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1 LITURGIA RIFORMA NELLA CONTINUITÀ settembre-ottobre 2012 - anno 5 n. 3 - www.liturgiaculmenetfons.it « CULMEN ET FONS » Associazione Culturale “Amici della Liturgia” in collaborazione con Editrice FEDE & CULTURA

Associazione Culturale “Amici della Liturgia” LITURGIA in … · 2018-03-22 · nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Nella prospettiva della nuova evangelizzazione diventa urgente

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LITURGIA

RIFORMA NELLA CONTINUITÀsettembre-ottobre 2012 - anno 5 n. 3 - www.liturgiaculmenetfons.it

«CULMEN ET FONS»

Associazione Culturale “Amici della Liturgia”in collaborazione con Editrice FEDE & CULTURA

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La liturgia: riforma nella continuitàdon Enrico Finotti

Settembre 2012 - LITURGIA CULMEN ET FONSwww.liturgiaculmenetfons.it

L’Anno della fede, indetto dal Sommo Pontef iceBenedetto XVI (11 ottobre 2012 – 24 novembre2013), ha lo scopo di suscitare una nuova e piùcosciente adesione a Gesù Cristo, il Signore,mediante la virtù teologale della fede, ricevuta nelbattesimo, intrinsecamente unita ai suoi contenutioggettivi, che vengono esposti in modo sistematiconel Catechismo della Chiesa Cattolica.Nella prospettiva della nuova evangelizzazionediventa urgente la retta interpretazione delConcilio Ecumenico Vaticano II a 50 anni dalla suaapertura (11 ottobre 1962) e la maggior conoscenzadel successivo Catechismo della Chiesa Cattolicaa 20 anni dalla sua promulgazione (11 ottobre 1992).Concilio e Catechismo costituiscono insiemel’orizzonte di impegno per tutti i fedeli in questoAnno della fede.Il Papa ha messo in luce la necessità di coniugareil progresso dottrinale e la riforma pastorale,effettuati dal Concilio, con la continuità della vitadella Chiesa nell’arco dei secoli, evitando ognipericolo di rottura, sia in senso modernista, sia insenso tradizionalista.In questa luce è doveroso verif icare anche lariforma liturgica e la sua concreta attuazione daglianni postconciliari f ino ad oggi. L’Anno della fede

allora sarà un’occasione speciale per celebrare beneil culto divino, conoscerne adeguatamente lateologia, correggere coraggiosamente gli abusi epromuovere una sempre più degna celebrazionedei santi misteri.Una prima considerazione deriva da una situazioneverif icatasi, soprattutto nell’immediatopostconcilio, in tutta la Chiesa, anche se conintensità e caratteristiche diverse nelle varie aree.Nell’applicazione concreta delle nuove disposizioniliturgiche si è prodotta in molti casi unadiscontinuità a tutto campo, che interessòpressoché tutti i luoghi celebrativi all’interno dellechiese storiche:1. L’altare maggiore fu quasi universalmente

abbandonato e sostituito con un altarealternativo, perlopiù posticcio. In questo modorimasero inutilizzati i monumentali altari dellagran parte delle chiese. Essi furono ritenutiinabili fondamentalmente per due motivi: perl’impossibilità di poter celebrare la Messa rivoltial popolo e per l’eccessiva distanza f isicadall’assemblea. La determinazione e la fretta conle quali avvenne il cambiamento provocarononei fedeli un sentimento di rottura con la

Foto: sotto, interno della Cattedrale di Innsbruck

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tradizione e l’emarginazione repentina dell’altaretradizionale apparve come un segno delladiscontinuità, proprio nel cuore stesso dellaliturgia, il Sacrif icio divino. Tale situazioneperdura ancor oggi, e, dopo cinquant’anni,sembra si stia risvegliando l’interesse perriprendere una adeguata rif lessione in merito.Questa rinuncia all’uso dell’altare maggiorestorico rimane, comunque, il segno più evidentedi una discontinuità tra il prima e il dopo.

2. Il tabernacolo, posto al centro dell’altaremaggiore, è stato vuotato e abbandonato innome di una posizione laterale del SS.Sacramento. I fedeli osservarono con una certasorpresa il Santissimo in un tabernacolo minore,conf inato in un angolo talvolta angusto dellachiesa, e si domandavano il motivo per il quale iltabernacolo storico, splendido e grandiosodovesse rimanere vuoto. Ciò contribuì a ridurreil senso dell’adorazione e del culto eucaristico ea diffondere il pregiudizio che la precedentetradizione fosse ormai inadeguata.

3. La balaustra fu rimossa con decisione,ritenendo che questo fosse un procedimento deltutto normale, sia in nome del nuovo modo diricevere la santa Comunione, sia per togliere ognibarriera tra la navata e il presbiterio. Anchequesto fatto però ebbe un effetto di rottura conla precedente tradizione, che sempre avevamantenuto vari elementi di protezione dell’altaree del suo ambito sacro.

4. Il pulpito fu dismesso in modo ancora piùradicale ed universale, senza premettere unasaggia verif ica di un possibile suo impiego nellaliturgia rinnovata. Il ricorso a leggii mobili haperò abbassato la dimensione solenne dellaproclamazione liturgica della Parola di Dio e hacancellato, con la rimozione affrettata di moltipulpiti, la testimonianza plastica della costanteconsiderazione che la Chiesa ha sempre avutoper la predicazione. Occorre riconoscere chel’introduzione dei microfoni aveva già innescatoun processo di ricorso esclusivo alla funzionalità,a scapito del simbolo e della dignità dellacelebrazione.

5. Il battistero fu quasi generalmenteabbandonato in nome della visibilità dell’interorito del battesimo. L’effetto fu la chiusura delbattistero storico, il posizionamento del fonte inluoghi impropri e non di rado l’uso permanentedi un bacile mobile.

6. La cantoria classica fu ritenuta non piùconforme al novus ordo e sostituita con altri spazi,spesso architettonicamente e funzionalmenteinadeguati alle chiese tradizionali. La scholacantorum scese nella navata, ma non raramentedistolse l’attenzione dei fedeli e fece barriera tral’assemblea e l’altare. L’organo subì delle forzature,o venendo ricollocato in luoghi non adattiall’architettura della chiesa, oppure, nellamaggioranza dei casi, venendo sostituito con altristrumenti e usato solo per concerti. Connesso a

IN QUESTO NUMERO

2 LA LITURGIA: RIFORMA NELLA CONTINUITA’

don E. Finotti

8 I NOSTRI LETTORI CHIEDONO

Redazione

12 LA CHIESA UNA SANTA

mons. L. Maule

14 IL CULTO DIVINO NEL CRISTIANESIMO

E NELLE ALTRE RELIGIONI p. G. Cavalcoli

16 LITURGIA CANTATA: ORIGINI E OBLIO M. Rossi

18 I SANTI SEGNI mons. O. Barbaro

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LITURGIA“CULMEN ET FONS”

www.liturgiaculmenetfons.it

“La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesae, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la suaenergia” (SC10).

Rivista trimestrale di cultura religiosa a cura della AssociazioneCulturale Amici della Liturgia via Stoppani n. 3 - Rovereto.Registraz. Tribunale di Trento n. 1372 del 13/10/2008Direttore Responsabile: Massimo Dalledonne.Tipografia “Centro Stampa Gaiardo” Borgo Valsugana (TN)

Redazione: Liturgia ‘culmen et fons’ - Editrice FEDE & CULTURA viale della Repubblica n. 15, 37126 - VR

PER INFORMAZIONILiturgia ‘culmen et fons’ - via Stoppani, 3 - 38068 Rovereto(TN) - Posta elettronica: [email protected]: 389 8066053 (dopo le ore 15.00)

REDAZIONEdon Enrico Finotti, diacono Sergio Oss, Marco Bonifazi, AjitArman, Paolo Pezzano, Mattia Rossi, Giuliano Gardumi, FabioBertamini.

RIVISTA ON-LINE: www.liturgiaculmenetfons.itPer accedere agli ultimi due numeri della Rivista in formatoweb e pdf., digitare la seguente password : 8 4 9 3La Rivista è su Facebook.

ABBONAMENTO PER L’ANNO 20124 numeri annui: abbonamento ordinario 10.00 euro - soste-nitore 20 euro - benemerito oltre 20 euro - sul conto correntepostale n. 9 2 0 5 3 0 3 2 intestato ad Associazione CulturaleAmici della Liturgia via Stoppani, 3 - Rovereto - 38068 (Trento);causale: abbonamento.Al f ine di evitare spiacevoli disguidi si prega di scriverel’indirizzo in stampatello. Il bollettino postale viene inviato anche a coloro che sono inregola con l’abbonamento.

Immagine di copertina: Jörg Zürn Altare di Maria, 1609-13,Überlingen, Parrocchiale di S. Nicola

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purtroppo, anche gravi lesioni a talune loroparti strutturali (rimozione della predella odella mensa) e al loro arredo sacro (candelabri,reliquiari, lampade, tovaglie, ecc.).

9. La navata non raramente fu privata degliinginocchiatoi ad uso dei fedeli, in nome diun maggior spazio, ma in realtà per unamentalità contraria al valore dello stare inginocchio. E così anche i fedeli furono confusi,non potendo più compiere adeguatamente tuttigli atti rituali previsti.

10. L’addobbo tradizionale, conforme ai diversistili artistici e gusti estetici, subì una quasi totaleestinzione in nome di una malintesa ‘semplicità’e le chiese furono ridotte ad una perennespogliazione, senza differenza tra le solennità,le feste, i giorni di penitenza e i diversi tempiliturgici. La perdita di splendidi arredi fu laconseguenza e un grigiore permanentemantiene ancor oggi le chiese in un clima dinoiosa ferialità. La stessa alienazione, senzadiscernimento, di solenni apparati perl’esposizione eucaristica e l’emarginazione quasitotale dei paramenti preziosi si inseriscono inquesto vortice riduzionistico, che non poté cheessere agli occhi dei fedeli la celebrazione dellarottura.

Tutte queste sostituzioni, spesso affrettate eradicali, hanno causato nel popolo di Dio l’ideache tutto dovesse cambiare. Nelle chiese storiche,infatti, ogni ambiente si trovò sfasato rispetto alnuovo modo di celebrare e nessun luogotradizionale sembrava essere ancora adatto allenuove esigenze liturgiche. Della chiesa rimanevasolo l’edif icio, ma l’intero complesso dell’arredo

Nella foto:adeguamento liturgiconella Cattedrale diPadova.

questo è il problema del radicale abbandonodell’antica tradizione musicale (gregoriano epolifonia) e il subentro quasi esclusivo diprodotti moderni, ancora privi di una adeguataverif ica. Ciò ha creato un profondo senso dirottura con la tradizione liturgica precedente,imponendo nella mentalità comune unpregiudizio sistematico e acritico, secondo ilquale l’intero patrimonio della musica sacra delpassato sarebbe del tutto superato. Il collassodi gloriose corali e il vuoto che ne conseguì nefu il frutto amaro.

7. Il confessionale poté sembrare quasioffensivo della dignità della persona e fusostituito, sia nella penitenza individuale, sianelle celebrazioni comunitarie, da unaconversazione personale e dialogica, fatta inuno spazio qualsiasi della chiesa, senza riguardoper la scelta di un luogo celebrativo specif ico edegno. E’ raro ancor oggi l’uso del confessionalenell’Iniziazione cristiana dei fanciulli e nellecelebrazioni penitenziali. La ristrutturazione dimolti confessionali non è sempre possibile eallora si continua a celebrare il sacramento inluoghi alternativi. Ma in questo modo anche illuogo tradizionale della Penitenza appare nonpiù conforme al vigente rito.

8. Gli altari minori, in generale, hanno di fattoperso ogni funzione liturgica e in parte anchedevozionale. Con il principio ‘dell’altare unico’la loro presenza fu ritenuta difformedall’autentica tradizione liturgica e con laconsiderevole riduzione delle devozioni ai Santil’unico valore superstite f inì per essere quelloartistico: la museif icazione ne fu effettoconseguente. Non sono da sottacere,

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interno sembrava ormai inabile ad assolvere leindicazioni del novus ordo voluto dal Concilio.Purtroppo questo è stato un abuso e ha provocatodanni profondi nella mentalità del popolo di Dio,oltre che fornire l’occasione di compiere gravi dannial patrimonio artistico delle nostre chiese. Se, invece,si fosse continuato ad usare con fedeltà i luoghicelebrativi storici, conformandosi al genio artisticoproprio di ciascuna chiesa, il passaggio sarebbeavvenuto nella continuità della tradizione.Occorre perciò ritrovare l’equilibrio e adeguare ilnovus ordo alla situazione liturgica e artistica dellamaggioranza delle nostre chiese, ritornando acelebrare con dignità nei luoghi liturgici classici,riutilizzandoli con intelligenza, equilibrio,moderazione e serenità d’animo. Una situazionediversa si prospetta per le nuove chiese, che tuttavianon possono essere progettate con una creativitàtotale, sciolta da ogni vincolo tradizionale, liturgicoe teologico.Quali furono le cause di questa applicazionerivoluzionaria della normativa liturgica? Qualcheriflessione potrebbe essere interessante:

1. Le disposizioni contenute nella prima edizionedelle Premesse al Messale Romano (1970) in ordineai luoghi celebrativi (Praenotanda, cap. 5°:Disposizione e arredamento delle chiese per lacelebrazione dell’Eucaristia, nn.253-280) sembranoriguardare esclusivamente una chiesa di nuovacostruzione e non tenere presente a suff icienza lasituazione delle chiese tradizionali. Ora, pochissimecomunità sono alle prese con una nuova chiesa ocon chiese di recente costruzione. La maggioranzadelle comunità cristiane, infatti, celebra in chiesestoriche, legate intimamente alle caratteristicheproprie del loro stile. E’ evidente che nessuno puòpensare di attuare una rivoluzione architettonica eliturgica nella grande maggioranza delle chiesepaleocristiane, romaniche, gotiche, rinascimentali,barocche, ecc., soprattutto in considerazione del lorovalore artistico, storico, spirituale e liturgico. Essedovranno essere conservate nella loro integrità,secondo il genio dell’epoca in cui furono edif icate.Per la maggioranza dei fedeli si tratta dunque dicelebrare la nuova liturgia in chiese che nonpotranno mai essere radicalmente ‘adeguate’ e ilnovus ordo deve poter essere applicato ivi in modorispettoso, senza ricorrere ad interventi radicali edinopportuni. Tuttavia, avere a disposizione nellePremesse al Messale una normativa che tenevapresente unicamente la configurazione di una chiesanuova, potrebbe essere stato insuff iciente perimpostare l’adeguamento liturgico nel senso dellacontinuità. Molte volte, purtroppo, si trasferironoin modo letterale e diretto queste disposizionigenerali, imponendole drasticamente alle chiesetradizionali. Sarebbero state invece opportune delleindicazioni più complete e f lessibili, mirate asalvaguardare la continuità e il valore dei luoghicelebrativi precedenti, consacrati da una secolaretradizione, affermandone la loro validità ecomplementarietà rispetto alle nuove normative: voci

diverse di una ricchezza liturgica inesauribile ecreativa. Sembra, al contrario, che un protrattosilenzio abbia favorito un’applicazione forzatadelle nuove rubriche, avallando un certo sospettoe sf iducia nelle strutture liturgiche preesistenti,ereditate dalla tradizione e ritenute valide da tuttif ino al Concilio.

2. Una mentalità pregiudiziale, infatti, ha inparte condizionato l’applicazione della riformaliturgica. Si tratta di un giudizio critico e di unamentalità sospetta sulla liturgia e sull’edif iciosacro preconciliari, quasi che essi fosserol’espressione di una secolare deviazione dallanorma classica della liturgia e il segno, ormaialquanto sedimentato, di un processo dicorruzione della forma autentica della liturgialatina. Di contro vi è stata una aperturaentusiasta e talvolta ingenua alla nuova liturgia,come riscoperta del vero culto ecclesiale, chedoveva essere attuata con il massimo zelopastorale. In tale visione non poteva venirconsiderato il valore della continuità storica dellaliturgia e ancor meno essere valutato il genioproprio di secoli, di visioni teologiche e situazioniecclesiali , che vennero annoveratisuperf icialmente come periodi di decadenza. Fufacile cadere nella tentazione di credere che lariforma liturgica fosse un nuovo inizio e chetutto l’esistente fosse da ripensare o correggere.Questa mentalità, comprensibile, ma ingiusta,condizionò alquanto il processo di eccessivaspinta verso una liturgia sempre più attualizzata,ma anche sempre più lontana dalle basitradizionali che dovevano assicurare quellacontinuità sostanziale che ne garantiva l’identitàe la validità dei suoi contenuti. Il Magistero dellaChiesa tuttavia seppe contenere nei giusti limitiil processo di riforma e f issarlo nelle suecoordinate essenziali.

In realtà il culto liturgico della Chiesa è semprestato in ogni epoca uno strumento valido elegittimo di eff icace santif icazione del popolocristiano. E’ tuttavia evidente che nella suaespressione umana anche la liturgia ha subitol’influsso sia del genio e della sapienza dei santie dei grandi dottori, sia della mediocrità e delladebolezza degli uomini peccatori. In tal sensoessa è semper reformanda come la stessa Chiesa.Siffatta continuità sostanziale della liturgia, chesi snoda nel f lusso dei secoli, deve esserepercepita dal popolo di Dio e in tal modo potràessere apprezzato con gratitudine l’apporto validodi tutte le generazioni cristiane, anche di quelle,che una visione talvolta miope, ritiene del tuttosuperate o troppo lontane dalla nostra sensibilitàattuale. E’ su questa base che sarà possibile unrinnovato e prof icuo incontro tra l’esperienzaodierna della recente riforma liturgica e lagrande tradizione dei secoli.

3. Una ulteriore causa potrebbe essere il vastodecentramento nell’applicazione della riformaliturgica, aff idata ad una molteplicità di

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commissioni periferiche: dalle Conferenzeepiscopali alle singole diocesi. Questo poliedricodecentramento ha accolto sul piano concretovisioni discordanti e realizzazioni affrettate,talvolta senza suff iciente riflessione, gradualità esapienza pastorale. Ciò ha consentito unalarghissima sperimentazione, non sempre in lineacon le disposizioni della Chiesa e con una correttainterpretazione della stessa riforma liturgica.L’ampio ventaglio degli organi applicativi ha purefavorito una certa anarchia nella quale anche ognisingolo sacerdote si sentiva autorizzato adintervenire secondo una creatività del tuttosoggettiva e locale. In tal modo chiunque edovunque poteva fare qualsiasi cosa. In una similecontingenza la mentalità pregiudiziale della rotturacol passato e la creatività, senza riferimento alleleggi contenute nei libri liturgici, ebbero liberocampo. Una normativa generale più precisa edettagliata, unita ad interventi più regolari epertinenti da parte dell’autorità, avrebbero potutoforse contenere maggiormente le deviazioni.In questo stato di cose e alla luce degli effetti diuna attuazione sconnessa della riforma liturgicacosa è possibile fare oggi?La nostra rivista ha carattere culturale e non hatitolo di intervento nel campo delle disposizionipastorali, che competono esclusivamenteall’autorità ecclesiastica. Essa tuttavia cerca dimettere in luce alcuni temi, suscitare interessi,aprire orizzonti di indagine, creare mentalità,condividere auspici, dibattere problemi, ecc.A cinquant’anni dal Concilio è possibile avere unavisione più equilibrata e disincantata della riformaliturgica, riconducendola dentro i giusti limiti diequità, buon senso ed apertura mentale.In sintesi potremmo offrire tre indicazioni cheriteniamo necessarie per suscitare una rinnovatamentalità capace di mantenere il senso vivo dellariforma nella continuità, scongiurando qualsiasipericolo di rottura con la tradizione ed ognichiusura preconcetta verso un legittimo e coerenteprogresso:1. E’ necessaria una visione ampia e positiva dellosviluppo del culto nella storia della Chiesa, chesenza negare o minimizzare i limiti, consideri ilvalore sostanziale e indefettibile della liturgia,superando quei pregiudizi ideologici, che sono ilfrutto di visioni teologiche, spirituali, storiche edecclesiali parziali o erronee. Occorre, dunque,saper accogliere ed apprezzare il genio dell’Orientee dell’Occidente, dell’antichità e della modernità,del romanico e del barocco, del gotico e delrinascimentale, ecc. Solo con questa aperturamentale sarà possibile una riconciliazione con gliedif ici sacri di tutte le epoche e con le moltepliciforme liturgiche prodotte nei secoli e semprevalide, pur nella loro diversa attualità eopportunità: apporti differenti e complementariper esprimere il mistero, che resta sempreineffabile.

2. Non si dovrà allora tornare a stravolgere ladisposizione interna delle chiese storiche, quantopiuttosto celebrare il novus ordo con quellaelasticità che lo caratterizza e che consente diadattare i nuovi riti alla f isionomia specif ica deiluoghi celebrativi propri di ciascuna chiesa, senzaforzature stridenti ed inopportune: l’altar maggiorenelle chiese storiche col suo orientamento adDeum completa e arricchisce l’altare ad populumnelle chiese recenti; il tabernacolo monumentalesull’altare centrale sottolinea un aspetto valido ecomplementare al tabernacolo disposto nellaapposita cappella; il pulpito, che può essere adattatoper la proclamazione solenne del vangelo, sicompone con l’ambone usato ordinariamente; labalaustra mantiene sempre il suo scopo classico didistinzione e protezione dell’area presbiteriale; lacantoria e l’organo possono assolvere ancora unservizio in solenni celebrazioni, nelle quali la scholasappia comporre con equilibrio e competenza lepagine più valide del patrimonio musicale dellaChiesa con le esigenze del novus ordo; ilconfessionale storico richiama il senso sacro delsacramento della penitenza che non può ridursiad un dialogo psicologico-umanitario; il battisteroalla porta della chiesa invita ad un camminoprocessionale e richiama l’inscindibile rapporto conl’atrio e l’ingresso; ecc.

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Naturalmente è all’autorità della Chiesa checompete sia la valutazione come l’effettivaattuazione di eventuali ed ulteriori disposizioniin materia di riforma liturgica. Senza la sua guidaanche la liturgia, come la dottrina e la pastorale,sarebbe preda di scuole private e verrebbe gestitada leaders contingenti.3. La recente riforma liturgica del Vaticano II nondeve essere considerata come un mitico iniziodell ’unica forma autentica della liturgia,f inalmente ritrovata, né essere ritenuta unaconquista ormai insuperabile, quasi a stornareogni tentativo di ripensamento verso un ulteriorecammino di ricerca. L’ordo vigente non è che unadelle tante tappe del percorso storico della liturgia:una forma che non è ancora stata suff icien-temente verif icata nel tempo e sotto tutti gli aspetti(teologico, liturgico, spirituale, pastorale, ecc.).L’apertura serena e motivata ad intraprendereemendamenti, potenziamenti, ulteriori indagini,migliori sintesi e più mirate scelte, è unatteggiamento di vigilanza intellettuale e disensibilità pastorale, non una forma patologicatipica di nostalgici o detrattori del Concilio. E’evidente che una simile apertura deve esseresempre accompagnata da una adeguataformazione liturgica condotta su basi oggettive econiugata costantemente con la imprescindibiledocilità alle prescrizioni della Chiesa e del suoMagistero.Il papa Benedetto XVI, già da cardinale, ebbemodo di esprimersi ripetutamente in ordine ad

Immagini: sopra: basilica paleocristiana di S. Clemente aRoma; nella pagina accanto: Benedetto XVI celebra sull’altare

della Cappella Sistina rivolto “ad Patrem”.

una riforma liturgica sempre più attenta erispettosa del mirabile mistero che essa contienee trasmette:«[Occorre] un nuovo dibattito più disteso, nel corsodel quale sia possibile cercare il modo migliore permettere in pratica il mistero della salvezza. Talericerca va compita non condannandosi recipro-camente, ma ascoltando attentamente gli uni glialtri e, fattore ancor più importante, ascoltandola guida intima della liturgia stessa. Non si giungead alcun risultato etichettando le posizioni come‘preconciliari’, ‘reazionarie’, ‘conservatrici’ oppurecome ‘progressiste’ ed ‘estranee alla fede’; serveuna nuova apertura reciproca alla ricerca delmigliore compimento del memoriale di Cristo». (inU.M. LANG, Rivolti al Signore, Prefazione p. 8).

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I nostri lettori chiedono...a cura della Redazione

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1. Mi ha colpito l’affermazione di un amicosacerdote: “Sai chi ha fatto la riforma liturgica”?– mi disse – “Il microfono” – mi rispose. Puòessere?Questa è una domanda interessante. Proviamo adimmaginare di ritornare improvvisamente nelpassato prima che vi fossero i microfoni e primaancora, quando non c’era la luce elettrica.Con questo ideale ritorno al passato potremmocomprendere più facilmente il signif icato di riti edisposizioni liturgiche che a noi oggi potrebberosembrare insignif icanti o superate. L’avvento deimicrofoni ha costituito un notevole impatto nellacelebrazione liturgica. In particolare:- Quando i ministri celebravano in luoghi e posizionidiverse all’interno della chiesa si udiva la loro voceprovenire da quei luoghi e spontaneamente i fedelisi orientavano verso di essi. Bastava il suono dellavoce per capire se il sacerdote stava all’altare o separlava dal pulpito o se si muoveva in processione;così per gli altri ministri e per il coro. Con l’uso delmicrofono la voce viene diffusa dovunque in modouniforme al punto che non è più percepibile laposizione logistica di chi parla: può parlaredall’altare, dall’ambone, dalla navata, dall’atrio,dalla sagrestia o anche dall’esterno della chiesa etutti ovunque si trovino odono con la stessa intensitàla voce di colui che parla. Il luogo liturgico, dalpunto di vista uditivo è diventato indifferente: ilPreconio pasquale anche se cantato dall’ambonemonumentale non subisce alcuna variazioneacustica e non dà alcuna indicazione logistica.Subentra allora solo l’aspetto visivo: saliresull’ambone non ha più una funzione f isica di

trasmissione della voce, ma simbolico-visiva diluogo della Parola.- Anche l’impiego della voce ne è alquantoinfluenzato. Infatti, la cantillatio delle letture, maanche delle orazioni, aveva nel passato anche unruolo di eff icacia comunicativa, in quanto la voceassumeva potenza e raggiungeva i lontani. In talsenso si poteva comprendere l’arte oratoria delpredicatore. Anche la musicalità dei testi liturgici,la ripetizione e una certa cadenza erano orientatiad una più eff icace comunicazione. Il microfono,invece, consente la diffusione della voce senzanecessità di particolari accorgimenti e chiunquepuò leggere in tono normale. In questo modocertamente viene rispettato il modo di porsi e dicomunicare di ciascun lettore, tuttavia vi è ilpericolo di ridurre le orazioni e le letture al livellodi una comunicazione sempre identica e feriale.Se si coglie soltanto l’opportunità dellacomunicazione f isica offerta dal microfono tuttol’aspetto simbolico e solenne della liturgia svanisce.Questa è una tentazione continua: i fedeli odonoquindi non ha più senso alcuna forma di cantillatio.In realtà sia il canto delle orazioni, come quellodei testi biblici ha subito una larga incomprensionee una drastica riduzione nell’immediatopostconcilio.Si tratta allora di usare il microfono senzacancellare sia la diversità logistica dei luoghicelebrativi, sia la ricchezza e la varietà delleespressioni linguistiche nell’annunzio della Paroladi Dio e nell’orazione sacerdotale. Anzi ilmicrofono, se di qualità e usato con profes-sionalità,favorisce una migliore trasmissione di un testocantato, che può essere percepito nelle suesfumature dalla totalità dell’assemblea liturgica.In tal senso la liturgia viene arricchita dall’uso delmicrofono piuttosto che impoverita, proprio acausa di un uso funzionalistico dello strumento,che la dovrebbe elevare, potenziare e trasmetterecon maggior eff icacia.Una simile argomentazione si deve fare anche aproposito della luce elettrica nelle chiese. I libriliturgici vigenti non hanno ancora assuntoadeguatamente le indicazione necessarie perregolare l’illuminazione elettrica nel contesto deiriti. E’ tuttavia quanto mai opportuno chel’impianto elettrico di una chiesa non sia fatto coni criteri della comune funzionalità e neppure colsolo criterio di valorizzare la chiesa come ambienteartistico e museale. E’ necessario assumere uncriterio liturgico, per cui l’illuminazione rispondealle esigenze dei vari riti e tiene presente l’interociclo festale della Chiesa. Si tratta di evidenziare lasolennità, la festa, il giorno feriale e quello

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penitenziale. Un criterio interessante potrebbecertamente essere la Veglia pasquale nella qualeproprio le luci hanno un ruolo simbolicofondamentale. I tre gradi di intensità, che potremodenominare: lucernale, vigiliare e solare e cheinteressano momenti diversi della Veglia (liturgiadella luce – liturgia della Parola – liturgia eucaristica)potrebbero essere una indicazione interessante perimpostare un criterio di illuminazione a serviziodella liturgia nelle tante sue espressioni distribuitenell’intero Anno liturgico.

* * *2. Recentemente si assiste ad una crescentediscussione sul Concilio e sulla suainterpretazione. Il papa Benedetto XVI haproposto il motto “riforma nella continuità”, mail dibattito continua. Vorrei capire di più.L’espressione usata da Benedetto XVI nell’ormaifamoso discorso alla Curia Romana del 22 dicembre2005 non è una novità rispetto al Magistero deiSommi Pontef ici postconciliari. Essi, infatti, hannosempre spiegato che il Concilio Vaticano II realizzòcertamente un progresso dottrinale e una riformapastorale, ma nella continuità, ossia nella coerenzadi uno sviluppo organico nell’alveo della perenneTradizione della Chiesa. Certo Benedetto XVI volleriproporre con lucidità e determinazione ilproblema distinguendo le due espressionicontrapposte: l’ ermeneutica della discontinuità edella rottura oppure l’ermeneutica della riformanella continuità dell’unico soggetto-Chiesa. Eglivuole sollecitare il superamento di ogniestremismo, sia di destra (tradizionalismo) che nonriconosce i ‘nuovi’ apporti del Concilio, sia disinistra (modernismo) che vorrebbe una rottura conla Tradizione precedente.Già il papa Paolo VI si espresse con chiarezza: “…una falsa e abusiva interpretazione del Concilio,che vorrebbe una rottura con la tradizione, anchedottrinale, giungendo al ripudio della Chiesapreconciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa«nuova», quasi «reinventata» dall’interno, nellacostituzione, nel dogma, nel costume, nel diritto”(Paolo VI, Discorso al Sacro Collegio del 23 giugno1972, in Insegnamenti, vol. X (1972), pp. 672-673).L’ermeneutica della rottura è ben descritta daglistessi suoi fautori: “Volendo sintetizzare, descriverei

così il nodo del contrasto che grava sulla Chiesacattolica da decenni: per Wojtyla e Ratzinger il VaticanoII va visto alla luce del concilio di Trento e del VaticanoI; per noi, invece, quei due Concili vanno letti, erelativizzati, alla luce del Vaticano II. Dunque, dataquesta divergente angolazione, i contrasti sonoineliminabili. E a cascata, ogni giorno, noi vediamogiungere dalla cattedra romana norme, decisioni,interpretazioni che, secondo noi, conf liggonoradicalmente con il Vaticano II”. (Franzoni, Relazionetenuta il 18 settembre 2011 in un Congresso teologicoa Madrid, in “Adista”, 8 ottobre 2011).Questa ermeneutica della rottura è pure assunta,nel senso opposto, dal tradizionalismo: il Concilio,o almeno alcune parti dei suoi documenti, vienerespinto in quanto ritenuto uno sviluppo illegittimoed estraneo alla precedente tradizione dottrinaledella Chiesa.Questi due estremismi furono descritti con lucidodiscernimento da Paolo VI, che ribadì a più ripresela loro inadeguatezza: “Da una parte, ecco coloroche, col pretesto di una più grande fedeltà alla Chiesae al Magistero, rif iutano sistematicamente gliinsegnamenti del Concilio stesso, la suaapplicazione e le riforme che ne derivano, la suagraduale applicazione a opera della Sede Apostolicae delle Conferenze Episcopali, sotto la nostraautorità, voluta da Cristo. Si getta il discreditosull’autorità della Chiesa in nome di una Tradizione,di cui solo materialmente e verbalmente si attestarispetto; si allontanano i fedeli dai legami diobbedienza alla Sede di Pietro come ai loro legittimiVescovi; si rif iuta l’autorità di oggi, in nome diquella di ieri… Dall’altra parte, in direzione oppostaquanto a posizione ideologica, ma ugualmentecausa di profonda pena, vi sono coloro che, credendoerroneamente di continuare nella linea del Concilio,si sono messi in una posizione di critica preconcettae talora irriducibile della Chiesa e delle sueistituzioni”. (PAOLO VI, Discorso in occasione delConcistoro segreto, lunedì 24 maggio 1976).

E’ bene anche distinguere i termini progresso eriforma. Il primo lo si potrebbe usare in riferimentoal legittimo sviluppo della dottrina nella suasostanza sempre identica e perenne, il secondo allescelte pastorali per loro natura contingenti. Tuttaviauna completa obbedienza di fede implica sial’accettazione del progresso dottrinale, sia quelladelle riforme pastorali: occorre evitare sia l’adesioneparziale o erronea o selettiva delle dottrine

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formalmente dichiarate nei documenti autentici(eresia), s ia l’indisciplina verso le leggigiuridicamente codif icate a norma dei decreticonciliari (scisma). Ed ecco allora la necessità dimantenere la via media, quella che è conforme alMagistero e che garantisce i due aspetti inscindibili:da un lato il reale e legittimo sviluppo dottrinale ela riforma pastorale operate dal Concilio VaticanoII rispetto ai precedenti Concili, dall’altro lasostanziale continuità con la Tradizione dogmatica,liturgica e pastorale dell’unico soggetto-Chiesa, maivenuto meno nei secoli. La composizione dei duetermini - sviluppo e continuità – intesi nel dovutoequilibrio, è in ultima istanza garantita dalMagistero della Chiesa.

* * *3. Perché tanta confusione nella liturgia,nonostante tanta chiarezza nei documenti delMagistero?E’ necessario innanzitutto riconoscere l’immensobene portato dalla riforma liturgica lì dove venneattuata con gradualità e fedeltà alle leggi stabilitedalla Chiesa. Il Magistero poi ha sempreaccompagnato con frequenti ed opportunidocumenti l’itinerario dell’attuazione concreta deiriti nel contesto vitale delle comunità cristiane. Nonpossiamo, tuttavia, negare anche l’influsso di fortiderive abusive, che continuano a condizionareancor oggi, sia l’interpretazione, sia la celebrazionedei nuovi ordines liturgici. Le cause sono molteplicie di natura diversa. Possiamo comunque farealcune considerazioni:1. Chi ha percorso il cammino ecclesialepostconciliare ed è attento ad una lettura oggettivadei fatti potrà riconoscere che, soprattuttonell’immediato postconcilio, era diffuso nellaChiesa un vasto fenomeno di ‘profetismo’, chepenetrava ogni ambiente come una patina sottile,ritenuta necessaria per essere accreditati comeinterlocutori nel dibattito pubblico. Tutti erano‘profeti’: i leaders religiosi, sociali e politici, lecomunità ecclesiali e le parrocchie di punta, i nuovimovimenti di opinione, gli ecclesiastici più‘sensibili’, gli intellettuali più ‘aperti’, i teologi piùgettonati e il clero più ‘avanzato’, ecc. Uncoinvolgimento mediatico a forte caratteregiovanilistico, unito a manifestazioni di massa,assicurava a questo ‘profetismo’ rivoluzionario,ormai dirompente, un forte f ascino e unaprospettiva di futuro ormai inarrestabile.2. Tutti questi ‘profeti’ così rumorosi e in contrastoreciproco, ebbero, tuttavia, un comune nemico: laChiesa come istituzione e il suo Magistero. Tutti sidichiaravano ‘profeti’ ed avevano diritto alla‘profezia’, eccetto la Chiesa e il Magistero, gli uniciesclusi in modo pregiudiziale dal ‘carisma profetico’.Si creò in tal modo un sospetto endemico etrasversale in tutte le ‘realtà vive’ della Chiesa: Romaè la nemica della ‘profezia’, l’istituzione ecclesiale èlo strumento della sua continua estinzione e occorre

essere ‘profeticamente’ critici verso i suoipronunciamenti. Anche l’affermazione “Bisognaobbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5, 29)veniva interpretata come giustif icazione alladisobbedienza ecclesiale in nome di una miglioreobbedienza allo ‘Spirito’, inteso però come l’ascoltoacritico e mitico delle tante idee soggettive erelativistiche, funzionali alle ideologie imperanti deileaders e dei movimenti di opinione più in vista,che si contendevano il panorama culturale, socialeed ecclesiale.3. Conseguenza logica di questa visione fu il rif iutodel principio classico secondo il quale la verif ica diun carisma doveva passare attraverso il vaglio delMagistero della Chiesa in un’umile e sincera, anchese sofferta, obbedienza di fede. Questa fu la viapercorsa dai Santi e ha sempre costituito uno deifondamentali criteri di santità e di autenticitàcarismatica, nella luce della partecipazione allapassione del Signore, come purif icazione interioree sicura garanzia di verità e di autenticaindividuazione della volontà di Dio. Vi si sostituì,invece, il principio di un’azione abusiva pratica,talvolta violenta, mettendo l’autorità davanti al datodi fatto e così forzarla ad emanare disposizioni giuri-diche di compromesso per evitare il peggio. All’atteg-giamento di un serenoconfronto e di una pazienteattesa nella carità subentròquello della lotta e dellarivendicazione in un rapportoconflittuale ed ideologico.Se applichiamo questa analisialla riforma liturgica sicomprende come essa sulpiano concreto poté diva-ricare dalle normative stabi-lite nell’edizione tipica deilibri liturgici e dalle direttivedei documenti del supremoMagistero e imboccare la viadi una creatività libera nellaquale ognuno faceva ciò checredeva in un soggettivismoa tutto campo.In conclusione non suonanoforse vere le parole delSignore per bocca del profetaGeremia quando dice: “Io nonho inviato questi profeti edessi corrono; non ho parlatoa loro ed essi profetizzano”(Ger 23-21) ?

Immagine: G. Bellini, Miracolo dellaguarigione di Pietro dei Ludovici,

1501, tempera su tavola, 369x259 cm

4. Ho avuto molti parroci etutti si dichiaravanod’accordo sul Concilio, maciascuno poi faceva ilcontrario del predecessore.

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Cosa il Concilio ha veramente detto?E’ un fatto che tutti si dicono d’accodo col Concilio,ma poi ognuno discorda su ciò che il Concilioavrebbe detto. Il Papa, a tal proposito, parla di unvago spirito del Concilio slegato dalla lettera deisuoi documenti. Egli, infatti, afferma: “In unaparola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio,ma il suo spirito. In tal modo ovviamente, rimaneun vasto margine per la domanda su come allora sidef inisca questo spirito e, di conseguenza, si concedespazio ad ogni estrosità” (Discorso alla Curiaromana del 22 dic. 2005)E’ certamente vero che tutti parlano del Concilio,ma quanti hanno letto integralmente i suoidocumenti?

E, se se si sono letti i documenti, a quali interpretisi è dato credito? “I teologi, infatti, invece diesercitare la loro vocazione ecclesiale mediante unsincero e motivato ‘sentire cum Ecclesia’, non rarevolte preferiscono manifestare un cordiale‘dissentire ab Ecclesia’”. (A. AMATO, in OR, 16novembre 2006, p. 7).

Occorre allora un rin-novato ascolto di ciò che ilConcilio ha effettiva-mente detto: “Non ciò chevorremmo che il Concilio avesse detto deve deter-

minare la nostra vita, ma ciòche esso ha detto vera-mente” (J. RATZINGER, Il saledella terra, p. 294).

Una lettura attenta deidocumenti conciliari ri-vela come alcuni temi delConcilio furono passatisotto silenzio e diverse suedisposizioni rimaserolettera morta, a tal puntoda suscitare l’idea che ilConcilio o non ne avesseparlato, oppure avesse do-vuto tollerare ancora al-cune questioni per uncompromesso tra le particontroverse. A titolo diesempio possiamo ricor-dare:

- il riconoscimento e lapromozione del cantogregoriano (SC 116) edell’organo (SC 120); - l’usodella lingua latina (SC 36);- il carattere sacro dellaliturgia (SC 7); - l’autoritàcompetente per regolare laliturgia (SC 22); - lanecessità della f ilosof iaperenne e lo studio di S.Tommaso d’Aquino (GE 10;OT 16); - la naturagerarchica della Chiesa (LGIII); - il primato e

l’infallibilità del Sommo Pontefice (LG 18 ); - l’unicitàdella Chiesa cattolica (LG 8); - il carattere gerarchicodella comunione ecclesiale hierarchica communio(LG 22); - la necessità della Chiesa cattolica in ordinealla salvezza (LG 14); ecc.

Chi ribadisce in modo anche minimale queste edaltre tematiche f inisce per essere consideratoanticonciliare, mentre chi realizza una creativitàslegata da ogni norma, aperta ad ogni sorpresa,riceve una considerazione e una benevolenzatotale. In altri termini essere conciliarisignif icherebbe indulgere ad ogni estrosità e nonavere alcuna soggezione verso la dottrinatradizionale e la normativa giuridica vigente, innome della ‘pastorale’. Il Concilio allorainaugurerebbe una stagione di ampia ‘libertà’, chetuttavia subisce ben presto l’inevitabilecondizionamento dell’ ideologia emergentenell’ambiente in cui si vive. Ma così si è subitotravolti da una dittatura di sostituzione, quella delrelativismo e del soggettivismo di chi a turnoesercita il ‘potere’, chiamato rigorosamente ‘servizio’.

J. Ratzinger scrive: “La disinvoltura con la qualequasi comunemente si fa appello ‘al Concilio’ pergiustif icare le personali preferenze tradisce il grandemandato che ci è stato lasciato in ereditàdall’assemblea dei Padri” (Opera omnia, XI, p. 771).

Cosa è veramente successo?

«Ciò che è avvenuto dopo il Concilio Vaticano IIpotrebbe quasi essere def inito una ‘rivoluzioneculturale’, se si pensa al falso eccesso di zelo concui vennero spogliate le chiese e con cui il clero,come gli ordini religiosi, mutarono il loro aspetto.Oggi molti si pentono di tale precipitazione»(J.Ratzinger, Opera omnia, XI, p. 289).

E’ allora di estrema urgenza superare una ancortroppo diffusa visione ideologica del Concilio,come ben si esprime R. Pane:

«Il fatto è che oggi il termine ‘preconciliare’’ haassunto un signif icato nuovo, che tutti accettanosenza discutere: se indosso una casula in poliestere,celebro messa con calice di legno, interrompo laliturgia con f requenti didascalie, evito il piùpossibile di fare il segno della croce e mi compiacciodi far partecipare i fedeli con l’ultima melodiaorecchiata al festival di Sanremo, allora sono unperfetto f iglio del concilio. Siccome invece mi ostinoa preferire l’organo alla chitarra, il canone romanoalla preghiera eucaristica V e oso persino di tantoin tanto cantare il prefazio, in tal caso sono proprioun esempio deleterio di disadattato preconciliare!»(Liturgia creativa?, p. 13).

L’Anno della fede è l’ occasione alquanto propiziaper ritornare al vero Concilio e riscoprire nellalettera dei suoi documenti il senso autentico di ciòche lo Spirito ha veramente detto alla Chiesa.

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“Re celeste, Consolatore, Spirito di verità, che seipresente in ogni luogo e tutto riempi, Tesoro dei benie Datore di vita, vieni e abita in noi, purif icaci daogni macchia, e salva, o Buono, le anime nostre”.Questa invocazione allo Spirito Santo e Vivif icantef iorisce sulle labbra di ogni ministro, allorquandonella Chiesa d’Oriente si dispone a celebrare laDivina Liturgia, tale invocazione inoltre si ripeteprima di ogni azione liturgica.La rubrica posta in apertura alla celebrazione deiDivini Misteri, prima del “Rito della protesi” (cioèdel rito con il quale il vescovo, o il presbitero, insiemeal diacono preparano le offerte sante del pane e delvino per la celebrazione), che si legge nel libro dellaDivina Liturgia di San Giovanni Crisostomo (libroliturgico che corrisponde al nostro Ordinario dellaMessa e all’Anafora, la Prece eucaristica) dicetestualmente: “Il sacerdote che sta per celebrare laDivina Liturgia, deve in primo luogo essere in pacecon tutti, non avere nulla contro alcuno, custodire ilproprio cuore con ogni possibile sforzo da cattivipensieri”.Ogni azione liturgica che i fratelli della Chiesa diOriente si apprestano a compiere è dunque semprepreceduta e preparata dalla preghiera allo SpiritoSanto, a Colui che è Signore e dà la vita, che operala Presenza del Signore nostro Gesù Cristo.Per noi occidentali, che non di rado ci accostiamocon superf icialità e approssimazione a celebrare il

Signore, questo è da accogliere come primoinsegnamento.Del resto anche gli antichi maestri di vita spiritualedella Chiesa latina insegnavano: “prima dellapreghiera prepara la tua anima”. A questo propositopossiamo ricordare come, con una battuta lapidariae severa, il cardinale Lercaro, voluto da papa PaoloVI quale presidente del Consiglio per l’applicazionedella Costituzione sulla sacra Liturgia, chiedeva aipresbiteri di: “non passare mai dalla camicia alcamice”. In modo rapido e f igurato questo veneratoVescovo richiamava che la Celebrazione liturgicanon può mai essere improvvisata e non può trovarcisuperf iciali o distratti.Vogliamo qui tentare, sia pure in modo sommarioe rapido, di conoscere qualche aspetto dellaCelebrazione liturgica della Chiesa, o meglio, delleChiese orientali. La conoscenza di esse non puòche essere fonte di grazia e di bene.Il beato Papa Giovanni Paolo II ebbe a richiamare,in consonanza con i suoi predecessori, che per laChiesa è necessario “tornare a respirare con i duepolmoni quello della Chiesa d’Oriente e quello dellaChiesa d’Occidente”1.Cercare e trovare la reciproca conoscenza perristabilire l’accoglienza e la fraternità e per superarele tristi divisioni che umiliano la Sposa del Signore.Nella Lettera enciclica Slavorum Apostoli del 2giugno 1985, il beato Giovanni Paolo II, al n. 25,

scriveva: “Entrambe le tradizionicristiane - l’orientale che deriva daCostantinopoli e l’occidentale chederiva da Roma - sono sorte nel senodell’unica Chiesa, anche se sullatrama di diverse culture e di undiverso approccio verso gli stessiproblemi. Una tale diversità, quandone sia ben compresa l’origine e sianoben considerati il suo valore e il suosignif icato, può soltanto arricchiresia la cultura dell’Europa, sia la suatradizione religiosa, e diventare,altresì, una base adeguata per il suoauspicato rinnovamento spirituale”.La ricchezza rituale, che appareanche agli occhi della persona piùdistratta che varchi la soglia di unaChiesa d’Oriente, fa scoprirel’aspetto splendido della Sposa diCristo adorna di una varietà mirabilidi vesti. Ogni Rito della Chiesa,infatti, può essere davvero com-

I DUE POLMONI

La Chiesa una santa (prima parte)

Mons. Ludovico Maule - docente di Liturgia, Decano del Capitolo Cattedrale di Trento

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preso e visto come porzione della ricchezza e dellosplendore delle “vesti” con cui la Sposa bella delSignore si adorna per celebrare Lui, lo Sposo, ilCrocif isso-Risorto, il Veniente nella gloria.Inoltre, anche alla persona più superf iciale apparecome lo splendore della celebrazione coinvolga latotalità dell ’essere personale. Ogni senso èraggiunto e toccato: la vista con lo splendore delleChiese, delle sante Icone, dei paramenti; l’uditocon l’ammirabile bellezza del canto; l’olfatto con ilprofumo di essenze preziose; il gusto, sia nellacelebrazione dei Divini Misteri con la Comunionesempre amministrata sotto le due Specie, sia inogni celebrazione, infatti non di rado al terminedella celebrazione, di un Battesimo, di un Matri-monio, dell’anniversario di un defunto, è offertoun pane o un dolcetto. Inf ine anche il tatto ècoinvolto, nei gesti rituali e nello sf iorare convenerante devozione le Icone sante. Su questotorneremo considerando qualche Celebrazione deiSacramenti.Il Concilio Ecumenico Vaticano II, ha volutodedicare un intero Documento alle Chiesed’Oriente. Così, nel Decreto sulle Chiese OrientaliCattoliche, al n. 5, si legge: “La storia, le tradizionie moltissime istituzioni ecclesiastiche chiaramentedimostrano quanto le Chiese Orientali si siano resebenemerite di tutta la Chiesa. Per questo il SantoConcilio non solo circonda di doverosa e di giustalode questo patrimonio ecclesiastico e spirituale,ma lo considera fermamente come patrimonio ditutta la Chiesa. Dichiara quindi solennemente chele Chiese d’Oriente come anche d’Occidente hannoil diritto e il dovere di reggersi secondo le propriediscipline particolari, poiché essi raccomandano perveneranda antichità, sono più corrispondenti aicostumi dei loro fedeli e più adatte a provvedere albene delle loro anime”.Non di rado noi cristiani d’Occidente ci mostriamosuperf iciali nei confronti dei fratelli d’Oriente,parliamo di Chiesa Orientale, o di Liturgia Orien-tale, o di Rito Orientale, ma in realtà non sappiamobene di che si tratta. Infatti, in modo più serio,dovremo parlare al plurale: di Chiese, diLiturgie, di Riti orientali. Si entra infatti inun mondo splendido variegato e complesso.In queste brevi note non potremo certamen-te dare una spiegazione esauriente di talecomplessa realtà, ma tentiamo almeno didelineare qualche aspetto importante.Proveremo qui in questo primo incontro achiarire la parola Rito o Liturgia dell’Oriente,quindi tenteremo un rapido elenco a partiredalla storia, considerando i rapporti nonsempre limpidi del mondo latino versol’Oriente.Va anzitutto affermato che il termine Rito,in Oriente, indica una realtà ben più vastache il semplice aspetto cerimoniale o ritualein senso esteriore; è realtà che supera latradizione storica, la lingua o una culturaparticolare.

“Il rito è l’insieme delle tradizioni ed usi liturgiciamministrativi e disciplinari che caratterizzano lemanifestazioni culturali di una determinatacristianità”2

Il rito, pur comprendendo anche le caratteristicheesteriori che abbiamo elencato, va inteso anzituttocome un modo profondo di vivere l’Evangelo e lavita cristiana, è una spiritualità tenace e profonda,capace di resistere e superare le prove terribili diun mondo che non di rado è stato duramenteostile.Basti pensare solo, nel corso dei secoli, alle domina-zioni che i fratelli d’Oriente hanno subito da partedell’Islam, dei turchi, oppure delle prove doloroseche i regimi oppressivi e totalitari dell’Est hannocausato a un numero sterminato di fedeli in Cristo._____________________1 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica, Ut unum sint, 25maggio 1995,n.54: “In questa prospettiva, un’espressione cheho più volte adoperato trova il suo motivo più profondo: laChiesa deve respirare con i suoi due polmoni! Nel primomillennio della storia del cristianesimo essa si riferiscesoprattutto alla dualità Bisanzio-Roma; dal Battesimo dellaRus’ in poi, tale espressione dilata i suoi conf ini:l’evangelizzazione si è estesa ad un ambito ben più vasto, cosìche essa abbraccia ormai l’intera Chiesa.

ID, Lettera Enciclica, Redemptoris Mater, 25 marzo 1987, n. 34:“Tanta ricchezza di lodi, accumulata dalle diverse forme dellagrande tradizione della Chiesa, potrebbe aiutarci a far sì chequesta torni a respirare pienamente con i suoi «due polmoni»:l’Oriente e l’Occidente. Come ho più volte affermato, ciò èoggi più che mai necessario. Sarebbe un valido ausilio per farprogredire il dialogo in atto tra la Chiesa cattolica e le Chiesee Comunità ecclesiali di Occidente. Sarebbe anche la via perla Chiesa in cammino di cantare e vivere in modo più perfettoil suo «Magnificat».

2 F. PERICOLI RIDOLFINI, Oriente Cristiano, Ed. Le Muse,Città di Castello 77, p.33.

Nelle foto: a pag. 12, Divina Liturgia in rito bizantino; sotto, papaBenedetto XVI con Bartolomeo I di Costantinopoli.

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LITURGIA E DOGMA

Il culto divino nel cristianesimoe nelle altre religionip. Giovanni Cavalcoli o.p. docente di Teologia Sistematica e Accademico Pontif icio

Sappiamo quante diff icoltà e quanti equivociesistono circa la questione del rapporto delcristianesimo con le altre religioni, venutaparticolarmente alla luce a seguito degliinsegnamenti del Concilio Vaticano II, in specialmodo nella “Dichiarazione sulle relazioni dellaChiesa con le religioni non cristiane” (Nostraaetate).Non era mai accaduto che il Magistero solennedella Chiesa, qual è quello che proviene da unConcilio ecumenico, si esprimesse in tono cosìpositivo sulle religioni non-cristiane, mentre sindalle sue origini la Chiesa ha sempre usato toniseveri verso le altre religioni, non escluso l’ebraismo,del resto facendo capo agli stessi testi scritturistici,dove troviamo per esempio le seguenti parole diS.Paolo: “i sacrif ici dei pagani sotto fatti a demòni”(I Cor 10,20).Il Concilio ovviamente non smentisce le precedenticondanne o disapprovazioni e tuttavia, secondol’impostazione generale del Concilio stesso, ci offredei punti di contatto fra cristianesimo e religioni,soprattutto la religione ebraica, per la quale haparole di particolare stima. “La Chiesa cattolica - sidice - nulla rigetta di quanto è vero e santo in questereligioni”, anche se ribadisce che solo in Cristo “gliuomini trovano la pienezza della vita religiosa” esolo in Lui “Dio ha riconciliato a sé tutte le cose”(n.2).Questa visione ampia e magnanima del Conciliosuppone evidentemente che l’uomo come tale, aqualunque tempo o cultura o popolo appartenga,senta l’esigenza, in varie forme, magari anche

difettose e superstiziose o magiche, di render cultoalla divinità, anche se non ne ha ben chiaro ilconcetto, praticando o il politeismo o l’idolatria oculti cosmici, satanici, ctonici1, animisti, totemistici,sciamanistici2 o panteistici.Esiste dunque una forma di religione, comeespressione naturale seppur diversif icata dellacoscienza umana in tutti i popoli e in tutti i tempi,e che si è convenuto di chiamare “religionenaturale”3, frutto del naturale senso del sacro edella ragion pratica la quale, sulla base dellaconsapevolezza razionale dell’esistenza di Dio ocomunque della divinità, sente il dovere di renderloro culto in appositi riti o cerimonie - ecco laliturgia -, offrendo voti, doni, sacrif ici e preghiereal f ine di rendersi propizia la divinità, di purif icarsio di espiare le proprie colpe, di ottenere salvezza,luce, benefìci, potere, felicità, grazie, favori emisericordia.La religione come atto umano è così una virtù,come dimostra S.Tommaso, appartenenteall’ambito della “giustizia”, benchè in senso soloanalogico, in quanto “giustizia” verso Dio, anchese poi in f in dei conti questa nostra giustizia non ètanto effetto delle nostre opere, quanto piuttostodella grazia di Dio. Ed ecco qui inserirsi la religionecristiana, che non è più opera dell’uomo ma operadi Dio.Infatti il cristianesimo è sorto bensì sulla base esul presupposto non solo della religione naturale,ma ancor più della religione dell’Antica Alleanza,la quale si pone su di un piano superiore a quellodella semplice religione naturale, trattandosi di unareligione rivelata da Dio stesso, nella quale cioè Egliinsegna ad Israele, attraverso Abramo, Mosè e iProfeti, come vuole essere conosciuto, onorato,adorato, coltivato e pregato. Con la religioneveterotestamentaria siamo già sul piano dellareligione rivelata o soprannaturale, da alcunichiamata anche “positiva”, intendendo con questaespressione il fatto che essa si basa appunto sucredenze, riti, usanze, norme, regole, sacri segni,simboli, statuti ed istituzioni considerati comedettati da Dio stesso.Indubbiamente - e ciò è stato ulteriormente chiaritodal recente documento della Congregazione perla Dottrina della Fede “Dominus Iesus” - ilcristianesimo è la religione più perfetta ed anziassolutamente perfetta, priva in sè di qualunqueerrore, carenza, difetto o superstizione, eccellentescuola di santità, in quanto, unica tra tutte le altre,

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compresa quella giudaica, è stata fondata permandato di Dio Padre nella potenza dello SpiritoSanto dallo stesso Figlio di Dio, il quale, comeinsegna la Lettera agli Ebrei, ha f inalmente offertoun sacrif icio a Dio Padre effettivamente eff icace epegno di vita eterna per tutta l’umanità, perché èstato ed è - pensiamo soprattutto alla liturgiaeucaristica - il sacrif icio del Figlio di Dio incarnato,Nostro Signore Gesù Cristo, mentre i sacrif icidell’Antica Alleanza, per quanto voluti e benedettida Dio, erano solo simbolici e pref igurativi rispettoall’avvento dell’unico divin sacrif icio di Cristo.Sempre secondo la dottrina della Chiesa, le altrereligioni, compresa quella ebraica, derivanocomunque da Cristo e conducono a Cristo, anchese i loro fedeli in buona fede non lo sanno, appuntoperché nel piano della salvezza Cristo è l’unicoSalvatore. E quando si dice Cristo si dice anche laChiesa Cattolica, essa pure sotto Cristo e per volontàdi Cristo via necessaria di salvezza per tutti, comeha def inito il Concilio di Firenze del 1442, anche sepoi il Magistero moderno della Chiesa a partire dalBeato Pio IX chiarirà la possibilità di salvezza ancheper coloro che in buona fede non sannodell’esistenza della Chiesa. Tuttavia ciò non escludela necessità di appartenere alla Chiesa. Sidistinguerà allora un’appartenenza visibile e consciada un’appartenenza invisibile ed inconscia, valida,questa, per i non-cattolici onesti e in buona fede.Questa comune appartenenza del cristianesimo edelle altre religioni alla categoria generale di“religione”, con i suoi valori universali, è ciò che

consente quel dialogo interreligioso al quale laChiesa, sulla scorta del Concilio, oggi tiene comenon mai. Tuttavia è chiaro che il punto di contattoè la religione naturale, effetto spontaneo, come hodetto, della sana ragione e del bisogno di Assoluto,e quindi in linea di principio condivisibile da tuttigli uomini in quanto esseri razionali, benchèsappiamo poi bene come di fatto tanti manchinodi equilibrio o buon senso nei confronti dellareligione o perché ne esagerano la portata ol’importanza (bigottismo, fanatismo, f ideismo,facile credulità, pietismo) o la falsif icano(idolatria, magia, riti massonici, spiritismo,satanismo, superstizione) o perché all’estremoopposto la disprezzano (atei, materialisti,bestemmiatori, empi)._________________________1 I culti ctonici sono culti i quali suppongono che le divinitàsiano sotterranee.2 E’ quella religione, di tipo terapeutico, la quale vede unaforza divina negli animali.3 Un ’ottima esposizione del valore della religione in generalenel suo confronto con la religione cristiana si trova nel saggiodel Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP (1950-1990), Larivelazione soprannaturale. Trattato di teologia fondamentale(Prima parte), in Fides Catholica, Rivista di ApologeticaTeologica, Anno VII, 1, 2012, pp.49-86.

__________________________________Immagini: a pag. 14 i Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II;sopra, Il Sacrificio di Noè, Cappella Sistina, Michelangelo, sec. XV.

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LITURGIA E CANTO

Liturgia cantata: origini e oblioMattia Rossi docente presso l’Istituto Diocesano liturgico-musicale di Asti

Sarebbe piuttosto banale, ancorché (per alcuni)molto utile, in questo numero dedicato allacontinuità liturgica nella Tradizione, citare i passidella Sacrosanctum Concilium nei quali si affermache la Chiesa affonda le proprie radici liturgico-musicali nel canto gregoriano. I Padri conciliarivollero sottolineare, attraverso l’impiego di dueprecisi termini – traditio e progressio –, quanto lariforma liturgica venisse compiuta nel segno dellacontinuità con il magistero precedente («perconservare la sana tradizione», SC 23), ma senzache questo precluda a priori una qualche forma diinnovazione («e aprire nondimeno la via ad unlegittimo progresso», ibid.).Il paragone evangelico col «padrone di casa cheestrae dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie»(Mt 13, 52), si presta molto bene a raff igurare lal’idea di musica sacra che concepì il ConcilioVaticano II: un repertorio, cioè, che riconoscesse il«canto gregoriano come canto proprio della liturgiaromana» (SC, 116), assieme alla polifonia, mainvitando anche i compositori contemporanei allacomposizione di “nuove” melodie che ben siaddicano alle caratteristiche della tradizionalemusica sacra (cfr. SC, 121) già indicate da Pio X.Quest’idea della canonicità nello sviluppo – e, sinoti, che la f issità, in generale, costituisce la veragaranzia che la Chiesa ci offre per camminare senzapericolo tra i binari dell’ortodossia – non va lettasolamente come un doveroso recupero delgregoriano e della polifonia tout court all’internodella liturgia riformata, ma occorre sforzarsi dipermeare la nostra mentalità moderna in un’otticache tenga conto del retroterra teologico del quale,le musiche liturgiche antiche, erano pervase. Nonbasta, in breve, a cantarequa e là qualche antifonagregoriana o qualcheKyrie polifonico dellatradizione: occorre risco-prire quell’immenso sub-strato di signif icati ormaiandati perduti. Nonvoglio, in questa sede, ri-petere i luoghi comunisull’oblio del gregorianoe della polifonia dallaliturgia riformata, mavoglio, invece, fare dueesempi di come si possainstaurare una con-tinuità tra, la tradizionee il presente, tra il veterae il nova.

1. Sono ben note a chiunque abbia un minimo difamiliarità con le dispute postconciliari le posizionidi chi, per difendere - non si sa da che cosa - ilNovus Ordo, assicura che la riforma liturgica fudettata dal desiderio di restituire la liturgia agliantichi usi dei primi secoli o, addirittura, dell’etàapostolica. Non è mio compito entrare nel meritodella veridicità o meno di tali affermazioni, ma milimito solamente a notare come, a parità di “usiprimitivi”, non si segua anche la norma delle primecomunità secondo cui il celebrante canta il rito enon lo recita. Quanto questo “uso primitivo”(questo, sì, provato!) sia “in uso” tra i sacerdoticredo stia sotto gli occhi di quanti frequentano lenostre messe domenicali.Musica e culto rituale, da un punto di vista storico,furono da sempre connesse: nell’antichità anche iculti pagani erano cantati (da qui il termine‘incantesimo’, ovvero ‘in-canto’) e il cristianesimo,e prima ancora l’ebraismo, videro nel canto il migliormetodo per sacralizzare il rito. Questo fuchiarissimo sin da subito: da san Paolo e i primiPadri della Chiesa sino al Concilio Vaticano II.Perché, allora, chi spaccia un’indiscutibile“dogmaticità” (che non esiste) del Vaticano II in temadi liturgia (lingua, orientamento della celebrazione,architettura sacra, per esempio) non la osservaanche in tema di musica sacra?Il principio-guida è, in semplici parole, che non sicanta nella messa, ma di deve cantare la messa. Esu questo, come dicevo, anche il Vaticano II seguela Tradizione che dalle origini, passando per ilmessale di Pio V, vede nel canto del celebrante laprima e pura manifestazione di sacralità rituale:l’ancora troppo dimenticato documento Musicam

Sacram (Istruzione dellaSacra Congregazione deiRiti sulla musica nellaSacra Liturgia) non lasciaspazio a varie interpre-tazioni possibili: vi sonotre gradi di priorità nellascelta delle musiche che,contrariamente al pen-siero comune (e all’abi-tudine comune), vedono“al primo posto” le parti«spettanti al sacerdote edai ministri, cui deverispondere il popolo o chedevono essere cantate dalsacerdote insieme con ilpopolo» (I, 7), come, adesempio, il saluto delcelebrante, le orazioni, il

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prefazio con il dialogo, le formule di congedo, etc.«Il secondo e il terzo [grado], integralmente oparzialmente, solo insieme al primo» (III, 28). Persecondo grado si intendono Kyrie, Gloria, Agnus Deie Credo. Ma più interessante è il fatto che i cantiprocessionali di ingresso, di comunione o dioffertorio, i canti che noi riteniamo più“indispensabili”, rientrino solamente nel terzo gradoche perciò, oltre ad essere all’ultimo posto dipriorità, non possono essere eseguiti se non acompletamento degli altri due gradi.La prassi, però – inutile dirlo –, non è questa: ancorauna volta si attribuisce al Vaticano II una priorità (ilcanto dell’assemblea) che, in realtà, questi vuolesolamente in seguito all’adempimento del primoobbligo, il canto del celebrante. E’ solamente se ilsacerdote, l’alter Christus, canta che tutti noi“formati al suo divino insegnamento, osiamo dire”.Da un punto di vista musicale, le parti proprie delcelebrante fanno parte dei cosiddetti recitativi: queitesti, cioè, che vengono proclamati su una sola nota(corda di recita) dalla quale ci si discosta con leggereinf lessioni in corrispondenza dei segni dipunteggiatura. Essi sono, storicamente, le parti piùantiche del repertorio gregoriano: a prova di ciò vigeil fatto che esse sono le forme musicalmente piùsemplici e in esse, proprio perché sono le prime aessere nate, vi è l’embrione di quello che sarà ilgregoriano. Il loro abituale impiego liturgico èdimostrato dal fatto che, essendo le parti che più ditutte venivano cantate, proprio per la loro‘ordinarietà’ non si sentì il bisogno di scriverle.Una interessante particolarità, che non deveassolutamente sfuggire ai nostri occhi, è come quasiogni recitativo preveda due possibili forme: unasemplice e una solenne. Questo signif ica che il cantonon era visto come un qualcosa in più, masostanzialmente diverso, dalla quotidianità delparlato: il canto era elemento strutturale dellaliturgia sempre, non solo nella festività; la liturgiaera canto. Questo è il primario compito del cantoliturgico che il Vaticano II, nell ’Istruzionesopracitata, richiede espressamente prima ancoradi qualsiasi supposta partecipazione assembleare.Ma l’oblio del volere conciliare è cosa, purtroppo,ben nota.2. In questa seconda parte, vorrei riflettere, semprenel segno della “continuità” tra vetera et nova, sulcanto di comunione. Il repertorio gregoriano,maestro di precisione e di aderenza liturgico-testuale, ci insegna, riguardo al bagaglio dei cantidi comunione, principalmente due cose: in primoluogo che ogni domenica ha una propria antifonala quale è dedicata a quel preciso giorno e non èinterscambiabile con nessun’altra, in secondo luogoche, nella grande maggioranza dei casi, il testo delcommunio è un passo della pericope evangelica.Ecco, qui, frantumarsi un mito, quello del cantoeucaristico alla comunione: il gregoriano, invece,ci insegna che al culmine della celebrazione, lameditazione conclusiva (il communio è l’ultimocanto della messa, il Graduale non prevede canti

f inali) deve esser condotta sulle parole di Cristostesso ascoltate nel testo evangelico.La mia riflessione (e, perché no?, una proposta)riguarda l’antico uso per il canto di comunione,ovvero il canto del salmo 33: “Gustate e vedete com’èbuono il Signore”. Nella chiesa primitiva, questosalmo, veniva cantato integralmente in directum,cioè senza ritornelli (e l’uso f isso del salmo 33, difatto, equiparava il canto di comunione ad un cantodell’Ordinarium), ma dal V sec. sentì l’esigenza dicreare un semplice ritornello da intercalare alsalmo1.L’antifona gregoriana «Gustate et videte quoniamsuavis est Dominus: beatus vir qui sperat in eo»traduce, nella sua musica, l’implicita “eucaristicità”di questo testo. Il forte allargamento della primaparola, «Gustate», rimanda irrimediabilmente alsenso del gusto, all’appagamento nel gustare unpiatto prelibato: ritorna, qui, la profezia del cap. 25del Libro di Isaia («Preparerà il Signore degli esercitiper tutti i popoli, su questo monte, un banchetto digrasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, dicibi succulenti, di vini raff inati»,) e il «gusteretecibi succulenti», del salmo 55.Occorre, dunque, aff inché il cibo spirituale delcorpo di Cristo non scada nella ritualità del pastoquotidiano gustare ogni volta e vedere la bontà delSignore. Ecco che, solo a questo punto, emerge quelvalore aggiunto che ha il cristiano: è beato perchési rifugia nel Signore. Ed ecco che, qui, si assistenuovamente ad un rallentamento della musica:l’andamento ritmico, f inora abbastanza scorrevole,frena bruscamente su «qui». Il senso è esattamentequello di creare suspense sia testuale (datadall’incompletezza della frase) sia musicale;l’ascoltatore, a questo punto, raccoglie le proprieattenzioni sull’attesa di ciò che dovrà essere detto,«sperat»: è beato colui che spera in Lui! Ecco comeil compositore gregoriano ha interpretato, in unasorta di omelia in musica, il senso del salmo 33.La triste riduzione del Vaticano II a semplicesupermercato nel quale ognuno attinge solamenteallo scaffale desiderato, mentre gli altri sitralasciano indifferentemente, è un argomento alquale sempre più persone si stanno interessando:l’operato del papa Benedetto XVI, all’insegnadell’”ermeneutica della continuità”, è, in questosenso, guida ed esempio. E lo sia anche il cantogregoriano, straordinaria lex orandi in musica chela tradizione della Chiesa ci consegna, che, nellesue molteplici sfaccettature e signif icati reconditi,ci svela parte di quell’immenso carico di concetti erimandi teologici che troppe banali superf icialitàliturgiche, inconsapevolmente, eliminano._________________________1 Su questo modello sono strutturati i salmi responsoriali tra cui ancheil Gustate e vedete del Repertorio nazionale. Credo che una riscopertadi questo sapiente uso del salmo 33, sia pure in versioni melodichedifferenti, non possa che giovare ai nostri tremendamente miserabilirepertori.

L’immagine di pag. 16: Miniatura di Lorenzo Monaco, sec. XV.

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GOCCIE DI LITURGIA

I Santi Segni (prima parte)

di mons. Oralando Barbaro direttore dell’Uff icio Liturgico del Patriarcato di Venezia

PRESENTAZIONE

Iniziamo questa piccola rubrica, poco più di unocchiello, senza programmi o pretese; d’altraparte, come dice Romano Guardini, tra la liturgiae altri processi formativi “vi è una differenza similea quella che passa tra una palestra ginnica, doveogni attrezzo, ogni esercizio è calcolato, e l’apertacampagna o la foresta. Là tutto è sviluppoconsapevole delle forze, qui tutto è vita naturale,crescita delle intime energie della natura e con lanatura”. 1

Ho scelto il titolo “gocce di liturgia” giocando suquanto la Costituzione Conciliare sulla liturgia“Sacrosanctum Concilium” afferma, la chiama“fons”, fonte, ed è a quella fonte che vogliamoattingere ber abbeverare la nostra anima. A gocceperché talmente grande è il mistero nel quale, peramore di Cristo e come membri della Chiesasiamo introdotti, che dobbiamo centellinare ilnostro approccio, riappropriandoci di unlinguaggio fatto di segni, nel senso Giovanneo deltermine. Di questi segni molto spesso abbiamoperso il signif icato, vanif icando unacomunicazione che è ineludibile per ognicredente: “Lex orandi, lex credendi” dicono gliantichi, l’esperienza della preghiera, soprattuttodi quella comunitaria e liturgica, genera la fededei credenti e ne garantisce l’autenticità.

In tutto questo mi farà da guida una dellemaggiori f igure della storia culturale e teologicadel XX secolo: Romano Guardini, attraverso unsuo libro che come compare in nota si intitola “Lospirito della Liturgia I santi segni”. Buon cammino,a voi ma anche a me, e che lo Spirito ci assista.

I SANTI SEGNI

“Io saprei bene chi potrebbe qui dire meglio di mee più giusto: una madre che, formata per proprioconto liturgicamente, insegnasse al suo bambinoa fare bene il segno della santa Croce; a veder nellacandela che arde una persona che apre il suointimo sentire; a star nella casa del padre con tuttala sua viva umanità …; e tutto questo non medianteconsiderazioni estetiche, bensì proprio come unvedere, un fare: non quindi come un arido pensaree rif lettere che contempli opere, gesti eatteggiamenti come f igure appese tutt’all’intorno!”2

Con queste parole Romano Guardini ci portaall’interno del nostro itinerario e ce ne dà lametodologia. Spesso, inconsapevolmente,abbiamo talmente spiritualizzato le nostre“pratiche” religiose dimenticando che come diceancora il Guardini, esse si rivolgono all’uomo

battezzato sia nell’anima che nel corpo. Quandonoi parliamo di celebrazione, parliamo di azioneliturgica, quindi non primariamente di istruzioneteorica, ma pratica dove i due atteggiamentiadeguati sono l’osservare e l’agire. L’osservare o ilvedere, che nel linguaggio biblico è premessa allafede: “vide e credette”(Gv 20,8). L’agire checoinvolge tutte le nostre capacità creative, chediventa esperienza di vita, che rende percepibile ecircostanziabile un incontro non con aridenozioni, non con moralistici precetti, ma con chipuò dare valore e fondamento a queste nozioni ea questi precetti: Gesù nostro Signore. E l’esperienzaci dice che nell’incontro tra due persone,specialmente se tra loro c’è un rapporto di amoreo di amicizia, più che le parole valgono i silenzi,gli atteggiamenti, i gesti…Questo vuol essere il sensodi un cammino alla riscoperta dei segni di questonostro osservare e agire: non tanto per aggiungereconoscenze a conoscenze, quanto per vivere conpiù consapevolezza la fondante esperienzaliturgica.

2. IL SEGNO DELLA SANTA CROCE

Quando il battezzando si presenta davanti alministro della Chiesa per ricevere il sacramentodel Battesimo, al termine dei riti di accoglienzariceve sulla fronte il segno della croce. E’ il tripliceabbraccio che lo accoglie: l’abbraccio dellaSantissima Trinità che lo introduce nella Sua vitadi comunione; l’abbraccio di Cristo che dall’altodella croce lo attrae a sé per rigenerarlo a vitanuova; l’abbraccio della Chiesa che lo accoglie qualesuo membro in quell’unità che è il Corpo Misticodi Cristo. Da quel momento quel semplice gestolo accompagnerà per tutta la vita, quale richiamoad una realtà donata e che lui è chiamato aconiugare con la sua libertà nelle singole scelte diogni momento. Al mattino quando aprendo gliocchi ringrazia il Signore per il dono della vita.Prima dei pasti come atto di riconoscenza per gliinf initi doni ricevuti. All’inizio della preghiera perrichiamare a se stesso – a me stesso - che siamoalla presenza del Signore e che quindil’atteggiamento primo è quello dell’ascolto, unascolto che poggia su quell’abbraccio che non milascia mai. Prima di una scelta importante nellaconvinzione che il segreto di una vita buona stanel viverla con Lui, in Lui e per Lui. Quando miaccosto al sacramento della riconciliazione e ricevoper le mani del ministro la certezza del perdono.All’inizio e alla conclusione della celebrazioneEucaristica mettendo sotto quell’abbracciol’esperienza fondante la mia fede e la mia vita di

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discepolo di Cristo. Quando, al termine dellagiornata, mi corico per un meritato riposo,unendo insieme il mio grazie e la mia richiestadi perdono per i cedimenti a quelle fragilità chefanno parte della mia vita.

Ed allora facciamolo spesso questo segno, masoprattutto facciamolo bene. Pronunciamo concalma il nome di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.Compiamo un segno ampio che tocchi la fronte,il petto e le spalle – una tradizione ortodossaarriva persino a toccare le punte dei piedi – quasia voler esprimere con il segno il desiderio cheniente di noi sia fuori di questo abbracciod’amore.

4. LE MANI

Baden Powell, il fondatore del metodo educativoscout, tra i vari esercizi che proponeva ai ragazzi,ne indicava uno che serviva ad aguzzare il lorospirito di osservazione. Li invitava, quandosalivano in autobus, a tenere gli occhi bassiconcentrandosi sui calzari delle persone. In unsecondo momento, sempre con gli occhi bassi,dovevano, con l’immaginazione, tracciare nellaloro mente la f isionomia della persona partendodal tipo di calzari visti. Inf ine, alzando gli occhi,dovevano verif icare se l’immagine della loromente corrispondeva alla realtà. Si sarebberoaccorti che, se avessero compiuto per bene questoesercizio, la percentuale di successo sarebbe statamolto alta. Questa è la prova che la parte piùspirituale di una persona, invisibile agli occhi delcorpo, diventa visibile attraverso il corpo stesso,attraverso le sue membra e lo stessoabbigliamento. Pensiamo al volto di una persona,ai suoi occhi che un antico proverbio chiama lospecchio dell’anima. Ma anche le mani: talvoltaguardando semplicemente le mani si potrebbe

ricostruire la storia di una vita. Dalle maniaffusolate del pianista alle mani callose di uncontadino o di una persona dedita a lavorimanuali. Dalle mani aperte e cordiali di chi te lestringe in segno di amicizia alle mani contortedall’artrosi di un anziano sofferente. Ma le manispesso trasmettono le sensazioni che una personasta provando. Sono sudate quanto si è tesi, simuovono in continuazione quando si è agitati ecosì via. La liturgia fa un grande uso dellinguaggio delle mani. Dice Guardini: “Quandouno si raccoglie tutto in se stesso ed è nella suaanima solo con Dio, allora la mano si stringesaldamente all’altra, il dito si incrocia con il dito.Come se il f lusso interiore che vorrebbe dilagare,dovesse venir condotto da una mano all’altra eriportato nell’interno, aff inché tutto rimangadent ro, un custodire il Dio nascosto”3. Ma a voltesi sente il desiderio di esprimere il pieno di gioiae di riconoscenza nei confronti di Chi èveramente capace di riempirti il cuore, ed allorale braccia si tendono e le mani si elevano al cielocon le palme all’insù quasi a librare il volo di unprofondo desiderio di incontro. Inf ine l’attosolenne della comunione eucaristica dove lasinistra posta sopra la destra fa da trono, comedice Cirillo da Gerusalemme, al Figlio di Dio sottole specie del pane. Ricorda ancora Guardini che“Bello e grande è il linguaggio della mano. Di essala Chiesa dice che ci è aff idata aff inché «viportiamo l’anima»”.4

_______________________________________1 GUARDINI R., Lo spirito della liturgia I santi segni, MorcellianaXI ed. 2007, p. 752 Idem p. 1153 GUARDINI R., Lo spirito della liturgia I santi segni, MorcellianaXI ed. 2007, p. 1284 Idem, p.129

Domenico da Tolmezzo, 1500, Altare di S. Lucia - Udine