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anarchismo 31

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revista anarquista

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  • ANARCHISMO Anno VI-n" 31-1980 Direttore responsabile: Alfredo M. Bonanno Redattore responsabile: Franco Lombardi Redazione e amministrazione:

    FRANCO LOMBARD!- C.P. 33-47100 FORLI- Tel. (0543) 26273 Una copia L. 1.000- Abbonamento annuo ordinario L. 10.000- Abbonamentp sostenitore L. 20.000- Estero ordinario L. 15.000- Estero per via aerea L. 20.000 - L'abbonamento puo decofi"ere da qualsiasi numero. Arre-trati L. 1.500.

    Tutti i pagamenti vanno effetuati servendosi del conto corrente postale n. 10671477, intestato a Franco Lom-bardi, C.P. 33-47100 Forli. Autoriz. Trib. di Catania n 434 del 14.1.1975- Aut. PP.TT. di Massa n 80860/GG del 15/ll/80- Sped. in abb. post. gruppo lll/70%. Stampato presso La Cooperativa Tipolitografica a.r.l.. via S. Piero 13/a. Carra ra.

    SOM MARIO

    BILANCIO AL 5/11/80

    ENTRA TE abbonamenti L. pagamento copie L. sottoscrizioni L.

    USCITE: composizione e stampa n. 30 L. stampa locandine L. viaggi L. corrispondenza L. cancelleria L. spedizioni n. 30 L.

    TOTALEENTRATE L. TOTALE USCITE L. DEFICIT ATTUALE L.

    3 Redazione 6 Gerovidal 8 A.M. Bonanno

    JO Gruppo di ricerca libertario 13 * * * 15 Azione Diretta 18 Alcuni detenuti di Pa/mi 20 Un gruppo di compagne

    da Messina 21 G. Giu.ffrida 24 Collettivo Auto no mo

    del campo di Trani 26 Nucleo di affinit

    Rico e Attilio

    191.500 77.250

    130.000

    932.700 50.215 50.000 19.320 8.500

    62.000 11

    398.750 1.122.735

    723.985

    Spunti per un pi projicuo dibattito Op/, noi muoriamo Montane/li, /'infame Dove va l'automobile Vertenza Fiat: un inizio o unajine? Democrazia al manganello Sulla prigionia di guerra

    1 n ris posta al documento di Pa/mi Delatori e avvoltoi

    Lettera sulla resa

    Per un dibattito sulla guerra sociale

    Vogliamo inoltre ricordare le 400.000 lire pro-arrestati del23/26 marzo fatte pervenire da numerosi compagnie compagne di lingua italiana residenti in Nord America, a mezzo Paolo e Aurora e tutti gli altri contributi, indivi-Uali o di gruppi, pervenuti allo stesso scopo ai Comitati di Difesa cli Forli e Bologna.

  • anarchismo

    La Redazione

    spunti .... per un p1u

    proficuo dibattito

    Il momento politico e sociale che stiamo attraversando in questi ultimi mesi del 1980 d tutta l'impressione di voler segnare la chiusura, non solo a livello di ca-lendario, di un decennio che ave-va visto, nel nostro paese e in ge-nerale, un'evoluzione notevole dello scontro di classe.

    Partendo dalle basi gettate in quell'ormai mitizzato '68, dive-nuto alibi per ogni presente ne-fandezza e paradiso perduto di ogni nuovo mistico, il movimento rivoluzionario riuscito, pur con i soliti alti e bassi, tra momenti di entusiasmo ed altri di ripensa-mento, a coagulare attorno a s vasti settori di antagonismo socia-le, sfociando in un cielo di lotte che aveva creato, nel 1977, un'oc-casione insurrezionale non solo velleitaria e utopica, ma ben con-creta e a portata di mano.

    Ma cosi come ogni malattia nell'assalire un organismo crea contemporaneamente gli anticor-pi destinati a combatterla, anche il movimento rivoluzionario reale degli anni '70 ha dovuto fare i conti non solo con le m~sicce dosi di medicinali coi quali le ha assalito lo stato, ma anche con gli anticorpi che covava nel suo stesso seno, cio con quel movi-mento rivoluzionario fittizio che, pretendendo di rappresentarlo, ne ha imprigionato la carica sovver-siva e la ricchezza soggettiva nei soffocanti abiti dello spettacolo politico.

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    Quello che stiamo facendo non certo un discorso nuovo per quei compagni che ci abbiano se-guito gi da qualche tempo; l'er-rare di analisi che dobbiamo evi-tare, oggi come sempre, quello di chiamarci fuori da questa re-sponsabilit, individuando un ca-pro espiatorio sul quale scaricare tutte le colpe. Non si tratta infatti qui di cattiva volont soggettiva, che, raccolta sotto una bandiera o un simbolo, abbia condotto il mo-vimento per una strada sbagliata, ma piuttosto di limiti oggettivi nei quali siamo rimasti ~tti, chi pi chi meno, impantanati. Chiarire a fondo questo possibile equivoco necessario per evitare di ricadere, in futuro, vittime delle stesse illu-sioni, degli stessi miti, delle stesse false prospettive da cui siamo ri-masti affascinati questa volta.

    Addossare tutta per intero ai gruppi cosidetti della lotta armata o, per converso, a chi se ne fatto detrattore, la responsabilit della fase in cui si sta trovando il movi-mento rivoluzionario nel suo complesso, operazione certa-mente facile, ma che pu servire soltanto a tacitare qualche falsa coscienza.

    Ma questo un discorso che torneremo ad approfondire in al-tra occasione.

    La situazione in cui ci troviamo oggi ad agire evidenzia due feno-meni sostanzialmente rilevanti, sui quali vogliamo richiamare l'attenzione dei compagni, chia-mandoli ad una analisi e ad un di-battito che ci permettano di me-glio inquadrare i compiti che ci attendono nel futuro pi prossi-mo.

    Stiamo assistendo, da una par-te, ad un tentativo di restaurazio-ne politica e sociale, guidato dai settori che potremmo definire tra-dizionali della classe dominante, il grande padronato e 1~ forze po-litiche di centro; il relegamento del Partito Comunista al ruolo di opposizione e la vertenza Fiat re-centemente conclusasi rappresen-tano due momenti chiaramente significativi di queste processo, che si prefigge un risultato dupli-ce. Sul fronte sociale, esso tende a consolidare i meccanismi di do-minio e di controllo sull'ntagoni-smo proletario, sottoponendo tut-to il territorio ad una crescente militarizzazione e, nel contempo,

    redazionale

    acquisendo un potere sempre pi reale sul meccanismo di produ-zione-distribuzione-consumo.

    L'aspetto militare della questio-ne viene garantito non tanto dai generalissimi o dai prefetti, te-ste di legno sempre intercambia-bili nel vasto campionario di servi vanagloriosi di cui dispone il po-tere, ma nell'estendersi dell'appa-rato poliziesco che avviene in sen-so non solo quantitativo (amplia-mento degli organici, istituzione di nuovi corpi di polizie parallele, vigilantes, ecc.), ma anche quali-tativo, instillando un'ideologia di mobilitazione permanente anti-proletaria nei ceti medi (commer-cianti che si difendono da soli, capi o capetti che scendono in piazza per difendere la loro li-bert di lavorare, ecc.).

    La cosiddetta lotta contro il ter-rorismo senza dubbio servita come pretesto e come terreno di coltura per questa campagna di forcaiolismo piccolo-borghese e di caccia al soggetto sovversivo, che ora si estende, come del resto era fin troppo facile prevedere, a tutti i settori sociali che si rifiuta-no, pi o meno coscientemente e anche solo parzialmente o in pro-spettive non certo rivoluzionarie, di inchinarsi alle pretese di domi-nazione sempre pi totalizzante. E cosi anche quei settori di classe che hanno accettato di farsi sta-to ricevono la meritata ricom-pensa: calci in faccia e licenzia-menti, asservimento e miseria cre-scenti, come si conviene ai coglio-ni contenti.

    Dal lato degli equilibri politici di potere ci troviamo invece di fronte ad uno storico fiasco del progetto di scalata alla cogestione del potere nel quale si erano im-pegnati a corpo morto il Partito Comunista e gli apparati sindaca-Ii. Dal 1977 ad oggi queste forze hanno dimostrato tutta la miseria del proprio disegno politico: par-titi con la intenzione di imporre le loro condizioni per entrare in grande stile nella stanza dei botto-ni, portando in dote la propria presunta capacit di controllo sul corpo proletario, questi sedicenti rappresentanti dei lavoratori hanno visto, giorno dopo giorno, svanire questa dote tra le loro mani e smontare la loro prsopo-pea da ultimi arrivati al banchetto del potere.

  • redazionale

    Accortisi di avere in tasca una merce di scambio ben povera, poich gli sfruttati sfuggono conti-nuamente alle loro direttive e ai loro tentativi di teleguidame i comportamenti, essi hanno tenta-to un disperato recupero vestendo i panni dei servi zelanti, sempre in prima fila in ogni campagna controrivoluzionaria e sempre at-tivissimi in ogni caccia alle stre-ghe anticomunista.

    Ben contenti di questa loro di-sponibilit gratuita, gli altri setto-ri del quadro di comando (quelli che abbiamo definiti tradizionali) se ne sono serviti in lungo e in lar-go finch ha fatto loro comodo, assistendo nel contempo compia-ciuti alle sempre maggiori diffi-colt che la sinistra incontrava, anche rispetto a certe fasce della sua base pi consolidata, nel gio-care questo ruolo di cane da guar-dia ringhioso del potere costituito, e misurando con attenzione l'a-bisso sempre pi vasto che la sfi-ducia scavava sotto i piedi dei vertici riformisti. Poi, quando hanno colto il momento in cui pi precaria appariva la posizione di tali vertici, hanno dato loro il benservito, prima al PCI, ricac-ciandolo nuovamente in un ruolo di opposizione nel quale questo partito non sa pi bene come bar-camenarsi, come imbambolato dai sogni di govemo per lungo tempo accarezzati e di colpo dis-soltisi, ed ora anche al sindacato, il eui ruolo nella vertenza Fiat non trova definizione pi confa-cente di quella di utile idiota.

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    Queste forze cosidette di sinistra si trovano ora nelle condizioni di un pugile suonato, ormai in balia dell'avversario e incapace di tro-vare una via d'uscita, che a tratti si lancia in attacchi a testa bassa, tanto velleitari quanto inconsulti, a tratti si chiude in una inerte di-fesa passiva, tutta tesa a salvare il salvabile.

    Conosciamo troppo a fondo la storia e la realt quotidiana di queste forze politiche per coltiva-re la minima illusione sul fatto che questa lezione possa por-tarle ad un ripensamento sostan-ziale sulla loro scelta di campo. Ormai parti integranti dell'appa-rato dello stato e invischiati sino al collo nella melma rivoltante della politica antiproletaria, pici-sti e sindacalisti non hanno altra possibilit che sperare in tempi migliori per riproporre la propria candidatura a una poltrona di pri-ma classe nella carrozza dei po-tenti. Per l'intanto continueranno a viaggiare come bagaglio al se-guito. Del resto crediamo che questa lotta interna allo schiera-mento politico padronale sia una lotta ancora aperta, pure se tem-poraneamente segna un chiaro vantaggio di una delle parti in causa.

    Il secondo fenomeno che si im-pone prepotentemente alla nostra attenzione quello della cosiddet-ta liquidazione del problema della lotta armata.

    Dalla primavera di quest'anno assassinii, arresti, blitz e marce trionfali dei vari generalissimi si

    anarchismo

    sono succeduti con un ritmo tale che non solo ha permesso loro di cominciare a cantar vittoria, ma ha anche gettato in una crescente confusione una buona parte del movimento antagonista.

    Questo fenomeno, come scri-viamo altrove, per noi pi spet-tacolare che sostanziale, anche se ha senza dubbio provocato danni rilevanti in seno a tutto lo schie-ramento rivoluzionario ed stato reso possibile, in buona parte, dall'infezione causata dalla aber-rante pratica della delazione, rive-latasi un vero e proprio asso nella manica dei servizi antiguerriglia.

    Da quando Patrizio Peci si ar-ruolato in servizio permanente ef-fettivo nelle file dei nuclei antiter-rorismo, offrendo come creden-ziali il massacro di quattro com-pagni, sono spuntati sotto i nostri occhi spie, rinnegati e traditori di ogni genere. Dai coglioni in cerca di gloria, come il verme Paghera, che non sa praticamente niente, ma pronto a fingere di sapere tutto quello che fa comodo ai ma-

    . gistrati, fino ai teorici della resa>>, delirante teoria che riduce la lotta di classe a una specie di assurdo gioco della guerra tra bande rivali.

    A nostro parere i rivoluzionari hanno dimostrato, fino a questo momento, una comprensione troppo superficiale di questo pro-blema, che non certamente nuo-vo, ma che sembrerebbe averci trovati impreparati e stupefatti.

    Che la sorte da sempre destina-ta ai delatori debba essere quella

  • anarchismo

    dei cani rabbiosi, ai quali bisogna impedire di far danni eliminando-li, cosa talmente ovvia ed acqui-sita che non ha veramente senso spendervi parole roboanti, poich in questo senso, veramente, pas-sono parlare solo i fatti.

    Quel che invece preoccupante che molto spesso non si sia riu-sciti ad andare al di l di analisi che colgono nella debolezza sog-gettiva degli individui le cause del fenomeno e che, anche quando trovano momenti di riflessione e autocritica sulla - propria storia politica recente, non riescono ad andare al di l degli aspetti forma-li o generici, finendo poi magari per precipitare in un nuovo, grot-tesco trionfalismo per il quale non riusciamo ad immaginare altro scopo che non sia quello di rial-zare il morale delle truppe, tanto assomiglia ai menzogneri bolletti-ni di guerra degli stati maggiori in difficolt.

    Se veramente le cose stessero semplicemente come appaiono dai comunicati e dai documenti stilati, a questo proposito, da certe organizzazioni, tutta la faccenda sembrerebbe potersi risolvere con una pi accurata selezione dei mi-litanti e con un'ulteriore accen-tuazione della struttura chiusa dell'organizzazione rivoluziona-ria, il che sfiora veramente il ridi-colo e non fa che riproporre una volta di pi l'imitazione speculare dei meccanismi che governano l'apparato nemico dello stato.

    L'argomento troppo delicato e troppo importante perch pos-siamo avere qui la presunzione di dire qualcosa di definitivo in pro-posito; ma, nell'invitare nuova-mente tutti i compagni ad interve-nire in questo dibattito che ci pare fondamentale, vogliamo anche af-fermare che, dal punto di vista dei rivoluzionari anarchici, non ha senso affrontarlo senza tener con-to di almeno due considerazioni, che devono, a nostro parere, esse-re costantemente alla base delle nostre riflessioni e delle nostre azioni.

    La prima che il processo rivo-luzionario non puo mai essere ri-dotto ad una faccenda privata di qualche apparato specialistico, che possa permettersi il lusso di selezionarne i quadri, distribuirne i compiti e deciderne i tempi.

    La seconda che per noi la mi-

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    litanza rivoluzionaria non puo in nessun caso assumere l'aspetto di un fatto episodico e separato, ma deve escludere ogni aspetto di alienazione e di divisione all'in-terno dei soggetti che la scelgono, investendo per loro la totalit del-la propria esistenza quotidiana.

    Dubitiamo fortemente che sia possibile trovare l'olio santo che allontani miracolosamente tutti i pericoli ai quali esposta la scelta di chi si posto sul terreno della lotta aperta e senza possibilit di mediazione contro il potere, ma riteniamo anche che sia necessa-rio impegnarsi per evitare di aggi-rare i problemi concreti con facili esorcismi, che finirebbero per far-ci girare a vuoto all'interno di un circolo vizioso. Se una lezione ci sentiamo di trarre dalla situazione attuale, essa non puo che andare a confermare tutti i dubbi e le criti-che che abbiamo sempre sollevato circa il discorso della clandestini-t dei soggetti.

    Il nostro essere anarchici ci di-stingue da altre posizioni ideolo-giche anche per questa continua tensione volta a far combaciare l'utopico e il quotidiano, cio che vorremmo che fosse e cio che ve-ramente ; tensione che non si realizza tanto nel tentativo (a no-stro parere illusorio) di costruire isole felici in seno al regno del-la morte, voluto e perpetuato dai potere, ma piuttosto nel cercare di far si che vita personale e vita po-litica siano categorie astratte de-stinate, sin da oggi, a sparire dal mondo del reale, per far posto a soggetti complessivamente sov-versivi e coscienti della propria totale irriducibilit all'esistente, di cui hanno deciso di essere la negazione continua.

    1 recenti avvenimenti hanno di-mostrato che questa coscienza e questa irriducibilit non si posso-no misurare n col calibra delle arroi usate n con l'altisonanza delle sigle con cui ci si ammanta; da questa constatazione crediamo che possa proficua'mente prose-guire il dibattito che con questo nostro invervento speriamo di riuscire a ravvivare.

    Portiamo un monda muovo qui, nei nostri cuori. Quel monda sta crescendo in questo momento. (Buenaventura Durruti)

    redazionale

    il verme paghera colpisce ancora

    La carogna venduta che corrisponde al nome di Enrico Paghera ha messo ancora una volta a disposizione del po-tere la sua disponibilit di mercenario, sottoscrivendo una nuova confessio-ne prefabbricata.

    Le vittime della nuova porcata del verme sono questa volta due compa-gni, Gabriele Fuga e Nicoletta Mar-tella, che non sono certamente stati scelti a caso come oggetti di una mon-tatura.

    Gabriele si trova gi in carcere, con l'unica colpa di aver sempre fornito il suo impegno rivoluzionario anche come avvocato, ma le precedenti men-zogne profuse dai Paghera sul suo conto non erano riuscite a sortire nes-suna imputazione pi specifica dell'or-mai inflazionata partecipazione a banda armata; in modo che a gennaio

    avrebbe dovuto essere liberato per de-correnza dei termini di carcerazione preventiva.

    Nicoletta, invece, era evidentemente colpevole, agli occhi del verme, di aver contribuito a smascherarne tutta la meschinit e la bassezza morale con una testimonianza diretta (che abbia-mo pubblicato sul n. 30 di questa rivi-sta) ed ovvio che alla repressione fa-cesse comodo togliere dalla circolazio-ne una fonte cosi diretta, che puo to-gliere ogni residua credibilit al pen-tito Paghera.

    Ora, grazie a questa nuova infamit del tutto infondata, Gabriele non usci-r di galera per un altro po' e Nicolet-ta avr enormi difficolt a far sentire la sna voce, essendo entrambi accusati di aver introdotto in carcere dell'e-splosivo.

    Crediamo sia tempo che tutti i com-pagni si impegnino a far chiarezza sul-la lercia figura di questo provocatore, che non puo dire che falsit non essen-do mai stato un rivoluzionario e al quale bisogna impedire di fare altri danni al movimento anarchico.

    Nicoletta, Gabriele e tutti i compa-gni che sono in carcere in base alle sue spudorate menzogne debbono tornare tra noi!

  • ..1ttualit

    Gerovidal

    opl, noi muoriamo!

    Tra disinformazione, disinteresse e disimpegno, il progetto nucleare avanza. La necessit di agire prima che sia troppo tardi.

    Non tutti i quotidiani si sono degnati di riportare la notizia; era di quelle che anche se non circo-lano, tanto meglio: la gente non se ne accorge, non impara niente, dorme tranquilla e lavora a testa bassa.

    Eppure una di quelle notizie che di solito vengono definite di interesse pubblico: nei giomi tra il 3 e il 6 novembre (i giomi della grande nevicata fuori stagione su quasi tutta l'Italia) l'aria, la piog-gia e la neve che ci sovrastavano erano contaminate da particelle radioattive provocate da una bomba atomica che la Cina ha fatto esplodere il 16 ottobre.

    Ma in quei giomi i nostri gior-nali erano troppo occupati a riempirci la testa con colonne e colonne di coglionate sul nuovo presidente americano (probabil-mente il pi cretino della storia), sull'ennesimo scandalo nazionale che ha elargito qualche centinaio di miliardi in pi ai soliti potenti e che, come tutti gli altri, finir nel dimenticatoio, lasciando tutti felici e contenti; tronno occuoati,

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    dicevamo, a farci digerire l'enne-sima raffica di aumenti varata dall'ennesimo govemo democrati-co nato dalla resistenza, per po-tersi permettere di correre il ri-schio di darci ulteriori preoccupa-zioni facendoci sapere che sulle nostre teste stavano cadendo invi-sibili particelle di cosidette so-stanze nobili, dai nomi affasci-nanti come lantanio, bario, rute-nio, che hanno la sgradevole par-ticolarit di poterci far morire di cancro. E, come se non bastasse, non che un acconto. Infatti, un tal professor Ferraro, del labora-torio di contaminazione conti-nentale (bel nome, ben augurante sopratutto), ci informa con soddi-sfazione che un'altra parte delle particelle radioattive provocate da questo esperimento atomico, andata nella stratosfera, al di so-pra dei dodicimila metri di altez-za, e li sta facendo con comodo il giro del mondo: non si poser su di noi prima della prossima pri-mavera.

    Ovviamente, anche chi ha ri-portato la notizia si preoccupato di tranquillizzarci, assicurandoci che gli esperti hanno affermato che non c' alcun pericolo reale, visto che i livelli di radioattivit misurati sono al di sotto della ra-dioattivit naturale presente nel-l'ambiente in cui viviamo e che ci accompagna (o gaudio!) per tutta la nostra esistenza.>> (Corriere del-la sera del 5 novembre 1980).

    Che sia vero o che sia la solita cazzata che i soliti esperti ci som-ministrano per non farci agitare (vedi Harrisburg, tanto per fare un esempio) non ha poi moita im-portanza; innanzitutto, quando e se gli effetti di questa pioggia radi-oattiva diventeranno tangibili, fra anni e anni, nessuno se ne ricor-der o sar in grado di metterla in relazione con un eventuale in-spiegabile incremento della mor-talit per tumori. In secondo luo-go, la gente ha ben altre cose per la testa>> ( o almeno gli vengono messi) per dedicare pi .di un di-stratto commento fatalis'tico a una notizia del genere.

    Purtroppo, pare che anche i compagni abbiano ben altre cose per la testa. Informazioni come questa (e a spulciarle con atten-zione non sono poi tanto rare) vengono spessissimo trascurate anche dalla nostra stampa, impe-

    anarchismo

    gnata a discutere dei destini del mondo che; come noto, dipen-dono principalmente dalla purez-za ideologica con la quale ci esprimiamo.

    E invece sembra divenire sem-pre pi probabile che i destini del mondo finiscano per essere decisi, una volta per tutte (o almeno per un bel pezzo) dalla follia suicida di un potere che, pur di conserva-re se stesso, non si fa scrupolo al-cuno di portare avanti sempre pi massicciamente un delirante pro-gramma di sviluppo nucleare. Programma che si svolge sia a li-vello militare che a livello civile.

    Infatti, da un lato, gli accordi tra USA e URSS sul controllo delle armi e degli esperimenti ato-mici contano ben poco, sia perch nulla sostanzialmente vieta agli stessi paesi che li hanno stipulati di violarli, ma, ancor pi, perch vi sono moiti stati che non hanno sottoscritto alcun accordo formale e che pure sono in grado di co-struire (e dunque di sperimentare) bombe atomiche di notevole po-tenza.

    Sull'altro fronte, dopo un pe-riodo di vasta impopolarit e dun-que di contestazione pi o meno accesa, la scelta del nucleare come fonte energetica per il dis-sennato sviluppo industriale at-tuale, sembra destinata a passare in forma strisciante, tra l'indiffe-renza generale, nonostante ne sia-no state ampiamente dimostrate l'ineconomicit, l'inutilit e, so-prattutto, la pericolosit.

    Eppure il movimento antinu-

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    1 .

  • anarchismo

    cleare, e la sua componente rivo-luzionaria in particolare, sembra essersi addormentato sugli allori e in Italia, dove esso non mai riu-scito a raggiungere i livelli di coinvolgimento conosciuti in altri paesi come Francia, Germania o Stati Uniti, la situazione parti-colarmente drammatica: vere e proprie trappole mortali, come quella di Caorso, continuano a funzionare (o a non funzionare ... ) senza che nessuno di noi si degni di dire bao.

    Penso che sia tempo che tutti ci rendiamo conto di una cosa: che se in questo campo lasciamo l'ini-ziativa al nemico, senza Qlpo fe-rire, corriamo il rischio"-molto concreto e non cosi lontano, di vanificare tutto il resto dei nostri pur generosi sforzi rivoluzionari. Se vero che, come diceva Dur-ruti, noi erediteremo il mondo, non pero altrettanto vero che le rovine (o almeno certe rovine) non ci facciano paura. Il nostro Buenaventura ha avuto semplice-mente il torto di morire qualche anno troppo presto per potersi rendere conto di quali rovine il mostro capitalista sia disposto a causare, pur di difendere i suoi inumani privilegi.

    Che senso avrebbe tentare di ,.

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    edificare una societ comunista ed anarchica sui residui contami-nati di un disastro nucleare? E a chi interesserebbe farlo, visto che quella che vogliamo autogestire la nostra VIT A e non una misera sopravvivenza?

    E non sto parlando solamente dell'ipotesi di una guerra atomica (che moiti forse sono portati a considerare pi irreale di quanto invece sia), ma anche della pi lenta, ma sistematica distruzione causata dai crollo dell'equilibrio ecologico, sempre pi irreparabil-mente minato dalla proliferazione della folle tecnologia nucleare in tutte le sue forme.

    Di fronte a questo rischio, e co-scienti dell'attuale incapacit di incidere di un movimento antinu-cleare che non sa esprimersi (quando lo fa) che a livelli di opi-nione, penso sia tempo che i rivo-luzionari si rendano conto di non poter pi considerare questa una questione di secondaria importan-za, e di non poter neanche restare placidamente nell'attesa del mo-mento mitico in cui le masse (quanti peccati di ignavia si com-mettono in loro nome!) prende-ranno coscienza del problema. N mi pare sufficiente che la attivit del movimento antinucleare si li-

    attualiti

    miti ad una affannosa corsa al tempo, tutta volta a cercare di convincere la gente a schierarsi contro le demenziali scelte del po-tere prima che succeda l'irrepara-bile; in primo luogo perch non possiamo sapere quando questa soglia dell'irreparabile verr var-cata e, in secondo luogo, perch anche se i nostri sforzi in questo senso venissero coronati dai suc-cesso, dovrebbe esserci noto che il potere se ne frega della volont della maggioranza ed pronto ad imporre il suo arbitrio con la ragione della forza.

    In una situazione del genere mi pare necessario che i rivoluziona-ri, consci dell'assoluta ed indero-gabile necessit di ostacolare l'a-vanzata costante e strisciante di questo progetto di distruzione, sappiano trovare i mezzi per con-trastarlo fin da ora, anche come minoranza agente desiderosa di lasciare quanto meno aperta la possibilit alla realizzazione dei propri sogni, se proprio le mas-se non ne hanno. Da moiti altri paesi (dalla Spagna alla Svizzera, dalla Francia agli Stati Uniti) ci giungono esempi di come l'azione diretta e il sabotaggio possano, anche in questo campo, rivelarsi assai efficaci, sostituendosi, se ne-cessario, alla latitante e assai pro-blematica opposizione di mas-sa. ln ltalia, dove pure in questi anni si sviluppato un movimen-to antistatale e illegalitario tanto vasto e attivo da suscitare una specie di invidia nei compagni di moite altre nazioni, le varie mi-noranze militanti non hanno sa-puto (o non hanno voluto) finora farsi carico di questo pressante problema.

    Una situazione senz'altro stra-na, ma alla quale sar opportuno rimediare al pi presto, piuttosto che dilungarsi inutilmente nell'a-nalisi del come e del perch, se non vogliamo che sulle nostre meravigliose costruzioni ideologi-che cali la cenere mortifera della contaminazione radioattiva.

    E in questo campo il movimen-to anarchico, che pi di altri set-tori sembra aver complessivamen-te cbiaro il problema specifico, potr giocare un ruolo certamente non di secondo piano, se sapr evitare di farsi illudere dalla lu-singa della adesione di massa alle proprie iniziative.

  • attualit

    A.M. Bonanno

    montanel li, l'infame

    Spudorata campagna stampa diretta a ridare credibilit alla tesi della colpevolezza degli anarchici. Il ruolo osceno di Montanelli

    Tante volte abbiamo tentato di sottrarci alla Sua (di Mussolini) pres a, e a forza slontanandolo, ri-guardarlo con freddezza di foto-grafi. E /orse nul/a, quanto la va-nit di questo sforzo; d la misura del suo ipnotico potere su di noi.

    (lndro Montanelli, Meridiani, ottobre 1936)

    Tra i diversi articoli pubblicati in questi giomi sulle presunte ri-trovate piste di colpevolezza ri-guardo l'uccisione del commissa-rio Calabresi, il boia che uccise Pinelli, tutti articoli che fanno a gara a chi trova la soluzione pi ingegnosa e pi romanzesca per giustificare il ritomo sull'argo-mento, spicca il contributo di Montanelli.

    Questo vecchio rudere fascista scrive sul suo fogliastro uno degli articoli pi infami che siano usciuti dalla sua infame penna di venduto leccaculi del potere. Non avendo pi I'uomo del destino da-vanti a cui inginocchiarsi nel modo abietto che dimostra nella citazione in epigrafo, per altro non tra te peggiori, trova comun-que il modo di rendersi utile al-l'attuale traballante potere demo-cratico che se non fomisce pi uomini del destino, fomisce pre-bende, riconoscimenti e sicurezza finanaria.

    La tesi sostenuta lineare: quel povero Calabresi era una brava persona, come per altro anche Pi-

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    nelli, che non c'entrava per nulla con le bombe. Non si sa chi abbia messo queste bombe, solo che for-se Pinelli qualcosa sapeva e quai-casa aveva pur _accennato al suo amico Calabresi, con cui si dava-no del tu, per poi trovarsi ricatta-to da quest'ultimo (che non nemmeno una bella cosa) e, da-vanti alla prospettiva di passare per una (involontaria) spia, suici-darsi spiccando un salto dai quin-to piano. E' stata tutta colpa dei giomalacci della sinistra che dan-do addosso al quel poveretto di Calabresi, unicamente colpevole di avere giocato uno scherzo a Pi-nelli, hanno spinto quegli sconsi-derati ragazzacci che maneggiano con facilit le pistole, ad uccider-lo. Succo dell'articolo: i fascisti non c'entrano: tempo che la ma-gistratura e le polizie ritomino ad inquisire la sinistra e, ovviamen-te, gli anarchici. Valpreda si pre-pari.

    Sbalordirsi davanti a tanta im-prontitudine non sufficiente. Tempo fa, riflettendo quasi con noi stessi, scrivevamo che non era comprensibile perch ad una he-stia di questo genere avessero spa-rata alle gambe, quando sarebbe, forse, stato meglio sparargli in mezzo alla fronte. Per non avere a sufficienza sottolineato questo forse, cio (nota per l'immancabi-le censore: per non essere stati sufficientemente chiari nell'avan-zare un'ipotesi, cosa del tutto di-versa dall'incitare qualcuno a prendere la pistoia e sparare in mezzo agli occhi, come se poi fos-se tanto facile trovare qualcuno che si lasci incitare a qualcosa del genere!), per non avere sottolinea-to questo forse, dicevamo, ci sia-mo trovati con una condanna di un anno e mezzo sulle spalle che se ci ha, forse, insegnato a scrivere meglio (grande forza didattica del-lo sbirro), non ci ha certo aiutato a capire perch diavolo non han-no sparato in fronte ad una hestia come questa.

    Che quei loschi figuri1 _racchiusi in una stanza al quinto piano del-la Questura di Milano, con in loro balia l'inerme Pinelli, siano sen-z'altro responsabili della morte del nostro compagno, una verit tanto chiara che solo degli infami mestieranti e delle spie al soldo del pi bieco dei padroni possono ancora mettere in dubbio. Non

    anarchismo

    solo questa tesi stata sostenuta dalla sinistra (e, scusate se poco, con i tempi che corrono, anche del partito comunista), ma anche da quelle fasce progressiste e lai-che che si avvicinano alla sinistra quanto il diavolo all'acqua santa. Ogni uomo dabbene, pur nell'as-soluta estraneit sua ad ogni idea politica di sinistra, purch abbia un minimo di resipiscenza mora-le, non puo non accettare, anche adesso, la tesi dell'uccisione deli-berata e fredda, consapevole e premeditata di Pinelli. Che poi l'umanissimo Calabresi era uso a fare minacce di defenestramento questo puo essere anche confer-mato dai compagni che furono in-quisiti e torturati per le accuse re-lative alle bombe della Fiera cam-pionaria. Che questa degna perso-na fosse l'uomo di fiducia di una certa corrente della Polizia legata agli interessi e ai contatti della CIA stato provato nel corso del processo a Baldelli, sia pure - se non ricordiamo male - in forma indiretta. Che poi, infine, tanto fango e tanta miseria morale si nascondano dietro tutto l'affare della Strage di Stato questo emerso, all'occhio non certamen-te critico, di pi di quindici milio-ni di italiani, nel corso delle tra-smissioni televisive dedicate al processo di Catanzaro.

    Come mai possibile che, a di-stanza di tanti anni, dopo tante prove accumulatesi a carico dei massimi esponenti dello Stato, dopo che nella coscienza pubblica sia ormai stata introdotta la cer-tezza che a mettere le bombe fu-rono i fascisti con l'aiuto degli or-gani del ministero degli Intemi, dopo che un agente dello stesso servizio segreto sia stato condan-nato ali 'ergastolo, dopo che gli stessi servizi segreti siano andati a gambe per aria in modo tale che ancora non si sono rialzati; come mai possibile che dopo tutto cio si ritomi ancora alla vecchia tesi degli anarchici? si infanghi il nome di Pinelli? si tenti di riabili-tare la memoria del commissario Calabresi?

    L'occasione del momento data dalla notizia giomalista che coloro che giustiziarono Calabresi non erano (forse) di destra, come si affermo a suo tempo, ma erano di sinistra. A noi, francamente, la cosa interessa molto poco. Non

  • anarchismo

    sappiamo chi possa avere ucciso il povero Calabresi, non sappiamo se a stenderlo siano stati i compa-gni o siano stati i fascisti, sappia-mo solo che era un commissario e che era responsabile della morte di Pinelli.

    E quand'anche siano stati i compagni? Quale piet, quale conforto, quale umanit trovo il povero Pinelli nel momento che le mani omicide lo gettarono fuori nel vuoto, dall'altezza di cinque piani? Se la vendetta non rivolu-zionaria, pur sempre un moto dell'animo umano, e solo impu-triditi mestatori politici possono sempre vedere in quanto accade una provocazione fascista. La tesi che ad uccidere Calabresi furono i fascisti divenne indispensabile, non come ipotesi ma come certez-za, perch in un dato momento storico al PCI convenne aiutare

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    gli anarchici e schierarsi come pa-ladino della democrazia contro le mire eversive dei golpisti. Adesso che questa fase storica passata, si ritorna non alla probabile col-pevolezza dei fascisti, ma alla cer-tezza che ad uccidere Calabresi siano stati i compagni. Si tratta di interpretazioni politiche che non ci riguardano. Non ci interessa approfondire le probabilit a fa-vore di una tesi o dell'altra, quello che ci interessa difendere la me-moria di Pinelli e, maggiormente, impedire che si costruisca un'altra provocazione contro gli anarchi-ci.

    La nostra lotta contro le provo-cazioni e contro le montature, al-cune delle quali sono state rivolte contro di noi, contro la redazione del nostro giornale, e contro tutti i compagni anarchici pi impegna-ti sul fronte delle lotte; non stata

    attualta

    pero quella di defilarci dallo scon-tro, lasciando intendere che dopo tutto siamo tutti bravi ragazzi e che lo Stato potrebbe lasciar car-rere e far finire tutto a tarallucci e vin o.

    No! Noi siamo nemici irriduci-bili dello Stato e dei suoi ordina-menti di morte. Non accettiamo, non abbiamo accettato e non ac-cetteremo compromessi di nessun genere. Finch ce lo consentiran-no denunceremo con quanta forza avremo nei polmoni, ogni tentati-vo di provocazione ed ogni mon-tatura. Denunceremo attacccando a nostra volta e non difendendoci.

    E questa di Montanelli, per quanto squallida e mestamente nostalgica, il segno di una ripre-sa della parte pi reazionaria del-le forze repressive. La lotta po-trebbe farsi molto pi dura di quanto non sia accaduto fin'ora.

    Solidariet con le vittime della repressione Ancora una volta rinnoviamo l'appello alla solidariet con tutti i nostri compagni che sono prigionieri dello stato. Mentre ancora non si riusciti a creare una struttura che riesca a seguire i bisogni quotidiani (sia a livello economico, che

    di assistenza legale, che di rapporti politici e personali col movimento) dei militanti anarchici e libertari vittime della repres-sione, facendosi inoltre carico di una continua e capillare opera di controinformazione, la situazione dei nostri compagni in carcere tu tt 'altro che migliorata.

    Davide Faste/li ancora in attesa dell'esito della perizia psichiatrica dalla quale pu dipendere la sua /ibert ela sua stessa sopravvivenza (la decisione al riguardo dovrebbe venire a giorni).

    Gaby Hartwig stata trasjrita ne/ carcere di Enna, una specie di Cajenna in miniatura, dove i /etti di contenzione sono ancora una rea/t, e per di pi versa in pesantissime dif]icolt economiche.

    I compagni che hanno partecipato alla rivolta diNuoro si trovano in regime di sorveglianza speciale, a/l'interna di un carcere che gi speciale.

    Di Salvatore Cirincione e di Claudio Bonamici si hanno notizie frammentarie, ma non certamente confortanti. E di questo passo potremmo andare avanti un pezzo, senza dire di tutte le picco/e necessit di tutti i giorni, che la galera

    riesce a rendere drammatiche. Sperando che si possa giungere al pi presto ad una soluzione meno episodica dei vari aspetti del problema, ricordiamo

    che chi vuo/e inviare somme in denaro pu, perora, utilizzare il nostro conto corrente postale (n. 10671477 intestato a Franco Lombardi, C.P. 33- 47100 Forli) oppure vaglia indirizzati allo stesso recapito, specificando sempre chiaramente il motivo per cui versa la somma.

    Per chi invece vuole esprimere la propria solidariet con cartoline, lettere o telegrammi (che faranno sempre piacere a chi li riceve) pubblichiamo un elenco aggiornato dei compagni detenuti anarchici, o comunque vicini all'area libertaria, invitan-do chiunque sia in possesso di a/tri indirizzi e informazioni afarce/i pervenire presso la redazione della rivista. PESCHIERA DEL GARDA (Rechtsorio militart): Mauro Del Bardi, Carmelo Chillasi GAET A (Reclusorio militare): Luciano Sambatari NUORO: Horst Fantazzini, Rocco Martino, Gianfranco Bertoli, Angelo Cinquegrani TRANI (ria AIUiria 300): Willy Piroch, Angelo Monaco, Sandra Meloni PALMI (ria Trodio): Gianfranco Faina, Giancarlo Mattia, Vittorio Biancini, Fabrizio De Rosa, Ermes Zanetti FOSSOMBRONE (ria Leopardi 1): Massimo Gaspari, Pasquale Canu VOLTERRA: Salvatore Cirincione PORTO AZZURRO: Gabriele Fuga PARMA: Ivan Zerlotti, Ne/la Montanini, Valeria Vecchi FIRENZE (Murate): Davide Faste/li AS/NARA: Paolo 0/fredi, Pietro Manca PIANOSA: Gigi D'Adderio, Roberto Gemignani SALUZZO: Claudio Bonamici SULMONA: Fabio De Maria TRAPANI: Francesco Maduli PISA FEMMINILE: Nicoletta Marte/la FIRENZE FEMMINILE: Matilde Radin MESSINA (ria Co11solare Veccllia): Carme/a Pane UVORNO FEMMINILE: Monica Giorgi ENNA FEMMINILE: Gaby Hartwig

  • lotte sociali

    Gruppo di ricerca libertario

    doveva l'automobile

    Una breve analisi della ristrutturazione nel settore auto per comprendere meglio il piano FIAT

    Sulle conseguenze politiche e sociali della vertenza Fiat svol-tasi questo autunno i compagni potranno leggere in altra parte della rivista. In questa sede ci in-teressa analizzare il quadro gene-rale nel quale essa si inserita, per cercare di fomirci di alcuni strumenti utili alle nostre rifles-sioni e alla nostra azione.

    Quando i padroni della cosid-detta economia si apprestano a mettere in atto qualche loro ma-novra, il cui fine ultimo sar sem-pre e comunque quello di aumen-tare il proprio potere complessivo e metterlo sempre pi in culo ai lavoratori (in termine tecnico si soliti chiamarla ristrutturazio-ne ), tirano invariabilmente in ballo le esigenze di mercato e le ((ferree leggi dell'economia>>. Sono proprio questi paraventi che vogliamo cercar:e di far cadere con questo articolo, e pertanto in esso i compagni troveranno molti dati e ragionamenti di carattere, per l'appunto, economico.

    Ma per evitare che cio li tragga in inganno rispetto alle nostre reali intenzioni, vogliamo chiarire subito che riteniamo che oggi quella che si definisce economia non sia altro che una categoria astratta (se mai stata qualcosa di diverso) e, per non dilungarci su un ar:gomento che richiederebbe da solo una vasta trattazione, di-

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    remo semplicemente che pensia-mo che, oggi pi che mai, tutta la questione si giochi in termini di potere, dunque a livello di scon-tro tra le classi e quindi su di un piano che inoppugnabilmente sociale. Il ch non significa che non abbia nulla a che vedere coi meccanismi della politica e del processo di produzione-distribu-zione-consumo, ma piuttosto che questi acquistano un senso solo in funzione di un certo progetto so-ciale complessivo.

    Patta questa necessaria premes-sa, veniamo al nostro argomento.

    Il settore automobilistico or-mai da anni uno dei settori trai-nanti dell'intera economia mon-diale. Dai dati del 1979 si nota che tra le prime venti multinazio-nali mondiali per fatturato, si tro-vano cinque case automobilisti-che (General Motors, Ford, Chry-sler, Volkswagen e Toyota, nel-l'ordine); mentre ben 9 sono aziende petrolifere e il resto dei posti occupato dalle rappresen-tanti del settore attualmente in ascesa e che quasi certamente, tra non molti anni, soppianter gli al-tri due: si tratta del settore dell'in-formatica (IBM, General Electric-s, ITT, Siemens, ecc.). Comun-que, se si tiene conto delle strette relazioni intercorrenti tra il setto-re automobilistico e quello petro-lifero (non dimentichiamo che il 99% dei veicoli a motore circo-lanti mosso da derivati del pe-trolio) si puo ben dire che il pro-dotto auto ha contraddistinto tutta un'epoca dello sviluppo ca-pitalistico pi recente.

    In Italia quest'epoca ben rap-presentata dalla Fiat, anch'essa di gran lunga maggior azienda per fatturato in campo nazionale, la quale, come lar:gamente noto, ha condizionato pesantemente tutto un certo tipo di sviluppo economico e sociale, specie negli anni '50 e '60.

    ln tutto il cosidetto mondo oc-cidentale -l'automobile stata per lunghi anni lo status symbol>> per eccellenza, il metro universale di misura di un mitico benessere basato sul consumismo.

    Ora che il consumismo ( o me-glio, un certo tipo di consumi-smo) sembra declinare, per lascia-re il posto all'ideologia del sacrifi-cio e dell'uniformit dei bisogni indotti, ecco che si comincia a

    anarchismo

    parlare anch~ di una crisi dell'au-to. Ma noi sappiamo che quando i padroni parlano di crisi significa in realt che hanno deciso, per motivi che possono essere i pi diversi, di cambiare illoro model-lo di dominio, per potere esercita-re meglio il loro potere e soprat-tutto per dargli maggiori garanzie di continuit. Cos' dunque in realt questa crisi dell'auto?

    Se si esaminano i dati relativi alla diffusione di automobili per numero di abitanti, si pu notare che certi elementi di allarme per Ford, Agnelli e soci, in realt esi-stono. 1 paesi industrializzati han-no ormai raggiunto un rapporto di prodotto per abitante tale da non consentire pi grandi pro-spettive di mercato. Se negli Stati Uniti circola un auto ogni 1,5 abi-tanti e in Italia una ogni 3, chia-ro che, in tempi in cui si parla ad ogni pi sospinto di problemi energetici e riduzione dei consu-mi voluttuari (sempre per il popo-lo, s'intende), il campo dei poten-ziali acquirenti si riduce pratica-mente solo a coloro che devono cambiare la macchina, o ben poco di pi. Ora, anche se i costruttori si preoccupano di tutto prima che della solidit e durata dei loro prodotti, la Vita media di un auto pur sempre di qualche anno. Orizzonti cupi dunque, per i padroni del motore? Non tanto, dopotutto, se continuiamo a scor-

  • anarchismo

    rere gli stessi dati e ci accorgiamo che in paesi con potenzialit eco-nomiche come il Brasile, la Tur-chia o, ancor di pi, l'Iran, il mer-cato lascia ancora vastissimi spazi da occupare. Per non parlare dei paesi cosidetti socialisti, per i quali non disponiamo di dati pre-cisi, ma che sono una vera e pro-pria foresta vergine, in questo campo. Il problema diventa dun-que quello di consolidare le pro-prie posizioni e lanciarsi alla con-quista dei nuovi mercati.

    Ma qui sorgono altre questioni. Da un punto di vista generale, come abbiamo gi accennato, lo sviluppo del capitale ha ormai su-perato la fase della concorrenza attraverso la diversificazione del prodotto, per entrare in una op-posta, quella della tendenziale as-similazione ed unificazione di tut-ti i prodotti in un modello stan-dardizzato. Questa scelta compor-ta due grossi vantaggi: da un lato, rappresenta un punto di controllo sociale molto pi alto del prece-dente, muovendosi nella direzio-ne del dominio totalizzante, e dal-l'altro consente di semplificare enormemente i cicli di produzio-ne, immettendovi al tempo stesso una percentuale sempre crescente di lavoro automatizzato, il che permette di ridurre notevolmente sia i costi generali, che di stabiliz-zare la variabile che sempre co-stituita dai comportamento della forza lavoro (rischi di conflittuali-t, assenteismo, sabotaggio, boi-cottaggio, ecc.). Questa tendenza generale va a sposarsi, nel nostro caso specifico, con una situazione particolare in cui versa il settore auto, nel quale non esistono pi grandi margini di innovazione tecnologica, essendosi ormai spe-rimentato tutto lo sperimentabile, almeno fino a che i tempi non sa-ranno maturi per operare l'ultimo mutamento che resta possibile in questo campo, cio quello del car-burante. Ma finch si continuer ad usare (per una serie di interessi economico-politici) la benzina come propellente universale, an-che il tipo di vettura tender ad universalizzarsi: cilindrata media, trazione anteriore, carrozzeria a due volumi. Per essere pi com-prensibili, diremo che se un tem-po tra una Ferrari, una Ford e una Citroen c'erano differenze di pro-gettazione e di costruzione enor-

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    mi, oggi i vari modelli tendono ad essere sempre pi indistinguibili e la scelta del cliente avviene, pi che altro, in base ad un solo ele-mento, il prezzo. La concorrenza si fa dunque, in questo senso, an-cora pi spietata, perch se un tempo ogni marca aveva una sua fascia di acquirenti pi o meno distinta per gusti, cilindrata o at-tre doti, oggi tutte le marche si contendono lo stesso mercato, or-mai unificato dai condizionamen-ti della pubblicit.

    Per essere competitivi dunque indispensabile riuscire a ridurre i costi ( ovvio che si tratta di un discorso del tutto relativo, tanto vero che il prezzo assoluto del-l'auto da anni in costante asce-sa).

    A questo punto bisogna mettere in conto un altro elemento di dif-

    lotte sociali

    ficolt: come per ogni prodotto, ma anche pi che per moiti altri, tra le spese di produzione di una vettura va investita una grossa percentuale di investimenti fissi, quali ad esempio progettazione, sperimentazione e pubblicit. E' ora ovvio, per fare un esempio molto semplificato, che se per progettare, provare e poi pubbli-cizzare un modello vi sono delle spese fisse, poniamo, di 10 lire, pi unit di tale auto (e minor gamma di auto diverse) riuscire-mo a produrre, minore sar l'inci-denza delle spese fisse sul costo unitario. Ecco un altro valido mo-tivo per spiegare la tendenza alla riduzione e all'unificazione dei modelli di autovetture. Inoltre, se tutti producono modelli pi o meno simili, e che dunque posso-no montare parti o componenti

    Unit e solidariet? Oggi a Torino migliaia di giovani e studenti sono in piazza per espri-

    mere solidariet alle lotte di tutti co/oro che rea/mente si battono contro il disegno di ristrutturazione della societ, fabbrica e scuola compresa.

    Ma solidariet e unit, bisogna dirlo con chiarezza, non significa e non deve significare solidariet e unit indiscriminata.

    Oggi tra di noi ci sono /orse gli stessi operai che nel 1977 in questa stessa piazza cercavano di impedire - a sprangate - ai giovani di espri-mersi; quelli che considerano i giovani unicamente degli sfaccendati e dei drogati; quelli che non si sono opposti minimamente alla repressione di questi ultimi anni; quelli che preferiscono andare alle manifestazioni del potere e non a quelle che esprimono una volont di cambiamento reale, fuori dalle istituzioni, contro i disegni di quanti cercano di incanalare e utilizzare ai propri fini di pote re la rabbia dei giovani.

    Nella scuola, attraverso i decreti delegati, si cerca di portare avanti una ristrutturazione funzionale ai piani del padrone. La cu/tura, i diver-timenti, la vita di ogni giorno vengono utilizzati per portare avanti questo disegno autoritario. E, c' da chiedersi chi ha in mano o gestisce tutti questi aspetti della vita sociale. Ci sono i democristiani, ma anche il PC/ e i sindacati, gli stessi che oggi chiamano all'unit e alla solidariet.

    Noi crediamo che solidariet va data a tutti co/oro che si battono con-tro questa ristrutturazione della societ; agli sfruttati, agli emarginati. E unit si deve fare fuori e contro queste istituzioni, con tutti quelli che esprimono rolont di lotte autogestite, senza deleghe e senza padroni. La solidariet e l'unit si deve fare con tutti coloro che intendono muoversi, attrarerso l'azione diretta, per un progetto di lotta tendente ad estender-si, non solo nelle fabbriche, ma in tutti i centri di potere esistenti. SOL/DAR/ET A' CON 1 RIVOLUZIONARI

    Collettivo Studenti Anarchici, Torino

  • lotte sociali

    uguali, possibile staccare la pro-duzione di queste parti in fabbri-che destinate a rifomire pi indu-strie contemporaneamente, ridu-cendo i costi grazie all'elevatissi-mo numero di pezzi uguali sfor-nati. E' questo il cosidetto mo-dello giapponese, e in questa li-nea si inseriscono, ad esempio, non solo l'ormai famoso accordo Alfa-Nissan (che riguarda la pro-duzione delle scocche), ma anche quello tra Fiat e Peugeot, che ri-guarda i motori.

    A vvicinandosi alla conclusione del nostro discorso, cercheremo di riassumere quanto esposto finora, dicendo che la cosidetta crisi del-l'auto rappresenta in realt l'esi-genza, per l'industria di questo settore, di riorganizzare la sua in-tera struttura produttiva per ade-guarsi .alle mutate caratteristiche del mercato e al diverso modello di sviluppo sociale. Se vogliamo operare a tutti i costi delle sempli-ficazioni esemplificative, possia-mo dire che oggi la Fiat ha l'esi-genza di adattarsi al gi citato modello giapponese.

    Ma, venendo al dunque, subi-to evidente che per far cio, c' an-cora un ostacolo da superare, vale a dire che bisogna adattare a que-sto modello anche gli operai. Se si semplifica e si automatizza la pro-

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    duzione, anche per mezzo dell'in-troduzione dei robot e dell'infor-matica, se se ne decentra una par-te in stabilimenti, per cosi dire, extra-aziendali e periferici, an-che necessario ridurre la manodo-pera presente in fabbrica, adattar-la .ad una sempre pi completa spersonalizzazione, oltre che ren-derla disponibile ad una mobilit selvaggia.

    Grandi masse di operai dovran-no dunque essere espulse dalla fabbrica, o comunque dirottate in stabilimenti satellite e rese dispo-nibili ad essere, come si suol dire, riconvertite a seconda delle esi-genze della ristrutturazione. Na-turalmente questa operazione tanto pi semplice quanto pi si ha a che fare con una classe ope-raa addomesticata, priva di vo-lont di lotta e disposta sempre e comunque ad obbedire.

    In questo senso si puo ben dire che i 61 licenziamenti dei cosidet-ti fiancheggiatori non siano sta-ti altro che il prologo di un pro-cesso che andato avanti ininter-rottamente con i licenziamenti striscianti per assenteismo o per mancata sostituzione dei pensio-nati (in tutto circa 7.000 operai in un anno) e che ora culmina con i 15.000 decimati.

    Rimandando ad altri articoli l'analisi di cio che avvenuto alla

    anarchismo

    Fiat in queste ultime settimane, vogliamo iridicare ancora due obiettivi che la direzione azienda-le si posta con la sua politica: da un lato assicurarsi un maggiore controllo e una pi alta raziona-lizzazione di tutto il circuito delle fabbriche satellite che lavorano estemamente al cielo produttivo principale, pur essendogli indi-spensabili e che dunque non ci si puo pi permettere di lasciare in balia delle fantasie e degli estri di una miriade di piccoli imprendi-tori. Dall'altro lato, riprendere il comando sul mercato del lavoro (come ai bei tempi di Valletta) entrando nella gestione degli ap-parati pubblici che lo ammini-strano, usando le presume esigen-ze di mobilit estema come ca-vallo di Troia>> del caso.

    E' chiaro dunque che per ra-giungere gli obiettivi che si era prefissa (accrescere del 10% l'uti-lizzazione degli impianti, una produzione di auto per operaio che deve passare da 13,8 a 16, un aumento medio della produttivit del 30%) la Fiat deve assicurarsi un controllo molto pi articolato ed esteso su tutto il tessuto sociale in cui si inserisce il suo cielo pro-duttivo.

    L'accordo di ottobre segna sen-za dubbio un grosso passo avanti a suo favore, in questo senso.

  • anarchismo

    vertenza Fiat:

    un 1n1z1o o una fine?

    Le chiavi di lettura della ver-tenza Fiat di questo autunno pos-sono essere moite e molto diverse e in questa sede non tenteremo nemmeno di affrontarle tutte, an-che perch pensiamo che essa rappresenti per moiti versi un punto di inizio di un processo che avr lunghi e contraddittori svi-luppi nei prossimi mesi e anni.

    Pure, vogliamo tentare di pun-tualizzare alcune indicazioni che ci sembra siano emerse con una certa chiarezza dagli avvenimenti pi recenti.

    Non v' dubbio che uno dei dati fondamentali della vicenda (se non il pi rilevante) sia il re-golamento di conti tra Agnelli e la triplice confederale, un episo-dio che, come il duello finale in tanti film western, sembra poter dare una svolta decisiva alle tra-vagliate vicende di Mirafiori City.

    Dai '69 in poi il sindacato ave-va condotto una lunga lotta per costringere il padronato a patteg-giare con lui la gestione del potere all'intemo dell'azienda. Strumen-to di questo tentativo di scalata sono state le rivendicazioni e gli organismi rappresentativi dei la-voratori, recuperati, riconvertiti e resdi funzionali ad una politica di cogestione, in cui la dispiegta ca-pacit di controllo e ingabbia-mento di tutto quanto avveniva in campo operaio doveva costituire l'asso nella manica della nuova burocrazia dei bracciali rossi.

    Questo braccio di ferro con la direzione aziendale basato su un delicato equilibrio, in quanto en-trambe le parti in causa hanno

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    fondamentalmente bisogno l'una dell'altra: i sindacati hanno biso-gno del padronato per giustificare la loro stessa esistenza, fondata basilarmente sulla perpetuazione del rapporto salariato e del lavoro forzato, nel quale ambito possono presentarsi come unici garanti della contrattazione delle condi-zioni di sfruttamento; il padrona-to, a sua volta, non puo pi fare a meno di loro, per poter mantene-re un controllo capillare e diffuso sulla forza lavoro.

    Le sorti di questo scontro si gio-cano dunque costantemente sul filo di un rasoio, poich nessuno dei due contendenti puo permet-tersi il lusso di forzare la mano fino al punto di mettere comple-tamente fuori causa l'altro.

    Per un lungo periodo i sindaca-ti hanno avuto (o certo hanno cre-duto di avere) un apparente van-taggio e forse hanno addirittura pensato di aver pescato l'asso di briscola proponendosi come i soli possibili solutori del problema del cosiddetto terrorismo. Ma Agnel-li, da parte sua, certamente non dormiva, e, dopo aver seguito con attenzione ogni minimo segno di dbolezza nella strategia avversa-ria, ha saputo cogliere con tempi-smo il momento giusto per rista-bilire quello che certamente egli considera come l'ordine naturale delle cose: il padrone decide e il sindacato fa eseguire.

    Questi segni di cedimento ai quali abbiamo alluso possono es-sere brevemente riassunti nella crescente sfiducia della base ope-raa che, dopo essersi abituata ad apparenti ma vistose conquiste contrattuali nel periodo delle vacche grasse, digeriva a fatica i poco appariscenti (e ancor meno sostanziali) risultati provocati dal-l'inevitabile accettazione, da par-te sindacale, dell'ideologia della crisi e dei sacrifici. Privati cosi di buona parte della loro forza

    d~urto, i vertici confederali han-no poi visto rivoltarsi contro di loro la mobilitazione dei ceti in-termedi, che avevano pensato di poter portare dalla loro parte fa-cendo scudo coi loro servizi d'or-dne e con le loro campagne dela-torie ai colpi diretti alle gambe di capi e capetti. 1 risultati della miseria della strategia riformista sono divenuti lampanti nel corso di quest'ultima vertenza.

    lotte sociali

    Da un lato, posti di fronte ad una improvvisa ed inaspettata sortita restauratrice della direzio-ne (la proposta dei licenziamenti) si sono visti costretti a giocare la carta della lotta dura (almeno a parole), essendo certamente ben consci di usare un'arma spuntata, rievocando un mito che loro stessi avevano svuotato di ogni efficacia e che in realt non ha sortito altro effetto che quello di fiaccare la ca-pacit di resistenza della massa operaia, logorata da uno sciopero ad oltranza che non poteva n sortire un qualche effetto concre-to, n essere preludio di forme di lotta pi incisive, nonostante le quasi patetiche sparate demagogi-che di Berlinguer e del suo parti-to, volte a fare da supporto logisti-co alla traballante barca di Lama eC.

    Dall'altro canto, Agnelli ha po-tuto giocare a suo completo favo-re la ritrovata identit politica del blocco piccolo-borghese, che, dopo essere stato a lungo adulato dalla miopia politica sindacale, non ha avuto esitazioni nel rico-noscere il proprio ruolo storico, portando in piazza, dopo anni di assenza (non certo deprecabile) la propria arroganza in funzione to-talemente antiproletaria. E cosi si anche potuto permettere di inaugurare una nuova estetica dello sfruttamento, con tanto di pubblicit a pagamento sui quoti-diani a favore della cassa integra-

  • 1 1! li r ~ l: ji J,

    lotte sociali

    zione e della mobilit selvaggia. In conclusione, Agnelli ha potuto costringere il sindacato a firmare un accordo deciso unilateralmen-te a seconda delle sue esigenze di ristrutturazione, e a rientrare in fabbrica a testa bassa e con la coda tra le gambe. Se vuole inter-venire nella gestione aziendale, questo l'avvocato ha fatto chiara-mente intendere, per ora dovr accontentarsi di farlo solo in fun-zione di esecutore zelante della politica padronale e di cane da guardia della forza lavoro.

    E' ovvio che in quanto rivolu-zionari non avremmo granch da dolerci di questo arretramento del potere dei vertici sindacali, in s e pei s. Ma c' purtroppo un altro datv che ci pare di poter rilevare e che non puo che preoccuparci.

    Per quanto non siano mancati, anche in questa occasione, com-pagni che si sono arrampicati su-gli specchi pur di vedere esplo-sioni di rabbia operaia in qua-lunque minimo episodio di insof-ferenza (come le graffiature sul volto di un Camiti che avrebbe meritato ben altro trattamento), noi crediamo che non possa servi-re assolutamente a niente crearsi delle illusioni.

    Costretta in questo caso a fare i conti sulle proprie forze, la classe operaia ha dovuto rendersi conto che queste forze non esistevano praticamente pi, visto che se le era lasciate docilmente succhiare in anni e anni di ubriacatura sin-dacale.

    Se vogliamo veramente essere onesti con noi stessi, non possia-mo fare a meno di trarre due con-statazioni dalla vertenza Fiat.

    La prima che il movimento rivoluzionario ha attualmente un-'incidenza pressoch nulla in seno a questo settore di proletariato il ch non sar un dramma, visto che la Fiat (n il proletariato di fabbrica) non costituisce certo per noi un mito o un campo privile-giato di intervento, ma semplice-mente una delle tante componenti del movimento complessivo degli sfruttati, ma certo non neanche motivo di particolare gaudio. E sar forse opportuno cercare con calma e attenzione di comprende-re il perch di questo dato di fatto.

    La seconda constatazione che quegli operai che oggi tomano alla catena come cani bastonati,

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    non fanno altro che raccogliere quanto hanno seminato. 1 loro so-gni di aristocrazia operaia, le loro aspirazioni al benessere spet-tacolare del consumismo, la loro disponibilit a lasciarsi fare sta-to pensando di aver chiss quali conquiste da difendere, ricadono oggi sulle loro teste e se questo sinceramente non ci rallegra, non possiamo pero fare a meno di constatare di essere stati sin trop-po facili profeti. Il blocco d'ordi-ne che essi si sono resi disponibili a sostenere contro il presunto co-mune nemico dell'estremismo terrorista, dopo avere almeno ap-parentemente risolto (ma non sia-mo per niente convinti che sia ve-ramente cosi) il problema dei suoi nemici dichiarati, si potuto de-dicare a liquidare il suo nemico potenziale, l'intera componente sociale da cui nasce l'antagonismo rivoluzionario.

    Nonostante tutto, pero, non ce la sentiamo di dire che la situazio-ne sia senza speranze. Esistono punti di partenza da cui puo ri-lanciarsi la complessa realt del-l'autonomia del proletariato.

    La debacle della strategia sinda-cal-riformista puo segnare l'inizio di un lungo periodo di coma pro-fondo per quei settori di classe operaia che su di essa avevano in-

    anarchismo

    vestito le proprie illusorie speran-ze di elevamento sociale o puo in-vece costituire un momento da cui partire per un difficile ma ne-cessario percorso di riappropria-zione della propria soggettivit antagonista come corpo sociale.

    Buona parte di questo dilemma poggia anche sulle nostre spalle e dipende dalla nostra capacit di saper analizzare le esperienze sog-gettive fin qui vissute, di saper estendere al di l della episodicit le pratiche di rifiuto del lavoro e di estraneit al progetto comples-sivo del potere, di saper cogliere e collegare tra di loro i mille sinto-mi di ribellione irriducibile che covano sotto l'opacit apparente-mente dominante del cosiddetto riflusso.

    In questo senso l'autumw Fiat puo essere una fine come. un ini-zio.

    Importante sar, da parte no-stra, essere sempre coscienti della necessit della nostra azione di stimolo e di indicazione, senza ca-dere nella trappola delle scorcia-toie apparentemente offerte dalla riproduzione pseudo-rivoluzionaria del sindacalismo e senza affidarci alla fideistica atte-sa dell'inevitabile scoppio della mitica spontaneit proletaria.

    Ricerca di materiale Siamo diversi gruppi di quartiere, comuni, individualisti, e la

    casa editrice Karin Kramer Verlag. Abbiamo pubblicato un libro sui murales politici in Germania e stiamo preparando un secondo volume dedicato ai murales in Europa, negli Stati Uniti e (se baste-r il materiale) anche in altri paesi. Il nostro progetto di presen-tare i murales insieme a un commento sui/dei gruppi che li hanno prodotti. Il volume non vuole essere un libro d'arte puro e sempli-ce, ma anche fornire idee ad altri gruppi e persone. V ogliamo far vedere come sono nati i murales e perch.

    Le cose che ci servono sono: soprattutto diapositive, perch abbiamo intenzione di stampare i murales a colori; se non avete diapositive, vanno bene fotografie, materiale giomalistico e testi di presentazione e commenti.

    E' chiaro che il materiale verr restituito non appena il volume sar pronto.

    Scriveteci e inviate il materiale che avete! Sarebbe bello che i gruppi scrivessero dei testi per commentare i murales. Il nostro in-dirizzo (al quale pu essere richiesto anche illibro gi uscito sui murales in Germania, che si intitola W ANDMALEREINE, ha 175 pagine e moltissime foto a colori e in bianoo e nero) il seguente:

    KARIN KRAMER VERLAG- 1000 Berlin 44- Postfach 106 -R.F.T.

  • anarchismo

    Azione diretta

    democrazia al manganello

    Riteniamo di fare cosa utile e gradita ai nostri lettori proponen-do un aggiornamento dei pi im-portanti avvenimenti di contesta-zione giovanile a Basilea, Zurigo, Bienne, Losanna e Berna. Chi vo-lesse 'avere la documentazione completa richieda il n. 51 di Azione Diretta, numero specia-le dedicato quasi esclusivamente a queste cose.

    21 agosto, Basilea. Manifesta-zione contro la politica borghese nella gestione del comune: parte-cipano ca. 70 persone, la polizia ne arresta 64!

    23 agosto, BaSilea. Nuove ma-nifestazioni: ma stavolta parteci-pano migliaia di giovani. I primi scontri con la polizia avvengono quando i giovani prendono a sas-sate alcuni poliziotti in borghese che si erano infiltrati fra i manife-stanti. La battaglia con i granatie-ri si poi protratta fino a sera.

    24 agosto, Zurigo. Alcuni atten-tati contro speculatori edili a Zu-rigo, avvenuti nelle notti tra gio-vedi e domenica, vengono riven-dicati da un gruppo che si firma Gruppo d' Azione Lumaca mor-dente, col seguente comunicato: Uno spettro s'aggira perla Sviz-zera: lo spettro della scarsit di abitazioni a buon mercato. Tutti si sono messi d'accorda: ammini-stratori di societ anonime, fun-zionari di immobiliari, capi dei sindacati, preti e direttori .di ban-ca di tutti i partiti e razze per dir-ci: lavorate, lavorate, se no non riuscite a pagare l'affitto. I piani-ficatori pianificano, gli architetti guadagnano e i padroni approfit-tano dell'esplosione dei costi. Vecchie case vengono distrutte per far posto a palazzi di uffici, banche e supermercati. Apparta-menti a buon mercato vengono

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    riattati solo per essere poi affittati come appartamenti di lusso per aumentarne il reddito. Il verde viene coperto di cemento, pi adatto alla valanga di lamiera che invade la citt. La citt diventa sempre pi grigia: grigie le case, grigi i vestiti, grigi i volti, grigi i capelli - il frutto dellavoro! - Gli abitanti vengono spremuti come limoni e poi gettati. Cercare un-'appartamento, oggi, diventato un lavoro a tempo pieno. Oggi si tratta non solo di denunciare que-sti fatti, ma anche di impedirli, per esempio: - 21.8: incendio di una ruspa al-l'incrocio Anwand-Kernstrasse che stava intaccando una comuni-t di appartamenti. - 22.8: incendio negli uffici della societ di speculatori FIBEST A alla Dienerstrasse. -23.8: Kalkbreite: attentato con-tro gli uffici del superspeculatore Steiner. - 24.8: Al deposito della ditta edi-le Hatt-Haller: incendiati 2 veico-li della ditta.

    E questo lo consideriamo l'ini-zio di un dibattito serio. Non cre-diamo che un appartamento a buon mercato, per chi ne ha biso-gno, sia chiedere troppo! Basta con la speculazione edilizia! Pi spazio per gli orsi polari!

    Registriamo, per la cronaca, gli altri attentati messi in relazione con la protesta contro la specula-zione edile: contro l'amministra-zione immobiliare comunale di Zurigo, poi, il 3 ottobre, contro la grande impresa edile Dangel, inti-ne l'incendia del 14 ottobre ai de-posttl dell'impresario Locher. Contro la repressione giudiziaria, invece, registriamo un attentato contro il palazzo della corte giu-diziaria, bergericht.

    24 agosto, Zurigo. L'assemblea plenaria del movimento giovanile alla Casa del Popolo decide di porre al comune un ultimatum per la riapertura del centro auto-nomo, entro mercoledi prossimo. Contemporaneamente, e sempre alla Casa del Popolo, gli iscritti della sezione di Zurigo del Sinda-cato Libro e Carta (tipografi) deci-dono uno sciopero di 2 ore per migliori contratti collettivi di ca-tegoria. Verso le 23, alcune decine di persone tentato di bloccare l'u-scita del giomale Tages-Anzeiger gettando sassi nei locali delle rota-

    lotte sociali

    tive. 28 agosto, Berna. Brutalmente

    repressa a Berna una manifesta-zione di 200 ragazzi per un centro autonomo. In due interventi, i granatieri di polizia catturano 60 giovani, con il pretesto che la ma-nifestazione non era autorizzata.

    29 agosto, Zurigo. Circa un centinaio di persone senza allog-gio occupano alle 10 del mattino una colonia di edifici di propriet comunale in cui, per esigenze di restauro (e per aumentare di mol-to il canone d'affitto!) moiti ap-partamenti sono tenuti vuoti. Le famiglie, moite con bambini, sfondano le porte d'entrata e si si-stemano con i loro mobili. La po-lizia va per le spicce: alle 20 esatte aveva fatto sgomberare tutti gli inquilini abusivi, arrestato 6 per-sone e sequestrato (se non distrut-to) buona parte della mobilia.

    30 agosto, Zurigo. Manifesta-zione contro il caro-affitti a Zuri-go, dove ormai la scarsit di ap-partamenti a basso prezzo di-ventata tremenda, a causa di con-tinue speculazioni edilizie anche del comune. In serata, alcuni scontri con la polizia.

    t settembre, Zurigo. Attentato (fallito) con esplosivo alla sede delle assicurazioni VIT A SA.

    4 settembre, Zurigo. La sorpre-sa arriva alle 4 di matina: grana-tieri in assetto di combattimento si presentano al cancello del cen-tro dei giovani con un mandato di perquisizione. Erano allora pre-senti 170 giovani: la polizia con poche storie ne arresta 136. Risul-tato della perquisizione: 13 ragaz-zi scappati da casa, 230 grammi di hashish, alcune siringhe, due scacciacani, qualche coltello e 7 motorini rubati. Di droga>>, mol-to meno che in un qualsiasi ni-ghtclubb di signori, e molto meno dannosa che la loro robaccia, whi-sky compreso. Dopo lo sgombero, la polizia occupa il centro met-tenda tutta la zona circostante sotto assedio.

    Verso le 5 del pomeriggio di ve-nerdi, la prima reazione dei gio-vani che in circa 300 tentano di riprendersi il centro: tentativo ov-viamente disperato. In serata, as-semblea generale alla Casa del Popolo con oltre 2000 parteci-panti che decidono di indire una grande manifestazione per il pros-sima sabato. Alcuni scontri duris-

  • lotte sociali

    simi infine in citt fra polizia e piccoli gruppi di arrabbiati che attaccano le boutiques dei signori. Parecchi gli arrestati, picchiati a sangue.

    6 settembre, Zurigo. Dopo oltre tre mesi di manifestazioni e scon-tri, questa la vera notte di fuo-co a Zurigo. 400 criminali in di-visa avevano avuto l'ordine dai loro mandanti, il comune di Zuri-go, compresi i soliti traditori so-cialdemocratici, di disperdere qualsiasi assembramento di perso-ne con la violenza (se necessario; ma per loro SEMPRE necessa-rio). Verso le 4 del pomeriggio, pi di 2000 giovani sono conve-nuti all'Hirschenplatz e hanno su-bito improvvisato un corteo verso :il Central. 1 tentativi della polizia

    . di dispefdere i manifestanti con proiettili di gomma dura e lacri-. mogeni sono stati resi vani dalla . mobilit dei giovani che sono

    spuntati in piccoli gruppi anche nei quartieri periferici della citt . sfogando una rabbia da tempo ac-. cumulata contro tutto cio che ca-

    . pitava a tiro e che in qualche .modo poteva rappresentare la di-

    . sciplina, l'ordine, la grande puli-;:'_izia,la ipocrisia, il tanfo nausea-

    . .. hondo di putrefazione di questa . citt. Alle 21 circa una ven tina di giovani attaccano con sassi nei pressi del Bellevue una pattuglia

    . ,di polizia. Nel quartiere del Nie-. derdorf la polizia, nervosa, tratta i

    passanti a manganellate. Alle 21.45 assemblea volante dei ma-nifestanti al centro giovanile (sta-tale e ben custodito) del Dra-htschmidli: si decide una assem-blea generale per mercoledi. Poco prima di mezzanotte le principali arterie stradali della citt sono bloccate da barricate, mentre alla Bahnhofstrasse le poche vetrine delle boutiques di lusso ancora miracolosamente rimaste intatte vanno in frantumi. Verso le 3 di domenica mattina terminano gli scontri; bilancio: 10 poliziotti fe-riti, il numero dei manifestanti fe-riti alto ma non noto, gli arre-stati invece sono 338.

    Notiziola per politicanti: la Lega Marxista Rivoluzionaria (ora Partito Socialista Operaio) firma per l'occasione i suoi volan-tini con ... l'A cerchiata! Quando si dice opportunismo ...

    8 settembre, Winterthur. Inizia il processo a Rolf Clemens Wa-

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    gner, accusato della rapina alla sede centrale del Credito Svizzero a Zurigo del 19 novembre 1979. Wagner si di chiara membro della RAF (Frazione dell'Armata Ros-sa). Per il suo processo, stato ap-positamente costruito un cunicolo sotteraneo dal carcere fino all'au-la del tribunale. Wagner stato poi condannato all'ergastolo.

    8 settembre, Zurigo. Per tutta la mattinata il Gran Consiglio ha di-scusso sull'acquisto di un nuovo carro corazzato per lo spruzzo di una miscela acqua-lacrimogeni antimanifestazioni. Ecco il solito doppio volto dei socialdemocrati-ci: con il voto di una loro maggio-ranza l'acquisto viene deciso (21 si, 11 contrari). E non bas~. Il socialista dalle braghe bianche ruffiano e venduto Spillmann, presidente del Gran Consiglio, ha pubblicamerite ringraziato la po-

    li~ia per i suoi interventi repressi-Vl.

    1 giovani di Zurigo, invece, in un comunicato chiedono: 1) la destituzione in blocco dell'esecu-tivo comunale e del govemo can-tonale; 2) l'immediata riapertura del centro autonomo; 3) Iibert completa di manifestazione; 4) soldi per la riattazione del centro giovanile; 5) amnistia per i mani-festanti; 6) una politica degli al-loggi a favore del popolo. Da un comunicato diffuso dalla polizia, invece, risulta che nella notte dal 6 al 7 settembre 46 persone (di cui 4 poliziotti) sono state ferite in

    anarchismo

    modo grave. in seguito alle mani-festazioni. Si apprende inoltre dell'avvenuto arresto del 21-enne Harry P., ex cuoco del centro gio-vanile autonomo, accusato del furto di 40 kg di esplosivo, che si e consegnato alla polizia. Dichia-ra di aver sottrato l'esplosivo nel cantiere di una impresa edile dove aveva lavorato, per ricattare i po-liticanti di destra e ottenere cosi soldi per il centro. Un altro mes-saggio, poi, stato inviato al pre-sidente della confederazione da 56 abitanti del comune zurighese di Oberglatt, che chiedono l'inter-venlo dell'esercito contro i giova-ni. Pi o meno dello stesso tenore i comunicati stampa dell'UDC e dei democristiani.

    l 0 settembre, Zurigo. Mercole-di sera. Assemblea generale del movimento al Limmathaus. Si di-scutono le possibilit di riapertura del centro sotto la responsabilit di un ente riconosciuto dai cornu-ne. In primo luogo si fa il nome della Pro Juventute. 1 giovani chiedono inoltre l'istituzione di 16 posti di 1avoro al centro, pagati dai comune, per permettere la ge-stione dei seguenti servizi: ammi-nistrazione e manutenzione loca-li; assistenza sociale e consulenza sanitaria, consultorio donne, con-sultorio ex-detenuti e aiuto legale, apertura di un dormitorio pubbli-co .

    13 settembre, Bienne. Alcune decine di giovani manifestano contro l'esposizione commerciale

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  • anarchismo

    Bieler Messe (tipo la nostra Ar-tecasa, ma pi estesa), che occupa tutto il lungolago, con lo slogan la citt alla popolazione. La po-lizia, 200 uomini armati, all'er-ta. A Zurigo, invece, festa del mo-vimento giovanile.

    16 settembre, Zurigo. Assem-blea dei delegati del Partita So-cialdemocratico. Scaturisce la proposta di una grande manifesta-zione di sostegno alle rivendica-zioni del movimento giovanile.

    17 settembre, Zurigo. Assem-blea plenaria del movimento gio-vanile alla Casa del Popolo. Le decisioni: 1) partecipare alle ma-nifestazioni di sabato senza aleu-na responsabilit verso i partiti organizzatori (di estrema sinistra); 2) rifiutare qualsiasi gestione del centra giovanile imposto dalle au-torit. 'Il centra deve essere auto-nomo. Durante l'assemblea, ven-gono diffusi volantini per l'espro-prio proletario di boutiques di lusso e grandi magazzini.

    20 settembre, Zurigo. Manife-stazione ufficiale della sinistra per l'immediata riapertura del centra: partecipano 8000 persane ca. Il pomeriggi() comizio davanti al municipio e la sera festa al Pla-tzspitz. Il comizio annunciata dell'estrema destra per oggi stato invece annullato.

    Nonostante cio, si sono trovati alla Landiwiese esattamente 3 fa-scisti, tutti dell'Azione Nazionale.

    Alla radio invece intervenuto il consigliere federale democri-stiano Furgler, che ha proposto i seguenti rimedi alle agitazioni giovanili: 1) pi sport; 2) atelier peril bricolage; 3) gruppi scout; 4) attivit in partiti e sindacati.

    Lo stesso giorno, 2 manifesta-zioni a Berna: una promossa dalle organizzazioni che tutelano i di-ritti dei lavoratori emigrati, e una dei giovani che in serata hanno occupato il teatro municipale dove c'era in programma 1~ prima di un musical. 13 arresti.

    27 settembre, Zurigo. Ha avuto luogo il raduno fascista con il co-lonnello Cincera, organizzato dal Comitato peril Diritto e l'Ordine. Dopa alcuni interventi ha pero dovuto essere sciolto dagli stessi organizzatori. 1 fischi dei compa-gni non permettevano pi ai rap-presentanti dei padroni e dei bot-

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    tegai di difendere la loro Zuri-go. Si nel frattempo saputo che prevista per venerdi una riunione del municipio con un gruppo di lavoro formata da Pro Juventu-te>>, Unione Pro Centra giovani-le Autonomo e altri 2 enti per definire possibili modalit di ge-stione del centra. A favore delle rivendicazioni giovanili si sono inoltre pubblicamente schierati gli scrittori Max Frisch e Peter Bi-chsel, il fisico Theo Ginsburg, il segretario sindacale Peter Vonlan-then, gruppi sindacali degli stata-li, tipografi e edili, partiti di sini-stra, associazioni studentesche.

    A Losanna, lo stesso giorno, violenti scontri fra giovani e poli-zia. 23 arresti.

    29 settembre, Zurigo. Manife-stazione sindacale alla casa del popolo per solidariet con i 3 in-segnanti licenziati in seguito alla

    loro partecipazione alle manife-stazioni giovanili. .

    1 ottobre, Zurigo. Assemblea plenaria alla casa del popolo: ol-tre 1000 persone decidono mani-festazioni per sabato. 2 ottobre, Zurigo. Gruppi di gio-vani protestano contra i prezzi della merce nei supermercati la-sciando in libert decine di rattj, topi e vermi nei principali grandi magazzini e cercando di spro-priare qualche ben di dio. Succes-sivamente, al Globus, i clienti giovani ricevono dagli agenti pri-vati del negozio intimazioni a la-sciare immediatamente il negozio perch indesiderati. Immagina-tevi che confusione quando alcuni giovani travestiti da detectives del grande magazzino hanna inco-minciato a distribuire a rispettabi-li clienti copie della diffida, firma-ta direzione Globus.

    4 ottobre, Losanna. Sabato po-meriggio caldo a Losanna: 400 giovani in corteo per un centra autonomo. Qualche vetrina in frantumi e 30 arrestati. A Zurigo, nel pomeriggio si in 200-300 a tentare di bloccare la centralissi-ma Bahnhofstrasse con cortei-lampo, piccoli assembramenti, presidi: ancora una volta i nego-zianti soprattutto al Niederdorf si affrettano fin dalle 8 del mattino a proteggere le vetrate dei loro ne-gazi con grandi pannelli di com-pensato. E' difficile purtroppo tentare di descrivere il elima per le strade centrali di Zurigo a paro-

    lotte sociali

    le: ma veramente pazzesca la sensazione quando si cammina per le strade delle boutiques di lusso e si incontrano questi botte-gai con lo sguardo misto di vio-lenza e paura che, chiodi e mar-tello alla mano, cercano di pro-teggere la loro merce con questi pannelli. Polizia ancora non ce n', ma si sa ... Verso sera, qualche scontro alla Ramistrasse, dove vengono prese a sassate alcune grosse cilindrate. A Blach, co-municazione giudiziaria a 10 per-sane riconosciute fra i manife-stanti del4. 7.

    6 ottobre, Zurigo. Il Gran Con-siglio decide con 94 voti contra 1 (POCH) di NON concedere l'am-nistia ai giovani arrestati durante le manifestazioni degli ultimi mesi.

    7 ottobre, Zurigo. Il sindacato dei tipografi (SLC) locale procla-ma per oggi uno sciopero di 2 ore per il rinnovo del contratto collet-tivo di lavoro del settore. L'ade-sione allo sciopero raggiunge li-velli molto alti e blocca l'attivit nelle principali aziende.

    8 ottobre, Zurigo. Il partita so-cialdemocratico di Zurigo chiede al consiglio comunale la riapertu-ra del centra dei giovani, secco no della maggioranza di destra. ln se-rata, assemblea plenaria del movi-mento alla Casa del Popolo; si de-cide una manifestazione per saba-ta con il motta: spieghiamo le nostre rivendicazioni alla popola-zione.

    11 ottobre, Zurigo. La manife-stazione prevista per oggi sarebbe stato un pieno successo senza il provocatorio intervento della po-lizia. Dopo alcune ore di teatri stradali e discussioni con la popo-lazione, i circa 500 giovani sono stati completamente circondati alla Bahnhofstrasse dalla polizia. 250 fermati e 144 arrestati. La po-polazione si parecchio indignata per la evidente provocazione del-la polizia, tanta che ancora a sera inoltrata si trovavano in piazza gruppi di cittadini che discuteva-no i fatti. lntanto una squadraccia di circa 30 fascisti si aggirava per la citt per dare la caccia ai sov-versivi.

    18 ottobre, Winterthur. In 2000 partecipano a una manifestazione davanti alla multinazionale Sul-zer contra l'esportazione di tecno-logia nucleare in Argentina.

  • documenti

    Alcuni compagni dai campo di Palmi

    sulla prigionia di guerra

    La mancanza di iniziative di lotta nei campi viene normalmen-te percepita come riflesso, da una parte, del concentramento/sepa-razione dei comunisti dal resto del Proletariato Prigioniero e, dal-l'altra, della mancanza di iniziati-va esterna sul terreno del carcere. Crediamo che, non solo cio in-sufficiente a spiegare l'assenza di iniziativa, ma che in tal modo ci si precluda l'occasione per una ri-flessione sui movimenti di lotta dentro il carcere in questi ultimi 3 anni.

    Non intendiamo proporre un bilancio critico/autocritico delle lotte e delle forme organizzative, ma una lettura degli avvenimenti di questi anni che permetta una comprensione adeguata della si-tuazione attuale.

    L'apertura dei campi nel luglio '77 il punto da cui intendiamo parti re.

    Essa avviene dopo che, nell'in-verno '76-'77, i numerosi episodi di liberazione minacciavano di far precipitare i rapporti di forza to-talmente a favore dei prigionieri. Gi in precedenza il varo della rj-forma, dopo un decennio di inde-cisioni, intendeva mettere mano ad una situazione divenuta assai precaria, si trattava pero, di rita-gliare i tempi necessari alla sua attuazione e di determinare una situazione in cui i cambiamenti potessero avvenire senza che il movimento dei proletari prigio-nieri se ne avvantaggiasse.

    L'apertura dei campi stata l'o-perazione in grado di raggiungere questi obiettivi: con essa si deca-pitava il movimento di lotta e, at-

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    traverso un sapiente uso del terro-re e della carota, si poteva tirare il fiato.

    Cio che venne denunciato come il varo del Trattamento Dif-ferenziato (circuito normale e cir-cuito speciale), era in realt solo la premessa ad una appropriata attuazione di questo. Il potenzia-mento ed ammodernamento delle strutture - che negli anni seguenti vedr l'apertura di decine di car-ceri nuovi e di cantieri di restau-ro in tutti i principali Grandi Giudiziari -, il potenziamento e la realizzazione del corpo degli Agenti di Custodia tramite l'au-mento del soldo e il pescaggio nelle liste di leva, l'individualiz-zazione del rapporto dei prigio-nieri col carcere attraverso l'uso del ricatto sulle misure alternati-ve previste dalla riforma, sono solo gli aspetti pi macroscopici dell'iniziativa dello stato sul terre-no del carcere.

    Il Trattamento Differenziato, poi, non relativo solo alla ge-stione del carcere, ma percorre tutta l'amministrazione della giustizia>>. Le norme giuridiche e procedurali si fanno elastiche fino a diventare un doppio corpo di leggi: quelle speciali contro la sovversione sociale e quelle che prevedono perfino una depenaliz-zazione/monetizzazione della sanzione.

    Per lo stato si tratta di togliere violenza politica ai comporta-menti extralegali del proletariato e per questo individualizza il trat-tamento, lo differenzia a secol)da dei soggetti, gi a partire dalla norma giuridica e processuale. Man mano che strutture, Agenti di Custodia, personale specializ-zato, gestione del carcere si tra-sformano e ammodernano, diven-ta possibile il trattamento an-che dei soggetti pi pericolosi, a patto che essi siano ridotti ad un rapporto individuale col carcere, a patto che non si coagulino mo-menti organizzativi dei prigionie-n.

    Non intendiamo certo sottova-lutare, con questa lettura dei fatti, il cielo ininterrotto di lotte nei campi, ma solo collocarlo in una pi corretta dimensione: quello della lotta per la sopravvivenza, prima, e per la conquista di con-dizioni pi favorevoli alla libera-zione, poi, di uno strato di prigio-

    anarchismo

    nieri sempre pi caratterizzato politicamente per la presenza massiccia di comunisti e sempre meno omogeneo con la composi-zione politica e tecnica del pro-letariato extralegale delle metro-poli.

    Certo le lotte e la proposta poli-tica-organizzativa dei prigionieri dei campi concorrono in modo sostanziale a demistificare la poli-tica del terrore dello stato, tutta-via, sia gli obiettivi che le forme organizzative non sono generaliz-zabili in un tessuto carcerario in rapida trasformazione sia dai lato delle strutture sia da quello della composizione dei prigionieri. Co-munque non ci interessa, ora, ri-flettere sulla lotta/organizzazione possibili nelle carceri normali, intendiamo invece sottolineare il progrssivo scollamento fra questi ed il circuito dei campi.

    Nei primi l'elemento centrale della gestione costituito dai Trattamento Differenziato, nel se-condo dal carattere militare dei regolamenti e delle misure di si-curezza. L'irriducibilit dei co-munisti ad un rapporto individua-le con la giustizia>>, con il carce-re, con gli strumenti del controllo sociale del capitale, illoro riferirsi ai movimenti di classe attraverso la costruzione di un'alternativa ri-voluzionaria ai rapporti sociali dominanti, evoca uno . stato di guerra sociale che si esprime in un corpo integrato di leggi ed isti-tuzioni a carattere militare: legi-slazione speciale/tribunali di guerra/campi di concentramento/ campi antiguerriglia/ ministero della propaganda>>.

    Questa premessa ci sembra ne-cessaria per uscire dagli equivoci

    che si creano, da una parte, per la rigidit di chi insiste su una so-stanziale continuit con la propo-sta politica-organizzativa del cielo di lotta precedente, senza cogliere . le trasformazioni avvenute (e che stanno avvenendo) e, dall'altra, per le avances che vengono fat-te da chi, come l'area 7 aprile su Lotta Continua, propone la civilizzazione dei Carceri Spe-ciali in quanto la guerra sarebbe una simulazione. Qui non si tratta di proclamare o abolire lo stato di guerra>> tanto ituanto non si tratta di accettare o negare l'esi-stenza della sovversione sociale, poich l'uno e l'altra sono indis-

  • anarchismo

    solubilmente legate. Il carcere speciale il carcere

    per i comunisti perch essi sono elemento devastante la gestione-/pianificazione, da parte dello sta-to, dei comportamenti extralegali del proletariato. D'altra parte sa remmo ben contenti di impiegare tutte le nostre energie nel movi-mento di lotta dei proletari pri-gionieri - sia pure con proposte, a volte, in contraddizione con quanto si espresso sinora, ma per farlo dovremmo essere fisica-mente in contatto con esso e, quanto meno, condividere una realt degli stessi problemi. Que-sto proprio cio che non avviene-pi-come abbiamo cercato di illu-strare in precedenza e come la composizione, la quantit di pri-gionieri e la gestione dei campi di-mostnino molto meglio.

    Crediamo sia necessario, per-cio, rivendicarci come prigionieri di guerra non solo individualmen-te, nelle aule dei tribunali, ma an-che collettivamente, in carcere, poich questa la realt delle no-stre condizioni di prigionia.

    Questa rivendicazione non avrebbe solo una carattere forma-le, ma ci permetterebbe di affron-tare alcuni problemi all'ordine del giorno sia dentro che fuori il car-cere.

    JI rapporto dei comunisti col car-cere e col Proletariato Prigioniero.

    Ii rapporto del movimento ri-voluzionario col Proletariato Pri-gioniero non puo - pi - essere delegato ai prigionieri comunisti, ma deve trovare le sue ragioni nel legame del carcere col territo?? e in quello della nuova composlZlo-ne proletaria con l'appropriazio-ne di reddito. Nello stesso modo le condizioni della prigionia di guerra dipendono sempre meno dalla forza propria del movimen-to di lotta nei campi di concentra-mento e sempre pi dalla capacit di risposta del movimento comu-nista e dai riconoscimento .sociale dell'esistenza di prigionieri di guerra. Non vogliamo sottovalu-tare la nostra apacit di resisten-za/attacco, ma solo collocarla in una dimensione pi reale. L 'organizzazione dei comunisti imprigionati.

    Se non ha - pi - molto senso parlare di organizzazione di mas-

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    sa nei campi (perch viene a man-care la materia prima), diventa sempre pi urgente affrontare il problema dell'organizzazione dei comunisti.

    Cio avviene gi, naturalmente, ma solo come moto spontaneo, come aggregazione dei compagni in organismi politici che ne rap-presentino il punto di vista collet-tivo, come necessit di preservare la loro specific