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Arthurrimbaud jimdo corrispondenza

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Page 2: Arthurrimbaud jimdo corrispondenza

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Se avesse, e se potesse prestarmi,

(soprattutto): 1° Curiosità storiche, I vol. di Ludovic Lalanne,

credo.

2° Curiosità Bibliografiche, I vol. dello stesso;

3° Curiosità della Storia di Francia, di P. Jacob, prima serie;

comprende la Festa dei giullari, il Re dei Ribaldi, i Franc-Taupins,

i giullari del re di Francia.

(e soprattutto)… la seconda serie della stessa opera.

Verrò a prendere il tutto domani, fra le 10 e le 10 e un quarto. Le

sarò obbligatissimo. Mi sarebbero utilissimi.

Arthur Rimbaud

~ § ~

a Théodore de Banville Charleville (Ardenne), 24 maggio 1870

Al Signor Théodore de Banville.

Caro Maestro, Siamo nei mesi dell'amore; ho diciassette anni, L'età delle speranze e delle chimere, come

suol dirsi. - ed ecco che mi sono messo, fanciullo sfiorato dal dito della Musa - scusi le banalità, - a dire i miei

buoni propositi, le mie speranze, le mie sensazioni, tutte quelle cose dei poeti - ciò che io chiamo:

primavera. Se le inv io qualcuno di questi versi, - e ciò tramite Alf. Lemerre, il buon editore, - è perché amo

tutti i poeti, tutti i buoni Parnassiani, - ogni poeta è un Parnassiano, - innamorati della bellezza ideale; perché

amo in lei, molto ingenuamente, un erede di Ronsard, un fratello dei nostri maestri del 1830, un vero

romantico, un vero poeta. Ecco perché. - È sciocco, non le pare, ma dunque?... Fra due anni, fra un anno

forse, sarò a Parigi. - Anch'io, signori del giornale, sarò Parnassiano! - Non so che cos'ho… che vuol salire… -

Giuro, caro maestro, di adorare sempre le due dee, la Musa e la Libertà. Non aggrotti troppo le sopracciglia

leggendo questi versi… Lei mi renderebbe pazzo di gioia e di speranza, se volesse, caro Maestro, di far dare al

pezzo Credo in unam un posticino fra i Parnassiani… Uscirei nell'ultima serie del Parnasse: che sarebbe il

Credo dei poeti!... - Ambizione! o Folle!

[…]

Se questi versi trovassero posto nel Parnasse Contemporain? - Non sono forse la fede dei poeti? - Non sono

Arthur Rimbaud in un disegno

di Paul Verlaine (1872)

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conosciuto; che importa? i poeti sono fratelli. Questi versi credono; amano; sperano; è tutto. - Caro

maestro, a me; mi innalzi un po': sono giovane: mi tenda una mano…

~ § ~

a Georges Izambard Charleville 25 agosto [18]70

Molto urgente.

Signore, Com'è fortunato, lei, a non abitare più a Charlev ille! La mia città è superlativamente idiota fra tutte

le cittadine di prov incia. Su questo punto, mi creda, non mi faccio più illusioni. Perché si trova v icino a

Mézières, - una città irreperibile, - perché vede peregrinare per le sue strade due o trecento marmittoni,

questa popolazione bonacciona gesticola, borghesemente spadaccina, ben più degli assediati di Metz e di

Strasburgo! Terribili, i droghieri in pensione che si mettono l'uniforme! È merav iglioso le arie che hanno

messo su questi notai, i vetrai, gli esattori, i falegnami e tutti i pancioni che, fucile al petto, fanno mostra di

patriottismo alle porte di Mézières. La patria è in piedi. Io, per quanto mi riguarda, preferisco vederla

seduta. Non muovete gli stivali, è il mio motto. Sono spaesato, malato, furioso, istupidito, stravolto;

aspiravo a bagni di sole, passeggiate infinite, riposo, v iaggi, avventure e insomma cose da bohémien;

speravo soprattutto in libri, giornali… Niente! Niente! la posta non porta più niente ai librai; Parigi se ne

infischia bellamente di noi: neanche un libro nuovo! è la morte! Eccomi ridotto, quanto a giornali, al

rispettabile Corriere delle Ardenne, - proprietario, gerente, redattore-capo e redattore unico: A. Pouillard!

Questo giornale riassume le aspirazioni, i desideri e le opinioni della popolazione: giudichi lei! che bella

roba!... Siamo esiliati in patria!!! Per fortuna, ho la sua stanza: - si ricorderà del permesso che mi ha dato. Mi

sono portato a casa la metà dei suoi libri! Ho preso Le Diable à Paris. Mi dica un po': c'è mai stato qualcosa di

più imbecille dei disegni di Grandville? - Ho Costal l'Indien, e La Robe de Nessun, due romanzi interessanti.

Ma, che dirle? Ormai ho letto tutti i suoi libri, tutti; tre giorni fa sono sceso fino alle Epreuves, poi alle

Glaneuses, - ma sì, ho riletto tutto il volume! - e poi basta!... Non rimaneva più niente, la sua biblioteca, la

mia ultima ancora di salvezza, era esaurita!... Il Don Chisciotte mi apparve: ieri, per due ore, ho passato in

rassegna le incisioni del Doré: adesso non ho più nulla! Le mando un po' di versi: se li legga una mattina, al

sole, come li ho fatti io: adesso non è più professore, spero!... […] Arrivederla, mi mandi una lettera di 25

pagine - fermo posta - e in frettissima!

Rimbaud

P.S. Presto, alcune rivelazioni sulla v ita che voglio fare dopo… le vacanze…

Prima edizione di "Una Stagione

all'Inferno" (1873)

Rimbaud diciassettenne ritratto da

Henri-Fantin Latour (1872)

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~ § ~

a Georges Izambard Parigi 5 settembre 1870

Caro Signore, quel che lei mi consigliava di non fare, l'ho fatto: sono andato a Parigi, abbandonando la casa

materna! Ho fatto questo scherzetto il 29 agosto. Arrestato mentre scendevo dal treno perché non avevo un

soldo e dovevo tredici franchi di biglietto, sono stato condotto in prefettura, e, oggi, aspetto la mia sentenza

a Mazas! - Oh! Spero in lei come in una madre; lei è stato sempre per me come un fratello: le chiedo

istantemente l'aiuto che mi ha offerto. Ho scritto a mia madre, al procuratore imperiale, al commissario di

polizia di Charlev ille; se non avrà ricevuto mie notizie mercoledì, prima del treno che va da Douai a Parigi,

prenda quel treno, venga qui e mi richieda per iscritto, o presentandosi al procuratore, pregando, e

rispondendo di me, e pagando il mio debito! Faccia tutto quanto potrà, e, quando avrà ricevuto questa

lettera, scriva, anche lei, glielo ordino, sì, scriva alla mia povera madre (Quai de la Madeleine, 5, Charlev .)

per consolarla! Scriva anche a me; faccia tutto! Le voglio bene come un fratello, le vorrò bene come a un

padre. Le stringo la mano. Il suo povero

Arthur Rimbaud

E se riuscirà a liberarmi mi porti a Douai con [lei].

~ § ~

a Leon Billuart Charleroi [8 ottobre 1870]

[...] Ho cenato fiutando gli odori degli sfiatatoi che esalano i profumi della carne e del pollame arrosto delle

buone cucine benestanti di Charleroi, e poi sono andato a mangiucchiare al chiaro di luna una tavoletta di

cioccolata fumacese [...]

~ § ~

a Georges Izambard Charleville 2 novembre 1870

Signore, - questo solo per lei - Sono tornato a Charlev ille il giorno dopo aver lasciato lei. Mia madre mi ha

accolto, e sono qui… in ozio assoluto. Mia madre non mi metterà in convitto fino a gennaio '7 1 . Ebbene, ho

mantenuto la promessa. Muoio, mi decompongo nella mediocrità, nella meschinità, nel grigiore. Che vuole,

R. alla prima comunione (1866)

Rimbaud in Africa (1883)

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mi incaponisco tremendamente a voler adorare la libertà libera, e… un mucchio di cose, da "far pietà", non è

vero? - Avrei dovuto ripartire oggi stesso; potevo farlo: ero vestito a nuovo, bastava vendere l'orologio, e

v iva la libertà! - Dunque sono rimasto! Sono rimasto! - e vorrò ripartire ancora tante altre volte. - Su,

cappello, cappotto, i pugni nelle tasche, e andiamo. Ma resterò. Questo non l'ho promesso. Ma lo farò per

meritarmi il suo affetto: me l'ha detto lei. Lo meriterò. La riconoscenza che sento, non gliela saprei esprimere

oggi meglio dell'altro giorno. Gliela proverò! Se si trattasse di fare qualcosa per lei, morirei pur di farlo, - ha

la mia parola. Ho ancora un mucchio di cose da dire… Quel "senza-cuore" di

Arthur Rimbaud

Guerra: niente assedio a Mézières. A quando? Non se ne parla. Ho fatto la sua commissione al Sig. Deverrière,

e, se occorre fare altro, lo farò. - Qua e là, qualche franca sparatoria. Abominevole prurigine d'idiozia, questo

è lo spirito della popolazione. Se ne sentono delle belle, sul serio. È dissolvente!

~ § ~

a Georges Izambard Charleville [13] maggio 1871

Caro Signore! Rieccola professore. Dobbiamo noi stessi alla Società, mi aveva detto lei; lei fa parte del corpo

insegnante: è sulla buona strada. - E anch'io seguo il principio: mi faccio cinicamente mantenere ; riesumo i

vecchi imbecilli del collegio: tutto ciò che posso inventare di stupido, di sporco, di malvagio, in atti e parole,

lo affido a loro: mi pagano in boccali di birra e bicchieri di v ino. Stat mater dolorosa, dum pendet filius , -

Devo me stesso alla Società, è giusto; - e ho ragione. - Anche lei ha ragione, per oggi. In fondo lei non vede

nel suo principio che poesia soggettiva: la sua ostinazione a voler riguadagnare la greppia universitaria -

pardon! - lo dimostra. Ma lei finirà sempre come un soddisfatto che non ha fatto niente, perché non ha

voluto far niente. Senza contare che la sua poesia soggettiva sarà sempre orribilmente insulsa. Un giorno,

spero, - e molti altri sperano la stessa cosa, - vedrò nel vostro principio la poesia oggettiva, la vedrò più

sinceramente di quanto potrebbe farlo lei! - Sarò un lavoratore: è l'idea che mi trattiene quando le folli

collere mi spingono verso la battaglia di Parigi, - dove tanti lavoratori muoiono ancora mentre le scrivo!

Lavoratore adesso, mai, mai; sono in sciopero. Adesso m'incanaglisco il più possibile. Perché? Voglio essere

poeta, e lavoro a rendermi Veggente : lei non ci capirà niente, e io quasi non saprei spiegarle. Si tratta di

arrivare all'ignoto mediante lo sregolamento di tutti i sensi . Le sofferenze sono enormi, ma bisogna esser

forti, essere nati poeti, e io mi sono riconosciuto poeta. Non è affatto colpa mia. È falso dire: Io penso: si

dovrebbe dire mi si pensa. - Scusi il gioco di parole. IO è un altro. Tanto peggio per il pezzo di legno che si

ritrova v iolino, e Sprezzo agli incoscienti, che argomentano su ciò che ignorano del tutto! Lei non è

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Insegnante per me. Voglio offrirle questo: è satira, come direbbe lei? È poesia? È fantasia, sempre. - Ma, la

supplico, non sottolinei né con la matita, né troppo col pensiero:

LE COEUR SUPPLICÉ Mon triste coeur bave à la poupe . . . . . . . . . . . . . .

Non è che non voglia dire niente. MI RISPONDA: presso il Sig. Deverrière, per A.R.

Cordiali saluti,

A. Rimbaud

~ § ~

a Paul Demeny Charleville (Ardenne), [28] agosto 1871

Signore, Lei mi fa ricominciare la preghiera: e sia. Ecco il lamento al gran completo. Cerco parole calme: ma

la mia scienza in quest'arte non è molto profonda. Insomma, ecco qua. Situazione dell'imputato: ho

abbandonato da più di un anno la v ita normale per quello che lei sa. Chiuso perennemente in questa

inqualificabile contrada ardennese, senza frequentare un solo uomo, concentrato in un lavoro infame,

inetto, testardo, misterioso, rispondendo col silenzio alle domande, alle apostrofi rozze e cattive,

mostrandomi dignitoso nella mia condizione extralegale, ho finito col provocare atroci risoluzioni da parte

di una madre inflessibile quanto settantatré amministrazioni dai berretti di piombo. Ha voluto impormi un

lavoro, - da ergastolano, a Charlev ille (Ardenne)! Un posto per il tal giorno, diceva, oppure, quella è la

porta. Ho rifiutato questa v ita; senza spiegare le mie ragioni: sarebbe stato pietoso. Fino ad oggi sono

riuscito a eludere le scadenze. Lei si è arrivata a questo: augurarsi continuamente una mia partenza

sconsiderata, la fuga! Indigente, inesperto, andrei a finire in una casa di correzione. E da quel momento,

silenzio su di me! Ecco il fazzoletto di disgusto che mi hanno ficcato in bocca. È molto semplice. Non

chiedo niente, chiedo un'informazione. Io voglio lavorare libero: però a Parigi, che amo. Senta: sono un

viandante, nient'altro; arrivo nella città immensa senza alcuna risorsa materiale: però lei mi ha detto: Chi

desidera essere operaio a quindici soldi al giorno ve nel tal posto, fa così, v ive così. Andrò lì, farò così, v ivrò

così. L'ho pregata di indicarmi occupazioni poco impegnative perché il pensiero richiede ampie porzioni di

tempo. Assolvendo il poeta, queste bazzecole materiali si fanno amare. Sono a Parigi: mi occorre un'

economia positiva! A lei tutto questo non sembra sincero? A me, pare così strano, dover certificare la mia

serietà! Avevo avuto l'idea di cui sopra: l'unica a sembrarmi ragionevole: gliela ripeterò in termini diversi.

Ho buona volontà, faccio quello che posso, parlo comprensibilmente come un infelice! Perché strapazzare

un bambino che, non dotato di principi zoologici, desideri un uccello con cinque ali? Finirebbe col credere

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agli uccelli con sei code e tre becchi! Basterà prestargli un Buffon per famiglie, si ricrederà. Dunque, ignaro

di quel che lei mi potrà scrivere, taglio corto con le spiegazioni e continuo a fidarmi della sua esperienza,

della sua cortesia che ho benedetta, al ricevere la sua lettera, e la incito un po' a partire dalle mie idee, - la

prego… Accoglierebbe senza troppo fastidio qualche campione del mio

lavoro?

A. Rimbaud

~ § ~

a Verlaine [Charleville, settembre 1871]

[…] Ho in testa il progetto di un grande poema, e a Charlev ille non posso lavorare. Venire a Parigi mi è

impossibile, non ho un soldo. Mia madre è vedova ed estremamente pia. Mi dà solo dieci centesimi la

domenica, per pagarmi la panca in chiesa. […]

~ § ~

a Verlaine Charleville, aprile 1872 […]

Il lavoro è più lontano da me che le mie unghie dal mio occhio. Merda per me! Merda per me! Merda per me!

Merda per me! Merda per me! Merda per me! Merda per me! Quando mi vedrete mangiare realmente della

merda, allora soltanto troverete che mantenermi non costa troppo caro! […]

~ § ~

a Ernest Delahaye Parmerda, Giunfo 72

Amico mio, Sì, è sorprendente l'esistenza del cosmorama Arduano. La prov incia, dove ci si nutre di farinacei

e di fango, dove si beve v ino locale e birra del posto, non è ciò che rimpiango. E tu hai ragione a denunciarla

continuamente. Ma qui: distillazione, composizione, tutto meschinerie; e l'estate opprimente: la calura non è

molto costante, ma al vedere che il bel tempo interessa a tutti, e che tutti sono dei porci, odio l'estate, che mi

uccide non appena si manifesta. Ho una sete da far temere la cancrena: i fiumiciattoli ardennessi e belgi, le

grotte, ecco cosa Qui c'è una mescita che prediligo. Viva l'accedemia dell'Assonfio, nonostante la cattiva

volontà dei camerieri! È l'abito più delicato e più tremolante l'ubriachezza, in v irtù di questa salv ia dei

ghiacciai, l'assonfio. Ma per stendersi, dopo, nella merda! Sempre la stessa lagna, insomma! La cosa più

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certa è merda a Perrin. E al caffè dell'Universo, si trov i davanti alla piazzetta o no. Non maledico l'Universo,

comunque. - Mi auguro con forza che le Ardenne siano occupate e tiranneggiate sempre più sfrenatamente.

Ma tutto ciò è ancora normale. Di serio, c'è che hai bisogno di tormentarti troppo, forse avresti ragione a

camminare molto e leggere. Ragione, in ogni caso, a non confinarti negli uffici e pensioni di famiglia. Gli

abbrutimenti devono realizzarsi lontano da quei posti. Non voglio venderti del balsamo, ma credo che le

abitudini non offrano consolazioni, per i giorni miserandi. Adesso è di notte che lavorinco. Da mezzanotte

alle cinque del mattino. Il mese scorso la mia camera, v ia Monsieur-le-Prince, dava su un giardino del liceo

Saint-Louis. C'erano alberi enormi sotto la mia stretta finestra. Alle tre del mattino la candela impallidisce:

tutti gli uccelli strillano insieme negli alberi: è finita. Niente più lavoro. Bisognava che guardassi gli alberi, il

cielo, colti da quell'ora indicibile, la prima del mattino. Vedevo i dormitori del liceo, assolutamente sordi. E

già il rumore a scatti, sonoro, delizioso delle carrette sui boulevards . - Fumavo la mia pipa-martello,

sputando sulle tegole, perché era una soffitta, la mia stanza. Alle cinque scendevo a comprarmi un po' di

pane; è l'ora. Gli operai sono già al lavoro ovunque. È l'ora di ubriacarmi dal v inaio, per me. Rientravo per

mangiare, e mi coricavo alle sette del mattino, quando il sole faceva uscire i millepiedi da sotto le tegole. Il

primo mattino in estate, e le sere di dicembre, ecco ciò che mi ha sempre incantato qui. Ma, in questo

momento, ho una stanza graziosa, su un cortile senza fondo ma di tre metri quadrati. - Via Victor-Cousin fa

angolo in piazza della Sorbona col caffè del Basso Reno, e dà su v ia Soufflot, all'altra estremità. - Qui bevo

acqua tutta la notte, non vedo il mattino, non dormo, soffoco. Ecco. Sarà certamente fatta giustizia al tuo

reclamo! Non dimenticare di cacare sulla Reinassance , giornale artistico e letterario, se lo incontri. Ho

evitato, finora, quegli impiastri degli immigrati Carolopomerdosi. E merda alle stagioni. E conrabbia.

~ § ~

a Verlaine Laïtou (Roche) (Cantone di Attigny ), Maggio [18]7 3

Caro amico, guarda la mia attuale esistenza nell'acquerello sottostante. Oh Natura! oh madre

mia!

[disegno]

Che stercaglia! e che mostri d'innocenza, questi contadini. La sera, per bere un po', bisogna farsi due leghe e

più. La mother mi ha ficcato in questo triste buco. Non so come uscirne: ma ne uscirò. Rimpiango l'atroce

Charlestown, l'Universo, La Bibliotè ecc… Lavoro tuttav ia abbastanza regolarmente, scrivo piccole storie in

prosa, titolo generale: Libro pagano, o Libro negro. È sciocco e innocente. Oh innocenza! innocenza;

innocenza, innoc…, flagello […] Il sole è opprimente e al mattino si gela. L'altroieri sono stato a vedere i

Prussimarzi a Vouziers, una sottoprefettura di 10.000 anime, a sette chilometri da qui. Ciò mi ha

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ritemprato. Mi sento abominevolmente a disagio. Neanche un libro, neanche un'osteria, neanche un

incidente per la strada. Quale orrore questa campagna francese. La mia sorte dipende da questo libro, per il

quale mi restano da inventare una mezza dozzina di storie atroci. Ma come inventare atrocità qui! Non ti

spedisco le storie, benché ne abbia già tre, costa troppo Ecco insomma! Arrivederci, e vedrai.

Rimb.

Prossimamente ti spedirò i francobolli perché mi compri e mi spedisca il Faust di Goethe, Bibliot[eca]

popolare. Deve costare un soldo di spedizione. Dimmi se ci sono traduz. di Shakespeare fra i nuovi volumi di

questa bibliot. Anzi se puoi spedirmi il catalogo più recente, spediscilo.

R.

~ § ~

a Verlaine Londra, venerdì pomeriggio [4 luglio 1873]

Ritorna, ritorna, amico mio, caro amico, unico amico, ritorna. Ti giuro che sarò buono. Se sono stato

sgarbato con te, è stato uno scherzo in cui mi ero incaponito; me ne pento più di quanto se ne possa dire.

Ritorna, tutto sarà dimenticato. Che disgrazia che tu abbia dato peso a quello scherzo. Sono due giorni che

non smetto di piangere. Torna. Sii coraggioso, caro amico. Niente è perduto. Basta solo che tu rifaccia il

v iaggio. Noi torneremo a v ivere qui coraggiosamente, pazientemente. Ah! te ne supplico. È per il tuo bene,

del resto. Ritorna, troverai tutte le tue cose. Spero che tu adesso abbia capito che non c'era niente di vero

nella nostra discussione. Che momento spaventoso! Ma tu, quando ti facevo segno di scendere dal battello,

perché non sei venuto? Abbiamo v issuto due anni insieme per arrivare a questo punto qui? Cosa farai? Se

non vuoi tornare qui, vuoi che vanga io dove stai tu? Sì, ero io che avevo torto. Oh! non mi dimenticherai,

no? No, non puoi dimenticarmi. Io ti ho qui sempre. Di', rispondi al tuo amico, non dobbiamo più v ivere

insieme? Sii coraggioso. Rispondimi in fretta. Non posso restare qui più a lungo. Ascolta solo il tuo buon

cuore. Presto, dimmi se ti devo raggiungere. Tuo per tutta la v ita.

Rimbaud

Presto, rispondi: non posso restare qui oltre lunedì sera. Non ho ancora un penny ; non posso imbucare

questa lettera. Ho affidato a Vermersch i tuoi libri e i tuoi manoscritti. Se non devo più vederti mi arruolerò

nella marina o nell'esercito. Oh ritorna, ad ogni ora mi rimetto a piangere. Dimmi di venire da te, verrò.

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Dimmelo, telegrafa. - Devo partire lunedì sera. Dove vai? Che cosa vuoi fare?

~ § ~

a Verlaine [5 luglio 1873]

Caro amico, ho ricevuto la tua lettera datata "in mare". Questa volta hai torto, e torto marcio. Prima di tutto

non c'è nulla di positivo nella tua lettera: tua moglie non verrà, oppure verrà fra tre mesi, tre anni, che ne so?

Quanto a schiattare, ti conosco. In attesa della tua donna e della morte andrai ovunque, ti agiterai, scoccerai

la gente. Come mai tu, proprio tu, non hai ancora capito che le nostre collere erano false in ogni senso! Ma

sei stato tu ad avere torto per ultimo, perché anche dopo che ti avevo richiamato hai insistito in quei tuoi

falsi sentimenti. Tu credi che la tua v ita sarà più piacevole con qualcun altro: riflettici - ah, no di certo! - Solo

con me puoi essere libero, e, poiché ti giuro che in futuro sarò gentile e che deploro la mia parte di torto, e

che insomma ho lo spirito giusto, e ti voglio bene, se proprio non vuoi tornare, e non vuoi che ti raggiunga,

commetti un crimine, e te ne pentirai PER ANNI E ANNI , con la perdite della tua libertà, e i dispiaceri più

atroci di tutti quelli che hai provato finora. E poi, ripensa a quello che eri prima di conoscermi. Quanto a me,

da mia madre non ci torno. Andrò a Parigi, cercherò di partire entro lunedì sera. Mi avrai costretto a

vendere i tuoi vestiti, non posso fare altrimenti. Non li ho ancora venduti: non verranno a prenderli prima di

lunedì mattina. Se vuoi spedirmi le tue lettere a Parigi scriv i a L. Forain, 289, Rue St. Jacques, per A.

Rimbaud. Avrà il mio indirizzo. Certo, se tua moglie tornerà non ti comprometterò con le mie lettere - non ti

scriverò mai. L'unica mia parola è questa: torna, voglio stare con te, ti amo. Se l'ascolterai mostrerai di avere

coraggio e di essere sincero. Altrimenti, ti compiango. Ma io ti amo, ti abbraccio, e ci

rivedremo.

8 Great College ecc. fino a lunedì sera, o martedì a mezzogiorno, se mi chiamerai da te.

~ § ~

a Verlaine Lunedì, mezzogiorno [Londra, 7 luglio 1873]

Amico mio caro, ho v isto la lettera che hai scritto alla sig. Smith. [purtroppo ormai è tardi] Dunque, vuoi

tornare a Londra! Non immagini come saresti ricevuto da tutti! E la faccia che mi farebbero Andrieu e gli

altri se mi rivedessero con te. Tuttav ia sarò intrepido. Dimmi sinceramente qual è la tua idea. Vuoi ritornare

a Londra per me? E in che giorno? È stata la mia lettera a consigliartelo? Ma nella stanza non resta più niente.

- Ho venduto tutto, tranne un cappotto. Ne ho ricavato due sterline e dieci. Ma la biancheria è rimasta in

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lavanderia, e ho tenuto per me un sacco di cose: cinque panciotti, tutte le camicie, e mutande, colletti,

guanti; e tutte le scarpe. I tuoi libri e manoscritti sono tutti al sicuro. Di venduto, insomma, ci sono i tuoi

pantaloni, neri e grigi, un cappotto e un panciotto, la borsa e la cappelliera. Ma perché non scriv i a me? Sì,

ragazzo mio, resterò qui ancora una settimana. E tu verrai, vero? dimmi la verità. Daresti prova di coraggio.

Spero che sia vero. Non dubitare di me, avrò un buonissimo carattere. Tuo. Ti aspetto. Rimb.

~ § ~

a Ernest Delahaye Stoccarda, 5 marzo [18]75

[disegno]

Verlaine è arrivato qui l'altroieri, con un rosario tra le falangi… Tre ore dopo era stato rinnegato il suo dio e

avevamo fatto sanguinare le 98 piaghe di N.S. E' rimasto due giorni e mezzo, molto ragionevole, e su mie

rimostranze se ne è tornato a Parigi, per recarsi subito a finire gli studi, laggiù nell'isola. Mi resta soltanto una

settimana di Wagner e deploro quel denaro messo a frutto che è l'odio, questo tempo perduto a far niente. Il

15 avrò una Ein freundliches Zimmer non so dove, e sto aizzando la lingua con frenesia, tanto e tanto che fra

due mesi al massimo avrò finito. Tutto è piuttosto inferiore qui, ne eccettuo un: Riesling, ti cui fuoto un

picchiere ti fronte ai kolli ke l'hanno fisto nascere, alla tua salute imperbédueuse. Solicchia e gela, è

sconciante. (Dal 15 in poi, Fermo Posta a Stoccarda.) Il tuo

Rimb.

~ § ~alla famiglia [Stoccarda,] 17 marzo 1875

Miei cari parenti, non ho voluto scriverv i prima di avere il nuovo indirizzo. Oggi accuso ricevuta del vostro

ultimo inv io, di 50 franchi. Ecco lo schema per indirizzarmi la posta: "3 tr." significa terzo piano. Ho una

camera grande, molto ben ammobiliata, al centro della città, per dieci fiorini, ossia 21 franchi e 50 cent.,

serv izio compreso; e mi offrono la pensione completa per 60 franchi al mese: del resto, non ne ho bisogno:

questi piccoli accomodamenti sono quasi sempre una schiav itù e un imbroglio, anche se possono apparire

economici. Cercherò dunque di arrivare fino al 15 aprile con quello che mi resta (50 franchi) dato che allora

mi occorrerà un altro acconto: infatti, o mi toccherà rimanere qui un altro mese, per mettermi bene in

esercizio, oppure avrò fatto pubblicare qualche annuncio per trovare un lavoro, le cui conseguenze (es. un

viaggio) richiederanno un po' di soldi. Mi auguro che tutto ciò v i appaia moderato e ragionevole. Sto

cercando d'impregnarmi delle maniere di qui, in tutti i modo possibili cerco di erudirmi; benché siano di un

genere da farci soffrire sul serio. Saluto l'esercizio, mi auguro che Vitalie e Isabelle stiano bene, per favore

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avvertitemi se volete qualcosa da qui, e sono il vostro devoto.

A. Rimbaud

Wutemberg, Monsieur Arthur Rimbaud 2, Marien Strasse, 3 tr. STUTTGART

~ § ~

alla sorella Isabelle [Italia, primavera 1875]

[…] Mi trovo in una bella vallata che mi porterà verso il Lago Maggiore e la vecchia Italia. Ho dormito nel

cuore del Canton Ticino, in un fienile solitario dove ruminava una vacca ossuta, che acconsentì a cedermi un

po' di paglia […]

~ § ~

a Ernest Delahaye [Charleville] 14 ottobre [18]75

Caro amico, Ricevuta la postcard e la lettera di V. otto giorni fa. Per semplificare le cose, ho detto alla Posta

di mandarmi il fermoposta a casa, quindi mi puoi scrivere qui se non hai ancora spedito nulla al fermo. Non

commento le ultime grossolanità del Lodola, e per il momento non devo più attivarmi da quel lato, sembra

infatti che la 2ª "porzione" del "contingente" della "classe 7 4" sarà chiamata il tre novembre prossimo

venturo: la camerata di notte:

SOGNO

Tutti hanno fame nella camerata -

È vero…

Emanazioni, esplosioni.

Un genio: "Sono il gruviera! -

Lefêbvre: "Keller!"

Il genio: "Sono il Brie! -

I soldati si tagliano il pane:

È la vita! Il genio: - "Sono il Roquefort!

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- Sarà la nostra morte!...

- Sono il gruviera

e il Brie!... ecc.

VALZER

Ci hanno congiunti, io e Lefêbvre, ecc.

[…] Qui niente di niente. Amo pensare che Petodilupo e i v iscidi pieni di patriottici fagioli non ti permettano

distrazioni più di quel che ti occorre. Almeno, tutto ciò non puzza di neve, come qui. Tuo "nella misura delle

mie fragili forze". Scriv i: A. Rimbaud 31 , rue St-Barthélémy Charlev ille (Ardenne), non c'è bisogno di dirlo

P.S. - La corrispondenza "in galanterie" arriva a questo, che il "Nèmery " aveva affidato i giornali del Loy ola a

un agente di polizia perché li portasse a me!

~ § ~

alla famiglia Genova, domenica 18 novembre [18]78

Amici, arrivo a Genova stamattina, e ricevo le vostre lettere. Un qualsiasi posto per l'Egitto vale oro sonante,

quindi non c'è nessun vantaggio. Partirò lunedì 19, alle nove di sera. Si arriva a fine mese. Quanto al modo in

cui sono venuto fin qui, è stato accidentato, e di tanto in tanto rinfrescato, dalla stagione. Sulla linea destra

delle Ardenne in Sv izzera, volendo raggiungere da Remiremont la coincidenza tedesca a Wesserling, ho

dovuto attraversare i Vosgi; prima in diligenza, poi a piedi, dato che nessuna diligenza poteva circolare su

cinquanta centimetri di neve in media, e con una notevole tormenta. Ma la prodezza prev ista era il passaggio

del Gottardo, che in questa stagione no n si valica più in vettura, e che non potevo dunque valicare in

vettura. Altdorf, sulla punta meridionale del lago dei Quattro Cantoni che avevamo costeggiato col vapore,

ha inizio la strada del Gottardo. Ad Amsteg, a una quindicina di chilometri da Altdorf, la strada comincia a

salire e a girare secondo il modulo alpestre. Non ci sono più vallate, ormai non si fa che dominare precipizi,

di là dai paracarri decametrici della strada. Prima di giungere ad Andermat, si attraversa un posto

particolarmente orrendo detto il Ponte del Diavolo, meno bello però della Via Mala dello Splügen, che avete

nell'incisione. A Göschenen il v illaggio è diventato un grosso borgo per l'afflusso degli operai, si vede in

fondo al burrone l'apertura del famoso tunnel, con le attrezzature e i refettori delle imprese. D'altronde tutto

questo paese d'aspetto così feroce è molto lavorato e lavorante. Se sul fondo al burrone non si vedono le

trebbiatrici a vapore, si sentono un po'dappertutto la sega e il piccone delle inv isibili alture. Va da sé che

l'industria locale si esprime soprattutto sotto forma di pezzi di legno. Ci sono molti scav i di miniera. Gli

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albergatori v i offrono campioni di minerali più o meno curiosi, che il diavolo, dicono, v iene a comprare sulla

cima dei monti per andare a rivenderli in città. Poi comincia la salita vera e propria, a Hospital, credo:

prima è quasi una scalata, lungo le scorciatoie, poi per altopiani, o semplicemente sulla strada carrozzabile.

Siccome bisogna sapere che non è possibile seguire quest'ultima nelle sue salite a zig-zag o per cengie molto

lente, ci vorrebbe un'infinità di tempo, mentre a picco c'è soltanto un dislivello di 4900, per ogni lato, e

anche meno di 4900 data l'altitudine dei dintorni. E neanche si sale a picco; ma bisogna seguire le v ie

consuete, se non proprio tracciate. Così, chi non è abituato allo spettacolo dei monti impara che una

montagna è fornita di picchi, ma che un picco non è la montagna. Dunque la cima del Gottardo misura

qualche chilometro di superficie. La strada, non più larga di sei metri, è chiusa a destra, per tutta la sua

lunghezza, da una massa di neve alta due metri circa, che allunga a ogni passo, sulla carreggiata, uno

sbarramento alto un metro; bisogna fenderlo sotto un'atroce tormenta di nev ischio. Ecco! Non ci sono più

ombre, né sopra né sotto né intorno, benché siamo circondati da oggetti enormi; niente più strada, ne

precipizi, ne il cielo ne il burrone: bianco, soltanto bianco, da pensare, da toccare, da vedere e da non

vedere, perché è impossibile sollevare lo sguardo da quella noia bianca che si presume sia il centro del

sentiero. Impossibile alzare il naso verso un vento così orripilante, ciglia e baffi ridotti a stalattiti, orecchie

lacerate, collo gonfio. Senza l'ombra che siamo noi stessi, e senza i pali del telegrafo, che seguono la strada

presunta, saremmo impicciati quanto un pierrot in un forno. Ecco uno sbarramento alto più d'un metro, da

tagliare per la lunghezza di un chilometro. Da un bel po' non vediamo le nostre ginocchia. È accaldante.

Ansimanti, poiché in una mezz'ora la tormenta potrebbe seppellirci senza nessuno sforzo, ci incoraggiammo

gridando (nessuno va mai da solo, soltanto a gruppi). Finalmente arriv iamo a una casa cantoniera: paghiamo

1,50 per una scodella di acqua salata. In marcia. Ma il vento infuria, il sentiero si riempie v isibilmente di

neve. Ecco un convoglio di slitte, un cavallo stramazza semi- sepolto. Perdiamo la strada. Da che parte sarà

rispetto ai pali del telegrafo? (I pali sono soltanto da una parte). Si dev ia, affondiamo fino alla cintola, fino

alle ascelle… Dietro una trincea, un'ombra pallida: e l'ospizio del Gottardo, edificio ospedaliero civ ile, brutta

costruzione d'abete e di pietra; e un piccolo campanile. Suoniamo, ci accoglie un giovanotto losco; andiamo

su, in una sala bassa e sudicia dove si ha diritto gratis a pane e formaggio, minestra e grappino. Vediamo i bei

cagnacci gialli dalla v icenda nota. Poco dopo, mezzi morti, arrivano i ritardatari della montagna. La sera

siamo una trentina; e ci distribuiscono, dopo una minestra, su pagliericci duri e sotto coperte insufficienti.

La notte sentiamo i nostri ospiti esalare in canti sacri il loro piacere di poter ancora derubare il governo, che

sovvenziona quel tugurio. Al mattino, dopo il pane-formaggio-grappino, e rinv igoriti da quella ospitalità

gratuita, che ci è concesso prolungare quanto la tormenta lo consente, usciamo: al sole, adesso, la montagna

è stupenda: caduto il vento, è tutto una discesa, per le scorciatoie, con salti, scivolate chilometriche, che v i

trascinano giù, fino ad Airolo, dall'altra parte del tunnel, dove la strada riprende il suo carattere alpestre,

circolare e strozzato, ma in discesa. E' il Canton Ticino. La strada è coperta di neve fino a più di trenta

chilometri dal Gottardo. Solo dopo trenta km, a Giornico, la vallata si allarga un po'. Qualche pergolato di

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v ite, qualche praticello, accuratamente concimati con foglie e altri residui d'abete, che probabilmente hanno

serv ito da strame. Sfilano capre, vacche e buoi grigi, maiali neri. A Bellinzona c'è un grosso mercato di

questo bestiame. A Lugano, a venti leghe dal Gottardo, prendiamo il treno. Si va dal piacevole lago di Lugano

al piacevole lago di Como. Poi, percorso normale. Sono il vostro, v i ringrazio, e fra una ventina di giorni

avrete una lettera.

Il vostro amico A. Rimbaud

~ § ~

alla famiglia Alessandria, [dicembre] 1878

Cari amici, sono arrivato qui dopo una traversata di una decina di giorni, e da quindici mi dò da fare, ma solo

adesso le cose cominciano ad andare un po' meglio! Avrò presto un impiego; e lavoro già abbastanza per

v ivere, però modestamente. Forse mi assumeranno in una grande impresa agricola a qualche chilometro da

qui (ci sono già andato ma pare non ci sia niente prima di qualche settimana); - oppure entrerò fra poco nelle

dogane anglo-egiziane, con un buon stipendio; - o magari credo che partirò prossimamente per Cipro, l'isola

inglese, come interprete di un gruppo di lavoratori. Ad ogni modo mi daranno qualcosa, me l'anno

promesso; e tratto con un ingegnere francese, - uomo cortese e intelligente. […] Presto v i manderò notizie

particolareggiate, e descrizioni di Alessandria e della v ita egiziana. Oggi non ho tempo. Vi dico arrivederci.

Buongiorno a Frédéric, se è con voi. Qui fa caldo come a Roche l'estate. Qualche notizia. A.Rimbaud Posta

francese, Alessandria Egitto

~ § ~

alla famiglia Larnaca (Cipro) 15 febbraio 1879

[…] Sono sorvegliante di una cava nel deserto, in riva al mare: costruiscono anche un canale. Bisogna poi

caricare le pietre sui cinque bastimenti e sul vapore della Compagnia. Abbiamo anche un forno a calce,

mattonificio ecc… Il v illaggio più v icino è a un'ora di marcia. Qui abbiamo soltanto un caos di rocce, il fiume

e il mare. C'è una casa sola. Niente terra, nessun giardino, neanche un albero. In estate, ottanta gradi. Adesso

ce ne sono cinquanta. È l'inverno. A volte piove. Ci nutriamo di cacciagione, di galline ecc… Tutti gli europei

si sono ammalati, io no. Qui siamo stati al massimo venti europei. I primi sono arrivati il 9 dicembre. Tre o

quattro sono morti. Gli operai ciprioti vengono dai v illaggi dei dintorni; ne abbiamo impiegati fino a sessanta

al giorno. Io li dirigo: calcolo le giornate, dispongo del materiale, faccio i rapporti alla Compagnia, tengo i

conti del v itto e delle altre spese; e preparo la paga; […] Per me qui a Cipro ci sarà sempre lavoro. Stanno per

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dicembre 1878 arrivo ad Alessandria non sa ancora dove lo prenderanno a lavorare, ma uno dei progetti è recarsi a Cipro come interprete di un grupo lavoratori contatti con ingegnere francese per aiutarlo nel trovare lavoro
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fare ferrov ie, forti, caserme, ospedali, porti, canali ecc… il 1° marzo saranno distribuite concessioni di

terreno, senza altra spesa che la registrazione degli atti. Che succede da voi? Sareste più contenti se

tornassi? Come vanno gli affarucci? Scrivetemi prestissimo.

Arthur Rimbaud Fermo posta, Larnaca (Cipro) Vi scrivo dal deserto, non so quando spedirò.

~ § ~

alla famiglia Larnaca (Cipro), 24 aprile 1879

[…] Sono sempre capo-cantiere nella cave della Compagnia, e carico e faccio saltare e tagliare la pietra. Il

calco è terribile. Falciamo il grano. Notte e giorno le pulci sono un supplizio atroce. E anche le zanzare.

Bisogna dormire nel deserto, in riva al mare. Ho avuto beghe con gli operai, sono stato costretto a chiedere

armi. Spendo molto. Il 16 maggio saranno cinque mesi che sono qui. […] A. Rimbaud Fermo posta, Larnaca

(Cipro)

~ § ~

alla famiglia Monte Troodos (Cipro), domenica 23 maggio 1880

Scusatemi se non v i ho scritto prima, forse avreste avuto bisogno di sapere dov 'ero, ma fino ad oggi mi è

stato davvero impossibile farv i avere notizie. In Egitto non ho trovato niente da fare, e circa un mese fa sono

andato a Cipro. Qui ho scoperto che la società dei miei vecchi padroni è fallita. Però una settimana dopo ho

avuto il posto che occupo tuttora: sono sorvegliante del palazzo che stanno costruendo per il governatore

generale, in cima al Troodos, la montagna più alta di Cipro (2100 metri). […] Da quindici giorni mi pagano,

ma le spese sono molte: c'è sempre da v iaggiare a cavallo; i trasporti sono estremamente difficili, i v illaggi

lontani, il v itto costoso. Inoltre, mentre in pianura c'è un gran caldo, a questa altitudine abbiamo, e avremo

ancora per un mese, un freddo sgradevole; pioggia, grandine, e un vento che ti scaraventa a terra. Mi sono

dovuto comprare materasso, coperte, cappotto, stivali ecc. ecc. Sulla cima della montagna c'è un

accampamento dove fra poche settimane arriveranno le truppe inglesi, quando in pianura farà troppo caldo

e in montagna meno freddo. Allora il serv izio delle provv igioni sarà assicurato. Dunque, adesso sono al

serv izio dell'amministrazione inglese: spero che presto mi aumentino lo stipendio. […] Sto male; ho delle

palpitazioni al cuore che mi danno fastidio. Meglio non pensarci. Del resto che cosa potrei fare? Eppure qui

l'aria è sanissima. Sulla montagna c'è una profusione di abeti e felci. […]

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Vostro Arthur Rimbaud Fermo posta, Limassol (Cipro)

~ § ~

alla famiglia Aden, 25 agosto 1880

Cari amici, recentemente in una lettera v i ho spiegato come purtroppo abbia dovuto abbandonare Cipro e

come sia venuto qui, dopo aver nav igato sul Mar Rosso. Lavoro nell'ufficio di un commerciante di caffè.

L'agente della Compagnia è un generale in pensione. Facciamo affari discreti, e ne faremo ancora. Io non

guadagno molto, non più di sei franchi al giorno. […] Aden è una rocca orrenda, senza un filo d'erba né una

goccia d'acqua potabile: qui si beve acqua di mare distillata. La calura è fortissima, soprattutto a giugno e a

settembre, che sono le due canicole. La temperatura costante, giorno e notte, in un ufficio molto fresco e

ventilato, è di 35 gradi. Tutto è carissimo e v ia dicendo. Ma, non c'è ma: qui sono quasi prigioniero, e di certo

dovrò restarci almeno tre mesi prima di essere un po' in gamba o di trovarmi un posto migliore. E a casa? È

finita la mietitura? Raccontatemi le vostre novità.

Arthur Rimbaud

~ § ~

alla famiglia Aden, 22 settembre 1880

[…] Siccome sono l'unico impiegato un po' intelligente di Aden, allo scadere del secondo mese, ovvero il 16

ottobre, se non mi daranno duecento franchi al mese liberi da spese, me ne andrò. Preferisco andarmene

piuttosto che farmi sfruttare. Del resto ho già in tasca circa 200 franchi. Forse andrò a Zanzibar, dove da fare

ce n'è. Anche qui d'altronde c'è molto da fare. Parecchie società commerciali hanno intenzione di stabilirsi

sulle coste dell'Abissinia. L'azienda ha anche delle carovane in Africa; e non è escluso che me ne vada da

quelle parti, dove guadagnerei bene e dove mi annoierei un po' meno che ad Aden, che è, lo riconoscono

tutti, il posto più noioso della terra, subito dopo quello abitato da voi, ovv iamente.

[…]

Rimbaud Ditta Viannay , Bardey e C., Aden

~ § ~

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alla famiglia Aden, 2 novembre 1880

Cari amici, sarò ancora qui per un po' di tempo, benché sia stato assunto per un altro posto, dove presto mi

dirigerò. L'agenzia ha fondato una filiale nell'Harar, regione che troverete sulla carta nel sud-est

dell'Abissinia. Da lì si esportano caffè, pelli, gomma ecc. in cambio di cotonerie e altre merci. Il paese è

salubre e fresco per v ia dell'altitudine. Non ci sono strade e quasi nessuna possibilità di comunicazione. Da

Aden si arriva all'Harar: prima v ia mare, da Aden a Zeilah, porto della costa africana; poi, fino all'Harar in

venti giorni di carovana. […]

Rimbaud

~ § ~

alla famiglia Harar, 13 dicembre 1880

Amici, sono arrivato in questo paese dopo venti giorni di cavalcate attraverso il deserto somalo. Harar è una

città colonizzata dagli egiziani e dipende dal loro governo. C'è una guarnigione di parecchie migliaia di

uomini. Qui si trovano la nostra agenzia e i nostri magazzini. I prodotti commerciali del posto sono il caffè,

l'avorio, le pelli ecc. Benché ad un'altitudine elevata, la regione non è improduttiva. Il clima è fresco e non

malsano. Le merci europee vengono importate tutte a dorso di cammello. Del resto c'è molto da fare. Qui una

posta regolare non esiste. Siamo costretti a mandare le lettere ad Aden, sfruttando le rare occasioni. Ci vorrà

molto prima che questa lettera v i arriv i. […] Qui sono nel Gallas. Credo che fra poco mi spingerò all'interno.

Vi prego di farmi avere vostre notizie il più presto possibile. […]

~ § ~

alla famiglia Harar, 15 febbraio 1881

[…] Datemi notizie sui lavori per il canale di Panama: non appena saranno iniziati, v i andrò. Anzi sarei felice

se potessi andarmene da qui anche subito. Mi sono beccato una malattia poco pericolosa in sé; ma qui il

clima è traditore per qualsiasi tipo di malattia. Una ferita non si cicatrizza mai. Un taglietto di un millimetro

al dito suppura mesi e mesi, e va in cancrena molto facilmente. E l'amministrazione egiziana, peraltro, ha

medici e medicine insufficienti. Il clima, d'estate, è umidissimo; è malsano; e a me non piace affatto, troppo

freddo per i miei gusti. Non dovete pensare che questo paese sia interamente selvaggio. Abbiamo un

esercito - artiglieria, cavalleria - egiziano, e la loro amministrazione. È tutto uguale a quello che c'è in

Europa, solo: qui c'è un mucchio di cani e banditi. Gli indigeni sono Gallas, tutti agricoltori e pastori: gente

tranquilla, finché non v iene attaccata.

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Rimbaud

~ § ~

alla famiglia Harar, 4 maggio 1881

Cari amici, da voi è estate, e qui è inverno, intendo dire che fa abbastanza caldo, ma piove spesso. Ne avremo

per qualche mese. Fra sei mesi ci sarà il raccolto del caffè. Quanto a me, conto di andarmene fra non molto

da questa città, per recarmi a trafficare nell'ignoto. A qualche giornata da qui c'è un grande lago, è in una

regione ricca d'avorio: vorrei arrivarci. Ma dev 'essere un paese ostile. Comprerò un cavallo e me ne andrò.

Se le cose si mettessero male, se ci lasciassi la pelle, v i avverto che c'è una somma di 7 volte 150 rupie di mia

proprietà all'agenzia di Aden, e potreste recuperarle, se v i sembrerà che ne valga la pena. […] Indirizzate

all'agenzia di Aden. State bene. Addio.

A. Rimbaud

~ § ~

alla famiglia Harar, 7 novembre [18]81

[…] Qualsiasi cosa succeda, provo piacere nel pensare che i vostri affarucci vadano bene. Se ne avete bisogno

prendete quel che è mio: è vostro. Quanto a me, al mondo non ho una sola persona di cui occuparmi, tranne

la mia propria persona, che non chiede niente. Pienamente vostro

Rimbaud

~ § ~

alla famiglia Aden, 10 maggio 1882

[…] Rassicuratev i sul mio conto: la mia situazione non ha nulla di straordinario. Sono sempre impiegato nella

stessa azienda, e sgobbo come un mulo in un paese che m'ispira un orrore inv incibile. Sbatto la testa contro i

muri per tentare di uscire di qui e di ottenere un impiego più ricreativo. Spero proprio che questa esistenza

finirà prima che io abbia avuto il tempo di diventare completamente idiota. […]

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~ § ~

alla famiglia Harar, 6 maggio 1883 […]

Ho rinnovato il mio contratto per tre anni, ma credo che l'azienda chiuderà presto i battenti perché le

entrate non coprono le spese. Ad ogni modo, è inteso che il giorno in cui mi manderanno v ia mi daranno tre

mesi di stipendio come indennità. Alla fine di quest'anno avrò tre anni di serv izio nella ditta. Isabelle fa

male a non sposarsi se si presenta qualcuno di serio e istruito, qualcuno con un avvenire. Questa è la v ita, e

la solitudine quaggiù è una gran brutta cosa. Quanto a me, rimpiango di non essere sposato e di non avere

una famiglia. Ma adesso sono condannato ad errare, legato a un'impresa lontana, e di giorno in giorno perdo

l'inclinazione per il clima e la maniera di v ivere e perfino la lingua d'Europa! Purtroppo! a che servono tutte

queste peregrinazioni, e questi sbattimenti e queste avventure presso popoli strani, e queste lingue di cui ci

si riempie la memoria, e questi affanni senza nome, se non mi è concesso di potermi riposare un giorno, dopo

qualche anno, in un luogo che suppergiù mi piaccia, e trovare una famiglia, e avere almeno un figlio… […] Mi

parlate di notizie politiche. Se sapeste quanto mi è indifferente tutto questo! Da più di due anni non ho aperto

un giornale. Ormai queste discussioni mi sono incomprensibili. Come i mussulmani so che succede quel che

succede, ed è tutto. […] Queste fotografie mi rappresentano, l'una in piedi sulla terrazza della casa, l'altra in

piedi nel giardino d'un caffè; un'altra ancora a braccia conserte in un giardino di banani. Però sono diventate

chiarissime, per v ia delle pessime acque che mi servono al lavaggio. Ma in futuro migliorerò. Queste servono

soltanto per ricordarv i la mia faccia, e darv i un'idea dei paesaggi di qui. Arrivederci.

Rimbaud Ditta Mazeran, Viannay e Bardey Aden

~ § ~

alla famiglia Aden, 5 maggio 1884

Amici miei, come sapete la nostra società è interamente liquidata, e l'agenzia di Harar, che dirigevo, è

soppressa; anche quella di Aden è stata chiusa. Il passivo della Compagnia in Francia è, a quanto mi dicono,

di quasi un milione; […] Attualmente sono disoccupato, benché alloggi ancora nel vecchio edificio della

Compagnia, affittato fino alla fine di giugno. […] Non ho la minima idea di dove mi troverò fra un mese. Ho

con me dodici o tredicimila franchi, e siccome qui è impossibile affidare qualcosa a chicchessia, si è costretti

a trascinarsi dietro il proprio peculio, e a sorvegliarlo perpetuamente. E questo denaro, che potrebbe darmi

una piccola rendita, sufficiente a farmi v ivere senza lavoro, non mi frutta altro che seccature continue! Che

esistenza desolante la mia, in questi climi assurdi e in queste condizioni insensate! […] Non posso darv i un

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indirizzo per rispondermi perché personalmente ignoro dove potrei essere trascinato fra non molto, e su

quali strade, e dove, e per che cosa, e come! E' possibile che gli inglesi occupino prossimamente Harar, ed è

possibile che io v i ritorni. Là si potrebbe metter su un piccolo commercio; potrei forse acquistare giardini e

qualche piantagione, e tentare di v ivere così. […] Dunque la mia v ita qui è un vero incubo. Non mettetev i in

testa che io me la goda. Mi rendo conto di continuo che non è possibile v ivere più stentatamente di me. […]

Sono condannato a v ivere ancora per molto tempo, forse per sempre, in questi posti, dove ormai sono

conosciuto, e dove potrei trovar lavoro in qualsiasi momento; mentre in Francia sarei uno straniero, e non

troverei nulla. Insomma, speriamo bene. Salute prospera.

Arthur Rimbaud

Fermo posta, Aden-Camp Arabia

~ § ~

alla famiglia Aden, 10 settembre 1884

[…] credo che la penserete come me: dal momento che qui mi guadagno da v ivere, e dato che ogni uomo è

schiavo di questa miserabile fatalità, ad Aden o altrove, meglio tutto sommato restare ad Aden: altrove sono

uno sconosciuto, mi hanno completamente dimenticato […]

Rimbaud

~ § ~ alla famiglia Aden, 15 gennaio 1885

[…] Non v i mando la mia fotografia: ev ito con cura ogni spesa inutile. E poi sono sempre mal vestito; qui ci si

può vestire soltanto di cotonine leggere; la gente che ha passato qualche anno qui non può più trascorrere

l'inverno in Europa, morirebbe subito per una qualche flussione del petto. Dunque, se ritorno, sarà per

un'estate; e l'inverno sarò costretto a scendere verso il Mediterraneo, almeno. E comunque non pensate che

il mio umore si farebbe meno vagabondo, al contrario, se trovassi il modo di v iaggiare senza essere costretto

a fermarmi per lavorare e guadagnarmi da v ivere, non mi vedrebbero mai due mesi nello stesso posto. Il

mondo è vasto e pieno di magnifiche contrade, che l'esistenza di mille uomini non basterebbe a v isitare. […]

Troverò sempre che v ivere nello stesso posto è molto triste. Insomma, è molto probabile, nella v ita, che

facciamo quel che non vorremmo fare, e che andiamo dove non vorremmo andare, e che v iv iamo e

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decidiamo in modo assolutamente diverso da quello che vorremmo, e senza speranza di alcuna specie di

compenso […]

Rimbaud

~ § ~

alla famiglia Aden, 22 ottobre 1885

Cari amici, quando riceverete questa lettera probabilmente sarò a Tadjura, sulla costa del Dankali annessa

alla colonia di Obock. Ho lasciato l'impiego di Aden dopo una v iolenta discussione con quegli ignobili ingrati

che pretendevano d'abbrutirmi per sempre. Ho reso molti sev izi a quella gente, e pensavano che sarei

rimasto con loro tutta la v ita, per farli contenti. Hanno cercato di trattenermi in tutti i modi, ma li ho

mandati al diavolo con i loro vantaggi e il loro commercio, e la loro tremenda ditta e la loro sporca città!

[…] Dall'Europa mi sta arrivando qualche migliaio di fucili. Metterò su una carovana, e porterò queste merci

a Menelik, re dello Scioa. La strada per lo Scioa è lunghissima: due mesi di marcia o quasi fino ad Ankober, la

capitale; i paesi che si attraversano per arrivare fin lì sono deserti atroci […]

Rimbaud

~ § ~ alla famiglia Tadjura, 3 dicembre 1885

Miei cari amici, mi trovo qui per formare la carovana per lo Scioa. Le cose vanno per le lunghe, come al

solito; ma insomma, spero di poter partire verso la fino di gennaio 1886. […] Il Tadjura è annesso da un anno

alla colonia francese di Obock. E' un piccolo v illaggio dankal con qualche palmizio e qualche moschea. C'è un

forte, costruito tempo fa dagli egiziani, e dove adesso dormono sei soldati francesi agli ordini di un sergente,

comandante del posto. Hanno lasciato alla legione il suo piccolo sultano e la sua amministrazione indigena.

E' un protettorato. Il commercio principale è la tratta degli schiav i. […] Adesso non mettetev i a credere che

sia diventato commerciante di schiav i! Le merci importate da noi sono fucili (vecchi fucili a stantuffo in

disuso da 40 anni) che dai venditori di armi usate, a Liegi o in Francia, valgono 7 , al massimo 8 franchi al

pezzo. Al re dello Scioa, Menelik II, le venderemo a una quarantina di franchi. Ma ci sono spese enormi là

sopra, senza parlare dei pericoli della strada, andata e ritorno. Le genti che trov iamo per la strada sono i

Dankali, pastori beduini, mussulmani fanatici: sono temibili. E' vero che noi abbiamo armi da fuoco e i

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beduini hanno soltanto le loro lance: ma tutte le carovane vengono assalite. […]

A. Rimbaud Hôtel dell'Universo, Aden

~ § ~

alla famiglia Il Cairo, 23 agosto 1887

Miei cari amici, il v iaggio in Abissinia è finito. […] E comunque non posso tornare in Europa per diversi

motiv i: prima di tutto, d'inverno morirei; poi mi sono troppo abituato alla v ita errante e autonoma; infine,

non ho una possibilità di lavoro. Dovrò dunque trascorrere il resto dei miei giorni vagando fra stenti e

privazioni, con l'unica prospettiva di morire sulla breccia. Qui non mi fermerò a lungo: non ho lavoro e

tutto è troppo caro. Dovrò tornare, per forza, dalle parti del Sudan, dell'Abissinia o dell'Arabia. Forse potrei

andare a Zanzibar, da dove è possibile fare lunghi v iaggi in Africa; o forse in Cina, in Giappone, chissà?

Insomma, mandatemi vostre notizie. Vi auguro pace e bene.

Affettuosamente vostro

Arthur Rimbaud

Fermo posta, Il Cairo (Egitto)

~ § ~

a Ilg Harar, 7 [settembre] 1889

[…] Il re Menelik (da dove gli è venuta questa maledetta idea) ha scritto, un mese fa circa, di raccogliergli

un'imposta straordinaria di centomila talleri! - Dicono che abbia ordinato di estorcere la somma in tutte le

maniere possibili, ha perfino aggiunto di farsi dare denaro in prestito dagli europei promettendo di

restituirlo sui fondi che dovrebbe, o non dovrebbe, portare il Dediàsc Makonnen. - Da quando è arrivato

quest'ordine si assiste a uno spettacolo di cui il paese non era mai stato testimone finora, né al tempo degli

emiri, né a quello dei turchi: una tirannia orribile, odiosa, che disonorerà per molto tempo il nome degli

Amhara in genere, in tutte queste regioni, su tutte le coste, - disonore che sicuramente ricadrà sul nome del

Re. Da un mese a questa parte sequestrano, bastonano, espropriano, imprigionano la gente in città per

estorcer loro più denaro possibile. Ogni abitante ha già pagato tre o quattro volte. Tutti gli europei,

assimilati ai mussulmani, sono inclusi in questa tassa. A me hanno chiesto 200 talleri e ne ho pagati la metà,

ma credo che mi estorceranno anche gli altri 100 talleri […]

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Rimbaud

~ § ~

alla madre Harar, 21 aprile 1890

Mia cara madre, ricevo la tua lettera del 26 febbraio […] Per quanto mi riguarda, purtroppo, non ho il tempo

di sposarmi né di guardare gli altri sposarsi. Mi è assolutamente impossibile, e a scadenza indefinita,

allontanarmi dai miei affari. Se uno s'impantana negli affari in questi maledetti paesi non ne esce più. Sto

bene, però mi s'imbianca un capello al minuto. Se continua così temo che fra poco la mia testa diventi una

specie di piumino incipriato. E' desolante questo tradimento del cuoio capelluto: ma che farci?

Affettuosamente vostro

Rimbaud

~ § ~

alla famiglia Harar, 20 febbraio 1891

Cara mamma, sì, ho ricevuto la tua lettera del 5 gennaio. Vedo che da voi va tutto bene, tranne per il freddo

che, stando a quel che leggo sui giornali, è eccessivo un po' ovunque in tutta Europa. Adesso sto male. Ossia,

ho alla gamba destra qualche varice, che mi fa soffrire molto. Ecco quel che si guadagna a penare in questi

tristi paesi! E le varici sono complicate dai reumatismi. Eppure qui non fa freddo; ma non è stato il clima la

causa di tutto ciò. Sono quindici giorni che non chiudo occhio per v ia dei dolori a questa maledetta gamba.

Me ne andrei volentieri e credo che il gran caldo di Aden mi farebbe molto bene, ma qui mi devono parecchi

soldi e non posso partire, perché li perderei di sicuro. Ho fatto chiedere se c'è ad Aden una calza per varici,

ma ne dubito. Dunque fammi un favore per piacere: comprami una calza da varici, per una gamba lunga e

magra - (calzo il n° 41). Bisogna che la calza salga sopra il ginocchio perché ho una varice più su del poplite.

Le calze per varici sono di cotone, oppure di seta intessuta con fili elastici che sostengono le vene gonfie.

Quelle di seta sono le migliori, le più robuste. Non credo costino molto. E comunque ti rimborserò. Intanto

terrò la gamba fasciata. […] Questa infermità me la sono procurata con gli eccessiv i sforzi, sia a cavallo sia

nelle marce faticose. In questi paesi abbiamo un dedalo di montagne scoscese su cui non si può andare

neanche a cavallo. E senza strade, e perfino senza sentieri. Le varici non comportano pericoli per la salute,

però precludono ogni esercizio fisico v iolento. Il fastidio è grande perché producono piaghe se non si

portano le calze per varici; ma non basta! le gambe nervose non tollerano volentieri la calza, specie di notte.

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E con tutto ciò ho un dolore reumatico a questo maledetto ginocchio destro che è una tortura, perché mi

assale solo la notte! […] Nella vostra risposta ditemi qualcosa di preciso sul serv izio militare. Devo fare

qualcosa? Informatev i bene, e rispondetemi.

Rimbaud

~ § ~

alla madre Aden, 30 aprile 1891

Cara mamma, sì, ho ricevuto le due calze e la lettera, e le ho ricevute in circostanze ben tristi. Vedendo che il

gonfiore al ginocchio destro aumentava sempre, come il dolore nell'articolazione, e poiché non trovavo

nessun rimedio e nessun parere medico […] ho preso in affitto sedici portatori negri, per 15 talleri l'uno, da

Harar a Zeilah. Inutile dirv i le sofferenze orribili che ho dovuto subire lungo tutta la strada. Non mi è mai

stato possibile fare un passo fuori dalla barella, il ginocchio si gonfiava a v ista d'occhio e il dolore non faceva

che aumentare. Giunto qui, sono entrato nell'ospedale europeo. C'è una camera sola, per i malati a

pagamento: la occupo io. Il medico inglese, quando gli ho mostrato il mio ginocchio, si è messo a gridare che

era una sinovite arrivata ormai a un punto pericolosissimo , per v ia della mancanza di cure e degli strapazzi.

Ha immediatamente parlato di tagliare la gamba. Poi ha deciso di aspettare qualche giorno per vedere se

dopo le cure il ginocchio non accennasse a sgonfiarsi un po'. […] Secondo me l'origine è negli sbattimenti

delle marce a piedi e a cavallo all'Harar. […] Sono steso con la gamba bendata, legata, rilegata, incatenata in

modo che non posso più neanche muovermi. Sono diventato scheletrico da far paura. La mia schiena è piena

di scorticature da decubito; non dormo neanche un minuto. E qui il caldo è diventato pesantissimo. […]

Voglio farmi portare fino a un piroscafo e venire a farmi curare in Francia, il v iaggio mi aiuterebbe a far

passare un po' il tempo. In Francia le cure mediche e le medicine sono a buon prezzo e l'aria è buona, quindi

è molto probabile che venga. […]

Rimbaud

P.S. - Quanto alle calze sono inutili, le rivenderò a qualcuno.

~ § ~

telegramma alla madre Marsiglia [22 maggio 1891]

Presentato alle 2 e 50 del mattino Oggi tu o Isabelle, venite Marsiglia con treno espresso. Lunedì mattina mi

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amputano la gamba. Pericolo di morte. Affari seri da sistemare. Arthur. Ospedale Conception. Rispondete.

Rimbaud

~ § ~

a Isabelle Marsiglia, 10 luglio 1891

[…] Sono sempre alzato, ma non mi sento bene. Finora ho imparato a camminare con le stampelle, e mi è

ancora impossibile salire o scendere un solo gradino. In questo caso sono costretti a farmi salire o scendere

prendendomi in braccio. Mi sono fatto fare una gamba di legno molto leggera, verniciata e imbottita, fatta

benissimo (prezzo: 50 franchi). Qualche giorno fa me la sono messa e ho cercato di trascinarmi sollevandomi

ancora sulle stampelle, ma il moncone si è infiammato e ho buttato v ia il maledetto strumento. […] Dunque

ricomincio a serv irmi delle stampelle. Che noia, che fatica, che tristezza, se penso a tutti i miei v iaggi, a

com'ero attivo non più di cinque mesi fa! Dove sono le corse attraverso i monti, le cavalcate, le passeggiate, i

deserti, i fiumi, i mari? […] Nel frattempo preferisco credere che le cose andranno meglio, come voi fate in

modo che io creda: per quanto stupida sia la sua esistenza, l'uomo le resta sempre attaccato. Mandatemi la

lettera dell'intendenza. Alla mia tavola, per l'appunto, c'è un ispettore di polizia malato che mi secca sempre

con le sue storie di serv izio, e si prepara a farmi qualche brutto tiro. Perdonatemi se v i ho disturbate, v i

ringrazio, v i auguro buona fortuna e buona salute. Scrivetemi.

Vostro Rimbaud

~ § ~ a Isabelle Marsiglia, 15 luglio 1891

[...] Passo notte e giorno a riflettere sui possibili sistemi per muovermi: è una vera tortura! Vorrei fare

questo e quello, andare qua e là, vedere, v ivere, partire: impossibile! impossibile almeno per molto tempo,

forse per sempre! Non vedo, accanto a me, che queste maledette stampelle: senza questi bastoni non posso

fare neanche un passo, non posso esistere. Senza le contorsioni più atroci non posso nemmeno vestirmi.

Ormai riesco quasi a correre, con le mie stampelle, ma è impossibile salire o scendere le scale, e se il terreno

è irregolare, il dislivello fra una spalla e l'altra è molto faticoso. Ho una nevralgia fortissima al braccio e alla

spalla destra, e nonostante questo una stampella che mi sega sotto il braccio, - e un dolore nevralgico anche

alla gamba sinistra, e tuttav ia mi tocca fare tutto il giorno l'acrobata per avere l'aria di esistere. […] Se

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qualcuno fosse nella mia stessa situazione e mi consultasse gli direi: è arrivato fino a questo punto ma non si

lasci mai amputare. Si faccia maciullare, straziare, fare a pezzi, ma non accetti di essere amputato. Se v iene la

morte, sarà meglio della v ita con degli arti in meno. Molti hanno fatto così, e se dovessi ricominciare lo farei

anch'io. Soffrire un anno intero come un dannato, piuttosto che accettare l'amputazione. Ecco il gran

risultato: sono seduto, e ogni tanto mi alzo per saltellare un centinaio di passettini sulle mie stampelle, poi

torno a sedermi. Le mie mani non possono tenere nulla. Mentre cammino non posso distogliere il v iso dal

mio unico piede e dalla punta delle mie stampelle. La mia testa e le mie spalle s'inclinano in avanti, e la

schiena s'incurva come un gobbo. Tremate al vedere persone e oggetti muoversi intorno a voi, per il terrore

che v i scaraventino a terra facendovi spezzare l'altra zampa. Sghignazzano a vederti saltellare. Tornato a

sedere, hai le mani irritate e la faccia di un idiota. Ti riprende la disperazione e rimani seduto nella perfetta

impotenza, piagnucolando e aspettando la notte, che riporterà la perpetua insonnia e il mattino più triste

ancora del giorno che lo ha preceduto ecc. ecc. Il seguito alla prossima puntata. Con tutti i miei auguri.

Rimbaud

~ § ~

al Direttore delle Messaggerie Marittime Marsiglia, 9 novembre 1891

UN LOTTO: UN SOLO DENTE

UN LOTTO: DUE DENTI

UN LOTTO: QUATTRO DENTI

Signor Direttore, Le voglio chiedere se, a suo avv iso, non ho lasciato niente. Oggi desidero cambiare questo

serv izio, di cui non conosco nemmeno il nome, ma voglio ad ogni modo che sia il serv izio di Aphinar. Tutti

questi serv izi sono lì dappertutto ed io, impotente, infelice, non posso trovare niente, il primo cane per

strada glielo potrà dire. Mi mandi dunque i prezzi del serv izio di Aphinar a Suez. Io sono completamente

paralizzato: quindi desidero trovarmi a bordo di buon mattino. Mi dica a che ora devo essere trasportato a

bordo…

~ § ~

Lettera del Veggente

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