostrava uno scontro fra Valiant e Tristano. Ora, essendoValiant il protagonista del fumetto, lo scontro avrebbe potuto terminareanche a suo favore; ma Tristano è uno dei leggendari Cavalieri dellaTavola Rotonda, e non può perdere contro un giovane principe appenagiunto a corte (pur ammettendo, più tardi, di aver faticato per batterlo).Secondo lo stesso principio, quando Artù guiderà il suo esercito in batta-glia, di Valiant verranno certamente messe in rilievo le qualità e i buonirisultati; tuttavia, il guerriero più forte e più valoroso sarà il re stesso. Inquesto modo Valiant, pur restando il protagonista della serie di Foster,ricopre un ruolo e una posizione, fra tutti i personaggi della saga, equili-brata e verosimile, giacché Foster si è servito di un background già esi-stente e soggetto a precise leggi anche nella gerarchia dei personaggi.

III.4 Tempo rappresentato e tempo raccontato nelle lotte

Alcuni autori si pongono il problema se non sia noioso per il lettoreinsistere troppo a lungo su uno stesso evento, anche se esso fosse per suanatura dotato di una lunga durata. Certo non tutti. Lyman Young, peresempio, non si pone questo problema in Figura III.3: infatti, ha impie-gato ben quattro strisce (una delle quali si trova nella pagina successiva

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a quella qui riprodotta) per mostrare la lotta di Franco con la scimmia.Ciò significa che, agli occhi del lettore, per quattro giorni non è stato pos-sibile leggere altro che la scena di Franco e della scimmia. Senza dubbioYoung ha dato la precedenza non al piacere della lettura, ma alla rappre-sentazione completa di quanto voleva narrare. Alex Raymond e BurneHogarth, al contrario, optano spesso per la soluzione opposta pur avendoa disposizione, per i loro eroi, non solo una striscia alla volta, ma mezzapagina di giornale o addirittura una intera. Essi scelgono di raccontare undato evento servendosi di poche vignette (una o due), e di completare tra-mite le didascalie quanto non è visibile tramite l’immagine.

Si veda per esempio la Figura III.25: Alex Raymond non mostra lamazza di Flash Gordon mentre si spezza, ma preferisce illustrare la rea-zione di Dale Arden e spiegare tramite la didascalia quanto è successo;similmente, la terza e la quarta vignetta mostrano solo una parte di quan-to la didascalia racconta. Nella terza vignetta, Flash si getta con tutto ilpeso del suo corpo su Una-Zanna, ma il lettore non lo vede affatto (comeinvece sostiene la didascalia) colpirlo con un destro; nella quarta, assisteal gancio sinistro di Flash, ma non al destro alla mascella, né alla cadutaa terra di Una-Zanna, evento che la didascalia provvede a narrare.

Burne Hogarth a volte è ancora più drastico e utilizza una sola vignettaper narrare una lotta costituita da più fasi: si veda la Figura III.26 e si con-fronti ciò che la vignetta rappresenta con ciò che la didascalia racconta.

Il problema che questi esempi pongono è quello del tempo, o megliodel numero di azioni che accadono per unità di tempo e, fra di esse, diquali mostrare con il disegno. Se una persona sta dormendo, in un tempodi cinque minuti compirà una sola azione prolungata: appunto, dormire.Se invece sta lottando contro qualcuno, in cinque minuti può accadere ditutto, e nel momento in cui questa situazione va rappresentata, ci si deveporre il problema di come istituire il rapporto tra le azioni da raccontare,la loro durata e lo spazio che si ha a disposizione a questo scopo.

È dunque il momento di introdurre due nozioni che più di una volta risul-teranno utili: tempo rappresentato e tempo raccontato da un’immagine.

Il tempo rappresentato, per esempio, da un’istantanea fotografica è sem-pre un istante, ma quell’istante può raccontare qualcosa di molto più

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Sopra: Figura III.25Don Moore – Alex Raymond,«Flash Gordon: Verso l’ignoto»(ed. or. «Flash Gordon: ForestKingdom of Mongo», tavola del28 marzo 1937), Flash Gordon, n.6, Roma, Comic Art, 1991, p. 26.

A destra: Figura III.26Edgar Rice Burroughs – BurneHogarth, «Esilio», (ed. or.«Exile», tavola del 1937), Tarzan:il re della giungla, Milano,Mondadori, 1971, p. 36.

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lungo. L’istantanea che coglie l’attimo in cui il pallone entra in rete,mentre il portiere è invano a mezz’aria e il cannoniere ha ancora lagamba tesa nel movimento appena compiuto, rappresenta solo ed esclu-sivamente quell’istante di tempo, quell’istante fermato dal click del foto-grafo; ma quella stessa immagine mi racconta come è avvenuto il goal:mi dice dove si trovava un attimo prima il portiere e dove finirà un atti-mo dopo, dove si trovava la palla e dove sta andando a finire […].Insomma, un solo istante rappresentato racconta una certa durata.19

Sicché, una vignetta rappresenta un certo istante ma racconta qualco-sa in più su cosa è accaduto prima e cosa è accaduto dopo quell’istante.Tornando alla Figura III.26, è abbastanza intuitivo supporre che Tarzanstia ripetutamente colpendo il leone con il suo coltello, giacché si trovain una posizione favorevole a questo scopo: di conseguenza, è possibileintuire anche che, di lì a poco, il leone cadrà. L’inferenza che il lettoreproduce a partire dalla sola immagine è in sostanziale accordo con quan-to afferma la didascalia.

Meno semplice (anzi impossibile) è compiere un’inferenza, affine aquanto le didascalie sostengono, nel caso di Flash Gordon e della tavo-la nella Figura III.25. Che Flash stia lottando con Una-Zanna è eviden-te, come pure è evidente che le vignette selezionino alcuni istanti di que-sta lotta: ma le didascalie parlano di «destro terrificante», «gancio sini-stro», «destro alla mascella», cioè di una serie di movimenti ben più pre-cisi e diversificati tra di loro di quanto non lo sia una successione di col-tellate pressoché tutte uguali.

A parte le didascalie, esistono comunque altri metodi per dilatare inqualche modo il tempo rappresentato dall’immagine e farlo diventare untempo raccontato più ampio. Se ne sono già visti parecchi al momentodi osservare i diversi stili con cui i vari disegnatori rappresentano i loroeroi nell’atto di lottare. Sarà il caso di riassumerli brevemente, perchéessi resteranno i sistemi di rappresentazione del tempo più utilizzatianche nei fumetti dei decenni successivi.

Il metodo più diffuso è quello della linea cinetica, cioè di quella linea19 D. Barbieri, I linguaggi del fumetto, cit., p. 229.

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dritta e sottile che sta a indicare il movimento compiuto da un oggetto.Questa tecnica ricalca un po’ l’effetto cinetico tipico delle fotografie cheritraggono oggetti in movimento; se l’oggetto si muove troppo in frettarispetto al tempo di esposizione della pellicola, su quest’ultima resteràimpressa una specie di scia, che racconta a tutti gli effetti il moto.

È stato possibile valutare il movimento compiuto da Wilma per colpi-re Killer Kane (Figura III.4) osservando le linee che Dick Calkins avevainserito sotto il braccio della protagonista; come pure si è detto che ipugni di Pat sembrano solidi e massicci non solo per le loro conseguen-ze, ma anche perché le linee cinetiche che li guidano sembrano assume-re un tale spessore, una tale plasticità, che gli stessi colpi sembranocome caricati di un peso, il quale va a scaricarsi tutto sui malcapitatiavversari (Figura III.16). In ogni caso, descrivere il movimento di unbraccio che va a colpire significa racchiudere in quella vignetta tutto iltempo che è servito al braccio per coprire quella traiettoria.

Esiste inoltre (eredità del precedente fumetto comico) tutta una seriedi piccoli simboli che indicano il dolore e lo stordimento di chi è statocolpito, sicché la vignetta acquista durata perché si presume che la sen-sazione di malessere non passi in un istante. Ecco allora apparire, sulleteste dei malcapitati, stelline, pianetini, uccellini e via dicendo. Lo stes-so scopo è raggiunto anche da effetti meno vistosamente comici, ma dialto valore iconico, come piccoli cerchi o bollicine, simili a quei brevilampi di luce fioca che a volte vedono le persone quando provano qual-che malessere o stanno per svenire.

Sempre il lampo di luce, stavolta disegnato tramite linee disposte araggiera, la cui invisibile origine è situata nel punto dove è avvenuta lacollisione tra ciò che picchia e ciò che è stato picchiato, rappresentaappunto l’impatto. Se l’origine delle linee si trova esattamente sull’og-getto colpito, la vignetta seleziona un lasso di tempo molto breve; seinvece origine delle linee e oggetto colpito sono appena un po’ distanti,vuol dire che il tempo raccontato è più ampio, perché l’oggetto ha fattoin tempo a spostarsi dopo e a causa dell’impatto stesso.

Le posizioni dei corpi sono tra gli indici più variabili per quanto concer-ne il tempo raccontato da ogni singola vignetta; in linea di massima, se uncorpo umano è in posizione di equilibrio, si può supporre che il tempo rap-

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presentato sia abbastanza breve (a meno che altri segnali, per esempio deilunghi dialoghi, non lascino presumere il contrario); se invece viene raffi-gurato nell’atto di cadere, o di correre, o comunque in una posizione diequilibrio molto precario, è possibile azzardare diverse ipotesi sul tempoche è stato necessario a passare da uno stato di equilibrio allo stato attua-le, e ancora su quello che servirà da questo a un altro stato di equilibrio.

Un altro indicatore del tempo raccontato in ogni vignetta potrebbeessere costituito dagli effetti sonori, dalle onomatopee che sostituisconoi rumori dovuti a spari, percosse, cadute. In questi primi fumetti d’avven-tura l’uso di tali onomatopee è abbastanza ridotto, tanto che a volte sem-bra di vedere un film muto; in ogni caso, quando esse sono presenti, spes-so esprimono un suono di breve durata: uno sparo, un tonfo.

Diverso è il discorso per i dialoghi, che impongono una durata preci-sa. Tuttavia, la loro rilevanza varia a seconda dei casi: se esistono fumet-ti in cui persino le scene di lotta più frenetiche vengono scandite da dia-loghi verbosi, altri al contrario riducono gli scambi di battute al minimoindispensabile, proprio per non rallentare il dinamismo della scena.

Tuttavia, l’elemento che più di ogni altro permette di valutare il temporaccontato da ogni vignetta è il rapporto con le altre vignette che seguonoe precedono l’azione rappresentata; di conseguenza, le tecniche di mon-taggio e le didascalie di raccordo sono più incisive, al riguardo, di quantonon lo siano le tecniche grafiche all’interno delle singole vignette.

Al Lettore Modello spetta l’onere, ma anche il piacere, di riempire glispazi lasciati in bianco dal testo. Se infatti qualunque testo è «intessutodi spazi bianchi, di interstizi da riempire»20 grazie alla cooperazione dellettore, nel caso del fumetto gli spazi bianchi non sono metaforici: sonodel tutto reali, sono cioè quelle sottili fasce vuote che separano le vignet-te le une dalle altre all’interno della tavola o della striscia. SecondoMcCloud la peculiarità del fumetto sta tutta in questo particolare tipo dicooperazione interpretativa:

Vedete quello spazio tra le vignette? È quello che nei fumetti si chiama«margine». E, nonostante la semplicità del termine, il margine ospita

20 U. Eco, Lector in fabula, cit., p. 52.

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molta della magia e del mistero che sono nel cuore stesso dei fumetti!Qui, nel limbo del margine, l’immaginazione umana prende due imma-gini separate e le trasforma in un’unica idea. Tra le due vignette nonvediamo nulla, ma l’esperienza ci dice che deve esserci qualcosa!21

È curioso che McCloud prenda come esempio da mostrare al suo let-tore proprio una scena violenta, rappresentata con due sole vignette(Figura III.27). McCloud prosegue:

Ogni atto che il disegnatore affida alla carta è aiutato e istigato da uncomplice muto. Un socio paritario nel delitto noto come lettore. Inquest’esempio posso aver disegnato un’ascia che viene sollevata, ma

Figura III.27Scott McCloud, Capire il fumetto. L’arte invisibile (ed. or. Understanding Comics: TheInvisible Art, Kitchen Sink Press, 1993), Torino, Vittorio Pavesio Productions, 1996, p. 74.

21 S. McCloud, Capire il fumetto, cit., pp. 74-75.

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non sono quello che l’ha lasciata cadere o che ha deciso con quantaforza colpire, o chi ha gridato, o perché. Quello, caro lettore, è stato iltuo crimine personale.22

Ci sono due osservazioni da fare. Anzitutto, i fumetti di cui ci si è occu-pati in questo Capitolo non si servono di margini così equivoci: la coo-perazione richiesta al lettore è molto più limitata e più semplice, adatta achi ogni giorno deve leggere la striscia (o ogni settimana deve leggere latavola) compiendo continui richiami mnemonici, il che è la sua forma dicooperazione più importante. In secondo luogo, quanto affermaMcCloud utilizzando un esempio con la scena di un omicidio, vale perqualsiasi tipo di sequenza a fumetti e non solo per quelle violente.

Tuttavia, la caratteristica delineata nelle scene di lotta dei fumetti cheabbiamo visto è proprio la forte selezione che l’autore deve operareriguardo a quanto può mostrare. Le sequenze che rappresentano situazio-ni più calme e dialogiche, forse proprio per il fatto che i dialoghi devonoessere chiari e dettagliati, hanno bisogno di un certo quantitativo divignette per essere raccontate adeguatamente: il lettore deve riempire benpochi spazi bianchi, perché le indagini dei detective o i dialoghi amorosidevono essere seguiti senza possibilità di errore. Di un combattimento,invece, a rigore ci si potrebbe limitare a riprodurre l’esordio (affinché siachiaro che c’è stato un combattimento) e la conclusione (affinché sipossa sapere come è andato a finire); lo svolgimento del combattimentostesso viene rappresentato, nella maggior parte dei casi, in una o duevignette anche se in effetti dura idealmente molto di più di quanto nonserva al lettore per scorrere quelle due vignette con lo sguardo.23 Se dun-que la lotta, considerata al livello delle strutture narrative, è un program-ma narrativo d’uso che, insieme ad altri (indagini, perquisizioni, interro-gatori, chiacchiere…), contribuisce alla risoluzione del programma nar-rativo più ampio che la contiene, tuttavia, rispetto agli altri programminarrativi d’uso, ha la peculiarità di affidare al lettore una discreta mole di

22 Ivi, p. 76.23 Sugli elementi che concorrono alla definizione del tempo raccontato, in base a elementi testuali

quali impaginazione e montaggio delle tavole, cfr. anche Marco Pellitteri, Sense of Comics. La graficadei cinque sensi nel fumetto, Roma, Castelvecchi, 1998.

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141TEMPO RAPPRESENTATO E TEMPO RACCONTATO NELLE LOTTE

lavoro. Questa caratteristica è in buona parte dovuta, come osservato, altipo di serialità di cui si servono questi fumetti: strisce quotidiane e tavo-le settimanali. Le cose cambieranno quando, alla fine degli anni Trenta,i fumetti verranno pubblicati prevalentemente sui comic book, cioè sufascicoletti di venti, trenta, quaranta pagine alla volta.

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Prefazione di Daniele Barbieri

Valentina SempriniBam! Sock! Lo scontro a fumetti

Euro 15,50

Copyright © Tunué[email protected]

In copertina:Illustrazione di Carlo Piscicelli

Cosa fanno Flash Gordon, Superman, Dick Tracy, l’Uomo Ragno? Indagano, parlano, si innamorano, a volte filosofeggiano, ma prima o poi combattono. Perché e come lo fanno? Grazie a quali strumenti espressivi il fumetto ce li mostra mentre lottano? In questo libro l’autrice, applicando l’analisi semioti-ca e narrativa alla rappresentazione della lotta, porta alla luce gli strumenti espressivi più usati e più efficaci nel narrare i conflitti – fisici e verbali – nei principali comics avventurosi usciti negli USA a partire dal 1929, anno in cui il fumetto d’azione fa la sua comparsa sui quotidiani con Buck Rogers e con Tarzan. Comprendendo le ragioni emotive, teatrali, «filosofiche» di questi perenni scontri fra i personaggi dei fumetti, è possibile capire più in profondità i meccanismi di base delle narrative popolari e i motivi per cui essa ci affascina. Bam! Sock! Lo scontro a fumetti – già alla sua prima stesura lodato da Umberto Eco come uno dei più interessanti studi sui comics degli ultimi anni – si offre a tutti i tipi di lettore grazie all’armonia tra il rigore dei contenuti, la piacevolezza stilistica e l’indubitabile fascino dell’argomento.

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Dramma e spettacolo del conflitto nei comics d’avventura

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