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1 Associazione “Gruppo di Pisa” Seminario di Studio Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Modena 13 ottobre 2006 Relazione introduttiva Le zone d’ombra nel giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo (versione provvisoria) di Ida Nicotra Ordinario di Diritto Costituzionale nella facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Catania. Sommario: Sezione I 1. L’esigenza di un sistema di controlli per l’ammissibilità del referendum abrogativo e l’assenza di previsioni costituzionali esplicite sulla competenza della Corte Costituzionale in materia referendaria. La natura del giudizio di ammissibilità del referendum. 2. Gli sviluppi della giurisprudenza costituzionale in ordine al limite delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato e di quelle delle leggi costituzionalmente necessarie 3. La sentenza n. 45 del 2005 ribadisce la netta distinzione tra giudizio di ammissibilità del quesito referendario e giudizi sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti con forza di legge. 4. I limiti attinenti al quesito referendario: omogeneità, chiarezza, matrice razionalmente unitaria. Sezione II 5. La “zona franca” relativa all’assenza di un meccanismo volto a custodire il risultato referendario da norme successive riproduttive di altre abrogate direttamente dal corpo elettorale. 6. Le zone d’ombra del contraddittorio nel giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo 7. Il giudizio di ammissibilità tra controllo preventivo e sindacato successivo di legittimità costituzionale 8. Segue – “Luci e ombre” dell’inedita versione di procedimento sommario al vaglio della Corte Costituzionale: il giudizio preventivo di legittimità costituzionale inglobato nel controllo di ammissibilità 9. Prospettive di riforma tra “zone franche” e “zone d’ombra”. Sezione III 10. Una zona “franca”: la mancata previsione di un giudizio di ammissibilità sul quesito del referendum costituzionale davanti alla Corte.

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Associazione “Gruppo di Pisa”

Seminario di Studio

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Modena 13 ottobre 2006

Relazione introduttiva

Le zone d’ombra nel giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo

(versione provvisoria)

di Ida Nicotra

Ordinario di Diritto Costituzionale nella facoltà di Economia dell’Università degli Studi di

Catania.

Sommario: Sezione I 1. L’esigenza di un sistema di controlli per l’ammissibilità del referendum abrogativo e l’assenza di previsioni costituzionali esplicite sulla competenza della Corte Costituzionale in materia referendaria. La natura del giudizio di ammissibilità del referendum. 2. Gli sviluppi della giurisprudenza costituzionale in ordine al limite delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato e di quelle delle leggi costituzionalmente necessarie 3. La sentenza n. 45 del 2005 ribadisce la netta distinzione tra giudizio di ammissibilità del quesito referendario e giudizi sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti con forza di legge. 4. I limiti attinenti al quesito referendario: omogeneità, chiarezza, matrice razionalmente unitaria.

Sezione II 5. La “zona franca” relativa all’assenza di un meccanismo volto a custodire il risultato referendario da norme successive riproduttive di altre abrogate direttamente dal corpo elettorale. 6. Le zone d’ombra del contraddittorio nel giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo 7. Il giudizio di ammissibilità tra controllo preventivo e sindacato successivo di legittimità costituzionale 8. Segue – “Luci e ombre” dell’inedita versione di procedimento sommario al vaglio della Corte Costituzionale: il giudizio preventivo di legittimità costituzionale inglobato nel controllo di ammissibilità 9. Prospettive di riforma tra “zone franche” e “zone d’ombra”. Sezione III 10. Una zona “franca”: la mancata previsione di un giudizio di ammissibilità sul quesito del referendum costituzionale davanti alla Corte.

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1. L’esigenza di un sistema di controlli per l’ammissibilità del referendum abrogativo e

l’assenza di previsioni costituzionali esplicite sulla competenza della Corte Costituzionale in materia referendaria. La natura del giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo.

La prima questione su cui soffermarsi per tentare di svolgere una analisi sulle molteplici “zone

d’ombra” del giudizio di ammissibilità sul referendum abrogativo, demandato dall’ordinamento

giuridico italiano alla Corte Costituzionale, è quella che concerne le ragioni di un simile sistema di

controllo e la funzione che esso mira a realizzare all’interno dell’articolato quadro dei rapporti

intercorrenti tra legislatore, corpo elettorale e lo stesso Giudice delle leggi.

Va preliminarmente osservato, in proposito, che il Testo costituzionale del 1948 nulla dice circa la

competenza della Corte in ordine alla verifica sull’ammissibilità del referendum abrogativo.

Tuttavia, l’assenza di una disciplina sul punto non può essere interpretata come una scelta del

Costituente nel senso di intendere l’istituto referendario alla stregua di uno strumento ordinario di

espressione della volontà popolare.

Innanzitutto, come non ha mancato di sottolineare una parte importante della dottrina1, in sede di

stesura finale sono state introdotte nel Testo soltanto alcune delle forme di referendum contemplate

nel progetto presentato da Costantino Mortati alla Commissione per la Costituzione (II

Sottocommissione) dell’Assemblea Costituente (seduta del 17 gennaio 1947). La soluzione

“minimale” preferita fu quella di non introdurre nel Testo fondamentale né il referendum

propositivo, né quello di indirizzo (escluso già inizialmente dallo stesso Mortati) e neanche quel

tipo di consultazione popolare sui disegni di legge approvati da una sola Camera che avrebbe

dovuto essere attivata su richiesta del Presidente della Repubblica e di ammettere nella Carta

soltanto una consultazione popolare di carattere abrogativo ed eventuale. Tale scelta trova giusti

ficazione nell’orientamento prescelto di evitare che il corpo elettorale potesse, attraverso

un’espressione diretta di sovranità, alterare “il normale funzionamento della democrazia

rappresentativa, considerata come la forma normale di esercizio della sovranità popolare”2.

In secondo luogo, la circostanza che il 2 co. dell’art. 75 Cost. esclude in modo esplicito il

ricorso al referendum per alcune materie tassativamente indicate e ne ammette la proponibilità

soltanto per alcuni tipi di atti normativi “leggi ed atti aventi valore di legge”, per un verso, rafforza

la convinzione che si sia voluta “perimetrare” l’utilizzazione del referendum all’interno di confini

1 A. Pizzorusso, I controlli di ammissibilità del Refendum, in Quad. Cost. n. 2, 1985. 2 Così, A. Pizzorusso, Relazione presentata al Seminario di studi sul giudizio di ammissibilità del referendum

abrogativo, 6 del datt., il quale precisa, inoltre, che il referendum di tipo oppositivo è stato concepito come una consultazione promossa da una minoranza, in chiara opposizione all’ipotesi plebiscitaria di carattere confermativo di una deliberazione assunta in sede parlamentare.

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ben delimitati, per altro verso, costituisce il fondamento implicito di una attività di controllo sulle

cause di inammissibilità.

A ben vedere, dunque, la previsione contenuta nell’art. 75 venne elaborata nell’ottica di

definire con chiarezza i margini dell’intervento parlamentare chiamato ad attuare il disposto

costituzionale, attraverso una legge che stabilisse l’organo competente a verificare il rispetto dei

limiti alla consultazione referendaria. Alla luce della richiamata previsione costituzionale si

comprende come la scelta legislativa compiuta qualche anno più tardi non era “in alcun modo

imposta dalla Costituzione”3. Si sarebbe potuto prevedere un differente meccanismo per verificare

la compatibilità delle proposte referendarie con i vincoli imposti nell’art. 75. Anzi, le soluzioni

avrebbero potuto essere le più diverse: da quella che prospettava un giudizio successivo di

legittimità costituzionale nell’ambito del quale verificare l’osservanza dei vincoli imposti dalla

norma costituzionale, fino ad altre che erano orientate ad attribuire alle Camere o al Governo il

giudizio preventivo di ammissibilità. Venne preferita la tesi proposta da Lucifredi di affidare quel

potere all’organo di giustizia costituzionale ritenuto il solo in grado di “porre un freno ad una

richiesta di referendum che porti la firma di un considerevole numero di elettori o di consigli

regionali”4. Si procedette, invece, ad un ampliamento delle funzioni della Corte Costituzionale

rispetto a quelle già previste nell’art. 134 con l’approvazione della legge costituzionale 11 marzo

1953, n. 1, che all’art. 2 recita “spetta alla Corte Costituzionale giudicare se le richieste di

referendum abrogativo presentate a norma dell’art. 75 siano ammissibili ai sensi del comma

secondo dello stesso articolo5. Le modalità di tale giudizio saranno stabilite dalla legge che

disciplinerà lo svolgimento del referendum popolare”6. La richiamata legge costituzionale, dunque,

affida al Giudice delle leggi un sindacato di ammissibilità preventivo e obbligatorio e rinvia al

legislatore ordinario la determinazione delle procedure per lo svolgimento del referendum

abrogativo, stabilite negli artt. 33 e 34 della l. 25 maggio 1970, n. 352.

3 Così, S. Panunzio, Osservazioni su alcuni problemi del giudizio di ammissibilità del referendum e su qualche

possibile riforma della sua disciplina, in Atti del Convegno del 5 – 6 luglio 1996 tenutosi a Roma, sul Giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo.

4 Ancora, S. Panunzio, op.cit., 3. 5 Secondo la fortunata espressione di Elia, ripresa da Lucani e da Di Giovine, la Corte nel 1953 ricevette il “dono avvelenato” del giudizio di ammissibilità che ha prodotto effetti distortivi rilevanti sul ruolo che il giudice delle leggi è chiamato a svolgere nel sistema giuridico italiano. Secondo una parte della dottrina la Corte avrebbe superato il segno, laddove si è assunta la responsabilità “di toccare inusitati livelli di creatività, sovraesposizione e interna contraddittorietà” (così, A. Di Giovine, Referendum e Corte Costituzionale, in Diritto Pubblico, n. 2/2000, 601).

6 E’ stato sottolineato come la circostanza che si sia proceduto ad ampliare le competenze della Corte attraverso un atto di legislazione costituzionale costituisce la prova dell’esigenza di “tutelare” il giudice delle leggi da una dilatazione eccessiva delle sue funzioni che potrebbe incrinare il suo ruolo di garanzia e di istanza neutrale. Invero, molte delle decisioni espresse in materia referendaria sono state sottoposte a critiche anche molto aspre ed hanno evidenziato i rischi insiti ad ogni “coinvolgimento della Corte in situazioni segnate da contrapposizioni dualiste di interessi”, così, G. Zagrebelsby, La giustizia costituzionale, Bologna 1988, 472.

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Considerato come istituto “atipico”, anche in considerazione del carattere “preventivo” e

“automatico” che ne contraddistingue i tratti, il giudizio di ammissibilità sul referendum abrogativo

è stato accostato, in passato, all’ormai abrogato giudizio “preventivo” di legittimità, disciplinato

nell’originario disposto dell’art. 127 Cost., o ai conflitti di attribuzione “virtuali”, per la carenza di

un interesse “concreto” che sta alla base dell’attività delle parti o del giudice.

Proprio in virtù del suo carattere peculiare è stata adombrata la possibilità che siffatta attività

non rientrasse tra le funzioni propriamente giurisdizionali7. Siffatto orientamento troverebbe

conferma nelle diverse proposte, talune avanzate in sede di lavori preparatori, di attribuire alla Corte

Costituzionale competenze come l’accertamento dell’impedimento del Capo dello Stato, ex art. 86,

qualora egli non sia in grado di dichiararlo; la decisione di scioglimento di associazioni vietate dalla

Costituzione; il giudizio sulla verifica dei poteri, alla stregua di quanto avviene nella Legge

Fondamentale tedesca.

Secondo altra opinione, invece, si tratterebbe di un controllo all’interno di un procedimento di

diritto “oggettivo”, ove la Corte sarebbe chiamata a verificare la compatibilità delle richieste

referendarie, con un sistema di parametri prefissati, non collegati da alcun atto introduttivo, ma

dipendenti esclusivamente dalla natura “oggettiva”della funzione demandata al giudice delle leggi.

Per questa via è stata prospettata l’idea secondo cui il giudizio di ammissibilità presenterebbe una

forte somiglianza con i giudizi di volontaria giurisdizione8. Secondo altri si tratterebbe di una

giurisdizione di diritto obiettivo, per il perseguimento di interessi pubblici, restando sullo sfondo la

tutela di posizioni giuridiche soggettive. Pur tuttavia, la tesi più accreditata rimane a tutt’oggi quella

che ancora la categoria del giudizio di ammissibilità al controllo di legittimità sulle leggi9. Al

riguardo, basti pensare a quanto risulti condivisa l’opinione che tende ad accomunare gli effetti

della pronuncia di inammissibilità a quelli derivati dalle sentenze di accoglimento, producendo

entrambi efficacia erga omnes e risultando preclusive di analoghe richieste. In buona sostanza,

l’elemento più qualificante dei due tipi di giudizi, viene individuato nel fatto che, sia il primo che il

secondo, sarebbero finalizzati, comunque, a dirimere un dubbio di “costituzionalità”.

2. Gli sviluppi della giurisprudenza costituzionale in ordine al limite delle leggi a contenuto

costituzionalmente vincolato e di quelle delle leggi costituzionalmente necessarie -. Secondo

quanto affermato dalla Corte rientrano nel novero delle leggi costituzionalmente vincolate quegli

atti “il cui contenuto normativo non possa venire alterato o privato di efficacia senza che ne

7 Di questo avviso, G. Zagrebelsky, La giustizia, cit., 472. 8 Cfr. C. Carbone, La competenza della Corte costituzionale sull’ammissibilità della richiesta di referendum

abrogativo, in La Corte Costituzionale, Raccolta di studi a cura dell’Avvocatura dello Stato, Roma 1957, 595. 9V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, 2, Padova 1984, 474 ss.

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risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione” (sent. n. 16/1978). Il giudice

delle leggi si preoccupa, in successive occasioni (sent. 25/1981), di precisare che possono

considerarsi tali solo quelle leggi “che incorporano determinati principi o disposti costituzionali

riproducendone i contenuti o concretizzandoli nel solo modo costituzionalmente consentito, (anche

nel senso di apprestare quel minimo di tutela che determinate situazioni esigono secondo

Costituzione), di conseguenza rimangono suscettibili di essere abrogate tramite referendum tutte

quelle norme che ”pur rappresentando attuazione di un principio costituzionale non rappresentano

l’unico mezzo attraverso il quale il principio medesimo si realizza” (n. 24 /1981).

Sulla scorta di tale criterio la Corte, qualche anno più tardi (sent. n. 27 del 1987), ha dichiarato

ammissibile la richiesta referendaria per l’abrogazione della legge regolatrice dei poteri della

Commissione parlamentare per la messa in stato di accusa del Capo dello Stato e dei Ministri,

proprio perché la consultazione popolare ricadeva su un provvedimento legislativo non

indispensabile per dare attuazione al disposto costituzionale, che può ben essere demandato, per la

sua concreta applicazione, all’apprezzamento discrezionale del legislatore ordinario. In quella

pronuncia, la Corte pone in risalto come la richiesta referendaria richiedeva l’abrogazione di una

parte della normativa che, comunque, avrebbe lasciato impregiudicata l’operatività della

Commissione stessa; il che fa supporre che nel caso in cui si fosse messo a rischio il procedimento

accusatorio la Corte si sarebbe pronunciata per l’inammissibilità10.

Bisogna, peraltro, ammettere che il Giudice delle leggi non si è mostrato sempre lineare

nell’applicazione del principio in esame, manifestando, piuttosto, una certa ambiguità che, peraltro,

la dottrina non ha mancato di sottolineare. Nel giudizio relativo ai quesiti contro il codice penale

militare e l’ordinamento giudiziario militare l’organo di controllo costituzionale si è espresso per

l’inammissibilità, sulla base della relazione tra la normativa in discussione ed i principi

costituzionali in tema di servizio militare obbligatorio e ordinamento delle forze armate (art.52),

sebbene siffatti atti legislativi difficilmente si possano ritenere “l’unica attuazione possibile” dei

precetti costituzionali richiamati.

Anche in tema di interruzione volontaria della gravidanza la giurisprudenza costituzionale ha

presentato parecchie oscillazioni. Infatti, in un primo tempo (sent. n. 26/1981), il Giudice delle

leggi, stabilendo che il referendum non può svolgersi su una legge ordinaria che incorpori

determinati principi costituzionali, riproducendone i contenuti nel solo modo costituzionalmente

consentito, anche nel senso di apprestare quel minimo di tutela che determinate situazioni esigono,

ha ritenuto ammissibile la c.d. richiesta “radicale” sulla l. n. 194/1978. Le disposizioni delle quali si

chiedeva l’abrogazione sono state ritenute, infatti, il frutto di scelte discrezionali del medesimo

10 In tal senso L. Paladin, Profili problematici della giurisprudenza, cit. 12.

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legislatore. Nella logica seguita dai giudici costituzionali non sarebbero leggi costituzionalmente

vincolate né il principio contenuto nell’art. 1 di tale legge, con il quale si attribuisce valore sociale

alla maternità e alla tutela della vita umana fin dal suo inizio, né l’art. 4 che consente l’aborto, ma

soltanto in vista di un serio pericolo per la salute della madre. Queste disposizioni infatti – si legge

nella motivazione - non possono essere estrapolate dal contenuto normativo in cui si collocano, per

trarne un qualche contenuto costituzionalmente vincolato. Tuttavia, con la medesima decisione la

Corte dichiara inammissibile il quesito referendario per l’abrogazione della norma contenuta

nell’art. 6 della l. 194 che si propone di rendere inefficace la previsione dell’aborto terapeutico. Il

referendum viene bloccato sulla base della motivazione che la norma contenuta nell’art. 6 della l.

194, nella parte in cui, appunto, consente l’aborto terapeutico, costituisce attuazione dell’art. 32, 1

comma, della Costituzione. Ad opinione della Consulta siffatta disposizione, dettando una

disciplina che concretizza il diritto alla salute della donna, non sarebbe il frutto di una scelta

discrezionale delle Camere, rappresentando, piuttosto, nel suo “nucleo essenziale”, una “norma a

contenuto costituzionalmente vincolato”. Infatti, si precisa che all’interno di quest’ultima categoria

devono farsi rientrare anche le leggi ordinarie, la cui eliminazione determinerebbe la soppressione

di una tutela minima a favore di diritti intangibili.

E’ stato fatto osservare come la disciplina contenuta nell’art. 6 rappresenti soltanto una delle

possibili attuazioni del principio contenuto nell’art. 32 Cost., e dunque, seguendo una

interpretazione rigorosa del criterio individuato dalla Corte, la proposta referendaria avrebbe dovuto

essere ritenuta ammissibile. Inoltre, il collegamento individuato dai giudici costituzionali tra la

previsione contenuta nell’art. 32 e la legge ordinaria viene rintracciato ricorrendo alla tradizionale

figura dell’attuazione di una norma costituzionale, anziché a quella della disposizione meramente

ripetitiva o riproduttiva del precetto fondamentale. Proprio tale passaggio, a parere di una parte

della dottrina, evidenzia il vero punto debole del ragionamento condotto dalla Corte, nella misura in

cui non si può ritenere che un vincolo discendente da un principio costituzionale possa privare il

legislatore di un potere discrezionale che, seppur ridotto, lo abiliti comunque a scegliere tra più

opzioni per dare concreta attuazione. D’altra parte, se la norma costituzionale fosse idonea ad

eliminare ogni ambito di discrezionalità del legislatore, un’attività normativa di rango primario

“non solo non sarebbe concepibile, ma sarebbe anche del tutto inutile” 11.

Dopo parecchi anni la Corte affronta nuovamente la questione con la decisione del 1997 (n.

35) e reputa inammissibile la consultazione popolare sulla stessa disciplina, pronunciandosi su un

quesito sostanzialmente analogo alla richiesta radicale ammessa con la sent. n. 26/1981. Questa

volta, tuttavia, trova applicazione il criterio delle leggi costituzionalmente vincolate anche alla

11 Così, F. Modugno, Rassegna critica delle sentenze sul referendum (anche alla luce di alcuni commenti della dottrina),

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disciplina in materia di aborto. Infatti, le disposizioni di cui si chiedeva l’abrogazione riguardavano,

a parere del giudice delle leggi, una serie di diritti, tra cui il diritto alla vita del nascituro, la cui

abrogazione “renderebbe nullo il livello minimo di tutela necessaria dei diritti costituzionalmente

inviolabili alla vita, alla salute, nonché di tutela necessaria della maternità, dell’infanzia e della

gioventù”. Stando alle affermazioni del giudice delle leggi si comprende come l’applicazione molto

ampia del limite delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, preferita in questa evenienza,

trae giustificazione proprio dalla necessità di evitare che l’esito referendario possa tradursi in una

diretta violazione dell’art. 2 Cost., laddove è da ascriversi anche il diritto alla vita del nascituro12.

A ben guardare, però, quello che è stato definito un “vero e proprio overruling”13 rispetto alla

precedente giurisprudenza costituzionale in materia sembra essere l’esito di un progressivo

ripensamento che la Corte ha maturato per tappe successive, giungendo alla compiuta elaborazione

della categoria di norme legislative che non possono essere oggetto di richieste referendarie. Ad un

attento esame l’orientamento seguito nella sent. n. 35/1997 trova riscontro già nella decisione n.

27/1987, in cui vengono enucleate due distinte ipotesi di leggi a contenuto costituzionalmente

vincolato: in primo luogo, le leggi ordinarie che contengono l’unica necessaria disciplina attuativa

conforme alla norma costituzionale, di modo che la loro abrogazione si tradurrebbe in una lesione di

quest’ultima (sent. 16/1978 e 26/1981); in secondo luogo, le leggi ordinarie la cui eliminazione ad

opera del referendum priverebbe totalmente di efficacia un principio o un organo costituzionale la

cui esistenza è, invece, garantita dalla Costituzione (sent. n. 25 del 1981).

In buona sostanza, con la decisione n. 35 la Corte ha esteso questa seconda tipologia anche

alle leggi ordinarie la cui abrogazione determinerebbe il venir meno di uno standard minimo di

tutela per situazioni che tale tutela esigono secondo Costituzione. In quanto, spiegano i giudici,

l’eventuale abrogazione di numerose disposizioni della l. n. 194, sarebbe idonea a ricondurre

l’interruzione volontaria della gravidanza nei primi novanta giorni “ad un regime di totale libera

disponibilità da parte della singola gestante, anche in ordine alla sorte degli interessi

costituzionalmente rilevanti in essa coinvolti” e, perciò, deve essere sottratta alla consultazione

abrogativa.

In altra pronuncia (in particolare nella sentenza n. 35 del 1993), riguardante la richiesta per

l’abrogazione della legge 31 luglio 1959, n. 617, istitutiva del Ministero del turismo e delle

spettacolo, il giudice costituzionale, prospettando una interpretazione rigorosa della categoria delle

12 In proposito, A. Mangia, Definizione del parametro e sindacato di legittimità costituzionale nel giudizio di

ammissibilità del referendum, in Il parametro nel giudizio di costituzionalità, a cura di G. Pitruzzella – F. Teresi – G. Verde, Torino 2000, 405 nonché, per una rassegna della giurisprudenza costituzionale di diritti del nascituro, cfr., A. Di Blasi, I limiti della tutela del concepito tra Corte di Cassazione e Corte Costituzionale, in Costituzionalismo.it, 5 ss.

13 L’espressione si trova in A Pertici, Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, in Aggiornamenti, cit., 485.

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leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, si esprime a favore dell’ammissibilità. La Corte

asserisce che tale legge non risulta inquadrabile nella categoria degli atti legislativi

“costituzionalmente vincolati”, in ragione del fatto che non riguarda un istituto o un organo la cui

esistenza è presupposta dalla Costituzione o che può dirsi indispensabile per la struttura o/e per il

funzionamento del Governo. La legge di cui si chiede l’abrogazione tramite referendum, in buona

sostanza, costituisce, a parere della Corte, il risultato di una scelta politica che non può essere

sottratta al giudizio popolare. Ed invero, essa mostra di far buon uso del criterio enucleato in quella

parte della motivazione in cui chiarisce che la proposta referendaria ha, in questo caso, ad oggetto

“unicamente il mutamento ovvero la soppressione dell’apparato burocratico amministrativo che il

legislatore ha discrezionalmente ritenuto di far assurgere al rango di Ministero, così limitandosi a

dare attuazione alla riserva legislativa enunciata dall’art. 95 comma 3 Cost.” Non è dato riscontrare,

infatti, un nesso di necessaria strumentalità fra la legge istitutiva del Ministero del turismo e il

precetto costituzionale appena ricordato. Si tratta di un dicastero non presupposto dalla Costituzione

e di conseguenza la legge istitutiva di cui si chiede l’abrogazione non può essere annoverata, né fra

quelle a contenuto costituzionalmente vincolato, né fra gli atti “costituzionalmente obbligatori”,

intesi questi ultimi come leggi chiamate a dare attuazione a norme costituzionali, il cui venir meno

pregiudicherebbe un principio, un organo od un istituto previsto dalla Costituzione (sent. n.

27/1987).

Né risultano convincenti le obiezioni sollevate, secondo le quali siffatta decisione avrebbe

potuto aprire la strada ad una disarticolazione della compagine governativa per via referendaria. A

ben guardare, seguendo la direzione tracciata dalla Corte, nell’ipotesi di proposta abrogativa che

riguardasse contestualmente tutti i Ministeri o di quelli facenti parte della struttura essenziale del

Governo, siccome delineata in Costituzione, si dovrebbe propendere per l’inammissibilità, atteso

che in questo caso si tratterebbe di “leggi a contenuto costituzionalmente vincolato” la cui

eliminazione pregiudicherebbe il funzionamento di un organo costituzionale o, forse, addirittura la

sua stessa esistenza14. Anche in questa occasione i giudici costituzionali ripropongono,

l’orientamento espresso nella sent. n. 29 del 1987 in forza del quale “gli organi costituzionali e di

rilevanza costituzionale non possono essere esposti alla eventualità, anche soltanto teorica, di

paralisi di funzionamento”. Infatti, nella decisione di ammissibilità sul referendum sulla

soppressione del Ministero del turismo viene, per implicito, affermato l’orientamento secondo il

quale se la consultazione popolare fosse stata richiesta per l’eliminazione di Ministeri coessenziali

al corretto funzionamento del governo (Giustizia, Esteri, Economia) la Corte avrebbe dovuto

14 Sul punto, cfr. le lucide osservazioni di P. Carnevale, La Corte e il referendum:un nuovo atto (osservazioni

sparse su taluni problemi relativi all’uso dei criteri di ammissibilità delle richieste referendarie nelle sentenze del 1993, con particolare riguardo al controllo sulla “razionale formulazione” del quesito abrogativo), cit., 244 ss.

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dichiararla inammissibile, in ossequio al principio che esclude l’abrogazione popolare nei confronti

delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, “perché necessarie per assicurare l’esistenza

ed il funzionamento di strutture costituzionalmente previste o presupposte”15.

A completamento di un percorso abbastanza limpido, dopo poco tempo il giudice delle leggi

blocca la consultazione popolare sulla legge istitutiva del Ministero della Sanità. Con la sentenza n.

17 del 1997 la Corte coglie l’occasione per ribadire che la richiesta di soppressione totale di un

ministero coinvolgerebbe l’eliminazione delle rispettive funzioni che in talune circostanze risultano

costituzionalmente necessarie in quanto preordinate a dare attuazione ai diritti fondamentali

garantiti dalla Costituzione. Le due decisioni (del 1993 e del 1997) sembrano chiarire il pensiero dei

giudici costituzionali e fugano ogni preoccupazione circa la possibilità che la Corte, attraverso le

sue pronunce possa assecondare tentativi di destrutturazione del potere esecutivo16. Invero, il

giudice delle leggi, reputando il Governo organo costituzionale a struttura variabile, costituito da

alcuni dicasteri necessari, perché indispensabili all’azione di governo e dunque non sopprimibili e

da altri meramente accessori e perciò eliminabili, ha coerentemente, nel primo caso, ammesso e nel

secondo, escluso il ricorso allo strumento referendario.

Anche in materia elettorale la giurisprudenza costituzionale sembra mossa dalla

preoccupazione di ampliare il novero degli atti da includere nella categoria delle leggi a contenuto

costituzionalmente vincolato e dichiarare inabrogabile la legislazione elettorale relativa “alla

composizione e al funzionamento di organi costituzionali o di rilevanza costituzionale” (sent.

47/1991). Conformemente a tale impostazione, la Corte ha bloccato alcune proposte referendarie in

considerazione del fatto che l’abrogazione delle disposizioni concernenti la “correzione

proporzionale” del meccanismo maggioritario avrebbe provocato la paralisi di funzionamento

dell’organo parlamentare, “che in assenza di un intervento del legislatore non sarebbe in grado di

funzionare” (sent. n. 5/1995). Al fine di evitare che una eventualità di questo tipo si potesse

verificare, la Corte stabilisce che “tali norme elettorali potranno essere abrogate nel loro insieme

esclusivamente per sostituzione con una nuova disciplina, compito che solo il legislatore

rappresentativo è in grado di assolvere” (sent. n. 29/1987)17.

Con l’inclusione nella categoria di leggi a “contenuto costituzionalmente vincolato” (ma in

realtà le leggi elettorali sarebbero da ricondurre nel catalogo delle “leggi costituzionalmente

15 Così, L. Paladin, Profili problematici della giurisprudenza costituzionale sull’ammissibilità dei referendum,

presentata al Seminario di studi sul giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, Roma 5 – 6 luglio 1996, 13, il quale nutre parecchi dubbi sulla possibilità che, alla luce del parametro delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, si possano ritenere ammissibili referendum proposti per l’abrogazione dell’intero ordinamento giudiziario, o della Corte dei Conti o del Consiglio nazionale dell’Economia e del lavoro, nonché della legge n. 87 del 1953.

16 In senso contrario, E. Malfatti – S. Panizza – R. Romboli, Giustizia, cit., 271, secondo cui un siffatto rischio non è scongiurato del tutto. 17 Per il profilo relativo alla giurisprudenza della Corte sulla “auto applicabilità” della normativa elettorale v. infra § 8.

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necessarie”, poiché esse “non possono mancare del tutto ma possono essere modificate”18) anche di

quelle disposizioni attuative della Costituzione la cui abrogazione porterebbe alla paralisi di un

organo costituzionale o di rilevanza costituzionale o di un principio fondamentale, la Corte ha

tentato di dare risposta al problema della compatibilità tra disciplina di risulta e principi

costituzionali. Con la sottrazione di siffatta categoria di atti normativi allo strumento referendario,

l’organo di giustizia costituzionale è stato in grado di intervenire preventivamente per evitare la

lesione di un principio costituzionale da parte della normativa residua, anche laddove la legge di cui

si chiede l’abrogazione non rappresenti l’”unica” attuazione di un principio di rango costituzionale.

Soltanto in questa evenienza troverebbe fondamento l’estensione del controllo sull’ammissibilità, al

di la dei confini formali segnati dall’art. 75, idoneo a “stabilire, in via preliminare, se non si

impongano altre ragioni, costituzionalmente rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile

precludere il ricorso al corpo elettorale, ad integrazione delle ipotesi che la Costituzione ha previsto

in maniera puntuale ed espressa” (così, sent. n. 16 del 1978). Tuttavia, trattandosi di un limite

“esterno” che non trova cittadinanza nella disposizione costituzionale dovrebbe essere utilizzato con

parsimonia in funzione oppositiva allo svolgimento della consultazione referendaria, nella

consapevolezza che così facendo la Corte rischia di attenuare “forzosamente la consistenza del

diritto”19.

In tal modo, si fa strada un nuovo limite rispetto a quelli fissati nell’art. 75, riscontrabile nel

rapporto tra disciplina di risulta e il quadro dei principi disposto dalla Costituzione. Il giudizio di

ammissibilità del referendum abrogativo svolgerebbe una funzione ultronea rispetto all’originario

assetto, precludendo la consultazione qualora gli effetti del referendum fossero incostituzionali20.

La circostanza che la Corte abbia in tante occasione voluto rimarcare la netta distinzione tra leggi a

contenuto costituzionalmente vincolato e leggi costituzionalmente necessarie (cfr. ad es. sen. n.

47/1991; n. 17 /1997), per affermare che nei confronti di queste ultime non è possibile svolgere una

valutazione di inammissibilità, va compresa alla luce dell’idea di evitare che il giudizio sul

referendum abrogativo si trasformi, sovrapponendosi, in un controllo di legittimità costituzionale in

via preventiva21.

La costante volontà di rimarcare il principio della irrilevanza dell’effetto abrogativo al

momento di svolgimento del giudizio sull’ammissibilità è legata all’esigenza di evitare un

pronunciamento anticipato sulla normativa di risulta e di affermare il carattere necessariamente

successivo del sindacato di costituzionalità sulla disciplina scaturente dall’esito referendario.

18 Questa posizione è espressa, fra gli altri, da A. Pertici, Il giudizio di ammissibilità, cit., 500). 19 Così, G. Silvestri, Il popolo sotto tutela, cit. 20 A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti, cit. 404. 21 Sul punto, S. Niccolai, Il giudizio sull’ammissibilità del referendum abrogativo, in Aggiornamenti in tema di

processo costituzionale, a cura di S. Niccolai, 282.

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Siffatta giurisprudenza sarebbe determinata, secondo un’autorevole opinione22, dalla difficoltà dei

giudici della Consulta di delineare i precisi contorni della normativa a seguito della consultazione

popolare. Si tratterebbe di “una impossibilità pratica e giuridica”: precisamente l’impossibilità

pratica “di prevedere le reazioni del diritto vivente all’atto abrogativo” scaturirebbe

dall’impossibilità giuridica per la Corte di “bloccare in anticipo i processi interpretativi spettanti ad

altri poteri dello Stato”23. Il giudizio preventivo di costituzionalità sarebbe infatti precluso dalle

stesse disposizioni costituzionali dalle quali emergerebbe l’intenzione di affidare alla Corte il

controllo sulla legittimità del potere di richiedere una consultazione popolare per l’eliminazione di

un atto, piuttosto, difetterebbe in capo alla stessa la competenza di verificare la legittimità del fine

perseguito dai promotori; in buona sostanza non esisterebbe in Costituzione “una limitazione dei

fini perseguibili, ma solo dell’oggetto e delle materie”24.

Si comprende bene, allora, come malgrado gli ammirevoli sforzi compiuti dal giudice delle

leggi, sul punto, anche in occasione dell’ultima tornata referendaria del 2005, rimane impellente la

necessità che esso si dia carico di fornire un quadro puntuale e coerente di indicazioni per dare una

sistemazione organica alla problematica delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato25, che

sembra costituire, a tutt’oggi, se non una vera e propria zona d’ombra, certamente un ambito

altamente controverso del giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo.

Invero, al di là delle mere affermazioni teoriche, i “continui scivolamenti” operati in concreto

dalla Corte dalla tipologia delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato a quella molto più

ampia delle leggi “obbligatorie” comporta il pericolo di dare corso ad “un’inarrestabile processo di

riduzione degli spazi consentiti al dispiegarsi del referendum”26. Così, al fine di ovviare agli

inconvenienti correlati all’attrazione dell’”intera massa delle discipline legislative destinate ad

attuare la Costituzione”27 nella sfera dell’immunità dallo strumento referendario, è stato suggerito

un accorgimento che potrebbe, addirittura, consentire alla Corte di intraprendere la direzione

opposta rispetto a quella seguita finora, ovvero verso un indirizzo giurisprudenziale che restringa al

minimo l’area dell’inabrogabilità, attraverso un drastico ridimensionamento della tipologia delle

leggi a contenuto costituzionalmente vincolato. Partendo dalla constatazione che il rinvio

dell’effetto abrogativo, previsto dall’art. 37, 3° co. della l. n. 352, fino a sessanta giorni dalla

22 G. Silvestri, Il popolo sotto tutela: garanzia formale e criterio di ragionevolezza nella conformazione

giurisprudenziale del diritto al referendum, cit. 23 Cfr., G. Silvestri, Il popolo sotto tutela, cit., 6.

24 Ancora, G. Silvestri, op. cit. 6. 25 In questo senso interviene L. Paladin, Profili problematici, cit. 26 Così, A. Ruggeri – S. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, cit., 401., che richiamano, in proposito,

una decisione del 2000, n. 49 in cui la Corte, pur avvertendo che la disciplina sul lavoro a domicilio non è annoverabile fra quelle a contenuto costituzionalmente vincolato, afferma che essa non può ugualmente essere puramente e semplicemente abrogata, perché ciò determinerebbe il venir meno della relativa tutela costituzionale.

27 Testualmente, L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna 1996, 288.

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pubblicazione del decreto dichiarante l’avvenuta abrogazione è da ritenersi insufficiente perchè il

legislatore possa intervenire ed evitare il vuoto normativo prodotto dall’esito referendario, l’idea

sarebbe quella di “saltare l’ostacolo”28, rimandando indefinitamente l’effetto abrogativo, fin tanto

che non sia intervenuta una nuova normativa. Tuttavia il rischio di un simile modo di procedere

sarebbe legato alla circostanza che, così facendo, il referendum perderebbe la sua natura ablativa,

tramutandosi in un atto propositivo che lascerebbe ampia discrezionalità al legislatore anche con

riferimento all’an.

A conclusioni non molto dissimili giunge anche chi29 si esprime a favore di una modifica del

richiamato art. 37 nel senso di trasformare la facoltà di ritardare l’entrata in vigore dell’abrogazione

in una sospensione obbligatoria estensibile fino a sei mesi, qualora l’atto oggetto della

consultazione referendaria sia stato qualificato, nella pronuncia di ammissibilità, alla stregua di

legge “costituzionalmente obbligatoria”. Questa modifica consentirebbe di realizzare un equilibrato

compromesso tra le ragioni “referendarie” e la garanzia di un corretto funzionamento degli organi

costituzionali, in quanto “il sacrificio rappresentato dalla cospicua procrastinazione nel tempo

dell’effetto abrogativo, sarebbe per il referendum popolare bilanciato dalla maggiore latitudine

dell’ambito materiale di ammissibilità”30.

La modifica nel senso indicato troverebbe la sua ratio nella circostanza che “in ambito

attuativo della Costituzione l’ordinamento non può in alcun modo ammettere l’assenza di

normativa, il mero vacuum”. Altra soluzione che sembra rispondere al medesimo intento di aggirare

il limite derivante dall’esigenza di assicurare una continuità normativa, in modo da consentire un

allargamento del campo di settori sottoponibili al referendum, è quella riconducibile alla

individuazione del principio della cd. “ultrattività”. In virtù di tale principio, qualora la normativa

residua non fosse immediatamente applicabile, resterebbe in vigore quella precedente, seppur

abrogata. Siffatta prospettazione è stata negata dalla Corte che, a proposito della legislazione

elettorale, con la pronuncia n. 26/1997, ha escluso l’esistenza di una regola di ultrattività, in deroga

ai principi che regolano la successione delle leggi nel tempo31.

Proprio allo scopo di superare la posizione di chiusura della Corte si può ritenere a tutt’oggi

apprezzabile l’idea di innovare la disciplina legislativa che regola la successione delle leggi nel

tempo, con l’introduzione di una norma che preveda il principio di ultrattività legislativa con

28 La proposta è avanzata da L. Paladin, Le fonti del diritto, cit., 337. 29 Cfr. F. Modugno – P. Carnevale, Divagazioni in tema di referendum abrogativo e di giudizio di ammissibilità

delle proposte di abrogazione popolare a diciotto anni, cit., 6. 30 Testualmente, F. Modugno, P. Carnevale, Divagazioni, cit., 6. 31 Sostanzialmente nello stesso senso, G. Gemma, Referendum, leggi elettorali, leggi costituzionalmente

necessarie: un (sempre valido) no della Corte, in Giur. Cost., 1997, 214, il quale precisa, fra l’altro, come il principio dell’ultrattività si porrebbe in evidente contraddizione con la natura oppositiva del referendum che finirebbe per acquistare una funzione di tipo consultivo.

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riferimento a quelle discipline che riguardino l’operatività di organi o meccanismi

costituzionalmente necessari32. Entrambe le soluzioni indicate sembrano poter soddisfare l’esigenza

di ottenere un ridimensionamento dell’area di legislazione sottratta al voto popolare ed, oltretutto,

per questa via, il referendum potrebbe essere utilizzato per consentire al corpo elettorale di

esprimersi direttamente anche su settori più qualificati di attuazione immediata dei valori di rango

costituzionale.

3. La sentenza n. 45 del 2005 ribadisce la netta distinzione tra giudizio di ammissibilità del quesito referendario e giudizi sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti con forza di legge

Con la recente pronuncia relativa al giudizio di ammissibilità sulla richiesta di referendum popolare

per l’abrogazione totale della legge 19 febbraio 2004 n. 4033, recante Norme in materia di

procreazione medicalmente assistita, la Corte Costituzionale ha avuto modo di rafforzare il proprio

orientamento ribadendo, in una sorta di preambolo alla stessa decisione, il principio secondo cui

nell’ambito del controllo sui quesiti referendari la sua competenza si atteggia con caratteristiche

specifiche ed autonome nei confronti degli altri giudizi riservati a questa Corte (sent. n. 251 del

1975 e n. 16 del 1978).

Di conseguenza - restando estranea la valutazione di eventuali profili di illegittimità costituzionale

della legge n. 40 del 2004 –“dalla presente decisione non è certo lecito trarre conseguenze circa la

conformità o meno a Costituzione della menzionata normativa, né è questa parimenti, la sede di un

giudizio sull’illegittimità costituzionale dell’eventuale disciplina di risulta derivante dall’effetto

abrogativo del referendum ( sent. n. 24 del 1981 e n. 26 del 1987)”.

Ciò nondimeno – si legge in motivazione (punto 5 del considerato in diritto) - fin dalla famosa

sentenza del 1978, alla Corte è demandato il compito di escludere i referendum, anche al di là della

lettera dell’art. 75, comma 2°, ogniqualvolta lo richieda la salvaguardia “di valori di ordine

costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie”. Sulla scorta di tale

ragionamento la richiesta di sottoporre a referendum l’intera legge n. 40 deve ritenersi

inammissibile, in quanto essa va annoverata tra quelle costituzionalmente vincolate, poichè

garantisce il “nucleo costituzionale irrinunciabile” di tutela di un principio costituzionale (secondo

quanto enunciato con le pronunce n. 42 e n. 49 del 2000).

32 Durante la XIII legislatura è stato presentato una proposta di legge (n. 2423) con la quale si disponeva che “la

successione nel tempo delle leggi elettorali è regolata dal principio secondo cui la norma anteriore continua ad applicarsi fino alla completa attuazione e operatività di quella posteriore”, sul punto ampiamente A. Pertici, Il giudizio di ammissibilità, cit., 504, in particolare nota 147. 33 Per un nota a prima lettura della sent. 45/2005, cfr. A. Ruggeri, “tutela minima” di beni costituzionalmente protette referendum ammissibili (e…sananti) in tema di procreazione medicalmente assistita, in Forum di Quaderni Costituzionali.

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Precisamente, l’ultima decisione viene richiamata nella parte in cui si afferma che le leggi

costituzionalmente necessarie “in quanto dirette a rendere effettivo un diritto fondamentale della

persona, una volta ad esistenza possono essere dallo stesso legislatore modificate o sostituite con

altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate, così da eliminare la

tutela precedentemente concessa, pena la violazione diretta di quel medesimo precetto

costituzionale della cui attuazione costituiscono strumento”.

L’accostamento operato dalla Corte tra leggi costituzionalmente vincolate di cui si parla nella

decisione n. 45 del 2005 con quelle costituzionalmente necessarie menzionate nella precedente

pronuncia del 2000 rafforza il convincimento, peraltro diffuso in dottrina34, che la giurisprudenza

costituzionale è incline a ritenere oramai superata una sicura linea di demarcazione tra i due tipi di

atti. L’intera legge n. 40, disciplinando, per la prima volta, in maniera organica molteplici profili

connessi o collegati alla procreazione medicalmente assistita rientra tra leggi costituzionalmente

necessarie. Essa regola – precisano i giudici costituzionali - un delicato settore che “indubbiamente

coinvolge una pluralità di rilevanti interessi costituzionali, i quali, nel loro complesso, postulano

quanto meno un bilanciamento tra di essi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa”. E’

stato sostenuto35 che in questa occasione la Corte utilizza la medesima ratio decidenti che in passato

aveva giustificato la dichiarazione di inammissibilità del quesito che chiedeva l’abrogazione della l.

194.

Ora come allora, in vista dei delicatissimi interessi in gioco, la Consulta viene chiamata ad

effettuare un raffronto tra oggetto del quesito e precetti costituzionali, proprio al fine di scongiurare

il rischio che il venir meno di una determinata disciplina possa ricreare un vuoto normativo che

comporti un pregiudizio totale di un principio costituzionale, consistente in una diretta ed

immediata vulnerazione dei diritti fondamentali della persona. Ma con una differenza di grande

rilievo: mentre nel 1997 la Corte motiva l’inammissibilità della domanda abrogativa ascrivendo la

disciplina oggetto del giudizio nel novero delle leggi costituzionalmente vincolate, nell’ultima

vicenda referendaria, ammettendo “la naturale difficoltà a distinguere in concreto le leggi a

contenuto costituzionalmente vincolato a quelle semplicemente riferibili a norme e principi

costituzionali”, afferma esplicitamente che la legge in materia di procreazione medicalmente

assistita è una normativa “costituzionalmente necessaria” e dunque sottratta alla possibilità di essere

sottoposta alla deliberazione popolare.

34 Così, ad esempio, R. Tosi, Intervento, in AA. VV., I referendum regionali e la giurisprudenza costituzionale,

cit., 257. 35 P. Cavana, Appunti sulla l. n. 40/2004 e sui quesiti referendari in materia di procreazione medicalmente

assistita, in Diritto di famiglia e delle persone, n. 2 – 2005, 434.

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4. I limiti attinenti al quesito referendario: omogeneità, chiarezza, matrice razionalmente

unitaria.

Altra delicatissima questione è quella relativa alla elaborazione dei criteri operata dalla

giurisprudenza costituzionale in merito alle caratteristiche del quesito referendario. Con riguardo al

limite relativo alla formulazione della richiesta si è parlato di un “limite di ordine ontologico”36; si

tratta, con buone probabilità, del limite che presenta il maggior grado di problematicità fra quelli

collocabili al di là della lettera dell’art. 75. Invero, tali limiti incidono direttamente sulla struttura

della richiesta e interessano l’istituto referendario nella sua specifica funzione di consentire

l’espressione diretta del corpo elettorale. Per queste ragioni molti ritengono che tali requisiti della

domanda possano trovare ambito di applicazione anche con riferimento al referendum

costituzionale ( ma, sul punto, v. infra § 11) . Con altre parole, la Corte è chiamata a compiere un

indagine sul modo in cui il quesito viene predisposto, per inibire lo svolgimento della consultazione

referendaria, allorquando vertendo essa su una “pluralità di domande eterogenee, carenti di una

matrice razionalmente unitaria” finisce per discostarsi palesemente dagli scopi che con il

referendum il Costituente intendeva realizzare, primo fra tutti quello, di far pronunciare i cittadini

con un voto libero e consapevole.

Traccia di questa impostazione si ritrova nei lavori dell’Assemblea Costituente in cui venne

avvertita la necessità che i cittadini fossero messi nelle condizioni di avere una conoscenza, quanto

più approfondita possibile, delle questioni sottoposte al giudizio degli elettori. Di qui l’importanza

di predisporre un quesito semplice e comprensibile e, di conseguenza, di dichiarare inammissibili

quelli carenti di chiarezza e capaci, perciò, di ingenerare confusione circa il significato autentico

della proposta referendaria. Tal ché, la richiesta referendaria non dovrà essere soltanto omogenea,

secondo quanto affermato inizialmente con la sentenza n. 16 del 1978, ma altresì rispondente al

carattere della completezza.

Così, l’orientamento della giurisprudenza subisce lente ma significative trasformazioni e a

partire dalla decisione n. 27/1982 esige che il quesito debba essere formulato in modo tale da

agevolare un alto grado di consapevolezza dell’elettorato circa le conseguenze che un eventuale

esito positivo del referendum produrrebbe nell’ordinamento. Il diritto di operare una scelta

consapevole può trovare soddisfacimento soltanto se il quesito risponde ad una ratio puntuale e

riesce ad evidenziare il fine intrinseco della richiesta stessa (sent. n. 29/1987).

In maniera ancor più esplicita la sent. n. 41/1997 si sofferma sulla esigenza di coerenza

dell’intera operazione referendaria, in modo che siano assicurati rispettivamente “chiarezza nella 36 L’espressione viene utilizzata da G. Azzariti, Il modello della sentenza n. 16 del 1978 e il carattere abrogativo del referendum: un ritorno al futuro, in Costituzionalismo.it.

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finalità unidirezionale e chiarezza nella struttura del quesito”. La chiarezza va dunque apprezzata in

relazione alla possibilità di scegliere tra il mantenimento e la eliminazione di una determinata

normativa. In qualche occasione, tuttavia, la Corte giunge anche alla “bocciatura” di quesiti che non

consentano una chiara individuazione della normativa che si vorrebbe introdurre in sostituzione di

quella vigente (sent. n. 40/1997), sicché, l’alternativa viene posta tra una regolamentazione ed

un’altra, tra la conservazione della normativa in vigore e la sua sostituzione con un altra37. Con la

duplice conseguenza di incoraggiare l’utilizzo di tecniche manipolative, per un verso, e per l’altro,

di dare giustificazione allo svolgimento di un giudizio anticipato sul risultato referendario38.

I giudici costituzionali sembrano prendere progressivamente le distanze dalla originaria

tendenza volta a pretendere esclusivamente il rispetto del limite attinente alla omogeneità fino ad

esigere la coerenza della normativa di risulta rispetto all’intendimento dei promotori. Infatti, il

quesito deve evidenziare – ad opinione dei giudici costituzionali - il fine intrinseco della richiesta

referendaria, rispondendo ad una ratio puntuale e, cioè, all’evidenza e all’univocità del momento

teleologico (sent. n. 29/1993). La Corte sembra richiedere, cioè, la coerenza della normativa di

risulta con gli intendimenti dei promotori. I referendum manipolativi non risultano in linea di

principio vietati, poiché la preclusione riguarderebbe unicamente quei quesiti capaci di “creare una

disciplina totalmente diversa ed estranea al contesto normativo” (sent. 13/1997). La tecnica del

ritaglio è, dunque, ammessa solo se rivolta a far vivere una disciplina nuova ma non totalmente

estranea al quadro legislativo. Con la conseguenza di dichiarare ammissibili quesiti di abrogazione

parziale “espansiva”, consistenti, in buona sostanza, nell’alterazione di testi di legge, attraverso il

ritaglio di frammenti lessicali che, considerati isolatamente, non presentano alcun autonomo

significato. Tale indirizzo risulta confermato da una successiva pronuncia (sent. n. 50/2000),

laddove viene puntualizzato che l’effetto innovativo risulta connaturato all’abrogazione, in quanto

con la stessa si mira a realizzare un diverso assetto normativo, sebbene nel rispetto del divieto di

introdurre discipline assolutamente differenti dal contesto normativo.

Non è mancato chi ha evidenziato l’errore di prospettiva commesso dalla Corte nel ritenere

ammissibili domande manipolative che, anziché incidere (legittimamente) su una o più disposizioni,

ricadono su “mere parole inidonee a dar vita ad un precetto normativo”39. Proprio tale prospettiva,

in realtà fuorviante, potrebbe aprire la strada alla anticipazione, in sede di giudizio di ammissibilità,

dello scrutinio sulla normativa di risulta.

37 In proposito, diffusamente, A. Pertici, Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, Aggiornamenti in tema, cit.,494. 38 Tali preoccupazioni sono evidenziati da A. Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia, cit., 406. 39 Così, A, Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti, 406, si realizzerebbe, in tal modo, “uno scivolamento dell’oggetto del referendum dal piano delle fonti – disposizioni a quello delle mere parole”.

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Da molti è stata avanzata la proposta di affidare all’Ufficio centrale per il referendum il

compito di rimodellare il quesito, in modo da renderlo più chiaro e intelligibile, anche attraverso

una rivisitazione della disciplina nel senso di consentire l’impugnabilità, dinanzi alla Corte

Costituzionale, delle relative ordinanze. Nondimeno, la Corte ha sempre manifestato la sua

contrarietà verso simili soluzioni, sulla base del convincimento che le due fasi vadano tenute

rigorosamente distinte e separate. Vale, comunque, ricordare che, nelle tornate referendarie relative

all’ultimo decennio, l’U.C.R. – grazie a quanto previsto dall’art. 32 della l.n. 352 - è intervenuto in

maniera massiccia, con interventi correttivi, sulle richieste referendarie, in modo da renderli congrui

e idonei rispetto allo scopo di agevolare una reale comprensioni delle ragioni del Si e delle ragioni

del No da parte degli elettori40. Trattandosi di un controllo sostanzialmente assimilabile a quello

svolto dalla Corte sulla chiarezza della proposta abrogativa si finisce per assistere ad una “reale

sovrapposizione di competenze sindacatorie”41, tale da comportare inevitabilmente casi di

difformità e di contrasto tra le decisioni adottate dai due organi. La soluzione suggerita di affidare

all’Ufficio centrale, in prima istanza, ed alla Corte, in sede di riesame, il giudizio sulla formulazione

del quesito costituirebbe un valido rimedio per restituire efficienza e credibilità al “sistema dei

controlli interni al procedimento referendario”42 ed al contempo a far superare alla Corte le

insormontabili difficoltà, incontrate in questi anni, nella delineazione di un quadro rigoroso,

affidabile e dunque, anche prevedibile di limiti incidenti sulla struttura del quesito referendario.

Sezione II 5. La “zona franca” relativa all’ assenza di un meccanismo volto a custodire il risultato referendario da norme successive riproduttive di altre abrogate direttamente dal corpo elettorale

Anche se il Testo Costituzionale nulla stabilisce al riguardo, sembra ragionevole ritenere che

l’esito abrogativo del referendum costituisca un vincolo giuridico, oltre che politico, a cui il

legislatore, innanzitutto, si deve attenere43. Non pare che possa essere messo in discussione il

principio secondo cui gli atti legislativi successivi ad una consultazione popolare devono porsi in

sintonia con la volontà abrogativa espressa dal corpo elettorale. In più occasioni la Corte ha avuto

modo di precisare che alle Camere non è consentita la scelta politica di far rivivere, sia pure a titolo

transitorio, la normativa contenuta in una disposizione abrogata tramite referendum. Il legislatore,

infatti, osservano i giudici, pur potendo intervenire per emendare, modificare od integrare la

40 41 Così si esprime, V. Baldini, L’intento dei promotori, cit., 183 42 Ancora, V. Baldini, op. e loc. cit., 183.

43 Per la tesi contraria sembra propendere, Guastino, Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato di diritto civile e commerciale, a c. di Cicu , Messineo, Mengoni, Milano 1998, vol. I, t. i, 448 secondo cui la funzione legislativa attribuita alle Camere non sarebbe sottoposta all’osservanza del risultato referendario.

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disciplina di risulta, incontra il limite “del divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa

abrogata” (sent. n. 468/1990; 33/1993). Le Camere, invero – osserva la Corte - conservano il potere

di intervenire nella materia oggetto dell’atto ablativo popolare “senza limiti particolari che non

siano quelli connessi, appunto, al divieto di far rivivere la normativa abrogata” (sent. n. 32 del

1993). Il vincolo giuridico che il legislatore è tenuto ad osservare, infatti, non si fa discendere da

una relazione gerarchica in cui il referendum sarebbe fonte sovraordinata rispetto alla legge

ordinaria, in quanto è regola consolidata nel nostro sistema costituzionale quella della pari

ordinazione tra i due tipi di atti. Anzi, è stato fatto osservare che proprio in virtù della sua

collocazione tra le fonti primarie il referendum sarebbe “naturalmente esposto a risentire della

generale condizione di precarietà che coinvolge il sistema”44. Piuttosto, l’esigenza di preservare

l’esito referendario, ricavabile direttamente dal combinato disposto degli artt. 1, co. 2° e 75 Cost.

nella parte in cui rimette ai cittadini il potere di abrogare la legge attraverso uno strumento di

democrazia diretta, trae fondamento da quel quid in più che il referendum possiede rispetto alle altre

fonti primarie. L’eccesso di forza politica da cui il referendum risulta contraddistinto troverebbe

ulteriore conferma nella capacità stabilizzante e conservativa che si riversa sulla legislazione nel

caso in cui la consultazione popolare avesse respinto il referendum. Invero, “se il rifiuto proviene

dal popolo, la deliberazione negativa conferisce alla legge una forza, che non è certo efficacia

giuridica, ma che è egualmente capace di conferirle un supplemento di legittimazione (o di autorità)

suscettibile di modificarne la posizione nell’ordinamento”45.

Sulla scorta di tale orientamento è stato esattamente precisato che l’atto – referendum

abrogativo di una data disciplina “una volta entrato in vigore parrebbe assumere quodammodo una

forza passiva superlegislativa, seppur limitatamente alla predetta ipotesi di <riproduzione>”46. La

superiorità della forza passiva della fonte referendaria rispetto ad un atto legislativo successivo può

trovare giustificazione soltanto alla luce del principio di sovranità popolare, contenuto nell’art. 1, di

cui il referendum abrogativo costituisce immediata attuazione.

Peraltro, non si può non evidenziare come, se per un verso, il plusvalore politico del

referendum deriva dall’essere manifestazione diretta della sovranità popolare, dall’altra che le sue

potenzialità espansive non sono quantificabili, dipendendo gli stessi da molteplici fattori (come ad

44 L’espressione è di C. Mezzanotte, Referendum e legislazione, in Atti seminario Roma, 13… 45 Ancora, C. Mezzanotte, Referendum, cit., 15 che osserva come la plusvalenza politica del referendum sul

divorzio - in occasione del quale il corpo elettorale si pronunciò a favore del mantenimento della legge Fortuna Baslini - si manifestò in maniera dirompente, segnando in maniera irreversibile il significato dell’art. 29 Cost. e, al contempo, sconfessando l’orientamento secondo cui l’indissolubilità del matrimonio era da considerarsi principio garantito dalla Costituzione.

46 Così, F. Modugno, P. Carnevale, Divagazioni in tema di referendum abrogativo e di giudizio di ammissibilità delle proposte di abrogazione popolare a diciotto anni dalla sent. n. 16 del 1978, intervento al seminario su “Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo”, Roma, Palazzo della Consulta 5 e 6 luglio 1996, 4.

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es. l’elemento temporale e la mutevolezza delle opinioni della coscienza sociale47). Comunque sia,

malgrado siffatte molteplici variabili abbiano sensibilmente influito sul differente grado di intensità

lasciato dalle diverse esperienze referendarie, sembra difficile negare che l’istituto del referendum

sia dotato di una qualità complementare, discendente proprio da quel “plus” di legittimazione

politica.

Rimane da stabilire se il divieto che incontra il legislatore di riproduzione della normativa

abrogata sia di carattere assoluto, ovvero limitato alla possibilità di reintrodurre l’atto ormai

eliminato dall’ordinamento soltanto con efficacia retroattiva48. Se fosse da prediligere questa

seconda ipotesi il ripristino comporterebbe la dichiarazione di illegittimità della nuova normativa

riproduttiva di quella abrogata soltanto ove questa producesse effetti con efficacia ex tunc. Qualora

invece la legge disponesse unicamente per il futuro sarebbe, semmai, ipotizzabile in capo al

legislatore una responsabilità di natura politica da far valere con la riproposizione, da parte del

corpo elettorale o dei cinque Consigli Regionali, di un nuovo referendum sulla disciplina analoga o

identica a quella che gli elettori avevano già bocciato49.

La tesi più accreditata, anche con il conforto della giurisprudenza costituzionale, resta

comunque quella che, allo scopo di salvaguardare il voto popolare, individua un limite

generalizzato al cui rispetto il legislatore sarebbe tenuto. Il giudice delle leggi si è, infatti, espresso

con chiarezza nel senso di ritenere ammissibile l’ordinario controllo di legittimità costituzionale

sulla normativa emanata dal legislatore a seguito del referendum per la mancata osservanza del

“divieto di formale e sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare” (ord.

9/1997).

Alla luce di tali considerazioni rimane ancora attuale la discussione intorno alla esigenza di

ricercare adeguati strumenti di tutela del risultato voluto dal corpo elettorale in sede di

consultazione referendaria50. Invero, il punto maggiormente controverso riguarda le modalità

attraverso cui far valere un siffatto vizio della legge riproduttiva di quella precedentemente

eliminata con il referendum. Circa l’inadeguatezza del conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato

si è espressa la Corte, respingendo il ricorso presentato dal comitato dei promotori, in quanto

47 Cfr. C. Mezzanotte, op. cit., in cui si fa l’esempio del referendum sulla legge n. 194 del 1978 in tema di

interruzione volontaria della gravidanza. In questa fattispecie, afferma l’Autore, il tasso di legittimazione supplementare insito nell’esito negativo della consultazione popolare è destinato ad attenuarsi nel tempo, in considerazione dei valori coinvolti (autodeterminazione della donna e diritto alla vita del nascituro), sicché non è da escludere che trascorso parecchio tempo dalla celebrazione del referendum sull’aborto possano riaffiorare “aspettative collettive di valore che la soluzione referendaria non sia stata in grado di sopire per sempre”. (op. cit. 17).

48 In proposito, cfr. le considerazioni di G. Salerno, Alcune considerazioni in tema di effetti consequenziali del referendum “di principio” in materia elettorale, in Giur. it.1996, IV, 289; R. Pinardi, Riflessioni a margine di un obiter dictum sulla costituzionalità delle leggi successive all’abrogazione referendaria, in Giur. cost., 1997, 48.

49 In argomento, G. Ferri, Il divieto di ripristino della normativa abrogata dal referendum e la discrezionalità del legislatore, cit., 74.

50 Ancora, F. Modugno, P. Carnevale, op e loc. cit.

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quest’ultimo non sarebbe legittimato a sollevare un conflitto dinanzi alla Corte in relazione ad una

legge che contraddice il risultato referendario (Corte Cost. ord. n. 9/1997). Infatti, la legittimazione

dei promotori rimane tale fino allo svolgimento della consultazione, dunque, con la proclamazione

dei risultati e a seguito della conseguente abrogazione delle disposizioni oggetto del referendum il

potere si è consumato.

La questione, dunque, va riesaminata alla luce dei due possibili istituti del giudizio sulle leggi

conosciuti dall’ordinamento italiano.

Con riguardo al giudizio in via principale, questo resterebbe precluso nel caso di referendum

indetto su iniziativa popolare, atteso che il comitato dei promotori non risulta fra i soggetti

legittimati, ai sensi dell’articolo 127, ad impugnare una legge statale viziata di illegittimità

costituzionale. Qualora, invece, il referendum fosse richiesto su iniziativa dei Consigli regionali si

potrebbe individuare in capo a tali soggetti il potere di promuovere giudizio innanzi alla Corte per

l’annullamento della legge ritenuta ripristinatoria della normativa abrogata a seguito del risultato

referendario.

E’ stato evidenziato51 come una simile ricostruzione finisca per creare una situazione di forte

disomogeneità in ordine all’accesso nel giudizio in via principale, che, in ultima analisi,

penalizzerebbe il referendum promosso su iniziativa popolare, risolvendosi in un minor grado di

tutela dell’esito della consultazione. Peraltro, la tesi suggerita anche ad opinione del suo stesso A.

presterebbe il fianco ad una obiezione ancor meno superabile. Infatti, l’esaurimento del

procedimento referendario sottrarrebbe anche la titolarità in capo ai Consigli Regionali ad attivare

strumenti in vista della tutela dell’esito eliminativo, avverso una legge successiva che pretendesse di

ripristinare le norme ormai abrogate. Non poco problematica sarebbe inoltre l’individuazione del

vizio di incostituzionalità rilevante ai fini del giudizio; il ricorso delle Regioni contro la legge

statale riproduttiva della norma abrogata dovrebbe trovare giustificazione nell’esigenza di tutela

della sfera di competenza degli enti regionali. Infatti, anche a seguito della modifica del Titolo V

che – come è noto – ha attenuato in maniera considerevole le differenze tra ricorso statale e ricorso

regionale, il ricorso della Regione può fondarsi solo sul vizio di invasione della sfera di competenza

attribuita dalla Costituzione all’ente regionale.

Invero, non è mancato chi, in dottrina, ha auspicato un mutamento di indirizzo da parte della

Corte che, anche da recente, ha mantenuto fermo il proprio orientamento a favore della vecchia

prassi, che in ragione della peculiare posizione riservata allo Stato a presidio dell’unità, conferisce

solo a quest’ultimo la legittimazione ad adire la Corte per eliminare una legge regionale affetta da

un qualunque vizio di incostituzionalità. Tuttavia, a seguito del rovesciamento della tecnica del

51 S. Panunzio, Chi è il “custode” del risultato abrogativo del referendum?, in Giur. Cost., 1997, fasc. 3, 1999 ss.

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riparto delle materie avvenuto con la riforma del titolo V e l’inserimento della clausola residuale a

favore delle Regioni, la Corte avrebbe dovuto, in coerenza con il nuovo impianto costituzionale,

ritenere ammissibile il ricorso regionale nel caso in cui le leggi statali “si spingono al di fuori del

loro campo <ristretto>, ed è dunque per queste che dovrebbe parlarsi di eccesso di competenza; per

contro le leggi regionali dovrebbero essere impugnate quando invadono la competenza riservata allo

Stato, ledendola, ed è dunque per quest’ultimo che dovrebbe parlarsi di interesse a ricorrere in caso

di danno”52. Sollecitazioni significative provengono dalla dottrina che, da tempo, è impegnata a

sottolineare l’esigenza di un “cambiamento di rotta”53 da parte del giudice delle leggi allo scopo di

un allargamento della tipologia dei vizi denunciabili non solo dallo Stato, ma anche dalle Regioni,

a tutte le ipotesi di incostituzionalità, anche diversi da quelli di incompetenza, “in quanto ognuno di

essi idoneo ad eliminare la legge “processata”54. La Corte Costituzionale, pur esprimendosi nel

senso di ritenere superata, dopo la riforma del 2001, la tradizionale asimmetria tra Stato e Regioni,

continua a richiedere all’ente regionale la dimostrazione di un interesse concreto al ricorso, che

scaturisce da una lesione delle proprie competenze (cfr. sent. nn. 94, 274 del 2003 e n. 287 del

2004). Nel caso qui prospettato difetterebbe proprio l’attualità della lesione, posto che una volta

concluso il procedimento referendario, i cinque Consigli Regionali verrebbero definitivamente

privati del potere attribuito loro dall’art. 75, 1° co., analogamente a quanto avviene per il comitato

dei promotori. A diversa soluzione si potrebbe giungere, forse, se le Regioni fossero legittimate ad

agire, ex art. 127, 2° co., per qualsiasi violazione dei parametri costituzionali, anche differenti da

quelli attributivi di competenze legislative.

Ove ciò fosse possibile si potrebbe ragionare intorno alla ipotesi di ricostruire la competenza

dei cinque Consigli Regionali alla impugnazione della legge lesiva del risultato referendario per

violazione diretta dei principi stabiliti negli articoli 1, 2° co. e 75, ovvero per contrasto indiretto con

quelle norme, fungendo l’abrogazione avvenuta attraverso il referendum da vera e propria “norma

interposta”55. Anche questa prospettazione, peraltro, non sembra del tutto soddisfacente alla luce

dell’orientamento a tutt’oggi dominante che attribuisce soltanto allo Stato la possibilità di agire

dinanzi alla Corte a generale presidio della Costituzione.

Invero, l’impostazione seguita dalla Corte di restringere i motivi deducibili dalle Regioni,

depotenziando di fatto lo strumento del sindacato in via principale, pare ancor meno condivisibile

alla luce di una ulteriore considerazione. L’esigenza di non limitare i meccanismi per la tutelabilità

giurisdizionale è resa più impellente alla luce della forma di governo di tipo maggioritario56. La

52 Così, T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Lineamenti di diritto regionale, Milano 2005, 322. 53 C. Padula, L’asimmetria nel giudizio in via principale, Padova 2005, 314. 54 E. Rossi, La legge controllata, Trento 1993, 138 e 141. 55 Cfr. M. Siclari, Le “norme interposte” nel giudizio di costituzionalità, Padova 1992, 105 ss. 56 Sul punto C. Padula, L’asimmetria, cit., 388.

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contrapposizione tra maggioranza ed opposizione a livello centrale può trovare un soddisfacente

bilanciamento nel ruolo svolto dalle autonomie costituzionali, soltanto se queste dispongono di

strumenti di tutela adeguati per opporsi ad una linea politica che volesse riproporre discipline su cui

gli elettori si sono espressi in modo inequivocabile, censurandole.

Per chiudere, sul punto, il riconoscimento alle cinque Regioni, che hanno proposto il

referendum, del potere di adire la Corte con il sindacato di costituzionalità in via principale

potrebbe garantire un più equilibrato rapporto tra centro e periferia, qualora la maggioranza

parlamentare avesse inteso vanificare il risultato referendario con una legge sostanzialmente

analoga a quella in precedenza bocciata dal popolo.

Il rimedio più naturale messo a disposizione dall’ordinamento contro una legge riproduttiva di

un provvedimento abrogato rimane, a questo punto, quello del giudizio in via incidentale. Esso,

peraltro, presenta non pochi inconvenienti, il più rilevante dei quali è legato alle difficoltà di

applicare in un giudizio alcune discipline legislative, come ad esempio la legge sul finanziamento

pubblico dei partiti e le leggi elettorali57. Proprio il carattere concreto del giudizio rappresenta

l’inconveniente più significativo alla possibilità che una questione di costituzionalità possa giungere

all’esame della Corte Costituzionale.

In una prospettiva de iure condendo si potrebbe pensare alla introduzione nel nostro sistema

costituzionale di un ricorso individuale e diretto del cittadino per la tutela, nei confronti dei pubblici

poteri, dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione “secondo condizioni, forme e termini di

proponibilità stabiliti con legge costituzionale” (v. testo elaborato dalla Commissione bicamerale

per le riforme costituzionali, istituita nel 1997). Se si ritiene di poter aderire alla tesi secondo cui la

richiesta referendaria va qualificata alla stregua di un diritto politico58, comprimibile unicamente in

presenza dei limiti stabiliti in modo espresso dall’art. 75, 2° co., i cittadini sarebbero abilitati ad

impugnare in via immediata davanti alla Corte provvedimenti legislativi che risultino, appunto, non

rispettosi della volontà espressa dal popolo tramite referendum, per contrasto con gli articoli, 1, 2°

co. e 75 Cost.

Un ulteriore meccanismo per garantire l’esito referendario potrebbe essere quello del conflitto

di attribuzione, riconoscendo il potere a sollevare il conflitto allo stesso comitato promotore del

referendum, con l’apporto di un correttivo che potrebbe servire a ridurre i rischi legati ad un uso

troppo ampio dell’istituto. Una delle ragioni a sostegno della tesi preferita dalla Corte di escludere

57 Proprio in considerazione della evidente difficoltà di sottoporre le leggi elettorali al giudizio di costituzionalità

parte della dottrina si è espressa a favore di un controllo preventivo sulla normativa di risulta da svolgersi in sede di ammissibilità del referendum abrogativo, così Floridia, Referendum elettorale e difetti della normativa di risulta: “inconvenienti” vs. “impedimenti”, 238.

58 Di quest’avviso A. Pizzorusso, intervento al Seminario di Roma del 1996, nonché, G. Silvestri, Il popolo sotto tutela: garanzia formale e criterio di ragionevolezza nella conformazione giurisprudenziale del diritto al referendum, ivi, 1.

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la prerogativa in capo al comitato di agire dinanzi alla Corte a difesa del risultato referendario

trovava la sua giustificazione nella necessità di evitare che il comitato di un referendum abrogativo

potesse agire nei confronti di una legge anche dopo tanto tempo dallo svolgimento della

consultazione popolare.

Le conseguenze di un moltiplicarsi del contenzioso da dirimere a seguito di un diverso

indirizzo della Corte, incline a riconoscere una legittimazione ai diversi gruppi di sottoscrittori di

referendum svoltisi anche in epoca assai risalente, potrebbero essere ovviate attraverso la

predisposizione di un limite temporale, decorso il quale la titolarità di agire dovrebbe ritenersi

definitivamente consumata e con essa il relativo potere di sollevare conflitto di attribuzioni. Sulla

scorta di quanto previsto dalla disposizione contenuta nella l. n. 352 del 1970 (art. 38) in virtù della

quale “nel caso che il risultato del referendum sia contrario all’abrogazione di una legge o di un atto

avente forza di legge (…) ne è data notizia e non può proporsi richiesta di referendum per

l’abrogazione della medesima legge prima che siano trascorsi 5 anni” si potrebbe immaginare

l’introduzione di un termine perentorio entro il quale poter agire in giudizio a tutela del risultato

referendario.

In altri termini, con l’ausilio di una interpretazione adeguatrice59 di tale previsione si potrebbe

stabilire il divieto di reintrodurre la disciplina abrogata a seguito di referendum per un quinquennio,

a decorrere dalla data di svolgimento della consultazione popolare, al fine di circoscrivere l’obbligo

delle Camere almeno fino alla scadenza della legislatura in cui si è tenuto il referendum.

L’introduzione di una norma di tal fatta avrebbe il pregio di conferire una legittimazione “a

termine” al Comitato dei promotori ad agire in giudizio contro una legge lesiva del risultato

referendario. Decorso il termine del quinquennio il potere dei promotori sarebbe definitivamente

esaurito e in concomitanza si riespanderebbe la piena discrezionalità del legislatore con riferimento

a quel settore dell’ordinamento interessato su cui grava l’esito del referendum. Tale soluzione di

tipo cronologico, capace di limitare l’ampiezza del vincolo referendario, sembrerebbe offrire una

apprezzabile risposta anche in vista della considerazione secondo cui il trascorrere del tempo

costituisce un fattore significativo al fine di giustificare la riproposizione delle norme abrogate,

soprattutto se frattanto tra il referendum e l’adozione di una nuova disciplina vi sia stato lo

svolgimento di elezioni politiche che hanno ampiamente rinnovato la rappresentanza parlamentare,

proprio perché in questa evenienza sarebbe possibile sostenere che il corpo elettorale abbia espresso

un voto che coinvolge anche la richiesta di una modifica dell’assetto normativo un tempo

condiviso60. Secondo una parte della dottrina l’ancoraggio all’elemento temporale, pur dotato di

59P. Carnevale, La Corte e il referendum, cit., 2279. 60 La fissazione di un limite temporale è tanto più opportuna quanto si consideri anche la circostanza che il tempo

cui far riferimento è quello dello svolgimento del giudizio di costituzionalità e non quello relativo all’approvazione

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validità a livello concreto, risulterebbe debole sul piano teorico. La soluzione suggerita61 per fornire

una risposta alla problematica in oggetto ( analoga a quella che si pone a proposito dell’attività

legislativa “consequenziale” a decisioni di annullamento della Corte) potrebbe essere quella di

distinguere il caso di un ripristino che “intervenga a situazione normativa immutata”, da considerare

senz’altro illecito perché avvenuto in sostanziale disprezzo del voto popolare, da una riscrittura

della legge abrogata dal voto popolare che si inserisca in un assetto complessivo oramai mutato che

dovrebbe ritenersi lecita, proprio in ragione delle innovazioni che, frattanto, hanno cambiato il volto

di un determinato scenario normativo.

Ciò nondimeno, su altro versante, resta sempre valida l’idea prospettata62 in base alla quale il

compito di custodire il risultato referendario vada affidato al Capo dello Stato che potrebbe, in

prima battuta, rinviare alle Camere per una nuova deliberazione la legge infedele rispetto al verdetto

referendario ed, eventualmente, nel caso di riapprovazione potrebbe opporre il definitivo rifiuto di

promulgazione, atteso che la stessa promulgazione venga a configurare in capo al Presidente della

Repubblica il reato di attentato alla Costituzione delineato nell’art. 90 Cost. Forse meno

convincente risulta l’idea di procedere, addirittura, allo scioglimento delle Assemblee parlamentari

allo scopo di evitare la riproposizione di una legge bocciata dal referendum. Tale strumento

sanzionatorio potrebbe costituire un rimedio efficace soltanto qualora il nuovo Parlamento si

potesse ritenere vincolato ad approvare una legge abrogativa di quella che le vecchie Camere

avevano adottato in contrasto con la volontà popolare espressa in sede referendaria63.

In una prospettiva de iure condendo, una soluzione di pregio potrebbe essere quella di

introdurre un referendum propositivo64; dinanzi ad un esito della consultazione popolare che

consente l’immissione di una “normativa di risulta” imperfetta (rischio che ha alte probabilità di

verificarsi con l’uso di referendum manipolativi65), che necessita di un successivo intervento

“correttivo” del legislatore, la cui discrezionalità sarebbe, tuttavia, limitata proprio dal voto

popolare che lo vincolerebbe a legiferare in modo da tener fede alla logica di fondo espressa in

sede referendaria.

della disciplina riproduttiva della norma abrogata. Secondo una opinione, infatti, il sindacato di costituzionalità sui vizi materiali si caratterizzerebbe come un giudizio contraddistinto da una marcata attualità, che considera solo marginalmente gli eventuali vizi presenti al momento dell’entrata in vigore della legge. Sul punto, A. Cariola, Referendum abrogativo e giudizio costituzionale, Milano 1994, 316, in cui si afferma che tale ipotesi presenta delle analogie con il giudizio relativo al sindacato su un decreto legge emanato in mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza, e quindi originariamente incostituzionale, ma convertito dalle Camere, “mostrando l’incapacità del giudizio costituzionale ad essere sempre il momento di definizione dei rapporti istituzionali in senso lato, alla stregua delle norme della Legge Fondamentale”. 61 Cfr., A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti, cit., 408, nota 371 alla fine.

62 P. Carnevale, La Corte e il referendum, un nuovo atto, in Giur. Cost. 1993, 2281 secondo cui l’ipotesi considerata rientrerebbe in un “abbastanza pacifico caso di rinvio per <ragioni di merito costituzionale>”.

63 P. Carnevale, La Corte e il referendum, cit., 2285. 64 E. De marco, Referendum e indirizzo politico, in Giur. Cost. 1994, 1421. 65 Di quest’avviso, E. Malfatti, op.cit, 492

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6. Le “zone d’ombra” del contraddittorio nel giudizio di ammissibilità del referendum

abrogativo – La giurisprudenza costituzionale intervenuta nella questione relativa alla

possibilità di accesso al giudizio di ammissibilità dei cd. “Comitati del no”, attraverso la

presentazione di memorie e la discussione delle stesse in Camera di Consiglio presenta notevoli

oscillazioni. Invero, la norma contenuta nell’art. 33 della l .n. 352 del 1970 dispone che il

Presidente della Corte Costituzionale, ricevuta comunicazione dell’ordinanza dall’Ufficio

centrale che dichiara la legittimità di una o più richieste di referendum fissa il giorno della

deliberazione in Camera di Consiglio e ne da comunicazione ai delegati, ai presentatori e al

Presidente del Consiglio dei Ministri . Il 3° co. del medesimo articolo, prevede, inoltre che ”non

oltre tre giorni prima i delegati, i presentatori e il Governo possono depositare alla Corte

memorie sulla legittimità costituzionale delle richieste di referendum”. Dinanzi al silenzio del

legislatore per ciò che concerne il diritto di intervento di soggetti contrari alla ammissibilità del

referendum e dei “comitati del no” la Corte, in un primo periodo, ha tenuto una posizione di

rigida chiusura, precludendo ai terzi, in qualche modo interessati all’esito del giudizio, la

presentazione di memorie e la loro discussione orale ( cfr. ad esempio, Corte Cost. nn. 10 del

1972; 27 del 1981; 28 del 1987; 63, 64 del 1990; 47 del 1991; 32, 33,37 del 1993; 32, 38 del

1997). L’atteggiamento restrittivo fatto proprio dal giudice costituzionale, a proposito

dell’intervento in sede di controllo di ammissibilità del quesito referendario, si pone, del resto,

in totale sintonia con la posizione già in precedenza assunta dalla Corte di esclusione

all’intervento di coloro che, in sede di giudizio di legittimità in via incidentale, non rivestivano

la qualità di “parti” nel giudizio a quo (Corte Cost. ord. 30 aprile 1956, ord. 30 maggio 195666).

A supporto di questa tesi venivano richiamate le disposizioni contenute negli artt. 23 e 25 della

l. n. 87 del 1953, nonché gli artt. 2 e 3 delle norme integrative del 1956, secondo cui solo le

“parti in causa” insieme al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Presidente della Giunta

regionale erano legittimate a presentare “loro deduzioni”. La preferenza per un tipo di

“contraddittorio chiuso”, nell’ambito del giudizio incidentale, ha finito per condizionare

l’impostazione prescelta anche con riferimento alla partecipazione di terzi nel giudizio di

ammissibilità (cfr. sent. n. 10 del 1972).

La propensione della Corte a negare ad altri soggetti (non menzionati dalla legge attuativa del

referendum) l’ammissione nel giudizio di ammissibilità viene, in un primo tempo, accolta

66 Al riguardo, F. Giuffrè, La forma del contraddittorio, cit., nota n. 7.

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favorevolmente anche dalla dottrina67 che evidenzia come la competenza in ordine al giudizio di

ammissibilità sia del tutto estranea alle categorie del diritto processuale, la cui peculiarità

consiste nei caratteri della giurisdizione in senso stretto. Invero, il controllo di ammissibilità sul

quesito referendario non si configura come un processo di parti a carattere dispositivo, quanto

piuttosto come un procedimento di diritto oggettivo, attraverso cui il giudice delle leggi è

chiamato a verificare tutti i profili di ammissibilità, a prescindere dalle deduzioni presentate dai

promotori o dal Governo.

Al controllo di ammissibilità appaiono dunque estranee le categorie del diritto processuale

generale, giacché esso si atteggia come una necessaria ed officiosa fase interna di un complesso

procedimento. Ancora con le decisioni del 1993 (sent. nn. 32, 33 e 37) la Corte rimane ferma

nel suo orientamento di netta chiusura, facendo osservare che il divieto di ingresso di terzi in

giudizio trova giustificazione nella necessità di una rapida conclusione dell’iter processuale,

contraddistinto, appunto, da “precise scansioni temporali”.

Tale indirizzo è stato sottoposto a critiche da chi, non a torto, ha evidenziato come i

promotori si atteggiano quali portatori di una istanza di verifica del corpo elettorale sull’operato

delle Assemblee rappresentative, in tendenziale posizione dialettica rispetto al Governo68, il cui

coinvolgimento trova spiegazione, segnatamente, alla luce dell’interesse della società politica alla

conservazione della legge. In tale contesto la partecipazione di soggetti terzi al giudizio di

ammissibilità potrebbe costituire l’occasione per realizzare “una rappresentazione più completa

degli interessi investiti dalla richiesta referendaria”69. Ulteriormente, viene fatto notare come la

chiusura del contraddittorio comporta una sovra valutazione del ruolo del Governo di

rappresentanza di ogni altro interesse diverso da quello dei promotori70 .

Lentamente e a più riprese, anche sulla scorta delle posizioni dottrinali appena ricordate,

favorevoli alla apertura del contraddittorio, si assiste ad una progressiva emancipazione della Corte

dalla sua iniziale giurisprudenza che, in sede di giudizio incidentale, finisce per ammettere la

costituzione di terzi per la tutela di un interesse sostanziale.

67 C. Mezzanotte, Appunti sul contraddittorio nei giudizi davanti alla Corte Costituzionale, in Giur. Cost., 1972,

954; R. Romboli, La presenza del governo nei giudizi costituzionali dopo la l. n. 400/1988 in Foro it. 1989, V, 326; G. D’Orazio, Soggetto privato e processo costituzionale italiano, Torino 1992, 236 ss.

68 Va, tuttavia, osservato che a partire dal 1993 l’Esecutivo ha scelto una linea di self – restraint e si è sempre astenuto dal presentare memorie pro e contro i referendum in sede di giudizio di ammissibilità.

69 Così, E. Malfatti, Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, in Aggiornamenti in tema di processo costituzionale, a cura di R. Romboli, Torino 1990, in particolare, 460, la quale precisa che in ogni caso l’ampliamento degli interventi davanti la Corte risulta apprezzabile per evitare “le insidie di inquinamento dei principi su cui si basa la democrazia, che sorgono invece ogni qualvolta in cui la regola del contraddittorio appare recessiva”.

70 Ancora, E. Malfatti, op .cit., 461., in cui si fa osservare come l’intervento dell’Avvocatura dello Stato risulta non tanto finalizzato a salvaguardare l’interesse generale, quanto piuttosto diretto a tutelare gli interessi della stessa maggioranza parlamentare, a ciò si aggiunga – sostiene l’A. – la circostanza che le stesse richieste referendarie provengono da gruppi di cittadini , riconducibili alla classe politica che agisce negli organi rappresentativi e distanti da una frazione qualsiasi del corpo elettorale.

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L’apertura del contraddittorio trova fondamento anche in validi agganci normativi; viene, in

special modo, richiamato l’art. 22 della l. n. 87 del 1953 nella parte in cui dispone che nel

procedimento dinanzi alla Corte trovano spazio, “in quanto applicabili”, le norme del regolamento

dinanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, e conseguentemente l’art. 37 che disciplina

l’intervento del terzo nel processo amministrativo. Gli argomenti più convincenti a sostegno

dell’intervento vanno, tuttavia, rintracciati nel combinato disposto degli art. 24 e 111 Cost 71. In

particolare, mentre la prima delle disposizioni citate contiene il principio inviolabile di difesa,

capace di assicurare l’accesso incondizionato dei soggetti in giudizio per la tutela di situazioni

giuridiche, senz’altro applicabile anche al processo costituzionale, e va interpretata nel senso

dell’apertura del contraddittorio, l’art. 111 attribuisce al medesimo principio valore sostanziale72.

Viene fatto osservare come l’effettiva attuazione dei richiamati principi costituzionali, anche in sede

di giudizio di ammissibilità, favorisce la “realizzazione di una migliore dialettica dinanzi alla Corte,

garantendo contro le insidie di inquinamento dei principi sui quali si fonda la democrazia, insidie

che invece sorgono ogni qualvolta la regola del contraddittorio appaia recessiva”73

Negli ultimi anni, a partire dal 2000, si assiste ad un importante cambiamento di indirizzo in

virtù del quale il giudice delle leggi ha consentito ad alcune associazioni contrarie alla ammissibilità

del referendum di illustrare il contenuto della memoria da loro presentata (sent. n. 31 del 7 febbraio

del 2000). Si è trattato, dunque, di una sorta di interventi da parte di associazioni, partiti politici,

movimenti in funzione oppositiva rispetto alla richiesta avanzata dai presentatori. In particolare,

con la pronuncia n. 31 del 2000 la Corte ha impresso una svolta al suo originario convincimento

ammettendo le memorie dei rappresentanti di gruppi favorevoli al mantenimento di alcune

disposizioni del Testo Unico sull’immigrazione (Progetto diritti, Servizio legale immigrati, Lunaria,

Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia, Federazione dei Verdi, Comitato per la libertà

e i diritti sociali, partito della Rifondazione comunista, Federazione delle rappresentanze sindacali

di base, Associazione nazionale per la sinistra).

I giudici costituzionali, dopo aver ricordato che la legge nulla dispone circa l’acquisizione agli

atti delle memorie presentate da associazioni contrarie all’abrogazione e l’esposizione delle stesse

in Camera di consiglio, hanno nel caso concreto apprezzato l’opportunità di acquisire ulteriori

argomenti rilevanti ai fini della decisione, all’interno di un procedimento “teso a far valere i limiti

71 C. Mezzanotte, Appunti sul contraddittorio nei giudizi dinanzi alla Corte Costituzionale, in Giur. Cost. 1972,

965. 72 In proposito, F. Giuffrè, La “forma” del contraddittorio dal giudizio di legittimità, cit., 3006, il quale afferma

che al cospetto di una partecipazione sempre più intensa dei cittadini al procedimento di formazione delle decisioni pubbliche sembra difficile mettere in dubbio “l’esigenza di attribuire valore sostanziale al principio del contraddittorio”.

73 Così, E. Malfatti – S. Panizza – R. Romboli, Giustizia costituzionale, Torino 2003, 261.

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obiettivi di ammissibilità del referendum risultanti dalla Costituzione e non a giudicare su posizioni

soggettive di parte”.

Ciò nondimeno, l’apertura alla partecipazione di terzi, diversi da quelli menzionati nell’art.

33, non comporta – a parere del giudice delle leggi - il riconoscimento, ai soggetti che si oppongono

alla abrogazione referendaria, della qualità di “parti intervenienti”; è semmai vero il contrario, in

quanto la Consulta ha espressamente escluso tale posizione in sintonia con il suo precedente

orientamento, espresso in sede di giudizio incidentale in tema di intervento di terzo.

A sostegno di questa tesi la sentenza n. 31 richiama il dettato legislativo a tenore del quale

“nulla la legge dice circa il potere di illustrare, oralmente, il contenuto delle memorie di fronte alla

Corte costituzionale convocata per la decisione”, e dunque, va da sé che “il deposito di memorie

non fa assumere la posizione di parte”. Il giudice delle leggi ha inteso ricondurre al proprio potere

discrezionale l’ampliamento del contraddittorio, riservandosi la scelta in ordine alle richieste di

intervento, ed ammettendolo soltanto nell’ipotesi in cui possa fornire ulteriori argomentazioni

importanti per la risoluzione del giudizio.

Sicché, l’acquisizione agli atti processuali delle memorie di nuovi soggetti, collocata

nell’ambito dei poteri istruttori della Corte, fa propendere per una ricostruzione dell’istituto in

termini dell’amicus curiae, selezionando gli “amici” in relazione alla possibilità di conseguire

elementi utili alla decisione74. Sebbene, dunque, con la decisione 31/2000 la Corte nella sostanza ha

riconosciuto il potere di intervento a soggetti titolari di interessi coinvolti nella normativa oggetto

del quesito referendario, non ha risposto alla necessità di predeterminazione dei criteri per

selezionare i soggetti legittimati all’intervento.

Ancora, recentemente in occasione del giudizio di ammissibilità della richiesta di referendum

popolare per l’abrogazione della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di procreazione

medicalmente assistita, la Corte ha ribadito il tradizionale indirizzo restrittivo “di consentire

eventuali integrazioni orali agli scritti presentati” soltanto se ritenuti utili ai fini della decisione.

La verifica preliminare circa l’ammissibilità delle richieste di intervento è stata sollecitata alla Corte

dai presentatori dei quesiti referendari che, rilevata la presenza di numerose richieste di

partecipazione di “comitati” ed “associazioni”, tutti contrari all’ammissibilità del quesito e pur

prendendo atto dell’apertura al contraddittorio avutasi con la sen. 31/2000, chiedono al giudice

costituzionale “di ammettere alla discussione di merito solo i soggetti dotati dei requisiti opportuni”.

Nell’ordinanza pronunciata in Camera di consiglio del 10 gennaio 2005 il giudice delle leggi, nulla

74 Secondo una parte della dottrina ( E. Malfatti – S. Panizza – R. Romboli, Giustizia Costituzionale, cit. 261),

tuttavia, le sentenze della Corte Costituzionale non avrebbero escluso un orientamento differente, nel senso della formalizzazione di un contrasto tra i promotori ed il Governo, evidenziando una “sorta di conflitto di interessi, di natura generale” tra i sostenitori di un’istanza di controllo del corpo elettorale sull’operato delle Camere ed un soggetto che mira a salvaguardare la vocazione istituzionale alla conservazione delle leggi.

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dice con riferimento ai requisiti per l’intervento, mentre ricorda che “l’art. 33, nell’ambito di un

procedimento a carattere officioso diverso da un giudizio di parti, conferisce solo ai presentatori

delle richieste di referendum e al Governo il potere di depositare memorie, di cui la Corte, nella sua

prassi, ha consentito l’ulteriore illustrazione in Camera di consiglio”. Conseguentemente,

“eventuali scritti di soggetti diversi, interessati a sollecitare una decisione della Corte nel senso

dell’ammissibilità o dell’inammissibilità dei quesiti, possono assumere, come già affermato nella

sent. n. 31 del 2000, soltanto il carattere di contributi contenenti argomentazioni potenzialmente

rilevanti ai fini del giudizio”, e dispone di dare corso alle illustrazioni delle memorie presentate dai

promotori del referendum e dal governo, “previe eventuali integrazioni orali degli scritti presentati

da altri soggetti” che sollecitano la declaratoria di inammissibilità del quesito referendario: il

“Movimento per la vita italiano”, “il forum delle associazioni familiari”, “il Comitato per la difesa

dell’art. 75 della Costituzione”, “il Comitato per la salute della donna”, il “Comitato per la difesa

della Costituzione”, la “Consulta nazionale antiusura – Onlus”, “Umanesimo integrale – Comitato

per la difesa dei diritti fondamentali della persona”.

Va sottolineato, come in quest’ultima vicenda referendaria gli interventori davanti alla Corte

hanno, in gran parte, chiesto di far sentire le proprie ragioni non per sostenere le pretese dei

promotori, quanto per difendere il mantenimento della legge, offrendo, in tal modo alla Corte una

visione più ampia dei molteplici interessi coinvolti dalla domanda referendaria.

I giudici costituzionali avvertono, altresì, che l’intervento di terzi ulteriori non si configura

“come espressione di un potere di partecipazione al procedimento, né quindi la loro presentazione

comporta il diritto ad illustrare (le memorie) oralmente in Camera di consiglio”. Anche in questa

occasione pare evidente che la Corte, rimanendo fedele al proprio orientamento, abbia avuto cura di

riservarsi il potere di negare il diritto di intervento qualora si debba scongiurare il rischio di non

potere rispettare le scansioni cronologiche imposte dalla l. n. 352, nel momento in cui venisse

consentito “un diffuso ed indiscriminato accesso di soggetti, i quali potrebbero, poi, chiedere di

esporre anche oralmente le proprie ragioni” (così, Corte Cost. sent. 2 febbraio 1991 n. 47, in Giur.

Cost. 1991, 317). Ed anzi, l’iter argomentativo seguito pare avvalorare la convinzione75 che i

giudici costituzionali non escludono di poter addurre, in occasioni future, altre e diverse valide

ragioni, rispetto a quella di tipo temporale, per precludere l’ingresso in giudizio di ulteriori

memorie.

Così trova ulteriori conferme l’idea che la Corte abbia optato per una integrazione “sui generis

del contraddittorio”76, introducendo un contraddittorio di fatto essa ha impresso una vera e propria

75 Cfr. E. Malfatti – S. Panizza – R. Romboli, Giustizia costituzionale, cit., 262. 76 Cfr., F. Modugno, Ancora una “rassegna” sull’ammissibilità dei “referendum” abrogativi, dopo venti anni, in

Giur. cost. 3/ 2001, 1795.

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svolta nella sua giurisprudenza; l’ingresso degli interessi diffusi nel giudizio di ammissibilità

referendaria può giocare “un ruolo decisivo sia sulla ammissibilità delle singole richieste, sia sul

significato dei possibili esiti referendari e delle loro conseguenze”77.

Invero, la rigida posizione della Corte non sembra del tutto condivisibile neanche sulla base di

alcune previsioni normative. Non mancano, in proposito, significativi riferimenti testuali che

potrebbero condurre, attraverso una interpretazione di tipo estensivo, ad individuare i requisiti in

presenza dei quali ammettere l’intervento di determinati soggetti nel giudizio di ammissibilità sul

referendum.

La norma che segnatamente va presa in considerazione per offrire fondamento al principio di

apertura del contraddittorio è contenuta nell’art. 32 della l. n. 352 del 1970 (commi 4° e 5°), nella

parte in cui assegna ai rappresentanti dei partiti, dei gruppi politici, oltre che dei promotori, la

facoltà di presentare per iscritto deduzioni in ordine alla proposta, fatta con ordinanza emessa

dall’Ufficio Centrale, di concentrazione dei quesiti depositati che rivelassero uniformità o analogia

di materia. Se, per un verso, riesce difficile comprendere il diverso trattamento riservato dalla

norma in oggetto ai soggetti interessati al processo politico nelle due fasi procedurali, la prima

davanti all’Ufficio centrale, la seconda, innanzi alla Corte, per altro verso, si potrebbe fornire una

lettura adeguatrice dell’art. 33, facendo rientrare nel termine “delegati” i partiti politici, i gruppi di

cui all’art. 32 e tutti i soggetti portatori di interessi diffusi e collettivi. E comunque, la preventiva

fissazione di criteri78 per ammettere le figure soggettive alla presentazione di deduzioni e contro

deduzioni sembra rappresentare una priorità per far luce su una “zona d’ombra” del giudizio di

ammissibilità, e restringere, in tal modo, l’ambito molto ampio di discrezionalità che la Corte si

riserva attraverso l’adozione del modello dell’amicus curiae.

La necessità di predisporre un filtro alla cui stregua valutare le richieste di intervento si

impone per consentire al giudice delle leggi di regolare gli interventi, pur mantenendo il

contraddittorio in tempi ragionevoli.

La prima questione riguarda l’individuazione di un criterio che consenta di operare una scelta

tra i soggetti, diversi da quelli contemplati dalla legge, che intendono intervenire: qualsiasi

associazione potrà pretendere di partecipare al contraddittorio? E anche i singoli individui potranno

vantare tale legittimazione?79. Tale ultima questione è originata dalla circostanza che nella

decisione n. 33 del 2000 la Corte ha dichiarato inammissibile una memoria presentata da un singolo

cittadino iscritto nelle liste elettorali del Comune di Roma, nella qualità di legale rappresentante del

77 Così, Testualmente, F. Modugno, op.cit. 1797. 78 In questo senso, F. Giuffrè, La “forma” del contraddittorio dal giudizio di legittimità al sindacato di ammissibilità: la

Corte apre ai “comitati del no”, ma solo in quanto “amici”, in Giur. Cost., 4/2000, 3026. 79 Molto convincenti appaiono gli interrogati posti da R. Bin, Potremmo mai avere sentenze sui referendum del

tutto soddisfacenti? Una considerazione di insieme sulle decisioni “ referendarie” del 2000, in Giur. Cost., 2000, 224.

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“Comitato per la democrazia pluralista”, ma soltanto in quanto la stessa era stata depositata

tardivamente.

Secondo una opinione dottrinale “a nessuno la Corte potrebbe negare, in astratto, la possibilità

di fungere da amicus curiae”. Si potrebbe convenire sul suggerimento di prevedere un filtro di

carattere oggettivo – temporale80, una “sorta di delibazione” sulle memorie presentate insieme ad un

“contingentamento dei tempi” per la presentazione di memorie con un congruo anticipo rispetto alla

data fissata per la camera di Consiglio81.

Per concludere sulla questione relativa alle carenze evidenziate con riguardo al contraddittorio

nei giudizi di ammissibilità, merita una breve riflessione l’atteggiamento di chiusura del giudice

delle leggi manifestato dinanzi alla richiesta di soggetti esterni di poter assistere alla deliberazione

sui referendum in Camera di consiglio. In particolare, con ordinanza presidenziale viene rigettata

l’istanza presentata da alcuni giornalisti, con la motivazione che l’art. 33 della l. n. 352 nella parte

in cui prescrive la deliberazione in camera di consiglio, implicitamente esclude qualsiasi forma di

pubblicità.

La Corte, anche in questa vicenda, ha ritenuto di dover confermare il proprio punto di vista

espresso nel 1991, quando la richiesta del pubblico di poter assistere alla seduta era stata

accompagnata alla domanda rivolta alla Consulta di sollevare d’ufficio questione di legittimità

dell’art. 33, per la mancata previsione di una norma che prevede l’ingresso del pubblico in camera

di consiglio82.

Altro profilo di non secondaria importanza è quello relativa alla natura degli interessi che

possono essere dedotti nelle memorie. Si potrebbe immaginare un filtro per selezionare gli

interventi da ammettere davanti alla Corte sulla base degli interessi che possono essere fatti valere

dagli interventori. Se, infatti, il giudizio di ammissibilità risultasse realmente estraneo ad ogni

sindacato sulla legittimità della legge, dovendosi occupare soltanto della rispondenza dei quesiti alle

condizioni richieste dall’art. 75, anche le memorie dovrebbero contenere le ragioni “a favore o

contro” l’ammissibilità della domanda referendaria, con la preclusione di valutazioni sul merito

sulla normativa di risulta, la cui eventuale contrarietà ai principi costituzionali potrà essere fatta

valere soltanto in un successivo giudizio di legittimità costituzionale, analogamente a quanto

avviene qualora il legislatore ordinario avesse provveduto all’abrogazione di una legge, provocando

la lesione di una norma costituzionale83. Anzi, in proposito merita di essere ricordata la riflessione

in virtù della quale ai soggetti diversi da quelli indicati dalla legge andrebbe riconosciuta la più

80 Ancora, F. Modugno, op. cit., 1798. 81 Nello stesso senso, E. Malfatti – S. Panizza – R Romboli, Giustizia Costituzionale, cit., 262. 82 Sul punto, diffusamente, E. Malfatti, Il giudizio di ammissibilità , cit. 463, che richiama le decisioni della

Corte 9 gennaio 1995 e 16 gennaio 1991. 83 Per questa soluzione, A. Pertici, Il giudizio di ammissibilità, cit., 243.

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ampia possibilità di far valere le proprie osservazioni durante la campagna elettorale e dunque solo

in un momento successivo al controllo di ammissibilità. Invero, diversamente ragionando, vi

sarebbe il serio rischio di “un evidente caso di abuso delle forme”84, laddove l’intervento in giudizio

finisca per divenire strumento atto a far valere l’interesse a favore o contro il quesito referendario.

Invero, la tendenza ad un allargamento, tendenzialmente illimitato, del contraddittorio

sembrerebbe costituire un serio indizio a favore della tesi secondo la quale il giudizio

sull’ammissibilità del referendum abrogativo non si atteggi alla stregua di un processo.

L’individuazione di un rimedio per la realizzazione di un equilibrato compromesso tra un

atteggiamento di eccessiva chiusura, che lascerebbe scoperte situazioni giuridiche soggettive

certamente degne di protezione, e una tendenza di massima apertura del contraddittorio, che

risulterebbe, invero, assai poco compatibile rispetto alla idea stessa di processo, sembra essere,

davvero, imprescindibile.

Una soluzione capace di illuminare una delle zona d’ombra di maggior impatto del giudizio di

ammissibilità, offrendo un quadro dai contorni meno sfumati e meglio definiti per l’ammissione dei

soggetti al giudizio di ammissibilità, potrebbe essere quella di introdurre nelle Norme Integrative

una serie di criteri che disciplinino l’apertura del contraddittorio85. Una risposta di questo tipo

avrebbe il pregio di ridurre sensibilmente gli spazi per una giurisprudenza creativa della Corte,

sottraendola ad una elevata esposizione politica, che progressivamente, in sede di ammissibilità,

sembra costituire una non trascurabile minaccia alla sua legittimazione.

7. Il giudizio di ammissibilità tra controllo preventivo e sindacato successivo di

legittimità costituzionale - Con le decisioni n. 10 del 1972, 22 dicembre 1975, n. 251 e 13 febbraio

1981, n. 24 e 26 la Corte Costituzionale viene chiamata ad occuparsi della questione concernente la

configurabilità del controllo anticipato di costituzionalità della norma che risulterebbe vigente (cd.

“normativa di risulta”) una volta intervenuta l’abrogazione a seguito del giudizio affermativo degli

elettori al quesito referendario86.

Il giudice delle leggi ha, per un verso, affermato la propria competenza, quantomeno in

astratto, qualora fosse previsto un controllo in via preventiva di questo tipo, per l’altro, ha sempre

ritenuto che tale verifica non può essere fatta rientrare nella competenza affidatagli dall’art. 2 della

l. cost. 1/1953.

84 Così, G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, 474 e 475.

85 Ancora, A. Pertici, Il giudizio, cit., 246. 86 C. Mezzanotte, “Judicial self – restraint” in tema di sindacato sull’ammissibilità del referendum in Giur. Cost.,

1975, I, 3055.

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In realtà, la posizione assunta dalla Consulta si poneva in linea con l’interpretazione restrittiva

dell’art. 2, l. cost. 1/1953 preferita da autorevole dottrina87 che non mancava di far rilevare che il

giudice delle leggi poteva semmai intervenire in un momento successivo allo svolgimento del

referendum, qualora l’esito del voto fosse stato suscettibile di portare a “conseguenze logicamente

assurde o costituzionalmente aberranti”88. Si ipotizzava, fin da allora, di affidare alla Corte un

sindacato sulla delibera popolare abrogativa, in quanto assunta a contenuto del successivo decreto

del Capo dello Stato, secondo quanto stabilito ex art 37 della l. 25 maggio 1970, n. 352, con il quale

il risultato referendario viene imputato direttamente allo Stato persona. In tal modo, la delibera

referendaria, iscrivendosi tra gli “atti dello Stato aventi forza di legge”, è perciò stesso sottoposta al

giudizio di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte. La Consulta, nelle pronunce n. 10 del 1972

e 251 del 1975, segue proprio tale indirizzo e lasciando aperta la possibilità di conoscere questioni

di legittimità costituzionale di un referendum già effettuato nella sede propria del giudizio

incidentale dell’atto abrogativo, esclude di poter conoscere nell’ambito del controllo di

ammissibilità gli eventuali profili di contrasto della normativa di risulta con i principi della

Costituzione.

Con la sentenza n. 16 del 1978 la Corte sembra aprire una nuova stagione in cui mostra di

propendere per un certo ampliamento del controllo preventivo in sede di ammissibilità di

referendum. Secondo autorevolissima dottrina89 si è trattato di una vera e propria “svolta” della

giurisprudenza costituzionale compiuta con l’affermazione dell’esistenza di “valori di ordine

costituzionale riferibili alle strutture od ai temi delle proposte referendarie, da tutelarsi escludendo i

relativi referendum , al di là della lettera dell’art. 75, comma 2, Cost.”.

Con la decisione del 1978, infatti, la Corte ha individuato l’esistenza di “cause inespresse” di

inammissibilità, ricavabili dal disposto dell’art. 75 e dalla “natura” del referendum come

meccanismo costituzionale. Questo inedito orientamento della Corte conferma l’impressione che lo

spartiacque tra giudizio di ammissibilità e giudizio di legittimità in senso proprio sembra esser

costituito dalla circostanza che nel primo caso e non nel secondo il sindacato da svolgere sulle

singole iniziative referendarie, alla luce dei parametri costituzionali si risolve, “in una verifica

automatica e a priori”90.

Ad ogni buon conto, sembra doversi escludere la possibilità che in sede di controllo di

ammissibilità del referendum la Corte possa valutare i profili generali di incostituzionalità del

87C. Mortati, Istituzioni di Diritto Pubblico, vol.II, Padova 1976, 836 ss., V. Crisafulli, Lezioni di diritto

costituzionale, vol. II, Padova 1976, 301. 88 Così, Testualmente, V. Crisafulli, In tema di limiti al referendum, in GIur. Cost., 1978, 1551 ss. 89 V. Crisafulli, op. e loc. ult. cit. 90 Si esprime così, A. Mangia, Definizione del “parametro” e sindacato di legittimità costituzionale nel giudizio

di ammissibilità del referendum, Rivista di scienze giuridiche 1998, n. 2, 569.

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referendum, ossia, della norma introdotta da un eventuale esito positivo del referendum91. Infatti, in

questa ipotesi il controllo svolto ex art. 2 l. cost. 1/1953 si risolverebbe in un sindacato di carattere

preventivo ed ipotetico, contravvenendo al principio fondamentale del sindacato sulle leggi secondo

cui il controllo è successivo e reale92. Siffatto orientamento, del resto, sarebbe confermato dalla

stessa giurisprudenza costituzionale, anche successiva alla pronuncia del 1978, in cui essa ha

ripetutamente affermato che non rientra nel giudizio di ammissibilità l’esame circa la conformità a

Costituzione della normativa di risulta (sent. 10/1976; 251/1975; 24, 26/1981; 26/1987).

In particolare, la Corte ha, in più occasioni, ribadito che se in conseguenza del risultato

referendario “non accompagnato da un immediato intervento del legislatore si dia luogo a situazioni

normative non conformi alla Costituzione, va ancora una volta ribadito che in questa sede non viene

di per sé in rilievo l’eventuale effetto abrogativo del referendum”. La circostanza che la normativa

di risulta possa essere affetta da illegittimità costituzionale “non può essere presa in considerazione

e vagliata al fine di pervenire a una pronuncia di inammissibilità del quesito referendario”, in

quanto “la conseguente situazione normativa potrebbe dar luogo, se e quando si realizzi, a un

giudizio di legittimità costituzionale, nelle forme, nelle condizioni e nei limiti previsti” (sent. n.

26/1987). Invero, la decisione di ammissibilità non produce effetti ulteriori rispetto al procedimento

in corso; essa, risultando, in qualche misura, assimilabile ad una decisione di rigetto93, non potrebbe

precludere ulteriori questioni di costituzionalità relative all’esito positivo della consultazione

popolare, non soltanto in relazione a profili o/e argomenti rimasti estranei al preventivo giudizio di

ammissibilità94, ma anche per quel che concerne le medesime questioni sottoposte alla Corte

nell’ambito del controllo di ammissibilità.

Il parallelismo tra decisione di ammissibilità e pronuncia di rigetto troverebbe, ulteriormente,

conferma nel fatto che nessun ostacolo potrebbe incontrare un giudizio successivo di

costituzionalità sulla normativa residua95.

Sotto altra angolazione è stato chiarito96 come un sindacato anticipato sulla normativa residua,

formulato in sede di giudizio di ammissibilità, oltre ad apparire di dubbia conformità alla

Costituzione, non escluderebbe che sulla stessa disciplina possa essere sollevata, dopo la

91 Cfr. G. Zagrebelsby, Giustizia costituzionale, cit. 476. 92 Ancora, G. Zagrebelsky, op.cit., 476

93 In questo senso, V. Crisafulli, Non convince l’ufficio centrale per il referendum, in Giur. Cost. 1984, 336, per un’opinione differente cfr. A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti, cit., 387, secondo i quali l’accostamento tra i due tipi di decisioni non sarebbe del tutto condivisibile, in quanto trascura di prendere in considerazione la diversa natura dei due giudizi.

94 Cfr. A. Cerri, Corso di giustizia costituzionale, Milano 2001, 426. 95 Ancora, A. Cerri, Corso di giustizia, cit., 426. 96 Di quest’avviso, R. Romboli – E. Rossi, voce Giudizio di legittimità costituzionale, cit. 510.

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consultazione popolare, una questione di legittimità costituzionale, senza incontrare i limiti stabiliti

dall’art. 137 Cost.97

E d’altra parte non può neppure essere trascurato il fatto che la normativa di risulta va

storicizzata e dunque il sindacato potrà avvenire soltanto in un momento successivo allo

svolgimento della consultazione popolare. In realtà – come è stato esattamente evidenziato98 - il

lasso di tempo che intercorre tra il giudizio di ammissibilità ed il successivo sindacato di legittimità

costituzionale potrebbe comportare significativi mutamenti sul complessivo assetto ordinamentale.

L’osservazione trova conforto nel fatto che anche la legge attuativa sul referendum attribuisce

importanza al susseguirsi degli accadimenti giuridici, atteso che considera quale evenienza

preclusiva dello svolgimento della consultazione popolare il sopraggiungere di nuovi fatti

normativi.

La bontà di queste affermazioni risulta avvalorata, in primo luogo, dalla circostanza che il

giudizio di ammissibilità sul referendum, introdotto in un momento successivo all’entrata in vigore

della Costituzione, non può avere stravolto i caratteri dell’originario controllo sulle leggi, in

secondo luogo, dal fatto che eventuali conseguenze incostituzionali potrebbero essere risolte, sia

ritardando fino a sessanta giorni l’effetto abrogativo (c.d. vacatio referendaria), siccome stabilito

dall’art. 37 della l. n. 352, sia attraverso l’approvazione immediata di una disciplina sostitutiva da

parte del legislatore, che intervenga in funzione di sanatoria sulla normativa di risulta99.

Sebbene, dunque, sembra trovare diffusamente credito in dottrina l’idea che il giudizio di

ammissibilità si atteggi in maniera profondamente differente rispetto al giudizio di costituzionalità

(sia per la natura dell’attività svolta, di controllo quella di ammissibilità e di giudizio in senso

stretto, quella sulla costituzionalità, sia con riferimento al carattere dei due giudizi, preventivo ed

astratto il controllo sul quesito referendario, successivo e concreto il giudizio di legittimità, sia

ancora in relazione all’oggetto, costituito dalla disposizione nel giudizio di ammissibilità e dalla

norma nel sindacato di costituzionalità100) la giurisprudenza della Corte pare, sul punto, incerta ed

ondivaga101, propendendo per l’inammissibilità del quesito ogni qual volta dall’intervento

abrogativo si possa far discendere con certezza, anche a causa dell’assenza di discipline transitorie e

consequenziali, il verificarsi di disarmonie o incongruità della normativa di risulta (sent. nn. 37 e 50

97 Diversamente, F. Giuffrè, La “forma” del contraddittorio dal giudizio di legittimità al sindacato di ammissibilità, cit. 3022, il quale propende, proprio sulla base dell’art. 137, per la tesi che esclude, una volta avvenuta la verifica in sede di ammissibilità, il riesame successivo sulla normativa di risulta.

98 In tal senso, A. Ruggeri, Referendum inammissibili per “irragionevolezza” della richiesta?, in Pol. Dir., n. 2, giugno 1991, 279.

99 Così, G. Zagrebelsky, La giustizia, cit., 476; A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, cit., 409, nota 374.

100 Per queste differenze si rinvia alla dettagliata analisi di A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino 2001, 407 e 408 e nota 372. 101 L’espressione è utilizzata da G. Azzariti, Il “modello” della sentenza n. 16 del 1978 e il carattere abrogativo del referendum: un ritorno al futuro, in Costituzionalismo.it

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del 2000, in materia, rispettivamente, di separazione delle carriere dei magistrati e di riforma

complessiva della giustizia penale). Ma certamente la materia in cui la giurisprudenza costituzionale

si allontana maggiormente dalla linea rigorosa seguita fin dalla sua prima decisione in sede di

controllo sull’ammissibilità (sent. n. 10/1972) è quella elettorale102, in cui l’autoapplicabilità della

normativa di risulta costituisce - a parere del giudice delle leggi – condizione imprescindibile per

consentire lo svolgimento del referendum. Infatti, la permanente operatività delle leggi elettorali di

organi costituzionali o di rilevanza costituzionale va salvaguardata per scongiurare il rischio di una

paralisi dei poteri dello Stato. Precisamente - aggiungono i giudici – “l’organo a composizione

elettiva formalmente richiesta dalla Costituzione, una volta costituito, non può essere privato,

neppure temporaneamente, del complesso delle norme elettorali contenute nella propria legge

elettorale” (così, sent. n. 29 del 1987). Poco più tardi, con la decisione n. 47 del 1991, sulla

preferenza unica, la Corte, pur seguendo il medesimo percorso argomentativo utilizzato nelle

precedenti decisioni, tiene a precisare che il quesito deve comunque evidenziare la linearità delle

conseguenze abrogative, sicché assumono rilievo determinante le finalità che attraverso la proposta

referendaria i promotori mirano a realizzare.

Mentre, in una nuova occasione, a proposito del quesito sulla legge elettorale del Senato, la

Corte ribadisce, per un verso, la necessità che la normativa residua debba essere immediatamente

applicabile (secondo il principio della c.d. indefettibilità della normativa di risulta), per altro verso,

finisce per ammorbidire la posizione iniziale, ammettendo i referendum, anche qualora l’esito della

consultazione possa dar luogo ad una disciplina con alcuni “inconvenienti” cui si potrà porre

rimedio con un successivo intervento delle Camere (sent. n. 32/1993).

Risulta agevole rilevare come l’orientamento giurisprudenziale in materia elettorale, con

l’introduzione del “nuovo requisito teleologico”103, finisca inevitabilmente per favorire una verifica

preventiva sull’esito del referendum, in modo da consentire un esame sulla idoneità della normativa

102 Con riferimento alla materia elettorale bisogna ricordare che sebbene la previsione contenuta nel 2° co.

dell’art. 75 Cost. non menzioni espressamente le leggi elettorali tra quelle escluse dalla consultazione referendaria è altresì vero che in Assemblea Costituente venne proposto ed approvato in prima stesura (ma poi non mantenuto nella formulazione definitiva, in considerazione del fatto che “se c’è qualcosa in cui il popolo può manifestare la sua volontà è proprio il sistema elettorale” così Ruini, citato in E. Malfatti- S. Panizza – R. Romboli, Giustizia, cit., 278.) un emendamento suggerito dalla Commissione dei Settantacinque che includeva anche la materia elettorale nell’elencazione dell’art. 75. Ora, se dal tenore letterale dell’articolo appena richiamato si desume la sottoponibilità al voto popolare delle leggi elettorali, una interpretazione logico – sistematica potrebbe condurre alla conclusione opposta, anche perché la Corte Costituzionale ha dimostrato di preferire una lettura estensiva del disposto dell’art. 75, ampliando il campo delle materie su cui la richiesta referendaria deve ritenersi inammissibile (In proposito, cfr. E. Spagna Musso, Sulla ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo in materia elettorale, in A. Giorgis, I referendum elettorali. Il compromesso n. 47/91, Torino 1991, 236). Pur tuttavia, i giudici costituzionali nella decisione n. 47 del 1991 si sono espressi nel senso di ritenere che “qualsiasi ricostruzione delle vicende subite dall’emendamento volto ad includere le leggi elettorali tra quelle espressamente sottratte dalla Costituzione alla possibilità di abrogazione per via referendaria (…) non consente, a parte l’innegabile interesse storico – istituzionale, di condividere” la tesi dell’inammissibilità (punto 3.1 del considerato in diritto).

103 L’espressione è di E. Malfatti – S. Panizza – R. Romboli, Giustizia costituzionale, cit., 279.

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di risulta di svolgere coerentemente i principi costituzionali104. Più di recente, la Corte dimostra di

allontanarsi dall’indicazione di metodo, in virtù della quale aveva dichiarato di non poter prendere

in considerazione gli effetti dell’abrogazione referendaria sotto il profili della loro

incostituzionalità. Invero, con la sentenza n. 45 il giudice delle leggi ribadisce che in sede di

ammissibilità non possono essere presi in esame eventuali profili di illegittimità costituzionale della

legge n. 40, “cosicché dalla presente decisione non è lecito trarre conseguenze circa la conformità o

meno a Costituzione della menzionata normativa, né è questa la sede di un giudizio sulla

illegittimità costituzionale dell’eventuale disciplina di risulta derivante dall’assetto abrogativo del

referendum”.

Subito dopo, però, precisa che ad essa spetta, risultando imprescindibile agli stessi fini del

controllo sulla domanda referendaria, una valutazione liminare al fine di verificare se l’eliminazione

di una determinata disciplina non comporti “ex se un pregiudizio totale all’applicazione di un

precetto costituzionale”. In tal maniera, lo svolgimento di uno scrutinio preventivo sulla probabile

produzione di effetti incostituzionali e la conseguente pronuncia di inammissibilità del referendum

trova giustificazione, ad opinione della Consulta, nel fatto che l’intera legge 40 costituisce la prima

ed unica legislazione organica al momento vigente in un delicato settore che coinvolge una pluralità

di rilevanti interessi costituzionali, che esigono un bilanciamento che assicuri quantomeno un

livello minimo di tutela legislativa.

Per concludere sul punto, una strada in vista del superamento dalla zona d’ombra

determinata dall’ambiguità insita alla sovrapposizione che si viene a determinare tra controllo sul

quesito referendario e giudizio anticipato di legittimità potrebbe essere quella di immaginare la

Corte come possibile giudice a quo, in sede di sindacato sul referendum, qualora emergano elementi

di incostituzionalità della normativa di risulta; sicché il referendum verrebbe meno a seguito della

dichiarazione di incostituzionalità della norma. Gli inconvenienti, peraltro, sono difficili da

superare: si dovrebbe, vale a dire, dimostrare che la disciplina di risulta risulti applicabile nel

104 In altre occasioni la Corte ha fatto uso del criterio dell’autoapplicatività della normativa di risulta con

riferimento alle leggi comunitariamente necessarie. In questi casi i giudici costituzionali hanno dichiarato inammissibili quesiti su discipline attuative di direttiva comunitarie. Ciò al fine di evitare che una disciplina interna scaturente dall’esito referendario si ponga in conflitto con il diritto comunitario. Sicché, ad opinione del giudice delle leggi, è possibile la sottoposizione a referendum di una norma interna conformativa di atti comunitari soltanto attraverso la sostituzione immediata di discipline rispettose degli obblighi comunitari. Siffatto modo di argomentare nasconde una incongruenza, che una parte della dottrina non ha mancato di sottolineare. In particolare, la Corte avrebbe dovuto operare una distinzione tra le ipotesi in cui al legislatore non residui alcun margine di discrezionalità quanto all’an né al quid delle legge di recepimento e quelle in cui, richiedendo la direttiva soltanto il rispetto di un contenuto minimo, lascia alle disposizioni nazionali un ampio margine di apprezzamento. Questa seconda categoria di atti sarebbe, secondo una opinione (E. Malfatti – S. Panizza – R. Romboli, Giustizia costituzionale, cit., 279) da annoverare tra le leggi costituzionalmente obbligatorie, segnando un ulteriore limite alla ammissibilità delle richieste abrogative.

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giudizio di ammissibilità per poter affermare l’esistenza del requisito della rilevanza della

questione105.

8. Segue – Luci ed ombre dell’inedita versione di procedimento sommario al vaglio della Corte Costituzionale: il giudizio preventivo di legittimità costituzionale inglobato nel controllo di ammissibilità

– Come è fin qui emerso, il tentativo da cui sembra muovere la giurisprudenza costituzionale

nella definizione dei limiti di un sindacato preventivo di legittimità costituzionale sulla normativa di

risulta, probabilmente riesce a svelare il filo rosso che ha guidato il giudice delle leggi verso una

soluzione che riesca a contemperare le molteplici esigenze sottese al giudizio di ammissibilità.

Dall’esame delle varie decisioni sembra prendere consistenza l’idea che in via di principio, i giudici

costituzionali escludono che possa residuare una loro competenza a sindacare, in sede di

ammissibilità, gli effetti incostituzionali eventualmente scaturenti dall’esito referendario. In realtà,

accanto a tale linea di rigore, la Corte giustappone un indirizzo che, lungi dal porsi in

contraddizione con la prima, sembra costituirne il naturale svolgimento, proprio in vista del

perseguimento degli interessi differenti che si celano dietro la complessa attività che gli è stata

affidata dall’ordinamento. Se, infatti, non è dubitabile che il giudizio di ammissibilità è cosa assai

diversa dal sindacato sulle leggi, non si deve trascurare neanche la circostanza che anche in materia

referendaria essa è chiamata a custodire “i valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture e ai

temi delle richieste referendarie” (sent. 16/1978).

A ben guardare, l’orientamento della giurisprudenza costituzionale quasi mai si è discostato da

tale iniziale impostazione ed anzi progressivamente l’istanza a tutela del “nucleo costituzionale

irrinunciabile” (sent. n. 49 /2000) ha finito per assumere un ruolo importante nei giudizi di

ammissibilità, al costo, forse troppo alto, di una sovraesposizione eccessiva dinanzi all’opinione

pubblica e al sistema politico. A fronte della prudenza che la Corte ha dimostrato di possedere, in

tante occasioni, al fine di non vulnerare lo strumento referendario, quale genuina manifestazione

della volontà popolare, respingendo seccamente le richieste di sindacare la normativa di risulta, fa

riscontro un atteggiamento incline ad assolvere ad una funzione altrettanto rilevante a presidio di

beni che esigono speciale protezione. Dovendo tener conto di un quadro così complesso in cui il

bilanciamento delle variegate istanze non è sempre agevolmente realizzabile, la Corte sembra aver

optato per una soluzione, tutt’affatto originale rispetto ai compiti che tradizionalmente gli sono

affidati, ma che, pur tuttavia, non sembra distanziarsi molto dalle genuine intenzioni del

Costituente.

105 In questo senso una proposta, peraltro, in formula dubitativa si trova in G. Zagrebelsky, Giustizia, cit., 476.

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Il giudice costituzionale si trova, ancora una volta, di fronte all’insolubile dilemma derivante

dalla irriducibile distanza tra i due tipi di giudizi: da una parte, infatti, vi è l’emersione della

“prospettiva formale – astratta delle disposizioni” che sta a fondamento del controllo circa il rispetto

dei vincoli indicati dall’art. 75, dall’altra, si impone una verifica della “relazione dialettica

Costituzione – legge”, che necessità dell’ausilio imprescindibile delle “esigenze dell’applicazione”.

Ne consegue che soltanto al cospetto della singola questione storicamente data, che può emergere

esclusivamente nell’ambito di un vero e proprio giudizio di costituzionalità, la Corte sarebbe

chiamata a svolgere una “verifica di ragionevolezza strettamente intesa”106. L’impossibilità di poter

comparare gli oggetti dei due giudizi (le disposizioni nel controllo di ammissibilità e le norme,

ovvero la situazione normativa complessiva nel giudizio sulle leggi) sembra escludere in radice un

sindacato anticipato di legittimità.

Ad ogni buon conto, la Corte sembra dare indicazioni di diverso segno, prediligendo una

strada compatibile con l’idea che anche all’interno del controllo di ammissibilità ad essa è

demandato il compito di dirimere un dubbio in “senso lato di …costituzionalità”107. Per ovviare ai

non pochi inconvenienti che sarebbero derivati dalla totale rinunzia ad un giudizio di

costituzionalità anticipato e nello stesso tempo per evitare di sconfinare in un accertamento ex ante

che la legge non gli riconosce, la Corte sembra aver intrapreso la strada di un giudizio sommario ed

anticipatorio, per valutare prima facie, appunto, se la normativa di risulta appare manifestamente

contraria ad un precetto costituzionale.

Unicamente in questa evenienza il giudice delle leggi si troverebbe dinanzi alla scelta

obbligata di bloccare la consultazione popolare. Per scongiurare il rischio di una palese lesione dei

beni costituzionalmente protetti e dunque del verificarsi di una minaccia grave per la funzionalità

del sistema si è trovata costretta, in talune occasioni, a sacrificare lo strumento referendario.

A ben guardare, nella decisione concernente il referendum sulla fecondazione medicalmente

assistita la Corte si dichiara competente a svolgere una funzione di questo tipo; in un passaggio

della pronuncia n. 45 in cui afferma testualmente “che ciò che può rilevare, ai fini del giudizio di

ammissibilità della richiesta referendaria, è soltanto una valutazione liminare e inevitabilmente

limitata del rapporto tra oggetto del quesito e norme costituzionali, al fine di verificare se, nei

singoli casi di specie, il venir meno di una determinata disciplina non comporti ex se un pregiudizio

totale all’applicazione di un precetto costituzionale, consistente in una diretta e immediata

106 La locuzione è utilizzata da A. Ruggeri, Referendum inammissibili per “irragionevolezza” della richiesta, cit., 281, il quale aggiunge che le differenze degli oggetti dei due tipi di controllo altro non è che la conseguenza delle diversità tra abrogazione e annullamento e tra legislazione e giudizio.

107 L’espressione è di A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti, cit., 388.

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vulnerazione delle situazioni soggettive o dell’assetto organizzativo risultanti a livello

costituzionale”.

Con le argomentazioni addotte nella sentenza in parola sembrerebbe che la Corte sia alla

ricerca di un equilibrato soddisfacimento al fine di impedire la consultazione solo in casi

eccezionali, qualora la lesione di un principio costituzionale presenti un grado di probabilità

prossima alla certezza e si faccia apprezzare come tale già ad una prima e sommaria indagine.

In tutte le altre ipotesi, in cui si possa scorgere solo un dubbio circa l’illegittimità

costituzionale della normativa residua, la Corte dovrebbe dare il via libera al referendum, lasciando

aperta la questione e avvertendo del rischio che l’esito del referendum potrebbe comportare un

ostacolo all’applicazione di un precetto costituzionale, rinviando ad altro successivo contesto

l’esame dell’eventuale vizio.

Di tal ché, la decisione espressa nel giudizio di legittimità sulla normativa residua non

andrebbe ad urtare con l’art. 137 Cost., trattandosi del medesimo giudizio (e non di una sorta di

seconda istanza) che entra per la prima volta nel merito per verificare l’esistenza di una violazione

del precetto costituzionale.

9. Le prospettive di riforma tra “zone franche” e “zone d’ombra”.

Una prima questione riguarda la necessità di modificare la normativa vigente stabilendo un

limite massimo al numero dei quesiti che possono essere sottoposti all’elettorato nella stessa tornata

elettorale108. Ciò al fine di permettere agli elettori di decidere in maniera consapevole sulle singole

questioni, anche attraverso un sistema di informazione che consenta una conoscenza sufficiente e

adeguata per ogni singolo quesito. In tal modo, si potrebbe realizzare un valido correttivo ad un uso

distorto del referendum che finisce per mettere a repentaglio un principio costituzionale

fondamentale, quale quello della libertà effettiva del voto, secondo quanto impone l’art. 48 Cost. C

Coerentemente con la direzione indicata, la Commissione parlamentare per le riforme

costituzionali aveva elaborato una norma della legge di attuazione del referendum che avrebbe

dovuto determinare “il numero massimo di referendum da svolgere in ciascuna consultazione

popolare”.

In un quadro di riforma complessiva dell’istituto referendario, a completamento della

modifica appena richiamata, si potrebbero prevedere due tornate annuali di referendum e un

criterio per stabilire l’ordine di precedenza delle consultazioni; vi è anche chi suggerisce di prendere

108 Si sono espressi in questo senso, E. Bettinelli, Referendum le condizioni di un voto genuino, in AA. VV., Il

giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, Atti del Seminario svoltosi a Roma, 5- 6 luglio 1996, Milano 1998, 41.

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in considerazione il numero di sottoscrizioni raccolte per ciascuna richiesta, in maniera da

consentire la preferenza a quelle che hanno ottenuto il maggior consenso 109.

Si potrebbe, ancora, procedere, con una modifica costituzionale, ad innalzare il numero di

firme necessarie dalle attuali cinquecentomila a ottocentomila (o un milione) per depositare una

richiesta di referendum, infatti con l’aumento della soglia per la proponibilità sarebbe possibile

scoraggiare un uso eccessivo e, probabilmente, non fisiologico dello strumento referendario,

evitando che questioni di “basso profilo” o che coinvolgono tematiche di scarso interesse siano

sottoposte al voto degli elettori che finiscono, per questa ragione, per disertare le urne.

Sarebbe, inoltre, secondo una proposta, auspicabile l’anticipazione del giudizio di

ammissibilità in un momento precedente alla raccolta delle sottoscrizioni (attribuendo alla Corte, in

tal modo, anche la competenza a svolgere in via preventiva un sindacato di legittimità costituzionale

sulla normativa di risulta).

Una riforma di questo tipo da attuare – come è stato in passato sostenuto – anche con legge

ordinaria, senza procedere alla revisione la legge cost. n. 1/1953, risponderebbe al duplice scopo di

alleggerire la posizione della Corte dinanzi alla opinione pubblica.

Infatti la richiesta referendaria proveniente dal solo comitato dei promotori, non sarebbe

ancora supportata da quel plus di legittimazione politica derivante dall’adesione di un rilevante

numero dei sottoscrittori. Sicché la Corte si troverebbe a decidere “in solitudine” e lontano dai

riflettori il giudice delle leggi, potendo dismettere i panni di arbitro dei conflitti politici110,

riacquisterebbe quel ruolo di custode dei valori e dei diritti fondamentali che le è maggiormente

congeniale.

A ciò si aggiunga che con l’anticipazione del giudizio di ammissibilità i promotori avrebbero

il vantaggio di dover provvedere soltanto alla formulazione del quesito, rimandando ad un momento

successivo e subordinato alla decisione positiva della Corte la fase della raccolta delle firme.

A questa originaria proposta di anticipazione totale del controllo da parte dell’organo di

giustizia costituzionale è stato suggerito111 di apportare un correttivo consistente nel collocare il

giudizio di ammissibilità in un momento della raccolta delle firme occorrenti per la presentazione

109 Viene, inoltre, proposto un meccanismo che consente ai presentatori di rinnovare nel tempo la richiesta di

referendum al fine di aumentare il numero delle firme e “guadagnare posizioni più avanzate nella graduatoria (aperta) di indizione” Questo sistema consentirebbe anche una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui temi oggetto dei quesiti referendari, così, E. Bettinelli, Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, in Atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, nei giorni 5 e 6 luglio 1996, Milano 1998, 43 ss.

110 Infatti le aspettative politiche sottese alla vicenda referendaria hanno, fino ad oggi, in qualche misura sbiadito il ruolo “di sicura e riconosciuta imparzialità” della Corte che non sempre è riuscita a definire principi giurisprudenziali fondati su criteri sufficientemente definiti e stabili, cfr., S. Panunzio, Osservazioni su alcuni problemi del giudizio di ammissibilità del referendum e su qualche possibile riforma della sua disciplina, in Atti Convegno Roma cit., 17.

111 In proposito, A. Pertici, Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, in Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1996 – 1998) a cura di R. Romboli, Torino 1999, 513.

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della richiesta soltanto parziale, al fine di incentivare proposte abrogative serie e credibili, corredate

da un certo numero di consensi espressi dai sottoscrittori.

In una fase preliminare dell’iter referendario e comunque prima della raccolta delle firme si

potrebbe riconoscere alla Corte Costituzionale il potere di verificare le necessarie “garanzie di

semplicità, di univocità, di completezza dei quesiti, al fine di assicurare una corretta formulazione

della domanda, con un intervento legislativo mirato a intervenire sulle gravi lacune presenti nella l.

n. 352 del 1970.

Tale modifica, del resto, andrebbe a colmare un vuoto legislativo proprio nella direzione

auspicata dalla Corte, che, in alcune pronunce, e segnatamente nella sent. n. 16 del 1978, si duole

dell’omissione contenuta nella legge n. 352, laddove non vi è traccia – lamentano i giudici

costituzionali - dei criteri, degli organi, del momento e degli effetti per il soddisfacimento di un

corretto esercizio del controllo sull’omogeneità delle richieste. (Alternativamente, nell’intento di

ridurre lo spazio del vero e proprio giudizio di ammissibilità alle sole cause di esclusione previste

nell’art. 75, 2° co., si potrebbe affidare all’Ufficio centrale per il referendum la competenza alla

verifica della struttura del quesito comprensivo, magari, del potere di correggere e riformulare la

proposta per assicurare che sia conforme alle garanzie richieste, con possibilità di inserire,

eventualmente, le disposizioni normative ritenute indispensabili ai fini della completezza della

domanda referendaria112).

Nello stesso tempo, alla Corte potrebbero essere attribuiti ex lege quei “poteri di scissione o di

ridefinizione dei quesiti referendari” alla cui mancanza essa ha in diverse occasioni ascritto la

responsabilità113 di non poter dichiarare ammissibili i referendum, argomentando sulla eterogeneità

delle disposizioni contenute nel quesito da sottoporre agli elettori (il riferimento è alle decisioni di

inammissibilità del referendum riguardante l’intero codice penale militare di pace nonché il

referendum concernente novantasette articoli del codice penale di diritto comune).

Sono state avanzate anche proposte di una radicale modifica dell’attuale giudizio di

ammissibilità, in particolare è stato suggerito di eliminare114 il controllo preventivo dalle

attribuzioni della Corte Costituzionale e di conferire tale funzione alla Corte di Cassazione,

112 Per questa soluzione propende S. Panunzio, Osservazioni, cit., 26. 113 In proposito, assai critico V. Onida, Principi buoni applicazioni discutibili, in Pol. Dir. 1978, 563 ss., il quale

nutre parecchi dubbi sulla posizione rigida assunta dalla Corte. In particolare, siffatti poteri avrebbero potuto essere desunti dal sistema anche in virtù del ruolo di organo di chiusura a tutela delle esigenze costituzionali implicate nel referendum che la Corte si è impegnata ad assolvere. La questione avrebbe potuto trovare analoga soluzione a quella data alla fattispecie di abrogazione della legge sottoposta al referendum e sostituita dal legislatore con disciplina sostanzialmente non diversa. In questo caso la Corte ha ammesso che il quesito referendario possa essere esteso o trasferito alla legge modificativa. Anche in questa ipotesi i giudici costituzionali avrebbero potuto sollevare questione di legittimità della legge n. 352 nella parte in cui non prevede la scissione dei quesiti eterogenei e procedere ad una dichiarazione di illegittimità della norma, attribuendo all’Ufficio Centrale di procedere alla scissione e ridefinizione dei quesiti eterogenei.

114 Così, S. Panunzio, Osservazioni su alcuni problemi, cit.,21.

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demandando ad essa, insieme alle tradizionali funzioni di vertice del sistema delle impugnazioni

degli atti giurisdizionali, anche compiti di controllo politico – costituzionali, analogamente a quanto

avviene negli Stati Uniti d’America, in cui siffatte funzioni sono svolte dalla Corte Suprema115.

Su altro versante è stata avanzata l’idea di conferire una forte legittimazione politica ai

referendum manipolativi. Invero, anziché tentare di sconfessare siffatti meccanismi, contrari alla

configurazione del referendum come atto con effetti meramente ablatori, si propone di trasformare

l’attuale referendum in atto di indirizzo, la cui sottoposizione al voto popolare andrebbe supportata

dal consenso di due terzi dei parlamentari,116 in modo da evitare strumentalizzazioni dell’istituto

referendario a fini particolari. Soltanto in questo modo, si fa osservare, le scelta degli elettori

troverebbe pieno accoglimento in sede parlamentare.

Siffatta modifica, tuttavia, finirebbe probabilmente per stravolgere profondamente l’istituto

referendario che ha rappresentato - come è stato detto con una fortunata espressione 117 - fin

dall’origine, il meccanismo più idoneo di “integrazione-correzione” della democrazia

rappresentativa e ha avuto l’innegabile pregio di scongiurare il rischio che il principio di sovranità

popolare si giocasse interamente sul versante della mediazione politica e della relazione partitico -

parlamentare.

Forse, sarebbe maggiormente consono alla natura dell’istituto referendario, impiantato in un

sistema di democrazia rappresentativa, l’inserimento di un referendum di indirizzo e/o consultivo118

rimesso ad una minoranza dell’elettorato e finalizzato ad orientare preventivamente le scelte

fondamentali degli organi costituzionali, ai quali ultimi residuerebbe un margine di discrezionalità

in ordine alle misure più idonee, in vista del perseguimento degli scopi indicati dal voto popolare.

Di tal che, attraverso siffatta forma di referendum i cittadini parteciperebbero in maniera diretta alle

scelte assunte nelle aule parlamentari, con un potere di impartire direttive alla maggioranza su cui

ricadrebbero le conseguenze legate al mancato rispetto della volontà manifestata in sede

referendaria119.

115 In questo senso, A. Pizzorusso, I controlli di ammissibilità del referendum, in Quad. Cost., n. 2, agosto 1985,

285. 116 Cfr. ancora A. Pizzorusso, I controlli, cit., 284. 117 Così, P. Carrozza, Il giudizio sull’ammissibilità del referendum abrogativo, in Aggiornamenti in tema di

processo costituzionale (1990 – 1992), 314. 118 Cfr., per una analoga, proposta, E. Malfatti, Il giudizio di ammissibilità, cit., 492. 119 Di tale avviso, E. Malfatti, S. Panizza, R. Romboli, Giustizia costituzionale, Torino, 283, che non trascurano

di precisare come all’interno di un simile scenario “affiorerebbe un problema di rapporti tra diversi procedimenti decisionali” che, tuttavia, potrebbe trovare soluzione con l’introduzione di opportune norme di coordinamento.

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In definitiva, anche l’idea di introdurre l’obbligo di motivazione del quesito referendario120,

che consenta attraverso un linguaggio semplice una maggiore comprensione, da parte

dell’elettorato, dell’obiettivo avuto di mira dai promotori del referendum, asseconda l’orientamento

incline a restituire all’istituto referendario quella spiccata funzione propositiva e di indirizzo, che

pure in Assemblea Costituente era stata immaginata da Costantino Mortati nella forma della

decisione popolare, (nel progetto poi non approvato si prevedeva un intervento propositivo,

azionabile da una frazione del corpo elettorale per la presentazione di un disegno di legge alle

Camere. Nel caso di mancata approvazione in sede parlamentare lo stesso sarebbe stato

sottoponibile a referendum approvativo da parte degli elettori).

Alcune delle proposte suggerite dalla dottrina erano state recepite dalla Commissione

Bicamerale per le riforme istituzionali, istituita nel 1997. In quella occasione, il progetto di

revisione costituzionale, all’art. 97, contemplava anche una parte relativa al referendum, con una

significativa serie di accorgimenti. L’istituto referendario veniva rivisitato, innanzitutto, con

riferimento ai requisiti, attraverso l’inserimento di una norma in cui espressamente si richiedeva, ai

fini dell’ammissibilità, l’omogeneità della domanda abrogativa.

Nella prima stesura del documento di revisione era stata fatta una scelta precisa in merito alla

tipologia del giudizio di ammissibilità, ascrivibile all’interno dei giudizi preventivi di legittimità

costituzionale con carattere astratto.

In dettaglio, si prevedeva l’inammissibilità del referendum per un duplice ordine di motivi: di

quelli il cui esito positivo comportasse “discipline costituzionalmente illegittime” e di quelli vertenti

su una parte della legge che in caso di esito positivo avrebbe reso inapplicabile la parte di normativa

non sottoposta al vaglio degli elettori.

Da ricordare anche l’innalzamento del numero dei sottoscrittori per avanzare la richiesta da

cinquecentomila a ottocentomila nell’intento di scoraggiare referendum non dotati di particolare

interesse per l’opinione pubblica e l’anticipazione del giudizio di ammissibilità prima della fine

120 L’idea è stata suggerita da F. Modugno – P. Carnevale, Divagazione in tema, cit., 11, i quali AA. descrivono i

numerosi vantaggi che – a parer loro – potrebbero discendere dall’innovazione proposta. In primo luogo l’obbligo dell’abrogazione motivata consentirebbe di formulare quesiti più semplici e maggiormente intelligibili, senza dover ricorrere alla “tecnica del ritaglio normativo”, a beneficio della maggiore consapevolezza della scelta demandata agli elettori. I promotori sarebbero agevolati nella elaborazione della domanda abolitiva, non dovendo indicare tutte le norme o frammenti di esse collegate indissolubilmente tra loro, atteso che la motivazione sanerebbe, in qualche misura, il vizio di “incoerenza – incompletezza” della richiesta, enucleato dalla Corte anche laddove il quesito abrogativo non abbia richiamato disposizioni (collocate in atti formalmente diversi) connesse a quelle di cui si chiede l’abrogazione. Anche l’attività della Corte verrebbe alleggerita, dovendosi concentrare esclusivamente sulla corrispondenza fra motivazione della richiesta di referendum e sostanza normativa del quesito, riducendo, in definitiva, in modo apprezzabile la discrezionalità del giudice delle leggi. Inoltre, l’esplicitazione della ragione specifica del referendum, sarebbe indicativa del “verso” della richiesta, vincolando il legislatore futuro a tener fede, nell’attività normativa, alla direzione voluta dalla “motivazione” del referendum.

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della raccolta delle firme (in particolare, dopo che fossero state raccolte centomila firme delle

ottocentomila necessarie).

Infine, il revisore costituzionale aveva anche previsto la possibilità di attivare una

consultazione popolare di carattere propositivo “per deliberare l’approvazione di una proposta di

legge ordinaria di iniziativa popolare presentata da almeno ottocentomila elettori, quando entro due

anni dalla presentazione le Camere non abbiano deliberato su di essa”121.

10. Il referendum costituzionale. La “zona franca” relativa alla carenza di un giudizio

di ammissibilità sul quesito referendario davanti alla Corte..

Una riflessione sul giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, rivolta anzitutto a

coglierne gli aspetti maggiormente problematici, non può prescindere da una valutazione circa

l’opportunità di procedere ad una rivisitazione dell’istituto che contempli una qualche forma di

controllo anche con riferimento al referendum costituzionale. Come è stato acutamente fatto

notare122 i limiti che ineriscono alla struttura del quesito non si possono far derivare direttamente

dalla previsione contenuta nell’art. 75, 2° co., essi piuttosto appaiono intimamente connessi con la

libera espressione del voto, volti precipuamente ad assicurare la genuina manifestazione della

sovranità popolare.

D’altra parte, la mancanza fino agli anni 70 di una legge attuativa del referendum ha finito per

imporre, in via di prassi, l’approvazione delle leggi costituzionali e delle leggi di revisione con la

maggioranza qualificata dei due terzi, invogliando i partiti presenti in Parlamento a ricercare un

vasto consenso, che legittimasse fortemente una proposta di modifica della Carta; questo stato di

cose ha di fatto impedito lo svolgimento della consultazione prevista dall’art. 138. Come è a tutti

noto, per la prima volta, nell’ottobre del 2001 i cittadini italiani sono stati chiamati ad esprimere il

loro voto su un Testo di revisione della Costituzione, concernente la riscrittura dell’intero Titolo V

(l. cost. n. 3 del 2001), approvato a maggioranza assoluta dalla coalizione dell’Ulivo, sul finire della

XIII Legislatura.

121 In proposito è stato fatto osservare che il meccanismo elaborato dalla Commissione Bicamerale presentava

degli inconvenienti difficili da superare che avrebbero comunque spinto i promotori a continuare ad utilizzare la tecnica del “ritaglio”. Infatti, l’eccessiva dilatazione dei tempi e soprattutto la circostanza che la modifica escludeva che i cittadini fossero chiamati a manifestare il loro voto nel caso in cui in sede parlamentare fosse stata respinta la proposta di iniziativa popolare avrebbe incoraggiato ancora una volta il ricorso ai quesiti manipolativi, cfr. A. Pertici, Il giudizio di ammissibilità del referendum , cit., 515, nonché, M. Lucani, Intervento, in Romboli – Rossi – Tarchi, La Corte Costituzionale nei lavori della Commissione Bicamerale…, cit. 104.

122 Cfr. A. Ruggeri – A. Spadaio, Lineamenti, cit., 391 e 402 ove gli A. si soffermano sulla distinzione che separa le differenti cause di inammissibilità del referendum. Con riferimento alla formulazione del quesito “l’impedimento attiene alla struttura stessa della domanda referendaria”, si tratta, cioè, di un limite che a differenza di quelli riconducibili all’oggetto e agli effetti, non investe direttamente la legge ma il referendum per consentire una espressione di voto genuina e consapevole. Favorevole alla trasposizione al referendum costituzionale del limiti inerenti alla formulazione della domanda, V. Baldini, L’intento dei promotori nel sindacato di ammissibilità del referendum abrogativo: continuità e discontinuità nella giurisprudenza costituzionale, in Jus, 1 – 2, 1996, 187 e 188.

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Ma soltanto a seguito della recente consultazione referendaria svoltasi nel 2006, che ha

riguardato la riforma organica della seconda parte della Costituzione, si è posta in concreto la

questione relativa alla opportunità di estendere al referendum costituzionale il requisito della

“omogeneità” della “domanda”, enucleato dalla giurisprudenza costituzionale a proposito della

consultazione abrogativa. Infatti, la legge di riforma, esitata dai due rami del Parlamento, con la

sola maggioranza assoluta, conteneva una serie di previsioni costituzionali, aventi ad oggetto

pluralità di argomenti123.

Di tal ché, il corpo elettorale chiamato a manifestare il proprio intendimento, con una

alternativa secca, un si o un no, restando privo della possibilità di un voto differenziato su partiture

tra loro eterogenee e “carenti di una matrice razionalmente unitaria”, non viene messo in condizione

di esprimere in modo genuino la sua volontà. Invero, il tema ha da parecchio tempo interessato la

dottrina124; da quando la legge costituzionale n. 1/1993 aveva affidato alla Commissione

parlamentare per le riforme costituzionali (c.d. Commissione De Mita - Iotti) il compito di

predisporre un “progetto organico di revisione costituzionale relativo alla parte seconda della

Costituzione” che sarebbe dovuto essere approvato dalle Camere e, dopo, sottoposto

obbligatoriamente al voto popolare.

Analoga previsione ha trovato ingresso nella successiva l. cost. n. 1/1997, laddove

espressamente prevedeva che, sui progetti di revisione elaborati dalla Commissione, l’approvazione

da parte delle Camere doveva avvenire con un unico voto sul complesso degli articoli di tutti i

progetti (art. 2, co. 4°) e il corpo elettorale avrebbe dovuto esprimersi con “un unico referendum

popolare” (art. 4). Veniva esplicitata, così, la volontà di predisporre un meccanismo che mirasse ad

ottenere un pronunciamento popolare estremamente semplificato dotato, per un verso, di una “forte

valenza plebiscitaria”125, ma carente, per altro verso, di una reale capacità decisionale, in cui ai

cittadini era preclusa la possibilità di una condivisione parziale della riforma, essendo, viceversa,

consentito “soltanto schierarsi o per l’innovazione o contro di essa”126.

Una parte della dottrina, particolarmente sensibile a tali problematiche, ha parlato, non a torto,

di un vero e proprio “paradosso”127 e di una mortificazione del principio della sovranità popolare e

della effettiva libertà di voto del cittadino, conseguenti alla contraddizione che si annida nella

123 In proposito si può leggere, I. Nicotra (a cura di), Il tempo delle riforme, Roma 2006, passim.

124 La questione è affrontata da M. Volpi, Referendum nel diritto costituzionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, 515; G. M. Salerno, Referendum, in Enc. Dir., vol. XXXIX, Milano, 230. 125 In questo modo si esprime S. Panunzio, Le vie e le forme per l’innovazione costituzionale in Italia, in Studi sulla riforma costituzionale, Torino 2001, 118. 126 Cfr., al riguardo, le considerazioni di A.A. Cervati, La revisione costituzionale ed il ricorso a procedure semplificate, in Le vie e le forme, cit., 65.

127 Così, A. Pace, Potere costituente, rigidità costituzionale, autovincoli legislativi, Padova, 2002, 152.

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volontà di modificare l’art. 138 nel senso di rendere “obbligatorio” il referendum ammettendo, nello

stesso tempo, la legittimità di revisioni su un pacchetto eterogeneo di riforme costituzionali.

I fautori della tesi contraria all’applicabilità del limite sul quesito considerano l’art. 138 quale

norma speciale rispetto ai principi costituzionali riconducibili alla sovranità popolare e alla libertà

del voto. In altri termini, secondo la tesi appena richiamata il quesito potrebbe essere non

omogeneo, in quanto il voto non frazionabile imporrebbe “una coazione subita dal corpo votante, il

quale è tenuto alla scelta del “bene maggiore” o comunque “del male minore” tra le due soluzioni

totali propostegli”128, conferendo una forte sottolineatura al significato complessivo ed unitario di

voto destinato ad incidere sul Testo fondamentale.

Tuttavia, la tesi sembra provare troppo in quanto il corpo elettorale è comunque chiamato a

dare una valutazione sul contenuto della modifica, il che presuppone una chiara consapevolezza

rispetto a quanto viene disposto con la legge di revisione.

Oltretutto, la presenza di un quesito carente di univocità e di puntualità rischierebbe di

vanificare la stessa natura (oppositiva e/o confermativa)129 del referendum costituzionale ”qualora

nello stesso testo di legge fossero inserite accanto a previsioni impopolari altre ben accette al corpo

elettorale, in quanto ciò renderebbe impossibile la misurazione dell’effettivo consenso e del

dissenso esistenti sulle diverse questioni”130.

Una seconda obiezione all’estensione viene avanzata da chi ritiene che il requisito della

omogeneità possa valere per i referendum di iniziativa popolare131 e non per quelli vertenti sulle

leggi, perché insuperabile sarebbe l’ostacolo derivante dall’assenza di vincoli imposti al legislatore,

affinché riforme eterogenee siano oggetto di distinti progetti di revisione, che rispondano ai requisiti

di puntualità, omogeneità e chiarezza. Ora, poiché l’art. 138, a differenza di altre previsioni

contenute in alcune Costituzioni europee nulla dice circa la distinzione tra revisione totale e

revisione parziale (art. 44 Cost. austriaca, art. 192 Cost. svizzera, art. 167 di quella della Spagna),

conferisce al Parlamento una ampia discrezionalità in ordine alla estensione delle modifiche da

128 Cfr., G. M. Salerno, Referendum, cit., 230, secondo il quale nel referendum costituzionale le proposte di

modifica “sono assunte nel loro inscindibile significato funzionale (quello di modificare la Costituzione) e non nel loro particolare e differenziato contenuto normativo”.

129 Cfr. A. DePetris, Il referendum costituzionale nell’opera di Sergio Panunzio, Intervento presentato al Convegno “Sergio Panunzio. Profilo intellettuale di un giurista”, Università di Perugia, 16 giugno 2006, ove viene fatto osservare che la trasformazione operata con le leggi costituzionali del 1993 e 1997 del referendum da facoltativo ad obbligatorio ha contribuito a “sdoganare” definitivamente la funzione confermativa – plebiscitaria del referendum costituzionale cui era stato riconosciuto, fino a quel momento, carattere oppositivo e di tutela della minoranze.

130 Testualmente, M. Volpi, Referendum, cit., 516. 131 Sostiene tale posizione, fra gli altri, A. Baldassarre, Il referendum costituzionale, in Democrazia maggioritaria e referendum, Convegno annuale dell’AIC, Siena 1993, 33, secondo cui “limiti del genere sono logicamente riferibili soltanto alle consultazioni referendarie, come le cd. “iniziative popolari” o il referendum abrogativo, il cui oggetto specifico è dato da disposizioni definite o individuate da particolari soggetti, cioè, nel caso, da determinate frazioni dell’elettorato”.

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apportare alla Carta Fondamentale, non pare convincente la tesi che, viceversa, nega la possibilità di

modificare, seguendo il procedimento di revisione, ampie parti del Testo132.

Del resto, anche a voler ritenere, forzando il tenore letterale dell’art. 138, che le Camere siano

tenute a far ricorso a tante leggi di revisione quante sono le partiture omogenee interessate dalle

modifiche, rimarrebbero da individuare gli strumenti per sanzionare l’eventuale comportamento del

legislatore che disattendesse siffatta regola133.

Alla luce di tali considerazioni, in una prospettiva de iure condendo, l’idea di attribuire, con

legge costituzionale134, alla Corte135 il compito di verificare chiarezza e linearità del quesito, anche

con riguardo al referendum costituzionale e, conseguentemente, di ammettere soltanto quelli che si

presentino su “blocchi” omogenei di materia, offrirebbe, a parer nostro, la strada più semplice

(sebbene consapevoli delle insidie, che una simile opzione, potrebbe nascondere sul piano della

sovraesposizione e delle strumentalizzazioni politiche a cui tale funzione potrebbe, con molte

probabilità, prestare il fianco) per salvaguardare le possibilità di scelta degli elettori, posti nella

condizione di esprimere un giudizio consapevole, potendo condividere taluni aggiornamenti della

Carta e respingerne altri136.

Ora, se – come avverte la Corte Costituzionale- la necessità di formulare un quesito in termini

semplici e chiari è fortemente presente con riguardo alla consultazione su una legge ordinaria, essa

132 Invero, come è stato esattamente affermato da S. Panunzio (Le vie e le forme, cit., 128), il divieto di revisioni organiche “uno actu non costituisce un limite logico, od implicito del potere di revisione: esso c’è solo se così è positivamente stabilito”. La tesi contraria in virtù della quale l’art. 138 consentirebbe soltanto revisioni puntuali e omogenee della Carta è sostenuta, in dottrina fra gli altri, A. Pace, Problemi della revisione costituzionale in Italia: verso il federalismo e il presidenzialismo?, in Studi parl. pol. cost. 1995, 15; Id, Potere Costituente, cit., 153; Id, Riformare la Corte Costituzionale, in Costituzionalismo.it; Id, Vi spiego perché la riforma è incostituzionale, in Europaquotidiano.it; A. Cerri, Revisione costituzionale, in Enc. Giur., vol. XXVII, Roma 1991, 2.; G. Azzariti, Considerazioni inattuali sui modi e sui limiti della riforma costituzionale, in Pol. dir.1998, 173; M. Dogliani, Il problema della rigidità e della revisione della Costituzione, in M. Fioravanti – S. Guerrieri (a cura di), La Costituzione italiana, Roma 1999, 311 ss.

133 Si esprime in questo senso, R. Tarchi, Leggi costituzionali e di revisione costituzionale, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Roma – Bologna 1995, 281, nota 25. 134 Si ritiene infatti che in ossequio ad un’implicita riserva di legge costituzionale, si possa procedere ad un allargamento delle competenze della Corte soltanto seguendo la procedura di cui all’art. 138. Ciò anche al fine di proteggere la Corte da una “improvvisata estensione delle sue funzioni”, cfr. G. Zagrebelsby, Giustizia, cit., 472. 135 Per questa soluzione sembra propendere G. Busia, Il referendum costituzionale fino al suo debutto: storia di un “cammino carsico” di oltre cinquant’anni, in Nomos, 2/2003, 105. In proposito cfr. anche M. Piazza, Le ragioni della mancata previsione del giudizio di ammissibilità nel referendum costituzionale, 10 del dattiloscritto sostiene che la modifica della l. n. 352 del 1970 per consentire l’introduzione del controllo di ammissibilità anche sul referendum costituzionale, seppur autorevolmente sostenuta (P.Barile), sarebbe insufficiente, in quanto occorrerebbe una legge costituzionale per aumentare le funzioni della Corte. 136 Né, per sostenere il contrario, si può convenire con la posizione che nega (M. Piazza, Le ragioni, cit., 11) la competenza della Corte a sindacare la legittimità delle leggi costituzionali, non soltanto per l’orientamento contrario espresso, sul punto, dai giudici costituzionali, ma soprattutto in quanto, in sede di giudizio di ammissibilità, l’esame va effettuato non su una legge di rango costituzionale, ma su una delibera legislativa sebbene perfetta non ancora efficace. Tale A., invero, propone tali argomentazioni con riferimento alla possibilità di sollevare conflitto di attribuzione contro l’atto presidenziale di indizione del referendum, ma anche in questa evenienza la Corte valuterebbe l’atto presidenziale e non la legge costituzionale, che peraltro, non è ancora tale perché manchevole, appunto, del voto popolare confermativo.

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deve essere tanto più avvertita nei casi in cui ai cittadini viene richiesto un giudizio sulla riforma del

documento fondamentale dello Stato.

L’esigenza di tutelare pienamente la libertà di voto va, invero, soddisfatta a prescindere dalla

provenienza del testo sottoposto alla consultazione popolare, magari conferendo ai giudici

costituzionali il potere di scindere e/o di riformulare quesiti che presentano caratteristiche di

disomogeneità, in quanto concernenti leggi di riforma globale della Costituzione.

Secondo una prospettiva parzialmente diversa il controllo della Corte potrebbe avvenire in

sede di conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato su iniziativa dei promotori del referendum

avverso la decisione dell’Ufficio Centrale che ha dichiarato inammissibile una richiesta di

referendum “parziale”, concernente, vale a dire, soltanto una partitura omogenea del progetto della

legge di revisione costituzionale approvato dai due Rami del Parlamento. A questo punto la Corte

potrebbe sollevare dinanzi a sé la questione di legittimità della legge n. 352 del 1970, nella parte in

cui non prevede, con riguardo alla consultazione prevista dall’art. 138, il ricorso a referendum

parziali137.

Tuttavia, una riflessione più accurata induce a ritenere che la Carta non pare propendere per

una posizione di netta avversione in ordine alla possibilità di ricorrere a referendum parziali;

l’enunciato contenuto nell’art. 138 - sebbene diversamente formulato rispetto a quello dell’art. 75,

che in modo espresso ammette l’abrogazione totale o parziale - non contiene ostacoli

all’esperimento di una prova referendaria su una parte limitata del testo approvato. La circostanza

che si parli di “leggi sottoposte a referendum” non deve necessariamente intendersi nel senso di

vietare ai soggetti legittimati all’iniziativa referendaria di determinarsi per richiedere la

deliberazione popolare solo su una parte omogenea di un articolato progetto di riforma.

E’ stato proposto un accostamento tra l’articolo richiamato da ultimo e la previsione di cui

all’art. 134, nella parte in cui dispone che la Corte “giudica sulle controversie relative alla

legittimità costituzionale delle leggi”. In entrambi i casi il Costituente utilizza l’espressione “leggi”,

ma certamente, almeno nella seconda ipotesi, l’uso del plurale non sta certo a significare che la

Corte non sia legittimata a svolgere uno scrutinio limitato unicamente ad una parte di esse138.

Analogamente, si potrebbe sostenere che la previsione dell’art. 138 non osta alla possibilità di

proporre “referendum parziali” (come acutamente suggerisce A. Ruggeri).

137 Questa soluzione viene ipotizzata da R. Romboli, Le regole della revisione costituzionale, in Cambiare costituzione, cit., 92, 93, il quale suggerisce un ventaglio di soluzioni alternative; il conflitto di attribuzioni, promosso dai promotori, nei confronti dell’atto presidenziale di indizione del referendum, o avverso la promulgazione della legge di revisione costituzionale. Egli, inoltre, intravede la possibilità che il Presidente della Repubblica utilizzi il proprio potere di rinvio per rimandare alle Camere una legge di revisione “eterogenea”, perché in contrasto con l’interpretazione dell’art. 138 incline a ritenere ammissibili solo le riforme puntuali ed omogenee. 138 L’accostamento proposto nel testo è suggerito da A. Ruggeri, …

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Una soluzione alternativa alla proposta di investire la Corte di un controllo sul referendum

costituzionale potrebbe essere quella di affidare, attraverso una modifica legislativa, il sindacato

preventivo sulla struttura della domanda, in via esclusiva (difatti la Corte, con sent. n. 35/1985 ha

escluso la possibilità di prospettare di fronte a sé questioni già decise presso l’U.C. R.), all’Ufficio

Centrale per il referendum costituito presso la Corte di Cassazione, a cui la normativa vigente

attribuisce, attualmente, soltanto il compito di verificare che la richiesta “sia conforme alle norme

dell’art. 138 Cost. e della legge” (art. 12, 2° co. l. n. 352/1970)139 ed in caso contrario può

pronunciarsi definitivamente, dichiarando con ordinanza l’illegittimità della richiesta (art. 14, l. n.

352).

Sulla falsariga del controllo sulla formulazione del quesito, affidato all’Ufficio Centrale con

riferimento al procedimento referendario abrogativo che si sostanzia nella possibilità di

“concentrazione” delle richieste “che rilevano uniformità o analogia di materia” (art. 32, co. 4), si

potrebbe immaginare l’ulteriore competenza di “scissione”140 e di riformulazione del quesito, in

modo da ottenere un frazionamento della domanda che allontana il referendum in parola dalla

logica del “prendere o lasciare” e ne attenua la connotazione spiccatamente plebiscitaria che,

sempre più, rischia di assumere141.

Invero, ci sembra assai conducente, in proposito, l’impostazione seguita da coloro che

convintamene affermano come la logica del tutto o del niente “non appartenga affatto al DNA”142

delle consultazioni popolari, aventi ad oggetti provvedimenti di natura costituzionale.

Resta semmai ancora aperto l’interrogativo sulle questioni di ordine tecnico, riguardanti le

attività “consequenziali” agli effetti prodotti da una bocciatura della sola parte del progetto

sottoposta al giudizio dei cittadini. Se, vale a dire, si potrà procedere alla promulgazione della legge

139 Infatti, la previsione contenuta nell’art. 4 della l. n. 352 dispone che la richiesta di referendum di cui all’art.

138, contenente l’indicazione della legge di revisione della Costituzione o della legge costituzionale che si intende sottoporre alla votazione popolare, la data della sua approvazione finale da parte delle Camere, la data ed il numero della Gazzetta Ufficiale nella quale essa è stata pubblicata, “deve pervenire alla cancelleria della corte di Cassazione entro tre mesi dalla (sua) pubblicazione”. 140 Favorevole ad un potere di “scissione” della Corte, con riferimento al referendum abrogativo, V. Onida, Principi buoni applicazioni discutibili, cit., 563, che anzi ritiene che tale competenza possa essere desunta dal sistema; contrari si mostrano A. Ruggeri – A. Spadaro, in Lineamenti di giustizia, cit., 403, per “l’irrimediabile alterazione della volontà dei proponenti” che un siffatto potere finirebbe per determinare. 141 Esprime preoccupazioni di questo tipo N. Zanon, Il lascito del 25 e 26 giugno: perché modificare l’art. 138?, in Forum di quaderni costituzionali, 2, in cui afferma che qualunque modifica che miri a rinforzare la rigidità costituzionale rischia di svilire la consultazione popolare, trasformandola in un plebiscito. Questo ultimo profilo viene evidenziato da R. Calvano, L’omogeneità del quesito nel referendum costituzionale ex art. 4, legge costituzionale n. 1 del 1997, in Giur. Cost. 1998, 434. Secondo l’A. il referendum unico sul progetto di legge costituzionale si pone “in allarmante sintonia con la democrazia binaria e con una cultura istituzionale di stampo populista” che si starebbe affermando in Italia. 142 A. Ruggeri, Il Cappio alla gola degli statuti regionali, in forum di Quaderni Costituzionali, 5.

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solo per quella parte non censurata dagli elettori, o se, viceversa, occorre una nuova deliberazione

dei due rami del Parlamento143.

Ma tutto questo esula dal compito, assai più modesto, che, con il presente lavoro, ci siamo

prefissati.

143 La questione viene posta da A. Ruggeri, op. e loc. ult. cit.