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O.CALIGARIS - P.OLIVA ANALISI MATEMATICA 1

Analisi Matematica 1 - web.inge.unige.itweb.inge.unige.it/DidRes/Analisi/AN_1.pdfanalisi matematica 1 11 •per ogni x 2Rnf0gl’inverso di x rispetto al prodotto è unico Siano x0,

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O . C A L I G A R I S - P. O L I VA

A N A L I S I M AT E M AT I C A 1

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1. Un po’ di Logica

Diciamo proposizione una affermazione di cui siamo in grado di stabi-lire se è vera o è falsa.

Assegnata una proposizione P si può costruire una nuova proposi-zione, che definiamo negazione di P ed indichiamo con not P, come laproposizione che è vera se P è falsa ed è falsa se P è vera.

Si può identificare la proposizione not P anche mediante una tabel-la, detta tabella di verità, che elenca in corrispondenza dei due casipossibili la verità o la falsità della proposizione in questione:

P notP1 0

0 1

Tabella 1.1:

È inoltre necessario definire nuove proposizioni che dipendono dauna o più proposizioni note.

Assegnate due proposizioni P e Q,

• (P and Q) è vera se P e Q sono entrambe vere

• (P or Q) è vera se almeno una tra P e Q è vera

• (P xor Q) è vera se una ed una sola tra P e Q è vera.

Le corrispondenti tabelle di verità possono essere raggruppate nellaseguente:

P Q not P not Q P and Q P or Q P xor Q1 1 0 0 1 1 0

0 1 1 0 0 1 1

1 0 0 1 0 1 1

0 0 1 1 0 0 0

Tabella 1.2:

È immediato verificare che la proposizione P xor Q è vera o falsa aseconda che sia vera o falsa la proposizione

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(P and (not Q)) or (Q and (not}P))

come si può verificare dalla tabella 1.Possiamo anche verificare come not interagisce con and e or me-

diante la tabella1.3

P Q not P not Q P and Q P or Q not(P and Q) not (P or Q)1 1 0 0 1 1 0 0

0 1 1 0 0 1 1 0

1 0 0 1 0 1 1 0

0 0 1 1 0 0 1 1

Tabella 1.3:

Dalla tabella 1.3 possiamo verificare che

• (not(P and Q)) è vera tutte e sole le volte che è vera ((not P) or (not Q))

• (not(P or Q)) è vera tutte e sole le volte che è vera ((not P) and (not Q))

Si può inoltre affermare che le seguenti affermazioni sono semprevere

• (P or (not P)) (legge del terzo escluso)

• (not(P and (not P))) (legge di non contraddizione)

Assegnate due proposizioni P e Q si possono inoltre costruire leseguenti proposizioni

(P⇒ Q) , (P⇐ Q) , (P⇔ Q)

che leggiamo, rispettivamente ‘P implica Q’, ‘P è implicato da Q’, ‘Pè equivalente a Q’ e che sono identificate come segue

• (P⇒ Q) significa che Q è vera ogni volta che P è vera;

• (P⇐ Q) significa che P è vera ogni volta che Q è vera;

• (P⇔ Q) significa che P è vera tutte e sole le volte in cui Q è vera.

In altre parole (P ⇒ Q) significa che o non è vera P oppure, se P èvera, allora è vera anche Q; in simboli:

(P⇒ Q)⇔ ((not P) or Q) (1.1)

Possiamo verificare dalla tabella 1.4 che due proposizioni sono equi-valenti se assumono gli stessi valori nella loro tabella di verità, cioè sesono entrambe vere o entrambe false.

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P Q P⇒ Q P⇐ Q P⇔ Q1 1 1 1 1

0 1 1 0 0

1 0 0 1 0

0 0 1 1 1

Tabella 1.4:

Per convincerci che la definizione di implicazione corrisponde a cri-teri di senso comune, è opportuno mettere in evidenza la negazionedella proposizione (P ⇒ Q), in altre parole possiamo osservare che ènaturale affermare che (P⇒ Q) non è vera nel caso in cui sia vera P eQ sia invece falsa ; in simboli

not(P⇒ Q) ⇐⇒ not((not P) orQ) ⇐⇒ (P and(notQ)) (1.2)

Infatti è chiaro che not(P ⇒ Q) è vera se accade che P è vera e Q èfalsa.

La seguente tabella permette di verificare che le proposizioni enun-ciate in 1.2 hanno la stessa tabella di verità; cioè sono equivalenti.

P Q not Q P⇒ Q (P and (not Q)) not (P⇒ Q)

1 1 0 1 0 0

0 1 0 1 0 0

1 0 1 0 1 1

0 0 1 1 0 0

Tabella 1.5:

Osserviamo anche che

(P⇒ Q)⇔ ((not Q)⇒ (not P)) (1.3)

Per cui possiamo aggiungere una colonna alla tabella 1.5

P Q not Q not P P⇒ Q (not Q)⇒ (not P)1 1 0 0 1 1

0 1 0 1 1 1

1 0 1 0 0 0

0 0 1 1 1 1

Tabella 1.6:

(P⇔ Q) ⇔ ((P⇒ Q) and (P⇐ Q))

(P⇒ Q) ⇔ ((not Q)⇒ (not P))⇔ (not(P and (not Q)))

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Quest’ultima relazione è nota come principio di dimostrazione perassurdo.

Ricordiamo che si suppone noto il concetto di insieme.Usualmente gli insiemi sono identificati da una lettera maiuscola,

mentre le lettere minuscole, di solito, designano gli elementi di uninsieme.

Ricordiamo anche che

• a ∈ A significa che a è un elemento di A, a appartiene ad A;

• b 6∈ A significa che b non è un elemento di A, b non appartiene adA.

• se A è un insieme, a ∈ A e Pa o P(a) è una proprietà che dipendeda a, cioè tale che sia vera per certi valori di a e falsa per altri valoridi a, scriviamo

{a ∈ A : Pa} oppure {a ∈ A : Pa è vera}

per indicare l’insieme degli elementi di A tali che Pa è vera.

Occorre infine ricordare che si dice data una relazione binaria su uninsieme A se dati due elementi a, b ∈ A è possibile stabilire se è vera ofalsa la proposizione ‘a è in relazione con b’.

Scriveremo aRb e a 6Rb per significare che la proposizione in oggettoè rispettivamente vera o falsa.

Una relazione binaria si dice relazione di equivalenza se sono veri-ficate le seguenti condizioni

• (aRb)⇒ (bRa) (simmetricità);

• (aRa) (riflessività);

• ((aRb) and (bRc))⇒ (aRc) (transitività).

Una relazione binaria si dice relazione d’ordine o ordinamento se sonoverificate le seguenti condizioni

• (a 6Ra) (antiriflessività);

• ((aRb) and (bRc))⇒ (aRc) (transitività).

Siano A, B due insiemi, diciamo che

A ⊂ B (B ⊃ A) se (a ∈ A) ⇒ (a ∈ B) (1.4)

Diciamo che

A = B se (a ⊆ A) and (a ⊇ B) (1.5)

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analisi matematica 1 7

DefiniamoA\B = {a ∈ A and a 6∈ B}

Nel caso in cui B ⊂ A l’insieme A\B si dice anche complementaredi B in A e si indica con Bc essendo omessa l’indicazione che il com-plementare è fatto rispetto ad A, in quanto sarà sempre chiara, quandosi userà tale simbolo, l’identità di A.

Definiamo inoltre

• A ∪ B = {a ∈ A or a ∈ B} (A unione B)

• A ∩ B = {a ∈ A and a ∈ B} (A intersezione B)

• A× B = {(a, b) : a ∈ A and b ∈ B} ( prodotto cartesiano).

Si possono provare facilmente proprietà del tipo

• A ∪ (B ∪ C) = (A ∪ B) ∪ C

• A ∩ (B ∩ C) = (A ∩ B) ∩ C

• A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C)

• A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C)

• (A ∪ B)c = Ac ∩ Bc

• (A ∩ B)c = Ac ∪ Bc

Le ultime due uguaglianze sono note come formule di De-Morgan.Indichiamo con ∅ l’insieme vuoto , cioè l’insieme privo di elementiSe P è una proposizione ed A è un insieme possiamo considerare le

seguenti proposizioni

• ogni elemento di A soddisfa P;

• qualche elemento di A soddisfa P;

• uno ed un solo elemento di A soddisfa P .

Le tre affermazioni di cui sopra si scrivono in simboli

• ∀x ∈ A , Px

• ∃x ∈ A : Px

• ∃!x ∈ A : Px

Osserviamo che le negazioni delle prime due precedenti proposi-zioni sono

• ∃x ∈ A not Px

• ∀x ∈ A not Px

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2. I Numeri Reali

Introduciamo l’insieme R dei numeri reali per via assiomatica; elen-chiamo cioè le proprietà cui deve soddisfare l’insieme dei numeri realiprescindendo dalla verifica dell’esistenza di un modello di R e dallacostruzione di tale modello.

A tale proposito ci limitiamo a ricordare che la retta euclidea su cuisiano stati fissati due punti (0 ed 1), sia stato definito il verso positi-vo e siano state definite la somma ed il prodotto per via geometrica,costituisce un buon modello dei numeri reali.

Diciamo che sono assegnati i numeri reali, che indicheremo con R,se:

• è assegnato un insieme R

• sono assegnate due leggi, che chiamiamo somma o addizione e pro-dotto o moltiplicazione e che indichiamo con + e · rispettivamen-te, ciascuna delle quali associa ad ogni coppia (x, y) ∈ R×R unelemento di R che indicheremo con x + y ed x · y rispettivamente(in realtà useremo sempre xy in luogo di x · y)

• è assegnata in R una relazione di equivalenza che indicheremo conil simbolo = (rispetto alla quale esistono in R almeno due elementidistinti)

• è assegnata in R una relazione d’ordine che indicheremo con <

valgono le seguenti proprietà per ogni x, y, z ∈ R :

1. x + y = y + x

(proprietà commutativa dell’addizione)

2. (x + y) + z = x + (y + z)

(proprietà associativa dell’addizione)

3. esiste θ ∈ R tale che x + θ = x, per ogni x ∈ R

(esistenza di un elemento neutro rispetto all’addizione)

• l’elemento neutro rispetto alla somma è unico in R

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infatti se z, z′ sono due elementi neutri rispetto alla somma si ha

z = z + z′ = z′ + z = z′

• sarà indicato d’ora innanzi con 0

4. xy = yx

(proprietà commutativa della moltiplicazione)

5. (xy)z = x(yz)

(proprietà associativa della moltiplicazione)

6. esiste ζ ∈ R tale che xζ = x per ogni x ∈ R

(esistenza di un elemento neutro rispetto alla moltiplicazione)

• l’elemento neutro rispetto al prodotto è unico in R Se u, u′ sono dueelementi neutri rispetto al prodotto si ha

u = uu′ = u′

• sarà indicato d’ora innanzi con 1

7. x(y + z) = xy + xz

(proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione)

8. è vera una ed una sola delle seguenti affermazioni

x < y , x = y , y < x

(legge di tricotomia)

9. se x < y allora x + z < y + z

(invarianza dell’ordine rispetto all’addizione)

10. se x < y e 0 < z allora xz < yz

(invarianza dell’ordine rispetto alla moltiplicazione per elementipositivi)

11. Per ogni x ∈ R esiste x′ ∈ R tale che x′ + x = 0

(esistenza dell’inverso rispetto all’addizione)

• per ogni x ∈ R l’inverso di x rispetto alla somma è unico, infatti sianox′, x′′ tali che x′ + x = x′′ + x = 0 allora si ha x′ + x + x′ = x′′ +x + x′ e ne segue che x′ = x′′

• verrà indicato solitamente con −x

12. per ogni x ∈ R\{0} esiste x′′ ∈ R tale che x′′x = 1

(esistenza dell’inverso rispetto alla moltiplicazione)

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• per ogni x ∈ R\{0} l’inverso di x rispetto al prodotto è unico Sianox′, x′′ tali che x′x = x′′x = 1 si ha x′xx′ = x′′xx′ e ne segue x′ = x′′

• verrà indicato solitamente con 1/x o con x−1

13. Per ogni A, B ⊂ R, A, B 6= ∅ tali che

a ≤ b ∀a ∈ A , ∀b ∈ B

esiste c ∈ R tale che

a ≤ c ≤ b ∀a ∈ A, ∀b ∈ B (2.1)

(esistenza di un elemento separatore).

Osserviamo che gli assiomi precedenti assicurano che R contienealmeno 0 ed 1 ; tuttavia non escludono che 0 ed 1 siano distinti, no-nostante si supponga comunque che R deve contenere almeno dueelementi.

Le proprieta’ che dimostreremo nel seguito assicurano tuttavia che0 ed 1 coincidessero, R si ridurrebbe ad un solo elemento e questo nonè ammesso.

Se x, y ∈ R scriveremo x > y in luogo di y < x e converremo diusare il simbolo x ≤ y se (x = y) or (x < y) .

Ricordiamo inoltre che in caso di più operazioni in sequenza, se nonvi sono parentesi, per convenzione il prodotto ha priorità sulla somma.

Passiamo ora a provare alcune fondamentali proprietà dei numerireali.

Teorema 2.1 - Proprietà dei numeri reali - Valgono i seguenti fatti:

1. ∀x, y, z ∈ R x + z = y + z ⇔ x = y (legge di cancellazione rispettoalla somma)

- Infatti: se z′ è tale che z + z′ = 0 allora

x = (x + z) + z′ = (y + z) + z′ = y

2. ∀x, y, z ∈ R , z 6= 0 , xz = yz ⇔ x = y (legge di cancellazione rispettoal prodotto)

- Infatti: se z′ è tale che zz′ = 1 allora

x = (xz)z′ = (yz)z′ = y

3. x0 = 0, ∀x ∈ R

- Infatti: x0 = x (0 + 0) = x0 + x0 da cui x0 = 0 .

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4. (−(−x)) = x, ∀x ∈ R

- Infatti: (−x) + x = 0 da cui −(−x) = x .

5. (−x) + (−y) = −(x + y), ∀x, y ∈ R

- Infatti: x + y + (−x) + (−y) = 0 da cui −(x + y) = (−x) + (−y) .

6. (−x)y = −xy, ∀x, y ∈ R

In particolare (−1)y = −(1 y) = −y , ∀y ∈ R.

- Infatti: (−x)y + xy = (−x + x)y = 0 onde (−x)y = −xy .

7. (−x)(−y) = xy, ∀x, y ∈ R

- Infatti: (−x)(−y) + (−xy) = (−x)(−y) + (−x)y = (−x)(−y +

y) = 0 .

8. xy = 0 se e solo se (x = 0) or (y = 0)

- Infatti: supposto xy = 0, se fosse y 6= 0 si avrebbe x = xyy−1 = 0.

9. (xy)−1 = x−1y−1, ∀x, y ∈ R\{0}- Infatti: (xy)x−1y−1 = 1 .

10. x > 0 implica −x < 0

- Infatti: se x > 0 allora 0 = x− x > 0− x = −x .

11. xx > 0, ∀x ∈ R\{0}- Infatti: se x > 0 allora xx > 0 mentre se x < 0 si ha xx =

(−x)(−x) > 0 .

12. 1 6= 0

- Infatti: se fosse 1 = 0 si avrebbe, per ogni x ∈ R, x = x 1 = x 0 = 0.

13. 1 > 0

- Infatti: 1 = 1 · 1 > 0 .

14. x > 0 implica x−1 > 0, ∀x ∈ R

- Infatti: se x > 0 e x−1 < 0 allora 1 = xx−1 < 0.

Possiamo ora costruire un modello di R identificando gli elementidi R con i punti di una retta euclidea su cui è fissato un punto 0 ed unpunto 1.

Si dice positivo il verso di percorrenza da 0 ad 1 e si dice altresì po-sitivo un punto (elemento di R) che sta dalla stessa parte di 1 rispettoa 0 e negativo in caso contrario.

Si definisce somma di due elementi x ed y l’elemento x + y indi-viduato dal secondo estremo del segmento composto affiancando isegmenti di estremi 0 ed x e 0 ed y come si vede in figura2.

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analisi matematica 1 13

Figura 2.1: Costruzione della somma didue numeri reali

Si definisce il prodotto di due elementi x ed y mediante la costru-zione indicata in figura??.

Figura 2.2: Costruzione del prodotto didue numeri reali

Con le operazioni di somma e di prodotto e la relazione d’ordineintrodotte si può dimostrare che le proprietà richieste sono verificatee permettono di identificare nella retta euclidea un buon modello deinumeri reali.

Occorre ora identificare in R l’insieme N dei numeri naturali, l’in-sieme Z dei numeri interi e l’insieme Q dei numeri razionali.

A questo scopo definiamo il concetto di sottoinsieme induttivo in R

Definizione 2.1 Sia E ⊂ R , diciamo che E è un insieme induttivo sesoddisfa le due seguenti proprietà:

1. 1 ∈ E

2. x ∈ E ⇒ x + 1 ∈ E

Osserviamo che esistono certamente insiemi induttivi in quanto, adesempio, R stesso è un insieme induttivo; è pure utile osservare cheanche

{x ∈ R : x ≥ 1}

è un insieme induttivo.

Definizione 2.2 Sia E l’insieme degli insiemi induttivi di R; definiamo

N =⋂

E∈EE

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La definizione assicura che N è il più piccolo sottoinsieme induttivodi R .

Teorema 2.2 N è non vuoto, 1 ∈ N, 1 ≤ n ∀n ∈ N ed inoltre vale laseguente proprietà:

se A ⊂N è un insieme induttivo allora A = N

Dimostrazione. Dal momento che 1 appartiene ad ogni sottoinsiemeinduttivo e dal momento che {x ∈ R : x ≥ 1} è un insieme induttivosi ha che 1 ∈N ed inoltre n ≥ 1 se n ∈N.

Per provare la seconda affermazione possiamo osservare che se Aè un insieme di N induttivo, allora evidentemente A ∈ E e pertantoA ⊃N onde A = N 2

L’ultima affermazione del teorema 2.2 è nota come principio diinduzione.

Applicando il principio di induzione all’insieme

B = A ∪ {n ∈N : n < n0 }

possiamo dedurre il seguente corollario:

Corollario 2.1 Sia n0 ∈N, n0 > 1, e supponiamo che sia A ⊂N tale che

1. n0 ∈ A

2. n ∈ A ⇒ n + 1 ∈ A

AlloraA ⊃ {n ∈N : n ≥ n0 } .

Definizione 2.3 Siano m, n ∈ N, m ≥ n, e sia ak ∈ R per ogni k ∈ N;definiamo

n

∑k=n

ak = an ,m+1

∑k=n

ak = am+1 +m

∑k=n

ak .

n

∏k=n

ak = an

m+1

∏k=n

ak = am+1 ·m

∏k=n

ak .

Definizione 2.4 Chiamiamo insieme dei numeri interi l’insieme

Z = {a ∈ R : a = m− n , m, n ∈N} ,

inoltre diciamo insieme dei numeri razionali l’insieme

Q = {q ∈ R : q = mn−1 = m/n , m ∈ Z , n ∈N} .

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analisi matematica 1 15

Non entriamo nel dettaglio delle proprietà di Z e Q, ricordiamosolo che

Z = (−N) ∪ {0} ∪N

Definizione 2.5 Sia A ⊂ R, diciamo che M ∈ R è un maggiorante di A se

∀a ∈ A , a ≤ M

Diciamo che m ∈ R è un minorante di A se

∀a ∈ A , a ≥ m

ChiamiamoM(A) = {M ∈ R : ∀a ∈ A , a ≤ M}

m(A) = {m ∈ R : ∀a ∈ A , a ≥ m}

In altre parole M(A) è l’insieme dei maggioranti di A, mentre m(A)

è l’insieme dei minoranti di A.Osserviamo che

M(∅) = m(∅) = R .

Definizione 2.6 Sia A ⊂ R , diciamo che A è un insieme superiormentelimitato se M(A) 6= ∅.

Diciamo che A è un insieme inferiormente limitato se m(A) 6= ∅.Diciamo che A è limitato se A è sia superiormente che inferiormente

limitato, cioè se tanto M(A) quanto m(A) sono non vuoti.

Definizione 2.7 Diciamo che A ⊂ R ammette minimo (massimo) seesiste m ∈ A (M ∈ A) tale che m ≤ a (M ≥ a) per ogni a ∈ A

Scriveremo in tal caso

m = min A , M = max A

Osserviamo che non sempre è vero che un insieme di numeri realiammette minimo o massimo: si consideri ad esempio

A = R oppure A = {x ∈ R : 0 < x < 1}

Osserviamo anche che

min A = m(A) ∩ A , max A = M(A) ∩ A

e che tali insiemi, se non sono vuoti, contengono un solo elemento.

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Teorema 2.3 Sia A ⊂ R , A 6= ∅ se A è inferiormente limitato allo-ra m(A) ammette massimo, mentre se A è superiormente limitato M(A)

ammette minimo.

Dimostrazione. Proviamo ad esempio che se A è inferiormente limi-tato allora m(A) ammette massimo.

Si ham ≤ a ∀m ∈ m(A) , ∀a ∈ A

e pertanto per la 2.1

∃α ∈ R tale che m ≤ α ≤ a ∀m ∈ m(A), ∀a ∈ A

Pertanto si può affermare che

α = max m(A)

2

Definizione 2.8 Sia A ⊂ R , A 6= ∅, A inferiormente limitato; defi-niamo estremo inferiore di A e lo indichiamo con inf A , il massimo deiminoranti di A, definiamo cioè

inf A = max m(A).

Analogamente se A è superiormente limitato definiamo estremo supe-riore di A e lo indichiamo con sup A , il minimo dei maggioranti di A,definiamo cioè

sup A = min M(A).

Definiamo inoltre

• inf A = −∞, se A non è inferiormente limitato

• sup A = +∞, se A non è superiormente limitato

• inf ∅ = +∞

• sup ∅ = −∞

È importante trovare una caratterizzazione dell’estremo inferiore edell’estremo superiore di un insieme.

Teorema 2.4 Sia A ⊂ R , A 6= ∅, A inferiormente limitato; allora λ =

inf A se e solo se valgono le seguenti condizioni:

1. λ ≤ a ∀a ∈ A

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2. ∀ε > 0, ∃aε ∈ A tale che aε < λ + ε

Dimostrazione. λ = infA ⇔ λ = max m(A) ⇔ λ ∈ m(A)

e∀ε > 0 , λ + ε 6∈ m(A) .D’altra parteλ ∈ m(A) ⇔ λ ≤ a ∀a ∈ A ⇔ (1);mentre∀ε > 0 λ + ε 6∈ m(A) ⇔ ∀ε > 0 ∃aε ∈ A : aε < λ + ε ⇔ (2) 2

In maniera analoga si può dimostrare

Teorema 2.5 Sia A ⊂ R , A 6= ∅, A superiormente limitato; allora µ =

sup A se e solo se valgono le seguenti condizioni:

1. µ ≥ a ∀a ∈ A

2. ∀ε > 0 ∃aε ∈ A : aε > µ− ε

Dal momento che inf A = −∞ e sup A = +∞ se, rispettivamente,A non è inferiormente, o superiormente limitato,si ha che

Teorema 2.6 Sia A ⊂ R , A 6= ∅ allora

1. inf A = −∞ ⇔ ∀k ∈ R ∃ak ∈ A tale che ak < k

2. sup A = +∞ ⇔ ∀k ∈ R ∃ak ∈ A tale che ak > k

Proviamo a questo punto che l’insieme dei numeri interi non èsuperiormente limitato; proviamo cioè che

Teorema 2.7 - Principio di Archimede - ∀x ∈ R ∃n ∈ Z : n ≥ x

Dimostrazione. Se per assurdo esistesse y ∈ R tale che

y > n ∀n ∈ Z

allora y ∈ M(Z) eλ = supZ ∈ R

Pertanto, daλ ≥ n ∀n ∈ Z

possiamo dedurre che

λ ≥ n + 1 ∀n ∈ Z

eλ− 1 ≥ n ∀n ∈ Z

ma ciò contraddice il teorema 2.5Infatti per ε = 1 non esiste alcun n ∈ Z tale che λ− 1 < n. 2

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18 o.caligaris - p.oliva

Lemma 2.1 Per ogni x ∈ R esiste nx ∈ Z tale che

nx ≤ x < nx + 1 .

Inoltre si ha nx = max {n ∈ Z : n ≤ x}.

Dimostrazione. Definiamo

A = {n ∈ Z : n ≤ x} .

Evidentemente A è superiormente limitato e non vuoto in quanto, peril teorema 2.7, esiste −n0 ∈ Z, −n0 ≥ −x; si può pertanto affermareche n0 ∈ a

λ = sup A ∈ R

Se per assurdo si avesse che

∀n ∈ A si abbia n + 1 ∈ A

avremmo allora che A ⊃ {n ∈ Z : n ≥ n1} e quindi A non potrebberisultare limitato.

Quindi è lecito affermare che

esiste nx ∈ A, tale che nx + 1 6∈ A;

da cui, essendo nx e di conseguenza nx + 1 interi, si ha

nx ≤ x < nx + 1 .

Osserviamo inoltre che, se esistesse n ∈ A, n > nx, si avrebbe n ≥nx + 1 > x ed n 6∈ A. 2

E’ pertanto lecito porre:

Definizione 2.9 Sia x ∈ R, definiamo E(x), parte intera di x, come

E(x) = max{n ∈ Z : n ≤ x}

Osserviamo che E(x) è il più grande intero più piccolo di x.

Definizione 2.10 Sia x ∈ R, definiamo |x|, modulo, o valore assoluto,o norma di x :

|x| =

x se x > 0

0 se x = 0

−x se x < 0

(2.2)

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analisi matematica 1 19

Teorema 2.8 Sono verificati i seguenti fatti, ∀a, x, y ∈ R :

1. |x| ≥ 0

2. |x| = 0 ⇔ x = 0

3. |xy| = |x| |y|

4. |x| ≤ a ⇔ −a ≤ x ≤ a

5. |x + y| ≤ |x|+ |y|

6. ||x| − |y|| ≤ |x− y|

7. |x| < ε ∀ε > 0 ⇔ x = 0.

Dimostrazione. (1), (2) e (3) seguono immediatamente dalla defini-zione di modulo; per quel che riguarda la (4) si noti che

|x| ≤ a ⇔ 0 ≤ x ≤ a oppure − a ≤ x ≤ 0 .

Proviamo ora la (5): per (4) si ha

−|x| ≤ x ≤ |x| e − |y| ≤ y ≤ |y| .

Pertanto, sommando membro a membro,

−(|x|+ |y|) ≤ x + y ≤ |x|+ |y|

e la tesi, riutilizzando la (4).Per quel che riguarda (6), si ha

|x| = |x− y + y| ≤ |x− y|+ |y|

|y| = |y− x + x| ≤ |x− y|+ |x| ;

perciò−|x− y| ≤ |x| − |y| ≤ |x− y|

e, da (4), la tesi.Infine, per quel che riguarda la (7), se fosse x 6= 0, si potrebbe

scegliere ε tale che 0 < ε < |x|. 2

Definizione 2.11 Sia x ∈ R, definiamo per ogni n ∈N :

x0 = 1 , xn = xxn−1

xn si dice potenza ennesima di base x.Definiamo inoltre, se x 6= 0,

x−n = 1/xn .

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Teorema 2.9 Siano x, y ∈ R; per ogni n, m ∈N si ha

xn+m = xnxm (2.3)

(xn)m = xnm (2.4)

(xy)n = xnyn (2.5)

(2.6)

Fin qui abbiamo definito cosa intendiamo per numero reale, na-turale, intero e razionale ma non abbiamo introdotto un simbolismoadeguato.

Abbiamo fino ad ora identificato un numero utilizzando un sim-bolo, ma è chiaro che in tal modo possiamo utilizzare contempora-neamente solo pochi numeri dato che, per chiarezza, è necessario ser-virsi solo di un piccolo numero di segni (simboli o cifre) diversi; èquindi utile introdurre un sistema di rappresentazione che utilizzi so-lo un numero piccolo di cifre e sia in grado di fornire una adeguatarappresentazione dei numeri,anche molto grandi, che ci interessano.

Tale tipo di rappresentazione fu introdotta in Europa da LeonardoPisano, detto Fibonacci, cioè figlio di Bonaccio attorno al 1400, ma eraimpiegata dagli arabi già da molto tempo.

Essa prende il nome di notazione posizionale e si fonda sul seguentesemplice fatto

Lemma 2.2 Per ogni a ∈ N ∪ {0}, e per ogni b ∈ N, esistono e sono uniciq, r ∈N∪ {0} tali che

a = bq + r , r < b (2.7)

Dimostrazione. Posto q = E(a/b) si ha

q ≤ a/b < q + 1 e bq ≤ a < b(q + 1)

Pertanto, posto r = a− bq si ha r ∈N∪ {0} e

bq + r = a < bq + b da cui r < b

2

2.1 Rappresentazione dei numeri naturali in base b

Siano a0, b ∈N, a0 ≥ b > 1; e definiamo il seguente algoritmoper ogni n ∈ N ∪ {0} indichiamo con an e cn gli unici elementi di

N∪ {0} (vedi il lemma 2.2) tali che

an = an+1b + cn , cn < b (2.8)

I numeri an così generati soddisfano interessanti proprietà:

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analisi matematica 1 21

1. an 6= 0 ⇒ an+1 < an infatti

• Dal momento che an+1 = E(an/b) e poiché b > 1

an+1 ≤ an/b < an

2. Esiste n0 ∈N tale che an0 6= 0 ed an0+1 = 0

• Se an 6= 0 implicasse an+1 6= 0 avremmo, per il principio diinduzione che an 6= 0 per ogni n ∈N, si avrebbe

a1 ≤ a0 − 1 essendo a1 < a0

ed inoltre si potrebbe affermare che

an ≤ a0 − n ⇒ an+1 < an ≤ a0 − n ⇒ an+1 ≤ a0 − (n + 1)

Ne verrebbe pertanto, per il principio di induzione, che

an ≤ a0 − n ∀n ∈N

e ciò non è possibile in quanto, per n > a0, si avrebbe an < 0

3. Risulta:

a0 =n0

∑k=0

ckbk.

• Infatti

a0 − a1b = c0

a1 − a2b = c1

a2 − a3b = c2

· · · · · · = · · ·an0 = cn0

da cui moltiplicando la seconda uguaglianza per b, la terza ugua-glianza per b2 e così via fino a moltiplicare l’ultima per bn0 siottiene

a0 − a1b = c0

a1b− a2b2 = c1b

a2b2 − a3b3 = c2b2

· · · · · · = · · ·an0 bn0 = cn0 bn0

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e sommando membro a membro si ottiene

a0 − a1b + a1b− a2b2 + a2b2 − a3b3 + ...... − an0 bn0 =

= c0 + c1b + c2b2 + ...... + cn0 bn0 (2.9)

e cioè

a0 =n0

∑k=0

ckbk

È evidente a questo punto che possiamo identificare in maniera uni-voca il numero a0 mediante la sequenza dei numeri ck, che risultanointeri positivi o nulli, minori di b.

In altre parole conveniamo di rappresentare in base b il numeroa0 mediante l’allineamento ordinato dei numeri ck trovati seguendo ilprocedimento descritto; definiamo cioè

r(a0) = cn0 cn0−1cn0−2...... c2c1c0.

Osserviamo esplicitamente che

0 ≤ ck < b

e cher(a0) = a0 ⇔ a0 < b

Possiamo verificare che, per come è stata costruita

1. La rappresentazione in base b di un numero naturale è unica;

2. Ogni allineamento finito di cifre in base b

αk , 0 ≤ αk < b , k = 0, 1, . . . , n0

con αn0 6= 0, identifica un numero a ∈N mediante la

a =n0

∑k=0

αkbk

Si può pertanto concludere che ogni numero naturale può essere in-dividuato non appena si disponga di b simboli diversi che chiameremocifre.

Usualmente si adopera per questo scopo un numero di simboli ocifre che è pari al numero delle dita delle mani di un uomo; tali simbolisono:

0 , 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , 8 , 9

I primi due sono usati per identificare rispettivamente zero (l’ele-mento neutro rispetto alla somma) ed uno (l’elemento neutro rispetto

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al prodotto), mentre i successivi servono ad indicare i numeri naturalida due a nove (secondo la terminologia in uso nella lingua italiana). Inumeri da dieci in poi si indicano invece facendo ricorso a più di unacifra.

Naturalmente la scelta della base b = 10 non è l’unica possibile néè la sola usata frequentemente.

Oltre alla notazione decimale infatti si fa spesso ricorso alla nota-zione binaria, che corrisponde alla scelta b = 2 e che fa uso delle solecifre

0 , 1

alla notazione ottale, che corrisponde alla scelta b = 8 e usa le cifre

0 , 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7

e alla notazione esadecimale che corrisponde alla scelta b = 16 (deci-male) e che fa uso della cifre

0 , 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , 8 , 9 , A , B , C , D , E , F

Osservazione. Il ruolo della base b = 2 è diventato basilare in segui-to allo sviluppo degli elaboratori; infatti la memoria di un elaboratoreè in grado di registrare in ogni singola posizione di memoria due sta-ti: attivo e non attivo, vero e falso, 1 e 0. Può pertanto in manierasemplice memorizzare un numero come una sequenza di stati binari.

Le basi b = 8 e b = 16 sono di conseguenza importanti in quanto8 = 23 e 16 = 24 e la conversione di base tra numeri binari ottali oesadecimali risulta molto semplice. A titolo di esempio osserviamoche le seguenti rappresentazioni in base 2, 8 e 16 corrispondono alvalore decimale 255

11 111 111 1111 1111

3 7 7 F F

Tabella 2.1:

È anche utile ricordare che la numerazione in base 2 ha il vantaggiodi usare poche cifre e quindi di necessitare di semplicissime tabellinedi addizione e di moltiplicazione, mentre ha lo svantaggio di doverusare molte cifre anche per numeri piccoli.

Al contrario la numerazione in base 16 ha tabelline di addizione edi moltiplicazione complicate ma è in grado di rappresentare grandinumeri con poche cifre.

2

Dal momento che si ha

Z = N∪ {0} ∪ (−N)

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possiamo ottenere anche la rappresentazione in base b di ogni numerointero.

Per quanto concerne i numeri reali non interi non sarà in generalepossibile identificarli mediante un allineamento finito di cifre, pos-siamo però provare che ogni numero reale si può approssimare conarbitraria precisione mediante allineamenti finiti di cifre.

2.2 Approssimazione dei numeri reali in base b

Anche in questo caso possiamo definire un algoritmo che è in gradodi generare un allineamento di cifre, che può essere infinito, median-te il quale ogni numero reale può essere approssimato con arbitrariaprecisione.

Sia x ∈ R , x > 0 e sia b ∈N , b > 1 definiamo

c0 = E(x)

c1 = E((x− c0)b)

c2 = E((x− c0 −c1

b)b2)

· · · = · · · · · ·

cn = E((x−n−1

∑k=0

ckb−k)bn)

Definiamo inoltre

xn =n

∑k=0

ckb−k (2.10)

xn si chiama approssimazione in base b di ordine n del numero realex.

Usualmente si scrive

xn = c0, c1c2c3.....cn

oppurexn = c0.c1c2c3.....cn

Se x ∈ R , x < 0 si definisce

xn = −(−x)n

Nel seguito tuttavia faremo sempre riferimento al caso in cui x > 0

1. 0 ≤ x− xn < b−n , 0 ≤ cn+1 < b

• Infatti osservando che

cn = E((x− xn−1)bn) e che xn = xn−1 + cnb−n

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si hacn ≤ (x− xn−1)bn < cn + 1

ed anchecnb−n ≤ x− xn−1 < cnb−n + b−n

da cui0 ≤ x− xn < b−n

Inoltre moltiplicando la precedente disuguaglianza per bn+1 siottiene

0 ≤ (x− xn)bn+1 < b

ecn+1 = E((x− xn)bn+1) < b

2. Si deduce quindi subito che

x ≥ xn

Ciò si esprime dicendo che xn è una approssimazione per difettodel numero reale x. Si vede altresì che l’approssimazione di x puòessere fatta con precisione arbitraria pur di aumentarne l’ordine.Infatti

3. Per ogni x ∈ R si ha

x = sup{xn : n ∈N}

• Abbiamo già osservato che

x ≥ xn

D’altro canto si hax− xn < 1/bn

e possiamo anche affermare che

Se b ∈N , b > 1 si ha bn > n, ∀n ∈N

Infatti

– per n = 1 si ha b > 1

– inoltre se bn > n allora bn+1 > n + 1 in quanto

bn+1 = bnb > bn ≥ 2n = n + n ≥ n + 1.

Poichè per ogni ε > 0, esiste n ∈ N tale che ε > 1/n possiamoallora concludere che

ε > 1/nε > 1/bnε .

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Si possono altresì provare i seguenti risultati.

1. Per ogni x ∈ R e per ogni ε ∈ R, ε > 0, esiste q ∈ Q : |x− q| < ε.

• Scelto q = xnε , con bnε > 1/ε, è immediato verificare che q ∈ Q eche |x− q| < ε.

2. Per ogni x, y ∈ R, x < y, esiste q ∈ Q tale che x < q < y

3. Per ogni x, y ∈ Q, x < y, esiste z ∈ R\Q tale che x < z < y

Infatti detto z = (x + y)/2 e scelto q = znε tale che bnε > 3/(y− x),è immediato verificare che q ∈ Q e x < q < y.

La seconda affermazione segue dall’esistenza di almeno un irrazio-nale; se infatti α è un numero irrazionale compreso in (0, 1), adesempio α =

√2− 1, avremo che

x + α(y− x) (2.11)

non è razionale ( se lo fosse, poichè x, y ∈ Q si avrebbe anche α ∈ Q)ed è compreso in (x, y)

Osserviamo che quindi anche tra due reali x < y esiste un irrazionale,infatti si possono trovare x′ < y′ con x < x′ < y′ < y

Questo risultato si esprime usualmente dicendo che Q è denso inR .

In realtà il risultato provato è più preciso in quanto assicura che ilsottoinsieme dei numeri razionali che si possono scrivere nella formausata in 2.10 è denso in R.

Nel caso in cui b = 10 i numeri che si possono scrivere in tale formasi chiamano numeri decimali finiti .

Osservazione. È d’uso, lavorando con i numeri reali, adoperare laretta euclidea come modello dei numeri reali.

Infatti, assumendo i postulati della geometria euclidea ed il postu-lato di continuità di Dedekind, si possono definire sulla retta le opera-zioni di addizione e moltiplicazione, una relazione di equivalenza eduna d’ordine, in modo che siano verificati gli assiomi che identificanoi numeri reali. 2

È inoltre utile costruire una rappresentazione geometrica del pro-dotto cartesiano R×R = R2.

Ciò può essere ottenuto identificando R2 con un piano.Consideriamo pertanto un piano α e fissiamo su di esso due rette

r1 ed r2, dette assi cartesiani, che si intersecano nel punto O, dettoorigine.

Usualmente adopereremo le lettere x ed y per indicare i punti di r1

ed r2 rispettivamente; per tale ragione diremo che r1 è l’asse x e che r2

è l’asse y.

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analisi matematica 1 27

Ognuna delle rette può essere interpretata come R ed è chiaro cheprocedendo come in figura?? si può identificare ogni coppia di numerireali con un punto del piano α e viceversa.

Qualora r1 ed r2 siano tali che ruotando r1 in senso antiorario, di unangolo inferiore ad un angolo piatto, fino a sovrapporla ad r2, i puntiche rappresentano le unità sulle due rette stanno dalla stessa parterispetto al punto O, la rappresentazione si chiama destrorsa; in casocontrario si dice sinistrorsa.

Qualora le rette r1 ed r2 siano perpendicolari, la rappresentazionesi chiama ortogonale.

Qualora si scelgano in r1 ed r2 segmenti unitari uguali, la rappre-sentazione si dice monometrica.

Usualmente adopereremo una rappresentazione destrorsa, ortogonalee monometrica, che chiamiamo sistema cartesiano.

Figura 2.3: Sistema di riferimentoCartesiano

Per concludere ricordiamo alcune notazioni:

Definizione 2.12 Siano a, b ∈ R, definiamo

(a, b) = {x : x ∈ R , a < x < b }[a, b] = {x : x ∈ R , a ≤ x ≤ b }[a, b) = {x : x ∈ R , a ≤ x < b }(a, b] = {x : x ∈ R , a < x ≤ b }

(a,+∞) = {x : x ∈ R , x > a }a,+∞) = {x : x ∈ R , x ≥ a }(−∞, a) = {x : x ∈ R , x < a }(−∞, a] = {x : x ∈ R , x ≤ a }

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Definiamo inoltre

R+ = {x : x ∈ R , x > 0 }R+ = {x : x ∈ R , x ≥ 0 }R− = {x : x ∈ R , x < 0 }R− = {x : x ∈ R , x ≤ 0 }

Definizione 2.13 Sia A ⊂ R, diciamo che A è aperto se

∀x ∈ A ∃r > 0 tale che (x− r, x + r) ⊂ A

Diciamo che A è chiuso se Ac è aperto.Diciamo che A è compatto se è chiuso e limitato.

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3. Funzioni Reali di una VariabileReale

Il concetto di funzione è di fondamentale importanza;

Definizione 3.1 Diciamo che è data una funzione reale di una variabile realese sono assegnati un sottoinsieme D ⊂ R ed una corrispondenza f che ad ognielemento x ∈ D associa uno ed un solo elemento y ∈ R.

Definizione 3.2 Chiamiamo D dominio della funzione e denotiamo con f (x)(si legge f di x) il corrispondente di x secondo la legge assegnata f ; spesso use-remo il termine valore di f in x oppure f calcolata in x per indicare f (x) echiamiamo x argomento di f(x); per indicare la corrispondenza f scriviamoanche x 7→ f (x) oppure x 7→ y = f (x).

Chiamiamo rango di f l’insieme

R( f ) = {y ∈ R : ∃x ∈ D, y = f (x)}.

Per indicare una funzione scriviamo f : D −→ R, specificandoprima della freccia il dominio D di f , ma non curandoci di precisare,dopo la freccia, il suo rango.

Osservazione. Distinguiamo fin d’ora due notazioni che sarannousate con significati completamente diversi. Useremo f per indicare lalegge di corrispondenza di una funzione ed f (x) per indicare il valoredi f in x, (quindi f (x) è un numero reale). 2

Spesso, nell’assegnare una funzione, daremo soltanto la legge dicorrispondenza f ; in tal caso sottointendiamo sempre che D è il piùgrande sottoinsieme di R i cui elementi possono essere usati comeargomenti di f .

Ad ogni funzione è possibile associare un sottoinsieme del prodottocartesiano R×R (che indicheremo spesso con R2) che la caratterizzain maniera completa e dalla quale è completamente caratterizzato.

Definizione 3.3 Sia f : D −→ R, definiamo grafico di f

G( f ) = {(x, y) ∈ R2 : x ∈ D , y = f (x)}

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Mediante la definizione 3.2 è possibile associare in maniera univocaun sottoinsieme G (= G( f )) ad ogni funzione f : D −→ R.

Non è altrettanto vero che ad ogni sottoinsieme G ⊂ R2 è possibileassociare una funzione f : D −→ R. Ciò accade solo nel caso in cui Gsoddisfi una particolare proprietà.

Definizione 3.4 Diciamo che G ⊂ R2 soddisfa la proprietà (g) se

(g) (x, y1), (x, y2) ∈ G ⇒ y1 = y2

Teorema 3.1 Per ogni G ⊂ R2, G soddisfacente la proprietà (g), esistonounici D ⊂ R ed f : D −→ R tali che G = gph f .

Dimostrazione. Definiamo D = {x ∈ R : ∃y ∈ R, (x, y) ∈ G} e siaf (x) = y dove y è l’unico elemento di R tale che (x, y) ∈ G.

Dal momento che G soddisfa la proprietà (g), D ed f verificano leproprietà richieste. 2

Definizione 3.5 Sia f : D −→ R, sia A ⊂ D, definiamo restrizione di fad A la funzione g : A −→ R tale che g(x) = f (x) ∀x ∈ A.

Indichiamo con f |A la restrizione di f ad A.Siano invece B ⊃ D e g : B −→ R; diciamo che g è un prolungamento di

f a B se g|D = f .

Definizione 3.6 Sia f : D −→ R, diciamo che

1. f è iniettiva se

∀x1, x2 ∈ D f (x1) = f (x2) ⇒ x1 = x2

In altre parole f è iniettiva se ogni retta parallela all’asse delle x intersecagph f in un solo punto.

2. Sia A ⊂ R, diciamo che f è surgettiva su A se R( f ) = A, cioè se

∀y ∈ A ∃x ∈ D : y = f (x).

Per esprimere che f è surgettiva su A diremo anche che f : D −→ A èsurgettiva. (Si osservi che in questo caso abbiamo specificato dopo la freccia ilrango di f ).

Sia f : D −→ A, diciamo che f è bigettiva se è iniettiva e surgettiva.

Osservazione. Ogni funzione è surgettiva sul suo rango. 2

Definizione 3.7 Siano f , g : D −→ R, definiamo

1. f + g : D −→ R come ( f + g)(x) = f (x) + g(x) ∀x ∈ D

2. f · g : D −→ R come ( f · g)(x) = f (x) · g(x) ∀x ∈ D

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analisi matematica 1 31

3. 1g : D1 −→ R come 1

g (x) = 1g(x) ∀x ∈ D1 = {x ∈ D : g(x) 6= 0}

Definizione 3.8 Siano f : D −→ R e g : B −→ R e supponiamo cheR(g) ⊂ D.

Definiamo funzione composta di g ed f la funzione che ad ogni x ∈ Bassocia f (g(x)) ∈ R.

Definizione 3.9 Diciamo che una funzione f : D −→ A è invertibile seesiste una funzione g : A −→ D tale che

f (g(y)) = y ∀y ∈ A (3.1)

g( f (x)) = x ∀x ∈ D (3.2)

Per indicare g usiamo il simbolo f−1 cosicché

f−1 : A −→ D

è l’inversa di f .

Teorema 3.2 Sia f : D −→ A, f è invertibile se e solo se f è bigettiva.

Dimostrazione. Supponiamo f invertibile; allora

∀y ∈ A f ( f−1(y)) = y

e ciò prova che f è surgettiva su A.Siano poi x1, x2 ∈ D e sia f (x1) = f (x2), allora

x1 = f−1( f (x1)) = f−1( f (x2)) = x2

e ciò prova l’iniettività di f .Supponiamo viceversa che f sia bigettiva e definiamo, per ogni y ∈

A, f−1(y) = x dove x è l’unico elemento di D tale che f (x) = y.In altre parole

f−1(y) = x ⇔ y = f (x) .

Si ha alloraf−1( f (x)) = f−1(y) = x ∀x ∈ D

f ( f−1(y)) = f (x) = y ∀y ∈ A.

2

Definizione 3.10 Sia f : D −→ R e supponiamo che D sia simmetricorispetto all’origine (cioè x ∈ D ⇒ −x ∈ D); diciamo che f è una funzionepari se

f (x) = f (−x) ∀x ∈ D;

diciamo che f è una funzione dispari se

f (x) = − f (−x) ∀x ∈ D.

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Definizione 3.11 Sia f : D −→ R, diciamo che f è crescente (strettamentecrescente) se

∀x, y ∈ D, x < y ⇒ f (x) ≤ f (y) ( f (x) < f (y)) .

Diciamo che f è decrescente (strettamente decrescente) se

∀x, y ∈ D, x < y ⇒ f (x) ≥ f (y) ( f (x) > f (y))

Definizione 3.12 Sia f : D −→ R, diciamo che f è monotòna (strettamentemonotòna) se f è crescente oppure decrescente (strettamente crescente oppurestrettamente decrescente).

Teorema 3.3 Sia f : D −→ R, f è monotòna (strettamente monotòna) se esolo se

∀x, y, z ∈ D, x < y < z ⇒ [ f (y)− f (x)][ f (z)− f (y)] ≥ 0 (> 0).

Dimostrazione. La sufficienza è ovvia, proviamo la necessità.Siano a, b, x1, x2 ∈ D, a < b ≤ x1 ≤ x2 ,

[ f (a)− f (b)][ f (b)− f (x1)][ f (b)− f (x1)][ f (x1)− f (x2)] ≥ 0;

perciò f (x1)− f (x2) ha lo stesso segno di f (a)− f (b) ed f è monotonain D ∩ [b,+∞).

In maniera analoga si prova che f è monotona su D ∩ (−∞, b] equindi su D in quanto se a < b < c

[ f (a)− f (b)][ f (b)− f (c)] ≥ 0

Nel caso in cui f sia strettamente monotona tutte le disuguaglianzesono da intendersi in senso stretto. 2

Teorema 3.4 Sia f : D −→ A surgettiva e strettamente monotona, allora fè invertibile ed f−1 : A −→ D è strettamente monotona.

Più precisamente se f è strettamente crescente (decrescente), f−1 è stret-tamente crescente (decrescente).

Dimostrazione. Supponiamo che f sia strettamente crescente e ve-diamo che f è iniettiva.

Siano x, y ∈ D tali che f (x) = f (y); se si avesse, per assurdo, x < y,si potrebbe dedurre che f (x) < f (y) e ciò è in contrasto con l’ipotesiche f (x) = f (y). Pertanto x = y.

Si ha quindi che f è invertibile e f−1(y) = x se e solo se y = f (x)per ogni x ∈ D e per ogni y ∈ A.

Siano ora y1, y2 ∈ A , y1 < y2 e siano x1, x2 ∈ D in modo che

y1 = f (x1) e y2 = f (x2)

se fosse x1 ≥ x2 si avrebbe f (x1) ≥ f (x2) e y1 ≥ y2 e ciò è assurdo.Se ne deduce che x1 < x2 e la stretta crescenza di f−1.

2

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Definizione 3.13 Sia f : D −→ R, diciamo che f è superiormente funzionesuperiormente limitata limitata se esiste M ∈ R tale che

f (x) ≤ M ∀x ∈ D

diciamo che f è inferiormente limitata funzione superiormente limitata seesiste m ∈ R tale che

f (x) ≥ m ∀x ∈ D

diciamo che f è limitata funzione limitata se è sia superiormente che inferior-mente limitata.

Osservazione. f è limitata (superiormente) [inferiormente] se e solo seR( f ) è limitato (superiormente) [inferiormente]. 2

Definizione 3.14 Sia f : D −→ R, diciamo che x0 ∈ D è un punto diminimo assoluto per f se

f (x0) ≤ f (x) ∀x ∈ D

diciamo che x0 ∈ D è un punto di massimo assoluto per f se

f (x0) ≥ f (x) ∀x ∈ D

Teorema 3.5 Sia f : D −→ R, affinché x0 ∈ D sia un punto di minimo(massimo) assoluto per f è sufficiente che f sia decrescente (crescente) in(−∞, x0] ∩ D e crescente (decrescente) in [x0,+∞) ∩ D.

Teorema 3.6 Siano f : D −→ R, g : A −→ R tali che R(g) ⊂ D, allora

• f strettamente crescente, g strettamente crescente ⇒ f (g(·)) stretta-mente crescente;

• f strettamente crescente, g strettamente decrescente ⇒ f (g(·)) stretta-mente decrescente;

• f strettamente decrescente, g strettamente crescente ⇒ f (g(·)) stretta-mente decrescente;

• f strettamente decrescente, g strettamente decrescente ⇒ f (g(·))strettamente crescente.

Inoltre, le stesse asserzioni valgono abolendo ovunque la parolastrettamente.

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4. Le Funzioni Elementari

Per costruire modelli che coinvolgono funzioni occorre avere un certonumero di funzioni, che chiameremo elementari, di cui sono note leproprietà.

Usando tali funzioni si possono costruire la maggior parte dellefunzioni necessarie per l’impostazione di modelli matematici.

È pertanto molto importante una buona conoscenza e della defini-zione delle funzioni elementari e delle loro principali proprietà.

Naturalmente la classe delle funzioni elementari, sebbene codificatae delimitata dalla letteratura e dalla tradizione matematica è in qual-che modo aperta a nuovi ingressi che si rendano di uso frequente inapplicazioni future.

4.1 Le funzioni Potenze

Cominciamo con il definire cosa si intende per potenza di esponentenaturale;

Definizione 4.1 Sia n ∈ N, definiamo la funzione pn : R −→ R mediantela

pn(x) = xn;

pn si dice potenza di esponente n e di base x.

Teorema 4.1 Sia n ∈N, pn è strettamente crescente in R+.

Dimostrazione. Procediamo per induzione; è innanzi tutto ovvioche p1 è strettamente crescente in R+ ed inoltre se supponiamo pn

crescente in R+, presi x > y ≥ 0 si ha

pn+1(x) = xpn(x) > xpn(y) ≥ ypn(y) = pn+1(y)

e pn+1 è strettamente crescente su R+ 2

Teorema 4.2 Sia n ∈N, n pari, allora

1. pn(x) = pn(−x) per ogni x ∈ R

2. pn è strettamente decrescente su R−

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36 o.caligaris - p.oliva

3. R(pn) = R+

Dimostrazione.

1. Poichè n è pari si ha n = 2k, k ∈N e

xn = x2k = (x2)k = ((−x)2)k = (−x)2k = (−x)n

2. Siano x < y ≤ 0, allora −x > −y ≥ 0 e dal teorema 4.2,

pn(x) = pn(−x) > pn(−y) = pn(y)

3. È evidente che R(pn) ⊂ R+ in quanto xn = x2k e x2 ≥ 0, l’inclu-sione opposta dipende dal fatto che pn è una funzione continua edal teorema dei valori intermedi. Proveremo tale inclusione a suotempo.

2

Teorema 4.3 Sia n ∈N, n dispari, allora

1. pn(x) = −pn(−x) per ogni x ∈ R

2. pn è strettamente crescente su R−

3. R(pn) = R.

Dimostrazione.

1. Poiché n è dispari si ha n = 2k + 1 e

pn(x) = x2k+1 = xx2k = −(−x)(−x)2k = −(−x)n = −pn(−x)

2. Siano x < y ≤ 0, allora −x > −y ≥ 0 e, per il teorema 4.2,−pn(x) = pn(−x) > pn(−y) = −pn(y).

3. Anche in questo caso rimandiamo la dimostrazione al seguito.

2

Abbiamo visto che, se n ∈ N, n pari, allora pn : R+ −→ R+ èstrettamente crescente e surgettiva; pertanto pn è invertibile ed èlecito definire

rn : R+ −→ R+ come rn = (pn)−1.

Se x ∈ R+, rn(x) si dice radice n-esima di x.

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Sia n ∈ N, n dispari, abbiamo già visto che pn : R −→ R èstrettamente crescente e surgettiva; pertanto pn è invertibile ed èlecito definire

rn : R −→ R come rn = (pn)−1

Se x ∈ R, rn(x) si dice radice n-esima di x.

Figura 4.1: Potenze ad esponentenaturale

Teorema 4.4 Sia n ∈N

1. se n è pari, rn : R+ −→ R+ è strettamente crescente;

2. se n è dispari, rn : R −→ R è strettamente crescente.

Definiamo ancora le potenze ad esponente negativo.

Definizione 4.2 Sia n ∈N, p−n : R \ {0} −→ R è definita come

p−n(x) = 1/pn(x)

inoltre, p0 : R −→ R è definita da

p0(x) = 1 ∀x ∈ R

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Figura 4.2: Radici ad esponente naturale

Per studiare le proprietà di crescenza, decrescenza e invertibilità dip−n sarà sufficiente fare ricorso al seguente risultato.

Teorema 4.5 Sia f : D −→ R tale che f (x) > 0 per ogni x ∈ D; allora

1. f è (strettamente) crescente⇔ 1/ f è (strettamente) decrescente;

2. f è (strettamente) decrescente⇔ 1/ f è (strettamente) crescente.

Definizione 4.3 Sia s ∈ Q, s = m/n, m ∈ Z, n ∈ N; definiamo lafunzione fs : R+ −→ R+ mediante la

fs(x) = pm(rn(x)) = rn(pm(x))

Se x ∈ R+, fs(x) si dice potenza ad esponente frazionario di esponente sdi base x.

Osservazione. Se x ∈ R+ la definizione 4.3 è indipendente dalla rap-presentazione di s in forma frazionaria e dall’ordine in cui viene fattala composizione tra potenza e radice.

Se invece x ∈ R− può accadere che rn(pm(x)) sia definito anchequando pm(rn(x)) non lo è.

Inoltre, se m/n, m′/n′ sono due diverse rappresentazioni fraziona-rie dello stesso numero razionale s, può accadere che rn(pm(x)) siadefinito mentre rn′(pm′(x)) non lo è.

(Si consideri ad esempio m = 2 ed n = 4; allora se x < 0 si ha cher4(p2(x)) è definito mentre p2(r4(x)) no.

Inoltre se m′ = 1 e n′ = 2 r4(p2(x)) è definito mentre r2(p1(x))no.) 2

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analisi matematica 1 39

[]

Figura 4.3: Potenze ad esponentenegativo

Pertanto per valori di x ∈ R− consideriamo la composizione dipotenze e radici ove essa ha senso, ma non definiamo in alcun modola funzione potenza ad esponente razionale.

Ribadiamo ancora che ciò è dovuto al fatto che non è agevole,e talvolta non è possibile, definire in modo univoco la potenza adesponente razionale in R−.

Ciò non significa comunque rinunciare a considerare la composizio-ne di una potenza di esponente n e di una radice di indice m, qualoraessa abbia senso, anche per valori dell’argomento negativi.

Ad esempio è chiaro che p2(r3(−2)) risulta perfettamente ed uni-vocamente individuato.

In casi simili tuttavia, pur trattando la funzione composta

pm(rn(·))

non parleremo di potenza ad esponente razionale nm e non pretendere-

mo di applicare a pm(rn(·))le proprietà delle potenze in quanto, comevisto, potrebbero risultare false.

Teorema 4.6 Sia s ∈ Q, s > 0, e sia fs : R+ −→ R+, allora fs èstrettamente crescente.

Dimostrazione. Infatti se s = mn > 0 allora si ha m, n ∈N e quindi

xs = pm(rn(x)) = rn(pm(x))

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40 o.caligaris - p.oliva

è la composizione di due funzioni strettamente crescenti. 2

Figura 4.4: Potenze ad esponentepositivo

E’ inoltre possibile dimostrare che le usuali regole di calcolo dellepotenze naturali continuano a valere anche per le potenze ad esponen-te razionale In altre parole si può provare che

Se s, r ∈ Q, e se x, y ∈ R+, allora si ha:

1. xs+r = xsxr

2. (xs)r = xsr

3. (xy)s = xsys

Si dimostra altresì che

Teorema 4.7 Se x > 1 la funzione Q 3 r 7→ xr è crescente su Q

In altre parole per s, r ∈ Q, s < r; si ha

xs < xr

Dimostrazione. Si ha

xr − xs = xs(xr−s − 1) > 0

in quantoxs > 0 e xr−s > 1

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analisi matematica 1 41

dal momento che essendo r− s > 0 la funzione x 7→ xr−s è crescenteed x > 1. 2

Per poter definire la potenza ad esponente reale potenza anche peresponenti reali è necessario ricordare che piccole variazioni dell’espo-nente razionale corrispondono a piccole variazioni della potenza; piùprecisamente possiamo affermare che:

Teorema 4.8 Sia x > 1 e sia r ∈ Q, allora per ogni ε > 0 esiste nε ∈ N

tale che0 < xr − xr−1/nε < ε

Sfruttando questa proprietà è facile capire come sia naturale definirexa per ogni x > 1.

Nel caso in cui sia invece 0 < x < 1 potremo considerare 1x > 1,

calcolare(

1x

)ae definire

xa =1

x−a =

(1x

)−a

Se x = 1, infine definiamo 1a = 1 per ogni a.

Definizione 4.4 Sia x > 1 e sia a ∈ R; definiamo

xa = sup{xr : r ∈ Q, r ≤ a} = sup{xr : r ∈ Q, r < a}

La precedente definizione afferma implicitamente che i due estre-mi superiori che vi figurano sono reali ed uguali; possiamo infattiverificare che

Siano A = {xr : r ∈ Q, r ≤ a} e B = {xr : r ∈ Q, r < a} allora

sup A = sup B ∈ R

Definizione 4.5 Se x = 1 definiamo 1a = 1 per ogni a ∈ R. Se 0 < x < 1definiamo xa = (1/x)−a.

A partire dalla definizione data possiamo verificare che la quantitàxa per x > 0 ed a ∈ R soddisfa le proprietà che siamo abituati ad usarequando maneggiamo potenze.

se x, y > 0 e se a, b ∈ R, allora

1. xa > 0

2. xa+b = xaxb

3. (xa)b = xab

4. (xy)a = xaya

5. 1/(xa) = x−a

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42 o.caligaris - p.oliva

4.2 Sulla definizione di potenza reale

Teorema 4.9 Se x > 1 e se r ∈ Q, per ogni ε > 0 esiste nε ∈N tale che

0 < xr+1/nε − xr < ε

Dimostrazione. Per il teorema 4.7 è ovvio che

xr+1/n − xr > 0

d’altro canto si ha

xr+1/n − xr = xr(x1/n − 1)

Sia

yn = x1/n − 1

da cui

x = (yn + 1)n > 1 + nyn

ed anche

yn < (x− 1)/n

Per il teorema 2.7 (principio di Archimede) si ha allora che esiste nε ∈N tale che

ynε < ε/xr

e si ottiene che

0 < xr+1/nε − xr < (ε/xr)xr = ε

2

Corollario 4.1 Sia x > 1 e sia r ∈ Q, allora per ogni ε > 0 esiste nε ∈ N

tale che

0 < xr − xr−1/nε < ε

Dimostrazione. Si ricordi che

xr − xr−1/n = (xr+1/n − xr)/(x1/n)

e che

x1/n > 1

2

Siano A = {xr : r ∈ Q, r ≤ a} e B = {xr : r ∈ Q, r < a} allora

sup A = sup B ∈ R

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analisi matematica 1 43

Infatti intanto è ovvio che B ⊂ A ed inoltre che 0 ∈ m(A) ed xt ∈M(A) se t ∈ Q , t > a; con il che si prova subito che i due insiemi sonolimitati sia superiormente che inferiormente e che posto

α = sup A , β = sup B

α, β ∈ R.Proviamo che α = β.E’ intanto ovvio che α ≥ xr per ogni r ∈ Q, r < a; inoltre ∀ε > 0

∃rε ∈ Q tale che rε ≤ a e xrε > α− ε/2.Sia ora nε ∈N tale che

ε/2 > xrε − xrε−1/nε > 0 ;

si harε − 1/nε < a

ed anche

xrε−1/nε = xrε − xrε + xrε−1/nε > xrε − ε/2 > α− ε/2− ε/2 = α− ε

Ciò è sufficiente per concludere che

∀ε > 0 ∃r′ε ∈ Q tale che r′ε < a e xr′ε > α− ε

e pertantoα = sup B = β

Teorema 4.10 se x, y > 0 e se a, b ∈ R, allora

1. xa > 0

2. xa+b = xaxb

3. (xa)b = xab

4. (xy)a = xaya

5. 1/(xa) = x−a

Dimostrazione. Consideriamo come al solito il caso x, y > 1 .

1. è immediato dalla definizione;

2.xa = sup{xr : r ∈ Q, r < a} = sup A

xb = sup{xs : s ∈ Q, s < b} = sup B

xa+b = sup{xt : t ∈ Q, t < a + b} = sup C

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44 o.caligaris - p.oliva

Dal momento che A, B, C ⊂ R+, avremo concluso se dimostriamoche C = A · B in tal caso infatti si ha

sup C = sup A sup B

.

Intanto è ovvio cheC ⊃ A · B

infatti sia y ∈ A · B allora

y = xrxs con r, s ∈ Q, r < a, s < b

da cuiy = xr+s con r + s < a + b e y ∈ C.

D’altro canto sia w ∈ C, allora

w = xt , t ∈ Q , t < a + b;

scelto r ∈ Q tale che t− b < r < a e posto s = t− r < b si ha

w = xt = xr+s = xrxs , r, s ∈ Q, r < a, s < b

e pertanto w ∈ A · B.

Le dimostrazioni di (3) e (4) possono essere completate seguen-do procedimenti analoghi, ma sono macchinose e non verranno quiapprofondite.

Per quanto riguarda (5) osserviamo che xax−a = 1. 2

Definizione 4.6 Sia a ∈ R, definiamo la funzione pa : R+ → R+ mediantela

x 7→ pa(x) = xa

potenza di esponente a

Teorema 4.11 Sia a ∈ R, valgono i seguenti fatti:

1. Se a > 0 allora pa è strettamente crescente

2. Se a < 0 allora pa è strettamente decrescente

3. Se a 6= 0 allora R(pa) = R+s

Dimostrazione.

1. Sia 0 < x < y, occorre provare che xa < ya, cioè che xa − ya < 0; siha

xa − ya = xa(1− (y/x)a) e (y/x) > 1

pertanto (y/x)r > 1 per ogni r ∈ Q, 0 < r ≤ a e (y/x)a > 1.

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analisi matematica 1 45

Figura 4.5: Potenze ad esponente reale

2. È immediata conseguenza di (1)

3. Il fatto che R(pa) ⊂ R+ segue dalla definizione di potenza, men-tre la dimostrazione dell’inclusione opposta si ottiene mediante ilteorema dei valori intermedi.

2

Teorema 4.12 Sia a ∈ R, a 6= 0, allora pa è invertibile su R+ e p−1a = p1/a.

Dimostrazione. Sarà sufficiente dimostrare che

pa(p1/a(y)) = y ∀y ∈ R+

e

p1/a(pa(x)) = x ∀x ∈ R+.

Si ha infatti

pa(p1/a(y)) = (y1/a)a = ya/a = y

e

p1/a(pa(x)) = (xa)1/a = xa/a = x.

2

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46 o.caligaris - p.oliva

4.3 La funzione esponenziale

Definizione 4.7 Sia a ∈ R+, definiamo la funzione expa : R −→ R+

mediante lax 7→ expa(x) = ax

esponenziale di base a

Figura 4.6: Esponenziali di base a > 1

Teorema 4.13 Sia a > 0, valgono i seguenti fatti

1. Se a > 1 allora expa è strettamente crescente

2. Se 0 < a < 1 allora expa è strettamente decrescente

3. Se a 6= 1 allora R(expa) = R+.

Dimostrazione.

1. Siano x, y ∈ R, x < y, allora esistono r, s ∈ Q tali che x < r < s < ye perciò

ax ≤ ar < as ≤ ay

dove la prima e la terza disuguaglianza discendono dalla definizio-ne 4.4, mentre la seconda segue dal teorema 4.7.

2. è conseguenza di (1)

3. Il fatto che R(expa) ⊂ R+ è conseguenza della definizione di po-tenza; l’inclusione opposta segue ancora dal teorema dei valori in-termedi.

2

4.4 La funzione logaritmo

Definiamo ora la funzione inversa dell’esponenziale.

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analisi matematica 1 47

Figura 4.7: Esponenziali di base a, 0 <a < 1

Figura 4.8: Esponenziali

Sia a ∈ R+, a 6= 1, allora la funzione expa : R −→ R+ èstrettamente monotona e surgettiva, pertanto essa è invertibile e sipuò considerare la funzione loga : R+ −→ R definita da

loga = exp−1a

Se x ∈ R+, loga(x) si dice logaritmo in base a di x.

Figura 4.9: Logaritmi in base maggioredi 1

Teorema 4.14 Sia a ∈ R, allora

1. Se a > 1 allora loga è strettamente crescente

2. Se 0 < a < 1 allora loga è strettamente decrescente

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48 o.caligaris - p.oliva

Figura 4.10: Logaritmi in base minore di1

Teorema 4.15 Siano a, b ∈ R+, a, b 6= 1, x, y ∈ R+, z ∈ R, allora

1. loga(xy) = loga(x) + loga(y)

2. loga(xz) = z loga(x)

3. loga(x) = loga(b) logb(x).

Dimostrazione.

1. Siano u = loga(x) e v = loga(y), allora x = expa(u) e y = expa(v),da cui

xy = expa(u) expa(v) = expa(u + v)

eu + v = loga(xy)

2. Sia u = loga(x), allora x = expa(u) e xz = (expa(u))z = expa(zu)

per cuizu = loga(xz)

3.

expa(loga(b) logb(x)) = (expa(loga(b)))logb(x) = expb(logb(x)) = x

eloga(x) = loga(b) logb(x)

2

4.5 Le funzioni trigonometriche

Ci apprestiamo, per concludere questa parte, a definire le cosiddet-te funzioni circolari. A questo scopo abbiamo bisogno di definire lalunghezza di un arco di circonferenza.

Possiamo approssimare, per difetto, la lunghezza della circonferen-za utilizzando il perimetro dei poligoni regolari inscritti nel cerchio

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analisi matematica 1 49

Figura 4.11: Logaritmi

di raggio 1 mentre il perimetro dei poligoni regolari circoscritti la ap-prossima per eccesso. Ovviamente otterremo una approssimazionetanto più buona quanto maggiore è il numero dei lati del poligonoconsiderato.

Pertanto possiamo usare come prima approssimazione il perimetrodi un triangolo equilatero procedere raddoppiando il numero dei lati.

Siano quindi:

Figura 4.12:

`n`2n

Ln

cn

c2n

12cn

• Ln Il lato del poligono regolare circoscritto di n lati

• `n lato del poligono regolare inscritto di n lati

• `2n,L2n lato del poligono regolare inscritto, circoscritto di 2n lati

• cn, c2n complementi di `n, `2n

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50 o.caligaris - p.oliva

cn, `n ed il diametro per un estremo di `n formano un triangolo ret-tangolo. an,An sono le aree dei poligoni regolari inscritti e circoscritti.

La similitudine dei triangoli tratteggiati in figura 4.13 assicura cheil segmento che congiunge il centro del cerchio ed il punto medio di`n misura 1

2 cn.Inoltre , per la similitudine dei triangoli tratteggiati in figura 4.14 si

ha

`n

Ln=

12

cn da cui cn =2`n

Lned anche c2n =

2`2n

L2n(4.1)

Figura 4.13:

`n`2n

Ln

cn

c2n

12cn

Figura 4.14:

`n`2n

Ln

cn

c2n

12cn

Figura 4.15:

`n`2n

Ln

cn

c2n

12cn

Figura 4.16:

`n`2n

Ln

cn

c2n

12cn

1 2

3

45

6

7

8

Per la similitudine dei triangoli tratteggiati in figura 4.15 si ha

c2n

2=

`n2`2n

, c2n =`n

`2n(4.2)

Pertanto

2`2n

L2n= c2n =

`n

`2nda cui 2`2

2n = `nL2n

e, se chiamiamo pn e Pn i perimetri dei poligoni regolari di n latiinscritti e circoscritti, otteniamo

4n2`22n = n`n2nL2n da cui p2

2n = pnP2n

ed infine

p2n =√

pnP2n

Per il Teorema di Talete applicato al triangolo tratteggiato in Figura4.16 si ha

c22n = 2(1 +

12

cn) = 2 + cn

e, tenendo conto delle 4.1 ,4.2

2`n

L2n=

2`n

`2n

`2n

L2n= c2nc2n = c2

2n = 2 + cn = 2 +2`n

Ln

1L2n

=1`n

+1

Lne L2n =

`nLn

Ln + `n

nL2n =n`nnLn

nLn + n`ncioèP2n =

pnPn

pn + Pn

Pertanto avremo che p2n =√

pnP2n

P2n = 2pnPnpn+Pn

Possiamo pertanto considerare due successioni definite da

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analisi matematica 1 51

p+k = P2k , p−k = p2k

i cui valori sono i perimetri dei poligoni regolari circoscritti edinscritti di 2, 4, 8, 16... lati.

È evidente che p−k è crescente e limitata superiormente e che p+k èdecrescente e limitata inferiormente;

Inoltre è evidente che P+k − p−k tende a zero.

e se chiamiamo P = inf p+k e p = supp−k si hap2 = pP

P = 2pPp+P =⇒ P2 + pP = 2pP =⇒ P2 = pP

Ne segue subito che p = P e possiamo usare tale valore per definirela lunghezza della circonferenza unitaria. Tale valore viene solitamenteindicato con 2π.

(Le affermazioni fatte sono dimostrabili nel contesto dei risultatisulle successioni numeriche.)

Si calcola che

p48 =288

(6 + 4√

3)

√√√√12√

2

√ √3

6 + 4√

3+

48√

36 + 4

√3

≈ 6.265257227

e

P48 =

1152√

2

√ √3

6 + 4√

3

√3

(6 + 4√

3) (12√

2

√ √3

6 + 4√

3+

48√

36 + 4

√3)

≈ 6.319319887

La tabella mostra i valori di pn e di Pn per n = 3 ∗ 2k con k = 1 · · · 10

k 3 · 2k pn Pn Errore0 3 5.196152424 10.39230485 5.196152424

1 6 6 6.928203232 .928203232

2 12 6.211657082 6.430780622 .219123540

3 24 6.265257227 6.319319887 .54062660e-14 48 6.278700407 6.292172427 .13472020e-15 96 6.282063902 6.285429205 .3365303e-26 192 6.282904952 6.283746105 .841153e-37 384 6.283115212 6.283325488 .210276e-3

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52 o.caligaris - p.oliva

8 768 6.283167780 6.283220353 .52573e-49 1536 6.283180936 6.283194070 .13134e-4

10 3072 6.283184205 6.283187491 .3286e-511 6144 6.283185052 6.283185858 .806e-612 12288 6.283185254 6.283185421 .167e-6

Tabella 4.1:

Usualmente si indica con π la lunghezza di una semicirconferenzadi raggio 1; si ha con 51 cifre decimali esatte:

π = 3.141592653589793238462643383279502884197169399375105

1 rad

Figura 4.17: Definizione di radiante

Definizione 4.8 Diciamo che un angolo x misura 1 radiante se è l’angolo alcentro che sottende un arco di lunghezza R in una circonferenza di raggio R.(vedi fig. ??)

Osservazione. Ovviamente un angolo giro misura 2π radianti, men-tre un angolo piatto misura π radianti. Più in generale, se α è la misuradi un angolo in gradi sessagesimali e x è la misura dello stesso angoloin radianti, si ha

α

x=

180π

Questa relazione permette di convertire rapidamente la misura diun angolo da gradi in radianti e viceversa. 2

Figura 4.18: Definizione di sin e cos

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analisi matematica 1 53

Definizione 4.9 Sia x ∈ [0, 2π] e consideriamo su di una circonferenzadi raggio 1, centrata nell’origine delle coordinate, un arco Γ di lunghezza xaventi il primo estremo coincidente con il punto (1, 0) (vedi fig. ??).

Definiamo cos(x) e sin(x) rispettivamente l’ascissa e l’ordinata del secon-do estremo dell’arco.

Definizione 4.10 Definiamo cos : R −→ R e sin : R −→ R nella se-guente maniera: sia x ∈ R e sia k = E(x/2π), allora 2kπ ≤ x <

2(k + 1)π.

Figura 4.19: Grafico della funzione sin

Figura 4.20: grafico della funzione cos

Poniamo

cos(x) = cos(x− 2kπ) e sin(x) = sin(x− 2kπ)

Teorema 4.16 Valgono i seguenti fatti

1. R(cos) = [−1, 1]

2. R(sin) = [−1, 1]

Dimostrazione. E’ ovvio dalla definizione che R(cos) ⊂ [−1, 1] eR(sin) ⊂ [−1, 1]. Rimandiamo al seguito la dimostrazione dell’inclu-sione opposta. 2

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54 o.caligaris - p.oliva

Figura 4.21: grafico della funzione tan

Definizione 4.11 Definiamo tan : D −→ R, D = {x 6= kπ + π/2, k ∈Z}, mediante la tan(x)

tan(x) =sin(x)cos(x)

Definizione 4.12 Siano D ⊂ R e T ∈ R tali che x ∈ D ⇒ x + T ∈ D; siainoltre f : D −→ R; f si dice periodica di periodo T se,

∀x ∈ D, f (x) = f (x + T)

Enunciamo a questo punto, senza dimostrarle, alcune fondamentaliproprietà delle funzioni introdotte.

Siano x, y ∈ R, valgono i seguenti fatti:

1. cos(−x) = cos(x)

2. sin(−x) = − sin(x)

3. sin2(x) + cos2(x) = 1

4. sin(x + y) = sin(x) cos(y) + cos(x) sin(y)

5. cos(x + y) = cos(x) cos(y)− sin(x) sin(y)

6. sin e cos sono periodiche di periodo 2π

7. tan è periodica di periodo π

Valgono inoltre i seguenti fatti

1. sin : [−π/2, π/2] −→ [−1, 1] è strettamente crescente e surgettiva.

2. cos : [0, π] −→ [−1, 1] è strettamente decrescente e surgettiva.

3. tan : (−π/2, π/2) −→ R è strettamente crescente e surgettiva.

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analisi matematica 1 55

Figura 4.22: Grafico della funzionearcsin

Le verifiche delle proprietà enunciate sono basate su considerazionigeometriche che qui non stiamo ad investigare.

Definizione 4.13 Definiamo

arccos : [−1, 1] −→ [0, π] (4.3)

arcsin : [−1, 1] −→ [−π/2, π/2] (4.4)

arctan : R −→ (−π/2, π/2) (4.5)

mediante le

arccos = cos−1 (4.6)

arcsin = sin−1 (4.7)

arctan = tan−1 (4.8)

Figura 4.23: Grafico della funzionearccos

La definizione è ben posta e valgono i seguenti fatti:

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56 o.caligaris - p.oliva

Teorema 4.17 La funzione arccos è strettamente decrescente su [−1, 1]; lafunzione arcsin è strettamente crescente su [−1, 1]; la funzione arctan èstrettamente crescente su R.

Figura 4.24: Grafico della funzionearctan

Osservazione. Occorre ricordare sempre che la denominazione arcsin,arccos ed arctan è riservata alle inverse delle funzioni trigonometrichenegli intervalli indicati nella definizione 4.13

Naturalmente, tali intervalli non sono gli unici in cui le funzioni inquestione sono invertibili, tuttavia se vogliamo invertire una funzio-ne trigonometrica in intervalli diversi da quelli sopra citati dobbiamotener presente che le funzioni che otteniamo sono differenti da quelledefinite in 4.13.

In particolare è opportuno ricordare che

sin(arcsin(x)) = x ∀x ∈ [−1, 1] (4.9)

cos(arccos(x)) = x ∀x ∈ [−1, 1] (4.10)

tan(arctan(x)) = x ∀x ∈ R (4.11)

arcsin(sin(x)) = |x− 2kπ + π/2| − π/2 ∀x ∈ R, k = E(

x + 3π/22π

)(4.12)

arccos(cos(x)) = |x− 2kπ| ∀x ∈ R, k = E(

x + π

)(4.13)

arctan(tan(x)) = x− kπ ∀x ∈ R, k = E(

x + π/2π

)(4.14)

(4.15)

2

Le notazioni arcsin, arccos, arctan non sono universalmente adot-tate. Nel seguito useremo anche le notazioni asn, acs, atn, rispettiva-mente.

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analisi matematica 1 57

Figura 4.25: Grafico della funzionearctan(tan)

Figura 4.26: grafico della funzionearcsin(sin)

Figura 4.27: Grafico della funzionearccos(cos)

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5. Definizione di Limite e sue Con-seguenze

Il concetto di limite è centrale in tutta l’analisi e da esso dipendel’essenza stessa del calcolo infinitesimale.

Si tratta di formalizzare un concetto che consenta di estendere ilconcetto di uguaglianza algebrica.

A questo scopo è necessario premettere alcuni concetti.Conveniamo di indicare con R∗ l’insieme R∪ {±∞}, che chiamere-

mo R esteso.

Definizione 5.1 Sia x ∈ R∗ e δ > 0, definiamo intorno di centro x eampiezza δ l’insieme I(x, δ) definito da

I(x, δ) = (x− δ, x + δ) (5.1)

I(+∞, δ) = (δ,+∞) (5.2)

I(−∞, δ) = (−∞,−δ) (5.3)

Definiamo intorno bucato di centro x e ampiezza δ l’insieme Io(x, δ).

Io(x, δ) = I(x, δ) \ {x} (5.4)

Io(+∞, δ) = I(+∞, δ) (5.5)

Io(−∞, δ) = I(−∞, δ) (5.6)

Definizione 5.2 Sia A ⊂ R, diciamo che x ∈ R∗ è un punto di accumula-zione per A se

∀δ ∈ R+ A ∩ Io(x, δ) 6= ∅ (5.7)

Indichiamo con D(A) l’insieme dei punti di accumulazione di A; D(A) siindica usualmente con il nome di insieme derivato di A.

Osserviamo esplicitamente che D(A) può non essere un sottoinsieme di R

in quanto +∞ e −∞ possono essere elementi di D(A).

Definizione 5.3 Sia f : D −→ R, x0 ∈ D(D) ed ` ∈ R∗; diciamo che

limx→x0

f (x) = ` (5.8)

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60 o.caligaris - p.oliva

se

∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che (5.9)

∀x ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha f (x) ∈ I(`, ε)

Osservazione. Nel caso in cui x0 ed ` siano entrambi reali la 5.9 puòessere riscritta nella seguente maniera

∀x ∈ D tale che 0 < |x− x0| < δε si ha | f (x)− `| < ε (5.10)

se x0 = +∞ (−∞) ed ` ∈ R la 5.9 diviene

∀x ∈ D tale che x > δε (x < −δε) si ha | f (x)− `| < ε (5.11)

Notiamo che, nel caso ` ∈ R, se la 5.9 è verificata per ε ∈ (0, ε0),essa è automaticamente verificata anche per tutti gli ε ≥ ε0, pur didefinire δε = δε0 .

Se x0 ∈ R e ` = +∞ (−∞) la 5.9 diviene

∀x ∈ D tale che 0 < |x− x0| < δε si ha f (x) > ε ( f (x) < −ε)

(5.12)se x0 = +∞ (−∞) e ` = +∞ (−∞) la 5.9 diviene

∀x ∈ D : x > δε (x < −δε) si ha f (x) > ε ( f (x) < −ε)

(5.13)Notiamo anche qui che, nel caso in cui ` = +∞ o ` = −∞, se la 5.9

è verificata per ε > ε0, essa è automaticamente verificata pure per tuttigli ε ∈ (0, ε0], pur di definire δε = δε0 .

2

Osservazione. Se esiste ` ∈ R tale che valga la definizione 5.3 si diceche f ammette limite finito per x → x0; in caso contrario si dice che fnon ammette limite finito.

Se esiste ∈ R∗ tale che valga la definizione 5.3 si dice che f ammettelimite per x → x0; in caso contrario si dice che f non ammette limite.

2

Definizione 5.4 Sia f : D −→ R, sia x0 ∈ D(D); diciamo che f è lo-calmente (superiormente) [inferiormente] limitata in x0 se esiste M ∈ R edesiste δ > 0 tale che

| f (x)| ≤ M , ( f (x) ≤ M) , [ f (x) ≥ M] ∀x ∈ I(x0, δ) ∩ D(5.14)

Passiamo ora a dimostrare che una funzione che ammette limitefinito è localmente limitata.

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analisi matematica 1 61

Teorema 5.1 Sia f : D −→ R, sia x0 ∈ D(D) e supponiamo che

limx→x0

f (x) = `

allora:

1. se ` ∈ R, allora f è localmente limitata in x0;

2. se ` > 0 (eventualmente ` = +∞ ) allora esiste δ > 0 ed esiste M ∈ R

tale che se x ∈ Io(x0, δ) ∩ D si ha

f (x) ≥ M > 0

Dimostrazione.

1. Sia ε > 0, se x ∈ Io(x0, δε) si ha

`− ε < f (x) < `+ ε

e

| f (x)| ≤ max{|`+ ε|, |`− ε|, | f (x0)|} ∀x ∈ Io(x0, δε) ∩ D

2. Sia ` ∈ R+, se x ∈ Io(x0, δ`/2) ∩ D si ha

f (x) > `− `/2 = `/2 > 0.

Sia invece ` = +∞, se x ∈ Io(x0, δ1) ∩ D si ha

f (x) > 1 > 0.

2

Teorema 5.2 Sia f : D −→ R e sia x0 ∈ D(D); allora, se f ammette limiteper x → x0, tale limite è unico.

Dimostrazione. Supponiamo che `1 ed `2 siano entrambi limiti dif per x → x0; occorre distinguere alcuni casi:

• se `1, `2 ∈ R, si ha ∀ε > 0, se x ∈ Io(x0, δε/2) ∩ D ,

|`1 − `2| ≤ | f (x)− `1|+ | f (x)− `2| < ε/2 + ε/2 = ε

• Se `1 ∈ R ed `2 = +∞, si ha che se x ∈ Io(x0, δ1) ∩ D

| f (x)| ≤ M

ma essendo `2 = +∞, se x ∈ Io(x0, δM) ∩ D si ha

f (x) > M;

ciò è assurdo per tutti gli x ∈ Io(x0, δ) ∩ D, con δ = min{δ1, δM}.

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62 o.caligaris - p.oliva

• Se `1 ∈ R ed `2 = −∞ ci si riconduce facilmente al caso precedente,considerando − f in luogo di f .

Se `1 = +∞ ed `2 = −∞ si ha

x ∈ Io(x0, δ1) ∩ D ⇒ f (x) > 1 e f (x) < −1

il che è assurdo.

2

Definizione 5.5 Supponiamo f : D −→ R e sia x0 ∈ D(D+) ∩R, D+ =

{x ∈ D : x ≥ x0}.Diciamo che

limx→x+0

f (x) = ` , ` ∈ R∗

se∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che se x ∈ D e x0 < x < x0 + δε si ha

f (x) ∈ I(`, ε)

Se x0 ∈ D(D−) ∩R, D− = {x ∈ D : x ≤ x0}, diciamo che

limx→x−0

f (x) = ` , ` ∈ R∗

se ∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che se x ∈ D e x0 − δε < x < x0 si ha

f (x) ∈ I(`, ε)

Teorema 5.3 Sia f : D −→ R e sia x0 ∈ D(D+) ∩ D(D−) ∩R, allora se` ∈ R∗, si ha

limx→x0

f (x) = ` ⇔ limx→x+0

f (x) = limx→x−0

f (x) = `

Dimostrazione. Cominciamo con l’osservare che se il limite esiste∀ε > 0 esiste δε > 0 tale che se x0 − δε < x < x0 + δε con x 6= x0 edx ∈ D si ha

f (x) ∈ I(`, ε)

e ciò implica per la definizione 5.5, la tesi.Se viceversa esistono i limiti da destra e da sinistra ∀ε > 0 esistono

δ1ε , δ2

ε > 0 tali che se x0 < x < x0 + δ1ε , x ∈ D si ha

f (x) ∈ I(`, ε)

e se x0 − δ2ε < x < x0, x ∈ D si ha

f (x) ∈ I(`, ε)

Pertanto se si sceglie

δε = min{δ1ε , δ2

ε }

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analisi matematica 1 63

la definizione di limite è verificata. 2

A questo punto è conveniente definire in R∗ le operazioni di ad-dizione e di moltiplicazione che fino a questo momento sono definitesolamente in R.

Osserviamo esplicitamente che non sono applicabili a queste ope-razioni le usuali regole che permettono di svolgere calcoli con i nu-meri reali. Riterremo pertanto lecite tutte e sole le uguaglianze checoinvolgono gli elementi +∞ e −∞ che elenchiamo qui di seguito.

Definiamo:

x±∞ = ±∞ + x = ±∞ ∀x ∈ R

x(±∞) = (±∞)x = ±∞ ∀x ∈ R+

x(±∞) = (±∞)x = ∓∞ ∀x ∈ R−x±∞

= 0 ∀x ∈ R∣∣ x0

∣∣ = +∞ ∀x ∈ R \ {0}

+ ∞ + ∞ = +∞, −∞−∞ = −∞

(±∞)(+∞) = ±∞ | ±∞| = +∞

Ricordiamo inoltre che non sono definite le seguenti operazioni;

+∞−∞ , 0(±∞) ,±∞±∞

,00

in quanto ciò potrebbe dar luogo facilmente ad inconvenienti e aderrate interpretazioni.

Teorema 5.4 Siano f , g : D −→ R e sia x0 ∈ D(D); supponiamo che

limx→x0

f (x) = `1 e limx→x0

g(x) = `2 , `1, `2 ∈ R∗

Allora

1. limx→x0 | f (x)| = |`1|

2. limx→x0 ( f (x) + g(x)) = `1 + `2 tranne che nel caso in cui `1 = ±∞ e`2 = ∓∞

3. limx→x0 f (x)g(x) = `1`2 tranne che nel caso in cui `1 = 0 e `2 =

±∞

4. limx→x01

f (x) =1`1

tranne che nel caso in cui `1 = 0

Dimostrazione. Dimostriamo le varie asserzioni nel caso in cui x0 ∈R, `1, `2 ∈ R.

Per ipotesi abbiamo che ∀ε > 0 ∃δ1ε , δ2

ε > 0 tali che ∀x ∈ Io(x0, δ1ε )∩

D si ha| f (x)− `1| < ε

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64 o.caligaris - p.oliva

∀x ∈ Io(x0, δ2ε ) ∩ D si ha

|g(x)− `2| < ε

1. Se x ∈ Io(x0, δ1ε ) ∩ D si ha

|| f (x)| − |`1|| ≤ | f (x)− `1| ≤ ε

2. Sia δε = min{δ1ε/2, δ2

ε/2}, se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha

| f (x) + g(x)− (`1 + `2)| ≤ | f (x)− `1|+ |g(x)− `2| < ε/2+ ε/2 = ε

3. Sia δ3 tale che se x ∈ Io(x0, δ3) ∩ D si ha

|g(x)| ≤ M

sia `1 6= 0 (il caso `1 = 0 risulta banale) e sia

δε = min{δ1ε/(2M), δ2

ε/(2|`1|), δ3}

allora se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha

| f (x)g(x)− `1`2| = | f (x)g(x)− g(x)`1 + g(x)`1 − `1`2| ≤≤ |g(x)|| f (x)− `1|+ |`1||g(x)− `2| <

< Mε/(2M) + ε|`1|/(2|`1|) = ε

(5.15)

4. Sia δ4 > 0 tale che se x ∈ Io(x0, δ4) ∩ D si ha

| f (x)| ≥ M > 0

sia δε = min{δ1εM|`1|

, δ4}, allora se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha∣∣∣∣ 1f (x)

− 1`1

∣∣∣∣ = | f (x)− `1|| f (x)||`1|

≤ εM|`1|M|`1|

= ε

Dimostriamo ora ad esempio la (2) nel caso in cui `1 = +∞ e `2 ∈ R

(da cui `1 + `2 = +∞); la (3) nel caso in cui `1 < 0 e `2 = −∞ (da cui`1`2 = +∞) e la (4) nel caso in cui `1 = ±∞ (da cui 1/`1 = 0).

• (2) Sia `1 = +∞ ed `2 ∈ R , allora, se x ∈ Io(x0, δ3) ∩ D si ha

|g(x)| < M

mentre, se x ∈ Io(x0, δ1ε ) ∩ D si ha

f (x) > ε;

pertanto se δε = min{δ3, δ1ε+M}, se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D, si ha

f (x) + g(x) > ε + M−M = ε

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analisi matematica 1 65

• (3) Sia `1 < 0 ed `2 = −∞, allora, se x ∈ Io(x0, δ4) ∩ D si ha

f (x) ≤ −M < 0

mentre se x ∈ Io(x0, δ2ε ) ∩ D si ha

g(x) < −ε;

allora, se δε = min{δ4, δ2ε/M}, per x ∈ Io(x0, δε) ∩ D

f (x)g(x) > −Mg(x) > −M(−ε/M) = ε

• (4) Sia δε = δ11/ε, allora se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha

| f (x)| > 1ε

e∣∣∣∣ 1

f (x)

∣∣∣∣ < ε

2

Possiamo a questo punto stabilire un utile corollario.

Corollario 5.1 Siano f , g : D −→ R, x0 ∈ D(D) e supponiamo che

limx→x0

f (x) = `1 , limx→x0

g(x) = `2

con `1, `2 ∈ R∗ ed `1 < `2; allora

∃δ > 0 : ∀x ∈ Io(x0, δ) , f (x) < g(x)

Per completare il quadro di risultati proviamo il seguente

Teorema 5.5 Sia f : D → R, D1 = {x ∈ D : f (x) 6= 0}, x0 ∈D(D1),

limx→x0

f (x) = 0

alloralim

x→x0

1| f (x)| = +∞ (5.16)

se esiste δ > 0 tale che per x ∈ Io(x0, δ) ∩ D si ha f (x) > 0 ( f (x) < 0),

limx→x0

1f (x)

= +∞ (−∞) (5.17)

Dimostrazione. Per ipotesi, Per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che sex ∈ Io(x0, δε) ∩ D si ha | f (x)| < ε.

x ∈ Io(x0, δ1/ε) ⇒ | f (x)| < 1/ε

e1| f (x)| > ε

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66 o.caligaris - p.oliva

(2) Supponiamo per semplicità che f sia localmente positiva in x0;sia

δ′ε = min{δ, δ1/ε},

allora, se x ∈ Io(x0, δ′ε) ∩ D

0 < f (x) < 1/ε e1

f (x)> ε

Il caso in cui f sia localmente negativa si riconduce banalmente alcaso sopra descritto.

2

Osservazione. Notiamo esplicitamente che è essenziale nella (2)l’ipotesi che f abbia segno localmente costante in x0.

Sia infatti f (x) = x sin(1/x) per x 6= 0; allora si può facilmenteverificare che

limx→0

f (x) = 0 e limx→0

1/| f (x)| = +∞;

tuttavia è altrettanto immediato verificare che 1/ f (x) non tende né a−∞ né a +∞, in quanto, se ciò accadesse, per valori di x vicini allo 0

si dovrebbe avere f (x) < 0 oppure f (x) > 0. 2

Sarà pure di fondamentale importanza il seguente teorema:

Teorema 5.6 Siano f , g, h : D −→ R, sia x0 ∈ D(D); supponiamo cheesista δ > 0 tale che, se x ∈ Io(x0, δ) ∩ D

f (x) ≤ g(x) ≤ h(x)

siano inoltre limx→x0 f (x) = `1 e limx→x0 h(x) = `2. Allora

`1, `2 ∈ R ⇒ `1 ≤ `2 (5.18)

`1 = `2 = ` ⇒ limx→x0

g(x) = ` (5.19)

`1 = +∞ ⇒ `2 = +∞ e limx→x0

g(x) = +∞ (5.20)

`2 = −∞ ⇒ `1 = −∞ e limx→x0

g(x) = −∞ (5.21)

Dimostrazione.La prima affermazione è una diretta conseguenza delcorollario 5.1.

Per quanto riguarda la seconda affermazione, dalle ipotesi si ha che∀ε > 0 esiste δε > 0 tale che, se x ∈ Io(x0, δε) ∩ D

`− ε < f (x) < `+ ε e `− ε < h(x) < `+ ε

da cui, per gli stessi valori di x si ha

`− ε < f (x) < g(x) < h(x) < `+ ε

Lasciamo al lettore la dimostrazione delle restanti affermazioni. 2

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analisi matematica 1 67

Teorema 5.7 Siano f : D −→ R e g : A −→ D; siano x0 ∈ D(D) et0 ∈ D(A); supponiamo che

limx→x0

f (x) = ` e limt→t0

g(t) = x0

Supponiamo inoltre che sia verificata una delle seguenti condizioni:

1. esiste δ > 0 tale che g(t) 6= x0 per ogni t ∈ I0(t0, δ);

2.f (x0) = `

Alloralimt→t0

f (g(t)) = `

Osserviamo che se tutte e due le condizioni vengono a mancare, ilteorema precedente può non essere vero.

Sia ad esempio D = A = R, g(t) = 0 ed f (x) = 0 se x 6= 0, f (0) = 1;allora

limt→0

g(t) = 0 , limx→0

f (x) = 0

mentrelimt→0

f (g(t)) = 1

Osserviamo inoltre che ognuna delle seguenti condizioni

1. x0 6∈ D,

2. x0 = ±∞

3. g è iniettiva

4. g è strettamente monotona

è sufficiente per la (1) del teorema 5.7

Teorema 5.8 Sia f : (a, b) −→ R, f crescente [decrescente]; allora

limx→a+

f (x) e limx→b−

f (x)

esistono e sono uguali rispettivamente a

inf{ f (x) : x ∈ (a, b)} [sup{ f (x) : x ∈ (a, b)}]

esup{ f (x) : x ∈ (a, b)} [inf{ f (x) : x ∈ (a, b)}]

Osserviamo esplicitamente che nel teorema precedente è essenzialesupporre che l’intervallo in cui si considera la funzione sia aperto.

Sia infatti f (x) = x se x ∈ [0, 1), f (1) = 2; allora

sup{ f (x) : x ∈ [0, 1]} = 2 6= 1 = limx→1−

f (x)

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68 o.caligaris - p.oliva

Corollario 5.2 Sia f : D −→ R una funzione monotona, allora per ognix0 ∈ D(D+) ∩D(D−) si ha che

limx→x+0

f (x) , limx→x−0

f (x)

esistono.

Per stabilire l’esistenza del limite di una funzione è possibile avva-lersi del criterio di convergenza di Cauchy.

Teorema 5.9 - Criterio di Cauchy - Sia f : D −→ R e sia x0 ∈ D(D);sono condizioni equivalenti:

1. esiste ` ∈ R tale che limx→x0 f (x) = `

2. per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che se x, y ∈ I0(x0, δε) si ha

| f (x)− f (y)| < ε

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6. Le Successioni

Le successioni costituiscono una classe molto particolare di funzioni:si tratta di funzioni definite su un sottoinsieme di R molto particolare,l’insieme N dei numeri naturali; questa caratteristica conferisce lorola semplicità che è tipica degli insiemi discreti, mentre impedisce unasignificativa rappresentazione grafica e rende il concetto di successioneapparentemente ostico.

Il concetto di successione, inoltre, interpreta un ruolo di notevoleimportanza nelle applicazioni pratiche e nelle descrizioni algoritmiche.

Definizione 6.1 Chiamiamo successione di numeri reali una funzionedefinita sull’insieme N dei numeri naturali, che assume valori in R

a : N −→ R

Seguendo le consuetudini introdotte per la descrizione di una funzio-ne sarebbe naturale usare il simbolo a(n) per identificare il valore dia calcolato in n tuttavia è normale usare, in luogo di esso il simboloan = a(n).

E’ immediato esplicitare per le successioni i concetti di crescen-za, decrescenza, monotonia, limitatezza, che sono stati introdotti, ingenerale, per le funzioni.

Nell’estendere il concetto di limite però occorre tenere presente cheD(N) è costituito dal solo elemento +∞, per cui, per una successione,ha senso soltanto considerare il concetto di limite per n→ +∞.

Più precisamente si dice che

limn→+∞

an = ` (6.1)

se ∀ε > 0 esiste nε ∈N tale che, per n > nε, si abbia

an ∈ I(`, ε)

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70 o.caligaris - p.oliva

Osserviamo che, dal momento che nessuna ambiguità è possibile,scriveremo spesso

limn

an oppure lim an

in luogo di limn→+∞ an.E’ molto importante, quando si trattano le successioni, il concetto di

successione estratta da un’altra successione.Tale concetto è strettamente legato, o meglio è una specializza-

zione del concetto di composizione di funzioni ed è molto utile percaratterizzare i limiti di una successione.

In altre parole si dice successione estratta dalla successione an unanuova successione an(k).

Naturalmente non ogni funzione n : R −→ R può essere usata, perdue ragioni:

1. n deve dar luogo, composta con a, ad una nuova successione, percui deve aversi che il dominio di f è N;

2. R(n) deve essere contenuto nel dominio di a e perciò deve aversiR(n) ⊂N.

Dovrà pertanto essere n : N −→N.

3. Inoltre, poichè vogliamo collegare il comportamento al limite dellasuccessione an con quello delle sue estratte, è necessario che +∞ siaun punto di accumulazione per R(n).

In altre parole n è una particolare successione (particolare in quan-to assume valori solo in N) e pertanto è d’uso far riferimento allanotazione

nk = n(k)

Definizione 6.2 Sia an una successione e sia n : N −→ N stretta-mente crescente; diciamo che la successione bk = an(k) è una successioneestratta da an.

Sempre a proposito di terminologia, ricordiamo anche che si diceche una successione è convergente se ammette limite reale, mentre sidice che una successione è positivamente (negativamente) divergentese ammette come limite +∞(−∞).

Lemma 6.1 Sia n : N −→N, n strettamente crescente; allora

limk

nk = +∞

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analisi matematica 1 71

Dimostrazione. Dal momento che n è strettamente crescente si ha

nk+1 > nk e nk+1 ≥ nk + 1

perciò, per induzione, si prova facilmente che nk ≥ k e la tesi. 2

Teorema 6.1 Sia an una successione e sia

limn

an = `

allora se bk è una successione estratta da an si ha

limk

bk = `

Dimostrazione. Sia bk = ank , se n > nε si ha an ∈ I(`, ε), inoltre, dalmomento che nk → +∞, se k > kε si ha nk > nε ; ne deduciamo che,se k > kε,

bk = ank ∈ I(`, ε)

2

Si può inoltre dimostrare che

Teorema 6.2 Ogni successione convergente è limitata.

Dimostrazione. Sia an una successione e sia

limn

an = `

allora, se n > nε si ha

|an| ≤ |an − `|+ |`| < ε + |`|

Perciò se

M = max{|a1|, .., |anε |, |`|+ ε}

si può affermare che

|an| ≤ M

2

Teorema 6.3 Sia an una successione crescente e sia

λ = sup{an : n ∈N}

allora

limn

an = λ

Dimostrazione. Distinguiamo due casi.

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72 o.caligaris - p.oliva

1. λ = +∞

in tal caso {an : n ∈ N} è un insieme non limitato e ∀ε > 0 esistenε ∈N tale che

anε > ε

ma allora, dal momento che an è crescente, si ha, per n > nε

an > anε > ε

2. λ ∈ R

in questo caso, per le proprietà dell’estremo superiore, si ha

an ≤ λ ∀n ∈N

e∀ε > 0 ∃nε ∈N : anε > λ− ε

pertanto, se n > nε, si ha, essendo an crescente

λ− ε < anε ≤ an ≤ λ

2

In maniera analoga si può dimostrare il seguente teorema.

Teorema 6.4 Sia an una successione decrescente e sia

λ = inf{an : n ∈N}

alloralim

nan = λ

Il risultato che segue è uno dei più importanti tra quelli che riguar-dano le successioni di numeri reali.

Teorema 6.5 - Bolzano-Weierstraß - Sia an una successione limitata, alloraesiste λ ∈ R ed esiste una successione bk estratta da an tale che

limk

bk = λ

Dimostrazione. Per ipotesi esistono m, M ∈ R tali che

m ≤ an ≤ M ∀n ∈N

Consideriamo i due intervalli[m,

m + M2

]e

[m + M

2, M]

almeno uno di essi contiene un numero infinito di termini della suc-cessione an sia esso [α1, β1] ovviamente si avrà

m ≤ α1 < β1 ≤ M e β1 − α1 =M−m

2

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analisi matematica 1 73

Consideriamo ora gli intervalli[α1,

α1 + β1

2

]e

[α1 + β1

2, β1

]almeno uno di essi contiene un numero infinito di termini di an siaesso [α2, β2] ovviamente si avrà

m ≤ α1 ≤ α2 < β2 ≤ β1 ≤ M e β2 − α2 =M−m

4

Il procedimento descritto si può iterare e si ottengono così duesuccessioni αk e βk soddisfacenti le seguenti proprietà:

m ≤ α1 ≤ α2 ≤ .. ≤ αk < βk ≤ .. ≤ β2 ≤ β1 ≤ M (6.2)

βk − αk =M−m

2k (6.3)

{n : an ∈ [αk , βk]} ha infiniti elementi (6.4)

Possiamo pertanto concludere che le successioni αk e βk sono, ri-spettivamente, crescente e decrescente ed inoltre che sono entrambelimitate. Si ottiene pertanto che

limk

αk = α e limk

βk = β

ove

α = sup{αk : k ∈N} ∈ R e β = inf{βk : k ∈N} ∈ R

Per la 6.3 si ha che

β− α = limk

(βk − αk) = limk

M−m2k = 0

(si ricordi che è facile provare per induzione che 2k ≥ k), e perciò si ha

α = β = λ

in altre parole chiamiamo λ il valore comune di α e β.Sia ora

n1 ∈N tale che α1 ≤ an1 ≤ β1

n2 ∈N tale che α2 ≤ an2 ≤ β2 , n2 > n1

· · · · · · · · · · · · · · ·nk ∈N tale che αk ≤ ank ≤ βk , nk > nk−1

Allora bk = ank è una successione estratta dalla successione an, lacui esistenza è assicurata dalla 6.4 ed inoltre si ha

αk ≤ bk ≤ βk ∀k ∈N

e pertanto limk bk = λ. 2

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74 o.caligaris - p.oliva

Teorema 6.6 Sia an una successione:

1. se an non è limitata superiormente, esiste bk estratta da an tale che

limk

bk = +∞

2. se an non è limitata inferiormente, esiste bk estratta da an tale che

limk

bk = −∞

Dimostrazione. Proviamo ad esempio la prima affermazione. Sia

n1 ∈N tale che an1 > 1

n2 ∈N tale che an2 > 2 , n2 > n1

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·nk ∈N tale che ank > k , nk > nk−1

Allora bk = ank (l’esistenza di tale estratta è assicurata dall’ipotesiche an non è limitata superiormente) tende a +∞ 2

Sappiamo bene cosa significa che una successione converge ad unlimite ` ∈ R∗ cerchiamo ora di stabilire il significato del fatto che an

non converge ad un limite ` ∈ R∗

Lemma 6.2 Sia an una successione e sia ` ∈ R∗ an non converge ad ` see solo se esiste ε0 > 0 ed esiste una successione bk estratta da an tale chebk 6∈ I(`, ε0).

Dimostrazione. La successione an non converge ad ` se e solo seesiste ε0 > 0 tale che ∀m ∈N è possibile trovare n > m con

an 6∈ I(`, ε0)

Sia pertanto

n1 ∈N tale che an1 6∈ I(`, ε0) (6.5)

n2 > n1 tale che an2 6∈ I(`, ε0) (6.6)

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · (6.7)

nk > nk−1 tale che ank 6∈ I(`, ε0) (6.8)

(6.9)

La successione bk = ank soddisfa i requisiti richiesti. 2

Teorema 6.7 Sia an una successione soddisfacente la seguente proprietà:

• esiste ` ∈ R∗ tale che per ogni successione bk estratta da an è possibiletrovare una successione ch estratta da bk con

limh

ch = `

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analisi matematica 1 75

Allora si halim

nan = `

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che

limn

an 6= `

allora esistono ε0 > 0 e bk estratta da an tale che bk 6∈ I(`, ε0)

Ma, per ipotesi, è possibile trovare una successione ch tale che

limh

ch = `

e ciò è assurdo; infatti per h sufficientemente grande si avrebbe con-temporaneamente

ch ∈ I(`, ε0) e ch = bkh6∈ I(`, ε0)

2

Teorema 6.8 - Criterio di convergenza di Cauchy - Sia an una successione;sono fatti equivalenti:

1. esiste ` ∈ R tale chelim

nan = `

2. Per ogni ε > 0 esiste nε ∈N tale che se n, m > nε si ha

|an − am| < ε

Dimostrazione.

• (1)⇒ (2) sia ε > 0, allora esiste nε ∈N tale che per n > nε si ha

|an − `| < ε

Allora se n, m > nε/2 si ha

|an − am| ≤ |an − `|+ |am − `| < ε/2 + ε/2 = ε

• (2)⇒ (1) se n > nε si ha

anε − ε < an < anε + ε

per cui la successione an è limitata.

Sia ank una successione estratta da an tale che

limk

ank = `

Se k > kε si ha|ank − `| < ε

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76 o.caligaris - p.oliva

ed inoltre se k > k1ε si ha

nk > nε

Ma allora fissato k > max{kε/2, k1ε/2}, se n > nε/2 si ha

|an − `| ≤ |an − ank |+ |ank − `| < ε/2 + ε/2 = ε

2

E’ di grande utilità per il seguito provare i due seguenti risultati.

Lemma 6.3 Sia A ⊂ R , A 6= ∅, e siano

λ = sup A , µ = inf A

allora esistono due successioni an, bn ∈ A tali che

limn

an = λ , limn

bn = µ

Dimostrazione. Proviamo ad esempio che esiste una successione bn ∈A tale che

limn

bn = µ

Occorre distinguere due casi:

1. µ = −∞; in tal caso l’insieme A non è inferiormente limitato epertanto per ogni n ∈N esiste bn ∈ A tale che bn < −n.

Ciò è sufficiente per concludere che

limn

bn = −∞

2. µ ∈ R; in tal caso si ha che:

µ ≤ b ∀b ∈ A

∀n ∈N ∃bn ∈ A : µ + 1/n > bn

Pertanto si ha:µ + 1/n > bn ≥ µ

e la tesi.

2

Definizione 6.3 Sia an una successione e sia

Φ(an) = {` ∈ R∗ : ∃ank , limk

ank = ` }

Definiamolim sup

nan = sup Φ(an)

lim infn

an = inf Φ(an)

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analisi matematica 1 77

Lemma 6.4 Sia bk una successione tale che

limk

bk = b

e supponiamo che, per ogni fissato k, akn sia una successione tale che

limn

akn = bk ;

allora ∃ n : N −→N strettamente crescente tale che

limk

aknk

= b

Dimostrazione. Osserviamo innanzi tutto che ∀ε > 0 esiste kε taleche:

|bk − b| < ε se k > kε

e∀k ∃n′k : |ak

n − bk| < 1/k se n > n′k

Pertanto se scegliamo

n1 > n′1 (6.10)

· · · · · · · · · · · · (6.11)

nk > n′k , nk > nk−1 (6.12)

avremo, se k > kε, k > 1/ε

|aknk− b| ≤ |ak

nk− bk|+ |bk − b| < ε + 1/k < 2ε

2

Teorema 6.9 Si ha che

1. Se λ = lim supn an si ha λ ∈ Φ(an)

2. Se µ = lim infn an si ha µ ∈ Φ(an)

Dimostrazione. Sia λ = sup Φ(an), allora per il lemma 6.3

∃`k ∈ Φ(an) : limk`k = λ .

Poiché `k ∈ Φ(an)

∀k ∈N ∃akn : lim

kak

n = `k ;

si prova, come nel lemma 6.4, che

∃bk = aknk

estratta da an : limk

bk = λ

cioèλ ∈ Φ(an) .

2

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78 o.caligaris - p.oliva

Teorema 6.10 Valgono i seguenti fatti:

1. lim infn an ≤ lim supn an

2. lim infn an ≤ lim infn ank ≤ lim supn ank ≤ lim supn an

3. lim infn an = lim supn an = ` ⇔ limn an = ` ⇔ Φ(an) = {`}

Dimostrazione. (1) segue dalla definizione 6.4.(2) è immediata conseguenza del fatto che essendo Φ(ank ) ⊂ Φ(an)

inf Φ(an) ≤ inf Φ(ank ) ≤ sup Φ(ank ) ≤ sup Φ(an)

(3) segue da (2) e dai teoremi 6.4 e 6.9. 2

Corollario 6.1 Si ha

lim supn

an = −∞ ⇔ limn

an = −∞ (6.13)

lim infn

an = +∞ ⇔ limn

an = +∞ (6.14)

Teorema 6.11 Si ha

` = lim supn

an , ` ∈ R∪ {+∞} (6.15)

se e solo se

1. ∀ε > 0 esiste nε tale che se n > nε tale che an < `+ ε

2. esiste ank tale che limk ank = `

Dimostrazione.

• La seconda condizione della (2) segue dal teorema 6.9;

la prima condizione della (2) è ovvia se ` = +∞; sia pertanto ` ∈R, se per un certo ε0 > 0 non fosse an ≤ ` + ε0 definitivamente,ci sarebbero infiniti indici per i quali an > ` + ε0 ed esisterebbepertanto una estratta tale che

limk

ank = a ≥ `+ ε0 > `

cioè ` non sarebbe il lim sup di an.

• Per la seconda condizione della (2) ` ∈ Φ(an) da cui

` ≤ lim supn

an

Per la prima condizione della (2), d’altro canto

lim supk

ank ≤ `+ ε

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analisi matematica 1 79

2

Un risultato analogo vale per il lim inf.

Teorema 6.12 Si ha

lim supn

an = infn

supk≥n

ak = limn

supk≥n

ak

Dimostrazione. Evidentemente

bn = supk≥n

ak

è decrescente eλ = inf

nbn = lim

nbn

Inoltre, se k ≥ n > nε

ak < bn ≤ λ + ε

esupk≥n

ak = bn > λ− ε

e si può trovare akh> λ− ε da cui la tesi. 2

Teorema 6.13 Siano an e bn due successioni, si ha

1. lim infn an = − lim supn (−an)

2. an ≤ bn ⇒ lim supn an ≤ lim supn bn.

3. lim supn (an + bn) ≤ lim supn an + lim supn bn

4. limn bn = b > 0 ⇒ lim supn anbn = lim supn an · limn bn

5. an > 0 ⇒ lim supn1an

= 1lim inf an

.

Dimostrazione. (1), (2), (3) seguono dal teorema 6.12; (4) segue daΦ(anbn) = bΦ(an); (5) segue da Φ(1/an) = 1/Φ(an) 2

Un risultato analogo vale per il lim inf.Passiamo ora a dimostrare due risultati estremamente utili per il

calcolo dei limiti di rapporti di successioni, che si presentano in formaindeterminata.

Teorema 6.14 Siano an e bn due successioni tali che

limn

an = limn

bn = 0 .

Supponiamo inoltre che bn sia strettamente monotona, allora

lim infn

an+1 − an

bn+1 − bn≤ lim inf

n

an

bn≤ lim sup

an

bn≤ lim sup

n

an+1 − an

bn+1 − bn

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80 o.caligaris - p.oliva

Dimostrazione. Osserviamo innanzi tutto che non è restrittivo con-siderare bn strettamente decrescente (e quindi bn > 0) in quanto, secosì non fosse, potremmo considerare −bn e −an in luogo di bn e an

(rimanendo invariati i rapporti considerati).Osserviamo altresì che è sufficiente provare, ad esempio, l’ultima

disuguaglianza, essendo la prima una sua conseguenza non appena siconsideri −an in luogo di an, ed essendo la seconda ovvia.

Sia` = lim sup

n

an+1 − an

bn+1 − bn

proviamo che

lim supn

an

bn≤ `

Se ` = +∞ non c’è nulla da provare; i casi ` ∈ R ed ` = −∞ sonosoggetti ad una trattazione del tutto simile che esplicitiamo parallela-mente: allo scopo definiamo

`ε =

`+ ε se` ∈ R

−ε se ` = −∞(6.16)

si ha∀ε > 0 ∃nε ∈N : ∀n > nε

an − an+1

bn − bn+1< `ε

ean − an+1 < (bn − bn+1)`ε

Allora, se m > n > nε , si ha

an − am < (bn − bm)`ε

e, facendo m→ +∞,an ≤ bn`ε

ondean

bn≤ `ε

2

Teorema 6.15 Siano an e bn due successioni e supponiamo che bn sia stret-tamente crescente [decrescente] con

limn

bn = +∞ [−∞]

Allora

lim infn

an+1 − an

bn+1 − bn≤ lim inf

n

an

bn≤ lim sup

n

an

bn≤ lim sup

n

an+1 − an

bn+1 − bn

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analisi matematica 1 81

Dimostrazione. Come per il teorema precedente è sufficiente provarel’ultima disuguaglianza; inoltre possiamo sempre supporre che bn siastrettamente crescente. Pertanto, posto

` = lim supn

an+1 − an

bn+1 − bn

proviamo che

lim supn

an

bn≤ `

Se ` = +∞ nulla è da dimostrare; i casi ` ∈ R ed ` = −∞ sarannoconsiderati parallelamente, ricordando la 6.16:

∀ε > 0 ∃nε ∈N : ∀n > nε

an+1 − an

bn+1 − bn≤ `ε

ean+1 − an ≤ (bn+1 − bn)`ε

Se n > m > nε si ha

an − am ≤ (bn − bm)`ε

ean ≤ am + (bn − bm)`ε

an

bn≤ am

bn+(1− bm

bn

)`ε

Facendo n→ +∞ si ha

lim supn

an

bn≤ `ε

e la tesi. 2

I due precedenti teoremi permettono di provare alcuni interessantirisultati sui limiti delle medie aritmetiche e geometriche dei primi ntermini di una successione.

Corollario 6.2 Sia αn una successione, allora

lim infn

αn ≤ lim infn

α1 + ... + αn

n≤

≤ lim supn

α1 + ... + αn

n≤ lim sup

nαn (6.17)

Dimostrazione. Basta applicare il teorema 6.15 alle successioni

an =n

∑i=1

αi , bn = n .

2

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82 o.caligaris - p.oliva

Corollario 6.3 Sia αn una successione allora

lim infn

αn ≤ lim infn

(αn...α1)1/n ≤ lim sup

n(αn...α1)

1/n ≤ lim supn

αn

Dimostrazione. Basta applicare il teorema 6.15 alle successioni

n

∑i=1

log2(αi) ed n

tenere conto del fatto che( n

∏i=1

αi)1/n

= exp2( 1

n( n

∑i=1

log2(αi)))

ed osservare che exp2 è crescente e, se xn → x, si dimostra che exp2(xn)→exp2(x). 2

Corollario 6.4 Sia αn > 0 allora si ha

lim infn

αn+1

αn≤ lim inf

nn√

αn ≤ lim supn

n√

αn ≤ lim supn

αn+1

αn

Dimostrazione. Segue dal corollario 6.3 posto

β1 = α1 , βn+1 =αn+1

αn

2

Lemma 6.5 Sia an una successione:

1. se an > 0 e limnan+1

an= ` < 1 allora limn an = 0

2. se an ≥ 0 e limn n√

an = ` < 1 allora limn an = 0;

3. se an > 0 e limnan+1

an= ` > 1 allora limn an = +∞;

4. se an ≤ 0 e limn n√

an = ` > 1 allora limn an = +∞

Dimostrazione. Proviamo ad esempio la prima e l’ultima affermazio-ne.

(1) Si ha, fissato ε > 0 in modo che `+ ε < 1

an+1

an< `+ ε ∀n > nε

pertantoan+1 < an(`+ ε)

e se n > m > nε

0 < an < (`+ ε)n−mam

e si può concludere che (1) è vera.(4) Fissato ε in modo che `− ε > 1 si ha

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analisi matematica 1 83

(an)1/n > (`− ε) ∀n > nε

ean > (`− ε)n ∀n > nε .

Ciò è sufficiente per concludere. 2

Definizione 6.4 Definiamo per n ∈N∪ {0}

0! = 1

n! = n(n− 1)!

n! verrà detto n fattoriale.

Osserviamo che, se n ≥ 1,

n! =n

∏i=1

i

Definiamo inoltre per n ∈N∪ {0} nella seguente maniera:

(0)!! = 1

(1)!! = 1

n!! = n(n− 2)!!

n!! verrà indicato con il nome di n semifattoriale.Osserviamo che

(2n)!! =n

∏i=1

2i , (2n + 1)!! =n

∏i=0

(2i + 1)

Definiamo infine (nk

)=

n!k!(n− k)!

coefficiente binomiale di ordine n e posto k e verrà detta n su k.I coefficienti binomiali godono di notevoli proprietà: ad esempio

possono essere calcolati usando il ben noto triangolo di Tartaglia econsentono di stabilire la formula della potenza di un binomio diNewton.

6.0.1 Triangolo di Tartaglia e Binomio di Newton

Si ha

Teorema 6.16 (nk

)+

(n

k− 1

)=

(n + 1

k

)(6.18)

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84 o.caligaris - p.oliva

Dimostrazione.

(nk

)+

(n

k− 1

)=

n!k!(n− k)!

+n!

(k− 1)!(n + 1− k)!=

=n![(n + 1− k) + k]

k!(n + 1− k)!=

(n + 1)!k!(n + 1− k)!

=

(n + 1

k

)(6.19)

2

La precedente uguaglianza consente di costruire il così detto trian-golo di Tartaglia:

(10

)(11

)(

20

)(21

)(22

)(

30

)(31

)(32

) (33

). . . . . . . . . . . . . . .(

n0

). . .(

nk− 1

) (nk

). . .(

nn

). . . . . . . . .

(n + 1

k

). . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . .

È importante osservare che ogni elemento del triangolo si può ot-tenere dalla somma dei due elementi della riga precedente, che occu-pano la posizione sopra e a sinistra della posizione occupata dall’ele-mento considerato.

Vale inoltre il seguente risultato

Teorema 6.17 (binomio di Newton)

(a + b)n =n

∑k=0

(nk

)an−kbk

Dimostrazione. E’ immediato verificare che la formula vale per n =

1.Proviamo ora che, se la formula è valida per n, allora è valida anche

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analisi matematica 1 85

per n + 1. Si ha

(a + b)n+1 = (a + b)n(a + b) =

=

(n

∑k=0

(nk

)an−kbk

)(a + b) =

= an

∑k=0

(nk

)an−kbk + b

n

∑k=0

(nk

)an−kbk =

=n

∑k=0

(nk

)an+1−kbk +

n

∑k=0

(nk

)an−kbk+1 =

= an+1 +n

∑k=1

(nk

)an+1−kbk +

n−1

∑k=0

(nk

)an−kbk+1 + bn+1 =

= an+1 +n

∑k=1

(nk

)an+1−kbk +

n

∑k=1

(n

k− 1

)an+1−kbk + bn+1 =

= an+1 +n

∑k=1

((nk

)+

(n

k− 1

))an+1−kbk + bn+1 =

= an+1 +n

∑k=1

(n + 1

k

)an+1−kbk + bn+1 =

=n+1

∑k=0

(n + 1

k

)an+1−kbk (6.20)

2

Ricordiamo anche la seguente disuguaglianza

Lemma 6.6 Se a > −1 allora

(1 + a)n ≥ 1 + na (6.21)

Dimostrazione. Si prova per induzione;

1. La disuguaglianza è banalmente vera per n = 1

2. Inoltre se supponiamo (1 + a)n ≥ 1 + na avremo che

(1+ a)n+1 = (1+ a)n(1+ a) > (1+na)(1+ a) = 1+(n+ 1)a+na2 ≥ 1+(n+ 1)a(6.22)

2

Possiamo ora studiare le proprietà di una successione di notevoleimportanza.

Sia En la successione definita da

En =

(1 +

1n

)n

si ha che En è una successione strettamente crescente ed inoltre

2 ≤ En < 3

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86 o.caligaris - p.oliva

.Infatti si ha

En =

(1 +

1n

)n=

n

∑k=0

(nk

)1nk

per cuiEn ≥ 1 + n(1/n) = 2

Per dimostrare che En è crescente osserviamo che si ha

En =

(1 +

1n

)n≥(

1 +1

n− 1

)n−1= En−1

se e solo se (n + 1

n

)n≥(

nn− 1

)n (n− 1n

)se e solo se (

n2 − 1n2

)n

≥(

n− 1n

)se e solo se (

1− 1n2

)n≥ 1− 1

n

e l’ultima disuguaglianza si deduce immediatamente dal lemma 6.6.Infine, dal momento che si può facilmente provare per induzione

che(k + 1)! ≥ 2k per k ≥ 0

si ha

En <n

∑k=0

1k!

= 1 +n−1

∑k=0

1(k + 1)!

≤ 1 +n−1

∑k=0

12k < 3 (6.23)

Pertanto En è una successione crescente e limitata per cui possiamoaffermare che

limn

En

esiste ed è reale e pertanto è lecito definire chiamare e il suo limite.

e = limn

En

Se xn è una successione a termini positivi, xn −→ x si può provare(si veda il capitolo successivo sulla continuità) che

lim loga xn = loga x

e pertanto si ha

lim n loga

(1 +

1n

)= loga e

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analisi matematica 1 87

Osserviamo anche che

loga e = 1 ⇔ a = e

per cui si è naturalmente indotti a privilegiare il numero e come baseper i logaritmi.

Si ha con 51 cifre decimali esatte

e = 2.718281828459045235360287471352662497757247093699959 .

Definizione 6.5 Definiamo logaritmo naturale la funzione loge.Più semplicemente scriveremo loge x = ln x.

Elenchiamo ora alcune successioni che saranno utili nel seguito ecalcoliamone i relativi limiti:

1. lim nk = +∞ , k > 0

2. lim nk = 0 , k < 0

3. lim an = +∞ , a > 1

4. lim an = 0 , |a| < 1

5. lim n√

a = 1 , a > 0

6. lim n√

n = 1

7. lim an

nn = 0

Possiamo verificare le affermazioni precedenti mediante le seguentiargomentazioni:

1. si prova mediante la definizione di limite.

2. si deduce dalla precedente tenendo conto che nk = 1/n−k.

3. sia a = 1 + b con b > 0, allora an = (1 + b)n ≥ 1 + nb.

4. si deduce dalla precedente tenendo conto che |an| = 1/(1/|a|)n.

5. se a > 1, postoyn = n

√a− 1 > 0

si haa = (1 + yn)

n ≥ 1 + nyn

27 ottobre 2016—16:51:15 AnTot.TEX— [ Content/Analisi-2.tex]

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88 o.caligaris - p.oliva

da cui0 ≤ yn ≤ (a− 1)/n

se 0 < a < 1 si ha n√

a = 1/ n√

1/a.

6. postoyn = n

√n− 1 > 0

si ha

n = (1 + yn)n ≥ 1 + n(n− 1)y2

n/2 e 0 ≤ yn ≤ (2/n)

7. Se n > 2|a| si ha0 < |a|/n < 1/2

per cui0 < |a|n/nn < (1/2)n

Valgono i seguenti fatti:

1. lim an

n! = 0

2. lim n!nn = 0

3. lim an

nk = 0, |a| < 1

4. lim an

nk = +∞, a > 1

5. lim loga nnk = 0, k > 0 , a > 0 , a 6= 1

Infatti se indichiamo con bn ciascuna delle successioni in oggetto siha

1. |bn+1||bn | = |a|

n+1 −→ 0

2. bn+1bn

=( n

n+1)n −→ 1

e < 1

3. |bn+1||bn | = |a|

( nn+1)k −→ |a|

4. si può facilmente dedurre dal fatto che

loga nnk =

1k

loga(nk√

nk)

Anche se a prima vista ciò non appare verosimile, operare con suc-cessioni piuttosto che con funzioni è molto più comodo e facile; è per-tanto molto utile provare il seguente risultato che permette di otte-nere informazioni sul limite di una funzione utilizzando opportunesuccessioni.

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analisi matematica 1 89

Teorema 6.18 Sia f : D −→ R e siano x0 ∈ D(D), ` ∈ R∗; sono fattiequivalenti:

1. limx→x0 f (x) = `

2. per ogni xn ∈ D \ {x0}, xn → x0, si ha

lim f (xn) = `

Dimostrazione. Se vale la prima condizione avremo che per ogniε > 0 esiste δε > 0 tale che, se x ∈ I0(x0, δε) si ha

f (x) ∈ I(`, ε)

Inoltre esiste nε ∈N tale che per n > nε si abbia xn ∈ I0(x0, δε) e diconseguenza si ha

f (xn) ∈ I(`, ε)

Da cui la seconda asserzione.Se viceversa la prima asserzione è falsa, allora esiste ε0 > 0 tale che,

per ogni n ∈N esiste xn ∈ D, xn 6= x0, con xn ∈ I0(x0, 1/n) e

f (xn) 6∈ I(`, ε0)

e quindi la seconda è falsa2

Si può provare che ogni successione convergente ammette una suc-cessione estratta monotona (e convergente allo stesso limite); pertantonel verificare (2) è sufficiente limitarsi alle sole successioni monotone.

Il criterio di convergenza di Cauchy riveste notevole importanza edè utile sapere che esso può essere provato anche per le funzioni nellaseguente forma.

Teorema 6.19 - Criterio di Cauchy - Sia f : D −→ R e sia x0 ∈ D(D);sono condizioni equivalenti:

1. esiste ` ∈ R tale che limx→x0 f (x) = `

2. per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che se x, y ∈ I0(x0, δε) si ha

| f (x)− f (y)| < ε

Dimostrazione. (1) ⇒ (2) Per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che sex ∈ I0(x0, δε/2) si ha

| f (x)− `| < ε/2

per cui se x, y ∈ I0(x0, δε/2) si ha

| f (x)− f (y)| ≤ | f (x)− `|+ | f (y)− `| < ε/2 + ε/2 = ε.

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90 o.caligaris - p.oliva

(2) ⇒ (1) Se per assurdo (1) non fosse vera esisterebbero duesuccessioni xn, yn ∈ D, convergenti ad x0 tali che f (xn) −→ `1 ef (yn) −→ `2 con `1, `2 ∈ R∗ , `1 6= `2.

Pertanto la condizione (2) non potrebbe essere soddisfatta. 2

Mediante le successioni siamo anche in grado di provare i seguentirisultati che caratterizzano gli insiemi aperti, chiusi e compatti in R eche sono facilmente estendibili a più generali situazioni.

Teorema 6.20 Sia A ⊂ R, allora

1. A è aperto se e solo se per ogni x ∈ A e per ogni successione xn, tale chexn → x, si ha xn ∈ A definitivamente;

2. A è chiuso se e solo se per ogni xn ∈ A, xn → x si ha x ∈ A

Dimostrazione. Sia A aperto, x ∈ A, allora esiste ε > 0 tale che(x− ε, x + ε) ⊂ A; poiché definitivamente |xn − x| < ε ne segue xn ∈A.

Supponiamo viceversa che A non sia aperto, allora esiste x ∈ A taleche, per ogni n ∈N, esiste xn ∈ (x− 1/n, x + 1/n) \ A e ciò è assurdo.

Sia A chiuso e xn ∈ A, xn → x; allora Ac è aperto e se x ∈ Ac siavrebbe xn ∈ Ac definitivamente e ciò è assurdo.

Viceversa, se A non è chiuso, Ac non è aperto; pertanto esiste x ∈ Ac

e per ogni n ∈ N esiste xn ∈ I(x, 1/n), xn ∈ A; pertanto xn → x,xn ∈ A ed x 6∈ A 2

Teorema 6.21 Sia A ⊂ R, A è un insieme compatto se e solo se per ognixn ∈ A esiste xnk → x, tale che x ∈ A

Dimostrazione. Il solo se segue banalmente dai teorema 6.5 e 6.20.Se viceversa A non fosse limitato, esisterebbe xn ∈ A, |xn| → +∞, e

qualunque estratta di xn non potrebbe convergere ad x ∈ A. 2

6.1 Infinitesimi ed Infiniti

Se f (x) → `, ` ∈ R allora f (x)− ` → 0 per cui per studiare il com-portamento di una funzione che ammette limite finito sarà sufficienteconsiderare funzioni che tendono a 0; tali funzioni si definiscono infi-nitesime ed è importante cercare di ottenere qualche informazione inpiù su come una funzione infinitesima tende a 0.

Ad esempio è evidente che xn diminuisce più o meno velocemente,in dipendenza da n, quando ci si avvicina a 0. È quindi ovvio chesia utile cercare di individuare anche in funzioni più complesse talicomportamenti.

Quanto detto per le funzioni infinitesime si può poi facilmente esten-dere anche alle funzioni che tendono all’infinito: che chiameremoinfinite.

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analisi matematica 1 91

Pertanto introduciamo la definizione di ordine di infinitesimo e diordine di infinito.

Definizione 6.6 Sia f : (a, b) −→ R, diciamo che f è infinitesima in a+ se

limx→a+

f (x) = 0

In maniera analoga si possono dare le definizioni per x → a−, x → a, x →+∞ e x→ −∞.

Definizione 6.7 Siano f ,g due funzioni infinitesime in a+ e supponiamoche

limx→a+

f (x)g(x)

= `

• se ` ∈ R \ {0} diciamo che f e g hanno lo stesso ;

• se ` = 0 diciamo che f è infinitesima di ordine superiore a g.

Definizione 6.8 Chiamiamo infinitesimo campione di ordine α ∈ R+ ina+,a−,a,+∞, −∞ rispettivamente la funzione

(x− a)α , (a− x)α , |x− a|α ,1xα

,1

(−x)α

Si dice che f è infinitesima di ordine α ∈ R+ se f ha lo stesso ordinedell’infinitesimo campione di ordine α.

Osserviamo esplicitamente che può accadere che f non abbia ordinedi infinitesimo reale.

Ad esempio la funzione1

ln xè infinitesima per x → +∞ di ordine inferiore ad ogni α ∈ R+.

Infatti per ogni α ∈ R+

limx→+∞

1ln x

1xα

= 0 (6.24)

La definizione di ordine di infinitesimo consente di provare che

Teorema 6.22 Siano f e g due funzioni infinitesime in a+ di ordine α e β

rispettivamente; allora

1. f g ha ordine α + β

2. se α < β, f + g ha ordine α

3. se α = β, f + g ha ordine maggiore o uguale ad α.

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92 o.caligaris - p.oliva

Definizione 6.9 Diciamo che f è infinita in a+ se 1/ f è infinitesima in a+.Diciamo che f è infinita di ordine α se 1/ f è infinitesima di ordine α.

Teorema 6.23 Siano f e g due funzioni infinite in a+ di ordine α e β

rispettivamente; allora

1. f g ha ordine α + β;

2. se α < β, f + g ha ordine β;

3. se α = β, f + g ha ordine minore o uguale ad α

Osserviamo che si potrebbe definire f di ordine α ∈ R in a+ se

limx−a+

f (x)(x− a)α

∈ R \ {0}

ed osservare che f è infinitesima se α > 0 ed è infinita se α < 0 .Con queste convenzioni si può provare che se f ha ordine α e g ha

ordine β, allora f /g ha ordine α− β.

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7. La Continuità

La maggior parte delle situazioni semplici che cerchiamo di rappre-sentare mediante l’uso di una funzione reale di una variabile realepresentano una caratteristica comune:

piccoli cambiamenti della variabile (argomento della funzione)causano piccoli cambiamenti dei valori della funzione stessa.

Ad esempio se T(x) rappresenta la temperatura di una sbarra dimetallo in un punto che dista x da una delle sue estremità, ci aspettia-mo che due punti vicini sulla sbarra abbiano temperature non moltodissimili.

Tuttavia non tutti i fenomeni sono facilmente rappresentabili me-diante funzioni continue; se ad esempio L(t) rappresenta la lumino-sità di una stanza nella quale si accende una lampada all’istante t0 èevidente che in quell’istante il valore della luminosità può subire unabrusca variazione, (se la luminosità della lampada è alta in confrontocon la luminosità ambiente).

Anche nel linguaggio comune è naturale attribuire l’aggettivo con-tinuo al primo fenomeno ma non al secondo.

In parole povere, una funzione è continua in un punto se il valo-re che essa assume in tale punto dipende dai valori da essa assun-ti nei punti vicini, o per meglio dire, se piccole variazioni dell’argo-mento danno luogo a piccole variazioni dei corrispondenti valori dellafunzione.

In altri termini una funzione è continua se non ammette repentinicambiamenti, salti, "discontinuità".

Vogliamo allora formalizzare cosa si intende per continuità di unafunzione.

Precisamente poniamo la seguente definizione

Definizione 7.1 Sia f : D −→ R, x0 ∈ D, diciamo che f è continua in x0

se

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94 o.caligaris - p.oliva

∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che se |x− x0| < δε , x ∈ D si ha

| f (x)− f (x0)| < ε

Diciamo che f è continua in D se è continua in ogni punto di D.

E’ immediato verificare l’analogia, ma non l’identità, con la defini-zione di limite, ed è immediato provare che:

Teorema 7.1 Sia f : D −→ R e sia x0 ∈ D ∩D(D); sono fatti equivalenti:

1. f è continua in x0,

2. limx→x0 f (x) = f (x0).

I teoremi sui limiti consentono di stabilire alcuni semplici risultatiche ci limitiamo ad enunciare.

Teorema 7.2 Siano f , g : D −→ R continue in x0 ∈ D, siano inoltreα, β ∈ R; si ha

1. α f + βg è continua in x0;

2. f g è continua in x0;

3. se f (x0) 6= 0, 1/ f è continua in x0.

Teorema 7.3 Sia f : D −→ R, x0 ∈ D; sono fatti equivalenti:

1. f è continua in x0;

2. ∀xn ∈ D, xn → x0, si ha f (xn) −→ f (x0).

Il precedente teorema consente di caratterizzare la continuità persuccessioni: nel confronto con il teorema 6.18 mediante il quale sonocaratterizzati i limiti si evidenzia il fatto che:

per caratterizzare il limite la successione xn deve essere scelta inD \ {x0}, mentre per la continuità xn assume valori in D.

Osserviamo anche che, come nel teorema 6.18 , ci si può limitare aconsiderare soltanto successioni monotone.

Teorema 7.4 Sia f : D −→ R continua in x0 ∈ D, allora se f (x0) 6= 0esiste δ > 0 tale che se x ∈ D ∩ I(x0, δ) si ha f(x) f (x0) > 0.

Teorema 7.5 Siano f : D −→ R continua in x0 ∈ D, g : A −→ Dcontinua in t0 ∈ A, x0 = g(t0); allora f (g(·)) : A −→ R è continua in t0.

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8. I Teoremi sulla Continuità

Dopo questa rapida rassegna di risultati passiamo a studiare le pro-prietà più importanti ed interessanti delle funzioni continue in uninsieme.

La maggior parte delle proprietà che studieremo riguardano le fun-zioni continue su di un intervallo chiuso e limitato. E’ facile vedere,mediante esempi, che se si considerano funzioni continue su insiemiche non soddisfano i requisiti opportuni, tali proprietà possono nonessere soddisfatte.

Teorema 8.1 - degli zeri - Sia f : [a, b] −→ R una funzione continua esupponiamo che f (a) f (b) < 0.

Allora esiste x0 ∈ (a, b) tale che f (x0) = 0.

Dimostrazione.Definiamo le successioni αn e βn nella seguente maniera:

[α0, β0] = [a, b] (8.1)

[αn+1, βn+1] =

[αn, (αn + βn)/2] se f (αn) f ((αn + βn)/2) < 0

[(αn + βn)/2, βn] se f (αn) f ((αn + βn)/2) > 0

[(αn + βn)/2, (αn + βn)/2] se f ((αn + βn)/2) = 0(8.2)

Se, esiste n, f ((αn + βn)/2) = 0 si è trovato lo zero;in caso contrario, per αn e βn si ha:

αnè crescente, βnè decrescente, (8.3)

αn, βn ∈ [a, b], f (αn) f (βn) < 0 (8.4)

βn − αn =b− a

2n (8.5)

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96 o.caligaris - p.oliva

Pertanto si può affermare che

αn ↗ α βn ↘ β α, β ∈ [a, b] (8.6)

e dalla 8.5 si ricava α = β = c .Per la continuità di f e per 8.4 si ha

0 ≥ lim f (αn) f (βn) = ( f (c))2 e f (c) = 0 (8.7)

Si ha anche che c ∈ (a, b) ed inoltre

0 ≤ c− αn ≤ βn − αn ≤b− a

2n (8.8)

e

0 ≤ βn − c ≤ βn − αn ≤b− a

2n (8.9)

2

Possiamo provare il teorema degli zeri anche come segue

Teorema 8.2 - degli zeri - Sia f : [a, b] −→ R una funzione continua esupponiamo che f (a) f (b) < 0.

Allora esiste x0 ∈ (a, b) tale che f (x0) = 0.

Dimostrazione. Sia, per fissare le idee f (a) < 0 ed f (b) > 0 edefiniamo

N = {x ∈ [a, b] : f (x) < 0}.

Si ha N 6= ∅ in quanto a ∈ N; inoltre N è limitato perchè N ⊂ [a, b].Pertanto

x0 = sup N ∈ R

e, per la continuità di f si ha x0 ∈ (a, b).Dimostriamo ora che f (x0) = 0 .Per il lemma 6.3 esiste xn → x0, xn ∈ N, per cui f (xn) < 0.D’altro canto x0 + 1/n 6∈ N da cui f (x0 + 1/n) ≥ 0.Passando al limite per n→ +∞ si ottiene che

f (x0) ≤ 0 e f (x0) ≥ 0

da cui la tesi.2

Il teorema 8.1 ammette come immediato corollario il seguente:

Teorema 8.3 - dei valori intermedi - Sia f : [a, b] −→ R una funzionecontinua e siano c, d ∈ R( f ), c < d, allora

[c, d] ⊂ R( f ).

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analisi matematica 1 97

Dimostrazione. Siano α, β ∈ [a, b] tali che f (α) = c, f (β) = d econsideriamo y ∈ (c, d); la funzione

g(x) = f (x)− y

è continua su [α, β], g(α) < 0, g(β) > 0 e perciò, per il teorema 8.1 ,esiste x0 ∈ (α, β) tale che

g(x0) = f (x0)− y = 0

da cui f (x0) = y e y ∈ R( f ). 2

Corollario 8.1 Sia f : [a, b] −→ R, se f è continua allora R( f ) è unintervallo.

Ci proponiamo ora di dimostrare un teorema di esistenza del mas-simo per una funzione continua su un insieme compatto (cioè chiusoe limitato).

Teorema 8.4 - Weierstraß - Sia f : D −→ R una funzione continua, Dcompatto; allora esistono α, β ∈ D tali che

f (α) = min{ f (x) : x ∈ D}

f (β) = max{ f (x) : x ∈ D}.

Dimostrazione. Proviamo ad esempio l’esistenza del minimo dellafunzione f . Sia

λ = inf{ f (x) : x ∈ D} = inf R( f );

per il lemma 6.3 esiste yn ∈ R( f ) tale che yn → λ.Sia xn ∈ D tale che yn = f (xn); dal momento che D è compatto

esiste xnk estratta da xn tale che

xnk → α ∈ D.

Pertanto

ynk = f (xnk )→ f (α)

per la continuità di f ed anche ynk → λ da cui

λ = f (α)

e la tesi. 2

E’ possibile generalizzare il teorema 8.4 senza l’ipotesi di compat-tezza dell’insieme D, ad esempio possiamo provare:

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98 o.caligaris - p.oliva

Teorema 8.5 Sia f : (a, b) −→ R continua, a, b ∈ R∗, e supponiamo cheesista x ∈ (a, b) tale che

limx→a+

f (x), limx→b−

f (x) > f (x)

allora esiste α ∈ (a, b) tale che

f (α) = min{ f (x) : x ∈ (a, b)}.

Dimostrazione. Supponiamo a, b ∈ R, essendo la dimostrazionenegli altri casi analoga.

Sianoλ = inf{ f (x) : x ∈ (a, b)}

si haµ = f (x) ≥ λ , µ ∈ R

Se λ = f (x) avremmo che il minimo è assunto.sia δ > 0 tale che

x ∈ (a, a + δ) ∪ (b− δ, b) ⇒ f (x) > µ.

Siayn ∈ R( f ) , yn → λ

poiché µ > λ, definitivamente si ha yn ≤ µ e perciò esiste xn ∈ [a +δ, b− δ] tale che f (xn) = yn.

Ne segue che esiste xnk → α ∈ [a + δ, b− δ] e

ynk = f (xnk )→ f (α).

2

A questo punto sarebbe ragionevole introdurre il concetto di unifor-me continuità, tuttavia poichè si tratta di un concetto fondamentale madifficile da comprendere rimandiamo chi fosse interessato a quanto ècontenuto negli approfondimenti.

In parole povere diciamo che una funzione è uniformemente conti-nua su un intervallo [a, b], se, nella definizione di continuità applicataad un punto x ∈ [a, b], il valore di δ si può trovare in funzione di ε, manon dipende anche da x.

Possiamo cioè dire che in un qualunque punto di x0 ∈ [a, b] il modocon cui f (x) si avvicina ad f (x0) quando x si avvicina ad x0 è in questosenso uniforme.

Abbiamo a suo tempo dimostrato che, se una funzione è stretta-mente monotona, allora essa è invertibile; vediamo ora che se ci re-stringiamo alla classe delle funzioni continue, la stretta monotonia èanche necessaria per l’invertibilità.

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analisi matematica 1 99

Teorema 8.6 Sia f : [a, b] −→ R continua, allora f è invertibile se e solo sef è strettamente monotona.

Dimostrazione. Ci limitiamo a provare la parte ’solo se’, in quanto laparte ’se’ è già stata provata nel teorema 3.4.

Se per assurdo f non fosse monotona, per il teorema 3.3

∃x, y, z ∈ [a, b] : x < y < z , [ f (y)− f (x)][ f (z)− f (y)] ≤ 0 (8.10)

se nella 8.10 vale l’uguaglianza, f non è invertibile; se vale la dise-guaglianza stretta possiamo, per fissare le idee, supporre che

f (z)− f (y) < 0 , f (y)− f (x) > 0 , f (z) > f (x) .

Allora, per il teorema dei valori intermedi, poichè f (x) < f (z) <f (y)

∃α ∈ (x, y) : f (α) = f (z)

e ciò è contro l’invertibilità di f . 2

Per concludere con la continuità proviamo i seguenti risultati.

Teorema 8.7 Sia f : (a, b) −→ R, strettamente monotona, siano x0 ∈(a, b) e y0 = f (x0); allora f−1 è continua in y0.

Dimostrazione. Supponiamo, per fissare le idee, che f sia stretta-mente crescente e proviamo che, per ogni ε > 0 esiste δε > 0 taleche

∀y : |y− y0| < δε , si ha | f−1(y)− f−1(y0)| < ε.

Sia ε0 > 0 tale che (x0 − ε0, x0 + ε0) ⊂ (a, b).Dal momento che f è strettamente crescente si ha, per 0 < ε ≤ ε0

f (x0 − ε) < y0 < f (x0 + ε).

Definiamo

δε = min{y0 − f (x0 − ε), f (x0 + ε)− y0} > 0;

se |y− y0| < δε si ha

y0 + f (x0 − ε)− y0 < y0 − δε < y < y0 + δε < y0 + f (x0 + ε)− y0

ef (x0 − ε) < y < f (x0 + ε).

Poiché f−1 è strettamente crescente si ha

f−1( f (x0 − ε)) < f−1(y) < f−1( f (x0 + ε))

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100 o.caligaris - p.oliva

cioèx0 − ε < f−1(y) < x0 + ε

f−1(y0)− ε < f−1(y) < f−1(y0) + ε

e| f−1(y)− f−1(y0)| < ε.

2

Teorema 8.8 Sia f : (a, b) −→ R continua e invertibile; allora f−1 ècontinua.

Dimostrazione. Dal momento che f è continua ed invertibile su (a,b),essa è strettamente monotona e si può applicare il teorema 8.7. 2

Si può verificare che:

1. pa, per a ∈ R è continua in R+

2. pn, per n ∈N è continua in R

3. expa, per a ∈ R+ è continua in R

4. sin è continua in R

5. cos è continua in R

6. rn, per n pari è continua in R+

7. rn, per n dispari è continua in R

8. loga, per a ∈ R+ \ {1} è continua in R+.

La verifica di questi fatti può essere completata usando la definizio-ne di limite.

possiamo altresì verificare, usando il teorema dei valori intermediche

Teorema 8.9 Si ha

1. R(pn) = R+, per n pari

2. R(pn) = R, per n dispari

3. R(expa) = R+ per a ∈ R+ , a 6= 1

4. R(pa) = R+ per a ∈ R , a 6= 0

5. R(sin) = [−1, 1]

6. R(cos) = [−1, 1]

7. R(tan) = R

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analisi matematica 1 101

8.1 L’uniforme continuità

Definizione 8.1 Sia f : D −→ R, diciamo che f è uniformemente continuain D se

∀ε > 0 ∃δε > 0 : ∀x, y ∈ D , |x− y| < δε si ha | f (x)− f (y)| < ε.

Possiamo trovare funzioni che siano continue ma non uniforme-mente continue su un insieme I.

Ad esempio consideriamo

f (x) =1x

su I = (0, 1)

Per provare che f è uniformemente continua su I dovremmo verificareche

∀ε > 0 ∃δε > 0 : ∀x, y ∈ (0, 1) , |x− y| < δε si ha∣∣∣∣ 1x − 1

y

∣∣∣∣ < ε.

Questo significa che, se definiamo x

y

Aδ = {(x, y) ∈ R2 : |x− y| ≤ δ} e Bε = {(x, y) ∈ R2 :∣∣∣∣ 1x − 1

y

∣∣∣∣ ≤ ε}

occorrerà verificare che

∀ε > 0 ∃δ > 0 : Aδ ⊂ Bε

Da un lato |x − y| ≤ δ è equivalente a x − δ ≤ y ≤ x + δ e quindiAδ può essere rappresentato come nella figura a lato,

Dall’altro si ha

∣∣∣∣ 1x − 1y

∣∣∣∣ ≤ ε

se e solo se|x− y|

xy≤ ε

se e solo se

y(1− εx) ≤ x ≤ y(1 + εx)

se e solo se, (tenendo conto che per ε piccolo (1− εx) e (1 + εx sono

quantità positive)x

1 + εx≤ y ≤ x

1− εx

e quindi Bε può essere rappresentato come nella figura a lato.Poichè è evidente che per ogni ε fissato non esiste nessun δ per cui

Aδ ⊂ Bε, possiamo concludere che 1/x non è uniformemente continuasu (0, 1)

x

y

Aδ Bε

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102 o.caligaris - p.oliva

È anche evidente che 1/x è uniformemente continua su [a,+∞)

come mostra la figura e come si può verificare anche ricordando che,per il teorema di Lagrange, esiste c nell’intervallo di estremi x ed y∣∣∣∣ 1x − 1

y

∣∣∣∣ ≤ − ∣∣∣∣ 1c2

∣∣∣∣ |x− y| ≤ 1a2 |x− y|

e definendo δ = εa2

Similmente si vede che

f (x) = x2 su I = R

non è uniformemente continua.Per provare che f è uniformemente continua su I dovremmo verifi-

care che

∀ε > 0 ∃δε > 0 : ∀x, y ∈ (0, 1) , |x− y| < δε si ha |x2 − y2| < ε.

Anche qui, se definiamo

Aδ = {(x, y) ∈ R2 : |x− y| ≤ δ} e Bε = {(x, y) ∈ R2 : |x2− y2| ≤ ε}

per dimostrare l’uniforme continuità di f su I, occorrerà verificare che

∀ε > 0 ∃δ > 0 : Aδ ⊂ Bε

Come prima Aδ può essere rappresentato come nella figura a lato,D’altro canto si ha

|x2 − y2| ≤ ε

se e solo se

x2 − ε ≤ y1 ≤ x2 + ε

se e solo se

|y| ≤√

x2 + ε e |y| ≥√

x2 − ε

e quindi Bε può essere rappresentato come nella figura a lato.x

y

Bε Poichè è evidente che per ogni ε fissato non esiste nessun δ per cuiAδ ⊂ Bε, possiamo concludere che 1/x non è uniformemente continuasu (0, 1)

È anche evidente che x2 è uniformemente continua su [−a, a), cona > 0 come mostra la figura e come si può verificare anche ricordandoche, per il teorema di Lagrange, esiste c nell’intervallo di estremi x edy

|x2 − y2| ≤ |2c||x− y| ≤ 2a|x− y|

e definendo δ = ε2a

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analisi matematica 1 103

Teorema 8.10 - di Heine-Cantor - Supponiamo f : D −→ R continua, Dcompatto, allora f è uniformemente continua in D.

Dimostrazione. Supponiamo che f non sia uniformemente conti-nua in D, allora

∃ε0 > 0 , ∃xn, yn ∈ D : |xn − yn| < 1/n e | f (xn)− f (yn)| ≥ ε0.

Dal momento che D è compatto esiste xnk → x ∈ D e

ynk = (ynk − xnk ) + xnk → x.

D’altro canto, da | f (xnk )− f (ynk )| ≥ ε0, per la continuità di f , si ha

0 = | f (x)− f (x)| ≥ ε0 > 0

il che è assurdo. 2

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9. La Derivabilità.

Consideriamo una funzione f continua in un punto x0, avremo che,quando x si discosta di poco da x0, f (x) è poco distante da f (x0).

È in questo caso importante valutare come varia f (x) − f (x0)inrapporto a x− x0 cioè il valore del rapporto

f (x)− f (x0)

x− x0(9.1)

Possiamo vedere che 9.1 rappresenta il coefficiente angolare dellacorda che passa per i punti (x0, f (x0)) e (x, f (x)).

Se x è vicino al punto x0 il denominatore tende a 0, ma se f è conti-nua anche il numeratore tende a 0 e quindi è significativo considerareil valore limite di 9.1 per x → x0.

Si stabilisce quindi la seguente definizione.

Definizione 9.1 Sia f : (a, b) −→ R, x0 ∈ (a, b);

g(x) =f (x)− f (x0)

x− x0

è definito per ogni x ∈ (a, b) \ {x0} e si chiama rapporto incrementale relativoalla funzione f nel punto x0.

Dal momento che x0 è in (a, b) ha senso considerare

limx→x0

g(x).

Diciamo che f è derivabile in x0 se

limx→x0

f (x)− f (x0)

x− x0

esiste finito.In tal caso chiamiamo il suo valore derivata di f in x0 e scriviamo

f ′(x0) od fdx

(x0)

Diciamo che f è derivabile in x0 da destra oppure da sinistra se

limx→x+0

f (x)− f (x0)

x− x0

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106 o.caligaris - p.oliva

oppure

limx→x−0

f (x)− f (x0)

x− x0

esiste ed è finito,In tal caso chiamiamo tale limite derivata destra o derivata sinistra di f

in x0 e scriviamo f ′+(x0) o f ′−(x0), ovvero

d+ fdx

(x0) od− fdx

(x0).

Diciamo che f è derivabile in (a, b) se è derivabile in ogni punto di (a, b).In tal caso possiamo definire una funzione

f ′ =d fdx

: (a, b) −→ R

che si chiama derivata di f .In maniera del tutto analoga si possono definire le funzioni derivata de-

stra e derivata sinistra.

Osserviamo che f ′(x) è il limite per x che tende a x0 del coeffi-ciente angolare della corda secante il grafico di f nei punti (x, f (x)),(x0, f (x0)) e che pertanto è ragionevole supporre che sia il coefficienteangolare della retta tangente al grafico in (x0, f (x0)).

La derivata di f , fornisce, vicino ad x0, una stima del variare dif (x)− f (x0) rispetto a x− x0.

Poichè

limx→x0

f (x)− f (x0)

x− x0= f ′(x) (9.2)

si ha

limx→x0

f (x)− f (x0)

x− x0− f ′(x) = 0

da cui

limx→x0

f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0)

x− x0= 0 (9.3)

Se ora poniamo

f (x)− f (x0 − f ′(x0)(x− x0)

x− x0= ω(x− x0) (9.4)

avremo che

f (x)− ( f (x0 + f ′(x0)(x− x0)) = ω(x− x0)(x− x0) (9.5)

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analisi matematica 1 107

con

limx→x0

ω(x− x0) = 0

In altre parole, alla quantità f (x) è possibile sostituire la quantità

f (x0) + f ′(x0)(x− x0) (9.6)

commettendo un errore

ω(x− x0)(x− x0)

che tende a 0 più velocemente di (x− x0)

Poichè l’equazione y = f (x0) + f ′(x0)(x− x0) rappresenta una rettanel piano con la proprietà di approssimare f (x) con un errore infini-tesimo di ordine superiore al primo, per x → x0, possiamo definirlaretta tangente al grafico di f nel punto x0.

Resta così giustificato l’uso di f ′(x0) per identificare il coefficienteangolare della retta tangente al grafico di f in x0.

Definiamo pertanto, allo scopo di sviluppare questa idea, la diffe-renziabilità di una funzione.

Definizione 9.2 Sia L : R −→ R, diciamo che L è lineare se:

L(αx + βy) = αL(x) + βL(y) , ∀α, β ∈ R , ∀x, y ∈ R (9.7)

Più in generale la definizione può essere data per una funzione L : V −→R dove V è uno spazio vettoriale su R. In tal caso L si dice lineare se la 9.7risulta vera per ogni α, β ∈ R, x, y ∈ V.

Indichiamo con L(R, R) l’insieme delle funzioni lineari da R in R.

Non è difficile verificare che L(R, R) è uno spazio vettoriale su R.Scriveremo spesso L(R) in luogo di L(R, R).Per le applicazioni lineari vale il seguente risultato

Teorema 9.1 Sia L : R −→ R, allora

L ∈ L(R) ⇔ ∃γ ∈ R : L(x) = γx.

Dimostrazione. Evidentemente, se L(x) = γx, L è lineare.Se viceversa L è lineare, si ha

L(x) = L(x · 1) = xL(1) = γx se γ = L(1).

2

Definizione 9.3 Sia f : (a, b) −→ R, x0 ∈ (a, b); diciamo che f è differen-ziabile in x0 se esiste a ∈ R tale che

limx→x0

f (x)− f (x0)− a(x− x0)

x− x0= 0.

La funzione lineare L(x) = a(x− x0) si chiama differenziale di f in x0 e siindica con d f (x0)(x).

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108 o.caligaris - p.oliva

Teorema 9.2 Sia f : (a, b) −→ R, x0 ∈ (a, b), allora f è derivabile in x0 see solo se f è differenziabile in x0.

Inoltred f (x0)(h) = h f ′(x0)

per ogni h ∈ R.

Dimostrazione. Se f è derivabile in x0 è sufficiente definire

a = f ′(x0)

e si ha

limx→x0

f (x)− f (x0)− a(x− x0)

x− x0= 0.

Se viceversa f è differenziabile in x0 si ha che

limx→x0

f (x)− f (x0)− a(x− x0)

x− x0= 0

e

limx→x0

f (x)− f (x0)

x− x0− a = 0

da cuif ′(x0) = a

ed f (x0)(h) = h f ′(x0)

2

Dalla 9.5 risulta evidente che se f è derivabile in x0 si ha:

f (x)− f (x0) = f ′(x0)(x− x0) + (x− x0)ω(x− x0).

Pertanto

limx→x0

[ f (x)− f (x0)] = limx→x0

[ f ′(x0)(x− x0) + (x− x0)ω(x− x0)] = 0

elim

x→x0f (x) = f (x0).

Si è così provato che

Teorema 9.3 Sia f : D −→ R , D ⊂ R aperto, e sia x0 ∈ D; se f èderivabile in x0 allora f è continua in x0.

Non è però vero il viceversa; esempi che illustrino questo fattonon sono difficili a trovarsi (basta considerare f (x) = |x|), e di piùè possibile costruire una funzione continua su un intervallo ed ivi maiderivabile.

Teorema 9.4 Sia f : (a, b) −→ R, x0 ∈ (a, b); sono fatti equivalenti:

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analisi matematica 1 109

1.

limx→x0

f (x)− f (x0)

x− x0= f ′(x0)

2.

limx→x0

f (x)− f (x0)− d f (x0)(x− x0)

x− x0= 0

3.

∃ ω : R −→ R, con ω(0) = 0 = limh→0

ω(h)

e

f (x) = f (x0) + f ′(x0)(x− x0) + (x− x0)ω(x− x0)

4.

∃ ω : R −→ R, con ω(0) = 0 = limh→0

ω(h)

e

f (x) = f (x0) + d f (x0)(x− x0) + (x− x0)ω(x− x0).

Proviamo ora alcuni risultati sulla derivabilità.

Teorema 9.5 Siano f , g : D −→ R, D ⊂ R aperto, e sia x0 ∈ D;supponiamo che f e g siano derivabili in x0 , allora:

1. α f + βg è derivabile in x0 ∀α, β ∈ R e si ha

(α f + βg)′(x0) = α f ′(x0) + βg′(x0);

2. f g è derivabile in x0 e si ha

( f g)′(x0) = f ′(x0)g(x0) + f (x0)g′(x0).

3. Se f (x0) 6= 0 allora (1/ f ) è derivabile in x0 e si ha:(1f

)′(x0) = −

f ′(x0)

f 2(x0).

Dimostrazione.

1. è banale conseguenza della definizione di derivata e dei risultatiprovati sui limiti.

2. si può provare osservando che

f (x)g(x)− f (x0)g(x0)

x− x0=

f (x)[g(x)− g(x0)]

x− x0+

[ f (x)− f (x0)]g(x0)

x− x0

e passando al limite.

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110 o.caligaris - p.oliva

3. Dal momento che f è derivabile in x0, f è ivi continua e per ilteorema della permanenza del segno ∃δ > 0 tale che f (x) 6= 0 se|x− x0| < δ.

Possiamo pertanto considerare la funzione 1/ f in |x − x0| < δ ecostruire il suo rapporto incrementale

1/ f (x)− 1/ f (x0)

x− x0= −

f (x)− f (x0)x−x0

1f (x) f (x0)

.

Passando al limite per x −→ x0 si ottiene che

(1f

)′(x0) = −

f ′(x0)

f 2(x0)

2

Teorema 9.6 Siano f : (a, b) −→ R, g : (c, d) −→ (a, b); sia t0 ∈ (c, d),g derivabile in t0; sia x0 = g(t0) e sia f derivabile in x0.

Allora se ϕ = f (g(·)), ϕ è derivabile in t0 e si ha

ϕ′(t0) = f ′(x0)g′(t0).

Dimostrazione. Per la 9.5 si ha che

f (x) = f (x0) + f ′(x0)(x− x0) + (x− x0)ω1(x− x0) (9.8)

g(t) = g(t0) + g′(t0)(t− t0) + (t− t0)ω2(t− t0). (9.9)

Si ha

ϕ(t) = f (g(t)) = f (g(t0)) + f ′(g(t0))[g(t)− g(t0)]+

+ [g(t)− g(t0)]ω1(g(t)− g(t0)) =

= f (x0) + f ′(x0)[g′(t0)(t− t0) + (t− t0)ω2(t− t0)]+

+ [g(t)− g(t0)]ω1(g(t)− g(t0)) =

= f (x0) + f ′(x0)g′(t0)(t− t0) + (t− t0)ω3(t− t0).

(9.10)

E dal momento che

limt→t0

ω3(t− t0) = 0

si ha la tesi 2

Teorema 9.7 Sia f : (a, b) −→ R, x0 ∈ (a, b), y0 = f (x0); supponiamo fstrettamente monotona in (a,b), derivabile in x0 ed f ′(x0) 6= 0; allora f−1 èderivabile in y0 e si ha

( f−1)′(y0) =1

f ′(x0).

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analisi matematica 1 111

Dimostrazione. Consideriamo il rapporto incrementale

G(y) =f−1(y)− f−1(y0)

y− y0,

avremo che

G(y) = F( f−1(y))

ove

F(x) =x− x0

f (x)− f (x0)=

x− f−1(y0)

f (x)− y0.

Ora

limx→x0

x− x0

f (x)− f (x0)=

1f ′(x0)

e

limy→y0

f−1(y) = f−1(y0) = x0

(si ricordi che f−1 è continua in y0 in quanto inversa di una funzionemonotona continua).

Inoltre x0 non appartiene al campo di definizione di F; pertantopossiamo applicare il teorema che consente di calcolare il limite di unafunzione composta per concludere che

limy→y0

G(y) =1

f ′(x0)

e la tesi. 2

Calcoliamo ora le derivate di alcune funzioni elementari;

• ddx xa = axa−1

• ddx ax = ax ln a

• ddx loga x = 1

x ln a

• ddx sin x = cos x

• ddx cos x = − sin x

• ddx tan x = 1 + tan2 x

• ddx arcsin x = 1√

1−x2

• ddx arccos x = − 1√

1−x2

• ddx arctan x = 1

1+x2 .

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112 o.caligaris - p.oliva

Ciascuna delle formule vale per quegli x per cui ha senso e puòessere provata usando la definizione di derivata.

Abbiamo con ciò introdotto quello che si chiama derivata primadi una funzione f ; ovviamente applicando successivamente più vol-te lo stesso procedimento, otterremo quelle che si chiamano derivataseconda, terza, .., n-esima di f .

Indichiamo con

f ′′(x0) od2

dx2 f (x0)

f (3)(x0) od3

dx3 f (x0)

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

f (n)(x0) odn

dxn f (x0)

la derivata seconda, terza, .., n-esima di f in x0.Discorsi e notazioni analoghe vanno bene per le derivate successive

destre e sinistre.Indichiamo infine con Cn(I), I ⊂ R, l’insieme delle funzioni f :

I −→ R derivabili almeno n volte, con derivata n-esima continua.In particolare C0(I) è l’insieme delle funzioni continue, mentre C∞(I)

è l’insieme delle funzioni che ammettono derivate di ogni ordine inogni punto di I.

Si può facilmente verificare che ognuno di questi insiemi è unospazio vettoriale su R.

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10. I Teoremi di Rolle, Lagrange eCauchy.

Le derivate forniscono un’importante strumento per lo studio delleproprietà e del grafico di una funzione.

L’applicazione di tale strumento si concretizza attraverso alcuni ri-sultati dimostrati nel corso del ’700, dei quali ci occupiamo di seguito.

Cominciamo con il provare il seguente lemma.

Lemma 10.1 Sia f : [a, b] −→ R derivabile, sia x1 ∈ [a, b] tale che

f (x1) = min{ f (x) : x ∈ [a, b]}

si ha che

1. se x1 ∈ (a, b) allora f ′(x1) = 0

2. Se x1 = a allora f′+(x1) ≥ 0

3. Se x1 = b allora f′−(x1) ≤ 0

Dimostrazione. L’esistenza del punto di minimo è assicurata dallacontinuità di f in [a,b].

Proviamo la prima affermazione; sia

g(x) =f (x)− f (x1)

x− x1

si hag(x) ≤ 0 se x < x1

g(x) ≥ 0 se x > x1.

Pertanto

0 ≥ limx→x−1

g(x) = f ′(x1) = limx→x+1

g(x) ≥ 0.

Per quanto riguarda la seconda affermazione: se x1 = a si ha che

f ′+(x1) = limx→x+1

g(x) ≥ 0.

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114 o.caligaris - p.oliva

La terza affermazione si dimostra in modo simile. 2

È chiaro che un risultato simile si può provare per i punti di massi-mo.

Proviamo ora una estensione del teorema degli zeri alle funzioni,eventualmente non continue, che sono derivate di una qualche altrafunzione.

Teorema 10.1 Darbôux Sia f : [a, b] −→ R derivabile, allora

f ′+(a) f ′−(b) < 0 ⇒ ∃c ∈ (a, b) : f ′(c) = 0.

Dimostrazione. f è continua in [a, b] e pertanto ivi ammette massimoe minimo assoluti. Se entrambi fossero assunti negli estremi dell’inter-vallo si avrebbe, per il lemma 10.1, f ′+(a) f ′−(b) ≥ 0, e perciò almenouno di essi è interno ad (a, b).

La conclusione segue ancora dal lemma 10.1. 2

Osserviamo che il teorema è una effettiva generalizzazione del teo-rema degli zeri, in quanto esistono funzioni non continue che sonoderivate di una qualche altra funzione; si consideri ad esempio

f (x) =

2x sin(1/x)− cos(1/x) , x 6= 0

0 , x = 0.(10.1)

Si ha chef (x) = g′(x)

ove

g(x) =

x2 sin(1/x) x 6= 0

0 , x = 0(10.2)

E’ evidente che f non è continua in 0.A questo punto siamo in grado di provare un risultato che è, pur

nella sua semplicità, fondamentale per lo sviluppo del calcolo diffe-renziale.

Teorema 10.2 - Rolle - Sia f : [a, b] −→ R continua in [a, b] e derivabile in(a, b); allora

f (a) = f (b) ⇒ ∃c ∈ (a, b) : f ′(c) = 0.

Dimostrazione. Per il teorema di Weierstraß f ammette massimo eminimo assoluti in [a, b]; se entrambi sono assunti negli estremi si ha

max{ f (x) : x ∈ [a, b]} = min{ f (x) : x ∈ [a, b]}

ed f è costante, da cui f ′(x) = 0 ∀x ∈ (a, b).Se invece il massimo o il minimo è assunto in un punto interno c,

dal lemma 10.1 si ha f ′(c) = 0. 2

Ne segue che

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analisi matematica 1 115

Teorema 10.3 - Lagrange - Sia f : [a, b] −→ R continua in [a, b] e deriva-bile in (a, b); allora esiste c ∈ (a, b) tale che

f (b)− f (a) = f ′(c)(b− a).

Dimostrazione. Consideriamo la funzione

g : [a, b] −→ R

definita da

g(x) = f (x)−(

f (a) +f (b)− f (a)

b− a(x− a)

).

g è continua in [a,b] e derivabile in (a,b) ed inoltre g(a) = g(b) = 0.Per il teorema di Rolle esiste c ∈ (a, b) tale che

0 = g′(c) = f ′(c)− f (b)− f (a)b− a

ef (b)− f (a) = f ′(c)(b− a).

2

Teorema 10.4 - Peano - Siano f , g : [a, b] −→ R, f , g continue in [a, b] ederivabili in (a, b); allora esiste c ∈ (a, b) tale che

det

(f (b)− f (a) f ′(c)g(b)− g(a) g′(c)

)= 0 (10.3)

Dimostrazione. Consideriamo la funzione h : [a, b] −→ R definita da

h(x) = det

(f (b)− f (a) f (x)g(b)− g(a) g(x)

)= [ f (b)− f (a)]g(x)− [g(b)− g(a)] f (x)

(10.4)h soddisfa le ipotesi del teorema di Rolle e pertanto si può affermareche esiste c ∈ (a, b) tale che

h′(c) = det

(f (b)− f (a) f ′(c)g(b)− g(a) g′(c)

)= 0 (10.5)

2

Teorema 10.5 - Cauchy - Siano f , g : [a, b] −→ R continue in [a, b] ederivabili in (a, b); sia inoltre g′(x) 6= 0 per ogni x ∈ (a, b). Allora esistec ∈ (a, b) tale che

f (b)− f (a)g(b)− g(a)

=f ′(c)g′(c)

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116 o.caligaris - p.oliva

Dimostrazione. Per il teorema di Peano si ha che esiste c ∈ (a, b) taleche

[ f (b)− f (a)]g′(c) = [g(b)− g(a)] f ′(c).

Ma g′(x) 6= 0 per ogni x ∈ (a, b) e pertanto anche g(b)− g(a) 6= 0(se così non fosse ci sarebbe, per il teorema di Rolle, un punto ξ ∈ (a, b)tale che g′(ξ) = 0). Possiamo allora dividere per g′(c) e per g(b)− g(a)ed ottenere la tesi. 2

I teoremi appena dimostrati forniscono tutta una serie di risultatimolto utili per lo studio del grafico di una funzione.

Teorema 10.6 Sia f : [a, b] −→ R continua in [a, b] e derivabile in (a, b);allora f è costante in [a, b] se e solo se f ′(x) = 0 per ogni x ∈ (a, b).

Dimostrazione. Se f è costante in [a, b] è immediato provare che f ′ èidenticamente nulla.

Proviamo viceversa che se f ′(x) = 0 per ogni x ∈ (a, b) si ha chef è costante: sia x ∈ (a, b) ed applichiamo il teorema di Lagrangeall’intervallo [a, x]. Per un opportuno valore di c ∈ (a, x) si ha

f (x)− f (a) = f ′(c)(x− a) = 0

e si deduce che f (x) = f (a) 2

Corollario 10.1 Siano f , g : [a, b] −→ R continue in [a, b] , derivabili in(a, b) e tali che

f ′(x) = g′(x) ∀x ∈ (a, b) ;

allora∃c ∈ R : f (x) = g(x) + c ∀x ∈ [a, b].

Teorema 10.7 Sia f : (a, b) −→ R, derivabile; allora f è crescente (de-crescente) in (a, b) se e solo se f ′(x) ≥ 0 ( f ′(x) ≤ 0) per ogni x ∈(a, b).

Dimostrazione. E’ intanto ovvio che se f è crescente allora si haf ′(x) ≥ 0 per ogni x ∈ (a, b); supponiamo viceversa che f ′(x) ≥ 0 perogni x ∈ (a, b), allora se x1, x2 ∈ (a, b), x1 < x2 , si ha

f (x2)− f (x1) = f ′(c)(x2 − x1) , x1 < c < x2

e pertantof (x2)− f (x1) ≥ 0

2

Sottolineiamo che i risultati provati funzionano soltanto per funzio-ni definite su un intervallo.

È infatti facile trovare esempi che contraddicano gli enunciati pre-cedenti se si rinuncia alla condizione di intervallo:

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-3.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 117

Ad esempio consideriamo le funzioni

f (x) =

1 , x > 0

−1 , x < 0(10.6)

oppureg(x) = 1/x su R \ {0} (10.7)

Si può anche provare che:

Teorema 10.8 Sia f : (a, b) −→ R derivabile e supponiamo che f ′(x) > 0per ogni x ∈ (a, b); allora f è strettamente crescente in (a, b).

La funzione f (x) = x3 ci convince inoltre che possono esistere fun-zioni strettamente crescenti la cui derivata non è sempre strettamentemaggiore di zero.

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11. La Regola di De L’Hôpital

Dal teorema di Cauchy è possibile ricavare un risultato molto impor-tante usualmente identificato come regola di De L’Hôpital, dal no-me del marchese che pubblicò un trattato che la contiene, ma è piùprobabilmente dovuta a Johann Bernoulli.

Il suo scopo è fornire uno strumento atto a risolvere, in certi casi, ilproblema di trovare il limite di una forma indeterminata.

E’ importante ricordare che l’applicazione di tale regola è subordi-nata, come sempre, alla verifica di alcune ipotesi, in assenza delle qualisi possono ottenere dei risultati sbagliati.

La regola di De l’Hôpital è un raffinamento del seguente fatto deltutto elementare.

Teorema 11.1 Siano f , g : D −→ R derivabili in x0 ∈ D, D aperto; allora,se f (x0) = g(x0) = 0 e g′(x0) 6= 0, si ha

limx→x0

f (x)g(x)

=f ′(x0)

g′(x0).

Dimostrazione. E’ sufficiente osservare che

limx→x0

f (x)g(x)

= limx→x0

f (x)− f (x0)

x− x0

x− x0

g(x)− g(x0)=

f ′(x0)

g′(x0)

2

Il risultato appena enunciato si può generalizzare al caso in cui nonsia possibile considerare

f ′(x0)

g′(x0)

ma soltanto

limx→x0

f ′(x)g′(x)

.

Naturalmente tutto ciò è fatto allo scopo di determinare il

limx→x0

f (x)g(x)

nel caso in cuilim

x→x0f (x) = lim

x→x0g(x) = 0.

Non sarà ovviamente restrittivo trattare solo il caso in cui x → x+0 .

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120 o.caligaris - p.oliva

Teorema 11.2 Siano f , g : (a, b) −→ R derivabili; supponiamo che

g′(x) 6= 0 ∀x ∈ (a, b)

limx→a+

f (x) = limx→a+

g(x) = 0.

Allora, se

limx→a+

f ′(x)g′(x)

esiste, si ha

limx→a+

f (x)g(x)

= limx→a+

f ′(x)g′(x)

.

Dimostrazione. Sia

limx→a+

f ′(x)g′(x)

= ` ∈ R∗.

Se a < x < a + δε si haf ′(x)g′(x)

∈ I(`, ε).

Ora, se prolunghiamo f e g per continuità in a ponendo

f (a) = g(a) = 0,

si può applicare il teorema di Cauchy nell’intervallo [a, x] con x ∈(a, b) ed ottenere che

f (x)g(x)

=f (x)− f (a)g(x)− g(a)

=f ′(c)g′(c)

con a < c < x

Perciò, se a < x < a + δε si ha a < c < x < a + δε e

f (x)g(x)

=f ′(c)g′(c)

∈ I(`, ε).

2

Il teorema 11.2 può ovviamente essere rienunciato anche conside-rando limiti per x → a− e per x → a.

Restano fuori da questa trattazione i limiti per x → +∞ e per x →−∞.

Osserviamo che in tali casi può essere utilizzato il fatto che

limx→+∞

f (x)g(x)

= limt→0+

f (1/t)g(1/t)

.

A quest’ultimo limite può essere applicato il teorema 11.2 non ap-pena si siano verificate le ipotesi in esso richieste.

Enunciamo, per comodità, il risultato che si ottiene seguendo questavia.

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-3.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 121

Corollario 11.1 Siano f , g : (a,+∞) −→ R derivabili; supponiamo

g′(x) 6= 0 ∀x ∈ (a,+∞)

limx→+∞

f (x) = limx→+∞

g(x) = 0 .

Allora, se

limx→+∞

f ′(x)g′(x)

esiste, si ha

limx→+∞

f (x)g(x)

= limx→+∞

f ′(x)g′(x)

.

Nel caso in cui g → +∞ oppure g → −∞ possiamo dimostrare ilseguente teorema la cui domostrazione comporta qualche difiicoltà inpiù.

Teorema 11.3 Siano f , g : (a, b) −→ R derivabili; supponiamo

g′(x) 6= 0 ∀x ∈ (a, b)

limx→a+

g(x) = +∞.

Allora, se

limx→a+

f ′(x)g′(x)

esiste, si ha

limx→a+

f (x)g(x)

= limx→a+

f ′(x)g′(x)

.

Dimostrazione. La dimostrazione è leggermente diversa a secondache

` = limx→a+

f ′(x)g′(x)

sia un numero reale oppure +∞ o −∞ .Cominciamo a considerare il caso ` ∈ R.Sia ε > 0, esisterà δε > 0 tale che, se a < x < a + δε

`− ε <f ′(x)g′(x)

≤ `+ ε

Ora, dal momento che

limx→a+

g(x) = +∞

si ha che, fissato comunque un punto α ∈ (a, a + δε), esiste δ′ > 0 taleche, se a < x < a + δ′ si ha

g(x) > max{g(α), 0}.

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122 o.caligaris - p.oliva

Consideriamo ora un punto x tale che

a < x < a + min{δε, δ′, α− a}

e l’intervallo [x, α], (osserviamo che si ha x < (α− a) + a = α).Per il teorema di Cauchy esiste c ∈ (x, α) tale che

f (x)− f (α)g(x)− g(α)

=f ′(c)g′(c)

.

Ora, dal momento che a < x < c < α < a + δε, si ha

`− ε <f (x)− f (α)g(x)− g(α)

< `+ ε

e

f (α) + (`− ε)(g(x)− g(α)) < f (x) < f (α) + (`+ ε)(g(x)− g(α))

Se ora dividiamo per g(x) otteniamo

(`− ε)

(1− g(α)

g(x)

)+

f (α)g(x)

<f (x)g(x)

< (`+ ε)

(1− g(α)

g(x)

)+

f (α)g(x)

Ora, il primo ed il terzo membro (il secondo) tendono ad `+ ε ed`− ε (ε) rispettivamente e perciò, se a < x < a + δ′′ si ha

`− 2ε <f (x)g(x)

< `+ 2ε

Riportiamo la dimostrazione anche nel caso in cui ` = +∞.Sia ε > 0, esisterà δε > 0 tale che, se a < x < a + δε(

f ′(x)g′(x)

> ε

).

Ora, dal momento che

limx→a+

g(x) = +∞

si ha che, fissato comunque un punto α ∈ (a, a + δε), esiste δ′ > 0 taleche, se a < x < a + δ′ si ha

g(x) > max{g(α), 0}.

Consideriamo ora un punto x tale che

a < x < a + min{δε, δ′, α− a}

e l’intervallo [x, α], (osserviamo che si ha x < (α− a) + a = α).Per il teorema di Cauchy esiste c ∈ (x, α) tale che

f (x)− f (α)g(x)− g(α)

=f ′(c)g′(c)

.

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analisi matematica 1 123

Ora, dal momento che a < x < c < α < a + δε, si ha(f (x)− f (α)g(x)− g(α)

> ε

)e

( f (x) > f (α) + ε(g(x)− g(α)))

Se ora dividiamo per g(x) otteniamo(f (x)g(x)

>f (α)g(x)

+ ε

(1− g(α)

g(x)

)).

Ora, il primo ed il terzo membro (il secondo) tendono ad `+ ε ed`− ε (ε) rispettivamente e perciò, se a < x < a + δ′′ si ha(

f (x)g(x)

2

)2

Ecco alcuni esempi che mostrano come la regola di De L’Hôpitalnon dia risultati corretti se viene meno anche una sola delle ipotesifatte.

Esempio 11.1 Siano

f (x) = x + cos x , g(x) = x− (sin x)/2

e consideriamo

limx→+∞

f (x)g(x)

.

La regola di De L’Hôpital non può essere applicata perché

limx→+∞

f ′(x)g′(x)

= limx→+∞

1− sin x1− (cos x)/2

non esiste.Osserviamo anche che tutte le altre ipotesi sono soddisfatte.Una applicazione incauta della regola stessa condurrebbe a concludere che

anche

limx→+∞

f (x)g(x)

non esiste, mentre non è difficile vedere che tale limite esiste e vale 1.

Esempio 11.2 Siano

f (x) = e−2x(2 sin x + cos x) , g(x) = e−x(sin x + cos x)

e consideriamo

limx→+∞

f (x)g(x)

.

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124 o.caligaris - p.oliva

La regola di De L’Hôpital non può essere applicata perché esiste una suc-cessione xn tale che xn → +∞ e g′(xn) = 0, tutte le altre ipotesi essendosoddisfatte.

Tuttavia si ha

limx→+∞

f ′(x)g′(x)

= 0

ed una incauta applicazione della regola di De L’Hôpital condurrebbe a con-cludere che

limx→+∞

f (x)g(x)

= 0

ma ciò è falso in quanto tale limite non esiste.Verifichiamo le nostre affermazioni.Si ha

f ′(x) = −5e−2x sin x , g′(x) = −2e−x sin x ,f ′(x)g′(x)

=52

e−x

per cui

limx→+∞

f ′(x)g′(x)

= 0.

Inoltre, sia c tale che 2 sin c + cos c = 0 e consideriamo la successione

xn = c + 2πn,

xn → +∞ ed f (xn) = 0 per cui si ha

limn

f (xn)

g(xn)= 0.

Sia d’altro canto

an = atn(e−7n) , yn = −π

4+ 2πn + an;

usando le formule di addizione del seno e del coseno si calcola facilmente che

f (yn)

g(yn)= eπ/4−2πn−an

3 sin an − cos an

2 sin an=

= eπ/4−an e−2πn 3 tan an − 12 tan an

= eπ/4−atn(e−7n) 3e−7n − 12

e(7−2π)n −→ −∞ (11.1)

Ciò è sufficiente per concludere che il limite in oggetto non esiste.

Teorema 11.4 Siano f , g : (a, b) −→ R derivabili; supponiamo

g′(x) 6= 0 ∀x ∈ (a, b)

limx→a+

g(x) = +∞.

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analisi matematica 1 125

Allora, se

limx→a+

f ′(x)g′(x)

esiste, si ha

limx→a+

f (x)g(x)

= limx→a+

f ′(x)g′(x)

.

La regola di De L’Hôpital permette di ricavare un risultato moltoutile per calcolare la derivata di una funzione in punti che presentinoqualche criticità.

Corollario 11.2 Sia f : D −→ R, derivabile in D \ {x0} e continua inx0 ∈ D, D aperto, con

limx→x+0

f ′(x) = λ , limx→x−0

f ′(x) = µ.

Allora

1. se λ ∈ R allora f ′+(x0) = λ

2. Se µ ∈ R allora f ′−(x0) = µ

3. Se λ = ±∞ allora f non è derivabile da destra in x0

4. Se µ = ±∞ allora f non è derivabile da sinistra in x0

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12. La Formula Di Taylor

La formula di Taylor nasce dall’esigenza di trovare buone approssima-zioni, facilmente calcolabili, per le funzioni elementari.

Si tratta essenzialmente dello sviluppo del concetto di approssima-zione lineare che è stato introdotto con la definizione di derivata. In-fatti se supponiamo che f sia una funzione derivabile in x0; abbiamovisto che

f (x) = f (x0) + f ′(x0)(x− x0) + (x− x0)ω(x− x0)

dovelim

x→x0ω(x− x0) = 0 = ω(0).

Possiamo pertanto affermare che in tale occasione abbiamo trova-to un polinomio di primo grado che approssima la funzione f conun errore che può essere espresso nella forma (x− x0)ω(x− x0), conω(x − x0) → 0 se x → x0, tale errore quindi risulta essere infinite-simo di ordine superiore ad 1 cioè di ordine superiore al grado delpolinomio approssimante.

Poniamoci ora il problema di approssimare la funzione f con unpolinomio di grado n, commettendo un errore che sia infinitesimo diordine superiore ad n, cioè che possa essere espresso nella forma

(x− x0)nω(x− x0) ove lim

x→x0ω(x− x0) = 0 .

Sia pertanto

Pn(x) =n

∑i=0

ai(x− x0)i

un tale polinomio; dovrà aversi

f (x) =n

∑i=0

ai(x− x0)i + (x− x0)

nω(x− x0) (12.1)

con ω(x− x0)→ 0 se x → x0.Se supponiamo f derivabile n volte, affinché la 12.1 sia vera dovrà

esseref (x0) = a0

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128 o.caligaris - p.oliva

per cui si avrà

f (x) = f (x0) +n

∑i=1

ai(x− x0)i + (x− x0)

nω(x− x0)

e

f (x)− f (x0)

x− x0= a1 +

n

∑i=2

ai(x− x0)i−1 + (x− x0)

n−1ω(x− x0).

Passando al limite per x → x0 si ottiene

f ′(x0) = a1

e si avrà

f (x) = f (x0) + f ′(x0)(x− x0) +n

∑i=2

ai(x− x0)i + (x− x0)

nω(x− x0)

da cui

f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0)

(x− x0)2 =

= a2 +n

∑i=3

ai(x− x0)i−2 + (x− x0)

n−2ω(x− x0) (12.2)

per cui, applicando la regola di De L’Hôpital, si ottiene che

limx→x0

f ′(x)− f ′(x0)

2(x− x0)= a2 (12.3)

ef ”(x0)

2!= a2.

Così procedendo si ottiene che

f (n)(x0)

n!= an

e pertanto, affinché il nostro scopo sia raggiunto, sarà necessario che

P(x) =n

∑i=0

f (i)(x0)

i!(x− x0)

i.

Riassumendo possiamo dire che

Affinchè si abbia

f (x) =n

∑i=0

ai(x− x0)i + (x− x0)

nω(x− x0) (12.4)

con ω(x− x0)→ 0 se x → x0. deve essere

an =f (n)(x0)

n!(12.5)

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-4.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 129

Ci resta ora da provare che tale polinomio soddisfa effettivamentele condizioni richieste.

Ciò sarà fatto provando il seguente risultato:

Teorema 12.1 - Formula di Taylor con il resto di Peano - Sia f : (a, b) −→R derivabile n-1 volte in (a, b) ed n volte in x0 ∈ (a, b); allora

f (x) =n

∑i=0

f (i)(x0)

i!(x− x0)

i + (x− x0)nω(x− x0) (12.6)

conlim

x→x0ω(x− x0) = 0 = ω(0) .

Dimostrazione. Definiamo

P(x) =n

∑i=0

f (i)(x0)

i!(x− x0)

i

e chiamiamo

ω(x− x0) =f (x)− P(x)(x− x0)n ;

proviamo chelim

x→x0ω(x− x0) = 0

Allo scopo di applicare la regola di De L’Hôpital calcoliamo

limx→x0

f ′(x)− P′(x)n(x− x0)n−1 =

= limx→x0

1n(x− x0)n−1

(f ′(x)−

n

∑i=1

f (i)(x0)

(i− 1)!(x− x0)

i−1

)(12.7)

e proseguendo calcoliamo

limx→x0

f ′′(x)− P′′(x)n(n− 1)(x− x0)n−2 =

= limx→x0

1n(n− 1)(x− x0)n−2

(f ′′(x)−

n

∑i=2

f (i)(x0)

(i− 2)!(x− x0)

i−2

)

(12.8)

fino ad arrivare a

limx→x0

f (n−1)(x)− P(n−1)(x)n!(x− x0)

=

= limx→x0

f (n−1)(x)− f (n−1)(x0)− f (n)(x0)(x− x0)

n!(x− x0)=

= limx→x0

1n!

(f (n−1)(x)− f (n−1)(x0)

x− x0− f (n)(x0)

)= 0 (12.9)

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130 o.caligaris - p.oliva

Si può pertanto dedurre che

limx→x0

ω(x− x0) = 0 (12.10)

2

La formula di Taylor con il resto nella forma di Peano permette diestendere la possibilità di approssimare una funzione f con un poli-nomio di primo grado, fino ad ottenere la possibilità di approssimarlacon un polinomio di grado n arbitrario.

Ovviamente il fatto più importante è la valutazione dell’errore com-messo e, se consideriamo il resto nella forma di Peano, tale valutazioneè di tipo qualitativo.

Se vogliamo una valutazione dell’errore di tipo quantitativo ci oc-corre seguire un procedimento diverso dalla definizione di differen-ziabilità. Un rapido sguardo ai risultati di calcolo differenziale fino adora provati ci convincerà ben presto che il risultato da estendere è ilteorema di Lagrange.

Cercheremo in altre parole di valutare la differenza

f (x)−n

∑i=0

f (i)(x0)

i!(x− x0)

i

in funzione di maggioranti di | f (n+1)(x)| .

Teorema 12.2 Formula di Taylor con il resto di Lagrange - Sia f : (a, b) −→R derivabile n + 1 volte in (a, b); siano x, x0 ∈ (a, b), allora esiste c tra x0

ed x, tale che

f (x) =n

∑i=0

f (i)(x0)

i!(x− x0)

i +f (n+1)(c)(x− x0)

n+1

(n + 1)!.

Dimostrazione. Proviamo il teorema nel caso in cui n = 2; dovremoin questo caso provare che esiste c tra x0 ed x, tale che

f (x) = f (x0) + f ′(x0)(x− x0) +f ′′(x0)

2(x− x0)

2 +f ′′′(c)

3!(x− x0)

3

(12.11)Sia

F(x) = f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0)−f ′′(x0)

2(x− x0)

2 − R(x− x0)3

(12.12)Ovviamente R dipende dal fatto che abbiamo fissato n = 3 oltre che

da x e da x0, che comunque sono essi pure fissati,Se consideriamo F sull’intervallo di estremi x0 ed x, possiamo affer-

mare che è derivabile almeno tre volte e si ha

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analisi matematica 1 131

F′(x) = f ′(x)− f ′(x0)− f ′′(x0)(x− x0)− 3R(x− x0)2 (12.13)

F′′(x) = f ′′(x)− f ′′(x0)− 6R(x− x0) (12.14)

F′′′(x) = f ′′′(x)− 6R (12.15)

Poichè F(x) = F(x0) = 0 per il teorema di Rolle esiste un punto α

tra x0 ed x tale cheF′(α) = 0

Poichè inoltre F′(x0) = 0, sempre per il teorema di Rolle si ha cheesiste un punto β tra x0 ed α tale che

F′′(β) = 0

Ed ancora per il teorema di Rolle, poichè ancora F′′(x0) = 0 esiste unpunto c tra x0 ed β tale che

F′′′(c) = 0

Ne ricaviamo infine che

F′′′(c) = f ′′′(c)− 6R = 0

e ne deduciamo che

R =f ′′′(c)

62

Lemma 12.1 Sia f : (a, b) −→ R derivabile n + 1 volte in (a, b) e siaϕ : [0, 1] −→ R derivabile in (a, b), con ϕ(0) = 0 e ϕ(1) = 1 .

Siano x, x0 ∈ (a, b), allora esiste c, tra x0 ed x, tale che

f (x) =n

∑i=0

f (i)(x0)

i!(x− x0)

i +f (n+1)(c)(x− c)n(x− x0)

n! ϕ′((x− c)/(x− x0)).

Dimostrazione. Sia x ∈ (a, b), posto

Q(t) =n

∑i=0

f (i)(t)i!

(x− t)i

eR = f (x)−Q(x0) = f (x)− P(x)

definiamo F : (a, b) −→ R mediante la

F(t) = Q(t) + ϕ

(x− t

x− x0

)R.

Si haF(x) = Q(x) + ϕ(0)R = Q(x) = f (x)

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132 o.caligaris - p.oliva

F(x0) = Q(x0) + ϕ(1)R = f (x);

inoltre F è derivabile in (a, b), pertanto per il teorema di Rolle, esistec, tra x0 ed x tale che F′(c) = 0, ovvero

F′(c) = Q′(c)− 1x− x0

ϕ′(

x− cx− x0

)R = 0.

Notiamo che

Q(t) = f (t) + f ′(t)(x− t) +f ”(t)

2(x− t)2 + ... + f (n)(t)n!(x− t)n

da cui

Q′(t) =

= f ′(t)− f ′(t) + f ′′(t)(x− t)− f ′′(t)(x− t) +f (3)(t)

2(x− t)2+

+ · · · · · · · · · − f (n)(t)(n− 1)!

(x− t)n−1 +f (n+1)(t)

n!(x− t)n =

=f (n+1)(t)

n!(x− t)n

(12.16)

e

F′(c) =f (n+1)(c)

n!(x− c)n − 1

x− x0ϕ′(

x− cx− x0

)R = 0.

Ne viene

R =f (n+1)(c)(x− c)n(x− x0)

n!ϕ′((x− c)/(x− x0))

2 Il precedente teorema può essere applicato per ottenere diversi resticorrispondenti a diverse scelte della funzione ϕ.

Illustriamo di seguito tre delle quattro più importanti formulazio-ni, rinviando al seguito per la quarta, che coinvolge il concetto diintegrale.

Teorema 12.3 Formula di Taylor con il resto di Schlomilch-Ròche Sia f :(a, b) −→ R derivabile n + 1 volte in (a, b) e siano x, x0 ∈ (a, b), α > 0;allora esiste c ∈ (a, b), tra x0 ed x, tale che

f (x) =n

∑i=0

f (i)(x0)

i!(x− x0)

i +f (n+1)(c)(x− c)n+1−α(x− x0)

α

n! α.

Dimostrazione. E’ sufficiente scegliere

ϕ(t) = tα

2

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analisi matematica 1 133

Teorema 12.4 formula di Taylor con il resto di Cauchy - Sia f : (a, b) −→R derivabile n + 1 volte in (a, b); siano x, x0 ∈ (a, b), allora esiste esiste c,tra x0 ed x, tale che

f (x) =n

∑i=0

f (i)(x0)

i!(x− x0)

i +f (n+1)(c)(x− c)n(x− x0)

n!.

Dimostrazione. E’ sufficiente applicare il teorema precedente conα = 1 . 2

Teorema 12.5 Formula di Taylor con il resto di Lagrange - Sia f : (a, b) −→R derivabile n+ 1 volte in (a, b); siano x, x0 ∈ (a, b), allora esiste c ∈ (a, b),c, tra x0 ed x, tale che

f (x) =n

∑i=0

f (i)(x0)

i!(x− x0)

i +f (n+1)(c)(x− x0)

n+1

(n + 1)!.

Dimostrazione. E’ sufficiente applicare il teorema 12.3 dopo averposto α = n + 1. 2

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13. Qualche Sviluppo di Taylor

Alcuni sviluppi di funzioni elementari ricorrono spesso e quindi èmolto comodo fare una breve raccolta di risultati in merito

Nel seguito indichiamo con ω una funzione infinitesima per x → x0

13.1 Lo sviluppo di McLaurin di ex

Sia

f (x) = ex

Avremo che f ∈ C+∞(R) e si ha

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136 o.caligaris - p.oliva

f (x) = ex f (0) = 1 (13.1)

f ′(x) = ex f ′(0) = 1 (13.2)

f ′′(x) = ex f ′′(0) = 1 (13.3)

f ′′′(x) = ex f ′′′(0) = 1 (13.4)

· · · · · · · · · · · · (13.5)

f (n)(x) = ex f (n)(0) = 1 (13.6)

da cui si ricava che il polinomio di McLaurin Pn di ex di grado n è

Pn(x) =n

∑k=0

xk

k!

ed il resto di Lagrange Rn assume la forma

Rn(x) =ec

(n + 1)!xn+1 |c| ≤ |x|

Possiamo pertanto concludere che

ex =n

∑k=0

xk

k!+ xnω(x) (13.7)

ex =n

∑k=0

xk

k!+

ec

(n + 1)!xn+1 |c| ≤ |x| (13.8)

13.2 Lo sviluppo di McLaurin di sin x

Sia

f (x) = sin x

Avremo che f ∈ C+∞(R) e si ha

f (x) = sin x f (iv)(x) = sin x (13.9)

f ′(x) = cos x f (v)(x) = cos x (13.10)

f ′′(x) = − sin x f (vi)(x) = − sin x (13.11)

f ′′′(x) = − cos x f (vii)(x) = − cos x (13.12)

Pertanto le derivate di f si ripetono di 4 in 4 e si ha

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analisi matematica 1 137

f (0) = 0 f (iv)(0) = 0 (13.13)

f ′(0) = 1 f (v)(0) = 1 (13.14)

f ′′(0) = 0 f (vi)(0) = 0 (13.15)

f ′′′(0) = −1 f (vii)(0) = −1 (13.16)

da cui si ricava che il polinomio di McLaurin Pn di sin x di grado2n + 1 è

P2n+1(x) =n

∑k=0

(−1)k x2k+1

(2k + 1)!

ed il resto di Lagrange R2n+1 assume la forma

R2n+1(x) =f (2n+3)(c)(2n + 3)!

|c| ≤ |x|

Ricordiamo che il termine di grado 2n + 2 è nullo.Possiamo pertanto concludere che

27 ottobre 2016—16:51:15 AnTot.TEX— [ Content/Analisi-4.tex]

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138 o.caligaris - p.oliva

sin x =n

∑k=0

(−1)k x2k+1

(2k + 1)!+ x2n+3ω(x) (13.17)

sin x =n

∑k=0

(−1)k x2k+1

(2k + 1)!+

f (2n+3)(c)(2n + 3)!

x2n+3 |c| ≤ |x|

(13.18)

13.3 Lo sviluppo di McLaurin di cos x

Siaf (x) = cos x

Avremo che f ∈ C+∞(R) e si ha

f (x) = cos x f (iv)(x) = cos x (13.19)

f ′(x) = − sin x f (v)(x) = − sin x (13.20)

f ′′(x) = − cos x f (vi)(x) = − cos x (13.21)

f ′′′(x) = sin x f (vii)(x) = sin x (13.22)

Pertanto le derivate di f si ripetono di 4 in 4 e si ha

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analisi matematica 1 139

f (0) = 1 f (iv)(0) = 1 (13.23)

f ′(0) = 0 f (v)(0) = 0 (13.24)

f ′′(0) = −1 f (vi)(0) = −1 (13.25)

f ′′′(0) = 0 f (vii)(0) = 0 (13.26)

da cui si ricava che il polinomio di McLaurin Pn di cos x di grado2n è

P2n(x) =n

∑k=0

(−1)k x2k

(2k)!

ed il resto di Lagrange R2n assume la forma

R2n(x) =f (2n+2)(c)(2n + 2)!

|c| ≤ |x|

Ricordiamo che il termine di grado 2n + 1 è nullo.Possiamo pertanto concludere che

cos x =n

∑k=0

(−1)k x2k

(2k)!+ x2n+1ω(x) (13.27)

cos x =n

∑k=0

(−1)k x2k

(2k)!+

f (2n+2)(c)(2n + 2)!

x2n+3 |c| ≤ |x| (13.28)

13.4 Lo sviluppo di McLaurin di ln(1 + x)

Sia

f (x) = ln(1 + x)

Avremo che f ∈ C+∞((−1,+∞)) e si ha

f (x) = ln(1 + x) (13.29)

f ′(x) =1

1 + x(13.30)

f ′′(x) = − 1(1 + x)2 (13.31)

f ′′′(x) =2

(1 + x)3 (13.32)

f (iv)(x) = − 3 · 2(1 + x)4 (13.33)

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140 o.caligaris - p.oliva

Possiamo quindi congetturare che

f (n)(x) = (−1)n+1 (n− 1)!(1 + x)n (13.34)

La 13.36 si dimostra per induzione, infatti:

1. per n = 1

f ′(x) =1

1 + xe la 13.36 è vera.

2. se la 13.36 è vera per n allora è vera anche per n + 1 infatti:

f (n+1)(x) =d

dxf (n)(x) =

ddx

(−1)n+1 (n− 1)!(1 + x)n =

(−1)(−1)n+1 (n− 1)!n(1 + x)n−1

(1 + x)2n (−1)n+2 n!(1 + x)n+1 (13.35)

Pertanto

f (n)(0) = (−1)n+1(n− 1)! (13.36)

e quindi

Pn(x) =n

∑k=0

(−1)k+1(k− 1)!xk

k!=

n

∑k=0

(−1)k+1 xk

k

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analisi matematica 1 141

ed il resto di Lagrange R2n assume la forma

Rn(x) = (−1)n+2 (n)!(1 + c)n+1

xn+1

(n + 1)!= (−1)n+2 xn+1

(n + 1)(1 + c)n+1 |c| ≤ |x|

Possiamo pertanto concludere che

ln(1 + x) =n

∑k=0

(−1)k+1 xk

k+ xnω(x) (13.37)

ln(1 + x) =n

∑k=0

(−1)k+1 xk

k+ (−1)n+2 xn+1

(n + 1)(1 + c)n+1 |c| ≤ |x|

(13.38)

13.5 Lo sviluppo di McLaurin di√

1 + x

Sia

f (x) =√

1 + x

. Avremo che f ∈ C+∞((−1,+∞)) e si ha

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142 o.caligaris - p.oliva

f (x) =√

1 + x = (1 + x)1/2 (13.39)

f ′(x) =12(1 + x)−1/2 (13.40)

f ′′(x) =12

(−1

2

)(1 + x)−3/2 (13.41)

f ′′′(x) =12

(−1

2

)(−3

2

)(1 + x)−5/2 (13.42)

f (iv)(x) =12

(−1

2

)(−3

2

)(−5

2

)(1 + x)−7/2 (13.43)

Possiamo quindi congetturare che

f (n)(x) = (−1)n+1 (2n− 3)!!2n (1 + x)−

2n−12 (13.44)

La 13.44 si dimostra per induzione, infatti:

1. per n = 1

f ′(x) =12(1 + x)−1/2

e la 13.44 è vera.

2. se la 13.44 è vera per n allora è vera anche per n + 1 infatti:

f (n+1)(x) =d

dxf (n)(x) =

ddx

(−1)n+1 (2n− 3)!!2n (1 + x)−

2n−12 =

= (−1)n+1 (2n− 3)!!2n

(−2n− 1

2

)(1 + x)−

2n−12 −1 =

= (−1)n+2 (2n− 1)!!2n+1 (1 + x)−

2n+12 (13.45)

Pertanto

f (n)(0) = (−1)n+1 (2n− 3)!!2n (13.46)

e quindi

Pn(x) =n

∑k=0

(−1)k+1 (2k− 3)!!2k

xk

k!=

n

∑k=0

(−1)k+1 (2k− 3)!!k!2k xk

ed il resto di Lagrange R2n assume la forma

Rn(x) = (−1)n+2 (2n− 1)!!(n + 1)!2n+1 (1 + c)−

2n+12 |c| ≤ |x|

Possiamo pertanto concludere che

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-4.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

Page 143: Analisi Matematica 1 - web.inge.unige.itweb.inge.unige.it/DidRes/Analisi/AN_1.pdfanalisi matematica 1 11 •per ogni x 2Rnf0gl’inverso di x rispetto al prodotto è unico Siano x0,

analisi matematica 1 143

√1 + x =

n

∑k=0

(−1)k+1 (2k− 3)!!k!2k xk + xnω(x) (13.47)

√1 + x =

=n

∑k=0

(−1)k+1 (2k− 3)!!2k

xk

k!+ (−1)n+2 (2n− 1)!!

(n + 1)!2n+1 (1 + c)−2n+1

2

|c| ≤ |x| (13.48)

13.6 Lo sviluppo di McLaurin di 11−x

Sia

f (x) =1

1− x

Avremo che f ∈ C+∞((−1, 1)) e si haDefiniamo

Sn(x) =n

∑k=0

xk

ed osserviamo che

27 ottobre 2016—16:51:15 AnTot.TEX— [ Content/Analisi-4.tex]

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144 o.caligaris - p.oliva

Sn(x) =n

∑k=0

xk =1 + x + x2 + x3 + · · ·+ xn (13.49)

xSn(x) = xn

∑k=0

xk=x + x2 + x3 + x4 + · · ·+ xn+1 (13.50)

Sommando le due uguaglianze otteniamo

(1− x)Sn = 1− xn+1 (13.51)

Sn =1− xn+1

1− x(13.52)

e

Sn =1

1− x− xn+1

1− x(13.53)

Ne deduciamo che

11− x

= Sn +xn+1

1− x=

n

∑k=0

xk +xn+1

1− x(13.54)

ed osservando che

limx→0

xn+1

1− x= 0 (13.55)

di ordine n + 1 ∈N possiamo concludere ricordando la 12.4 che

Pn =n

∑k=0

xk (13.56)

è il polinomio di McLaurin di f (x) = 11−x .

Pertanto

11− x

=n

∑k=0

xk + xnω(x) (13.57)

e

11− x

=n

∑k=0

xk +xn+1

1− x(13.58)

Allo stesso risultato si può pervenire dimostrando per induzioneche

f (n)(x) =1

(1− x)n+1 . f (n)(0) = 1 (13.59)

In questo modo si trova che che

Rn =1

(1− c)n+1 |c| ≤ |x| (13.60)

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analisi matematica 1 145

13.7 Come ricavare altri sviluppi

Le precedenti formule possono essere utilizzate per ricavare nuovisviluppi di Taylor mediante semplice sostituzione.

Ad esempio dalla 13.7 possiamo ricavare, sostituendo x con −x2 che

e−x2=

n

∑k=0

(−1)kx2k

k!+ x2nω(x) (13.61)

e−x2=

n

∑k=0

(−1)kx2k

k!+ (−1)n+1 ec

(n + 1)!x2n+2 |c| ≤ |x2|

(13.62)

Da quest’ultima, osservando che

x2nω(x)

è un infinitesimo di ordine superiore ad 2n e ricordando la 12.4 pos-siamo affermare che

n

∑k=0

(−1)kx2k

k!

è il polinomio di McLaurin di e−x2di grado n.

L’affermazione è giustificata dal fatto che ∑nk=0

(−1)kx2k

k! differisce dae−x2

per infinitesimi di ordine superiore a 2n.Si capisce quindi che può essere utile disporre di criteri che consen-

tano di affermare che la differenza tra un polinomio ed una funzioneè infinitesima di ordine superiore al grado del polinomio.

Possiamo a questo proposito dire che

Se f è derivabile e se

f (x) = Pn(x) + Rn(x) (13.63)

allora

f ′(x) = (Pn(x))′ + (Rn(x))′ (13.64)

(Rn è derivabile perchè Rn = f − Pn e quindi è la differenza didue funzioni derivabili.)

Ora se (Rn(x))′ è un infinitesimo di ordine superiore ad n− 1si ha

limx→0

(Rn(x))′xn−1 = 0 (13.65)

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146 o.caligaris - p.oliva

e, per la regola di De l’Hopital

limx→0

(Rn(x))xn = lim

x→0

(Rn(x))′nxn−1 = 0 (13.66)

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14. La Convessità

Con le definizioni e gli strumenti che abbiamo introdotto fino a questopunto siamo in grado di distinguere una funzione il cui grafico sia deltipo illustrato in figura 14.1(a) da una il cui grafico sia quello illustratonella figura 14.1(b)

(a) (b) Figura 14.1:

Possiamo infatti osservare che il primo è il grafico di una funzionecrescente mentre il secondo rappresenta una funzione decrescente.

Abbiamo inoltre già sviluppato strumenti (studio del segno del-la derivata prima) che ci consentono di stabilire se una funzione ècrescente o decrescente.

(a) (b) (c)Figura 14.2:

Non siamo tuttavia ancora in grado di distinguere tra i grafici delletre funzioni rappresentate in 14.2(a),14.2(b),14.2(c).

in quanto, ad un primo esame, possiamo osservare che tutte e tresono funzioni crescenti; è tuttavia chiaro che si tratta di funzioni il

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148 o.caligaris - p.oliva

cui grafico presenta caratteristiche molto diverse, così come è evidentequale è la differenza tra una scodella ed un ombrello.

Onde cercare di definire una proprietà che ci consenta di distingueretra i tre grafici cominciamo ad esaminare il più semplice dei tre cioèil secondo. Chiaramente si tratta di una retta e quindi il suo grafico èindividuato da due punti.

Indichiamo con ` la funzione relativa e con (x, `(x)), (y, `(y)) duepunti del suo grafico. Possiamo individuare il valore di ` in z sem-plicemente usando la proporzionalità tra i triangoli indicati in figura14.3(a).

zx yt 1− t

`(z)

`(x)

`(y)`(z) = t`(y) + (1− t)`(x)

(a)

zx yt 1− t

`(z)

f(x) = `(x)

f(y) = `(y)

f(z)

`(z) = t`(y) + (1− t)`(x) = tf(y) + (1− t)f(x)

(b)Figura 14.3:

Avremo infatti che

`(z)− `(x)z− x

=`(y)− `(x)

y− x(14.1)

Poichè`(z)− `(x)

z− x=`(x)− `(z)

x− z,

`(x)− `(y)x− y

=`(y)− `(x)

y− x

la 14.1 non cambia anche nel caso in cui z non sia, come in figura, inter-no all’intervallo di estremi x ed y. Inoltre non è restrittivo considerarex < y.

Avremo pertanto che il valore di ` in z è dato da

`(z) = `(x) + (z− x)`(y)− `(x)

y− x(14.2)

La 14.2 è semplicemente l’equazione di una retta che passa per ilpunto (x, `(x) ed ha coefficiente angolare `(y)−`(x)

y−x .

È utile osservare che, se poniamo

t =z− xy− x

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analisi matematica 1 149

esprimiamo, nel contempo, la proporzionalità

t1=

z− xy− x

tra le lunghezze dei segmenti di [x, z] e [x, y] ed i valori t ed 1.Pertanto il rapporto tra le lunghezze dei segmenti [z, y] e [x, y], sarà

uguale a 1− t.Un semplice calcolo mostra infatti che

1− t = 1− z− xy− x

=y− x− z + x

y− x=

y− zy− x

Inoltre se poniamo

t =z− xy− x

(14.3)

avremo

z− x = t(y− x) (14.4)

e quindi

z = x + t(y− x)x = ty + (1− t)x (14.5)

Per t ∈ (0, 1) la 14.5 individua un punto z che si trova all’internodell’intervallo di estremi x ed y, mentre per t > 1 si hanno punti adestra di y e per t < 0 si hanno punti a sinistra di x.

Similmente possiamo scrivere la 14.2 come

`(z) = `(x) + (z− x)`(y)− `(x)

y− x= `(x) + (`(y)− `(x))

z− xy− x

`(x) + t(`(y)− `(x)) = t`(y) + (1− t)`(x) (14.6)

ed infine possiamo scrivere

`(ty + (1− t)x) = t`(y) + (1− t)`(x) (14.7)

ed osservare che al variare di t la 14.7 consente di esprimere il fattoche tutti i valori `(z) = `(ty + (1− t)x) si trovano sulla retta di cuiabbiamo studiato il grafico.

Se ora sovrapponiamo i primi due grafici nelle figure 14.3(a) e14.3(b),risulta evidente che, se chiamiamo f la funzione del primo grafico edx e y i punti di intersezione tra il grafico e la retta, avremo che, al-l’interno dell’intervallo [x, y], il grafico di f sta sotto il grafico dellaretta.

Chiamiamo una tale funzione convessa ed esprimiamo il fatto cheabbiamo appena individuato semplicemente chiedendo che

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150 o.caligaris - p.oliva

f (ty + (1− t)x) ≤ t f (y) + (1− t) f (x) ∀t ∈ (0, 1)

Poniamo in altre parole la seguente definizione

Definizione 14.1 f si dice convessa in (a, b) se

∀x, y ∈ (a, b) , ∀λ ∈ (0, 1)

f (λx + (1− λ)y) ≤ λ f (x) + (1− λ) f (y) (14.8)

Diciamo che f è strettamente convessa se la 14.8 vale in senso stretto.

Figura 14.4:

zx yt 1− t

`(z)

f(x) = `(x)

f(y) = `(y)

f(z)

`(z) = t`(y) + (1− t)`(x) = tf(y) + (1− t)f(x)

Teorema 14.1 f è convessa se e solo se, ∀n ∈ N, ∀xi ∈ (a, b), ∀λi ≥ 0

n

∑i=1

λi = 1 si ha f

(n

∑i=1

λixi

)≤

n

∑i=1

λi f (xi)

Dimostrazione. Proviamolo per induzione: per n = 2 è ovvio. Sup-poniamolo vero per n e proviamolo per n + 1; sia

Λ =n

∑i=1

λi = 1− λn+1,

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analisi matematica 1 151

si ha

f

(n+1

∑i=1

λixi

)= f

n

∑i=1

λixiΛ

+ (1−Λ)xn+1

)≤

≤ Λ f

(n

∑i=1

λiΛ

xi

)+ (1−Λ) f (xn+1) ≤

≤n

∑i=1

λi f (xi) + λn+1 f (xn+1)

2

Definizione 14.2 Sia A ⊂ R2, diciamo che A è un insieme convesso se, perogni P, Q ∈ A, il segmento di estremi P e Q è interamente contenuto in A.

Osserviamo che, se

P = (p1, p2) , Q = (q1, q2)

un qualunque punto R del segmento di estremi P e Q ha coordinate

(λp1 + (1− λ)q1, λp2 + (1− λ)q2) , λ ∈ [0, 1] .

Definizione 14.3 Definiamo epigrafico di f l’insieme

epi f = {(x, α) ∈ R2 : f (x) ≤ α }. epi f

Figura 14.5: Epigrafico

Teorema 14.2 f è convessa se e solo se epi f è convesso.

Dimostrazione. Supponiamo che f sia convessa e siano

(x, α), (y, β) ∈ epi f ;

allora

f (λx + (1− λ)y) ≤ λ f (x) + (1− λ) f (y) ≤ λα + (1− λ)β

per cui(λx + (1− λ)y, λα + (1− λ)β) ∈ epi f .

Viceversa, se epi f è convesso, poiché

(x, f (x)), (y, f (y)) ∈ epi f

si ha(λx + (1− λ)y, λ f (x) + (1− λ) f (y)) ∈ epi f

e la 14.8. 2

Osserviamo che il risultato precedente permette di riconoscere fa-cilmente una funzione convessa.

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152 o.caligaris - p.oliva

È utile osservare che la 14.8 può essere scritta in diversi modi tuttiutili per comprendere le proprietà delle funzioni convesse.

f (ty + (1− t)x) ≤ t f (y) + (1− t) f (x) (14.9)

f (z) ≤ t f (y) + (1− t) f (x) (14.10)

f (z) ≤ f (x) + (z− x)f (y)− f (x)

y− x(14.11)

Dalla definizione di convessità 14.10 si ricava sottraendo ad ambo imembri f (y)

f (z)− f (y) ≤ (t− 1)( f (y)− f (x)) (14.12)

f (z)− f (y) ≤ z− yy− x

( f (y)− f (x)) (14.13)

f (z)− f (y)z− y

≥ f (y)− f (x)y− x

(14.14)

una funzione f è convessa se e solo se

f (z)− f (y)z− y

≥ f (y)− f (x)y− x

per ogni x < z < y

Figura 14.6:

zx y

f(z)

f(x)

f(y)

Possiamo pertanto concludere, osservando che abbiamo sempre ope-rato trasformando una disuguaglianza in una equivalente, che

Teorema 14.3 f è convessa se e solo se

rx(h) =f (x + h)− f (x)

h

è crescente per ogni x ∈ (a, b).

Dimostrazione. Basta osservare che la crescenza di rx è equivalentealla 14.14, e quindi alla convessità. 2

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analisi matematica 1 153

Teorema 14.4 Se f è convessa allora, per ogni x ∈ (a, b), esistono f ′+(x) ef ′−(x). Inoltre

f ′−(x) ≤ f ′+(x).

Dimostrazione. La funzione rx è crescente e, se δ è scelto in modoche

a < x− δ < x < x + δ < b

si harx(−δ) < rx(h) < rx(δ)

se |h| < δ.Pertanto rx è limitata, sia superiormente che inferiormente, ed è

lecito affermare che

limh→0−

rx(h) e limh→0+

rx(h)

esistono e sono finiti. 2

Teorema 14.5 Se f è convessa in (a, b), allora f non è derivabile in uninsieme N ⊂ (a, b) che risulta al più numerabile.

Dimostrazione. Dal momento che f ′−(x) e f ′+(x) esistono finiti, perogni x ∈ (a, b) e si ha f ′−(x) ≤ f ′+(x), possiamo affermare che

N = {x ∈ (a, b) : f ′−(x) < f ′+(x) } .

E’ pertanto possibile associare ad ogni x ∈ N un numero razionaleqx tale che

f ′−(x) < qx < f ′+(x)

ed è immediato provare che, se x 6= y, si ha qx 6= qy.Ciò ed il fatto che l’insieme dei numeri razionali è numerabile,

permettono di concludere. 2 una funzione f è convessa se e solo se

f (y)− f (z)y− z

≥ f (z)− f (x)z− x

per ogni x < z < y Si veda la Figura 14

Figura 14.7:

zx y

f(z)

f(x)

f(y)

D’altro canto, sempre dalla 14.10 f è convessa se e solo se:

f (z) ≤ t f (y) + (1− t) f (x) (14.15)

f (z)(t + (1− t)) ≤ t f (y) + (1− t) f (x) (14.16)

t( f (z)− f (y)) ≤ (1− t)( f (x)− f (z)) (14.17)

(z− x)( f (z)− f (y)) ≤ (y− z)( f (x)− f (z)) (14.18)

f (y)− f (z)y− z

≥ f (z)− f (x)z− x

(14.19)

Per definizione f è convessa se il suo grafico sta, all’interno di unintervallo (x, y) contenuto nel suo dominio, sotto la retta secante ilgrafico che passa per (x, f (x)) ed (y, f (y)). La disuguaglianza 14.19

puo’ essere riscritta come

F (y) ≥ f (z) +f (z)− f (x)

z− x(y− z)

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154 o.caligaris - p.oliva

e mostra anche che il grafico di una funzione convessa sta, all’esternodi un intervallo (x, y) contenuto nel suo dominio, sopra la retta secanteil grafico che passa per (x, f (x)) ed (y, f (y)).

Figura 14.8:

zx y

f(z)

f(x)

f(y)

Ora, se x < z < w < y si ha

Figura 14.9:

wzx y

f(z)

f(w)f(x)

f(y)

f (z)− f (x)z− x

≤ f (w)− f (z)w− z

≤ f (y)− f (w)

y− w(14.20)

Passando al limite per x → z− e per y → w+ se f è convessa ederivabile allora

f ′(z) ≤ f ′(w) (14.21)

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analisi matematica 1 155

e quindi f ′ è crescente.Viceversa se f è derivabile ed f ′ è crescente, usando il teorema di

Lagrange si può affermare che

zx y

f(z)

f(x)

f(y)

f(ξ)

ξ

f(η)

η

Figura 14.10:

f (z)− f (x)z− x

= f ′(ξ) ≥ f ′(η) =f (y)− f (w)

y− w(14.22)

e quindi f è convessa.Ne concludiamo che:

Teorema 14.6 Sia f derivabile, alloraSono fatti equivalenti

• f è convessa in (a, b)

• f ′ è una funzione crescente in (a, b)

Osserviamo infine che, se f è convessa, allora

f (y)− f (z) ≥ (y− z)f (z)− f (x)

z− x(14.23)

f (y) ≥ f (z) + (y− z)f (z)− f (x)

z− x(14.24)

e passando al limite per x → z

f (y) ≥ f (z) + f ′(z)(y− z) (14.25)

(14.26)

e pertanto il grafico di f sta’ sopra al grafico di ogni sua rettatangente,

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156 o.caligaris - p.oliva

Se viceversa il grafico di f sta’ sopra al grafico di ogni sua rettatangente, allora

f (y) ≥ f (z) + f ′(z)(y− z) (14.27)

e

f (x) ≥ f (z) + f ′(z)(x− z) (14.28)

da cui, tenendo conto che y− z > 0, e x− z < 0

f (y)− f (z)y− z

≥ f ′(z) ≥ f (z)− f (x)z− x

(14.29)

e

f (y)− f (z) ≥ (y− z)f (z)− f (x)

z− x(14.30)

e quindi f è convessa.Ne concludiamo che:

Teorema 14.7 Sia f è derivabile, allora Sono fatti equivalenti

• f è convessa in (a, b)

• il grafico di f sta’ sopra al grafico di ogni sua retta tangente

I risultati che legano segno della derivata e crescenza della funzionepermettono poi di concludere che

Teorema 14.8 Sia f una funzione derivabile due volte in (a, b); sono condi-zioni equivalenti:

• f è convessa in (a, b);

• f ′ è crescente in (a, b);

• f ′′ è non negativa in (a, b).

Definizione 14.4 Sia f : (a, b) −→ R, diciamo che f è concava in (a, b) se− f è convessa in (a, b).

Definizione 14.5 Diciamo che f : (a, b) −→ R ha un punto di flesso inx0 ∈ (a, b) se esiste δ > 0 tale che f è convessa (concava) in (x0 − δ, x0) econcava (convessa) in (x0, x0 + δ).

Semplici esempi mostrano come sia possibile per una funzione ave-re un punto di flesso in 0 e

• non essere derivabile in 0 ( f (x) = 3√

x)

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analisi matematica 1 157

• avere derivata non nulla in 0 ( f (x) = sin x)

• avere derivata nulla in 0 ( f (x) = x3).

Teorema 14.9 Sia f : (a, b) −→ R e sia x0 ∈ (a, b), supponiamo f deri-vabile in (a, b); allora x0 è un punto di flesso se e solo se f ′ è crescente (de-crescente) in un intorno destro di x0 e decrescente (crescente) in un intornosinistro.

E’ pertanto evidente che non è possibile caratterizzare un punto diflesso facendo uso soltanto della derivata prima nel punto.

Possiamo tuttavia provare i seguenti fatti

Teorema 14.10 Sia f : (a, b) −→ R e sia x0 ∈ (a, b), supponiamo f deri-vabile in (a, b); allora x0 è un punto di flesso se e solo se f ′ è crescente (de-crescente) in un intorno destro di x0 e decrescente (crescente) in un intornosinistro.

Corollario 14.1 Sia f : (a, b) −→ R derivabile n volte in (a, b); allora x0 èun punto di flesso per f solo se la prima derivata non nulla in x0 è di ordinedispari.

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15. Estremi Relativi e Asintoti.

Abbiamo già visto cosa si intende per minimo e massimo assoluto diuna funzione e abbiamo già trovato condizioni necessarie e sufficientiper l’esistenza di un minimo o un massimo assoluto. (Si veda il lemma10.1 ed il teorema 8.4).

In questo paragrafo ci occuperemo di stabilire la definizione di mas-simo e minimo relativo per una funzione e daremo condizioni neces-sarie e sufficienti per l’esistenza di un punto di minimo o di massimorelativo.

Definizione 15.1 Sia f : D −→ R diciamo che x0 ∈ D è un punto diminimo (massimo) relativo per la funzione f se ∃δ > 0 tale che se x ∈D ∩ (x0 − δ, x0 + δ) si ha

f (x) ≥ f (x0) ( f (x) ≤ f (x0))

Usando la formula di Taylor possiamo ottenere uno strumento utilead identificare i punti di massimo e di minimo relativo per una fun-zione. Tutto si fonda sul fatto che il polinomio di Taylor approssimauna funzione a meno di infinitesimi di ordine superiore al grado delpolinomio stesso.

Infatti, sia Pn il polinomio di Taylor di f centrato in x0 di gradon, ( ricordiamo che per scrivere il polinomio di Taylor di f , f deveessere derivabile almeno n volte); per il teorema 12.1 possiamo alloraaffermare che

f (x) = Pn(x) + (x− x0)nω(x− x0) (15.1)

dove, come al solito, qui e nel seguito supponiamo

limx→x0

ω(x− x0) = 0

e se definiamo

P1n(x) =

n

∑k=1

f (k)(x0)

k!(x− x0)

k

si avrà

f (x)− f (x0) = P1n(x) + (x− x0)

nω(x− x0) (15.2)

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160 o.caligaris - p.oliva

mentre se

P2n(x) =

n

∑k=2

f (k)(x0)

k!(x− x0)

k

si avrà

f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0) = P2n(x) + (x− x0)

nω(x− x0) (15.3)

Osserviamo che P1 e P2 sono, rispettivamente, i polinomi di Taylordi f (x)− f (x0) e f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0).

Dividendo le 15.1,15.2,15.3 per P, P1 e P2, rispettivamente, ottenia-mo

f (x)Pn(x)

= 1 +(x− x0)

n

Pn(x)ω(x− x0) (15.4)

f (x)− f (x0)

P1n(x)

= 1 +(x− x0)

n

P1n(x)

ω(x− x0) (15.5)

f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0)

P2n(x)

= 1 +(x− x0)

n

P2n(x)

ω(x− x0) (15.6)

(15.7)

Poichè Pn,P1n ,P2

n , sono polinomi di grado n e quindi sono infinitesi-mi, per x → x0 di ordine al più n, tenendo conto che ω è a sua voltainfinitesima, possiamo dedurre che

(x− x0)n

Pn(x)ω(x− x0)

(x− x0)n

P1n(x)

ω(x− x0)(x− x0)

n

P2n(x)

ω(x− x0)

(15.8)sono infinitesimi per x → x0.

Il teorema della permanenza del segno permette quindi di affermareche

In un intorno di x0

1. f ha lo stesso segno di P

2. f (x)− f (x0) ha lo stesso segno di P1

3. f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x− x0) ha lo stesso segno di P2

Poichè il segno di Pn in un intorno di x0 è quello di f (x0), la primaaffermazione si riduce semplicemente alla riaffermazione del teore-ma della permanenza del segno, tuttavia le altre due forniscono utiliinformazioni su crescenza e convessità.

Infatti poichè f (x) − f (x0) ha lo stesso segno di P1n in un intorno

di x0 possiamo dire che x0 è un punto di minimo relativo se siamo ingrado di stabilire che P1

n è positivo in un intorno di x0, viceversa pos-siamo dire che x0 non è di minimo relativo se il polinomio P1

n cambiasegno in un intorno di x0.

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analisi matematica 1 161

Ora se supponiamo che f sia derivabile almeno n volte in (a, b) 3 x0

e che f (n)(x0) sia la prima derivata non nulla di f in x0 possiamoconsiderare il polinomio P1

n che risulta essere definito da

P1n(x) =

f (n)(x0)

n!(x− x0)

n

e quindi risulta evidente che P1n mantiene segno costante o cambia

segno in un intorno di x0 a seconda che n sia pari o dispari; nel casoche n sia pari il segno di P1

n è determinato dal segno di f (n)(x0)

Possiamo allora enunciare il seguente risultato

Teorema 15.1 Sia f : (a, b) −→ R una funzione derivabile almeno n volte esia x0 ∈ (a, b); sia f (n)(x0) 6= 0 la prima derivata che non si annulla, n ≥ 1;allora x0 è punto di minimo relativo per f se e solo se n è pari e f (n)(x0) > 0.

In maniera simile f (x)− f (x0)− f ′(x0)(x − x0) ha lo stesso segnodi P2

n in un intorno di x0 e quindi si ha che che x0 è un punto di flessose P2

n cambia segno in un intorno di x0, viceversa possiamo dire che x0

non è un punto di flesso se il polinomio P2n è positivo in un intorno di

x0,Ora se, come prima, supponiamo che f sia derivabile almeno n volte

in (a, b) 3 x0 e che f (n)(x0) sia la prima derivata non nulla di f in x0

possiamo considerare il polinomio P2n che risulta essere definito da

P2n(x) =

f (n)(x0)

n!(x− x0)

n

e quindi risulta evidente che P2n mantiene segno costante o cambia

segno in un intorno di x0 a seconda che n sia pari o dispari; nel casoche n sia pari il segno di P2

n è determinato dal segno di f (n)(x0)

Possiamo allora enunciare il seguente risultato

Teorema 15.2 Sia f : (a, b) −→ R una funzione derivabile almeno n voltee sia x0 ∈ (a, b); sia f (n)(x0) 6= 0 la prima derivata che non si annulla,n ≥ 2; allora x0 è punto di flesso per f se e solo se n è dispari. Il segnodi f (n)(x0) fornisce poi informazioni sul fatto che il grafico di f sia sopra(funzione localmente convessa) o sotto (funzione localmente concava) la rettatangente al suo grafico

Definizione 15.2 Siano f , g : (a,+∞) −→ R; diciamo che f e g sonoasintotiche se

limx→+∞

f (x)− g(x) = 0.

Nel caso in cui siag(x) = αx + β

diciamo che g è un asintoto per f .

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162 o.caligaris - p.oliva

Teorema 15.3 Sia f : (a,+∞) −→ R; la retta di equazione

y = αx + β

è un asintoto per f se e solo se

α = limx→+∞

f (x)x

, β = limx→+∞

f (x)− αx (15.9)

Dimostrazione. E’ immediato verificare che le 15.9 sono sufficientiaffinché la retta sia asintoto.

Viceversa, se la retta è un asintoto, si ha 2

limx→+∞

f (x)− αx− β

x= lim

x→+∞

f (x)x− α = 0 (15.10)

Definizione 15.3 Sia f : (a, b) −→ R, diciamo che la retta di equazionex = c è un asintoto verticale per f se

limx→c| f (x)| = +∞

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16. Ricerca Numerica di Zeri e Mi-nimi.

Una delle applicazioni più tipiche della convessità consiste nella ricer-ca approssimata degli zeri di una funzione.

Il più semplice dei metodi di ricerca degli zeri è indubbiamente ilmetodo di bisezione di cui abbiamo già dato una dimostrazione in 8.1

Il metodo di bisezione offre indubbi vantaggi di semplicità di ap-plicazione e necessita di ipotesi ridotte alla sola continuità della fun-zione f ; tuttavia, in presenza di migliori condizioni, si possono trovaremetodi che convergono alla soluzione molto più velocemente.

Tali metodi, usualmente utilizzano la convessità della funzione, esono tanto più importanti quanto è più grande la difficoltà di svolgerecalcoli.

Chiaramente, con tempi di calcolo sempre più ridotti, tali metodiperdono parte della loro attrattiva anche se rimangono interessanti perla loro eleganza ed efficienza.

E’ questo il caso del metodo di Newton (o delle tangenti) e del me-todo della ’regula falsi’; essi convergono se le funzioni di cui si ricer-cano gli zeri sono convesse e possono essere generalizzati al caso nonconvesso purché le derivate prime e seconde della funzione f sianoopportunamente maggiorabili o minorabili.

Cominciamo con l’occuparci dei metodi di ricerca degli zeri di unafunzione.

Teorema 16.1 - Metodo di Newton (o delle tangenti)- Supponiamo f : (α, β) −→R, convessa e derivabile due volte in (α, β); supponiamo inoltre che α < a <b < β e sia

f (a) < 0 , f (b) > 0 .

Allora esiste uno ed un solo punto c ∈ (a, b) tale che

f (c) = 0 , f ′(x) ≥ f ′(c) > 0 ∀x ∈ [c, b].

Definiamo la successione xn nella seguente maniera:

x0 = b

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164 o.caligaris - p.oliva

xn+1 = xn −f (xn)

f ′(xn);

allora:

• xn è decrescente e inferiormente limitata,

• lim xn = c

• se 0 ≤ f ′′(x) ≤ M per ogni x ∈ [a, b] 3 se f ′(a) = P > 0 si ha

0 ≤ xn − c ≤ 2PM

(M2P

(b− a))2n

Figura 16.1:

ca d

f(c)

f(a)

f(d)

Dimostrazione. L’esistenza di c è immediata conseguenza del teo-rema degli zeri; per quel che riguarda l’unicità, se esistessero c, d ∈(a, b) tali che c < d, f (c) = f (d) = 0, per la 14.19 si avrebbe f (a) ≥ 0 .

Inoltre si ha f ′(c) > 0; infatti se fosse f ′(c) ≤ 0 , dal momento chef ′ è crescente in [a, b], si avrebbe

f ′(x) ≤ f ′(c) ≤ 0 ∀x ∈ [a, c] ;

pertanto f sarebbe decrescente in [a, c] e

f (a) ≥ f (c) = 0 .

Pertanto

f ′(x) ≥ f ′(c) > 0 ∀x ∈ [c, b] .

Proviamo ora per induzione che

c ≤ xn+1 ≤ xn ≤ b .

Per ipotesi c < x0 = b . Proviamo pertanto che, supponendo c ≤xn ≤ b si può dedurre c ≤ xn+1 ≤ xn ≤ b . Sia

s(x) = f (xn) + f ′(xn)(x− xn)

alloras(c) = f (xn) + f ′(xn)(c− xn) ≤ f (c) = 0

es(xn) = f (xn) ≥ 0 .

Inoltres(x) = 0 ⇔ x = xn+1 ;

ciò permette di concludere.Pertanto la successione xn è decrescente ed inferiormente limitata e

si ha che xn → ` , ` ∈ [a, b] .

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analisi matematica 1 165

Per la continuità di f ed f ′ si ha f ′(`) > 0,

` = `− f (`)f ′(`)

e f (`) = 0.

Per l’unicità dello zero di f ne segue c = `.Supponiamo infine vere le ipotesi del punto 3); usando la formula

di Taylor con il resto di Lagrange si ottiene

0 = f (c) = f (xn) + f ′(xn)(c− xn) +f ”(cn)

2(c− xn)

2 , c < cn < xn ;

e, se teniamo conto che

f ′(xn)(xn − xn+1) = f (xn)

otteniamo

0 = f ′(xn)(xn − xn+1) + f ′(xn)(c− xn) +f ”(cn)

2(c− xn)

2

e

xn+1 − c =f ”(cn)(c− xn)2

2 f ′(xn).

Pertanto0 ≤ xn+1 − c ≤ M

2P(xn − c)2

e si può facilmente provare per induzione la tesi della 3). 2

Il precedente metodo può essere generalizzato al caso in cui lafunzione non sia convessa, ma siano verificate opportune condizioni.

Teorema 16.2 - Metodo delle tangenti generalizzato - Supponiamo f deri-vabile due volte in [2a− b, b] e sia f (a) < 0, f (b) > 0 . Supponiamo inoltreche

| f ”(x)| ≤ M , f ′(x) ≥ P > 0 ∀x ∈ [2a− b, b]

eM2P

(b− a) < 1 .

Allora esiste un unico c ∈ (a, b) tale che f (c) = 0; inoltre se definiamo xn

nella seguente maniera:x0 = b

xn+1 = xn −f (xn)

f ′(xn)

si ha

1. lim xn = c

2. |xn − c| ≤ 2PM

(M2P (b− a)

)2n

.

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166 o.caligaris - p.oliva

Dimostrazione. Esistenza ed unicità di c sono ovvie poiché f ècontinua e strettamente crescente in [a, b].

Si ha inoltre

0 = f (c) = f (xn) + f ′(xn)(c− xn) +f ”(cn)

2(c− xn)

2,

|cn − c| ≤ |xn − c|.

Si ottiene pertanto, come nel teorema precedente,

|xn+1 − c| ≤ | f ”(cn)|2 f ′(xn)

(xn − c)2 .

Proviamo ora per induzione che

|xn − c| ≤ b− c .

Innanzi tutto si ha|x0 − c| = b− c ;

inoltre, se |xn − c| ≤ b− c si può affermare che 2a− b ≤ xn ≤ b,

|cn − c| ≤ b− c e 2a− b ≤ cn ≤ b

per cui

|xn+1 − c| ≤ M2P

(xn − c)2 ≤ M2P

(b− a)|xn − c| ≤ |xn − c| ≤ b− c.

Pertanto, dal momento che xn, cn ∈ [2a− b, b] si ha che

|xn+1 − c| ≤ M2P

(xn − c)2

e per induzione si deduce la tesi. 2

Teorema 16.3 -Metodo della regula falsi - Sia f : (α, β) −→ R una funzio-ne convessa e derivabile due volte in (α, β) e siano a, b ∈ (α, β), a < b, taliche f (a) < 0, f (b) > 0.

Allora esiste uno ed un solo c ∈ (a, b), tale che f (c) = 0 e f ′(x) ≥f ′(c) > 0 ∀x ∈ [c, b].

Inoltre, se definiamo una successione xn nella seguente maniera:

x0, x1 ∈ [c, b] , x1 < x0 (16.1)

xn+1 = xn − f (xn)xn − xn−1

f (xn)− f (xn−1)

= xn−1 − f (xn−1)xn − xn−1

f (xn)− f (xn−1)(16.2)

si ha

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analisi matematica 1 167

• xn è decrescente ed inferiormente limitata,

• lim xn = c

• se M, P ∈ R sono tali che

0 ≤ f ”(x) ≤ M , f ′(x) ≥ P > 0 ∀x ∈ [a, b]

allora

0 ≤ xn − c ≤ 2PM

(M2P

(b− a))δn

ove δn è la successione di Fibonacci.

Dimostrazione.La prima parte dell’enunciato è comune al metodo delle tangenti di

Newton e pertanto la dimostrazione è identica a quella del teorema14.2.

Passiamo ora a provare la seconda parte; proviamo cioè, per indu-zione, che la successione xn è decrescente ed inferiormente limitata dac.

Intanto si hac ≤ x1 ≤ x0 ≤ b ;

dimostriamo perciò che, se c ≤ xn ≤ xn−1 ≤ b, si ha

c ≤ xn+1 ≤ xn ≤ b .

Definiamo

s(x) = f (xn) + (x− xn)f (xn)− f (xn−1)

xn − xn−1

allora (teorema 13.7)

s(c) = f (xn)− (c− xn)f (xn)− f (xn−1)

xn − xn−1≤ f (c) = 0

es(xn) = f (xn) > 0 ,

inoltres(x) = 0 ⇔ x = xn+1 .

Se ne decuce che c ≤ xn+1 ≤ xn ≤ xn−1 ≤ b .Ora, essendo xn decrescente e inferiormente limitata, posto

` = lim xn ∈ R

si ha, per la continuità di f ed f ′ e per il fatto che

f (xn)− f (xn−1)

xn − xn−1= f ′(cn) , xn ≤ cn ≤ xn−1 ,

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168 o.caligaris - p.oliva

che

` = `− f (`)f ′(`)

.

Ma ` ≥ c in quanto xn ≥ c; pertanto f ′(`) ≥ f ′(c) > 0, per cui sipuò asserire che f (`) = 0 e, per l’unicità dello zero,

` = c.

Supponiamo ora che valgano le ipotesi del punto 3); si ha

xn+1 − c = xn − f (xn)xn − xn−1

f (xn)− f (xn−1)− c =

= (xn − c)(

1− f (xn)− f (c)xn − c

xn − xn−1

f (xn)− f (xn−1)

)=

= (xn − c)(xn−1 − c)xn − xn−1

f (xn)− f (xn−1)

1xn−1 − c

·

·(

f (xn)− f (xn−1)

xn − xn−1− f (xn)− f (c)

xn − c

).

Oraxn − xn−1

f (xn)− f (xn−1)=

1f ′(cn)

, xn < cn < xn−1

mentre

1xn−1 − c

(f (xn)− f (xn−1)

xn − xn−1− f (xn)− f (c)

xn − c

)=

=F(xn−1)− F(c)

xn−1 − c

dove

F(x) =

f (x)− f (xn)

x−xnse 6= xn

f ′(xn) sex = xn

inoltreF(xn−1)− F(c)

xn−1 − c= F′(ξn) , c < ξn < xn−1

e

F′(ξn) =f ′(ξn)(ξn − xn)− f (ξn) + f (xn)

(ξn − xn)2 = − f ”(dn)

2,

c < dn < xn.

Si ottiene quindi che

xn+1 − c = (xn − c)(xn−1 − c)f ”(dn)

2 f ′(cn)≤ M

2P(xn − c)(xn−1 − c)

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analisi matematica 1 169

e se definiamoεn = xn − c

avremoε0 = x0 − c ≥ x1 − c = ε1

ed ancheεn+1 ≤ εnεn−1

M2P

da cui si può dedurre per induzione che

εn ≤(

M2P

)δn−1εδn

0

e la tesi. 2

Teorema 16.4 Metodo della regula falsi generalizzato - Sia f derivabile duevolte in [2a− b, b] e sia f (a) < 0, f (b) > 0. Supponiamo inoltre che

| f ”(x)| ≤ M , f ′(x) ≥ P > 0 ∀x ∈ [2a− b, b]

eM2P

(b− a) < 1 .

Allora esiste uno ed un solo c ∈ (a, b) tale che f (c) = 0. Inoltre, sedefiniamo xn come nel teorema precedente, si ha

1. lim xn = c

2. |xn − c| ≤ 2PM

(M2P (b− a)

)δn

dove δn è la successione di Fibonacci.

Dimostrazione. L’esistenza e l’unicità di c è ovvia dalla continuitàe dalla stretta crescenza di f .

Come nel teorema precedente si prova che

|xn+1 − c| = |xn − c||xn−1 − c| f ′′(dn)

2 f ′(cn)

essendo |cn − xn| ≤ |xn − xn−1|, |dn − c| ≤ |xn − c| .Si può poi provare per induzione che

|xn − c| ≤ b− c

e ne segue

|xn+1 − c| ≤ |xn − c||xn−1 − c|M2P

.

Si conclude come nel caso convesso. 2

Possiamo infine ricavare un metodo per individuare gli zeri di unafunzione osservando che

f (x) = 0 ⇔ x = x + α f (x) .

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170 o.caligaris - p.oliva

PostoF(x) = x + α f (x)

il nuovo problema è risolvere l’equazione

F(x) = x

e viene usualmente indicato come ricerca di un punto fisso per la fun-zione F.

A questo proposito è immediato provare il seguente risultato:

Teorema 16.5 Sia f : [a, b] −→ [a, b] una funzione continua, allora esistec ∈ [a, b] tale che f (c) = c .

Dimostrazione. Definiamo φ : [a, b] −→ R mediante la

φ(x) = f (x)− x .

Si haφ(a) = f (a)− a ≥ 0 , φ(b) = f (b)− b ≤ 0 ;

pertanto applicando il teorema degli zeri, si ottiene

∃c ∈ [a, b] : φ(c) = f (c)− c = 0.

2

Possiamo anche provare il seguente risultato che permette di rica-vare un semplicissimo algoritmo per approssimare la soluzione delproblema considerato.

Teorema 16.6 - Metodo delle contrazioni - Sia D = [x0 − ρ, x0 + ρ] esupponiamo che f : D −→ R soddisfi le seguenti condizioni

1. | f (x)− f (y)| ≤ k|x− y| , ∀x, y ∈ D , 0 ≤ k < 1 .

2. |x0 − f (x0)| ≤ (1− k)ρ .

Allora esiste uno ed un solo punto c ∈ D tale che f (c) = c.Inoltre, definita una successione xn, mediante la

xn+1 = f (xn)

si halim xn = c

e|xn − c| ≤ ρkn.

Dimostrazione. Cominciamo con il provare che c, se esiste, èunico; se infatti esistesse d ∈ D tale che f (d) = d si avrebbe

|d− c| = | f (d)− f (c)| ≤ k|d− c|

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analisi matematica 1 171

da cui(1− k)|d− c| ≤ 0

e dal momento che 1− k > 0 si ha d = c.Vediamo ora che è possibile considerare la successione xn; allo sco-

po sarà sufficiente provare per induzione che xn ∈ D ∀n ≥ 0 .Osserviamo intanto che x0, x1 ∈ D e dimostriamo che, supposto

xk ∈ D, 0 ≤ k ≤ n, si ha xn+1 ∈ D.Si ha

|xn+1 − xn| = | f (xn)− f (xn−1)| ≤ k|xn − xn−1| ≤ ... ≤ kn|x1 − x0|

e

|xn+1 − x0| ≤n

∑i=0|xi+1 − xi| ≤

n

∑i=0

ki|x1 − x0| =

=1− kn+1

1− k|x1 − x0| ≤ (1− kn+1)ρ ≤ ρ.

Si ha inoltre

|xn+p − xn| ≤p−1

∑i=0|xn+i+1 − xn+i| ≤

p−1

∑i=0

kn+i|x1 − x0| =

= |x1 − x0|knp−1

∑i=0

ki = |x1 − x0|kn 1− kp

1− k≤ ρkn.

Ciò prova che xn è una successione di Cauchy e pertanto esiste c ∈ Dtale che

c = lim xn .

Per la continuità di f

c = lim xn+1 = lim f (xn) = f (c) .

Infine, passando al limite per p→ +∞ nella precedente disuguaglian-za si ha la tesi. 2

Osservazione. Una funzione soddisfacente l’ipotesi 1) del teorema14.7 si chiama contrazione di costante k.

Una funzione tale che

| f (x)− f (y)| ≤ k|x− y| , k ≥ 0

si chiama invece lipschitziana di costante k .Osserviamo che una funzione lipschitziana è continua, ed inoltre f

è lipschitziana se e solo se il suo rapporto incrementale è limitato. 2

Possiamo più in generale provare che

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172 o.caligaris - p.oliva

Teorema 16.7 Sia f una funzione continua e supponiamo che esista m ∈ Ntale che

φ = f m

soddisfi le ipotesi del teorema precedente.Allora esiste uno ed un solo punto c ∈ D tale che f (c) = c.

Dimostrazione. Applicando il risultato precedente a φ si ottieneche esiste un unico punto c ∈ D tale che f m(c) = φ(c) = c.

Inoltre si haφp( f (c)) = f (φp(c))

e quindi, dal momento che,

φp( f (c))→ c per p→ +∞

si haf (c) = f (φp(c)) = φp( f (c))→ c

da cuif (c) = c.

Pertanto ogni punto fisso di φ è anche punto fisso di f ; il viceversa èdi immediata verifica. 2

Un semplice esempio di applicazione del precedente teorema è datodalla funzione

f (x) = atn(x + π).

Infatti f non è contrazione, ma f 2 lo è.Si osservi che un metodo rapido e semplice per verificare le ipo-

tesi del teorema 14.7 è usare il teorema di Lagrange, con opportunemaggiorazioni della derivata prima.

Illustriamo infine brevemente un metodo di ricerca degli zeri che sidimostra particolarmente efficace nell’uso pratico.

Sia f : [a, b] −→ R una funzione continua e supponiamo che f(a) f (b) <0; in modo che f ammetta almeno uno zero in (a, b).

Definiamo una successione xn di punti di [a, b] nella seguente ma-niera:

x0 = a , x1 = b , f0 = f (x0) , f1 = f (x1)

xn+1 = xn − fnxn − xn−1

fn − fn−1, fn+1 = f (xn+1)

inoltre sefn fn+1 > 0

si sostituisce

xn con xn−1 e fn con fn−1/2.

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analisi matematica 1 173

Il metodo descritto permette di trovare un intervallo di ampiezzaarbitrariamente piccola, di estremi xn−1 e xn, entro il quale è certa-mente localizzato uno zero della funzione in esame; si può inoltreverificare una notevole efficacia, in termini di rapidità di convergenzadel metodo stesso.

Molto spesso non è facile trovare i massimi e minimi relativi od as-soluti di una funzione usando i metodi classici in quanto, ad esempio,non si possono facilmente valutare gli zeri della derivata prima o ad-dirittura la funzione in esame non è derivabile. In tali casi si ricorre ametodi per la determinazione numerica approssimata dei punti e deivalori di minimo.

Tali metodi si prefiggono di restringere, fino alla lunghezza desi-derata, l’intervallo in cui c’è il minimo della funzione: in altre parole,assegnata una funzione f su un intervallo [a,b], che ammetta ivi un mi-nimo relativo interno, si cerca un intervallo più piccolo [a1, b1] ⊂ [a, b]in modo che f ammetta ancora in [a1, b1] un minimo relativo inter-no. Iterando il procedimento si può ridurre l’intervallo fino a trovare[ak , bk] in modo che la sua ampiezza sia più piccola della precisionedesiderata.

La possibilità di trovare l’intervallo [a1, b1] a partire da [a, b] è ga-rantita da alcuni semplici risultati che illustriamo di seguito e dipendedalla scelta di opportuni punti in [a,b].

Lemma 16.1 Sia f : [a, b] −→ R continua e supponiamo che esista c ∈(a, b) tale che

f (c) ≤ min{ f (a), f (b)} .

Allora esiste un punto x0 ∈ (a, b) di minimo relativo per f .

Dimostrazione. Per il teorema di Weierstrass esiste x0 ∈ [a, b] taleche

f (x0) ≤ f (x) ∀x ∈ [a, b]

e poichéf (c) ≤ min{ f (a), f (b)}

il minimo assoluto non può essere assunto soltanto in a o in b. 2

Stabiliamo ora un criterio di scelta per passare dall’intervallo [a, b] =[a0, b0] all’intervallo [ak , bk] iterativamente.

Definizione 16.1 Sia f : [a, b] −→ R continua, diciamo che è data unasuccessione di intervalli [ak , bk] localizzante un minimo relativo se:

• [a0, b0] = [a, b];

• è assegnata una regola che permette di scegliere in (ak , bk) due punti, cheindichiamo con αk , βk, (indichiamo questa regola con il nome di regola discelta);

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174 o.caligaris - p.oliva

• è individuato [ak+1, bk+1] nella seguente maniera

[ak+1, bk+1] = [ak , βk] se f (αk) ≤ f (βk)

[ak+1, bk+1] = [αk , bk] se f (αk) > f (βk)

Diciamo inoltre che la regola di scelta è aurea se accade che

βk+1 = αk se f (αk) ≤ f (βk)

αk+1 = βk se f (αk) > f (βk).

Osserviamo che una regola di scelta aurea permette di introdurre ad ogniiterazione un solo nuovo punto e quindi causa ad ogni passo la necessità diun solo nuovo calcolo di funzione anziché due.

Teorema 16.8 Sia f : [a, b] −→ R continua e sia [ak , bk] una successione diintervalli localizzante relativa ad una scelta di punti aurea; allora se

min{ f (α0), f (β0)} ≤ min{ f (a0), f (b0)},

in ogni intervallo (ak , bk) esiste un punto di minimo relativo per f .

Dimostrazione. Se

f (α0) ≤ f (β0) si ha [a1, b1] = [a0, β0]

ef (α0) ≤ min{ f (a1), f (b1)} ;

sef (α0) > f (β0) si ha [a1, b1] = [α0, b0]

ef (β0) ≤ min{ f (a1), f (b1)} .

Poiché la regola di scelta è aurea risulta

min{ f (α1), f (β1)} ≤ min{ f (a1), f (b1)}

e iterando il procedimento, per il lemma 14.9, si ha la tesi. 2

Corollario 16.1 Se oltre alle ipotesi del teorema 14.11, f ammette un unicopunto di minimo assoluto x0 ∈ (a, b), allora

ak ≤ x0 ≤ bk ∀k ∈ N.

I risultati precedenti sottolineano l’importanza di conoscere unascelta di punti aurea, valutare l’ampiezza di [ak , bk] e conoscere condi-zioni che garantiscano l’unicità del minimo di f .

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analisi matematica 1 175

Una buona scelta aurea dei punti αk e βk può essere fatta seguendodiversi criteri: innanzi tutto deve essere

αk < βk

ebk − αk = βk − ak

in modo che i casi da considerare di volta in volta siano ridotti innumero e affinché l’ampiezza di ogni intervallo sia indipendente daciò che accade nel precedente intervallo.

Ciò premesso imporremo

αk+1 = βk se [ak+1, bk+1] = [αk , bk]

eβk+1 = αk se [ak+1, bk+1] = [ak , βk] .

Per scegliere αk e βk sotto queste condizioni sarà perciò opportunoscegliere θk in modo che

αk = ak + (1− θk)(bk − ak)

βk = bk − (1− θk)(bk − ak)

ed imporre condizioni su θk .Affinché αk < βk si deve avere

−1 + (1− θk) + (1− θk) < 0

e1− 2θk < 0

da cui

(14.1) θk >12

.

Affinché αk+1 = βk quando [ak+1, bk+1] = [αk , bk] deve aversi

ak+1 + (1− θk+1)(bk+1 − ak+1) = bk − (1− θk)(bk − ak)

ak + (1− θk)(bk − ak) + (1− θk+1)[bk − ak − (1− θk)(bk − ak)] =

= bk − (1− θk)(bk − ak)

da cui

(14.2) θk+1 =1− θk

θk.

La stessa relazione si ottiene per avere αk = βk+1 quando

[ak+1, bk+1] = [ak , βk].

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176 o.caligaris - p.oliva

La successione θk dovrà pertanto soddisfare le condizioni (14.1)e (14.2) e dipenderà dalla scelta del primo termine θ1 (dal quale èunivocamente determinata).

Ad ogni iterazione l’intervallo riduce la sua lunghezza di un fattoreθk e dopo n iterazioni la lunghezza sarà ridotta del fattore

n

∏k=1

θk .

Osserviamo che, se

θk =φkψk

deve aversiφk+1ψk+1

=ψk − φk

φk

e ciò è verificato se

(14.3) φk+1 = ψk−1 − φk e ψk+1 = φk , φ0 = ψ1 .

In tal caso si haθk =

φkφk−1

en

∏k=1

θk =φn

φ0.

Pertanto, dopo n iterazioni, la diminuzione della lunghezza dell’inter-vallo è di

φn

φ0,

tale quantità dipendendo dai valori φ0 e φ1 che fino ad ora sono arbi-trari.

Essendo

φkφ0

=1

2√

5

(√

5 + 1)

(√5− 12

)k

+ (√

5− 1)

(−√

5 + 12

)k+

+φ1

φ0

1√5

(√5− 12

)k

− (−1)k

(√5 + 12

)k ,

affinché φn/φ0 sia minimo occorre cheφ1φ0

sia massimo, se n è pari;φ1φ0

sia minimo, se n è dispari.D’altra parte, affinché

12≤ θn ≤ 1

deve essere12≤ θn−1 ≤

23

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analisi matematica 1 177

35≤ θn−2 ≤

23

e così di seguito.Posto

rk =Fk

Fk+1

dove Fk è la successione di Fibonacci, risultark ≤ θn−k ≤ rk+1 se k è disparirk+1 ≤ θn−k ≤ rk se k è pari

e quindirn−1 ≤ θ1 ≤ rn se n è parirn ≤ θ1 ≤ rn−1 se n è dispari.

Tenendo conto cheθ1 =

φ1

φ0

la massima riduzione dell’intervallo si ha per

φ1

φ0= rn =

Fn

Fn+1

per cui si può scegliere

φ1 = Fn , φ0 = Fn+1

eφk = Fn−k

non appena si ricordi la (14.3).Con questa scelta

n

∏k=1

θk =1

Fn+1.

Una scelta più banale per la successione θk è

θk = costante = θ

ed in tal caso affinché la (14.2) sia verificata deve risultare

θ =

√5− 12

;

dopo n iterazioni la riduzione dell’intervallo di partenza è proporzio-nale ad un fattore (√

5− 12

)n

.

Osserviamo che

limn

Fn+1

(√5− 12

)n

=3 +√

52√

5≈ 1.17082039324993690892275

per cui il metodo con θ costante, essendo di poco peggiore, ma estre-mamente più semplice, è consigliabile.

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178 o.caligaris - p.oliva

Va inoltre notato che se θ è costante, si può migliorare l’approssima-zione a piacere, proseguendo nelle iterazioni; nell’altro caso invece ilnumero di iterazioni va fissato a priori, e per cambiarlo occorre rifaretutti calcoli dall’inizio.

Ai metodi qui illustrati vanno aggiunti quelli che cercano gli ze-ri della derivata, o del rapporto incrementale (si vedano i metodi diricerca numerica degli zeri).

Notiamo fra l’altro che, se f (x + h)− f (x) = 0 allora ∃c ∈ (x, x + h)punto di minimo o di massimo relativo per f .

Osserviamo esplicitamente che, a causa degli arrotondamenti concui le macchine eseguono i calcoli, può accadere che una funzionevenga valutata zero anche in punti ’non vicini’ alla soluzione effetti-va: ad esempio, utilizzando meno di 20 cifre significative 1− cos(x10)

risulterà nulla per x = .1 .

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17. Integrazione.

Consideriamo un punto materiale P che si muove lungo l’asse x diun sistema di riferimento cartesiano, ed è sottoposto ad una forza dirichiamo costante a tratti verso un punto O della retta, che assumiamocome origine degli assi coordinati.

Più precisamente se x è lo spostamento da O del punto P la forzadi richiamo R sarà espressa da:

R(x) = ki se i ≤ x < i + 1 con i = 0, 1, 2, ......

Il lavoro svolto per muovere un punto su cui agisce una forza co-stante, si calcola moltiplicando l’intensità della forza per lo spostamen-to che il punto ha subito, pertanto il lavoro che occorre per spostare ilpunto P dall’origine è dato da:

Λ(x) =i−1

∑j=0

k j + ki(x− i) se i ≤ x < i + 1 con i = 0, 1, 2, ......

Se supponiamo che la forza di richiamo R anzichè costante a trattisia proporzionale alla distanza x di P da O, come ad esempio accadenel caso in cui su P agisca una forza elastica, cioè se ipotizziamo che

R(x) = kx con k ∈ R+

avremo qualche problema in più per il calcolo del lavoro che non èpiù svolto da una forza costante, o costante a tratti. Possiamo alloratentare di calcolare il lavoro approssimando la forza di richiamo conuna forza costante su tratti abbastanza piccoli.

Siano0 = x0 < x1 < ... < xn = x

n punti che conveniamo di indicare come

P = {x0, x1, ..., xn}

e possiamo chiamare partizione dell’intervallo [0, x]. Possiamo appros-simare Λ(x) con le quantità

Λ+(P, x) e Λ−(P, x)

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180 o.caligaris - p.oliva

definite mediante le

Λ−(P, x) =n

∑i=1

kxi−1(xi − xi−1) (17.1)

Λ+(P, x) =n

∑i=1

kxi(xi − xi−1) (17.2)

Per come sono state definite si ha

Λ−(P, x) ≤ Λ(x) ≤ Λ+(P, x).

ed inoltre se consideriamo le partizioni

Pn = {ix/n , i = 0, 1, 2, .., n}

si ha che

kx2

n2(n− 1)n

2=

kx2

n2

n

∑i=1

(i− 1) = Λ−(Pn, x) ≤

≤ sup{Λ−(P, x) : P} ≤ inf{Λ+(P, x) : P} ≤

≤ Λ+(Pn, x) =kx2

n2

n

∑i=1

i =kx2

n2n(n + 1)

2(17.3)

Per cui passando al limite per n→ +∞ si ottiene che

kx2

2≤ sup{Λ+(P, x) : P} ≤ inf{Λ−(P, x) : P} ≤ kx2

2(17.4)

ed è lecito definire

Λ(x) = inf{Λ+(P, x) : P} = sup{Λ−(P, x) : P} = kx2

2(17.5)

Lo stesso problema si pone non appena cerchiamo di definire l’areadell’insieme

D = {(x, y) ∈ R2 : 0 ≤ x ≤ 1 , 0 ≤ y ≤ x2}

Siano 0 = x0 < x1 < ... < xn = 1 e definiamo

P = {x0, x1, ..., xn};

possiamo approssimare, rispettivamente per eccesso e per difetto, l’a-rea di D mediante le

A(P) =n

∑i=1

x2i (xi − xi−1) , a(P) =

n

∑i=1

x2i−1(xi − xi−1)

e possiamo definire l’area di D come l’eventuale valore comune diinf{A(P) : P} e sup{a(P) : P} dichiarando che D non è misurabilese tali valori non risultano coincidenti.

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analisi matematica 1 181

Considerata la partizione Pn = {i/n : i = 0, 1, 2, ..., n} si calcolache

1n3

(n− 1)n(2n− 1)6

=1n3

n

∑i=1

(i− 1)2 ≤

≤ sup{a(P) : P} ≤ inf{A(P) : P} ≤

≤ 1n3

n

∑i=1

i2 ≤ 1n3

n(n + 1)(2n + 1)6

(17.6)

e per n→ +∞ si ottiene

13≤ sup{a(P) : P} ≤ inf{a(P) : P} ≤ 1

3(17.7)

onde è lecito definire

area(D) = inf(A(P) : P} = sup{a(P) : P} = 13

La definizione di integrale nasce dall’esigenza di formalizzare pro-cedimenti del tipo che abbiamo esposto; in sostanza si tratta di definirel’estensione del concetto di somma discreta al caso in cui la somma siafatta su insieme continuo di indici.

Definizione 17.1 Sia [a, b] ⊂ R, chiamiamo partizione di [a, b] un insieme

P = {x0, x1, ..., xn}

di punti di [a, b] tali che

a = x0 < x1 < .... < xn = b.

(a) Somme Inferiori (b) Somme superiori

Indichiamo con P(a, b) l’insieme delle partizioni di [a, b].Definiamo

Ik = [xk , xk+1] , ∆Ik = xk+1 − xk (17.8)

I = [a, b] , ∆I = b− a (17.9)

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182 o.caligaris - p.oliva

ovviamente si avrà

I =n−1⋃k=0

Ik , [a, b] =n−1⋃k=0

[xk , xk+1] (17.10)

Definiamo inoltre, per ogni P ∈ P(a, b),

∆(P) = max{∆Ik , k = 0..n− 1}

Definizione 17.2 Sia P ∈ P(a, b) e sia f : [a, b] −→ R una funzionelimitata che supporremo sempre;

m ≤ f (x) ≤ M ∀x ∈ [a, b]

poniamoP = {x0, x1, .., xn}

e definiamomk = inf{ f (x) : x ∈ [xk , xk+1]}

Mk = sup{ f (x) : x ∈ [xk , xk+1]}.

Definiamo inoltre

L( f , P) =n−1

∑k=0

mk∆Ik (17.11)

U( f , P) =n−1

∑k=0

Mk∆Ik (17.12)

R( f , P, S) =n−1

∑k=0

f (ck)∆Ik (17.13)

ove si indichi con S = {c1, .., cn} una scelta di punti tale che xk ≤ ck ≤xk+1.

L( f , P) ed U( f , P) si dicono, rispettivamente, somme inferiori e sommesuperiori di f rispetto alla partizione P, mentre R( f , P, S) si dice somma diCauchy-Riemann.

Vale la pena di osservare che le somme di Cauchy-Riemann dipen-dono dalla scelta dei punti S oltre che dai punti ck.

Definizione 17.3 Siano P, Q ∈ P(a, b); diciamo che P è una partizione piùfine di Q, e scriviamo P� Q, se P ⊃ Q.

Diciamo inoltre che Pn ∈ P(a, b) è una successione ordinata di partizionise Pn+1 � Pn

lim ∆(Pn) = 0(17.14)

e che Pn ∈ P(a, b) è una successione regolare di partizioni se

lim ∆(Pn) = 0 (17.15)

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analisi matematica 1 183

Figura 17.1: Confronto tra sommesuperiori e somme inferiori

È evidente dalle figure che valgono i seguenti fatti la cui dimostra-zione può essere scritta formalizzando ciò che è suggerito da esse.

Lemma 17.1 Siano P, Q ∈ P(a, b), Q� P, Allora

m(b− a) ≤ L( f , P) ≤ L( f , Q) ≤≤ R( f , Q, S) ≤≤ U( f , Q) ≤ U( f , P) ≤ M(b− a) (17.16)

Inoltre, comunque si scelgano R, S ∈ P(a, b), si ha

L( f , R) ≤ U( f , S).

Dimostrazione. Dal momento che

mi ≥ m ∀P ∈ P(a, b)

si ha

L( f , P) ≥ mn

∑i=1

(xi − xi−1) = m(b− a) .

Il fatto che L( f , P) ≤ L( f , Q) lo si può dedurre tenendo conto che seu < v < w, detti

m = inf{ f (x) : x ∈ [u, w]}µ = inf{ f (x) : x ∈ [u, v]}ν = inf{ f (x) : x ∈ [v, w]}

si ha m ≤ µ , m ≤ ν e

m(w− u) = m(w− v) + m(v− u) ≤ ν(w− v) + µ(v− u) .

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184 o.caligaris - p.oliva

La parte riguardante le somme superiori si prova in maniera analoga.Per provare la seconda parte dell’enunciato, sia T = R ∪ S, ovvia-

mente T � R e T � S; perciò

L( f , R) ≤ L( f , T) ≤ U( f , T) ≤ U( f , S).

2

Definizione 17.4 Definiamo∫–b

af (x)dx = inf{U( f , P) : P ∈ P(a, b)} (17.17)∫ b

– af (x)dx = sup{L( f , P) : P ∈ P(a, b)} (17.18)

Le precedenti quantità si dicono, rispettivamente, integrale superiore eintegrale inferiore di f in [a, b]

È immediato verificare che

m(b− a) ≤∫ b

– af (x)dx ≤

∫–b

af (x)dx ≤ M(b− a).

Definizione 17.5 Diciamo che f è integrabile in [a, b] se∫ b

– af (x)dx =

∫–b

af (x)dx .

In tal caso chiamiamo il valore comune ottenuto integrale di f tra a e b elo denotiamo con il simbolo ∫ b

af (x)dx .

Definiamo ∫ a

bf (x)dx = −

∫ b

af (x)dx

ed osserviamo che ∫ a

af (x)dx = 0.

Definizione 17.6 Diciamo che f soddisfa la condizione di integrabilità in[a, b] se ∀ε > 0 esiste una partizione Pε ∈ P(a, b) tale che

0 ≤ U( f , Pε)− L( f , Pε) < ε (17.19)

Dal momento che la quantità U( f , P)− L( f , P) decresce al raffinarsi dellapartizione, restando non negativa, la precedente condizione è equivalente allaseguente

∀ε > 0 esiste Pε ∈ P(a, b) tale che

0 ≤ U( f , P)− L( f , P) < ε.

∀P ∈ P(a, b), P� Pε

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analisi matematica 1 185

Teorema 17.1 Sono fatti equivalenti:

1. f è integrabile su [a, b]

2. f soddisfa la condizione di integrabilità in [a, b]

Dimostrazione. Se f è integrabile allora∫ b

– af (x)dx =

∫ b

af (x)dx =

∫–b

af (x)dx

Ma per definizione

∫ b

– af (x)dx = sup

PL( f , P) ,

∫–b

af (x)dx = inf

PU( f , P) (17.20)

e quindi possiamo trovare due partizioni Pε e Qε tali che

∫ b

af (x)dx− ε

2≤ L( f , Qε) ≤

∫ b

af (x)dx (17.21)∫ b

af (x)dx ≤ U( f , Pε) ≤

∫ b

af (x)dx +

ε

2(17.22)

Se ne deduce che

U( f , Pε)− L( f , Qε) ≤ ε (17.23)

Se Rε = Qε⋃

Pε, si ottiene che

U( f , Rε)− L( f , Rε) ≤ U( f , Pε)− L( f , Qε) ≤ ε (17.24)

e quindi vale la condizione di integrabilità.Se viceversa si ha

U( f , Pε)− L( f , Pε) ≤ ε (17.25)

alloraU( f , Pε) ≤ L( f , Pε) + ε (17.26)

e pertanto ∫–b

af (x)dx ≤

∫ b

– af (x)dx + ε (17.27)

e, passando al limite per ε→ 0 si ottiene∫–b

af (x)dx ≤

∫ b

– af (x)dx (17.28)

poichè è ovvio che ∫ b

– af (x)dx ≤

∫–b

af (x)dx (17.29)

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186 o.caligaris - p.oliva

si può concludere che ∫–b

af (x)dx =

∫ b

– af (x)dx (17.30)

e l’integrabilità di f è dimostrata.2

Teorema 17.2 Se f è monotona su [a, b], allora f è integrabile in [a, b].

Dimostrazione. Il teorema segue da quanto illustrato nella figura

Figura 17.2: Integrabilità delle funzionimonotone

Supponiamo ad esempio che f sia crescente in [a, b]; si ha

mi = f (xi−1) , Mi = f (xi)

per cui

U( f , P)− L( f , P) =n

∑i=1

[ f (xi)− f (xi−1)](xi − xi−1)

e, scelta Pε ∈ P(a, b) in modo che ∆(Pε) < ε, si ha

U( f , Pε)− L( f , Pε) < εn

∑i=1

[ f (xi)− f (xi−1)] = ε[ f (b)− f (a)].

2

Teorema 17.3 Se f : [a, b] −→ R è continua, allora f è integrabile in [a, b].

Dimostrazione. Dal momento che f è una funzione continua su uninsieme chiuso e limitato, allora f è uniformemente continua su [a, b]e quindi ∀ε > 0 esiste δ > 0 tale che

| f (x)− f (y)| ≤ ε , ∀ x, y ∈ [a, b] : |x− y| ≤ δ

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analisi matematica 1 187

Pertanto se Pε è una partizione di [a, b] tale che ∆Pε ≤ δ si ha

U( f , Pε)− L( f , Pε) =n−1

∑k=0

(Mk −mk)∆Ik =n−1

∑k=0

( f (xk)− f (yk))∆Ik ≤

n−1

∑k=0

ε∆Ik = ε(b− a) (17.31)

essendo |yk − xk| ≤ ∆Pε ≤ δ 2

Teorema 17.4 Siano f , g : [a, b] −→ R, e sia f limitata ed integrabile in[a, b]; se

f (x) = g(x) ∀x ∈ [a, b] \ N , N = {y1, ..., yk}

allora anche g è integrabile in [a, b] e si ha∫ b

af (x)dx =

∫ b

ag(x)dx.

Dimostrazione.È sufficiente provare che la funzione

hc(x) =

1 , x = c

0 , x 6= c

con c ∈ [a, b], è integrabile in [a, b] e∫ b

ahc(x)dx = 0.

Sia P ∈ P(a, b); si ha

L(hc, P) = 0 , U(hc, P) ≤ 2∆(P).

Pertantoinf{U(hc, P) : P ∈ P(a, b)} = 0.

La tesi segue tenendo conto del fatto che

f (x) = g(x) +k

∑i=1

hyk (x) [ f (yk)− g(yk)].

2

Possiamo anche dimostrare che

Teorema 17.5 Se f è limitata in [a, b] e continua in [a, b] \N, N = {y1, ..., yk};allora f è integrabile in [a, b].

Dimostrazione. Proviamo che f è integrabile in [yi−1, yi] = [α, β].Si consideri [α + ε, β − ε], f è ivi integrabile e pertanto esiste Pε ∈

P(α + ε, β− ε) tale che U( f , Pε)− L( f , Pε) < ε.

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188 o.caligaris - p.oliva

Sia Qε = Pε ∪ {α, β}, allora

U( f , Qε)− L( f , Qε) ≤≤ U( f , Pε) + 2Mε− L( f , Pε)− 2mε <

< ε + 2ε(M−m).

2

Definizione 17.7 Diciamo che f è integrabile secondo Cauchy-Riemann in[a, b] se esiste I ∈ R per cui esiste una partizione Pε ∈ P(a, b) tale che∀ε > 0 si ha che

|R( f , P, S)− I| < ε (17.32)

per ogni P ∈ P(a, b), P� Pε e per ogni scelta di punti S

Teorema 17.6 Se f è integrabile su [a, b] allora f è integrabile secondoCauchy-Riemann ed il valore dell’integrale è lo stesso.

Dimostrazione. Poichè

L( f , P) ≤ R( f , P, S) ≤ U( f , P) (17.33)

ed anche

L( f , P) ≤∫ b

af (x)dx ≤ U( f , P) (17.34)

si ha

|R( f , P, S)−∫ b

af (x)dx| ≤ U( f , P)− L( f , P) (17.35)

Quando f è integrabile U( f , P)− L( f , P) può essere reso piccolo quan-to si vuole, pur di raffinare la partizione e quindi per la precedente di-suguaglianza è possibile verificare la definizione di integrale secondoCauchy-Riemann. 2

Nel teorema 17.6 può essere dimostrata anche l’implicazione oppo-sta per cui

Teorema 17.7 f è integrabile su [a, b] se e solo se f è integrabile secondoCauchy-Riemann ed il valore dell’integrale è lo stesso.

Dimostrazione. Dal momento che vale la definizione 17.7 avremo chese P è abbastanza fine allora

I − ε ≤ R( f , P, S) ≤ I + ε (17.36)

per ogni scelta di punti S .

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analisi matematica 1 189

Poichè si ha

U( f , p) =n−1

∑k=0

Mk∆Ik ≤n−1

∑k=0

( f (ck) + ε)∆Ik =

= R( f , P, S1) + ε(b− a) ≤ I + ε(b− a) + ε

(17.37)

L( f , p) =n−1

∑k=0

mk∆Ik ≥n−1

∑k=0

( f (dk)− ε)∆Ik =

= R( f , P, S2)− ε(b− a) ≤ I − ε(b− a)− ε (17.38)

Ne viene allora che

I − ε(b− a)− ε ≤ L( f , P) ≤ U( f , P) ≤ I + ε(b− a) + ε (17.39)

e quindi vale la condizione di integrabilità e∫ b

af (x)dx = I

2

Lemma 17.2 Sia f una funzione integrabile e sia Pn una successione rego-lare di partizioni di [a, b], allora

limn

U( f , Pn) =∫ b

af (x)ds = lim

nL( f , Pn)

limn

R( f , Pn, Ξn) =∫ b

af (x)ds

Dimostrazione. Dal momento che f è integrabile, possiamo trovareuna partizione Pε tale che

U( f , Pε)− L( f , Pε) < ε

Se Pε è costituita da N punti, dalla figura 17

si vede che

U( f , Pn)− L( f , Pn) ≤ U( f , Pε)− L( f , Pε) + N(M−m)∆Pn (17.40)

infatti è evidente che non si può affermare semplicemente che

U( f , Pn)− L( f , Pn) ≤ U( f , Pε)− L( f , Pε)

a causa del fatto messo in evidenza dalla zona tratteggiata in figura17.

Tuttavia l’area di tale zona può essere maggiorata con

(M−m)∆Pn

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190 o.caligaris - p.oliva

Figura 17.3: Confronto tra U( f , Pn) −L( f , Pn) e U( f , Pε)− L( f , Pε)

e tale evenienza ha luogo al più in tanti casi quanti sono i punti (N) diPε.

Pertanto, fissando opportunamente Pε e scegliendo n abbastanzagrande, si ottiene che U( f , Pn) − L( f , Pn) diventa piccola quanto sivuole e quindi

U( f , Pn)− L( f , Pn)→ 0

Ne segue immediatamente che

U( f , Pn)−∫ b

af (x)ds ≤ U( f , Pn)− L( f , Pn)→ 0

∫ b

af (x)ds− L( f , Pn) ≤ U( f , Pn)− L( f , Pn)→ 0

R( f , Pn, , Ξn)−∫ b

af (x)ds ≤ U( f , Pn)− L( f , Pn)→ 0

2

Osservazione. Qualora f non sia integrabile l’asserto del corollarioprecedente può risultare falso; infatti il limite a secondo membro puòdipendere dalla scelta dei punti ξn. Si consideri ad esempio la funzioneche vale 0 sui razionali e 1 sugli irrazionali. 2

Teorema 17.8 Sia f una funzione integrabile e sia Pn una successione rego-lare di partizioni di, allora

∫–b

af (x)dx = lim

nU( f , Pn) ,

∫ b

– a= lim

nL( f , Pn) (17.41)

Dimostrazione.

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analisi matematica 1 191

Si ha per la definizione di integrale superiore che ∀ε > 0 esiste unapartizione Pε tale che

U( f , Pε) ≤∫–b

af (x)dx + ε

inoltre, come nel lemma 17.2, si ha∫–b

af (x)dx ≤ U( f , Pn) ≤ U( f , Pε)+ N(M)∆Pn ≤

∫–b

af (x)dx+ ε+ N(M)∆Pn

(17.42)Se passiamo al limite per ε→ 0 otteniamo∫–b

af (x)dx ≤ U(( f , Pn) ≤

∫–b

af (x)dx + N(M)∆Pn

e , per n→ +∞ ,

limn

U(( f , Pn) =∫–b

af (x)dx

Per l’altra uguaglianza si procede in modo analogo.2

Teorema 17.9 Siano f , g : [a, b] −→ R limitate e sia c ∈ (a, b); valgono iseguenti fatti:

∫–b

a[ f (x) + g(x)]dx ≤

∫–b

af (x)dx +

∫–b

ag(x)dx(1)∫ b

– a[ f (x) + g(x)]dx ≥

∫ b

– af (x)dx +

∫ b

– ag(x)dx(2)

∫–b

aα f (x)dx = α

∫–b

af (x)dx ∀α > 0(3)∫ b

– aα f (x)dx = α

∫ b

– af (x)dx ∀α > 0(4)

∫ b

– aβ f (x)dx = β

∫–b

af (x)dx ∀β < 0(5)

∫–b

af (x)dx =

∫–c

af (x)dx +

∫–b

cf (x)dx(6)∫ b

– af (x)dx =

∫ c

– af (x)dx +

∫ b

– cf (x)dx.(7)

Dimostrazione. (1) segue dal fatto che, se Pn è una successioneordinata di partizioni, si ha

U( f + g, Pn) ≤ U( f , Pn) + U(g, Pn) .

(2) è analoga, (3),(4),(5) seguono da

U(α f , Pn) = αU( f , Pn) , L(α f , Pn) = αL( f , Pn),

L(β f , Pn) = βU( f , Pn).

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192 o.caligaris - p.oliva

Per provare (6) e (7) è sufficiente scegliere una successione ordinata dipartizioni di [a,b] tale che P1 = {a, c, b} . 2

Teorema 17.10 Siano f , g : [a, b] −→ R limitate e integrabili su [a, b],siano α, β ∈ R; allora α f + βg e f g sono integrabili su [a, b] e∫ b

a[α f (x) + βg(x)]dx = α

∫ b

af (x)dx + β

∫ b

ag(x)dx .

Dimostrazione. Si ha

α∫ b

af (x)dx + β

∫ b

ag(x)dx ≤

∫ b

– a[α f (x) + βg(x)]dx ≤

≤∫–b

a[α f (x) + βg(x)]dx ≤ α

∫ b

af (x)dx + β

∫ b

ag(x)dx.

Proviamo ora che f g è integrabile. Supponiamo | f (x)| ≤ M, |g(x)| ≤M ∀x ∈ [a, b].

Sia P ∈ P(a, b), sia ε > 0 e siano αi , βi ∈ [xi−1, xi] tali che

Mi −mi ≤ f (αi)g(αi)− f (βi)g(βi) + ε.

Si ha

Mi −mi ≤ f (αi)[g(αi)− g(βi)] + g(βi)[ f (αi)− f (βi)] + ε ≤

≤ M(Mgi −mg

i ) + M(M fi −m f

i ) + ε

e

U( f g, P)− L( f g, P) ≤≤ M[U( f , P)− L( f , P)] + M[U(g, P)− L(g, P)] + ε.

2

Teorema 17.11 Sia f : [a, b] −→ R limitata ed integrabile in [a, b]; siac ∈ (a, b), allora f è integrabile in [a, c] ed in [c, b] e∫ b

af (x)dx =

∫ c

af (x)dx +

∫ b

cf (x)dx .

Dimostrazione. Si ha∫ b

af (x)dx =

∫ b

– af (x)dx =

∫ c

– af (x)dx +

∫ b

– cf (x)dx ≤

≤∫–c

af (x)dx +

∫–b

cf (x)dx =

∫–b

af (x)dx =

∫ b

af (x)dx

e (∫ c

– af (x)dx−

∫–c

af (x)dx

)+

(∫ b

– cf (x)dx−

∫–b

cf (x)dx

)= 0

da cui f è integrabile su [a, c] e su [c, b]. 2

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analisi matematica 1 193

Teorema 17.12 Se f , g : [a, b] −→ R sono integrabili in [a, b] e se f (x) ≥g(x) ∀x ∈ [a, b]; allora∫ b

af (x)dx ≥

∫ b

ag(x)dx .

Dimostrazione. Sarà sufficiente provare che, se f (x) ≥ 0,∫ b

af (x)dx ≥ 0,

ma questo è ovvia conseguenza del fatto che m = inf{ f (x) : x ∈[a, b]} ≥ 0. 2

Teorema 17.13 Se f : [a, b] −→ R e se definiamo

f+(x) = max{ f (x), 0} , f−(x) = min{ f (x), 0}.

Allora f+ ed f− sono integrabili su [a, b] se e solo se f è integrabile su [a, b]e si ha ∫ b

af (x)dx =

∫ b

af+(x)dx +

∫ b

af−(x)dx.

Dimostrazione. Sia P ∈ P(a, b), allora

U( f+, P)− L( f+, P) ≤ U( f , P)− L( f , P)

in quanto

sup{ f+(x)− f+(y) : x, y ∈ [xi−1, xi]} ≤ sup{ f (x)− f (y) : x, y ∈ [xi−1, xi]}.

Inoltre si ha f = f+ + f−. 2

Corollario 17.1 Se f : [a, b] −→ R è integrabile in [a, b], allora anche | f | èintegrabile in [a, b].

Dimostrazione. Basta osservare che | f | = f+ − f− 2

Osserviamo che | f | può essere integrabile senza che f sia tale; adesempio

f (x) =

−1 , x ∈ Q

1 , x ∈ R \Q

Teorema 17.14 Se f è integrabile , allora∣∣∣∣∫ b

af (x)dx

∣∣∣∣ ≤ ∣∣∣∣∫ b

a| f (x)|dx

∣∣∣∣ .

Dimostrazione. Si ha −| f (x)| ≤ f (x) ≤ | f (x)| e la tesi segue dairisultati precedenti. 2

Teorema 17.15 Se f è integrabile in [a, b], non negativa, e se [α, β] ⊂ [a, b];allora ∫ β

αf (x)dx ≤

∫ b

af (x)dx.

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194 o.caligaris - p.oliva

Teorema 17.16 Se f è continua e non negativa e se∫ b

af (x)dx = 0

allora f (x) = 0 per ogni x ∈ [a, b]

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che esista α ∈ [a, b] tale chef (α) > 0 ; allora esiste [c, d] ⊂ [a, b] in modo che f (x) ≥ m > 0 in[c, d].

Pertanto ∫ b

af (x)dx ≥

∫ d

cf (x)dx ≥ m(d− c) > 0.

2

Gli sviluppi del calcolo integrale e le sue applicazioni dipendonodal legame strettissimo tra il concetto di integrale e quello di derivatache è espresso dal teorema fondamentale del calcolo integrale e dalleproprietà di cui gode la funzione integrale x 7→

∫ xx0

f (t)dt.Definiamo pertanto

F(x) =∫ x

x0

f (x)dx (17.43)

e dedichiamo un po’ di attenzione allo studio della continuità edella derivabilità di F

Teorema 17.17 Sia f integrabile in [a, b] e consideriamo, per ogni x ∈ [a, b],la funzione definita da

F(x) =∫ x

af (t)dt .

Allora F è lipschitziana in [a, b].

Dimostrazione. Siano x, y ∈ [a, b] e sia | f (x)| ≤ M ∀x ∈ [a, b]; si ha

|F(x)− F(y)| =∣∣∣∣∫ y

xf (t)dt

∣∣∣∣ ≤ ∣∣∣∣∫ y

x| f (t)|dt

∣∣∣∣ ≤ M|y− x|. (17.44)

2

Teorema 17.18 Sia f integrabile in [a, b]; consideriamo la funzione definitada

F(x) =∫ x

af (t)dt.

Se f è continua in x0 ∈ (a, b), allora F è derivabile in x0 e

F′(x0) = f (x0).

Dimostrazione. Per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che se |t− x0| < δε

si ha | f (t)− f (x0)| < ε.Perciò se |h| < δε si ha∣∣∣∣ F(x0 + h)− F(x0)

h− f (x0)

∣∣∣∣ ≤ 1|h|

∣∣∣∣∫ x0+h

x0

| f (t)− f (x0)|dt∣∣∣∣ ≤ ε.

2

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analisi matematica 1 195

Teorema 17.19 della media - Sia f continua, allora esiste c ∈ [a, b] tale che

∫ b

af (x)dx = f (c)(b− a).

Dimostrazione. Possiamo applicare il teorema di Lagrange alla Fun-zione F(x) su [a, b] 2

Il precedente teorema può essere generalizzato nella seguente forma

Teorema 17.20 - della media - Siano f , g continue, g non negativa; alloraesiste c ∈ [a, b] tale che

∫ b

af (x)g(x)dx = f (c)

∫ b

ag(x)dx.

Dimostrazione. Il teorema è banale se g è identicamente nulla. Incaso contrario si ha ∫ b

ag(x)dx > 0

e, posto

m = min{ f (x) : x ∈ [a, b]} , M = max{ f (x) : x ∈ [a, b]}

si ha

m∫ b

ag(x)dx ≤

∫ b

af (x)g(x)dx ≤ M

∫ b

ag(x)dx

e

m ≤∫ b

a f (x)g(x)dx∫ ba g(x)dx

≤ M.

Pertanto la tesi segue dal fatto che f è continua in [a, b] ed assumetutti i valori compresi tra il suo minimo m ed il suo massimo M. 2

I precedenti risultati indicano la necessità di introdurre un nuovoconcetto: quello di funzione la cui derivata è assegnata.

Definizione 17.8 Diciamo che F è una primitiva di f in (a, b) se F è ividerivabile e risulta

F′(x) = f (x) ∀x ∈ (a, b).

Definiamo integrale indefinito di f e lo indichiamo con il simbolo∫f (x)dx

l’insieme delle primitive di f .

Teorema 17.21 Supponiamo che F e G siano due primitive di f in (a, b),allora esiste k ∈ R tale che

F(x) = G(x) + k ∀x ∈ (a, b).

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196 o.caligaris - p.oliva

Dimostrazione. Dal momento che (F − G)′(x) = 0 in (a, b) si puòapplicare il corollario del teorema di Lagrange che assicura che se unafunzione ha derivata nulla allora è costante. 2

Corollario 17.2 Sia F una primitiva di f in (a, b) e sia f continua in (a, b);allora esiste k ∈ R tale che

F(x) =∫ x

af (t)dt + k.

Il precedente corollario permette di determinare l’integrale indefi-nito di una funzione. Ricordiamo tuttavia che la sua validità è limitataa funzioni definite su un intervallo.

Anche il calcolo dell’integrale di f in [a, b] beneficia di questo risul-tato vale infatti il seguente teorema.

Teorema 17.22 Sia f integrabile in [a, b], sia F una primitiva di f in (a, b)e sia [α, β] ⊂ (a, b); allora

∫ β

αf (x)dx = F(β)− F(α).

Dimostrazione. Sia P ∈ P(a, b), P = {x0, .., xn}, si ha∣∣∣∣∫ β

αf (x)dx− [F(β)− F(α)]

∣∣∣∣ ==

∣∣∣∣∣∫ β

αf (x)dx−

n

∑i=1

[F(xi)− F(xi−1)]

∣∣∣∣∣ ==

∣∣∣∣∣∫ β

αf (x)dx−

n

∑i=1

F′(ξi)(xi − xi−1)

∣∣∣∣∣ ==

∣∣∣∣∫ β

αf (x)dx− R( f , P, Ξ)

∣∣∣∣ (17.45)

e si può concludere scegliendo una partizione sufficientemente fine. 2Il teorema precedente consente di usare le primitive di una funzione

per calcolare il valore di un integrale definito. È pertanto importan-te conoscere le primitive di alcune funzioni elementari. Rimandandoall’appendice per una informazione più completa, ci limitiamo qui adosservare che la tabella di derivate data nel paragrafo 8, letta da destraverso sinistra, fornisce le primitive delle principali funzioni elementari.

Le funzioni che sono primitive di qualche altra funzione godono diuna certa regolarità che è precisata nel seguente enunciato.

Teorema 17.23 Se f ha una primitiva in (a, b), per ogni c ∈ (a, b) non èpossibile che

limx→c+

f (x) 6= limx→c−

f (x).

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analisi matematica 1 197

Dimostrazione. Sia F una primitiva di f in (a, b); se i limiti in oggettoesistessero, si avrebbe, per le proprietà della derivabilità,

F′(c) = limx→c+

f (x) = limx→c−

f (x).

2

Per il calcolo degli integrali definiti è molto utile servirsi delle se-guenti regole di integrazione.

Teorema 17.24 - integrazione per parti - Siano f , g di classe C1 e sia [α, β] ⊂(a, b); allora∫ β

αf ′(x)g(x)dx = f (β)g(β)− f (α)g(α)−

∫ β

αf (x)g′(x)dx.

Dimostrazione. Si ha

( f g)′(x) = f ′(x)g(x) + f (x)g′(x);

pertanto∫ β

αf ′(x)g(x) dx =

∫ β

α( f g)′(x)dx−

∫ β

αf (x)g′(x)dx

ed osservando che f g è una primitiva di ( f g)′ in (a, b) si deduce latesi. 2

Teorema 17.25 - integrazione per sostituzione - Se f ∈ C0, g ∈ C1; sia[α, β] ⊂ (c, d), allora∫ β

αf (g(x))g′(x)dx =

∫ g(β)

g(α)f (x)dx.

Dimostrazione. Sia F una primitiva di f in (a, b), allora F(g(·)) è unaprimitiva di f (g(·))g′(·) in (c, d) e si ha∫ β

αf (g(x))g′(x)dx = F(g(β))− F(g(α)) =

∫ g(β)

g(α)f (x)dx

2

Se f è una funzione, indichiamo

f (x)∣∣∣ba = f (b)− f (a)

In tal modo risultano semplificati molti enunciati che coinvolgonogli integrali definiti.

Ad esempio si può dire che, se F è una primitiva della funzionecontinua f , allora ∫ b

af (x)dx = F(x)

∣∣∣baIl secondo teorema della media.

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198 o.caligaris - p.oliva

Corollario 17.3 Siano f , g : (a, b) −→ R, f ∈ C1, g ∈ C0, f crescente, esia [α, β] ⊂ (a, b), allora

∃γ ∈ [α, β] :∫ β

αf (x)g(x)dx = f (α)

∫ γ

αg(x)dx + f (β)

∫ β

γg(x)dx.

Dimostrazione. Sia G una primitiva di g in (a, b), si ha

∫ β

αf (x)g(x)dx = f (β)G(β)− f (α)G(α)−

∫ β

αf ′(x)G(x)dx =

= f (β)G(β)− f (α)G(α)− G(γ)[ f (β)− f (α)] =

= f (α)[G(γ)− G(α)] + f (β)[G(β)− G(γ)]

2

Teorema 17.26 formula di Taylor con il resto integrale - Sia f : [a, b] −→R, di classe Cn+1; siano x, x0 ∈ [a, b], allora

f (x) =n

∑i=0

f (i)(x0)

i!(x− x0)

i +∫ x

x0

(x− t)n

n!f (n+1)(t)dt.

Dimostrazione. Sia x ∈ [a, b], posto

Q(t) =n

∑i=0

f (i)(t)i!

(x− t)i

si ha

Q(x) = f (x) , Q(x0) =n

∑i=0

f (i)(x0)

i!r(x− x0)

i = P(x)

e

Q′(t) =(x− t)n

n!f (n+1)(t)

e, dal teorema 15.32

f (x)− P(x) = Q(x)−Q(x0) =∫ x

x0

Q′(t)dt.

2

La formula di Taylor con il resto di Lagrange può essere ottenutadal precedente teorema facendo uso del teorema della media; il restodi Peano può a sua volta essere ottenuto dal resto di Lagrange; il tuttoperò con ipotesi sovrabbondanti.

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18. Integrali Impropri

Ci siamo occupati fino ad ora del problema di integrare una funzionelimitata su di un intervallo limitato che, in genere, è anche suppostochiuso.

Nella pratica è spesso necessario integrare funzioni non limitateo su intervalli non limitati, a questo scopo è necessario definire unaestensione del concetto di integrale, che permetta di considerare anchequesti casi.

La definizione non è strettamente collegata col procedimento diintegrazione definita dato precedentemente, anche se da esso dipen-de in maniera essenziale, e, per questa ragione, viene denominatoprocedimento di integrazione impropria.

Definizione 18.1 Sia f integrabile in [x, b], per ogni x ∈ (a, b]. Diciamoche f ammette integrale improprio (finito) in (a, b] se esiste (finito)

limx→a+

∫ b

xf (t)dt

In tal caso definiamo il suo valore

∫ b

af (x)dx

Definizioni analoghe permettono di considerare facilmente l’inte-grale improprio su di un intervallo [a, b] di una funzione f limitata eintegrabile in ogni intervallo [x, y] ⊂ [a, b] \ N, dove N è un insiemefinito di punti

Definizione 18.2 Sia f integrabile in [a, x], per ogni x ≥ a. Diciamo che fammette integrale improprio (finito) in [a,+∞) se esiste (finito)

limx→+∞

∫ x

af (t)dt

In tal caso definiamo il suo valore

∫ +∞

af (x)dx

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200 o.caligaris - p.oliva

Definizioni analoghe permettono di considerare l’integrale impro-prio di una funzione limitata e integrabile su ogni intervallo [x, y], in(−∞, a] o (−∞,+∞).

In entrambe le due precedenti definizioni diciamo che f ammetteintegrale improprio convergente o divergente, a seconda che il suovalore sia finito o infinito rispettivamente.

Per semplicità, nel seguito faremo riferimento solo ai casi contem-plati nelle definizioni 18.1, 18.2, tuttavia i risultati che proveremo pos-sono essere facilmente rienunciati e ridimostrati negli altri casi.

Possiamo considerare qualche esempio per illustrare i concetti in-trodotti

Siafα(x) =

1xα

allora:

∫ 1

0fα(x)dx =

11− α

se 0 < α < 1∫ 1

0fα(x)dx = +∞ se α ≥ 1∫ +∞

1fα(x)dx =

1α− 1

se α > 1∫ +∞

1fα(x)dx = +∞ se 0 < α ≤ 1

I risultati esposti si possono ricavare applicando semplicemente ledefinizioni e le regole elementari di integrazione. Partendo da questisemplici punti fermi possiamo ricavare dei criteri che consentono distabilire se una funzione è integrabile in senso improprio.

A questo scopo dobbiamo considerare una conseguenza del criteriodi convergenza di convergenza di Cauchy.

Teorema 18.1 Sia f integrabile in [x, b], per ogni x ∈ (a, b]; allora f am-mette integrale improprio convergente in (a, b] se e solo se per ogni ε > 0esiste δε > 0 tale che se si considerano x′, x′′ ∈ (a, a + δε) allora∣∣∣∣∫ x′′

x′f (t)dt

∣∣∣∣ < ε

Teorema 18.2 Sia f integrabile in [a, x], per ogni x ≥ a; allora f ammetteintegrale improprio convergente in [a,+∞) se e solo se per ogni ε > 0 esisteδε > 0 tale che se x′, x′′ > δε allora∣∣∣∣∫ x′′

x′f (t)dt

∣∣∣∣ < ε

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analisi matematica 1 201

I due precedenti teoremi seguono immediatamente dal criterio diconvergenza di Cauchy.

Teorema 18.3 Siano f , g integrabili in ogni [x, y] ⊂ I; valgono i seguentifatti:

1. se | f | ammette integrale improprio convergente in I, allora anche f am-mette integrale improprio convergente in I;

2. se | f | ≤ g e g ammette integrale improprio convergente in I, allora anche| f | (e quindi f ) ammette integrale improprio convergente in I.

Dimostrazione. Si ha∣∣∣∣∫ x′′

x′f (x)dx

∣∣∣∣ ≤ ∣∣∣∣∫ x′′

x′| f (x)|dx

∣∣∣∣ ≤ ∣∣∣∣∫ x′′

x′g(x)dx

∣∣∣∣2

Non è tuttavia vero che se f ammette integrale improprio conver-gente anche | f | ammette integrale improprio convergente. Per esem-pio si consideri

f (x) =sin x

xsull’intervallo [0,+∞), (si veda teorema 18.7).

Diamo ora un risultato che sarà di grande utilità per stabilire l’inte-grabilità in senso improprio di una funzione.

Teorema 18.4 Sia f integrabile in [x, b], per ogni x ∈ (a, b], esupponiamo che f sia infinita per x→ a+ di ordine β.

1. Se esiste α ∈ R, con β ≤ α < 1 allora f ammette integrale improprioconvergente in (a, b].

2. se β ≥ 1 allora f ammette integrale improprio divergente in (a, b].

Dimostrazione. Supponiamo ad esempio f (x)→ +∞ per x → a+

e proviamo (1). Si ha

limx→a+

f (x)1/(x− a)α

= ` ∈ R+

e pertanto esistono k, δ > 0 tali che

0 ≤ f (x) ≤ k(x− a)α

∀x ∈ (a, a + δ)

e la tesi segue dal teorema 18.3 e dalle 18.1, non appena si sia tenutoconto del fatto che

limx→a+

∫ b

xf (t)dt =

∫ b

a+δf (t)dt + lim

x→a+

∫ a+δ

xf (t)dt.

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202 o.caligaris - p.oliva

Proviamo ora (2); se x ∈ (a, a + δ), con k, δ > 0 opportunamentescelti, si ha

f (x) ≥ kx− α

e come prima segue la tesi. 2

Teorema 18.5 Sia f integrabile in [a, x], per ogni x ≥ a; supponiamo che fammetta integrale improprio convergente in [a,+∞) e che

limx→+∞

f (x) = `.

Allora ` = 0.

Dimostrazione. Supponiamo ad esempio che sia ` > 0; allora, sex > δ, f (x) > `/2. Pertanto

limx→+∞

∫ x

af (t)dt =

∫ δ

af (t)dt + lim

x→+∞

∫ x

δf (t)dt ≥

≥∫ δ

af (t)dt + lim

x→+∞(x− δ)`/2 = +∞ (18.1)

2

Osserviamo che f può ammettere integrale improprio convergentein [a,+∞) senza che esista il limite di f per x → +∞, se ad esempio

f (x) =

1 i < x ≤ i + 1/2i

0 i + 1/2i ≤ x ≤ i + 1, i ∈N (18.2)

si ha ∫ +∞

1f (t)dt = lim

n

n

∑i=1

12i = lim

n

12

1− 1/2n

1− 1/2= 1

Si può analogamente provare che

Teorema 18.6 Sia f integrabile in [a, x], per ogni x ≥ a, e supponiamoche f sia infinitesima di ordine β per x→ +∞.

1. Se esiste α ∈ R tale che β ≥ α > 1, allora f ammette integraleimproprio convergente in [a,+∞).

2. Se β ≤ 1 allora | f | ammette integrale improprio divergente in[a,+∞).

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analisi matematica 1 203

Osserviamo, a proposito dei teoremi 18.4,?? che qualora β ∈ R,in (1) è sufficiente prendere α = β.

Teorema 18.7 Siano f , g, f ∈ C0, g ∈ C1, e sia F una primitiva di f ;allora le seguenti condizioni sono sufficienti per la convergenza dell’integraleimproprio di f g in [a,+∞):

1. F limitata in [a,+∞) e g monotona a 0 per x → +∞;

2. F convergente per x→ +∞ e g monotona e limitata.

Segue da∫ x

af (t)g(t)dt = F(x)g(x)− F(a)g(a)−

∫ x

aF(t)g′(t)dt.

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19. Qualche Integrale Elementare.

Forniamo qui una tabella di primitive F delle principali funzioni ele-mentari f , essendosi trascurato di precisare l’insieme di definizionedelle funzioni stesse.

f (x) F(x)

0 1

1 x1x

ln |x|

xa xa+1

a + 1

ax ax

ln asin x − cos x

cos x sin x1

sin2 x−cos x

sin x1

cos2 x= 1 + tan2 x tan x

1√(1− x2)

arcsin x

− 1√(1− x2)

arccos x

11 + x2 arctan x

sinh x =ex − e−x

2cosh x

cosh x =ex + e−x

2sinh x

1sinh2 x

−cosh xsinh x

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206 o.caligaris - p.oliva

1cosh2 x

sinh xcosh x

1√(1 + x2)

sinh−1 x

1√(x2 − 1)

cosh−1 x

Per l’integrazione indefinita, oltre che della precedente tabella, sifa uso delle usuali regole di integrazione (linearità dell’integrale, in-tegrazione per parti e per sostituzione). Inoltre esistono una serie diintegrali che possono essere studiati in maniera standard; ne elenchia-mo qui i principali, rimandando ad un libro di tavole matematiche,per un più completo assortimento.

• se

f (x) =P(x)Q(x)

dove P e Q sono polinomi, si procede come segue

– ci si riduce, eventualmente effettuando una divisione di polino-mi, al caso in cui il grado di P sia inferiore al grado di Q (siricordi che, se P(x) = A(x)Q(x) + B(x), si ha P(x)/Q(x) =

A(x) + B(x)/Q(x) con grado di B minore del grado di Q).

– si trovano le radici di Q; siano esse

λ1, .., λn e α1 ± iβ1, .., αm ± iβm

con molteplicità ν1, .., νn e µ1, .., µm. Osserviamo che, se α + iβ èuna soluzione di Q(x) = 0, allora tale è anche α− iβ in quanto Qha coefficienti reali. Se

p =n

∑i=1

νi e q =m

∑j=1

µj

risulterà p + 2q uguale al grado di Q.

– In corrispondenza di una radice reale λ, con molteplicità ν, siconsiderano le seguenti frazioni (dette fratti semplici)

A1

x− λ,

A2

(x− λ)2 , ... ,Aν

(x− λ)ν.

In corrispondenza di una radice complessa α± iβ, con moltepli-cità µ, si considera il trinomio di secondo grado a coefficientireali

t(x) = (x− α)2 + β2

ed i fratti semplici

B1x + C1

t(x),

B2x + C2

(t(x))2 , ... ,Bµx + Cµ

(t(x))µ .

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analisi matematica 1 207

– Si determinano poi, imponendo le opportune uguaglianze, le co-stanti A, B e C in modo che P(x)/Q(x) sia la somma dei frattisemplici relativi a tutte le radici, cioè

P(x)Q(x)

=n

∑i=1

νi

∑h=1

Ah,i

(x− λi)h +m

∑j=1

µj

∑k=1

Bk,jx + Ck,j

(tj(x))k .

– Gli integrali dei fratti semplici possono essere catalogati comesegue: (x − λ)−1 ammette come primitiva ln |x − λ| ; (x − λ)−h

ammette come primitiva [(1− h)(x− λ)h−1]−1

Ax + B(ax2 + bx + c)m =

A2a

(2ax + b

(ax2 + bx + c)m +

+(2aB/A)− b

(ax2 + bx + c)m

)Una primitiva della prima frazione entro parentesi può esseretrovata mediante la sostituzione

t = ax2 + bx + c

mentre una primitiva della seconda frazione può essere trovatamediante la sostituzione

t =2ax + b√4ac− b2

che riduce il problema alla ricerca delle primitive della funzione

1(t2 + 1)m .

Una primitiva di tale funzione si trova infine osservando che

1(t2 + 1)m =

1(t2 + 1)m−1 −

t2(d/dt)(t2 + 1)

(t2 + 1)m

e ricavando una formula iterativa.

– Un modo alternativo per decomporre la frazione P(x)/Q(x) èdato dal metodo di Hermite: si determinano Ah, Bk , Ck ∈ R, h =

1, .., n, k = 1, .., m, e due polinomi N(x) e D(x) in modo che

D(x) =n

∏i=1

(x− λi)νi−1

m

∏j=1

(tj(x))µj−1 ,

N abbia grado inferiore di una unità al grado di D e

P(x)Q(x)

=n

∑h=1

Ahx− λh

+m

∑k=1

Bkx + Cktk(x)

+d

dxN(x)D(x)

.

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208 o.caligaris - p.oliva

• xm sin x , xm cos x , sinm x , cosm x , xnaαx sin mx , xnaαx cos mx,xmaαx , xα logm

a x , xn arctanm x , con n, m ∈ N, si integrano itera-tivamente per parti.

• sin(mx) cos(nx) si integra usando le formule di prostaferesi.

• cos(a1x + b1) . . . cos(anx + bn) si integra usando le formule di Wer-ner iterativamente.

Molti integrali possono essere risolti per sostituzione: indichiamoqui di seguito le sostituzioni più comuni. Nelle righe che seguonoR indica una funzione razionale dei suoi argomenti.

• R(xp1/q1 , .., xpn/qn) si integra ponendo x = tµ dove

µ = m.c.m.(q1, ..., qn) .

• Lo stesso vale se in luogo di x c’è

ax + bcx + d

.

• R(x,√

ax2 + bx + c) ; se α, β sono radici di ax2 + bx+ c = 0 si esegueuna delle seguenti tre sostituzioni (di Eulero), purché possibile√

ax2 + bx + c = (x− α)t√ax2 + bx + c =

√ax + t√

ax2 + bx + c = xt +√

c.

• R(x,√

ax + b,√

cx + d) ; si pone√

ax + b = t e ci si riconduce aduno dei precedenti

• xq(a + bxr)s , q, r, s ∈ Q, s = m/n (integrali binomi).

– se (q + 1)/r ∈ Z si pone a + bxr = tn

– se s + (q + 1)/r ∈ Z si pone b + ax−r = tn .

– qualora q, r, s ∈ R, le sostituzioni indicate sono ancora validepurché

(q + 1)/r ∈N e s + (q + 1)/r ∈ (−N)

e si ponga n = 1 .

• R(aαx) ; si pone aαx = t

• R(ap1x/q1 , .., apnx/qn) ; si pone ax = tµ dove

µ = m.c.m.(q1, ..., qn) .

• R(sin x, cos x); si pone t = tan(t/2)

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analisi matematica 1 209

• sinm x cosn x; si pone t = sin x e diventa un integrale binomio.

• R(x, f (x)), dove R è una funzione razionale, si può ridurre per so-stituzione ad un integrale razionale se esiste una parametrizzazionerazionale

x = φ(t)

y = ψ(t)

della curvay = f (x)

cioè se esistono due funzioni φ e ψ razionali tali che

ψ(t) = f (φ(t)).

In tal caso infatti è sufficiente operare la sostitizione x = φ(t).

Aggiungiamo che una parametrizzazione razionale della curva y =

f (x) può essere ottenuta trovando al variare di t l’intersezione dellaretta

y− y0 = t(x− x0)

con il grafico di y = f (x), essendo (x0, y0) scelto in modo che y0 =

f (x0) e l’ulteriore intersezione sia unica.

Osserviamo ancora che nel caso in cui la curva y = f (x) sia unaconica o una parte di conica ciò può essere sempre fatto eventual-mente scegliendo come (x0, y0) un punto improprio.

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20. Qualche Studio di Funzione In-tegrale

Lo studio di una funzione che sia data mediante un integrale ricorrein molti casi: ad esempio quando si studiano le soluzioni di equazionidifferenziali in cui compaiono funzioni che non ammettono primiti-ve elementari o che ammettono primitive elementari non facilmentecalcolabili.

Per funzione integrale si intende una funzione definita da

F(x) =∫ x

x0

f (t)dt (20.1)

I risultati che occorre tener ben presenti quando si studia una fun-zione integrale sono i seguenti:

1. I risultati che sono sufficienti a garantire l’integrabilità di una fun-zione: sono quelli contenuti nei teoremi ?? e si possono brevementeriassumere dicendo che:

• f è integrabile su ogni intervallo su cui è continua

• f è integrabile su ogni intervallo su cui è monotona

• f è integrabile su ogni intervallo su cui è limitata e continuaa meno di un numero finito di punti

• f è integrabile su ogni intervallo su cui differisce da unafunzione integrabile a meno di un insieme finito di punti

2. Il risultato che assicura che se f è limitata allora F è continua.

3. il teorema fondamentale del calcolo che assicura che se f è continuain x allora F è derivabile in x e

F′(x) = f (x)

4. la definizione di integrale improprio per cui:

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212 o.caligaris - p.oliva

• Se f è integrabile in senso improprio in c+

limx→c+

F(x) =∫ c

x0

f (t)dt

• Se f è integrabile in senso improprio a +∞

limx→+∞

F(x) =∫ +∞

x0

f (t)dt

Vale inoltre la pena di ricordare che se

G(x) =∫ β(x)

x0

f (t)dt (20.2)

alloraG(x) = F(β(x)) (20.3)

e quindi, se le funzioni in gioco sono derivabili

G′(x) = F′(β(x))β′(x) = f (β(x))β′(x) (20.4)

Inoltre se

G(x) =∫ β(x)

α(x)f (t)dt (20.5)

allora se c è scelto nel campo di integrabilità di f , si ha

G(x) =∫ β(x)

α(x)f (t)dt =

∫ c

α(x)f (t)dt+

∫ β(x)

cf (t)dt =

∫ β(x)

cf (t)dt−

∫ α(x)

cf (t)dt

(20.6)e quindi

G′(x) = F′(β(x))β′(x)− F′(α(x))α′(x) = f (β(x))β′(x)− f (α(x))α′(x)(20.7)

20.1 Esempio

Si consideri la funzione

f (x) =∫ x

0

et2

3√

1− et(t− 1)√

t + 2dt

Cominciamo a determinare il dominio di f .La funzione integranda risulta definita e continua (e quindi integra-

bile) per t ∈ (−2, 0) ∪ (0, 1) ∪ (1,+∞).Inoltre

limt→−2

et2

3√

1− et(t− 1)√

t + 2= −∞

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analisi matematica 1 213

di ordine 12 in quanto l’integranda è infinita a causa del fattore

√t + 2

presente nel denominatore;

limt→0−

et2

3√

1− et(t− 1)√

t + 2= −∞

di ordine 13 a causa del fattore a denominatore 3

√1− et (si ricordi che

1− et è infinitesimo in zero di ordine 1); analogamente

limt→0+

et2

3√

1− et(t− 1)√

t + 2= +∞

di ordine 13

Infine

limt→1−

et2

3√

1− et(t− 1)√

t + 2= +∞

di ordine 1 a causa del fattore t− 1 a denominatore.Ne segue che la funzione integranda è integrabile (eventualmente

in senso improprio) in [−2, 1) ∪ (1,+∞).Poichè gli estremi di integrazione sono 0 ed x dovrà essere x ∈

[−2, 1).Dal momento che

• la funzione integranda è continua per t ∈ (−2, 0) ∪ (0, 1) ∪ (1,+∞)

• f è definita in [−2, 1))

il teorema fondamentale del calcolo assicura che

f ′(x) =ex2

3√

1− ex(x− 1)√

x + 2

Per ogni x ∈ (−2, 0) ∪ (0, 1)Per quanto riguarda i punti x = −2 e x = 0 si è già visto che

limt→−2

f ′(x) = −∞

limt→0−

f ′(x) = −∞

limt→0+

f ′(x) = +∞

cui f non è derivabile per x = −1 ed x = 0.Per tracciare il grafico di f dobbiamo tenere conto che

• f ′(x) > 0 per x ∈ (0, 1)

• limx→1− f (x) = +∞,

• f non è derivabile in −2 ed in 0

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214 o.caligaris - p.oliva

Figura 20.1: Grafico di f (x)

• in −2 ed in 0 il grafico ha tangente verticale

Pertanto il grafico di f risulta:Consideriamo ora

g(x) =∫ |x|

0

et2

3√

1− et(t− 1)√

t + 2dt

Dal momento cheg(x) = f (|x|)

il grafico di g sarà uguale a quello di f per gli x ∈ [0, 1) ed il simme-trico rispetto all’asse y per gli x ∈ (−1, 0].

Se infine consideriamo

h(x) =∫ x2+2

x3

et2

3√

1− et(t− 1)√

t + 2dt

per quanto visto ai punti precedenti, ( f è integrabile in [−2, 1)∪ (1,+∞))L’intervallo di integrazione dovrà essere contenuto nell’insieme in cuiè possibile calcolare l’integrale; dovrà cioè risultare che

[x3, x2 + 2] ⊂ [−2, 1) ∪ (1,+∞)

e quindi la funzione h risulta definita per x3 > 1 ovvero per x > 1.Poiché l’integranda è continua per t > 1 e gli estremi di integrazione

sono derivabili, si ha, per x ∈ (1,+∞)

h′(x) =2xe(x2+2)2

3√

1− ex2+2(x2 − 1)√

x2 + 4− 3x2ex6

3√

1− ex3(x3 − 1)√

x3 + 2

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analisi matematica 1 215

Figura 20.2: Grafico di g(x)

20.2 Esempio

Consideriamo la funzione

f (x) =∫ 4−x

x

3 + cos(t)(t− 4) 3

√t5 − 1

dt

La funzione integranda è definita e continua (e quindi integrabile)in (−∞, 1) ∪ (1, 4) ∪ (4,+∞).

Inoltre

limt→1

∣∣∣∣∣ 3 + cos(t)(t− 4) 3

√t5 − 1

∣∣∣∣∣ = +∞ di ordine13

mentre

limt→4

∣∣∣∣∣ 3 + cos(t)(t− 4) 3

√t5 − 1

∣∣∣∣∣ = +∞ di ordine 1

Pertanto l’integranda risulta integrabile (anche in senso improprio)in (−∞, 4) ∪ (4,+∞).

Dovrà allora esserex < 4

4− x < 4oppure

x > 4

4− x > 4

ovvero 0 < x < 4.

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216 o.caligaris - p.oliva

Essendo gli estremi di integrazione due funzioni continue e deriva-bili, f risulta continua in tutto il suo dominio (perché l’integranda èintegrabile) e derivabile per x 6= 1 e 4− x 6= 1 essendo l’integrandacontinua per t 6= 1 (per t = 1 l’integranda è infinita).

Pertanto l’insieme di continuità è (0, 4) e l’insieme di derivabilità è(0, 1) ∪ (1, 3) ∪ (3, 4).

Dal teorema fondamentale del calcolo integrale e dalla formula diderivazione delle funzioni composte si ha, se x ∈ (0, 1) ∪ (1, 3) ∪ (3, 4)

f ′(x) = − 3 + cos(4− x)(−x) 3

√(4− x)5 − 1

− 3 + cos(x)(x− 4) 3

√x5 − 1

20.3 Esempio

Si considerino le funzioni

h(x) = x4 + 8x + k e g(x) =1

h(x)

Si ha, per ogni k ∈ R,

h : R→ R, continua , limx→±∞

h(x) = +∞

per cui h non è limitata superiormente (e quindi non ammette massimoglobale), mentre, per il teorema di Weierstrass generalizzato, ammetteminimo assoluto, per ogni k ∈ R.

Se g risulta continua allora ha primitive in R ed inoltre, (essendoinfinita dove non è continua, g ammette primitive se e solo se h(x) =x4 + 8x + k 6= 0 per ogni x ∈ R.

Poiché come visto nel punto precedente h ha minimo assoluto, e talevalore è assunto nel punto x = − 3

√2 (ove si annulla h′(x) = 4x3 + 8) e

si ha h(− 3√

2) = k− 6 3√

2, si conclude che g ha primitive in R se e solose

k− 6 3√

2 > 0 ovvero k > 6 3√

2

Similmente g ha primitive in [−1,+∞) se e solo se risulta continuain tale intervallo ovvero se e solo se h(x) = x4 + 8x + k 6= 0 per ognix ≥ −1.

Essendo h crescente per x ≥ − 3√

2, e quindi per x ≥ −1, g haprimitive in [−1,+∞) se e solo se h(−1) = k− 7 > 0 ovvero

k > 7

Posto k = 0 si ha g(x) = 1x4+8x , che è definita e continua in (−∞,−2)∪

(−2, 0) ∪ (0,+∞).

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analisi matematica 1 217

Utilizzando la decomposizione in fratti semplici si ha

1x4 + 8x

=ax+

bx + 2

+cx + d

x2 − 2x + 4=

(a + b + c)x3 + (2c− 2b + d)x2 + (4b + 2d)x + 8ax4 + 8x

da cui a + b + c = 0

2c− 2b + d = 0

4b + 2d = 0

8a = 1

che risolto fornisce a = 18 , b = − 1

24 , c = − 112 , d = 1

12 ; pertanto

1x4 + 8x

=1

24

(3x− 1

x + 2− 2x− 2

x2 − 2x + 4

)Una primitiva di g è quindi

124

ln∣∣∣∣ x3

(x + 2)(x2 − 2x + 4)

∣∣∣∣ = 124

ln∣∣∣∣ x3

x3 + 8

∣∣∣∣Tutte le primitive di g in (−∞,−2) ∪ (−2, 0) ∪ (0,+∞) sono pertanto

124 ln x3

x3+8 + c1 , se x < −21

24 ln −x3

x3+8 + c2 , se − 2 < x < 01

24 ln x3

x3+8 + c3 , se x > 0

Si consideri ora il problemay′′(x) = g(x)

y(0) = 0

y′(0) = 0

Il problema ha soluzioni in R se e solo se g ha primitive in R, poichéy′ è la primitiva di g che soddisfa y′(0) = 0 e di conseguenza y è laprimitiva di

∫ x0 g(t)dt che soddisfa y(0) = 0 cioè

y(x) =∫ x

0

(∫ s

0g(t)dt

)ds

Pertanto il problema dato ha una ed una sola soluzione per k > 6 3√

2.

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21. Integrazione secondo Riemann-Stieltjes.

Definizione 21.1 Siano f , g : [a, b] −→ R due funzioni limitate; sia P ∈P(a, b), P = {x0, ..., xn} ed indichiamo con Ξ = {ξ1, ..., ξn} una scelta dipunti xi−1 ≤ ξi ≤ xi associata alla partizione P.

Definiamo

R( f , g, P, Ξ) =n

∑i=1

f (ξi)[g(xi)− g(xi−1)];

R( f , g, P, Ξ) si dice somma di Riemann− Stieltjes di f rispetto a g relativaalla partizione P ed alla scelta di punti Ξ.

Diciamo che f è integrabile secondo Riemann− Stieltjes in [a, b] se esisteI ∈ R tale che ∀ε > 0 ∃Pε ∈ P(a, b) tale che se P < Pε si ha

|R( f , g, P, Ξ)− I| < ε , ∀Ξ.

In tal caso chiamiamo I integrale di Riemann-Stieltjes di f rispetto a g escriviamo

I =∫ b

af (x)dg(x).

f si dice integranda, g si dice integratrice.

Si può subito provare il seguente fondamentale risultato:

Teorema 21.1 Siano f , g : [a, b] −→ R due funzioni limitate; allora f èintegrabile rispetto a g se e solo se g è integrabile rispetto ad f .

Si ha inoltre che∫ b

af (x)dg(x) +

∫ b

ag(x)d f (x) = f (b)g(b)− f (a)g(a).

Dimostrazione. Data la simmetria dell’enunciato è sufficiente prova-re una sola implicazione.

Supponiamo pertanto che f sia integrabile rispetto a g. Si ha che∀ε > 0 ∃Pε ∈ P(a, b) tale che se P ∈ P(a, b) , P < Pε∣∣R( f , g, P, Ξ)−

∫ b

af (x)dg(x)

∣∣ < ε , ∀Ξ.

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220 o.caligaris - p.oliva

Sia ora Q ∈ P(a, b) , Q < Pε , Q = {x0, ..., xn} e sia Ξ = {ξ1, ..., ξn}una scelta di punti xi−1 ≤ ξi ≤ xi.

Avremo che

R(g, f , Q, Ξ) =n

∑i=1

g(ξi)[ f (xi)− f (xi−1)].

Consideriamo ora la partizione

P1 = Q ∪ Ξ = {x0, ξ1, x1, ξ2, .., ξn, xn}

e la scelta di punti Ξ1 che associa il punto xi−1 all’intervallo [xi−1, ξi]

ed il punto xi all’intervallo [ξi , xi]. Si ha

R( f , g, P1, Ξ1) =n

∑i=1

f (xi−1)[g(ξi)− g(xi−1)]+

+n

∑i=1

f (xi)[g(xi)− g(ξi)] =

=n

∑i=1

g(ξi)[ f (xi−1)− f (xi)]+

+n

∑i=1

[ f (xi)g(xi)− f (xi−1)g(xi−1)] =

= f (b)g(b)− f (a)g(a)− R(g, f , Q, Ξ)

Si ha pertanto∣∣∣∣ R(g, f , Q, Ξ) −[ f (b)g(b)− f (a)g(a)−∫ b

af (x)dg(x)]

∣∣∣∣ ==∣∣R( f , g, P1, Ξ1)−

∫ b

af (x)dg(x)

∣∣ < ε

non appena si ricordi che P1 < Q < Pε .Ciò prova il teorema. 2

Possiamo anche provare il seguente risultato, che permette di effet-tuare cambi di variabili negli integrali di Riemann-Stieltjes.

Teorema 21.2 - integrazione per sostituzione - Supponiamo che f , g : [a, b] −→R siano limitate e sia φ : [c, d] −→ [a, b] continua e strettamente crescente,φ(c) = a, φ(d) = b. Allora si ha che f è integrabile su [a, b] rispetto a g se esolo se f (φ(·)) è integrabile rispetto a g(φ(·)). Inoltre∫ b

af (x)dg(x) =

∫ d

cf (φ(x))dg(φ(x)).

Dimostrazione. Dato che φ è strettamente crescente, si ha

P ∈ P(c, d) ⇔ φ(P) ∈ P(a, b)

e P, Q ∈ P(c, d), P < Q se esolo se φ(P), φ(Q) ∈ P(a, b), φ(P) < φ(Q)

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analisi matematica 1 221

Pertanto

R( f (φ), g(φ), P, Ξ) = R( f , g, φ(P), φ(Ξ))

e

|R( f (φ), g(φ), P, Ξ)− I| < ε , ∀P < Pε , ∀Ξ

se e solo se

|R( f , g, P′, Ξ′)− I| < ε , ∀P′ < φ(Pε) , ∀Ξ′ .

2

Nel caso in cui g(x) = x la definizione A1.1 si riduce alla usualedefinizione di integrale secondo Riemann. Se f è integrabile rispetto ag(x) = x, diremo semplicemente che f è integrabile.

Valgono i due seguenti risultati che consentono di calcolare facil-mente gli integrali di Riemann-Stieltjes.

Teorema 21.3 Siano f , g : [a, b] −→ R limitate e supponiamo che g ∈C1([a, b]); allora, se f è integrabile rispetto a g, si ha che f g’ è integrabile e

∫ b

af (x)dg(x) =

∫ b

af (x)g′(x)dx.

Dimostrazione. Dal momento che f è integrabile rispetto a g, seP < P∈ si ha

∣∣R( f , g, P, Ξ)−∫ b

af (x)dg(x)

∣∣ < ε , ∀Ξ

Inoltre, se ∆(P) < δε , dal momento che g′ è uniformemente continuasu [a, b], si ha

|g′(ξi)− g′(ηi)| < ε se ξi , ηi ∈ [xi−1, xi]

pertanto, se scegliamo P′ε ∈ P(a, b), P′ε < Pε e ∆(P′ε) < δε si ha, perP < P′ε

R( f , g, P, Ξ) =n

∑i=1

f (ξi)[g(xi)− g(xi−1)] =

=n

∑i=1

f (ξi)g′(ηi)(xi − xi−1)

ξi , ηi ∈ [xi−1, xi]

R( f g′, P, Ξ) =n

∑i=1

f (ξi)g′(ξi)(xi − xi−1).

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222 o.caligaris - p.oliva

Pertanto

∣∣∣∣ R( f g′, P, Ξ) −∫ b

af (x)dg(x)

∣∣∣∣ =≤∣∣∣∣ R( f , g, P, Ξ)−

∫ b

af (x)dg(x)

∣∣∣∣++ |R( f , g, P, Ξ)− R( f g′, P, Ξ)| ≤

≤ ε +

∣∣∣∣∣ n

∑i=1

f (ξi)[g′(ξi)− g′(ηi)](xi − xi−1)

∣∣∣∣∣ ≤≤ ε + ε(b− a) sup{ f (x) : x ∈ [a, b]}

e la tesi. 2

Teorema 21.4 Siano f , g : [a, b] −→ R limitate e sia g derivabile con g′

limitata; supponiamo inoltre che f e g′ siano integrabili su [a, b]; allora f èintegrabile rispetto a g e si ha

∫ b

af (x)dg(x) =

∫ b

af (x)g′(x)dx.

Dimostrazione. Osserviamo innanzi tutto che f g’ è integrabile su[a, b] e che valgono i seguenti fatti:

1. | f (x)| ≤ M, ∀x ∈ [a, b]

2. se P ∈ P(a, b) è sufficientemente fine

0 ≤ U(g′, P)− L(g′, P) < ε

3. se P ∈ P(a, b) è sufficientemente fine si ha

∣∣R( f g′, P, Ξ)−∫ b

af (x)g′(x)dx

∣∣ < ε.

Si ha pertanto, se P < Pε e Pε è scelto in modo che siano verificate

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analisi matematica 1 223

2) e 3),∣∣∣∣ R( f , g, P, Ξ) −∫ b

af (x)g′(x)dx

∣∣∣∣ ==

∣∣∣∣∣ n

∑i=1

f (ξi)[g(xi)− g(xi−1)]−∫ b

af (x)g′(x)dx

∣∣∣∣∣ ==

∣∣∣∣∣ n

∑i=1

f (ξi)g′(ηi)(xi − xi−1)−∫ b

af (x)g′(x)dx

∣∣∣∣∣ ≤≤∣∣∣∣∣ n

∑i=1

f (ξi)g′(ξi)(xi − xi−1)−∫ b

af (x)g′(x)dx

∣∣∣∣∣++

∣∣∣∣∣ n

∑i=1

f (ξi)[g′(ηi)− g′(ξi)](xi − xi−1)

∣∣∣∣∣ ≤≤∣∣∣∣ R( f g′, P, Ξ)−

∫ b

af (x)g′(x)dx

∣∣∣∣++ [U(g′, P)− L(g′, P)]M ≤

≤ ε(1 + M).

2

Cominciamo a questo punto a considerare una situazione apparen-temente più particolare, supponiamo cioè che l’integratrice sia mono-tona. Non sarà restrittivo supporre che tale funzione sia crescente edè ovvio che alcuni dei risultati esposti si intendono estesi anche allefunzioni decrescenti ed alle funzioni che sono differenza di funzionicrescenti.

Quest’ultima classe di funzioni è di notevole interesse; una funzioneche si possa esprimere come differenza di funzioni crescenti, si dice divariazione limitata .

Solitamente non si considerano, come integratrici, funzioni che sia-no più generali delle funzioni di variazione limitata ed è per que-sto che abbiamo definito l’attuale situazione solo apparentemente piùparticolare.

Definizione 21.2 Siano f , g : [a, b] −→ R limitate e supponiamo che g siamonotona crescente. Sia P ∈ P(a, b), P = {x0, x1, .., xn} e definiamo

mi = inf{ f (x) : x ∈ [xi−1, xi]} , Mi = sup{ f (x) : x ∈ [xi−1, xi]}

L( f , g, P) =n

∑i=1

mi(g(xi)− g(xi−1)) , U( f , g, P) =n

∑i=1

Mi(g(xi)− g(xi−1))

Definiamo inoltre∫ b

– af (x)dg(x) = sup{L( f , g, P) : P ∈ P(a, b)}

∫–b

af (x)dg(x) = inf{U( f , g, P) : P ∈ P(a, b)}

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224 o.caligaris - p.oliva

e ∫ b

af (x)dg(x) =

∫ b

– af (x)dg(x) =

∫–b

af (x)dg(x)

qualora la seconda uguaglianza sia verificata.Si può vedere, come nel paragrafo 15, che se P, Q, P′, Q′ ∈ P(a, b),

P < P′, Q < Q′ e se m ≤ f (x) ≤ M in [a,b], si ha

m(g(b)− g(a)) ≤ L( f , g, P′) ≤ L( f , g, P) ≤≤ U( f , g, Q) ≤ U( f , g, Q′) ≤ M(g(b)− g(a))

e, di conseguenza,

m(g(b)− g(a)) ≤∫ b

– af (x)dg(x) ≤

∫–b

af (x)dg(x) ≤ M(g(b)− g(a))

Si ha inoltre

L( f , g, P) ≤ R( f , g, P, Ξ) ≤ U( f , g, P) ∀Ξ

e si può provare che non c’è ambiguità nelle definizioni di integrale enelle notazioni adottate nelle definizioni A1.1 e A1.6 in quanto sussisteil seguente teorema.

Teorema 21.5 Siano f , g : [a, b] −→ R limitate e sia g monotona crescente.Sono equivalenti le seguenti condizioni;

1. ∀ε > 0 ∃Pε ∈ P(a, b) tale che se P < Pε si ha

∣∣R( f , g, P, Ξ)−∫ b

af (x)dg(x)

∣∣ < ε

∀Ξ;

2. ∀ε > 0 ∃Pε ∈ P(a, b) tale che

0 ≤ U( f , g, Pε)− L( f , g, pε) < ε

3.∫ b

– a f (x)dg(x) =∫–b

a f (x)dg(x) =∫ b

a f (x)dg(x).

Usando ancora le dimostrazioni del paragrafo 15 si prova che:

Teorema 21.6 Siano f , h, g : [a, b] −→ R limitate e sia g monotona. Allorase f ed h sono integrabili rispetto a g, tale risulta anche α f + βh , ∀α, β ∈ R

e si ha;∫ b

a[α f (x) + βh(x)]dg(x) = α

∫ b

af (x)dg(x) + β

∫ b

ah(x)dg(x).

Inoltre si ha che f h è integrabile rispetto a g.

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analisi matematica 1 225

Dualmente, ricordando il teorema A1.2 di integrazione per parti, siprova che:

Teorema 21.7 Siano f,g,h: [a, b] −→ R limitate e siano g ed h monotonecrescenti. Allora se f è integrabile rispetto a g e rispetto ad h si ha anche chef è integrabile rispetto ad αg + βh e∫ b

af (x)d[αg(x) + βh(x)] = α

∫ b

af (x)dg(x) + β

∫ b

af (x)dh(x).

Risulta inoltre che f è integrabile rispetto a gh.

Usando i teoremi 15.12 e 15.6 (vi,vii) si ottiene che

Teorema 21.8 Siano f , h, g : [a, b] −→ R limitate e supponiamo che g siamonotona crescente; allora

1. Se f , h sono integrabili rispetto a g e se f ≥ h si ha∫ b

af (x)dg(x) ≥

∫ b

ah(x)dg(x);

2. se definiamo f+ = max{ f , 0} ed f− = min{ f , 0}, f è integrabile rispettoa g se e solo se f+ ed f− sono integrabili rispetto a g;

3. f è integrabile rispetto a g se e solo se | f | è integrabile rispetto a g e si ha

∣∣ ∫ b

af (x)dg(x)

∣∣ ≤ ∣∣ ∫ b

a| f (x)|dg(x)

∣∣ ;

4. se f è integrabile rispetto a g , se f ≥ 0 e se [α, β] ⊂ [a, b]

0 ≤∫ β

αf (x)dg(x) ≤

∫ b

af (x)dg(x)

5. se f è continua, g è strettamente crescente, f ≥ 0 e∫ b

af (x)dg(x) = 0

allora f ≡ 0 .

Per quel che concerne l’integrabilità possiamo stabilire il seguente ri-sultato

Teorema 21.9 - Siano f,g: [a, b] −→ R, f continua, g monotona crescente;allora f è integrabile rispetto a g e g è integrabile rispetto ad f .

Dimostrazione. Ci limitiamo a provare che f è integrabile rispetto ag, appellandoci al teorema A1.2 per il resto della tesi.

Dal momento che f è uniformemente continua su [a, b] ∀ε > 0 ∃δε >

0 tale che, se |x− y| < δε si ha

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226 o.caligaris - p.oliva

| f (x)− f (y)| < ε.

Sia Pε ∈ P(a, b) tale che ∆(Pε) < δε, allora si ha

0 ≤ U( f , g, Pε)− L( f , g, Pε) ≤n

∑i=1

(Mi −mi)(g(xi)− g(xi−1) ≤

≤ ε(g(b)− g(a))

2

Passiamo ora a provare alcuni teoremi della media per gli integralidi Riemann-Stieltjes.

Teorema 21.10 Consideriamo f , g : [a, b] −→ R , f continua e g crescente,allora esiste c ∈ [a, b] tale che∫ b

af (x)dg(x) = f (c)

∫ b

adg(x) = f (c)(g(b)− g(a))

Dimostrazione. Siano

m = min{ f (x) : x ∈ [a, b]} , M = max{ f (x) : x ∈ [a, b]};

si ha

m(g(b)− g(a)) ≤∫ b

af (x)dg(x) ≤ M(g(b)− g(a)).

Se g(b) = g(a) la tesi è banale; in caso contrario si ha

m ≤∫ b

af (x)dg(x)/(g(b)− g(a)) ≤ M

e si può concludere per il teorema dei valori intermedi. 2

Teorema 21.11 Siano f,g: [a, b] −→ R, f continua, g crescente; supponia-mo che g sia derivabile in x0 ∈ [a, b], allora

F(x) =∫ x

af (t)dg(t)

è derivabile in x0 eF′(x0) = f (x0)g′(x0).

Dimostrazione. Si ha

F(x0 + h)− F(x0)

h=

1h

∫ x0+h

x0

f (t)dg(t) = f (ch)g(x0 + h)− g(x0)

h

con |ch − x0| < |h|, e si conclude per la continuità di f e la derivabilitàdi g in x0. 2

Teorema 21.12 Consideriamo f , g : [a, b] −→ R, f crescente, g continua;allora esiste c ∈ [a, b] tale che∫ b

af (x)dg(x) = f (a)

∫ c

adg(x) + f (b)

∫ b

cdg(x).

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analisi matematica 1 227

Dimostrazione. Dal momento che g è continua ed f è crescente, g èintegrabile rispetto ad f e per il teorema A1.12 si ha∫ b

ag(x)d f (x) = g(c)( f (b)− f (a)) , c ∈ [a, b].

Ma, per il teorema A1.2

∫ b

af (x)dg(x) = f (b)g(b)− f (a)g(a)−

∫ b

ag(x)d f (x) =

= f (b)g(b)− f (a)g(a)− g(c)( f (b)− f (a)) =

= f (b)(g(b)− g(c)) + f (a)(g(c)− g(a)) =

= f (b)∫ b

cdg(x) + f (a)

∫ c

adg(x)

2

Per particolari scelte delle funzioni integratrici si provano i seguentirisultati per gli integrali di Riemann.

Teorema 21.13 Siano f , h : [a, b] −→ R continue, h ≥ 0. Allora esistec ∈ [a, b] tale che ∫ b

af (x)h(x)dx = f (c)

∫ b

ah(x)dx.

Dimostrazione. Dal teorema A1.12 con

g(x) =∫ x

ah(t)dt.

2

Teorema 21.14 Siano f,h: [a, b] −→ R, f crescente, h continua; allora esistec ∈ [a, b] tale che∫ b

af (x)h(x)dx = f (a)

∫ c

ah(x)dx + f (b)

∫ b

ch(x)dx.

Dimostrazione. Dal teorema A1.14 con

g(x) =∫ x

ah(t)dt.

2

Teorema 21.15 Siano f , h : [a, b] −→ R, f crescente f ≥ 0 , h continua,allora ∃c ∈ [a, b] tale che∫ b

af (x)dh(x) = f (b)

∫ b

ch(x)dx.

Dimostrazione. Dal teorema precedente applicato alla funzione f1

definita da

f1(x) =

f (x), x ∈ (a, b]

0, x = a

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228 o.caligaris - p.oliva

2

Consideriamo ora il problema di definire l’integrale di Riemann-Stieltjes anche su sottoinsiemi non limitati di R.

Definizione 21.3 Siano f , g : [a,+∞) −→ R e supponiamo che f siaintegrabile rispetto a g in [a, δ] ∀δ > a.

Qualora

limδ→+∞

∫ δ

af (x)dg(x)

esista, diciamo che f è integrabile rispetto a g su [a,+∞) e definiamo∫ +∞

af (x)dg(x) = lim

δ→+∞

∫ δ

af (x)dg(x).

Possiamo provare facilmente, usando il teorema 6.20, che

Teorema 21.16 Siano f , g : [a,+∞) −→ R e supponiamo che f sia inte-grabile rispetto a g in [a, δ] ∀δ > a; allora f è integrabile rispetto a g in[a,+∞) se e solo se∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che, se x′, x” > δε∣∣ ∫ x”

x′f (t)dg(t)

∣∣ < ε

E’ conseguenza immediata del teorema A1.19 il seguente

Corollario 21.1 Siano f , g : [a,+∞) −→ R e supponiamo che g sia cre-scente. Allora, se | f | è integrabile rispetto a g, anche f è integrabile rispettoa g su [a,+∞).

Dimostrazione. Si ha∣∣ ∫ x”

x′f (t)dg(t)

∣∣ ≤ ∣∣ ∫ x”

x′| f (t)|dg(t)

∣∣.2

Teorema 21.17 Siano f,g: [a,+∞) −→ R, f limitata e g crescente e limitatasu R. Allora f è integrabile rispetto a g su [a,+∞).

Dimostrazione. La funzione

δ −→∫ δ

a| f (t)|dg(t)

è monotona crescente e pertanto ammette limite per δ→ +∞.Si ha inoltre∫ δ

a| f (t)|dg(t) ≤ M(g(δ)− g(a)) ≤ 2MN

se M è un maggiorante per | f | ed N è un maggiorante per |g| .

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analisi matematica 1 229

Ne deduciamo che

limδ→+∞

∫ δ

a| f (t)|dg(t)

esiste finito e per il corollario A1.20 concludiamo. 2

Per finire occupiamoci del problema degli integrali di Riemann-Stieltjes dipendenti da un parametro.

Ci limitiamo a provare i seguenti risultati.

Teorema 21.18 Siano g : [a, b] −→ R limitata e crescente, e sia h : [a, b]×I −→ R continua, I ⊂ R; allora

F(s) =∫ b

ah(t, s)dg(t)

è continua in I.Se inoltre h è derivabile rispetto ad s e ∂h(t, s)/∂s è continua in [a, b]× I,

allora F è derivabile in I e si ha

F′(s) =∫ b

a

∂h∂s

(t, s)dg(t).

Dimostrazione. Si ha

|F(s)− F(s0)| ≤∫ b

a|h(t, s)− h(t, s0)|dg(t) ≤

≤ ε(g(b)− g(a))

se ricordiamo che h è uniformemente continua in [a, b]× [c, d].Inoltre∣∣∣∣ F(s + r)− F(s)

r−∫ b

ahs(t, s)dg(t)

∣∣∣∣ ==

∣∣∣∣∫ b

a

(h(t, s + r)− h(t, s)

r− hs(t, s)

)dg(t)

∣∣∣∣ ≤≤∫ b

a|hs(t, σ)− hs(t, s)|dg(t) ≤ ε(g(b)− g(a))

con |σ − s| ≤ |r| e si conclude come prima, usando l’uniformecontinuità di hs . 2

Teorema 21.19 - Siano g : [a,+∞) −→ R limitata e crescente, h : [a,+∞)×I −→ R continua e limitata, I ⊂ R; supponiamo inoltre che

|h(t, s)| ≤ φ(t)

con φ integrabile rispetto a g in [a,+∞); allora

F(s) =∫ +∞

ah(t, s)dg(t)

è continua in I .

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230 o.caligaris - p.oliva

Se inoltre hs esiste in [a,+∞)× I e

|hs(t, s)| ≤ ψ(t)

con ψ integrabile rispetto a g su [a,+∞), allora F è derivabile e si ha

F′(s) =∫ +∞

ahs(t, s)dg(t).

La dimostrazione è analoga a quella del teorema 26.34 .

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22. Introduzione ai Modelli Differen-ziali

Uno degli argomenti più interessanti del calcolo differenziale è costi-tuito dalle equazioni differenziali: si tratta di equazioni in cui l’inco-gnita è una funzione y(x) di cui sono noti i valori iniziali ed il fatto chedeve essere verificata, per ogni x, una relazione tra la funzione stessae la sua derivata prima y′(x).

L’esempio più semplice e naturale di un problema di questo genereè dato dal modello che descrive la caduta di un grave.

Figura 22.1: Un punto materiale sogget-to alla gravità

Se consideriamo un punto di massa m posto ad un’altezza h dallasuperficie terrestre e trascuriamo gli effetti della resistenza dell’aria,avremo che sul punto agisce solo la forza di gravità F = mg.

L’esperienza mostra che il punto materiale P si muove verso il bas-so; per descrivere il suo moto possiamo considerare un sistema diriferimento che coincide con la retta che il punto percorre cadendo.

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232 o.caligaris - p.oliva

Assumiamo l’origine in corrispondenza del suolo e consideriamopositive le altezze misurate dal suolo.

Figura 22.2: Il sistema di riferimento

La velocità con cui il punto P si muove verso il basso lungo la rettascelta come asse di riferimento è

v(t) = x(t)

e la sua accelerazione è

a(t) = x(t)

Come già detto, sul punto agisce la sola forza gravitazionale F = mg.Per le leggi di Newton si avrà allora

ma(t) = −mg

e quindi

x(t) = g (22.1)

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analisi matematica 1 233

La 22.1 è un semplicissimo esempio di equazione differenziale: essaimpone una relazione che coinvolge una funzione e le sue derivate.

Il moto del punto si può ricavare integrando due volte tra t e t0 = 0,es xassumiamo che il moto inizi all’istante t0 = 0.

Si ottiene

x(t) = −gt + c1 (22.2)

ex(t) = −1

2gt2 + c1t + c0 (22.3)

e si vede che per determinare in maniera unica il moto dovremo procu-rarci dei valori per c0 e c1. Questo si può fare utilizzando informazionisulla velocità e sulla posizione iniziale del punto. È subito visto infattidalla 22.2 e dalla 22.3 rispettivamente che

v0 = x(0) = c1 h0 = x(0) = c0 (22.4)

Possiamo osservare che per determinare il moto abbiamo cioè bi-sogno di conoscere posizione e velocità iniziale del punto P e ciòcorrisponde anche all’intuizione.

Se teniamo conto di tali dati, possiamo affermare che il punto P simuove sull’asse x seguendo la legge

x(t) = −12

gt2 + v0t + h0 (22.5)

Possiamo descrivere lo stesso fenomeno anche usando il principiodi conservazione dell’energia.

L’energia potenziale del punto P, soggetto al solo campo gravitazio-nale è, in ogni istante t,

U(t) = mgx(t)

mentre la sua energia cinetica è

12

mx2(t)

e la sua energia totale

E(t) =12

mx2(t) + mgx(t)

si mantiene costante durante il moto

12

mx2(t) + mgx(t) = mk (22.6)

Se conosciamo le condizioni iniziali v0 ed h0 siamo anche in gradodi calcolare

k =12

mv20 + mgh0

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234 o.caligaris - p.oliva

La 22.6 è una equazione differenziale, che è in grado di descriverela posizione x(t) del punto P in ogni istante t, tuttavia ricavare x datale relazione è più difficile.

Possiamo riscrivere la 22.6 come12

x2(t) = k− gx(t) (22.7)

e da questa uguaglianza possiamo ricavare una prima informazione:

la quantità k− gx(t) deve mantenersi positiva e quindi x(t) ≤kg .

Abbiamo così ricavato una limitazione per la soluzione dell’equa-zione senza risolverla, abbiamo ottenuto cioè una limitazione a prioriper la soluzione dell’equazione.

Osserviamo anche che

x(t) = kg è una soluzione costante dell’equazione 22.7

Per cercare soluzioni non costanti possiamo applicare la radice adentrambi i membri

x(t) = ±√

2k− 2gx(t) (22.8)

e dividere per il secondo membro

x(t)√2k− 2gx(t)

= ±1 (22.9)

Ora, se moltiplichiamo per g

gx(t)√2k− 2gx(t)

= ±g (22.10)

ed integriamo tra t0 = 0 e t, otteniamo∫ t

0

gx(s)√2k− 2gx(s)

ds = ±gt (22.11)

dove tuttavia il primo integrale non può essere calcolato in quanto lafunzione integranda dipende dalla funzione incognita x(t).

Possiamo integrare per sostituzione ponendo

u = x(s) , du = x(s)ds

osservando che per s = 0 e s = t avremo x(s) = x(0) = h0 e x(s) =

x(t), da cui si ricava che v0 = ±√

2k− 2gx0, avremo∫ x(t)

x0

gdu√2k− 2gu

= ±gt (22.12)

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analisi matematica 1 235

A questo punto possiamo calcolare l’integrale a sinistra ed ottenereche √

2k− 2gx(t)−√

2k− 2gx0 = ∓gt (22.13)√2k− 2gx(t) = ∓gt± v0 (22.14)

2k− 2gx(t) = (∓gt± v0)2 (22.15)

x(t) =kg− 1

2g(∓gt± v0)

2 (22.16)

Osserviamo esplicitamente che la scelta dei segni di ∓gt e di ±v0 ècoerente con i calcoli fatti.

Tale scelta si mantiene fino a quando la derivata di x(t), cioè lavelocità non si annulla; questa eventualità non si verifica mai se v0 < 0mentre ha luogo per t0 = v0

g nel caso in cui v0 > 0.In tal caso ci troviamo in uno stato descritto da

x(t0) = x(t0) = 0

e quindi non abbiamo indicazioni sul segno da attribuire alla radiceche rappresenta la velocità nella 22.8.

Tuttavia possiamo osservare che essendo x(t) = 0 dalla 22.8 si de-duce x(t) = k

g per cui, dovendosi avere x(t) ≤ kg x non può più

aumentare e quindi occorre considerare da quell’istante in poi,

x(t) = −√

2k− 2gx(t) (22.17)

x

y

O

Osserviamo che a questo punto occorre distinguere tra risultato delmodello e soluzione dell’equazione differenziale: infatti il modelloesprime la conservazione dell’energia, che si può ottenere anche con lasoluzione costante che non è invece accettabile per la descrizione dellacaduta di un grave.

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23. Equazioni Differenziali a Varia-bili Separabili.

Risolvere una equazione differenziale a variabili separabili, significatrovare una funzione y, che sia derivabile e per cui si abbia

y′(x) = f (x)g(y(x))

con f , g assegnate.Più precisamente possiamo dire che

Se I, J ⊂ R sono intervalli aperti e non vuoti ed f : I −→ R ,g : J −→ R sono due funzioni, diciamo che risolviamo l’equazionedifferenziale a variabili separabili

y′(x) = f (x)g(y(x)) (23.1)

se troviamo un intervallo I′ ⊂ I ed una funzione y : I′ −→ J taleche la 23.1 sia soddisfatta per ogni x ∈ I′

Quando si cercano soluzioni di un’equazione differenziale che sod-disfino anche un dato iniziale, si parla di problema di Cauchy.

Precisamente se

I, J ⊂ R sono intervalli aperti x0 ∈ I, y0 ∈ J, f : I −→ R

e g : J −→ R sono funzioni; chiamiamo problema di Cauchy avariabili separabili il problema di trovare I′ ⊂ I ed y : I′ −→ R,derivabile, tali chey′(x) = f (x)g(y(x)) , ∀x ∈ I′

y(x0) = y0(23.2)

Vale il seguente teorema di esistenza ed unicità della soluzione delproblema di Cauchy a variabili separabili, per dimostrare il quale pro-

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238 o.caligaris - p.oliva

cediamo in maniera costruttiva utilizzando un metodo che, di fatto,consente di risolvere l’equazione.

La dimostrazione è, in questo caso, molto più utile dell’enunciato,ma anche le condizioni di esistenza ed unicità della soluzione sono difondamentale importanza.

Nei teorema che segue giocano un ruolo fondamentale il fatto che Ie J siano intervalli aperti e che g(y) 6= 0 ∀y ∈ J.

Quest’ultima condizione è certamente soddisfatta se g è continua ese g(y0) 6= 0 a meno di considerare un’intervallo J piì piccolo.

Teorema 23.1 Siano I, J ⊂ R, intervalli aperti, siano x0 ∈ I, y0 ∈ Je siano f : I −→ R, g : J −→ R due funzioni continue, supponiamoinoltre che g(y) 6= 0, per ogni y ∈ J.

Allora esiste un intervallo I′ ⊂ I e una ed una sola soluzione y :I′ −→ J del problema di Cauchy 23.2.

Dimostrazione. y è soluzione del problema assegnato se e solose

y′(x)g(y(x)) = f (x)

y(x0) = y0(23.3)

e ciò si verifica se e solo se∫ x

x0

y′(t)g(y(t))

dt =∫ x

x0

f (t)dt (23.4)

se e solo se ∫ y(x)

y0

dsg(s)

=∫ x

x0

f (t)dt (23.5)

se e solo se, dette F e G due primitive di f ed 1/g su I e Jrispettivamente,

G(y(x))− G(y0) = F(x)− F(x0) (23.6)

R(G − G(y0)) e R(F − F(x0)) sono intervalli per la continuitàdelle medesime, entrambi contengono 0 e R(G) contiene 0 al suointerno in virtù del fatto che G è strettamente monotona in quantog = G′ ha segno costante inoltre G è invertibile.

Ciò assicura che esiste un intervallo I′, aperto e contenente x0

in cui l’uguaglianza vale ed in tale intervallo si può scrivere che

y(x) = G−1(F(x) + G(y0)− F(x0)). (23.7)

2

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analisi matematica 1 239

È importante anche ricordare due risultati di esistenza e di unicitàla cui dimostrazione non è opportuna a questo punto, che possiamotuttavia utilizzare per ottenere informazioni sull’esistenza e l’unicitàdella soluzione di un problema di Cauchy.

Siano I, J ⊂ R, intervalli aperti, siano x0 ∈ I, y0 ∈ J e sianof : I −→ R, g : J −→ R due funzioni continue.

Allora esiste un intervallo I′ ⊂ I e una soluzione y : I′ −→ Jdel problema di Cauchy 23.2.

Se inoltre g ∈ C1,cioè se ammette derivata prima continua,allora la soluzione è anche unica.

L’unicità è anche assicurata dalla lipschitzianità di g cioè dallacondizione

|g(x)− g(y)| ≤ L|x− y| (23.8)

Vale la pena di ricordare che, usando il teorema di Lagrange, sipuò dimostrare che una funzione che abbia derivata prima limitataè lipschitziana: infatti se |g′(c)| ≤ L si ha

|g(x)− g(y)| = |g′(c)||x− y| ≤ L|x− y| (23.9)

Ricordiamo anche che se g ∈ C1, il teorema di Weierstraß assi-cura che |g′| ( che è continua) ammette massimo su ogni intornochiuso e limitato di x0

Possiamo procedere alla soluzione dell’equazione differenziale a va-riabili separabili anche senza precisi riferimenti ai dati iniziali seguen-do essenzialmente gli stessi passi percorsi in precedenza

Siano f e g continue sugli intervalli aperti I e J e supponiamoche g(y) 6= 0 su J;

Consideriamo l’equazione a variabili separabili

y′(x) = f (x)g(y(x)) (23.10)

Dal momento che g(y) 6= 0 in J, avremo che la 23.10 èsoddisfatta in I′ se e solo se

y′(x)g(y(x))

= f (x)

e, dette F e G due primitive in I e J di f ed 1/g rispettivamente,l’ultima uguaglianza è equivalente a

G(y(x)) = F(x) + c (23.11)

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240 o.caligaris - p.oliva

con c ∈ R (ricordiamo che stiamo lavorando su intervalli e quindidue primitive differiscono per costante).

Ora, se fissiamo x0 interno ad I e chiamiamo y(x0) = y0 ∈ J,posto

c = G(y0)− F(x0)

avremo che la 23.11 diventa

G(y(x))− G(y0) = F(x)− F(x0) (23.12)

ed è verificata almeno in un intervallo I′ ⊂ I.Infatti R(G− G(y0)) e R(F− F(x0)) sono intervalli per la con-

tinuità delle medesime, entrambi contengono 0 e R(G) contiene 0al suo interno in virtù del fatto che G è strettamente monotona inquanto g = G′ ha segno costante inoltre G è invertibile.

Pertanto possiamo ricavare

y(x) = G−1(F(x) + c)

per x ∈ I′.

Il procedimento sopra esposto fornisce, al variare di c, l’insiemedi tutte le soluzioni dell’equazione differenziale a variabili separabiliconsiderata. Allorquando necessiti trovare le soluzioni dell’equazioneconsiderata, che soddisfino di più la condizione y(x0) = y0, x0 ∈ I,y0 ∈ J, è sufficiente considerare c = G(y0) − F(x0) ed osservare chetale scelta di c consente di determinare I′ ⊂ I tale che F(I′)+ c ⊂ G(J).In tal caso si risolve un problema di Cauchy.

Per una corretta risoluzione di un’equazione a variabili separabi-li non va trascurato di considerare quanto accade se g si annulla inqualche punto.

Ricordiamo che per separare le variabili occorre dividere per g equindi in questo caso non si può procedere già dall’inizio.

È ragionevole limitarci al caso in cui y0 è uno zero isolato di g, cioèse esiste un intorno di y0 in cui g non si annulla altre volte.

In tal caso possiamo osservare che la funzione

y(x) = y0

è una soluzione dell’equazione, che in presenza di condizioni cheassicurino l’unicità è anche la sola soluzione possibile.

Qualora non sussistano tali condizioni occorre indagare l’esistenzadi altre soluzioni; a questo scopo si procede studiando l’equazione per

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analisi matematica 1 241

y 6= y0 e, giunti al punto di considerare

∫ y(x)

y0

dsg(s)

=∫ x

x0

f (t)dt (23.13)

prima di procedere, occorre studiare l’esistenza in senso impropriodell’integrale a sinistra.

Le informazioni che abbiamo sull’integrazione impropria ci consen-tono allora di capire che:

• se g è infinitesima in y0 di ordine α ≥ 1. la primitiva G di 1/g nonpuò essere prolungata per continuità in y0 e pertanto la soluzionecostante è l’unica possibile.

• Se invece g è infinitesima in y0 di ordine α ≤ β < 1, β ∈ R . AlloraG può essere prolungata per continuità in y0 e, si può procedereoltre.

Nei teoremi 16.2 e 16.4 giocano un ruolo fondamentale il fatto che Ie J siano intervalli aperti e che g(y) 6= 0 ∀y ∈ J.

Quest’ultima condizione è certamente soddisfatta se g(y0) 6= 0 .Esaminiamo brevemente cosa accade se mancano queste ipotesi.Cominciamo con il considerare il caso in cui I e J siano intervalli

chiusi; in questa situazione si è naturalmente condotti al concetto disoluzione definita solo a destra o solo a sinistra del punto iniziale.

L’esistenza di una tale soluzione si prova, esattamente come nelteorema 16.4, nel caso in cui si possa invertire G per risolvere rispettoad y(x)

G(y(x)) = G(y0) + F(x)− F(x0) .

Ciò è possibile se e solo se G è localmente monotona in un intornodi y0 e

sgn(G(y)− G(y0)) = sgn(F(x)− F(x0)) .

Una condizione sufficiente affinché ciò accada è che

g(y) f (x)(x− x0)(y− y0) > 0 ∀x ∈ int I, ∀y ∈ int J .

Quando invece g(y0) = 0, lo studio dell’esistenza di una soluzioneper il Problema di Cauchy (16.2) diventa banale in quanto è semprepossibile considerare la soluzione costante

y(x) ≡ y0 ,

mentre si complica lo studio dell’unicità.Accenniamo qui a quanto accade se y0 è uno zero isolato di g, cioè

se g non si annulla in un intorno di y0, e distinguiamo due casi.(1o caso). g è infinitesima in y0 di ordine α ≥ 1. In questo caso

la primitiva G di 1/g non può essere prolungata per continuità in

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242 o.caligaris - p.oliva

y0 e pertanto la soluzione costante è l’unica possibile. (2o caso). g

è infinitesima in y0 di ordine α ≤ β < 1 , β ∈ R . Questa volta

G può essere prolungata per continuità in y0 e, dal momento che y0

è uno zero isolato di g , si ha che G è localmente monotona in unintorno, anche solo destro o sinistro di y0. Pertanto, fissato x ∈ I,eventualmente x = x0, si può risolvere rispetto ad y(x) l’uguaglianza

G(y(x)) = G(y0) + F(x)− F(x)

non appena si supponga che

f (x)g(y)(x− x)(y− y0) > 0 ∀x ∈ int I′, ∀y ∈ int J .

Postoy(x) = G−1(F(x)− F(x) + G(y0)) x ∈ I′

ove I′ è un intorno eventualmente solo destro o sinistro di x, si puòsubito osservare che

y′(x) = limx→x

f (x)g(y(x)) = f (x)g(y(x)) = 0.

Pertanto y è derivabile in x e si può ivi raccordare con derivabilità allasoluzione y(x) ≡ y0 .

Ciò permette di costruire infinite soluzioni del problema di Cauchy(16.2). Si può provare, nell’ambito di una più generale trattazione delle

equazioni differenziali, che la soluzione del problema di Cauchy (16.2)esiste ed è unica nel caso in cui

f ∈ C0(I) , g ∈ C1(J) .

Usando le tecniche sopra descritte si può provare il seguente risul-tato che, nonostante la sua semplicità, è di fondamentale importan-za quando si trattano equazioni differenziali ordinarie ed anche allederivate parziali.

Proviamo infine un risultato riguardante una disequazione differen-ziale che è spesso utile per trovare limitazioni a priori per soluzioni diequazioni differenziali che non si è in grado di risolvere.

Lemma 23.1 - di Gronwall - Siano y, f : I −→ R+ funzioni continue, Iintervallo, e siano c > 0, x0 ∈ I; allora se

y(x) ≤∣∣∣∣∫ x

x0

f (t)y(t)dt∣∣∣∣+ c

per ogni x ∈ I si ha

0 ≤ y(x) ≤ ce|∫ x

xo f (t)dt|

per ogni x ∈ I.

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analisi matematica 1 243

Dimostrazione. Supponiamo x ≥ x0 ; dividendo ambo i membri peril secondo e moltiplicando poi per f (x) si ottiene (si ricordi che f ≥ 0,c > 0)

y(x) f (x)c +

∫ xx0

f (t)y(t)dt≤ f (x)

da cuid

dx

[ln(

c +∫ x

x0

f (t)y(t)dt)]≤ f (x).

Integrando ora tra x0 ed x si ha

ln(

c +∫ x

x0

f (t)y(t)dt)− ln c ≤

∫ x

x0

f (t)dt

ondec +

∫ x

x0

f (t)y(t)dt ≤ ce∫ x

xo f (t)dt.

ey(x) ≤ c +

∫ x

x0

f (t)y(t)dt ≤ ce∫ x

xo f (t)dt

Se x ≤ x0 si procede in modo analogo solo tenendo conto di uncambiamento di segno. 2

Corollario 23.1 Siano y, f : I −→ R+ continue, I intervallo, e sia x0 ∈ I;allora se

y(x) ≤∣∣∣∣∫ x

x0

f (t)y(t)dt∣∣∣∣ ∀x ∈ I

si hay(x) = 0 ∀x ∈ I

Dimostrazione. Si ha

y(x) ≤∣∣∣∣∫ x

x0

f (t)y(t)dt∣∣∣∣+ c ∀c > 0

e pertanto

0 ≤ y(x) ≤ ce|∫ x

xo f (t)dt| ∀c > 0

per cui, al limite per c→ 0+, si ha y(x) ≡ 0 . 2

Se nel lemma di Gronwall si suppone

y(x) ≤∣∣∣∣∫ x

x0

f (t)y(t)dt∣∣∣∣+ c(x)

con c crescente, si prova che

0 ≤ y(x) ≤ c(x)e|∫ x

xo f (t)dt|

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24. Esempi Notevoli di Problemi diCauchy

24.1 Esempio

Consideriamo l’equazione

y′(x) = y2(x) (24.1)

Osserviamo innanzi tutto che y(x) ≡ 0 è soluzione dell’equazione.Se y(x) 6= 0 possiamo separare le variabili

y′(x)y2(x)

= 1 (24.2)

ed integrando tra x0 ed x

∫ x

x0

y′(t)y2(t)

dt = x− x0 (24.3)

posto s = y(t), avremo ds = y′(t)dt e

∫ y(x)

y(x0)=y0

dss2 = x− x0 (24.4)

Poichè 1s2 è infinita in s = 0 di ordine 2, non è integrabile in s = 0

(intendiamo con ciò che non è integrabile in intervalli che contengano0). Pertanto y ed y0 dovranno avere sempre lo stesso segno: solu-zioni che partono con valori y0 positivi (negativi), rimangono positive(negative).

Sotto tale condizione avremo che

−1y+

1y0

= x− x0 (24.5)

1y=

1y0

+ x0 − x = c− x (24.6)

dove si sia definitoc =

1y0

+ x0

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246 o.caligaris - p.oliva

Osserviamo inoltre che al variare di x0 ed y0 c può assumere tutti ivalori reali.

Le soluzioni dell’equazione saranno pertanto date da

y(x) =1

c− x(24.7)

ed il loro grafico è indicato in figura 24.1.

Figura 24.1:

24.2 Esempio

Consideriamo l’equazione

y′(x) =√

y(x) (24.8)

Osserviamo innanzi tutto che deve essere y(x) ≥ 0 e che y(x) ≡ 0 èsoluzione dell’equazione.

Se y(x) 6= 0 possiamo separare le variabili

y′(x)√y(x)

= 1 (24.9)

ed integrando tra x0 ed x

∫ x

x0

y′(t)√y(t)

dt = x− x0 (24.10)

posto s = y(t), avremo ds = y′(t)dt e

∫ y(x)

y(x0)=y0

ds√s= x− x0 (24.11)

Poichè 1√s è infinita in s = 0 di ordine 1/2, è integrabile in s = 0

(intendiamo con ciò che è integrabile in intervalli che contengano 0).

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-6.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 247

Pertanto y ed y0 potranno assumere anche il valore 0. Avremo

2√

y− 2√

y0 = x− x0 (24.12)√

y =12(x− x0 + 2

√y0) =

12(x + c) (24.13)

dove si sia definitoc = 2

√y0 − x0

Osserviamo inoltre che la 24.13 impone che deve essere

12(x + c) ≥ 0 cioè x ≥ −c

Osserviamo che al variare di x0 ed y0 c può assumere tutti i valorireali.

Le soluzioni dell’equazione saranno pertanto date da

y(x) =14(x + c)2 per x ≥ −c (24.14)

ed il loro grafico è indicato in figura 24.2.

24.3 Esempio

Consideriamo l’equazione

y′(x) = x√

y(x) (24.15)

Osserviamo innanzi tutto che deve essere y(x) ≥ 0 e che y(x) ≡ 0 èsoluzione dell’equazione.

Se y(x) 6= 0 possiamo separare le variabili

y′(x)√y(x)

= x (24.16)

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248 o.caligaris - p.oliva

ed integrando tra x0 ed x

∫ x

x0

y′(t)√y(t)

dt =∫ x

x0

tdt (24.17)

posto s = y(t), avremo ds = y′(t)dt e

∫ y(x)

y(x0)=y0

ds√s=

x2

2−

x20

2(24.18)

Poichè 1√s è infinita in s = 0 di ordine 1/2, è integrabile in s = 0

(intendiamo con ciò che è integrabile in intervalli che contengano 0).Pertanto y ed y0 potranno assumere anche il valore 0. Avremo

2√

y− 2√

y0 =x2

2−

x20

2(24.19)

√y =

x2

4+ (√

y0 −x2

02) =

x2

4+ c (24.20)

dove si sia definito

c =√

y0 −x2

02

Osserviamo che la 24.19 impone che deve essere

x2

4+ c ≥ 0 cioè

sempre se c > 0

|x| ≥ −2c se c < 0

Osserviamo che al variare di x0 ed y0 c può assumere tutti i valorireali.

Le soluzioni dell’equazione saranno pertanto date da

y(x) =(

x2

4+ c)2

(24.21)

sotto le condizioni indicate per x ed il loro grafico è indicato in figura24.3.

24.4 Esempio

Consideriamo l’equazione

y′(x) = −x√

y(x) (24.22)

Osserviamo innanzi tutto che deve essere y(x) ≥ 0 e che y(x) ≡ 0 èsoluzione dell’equazione.

Se y(x) 6= 0 possiamo separare le variabili

y′(x)√y(x)

= −x (24.23)

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analisi matematica 1 249

ed integrando tra x0 ed x

∫ x

x0

y′(t)√y(t)

dt = −∫ x

x0

tdt (24.24)

posto s = y(t), avremo ds = y′(t)dt e

∫ y(x)

y(x0)=y0

ds√s= − x2

2+

x20

2(24.25)

Poichè 1√s è infinita in s = 0 di ordine 1/2, è integrabile in s = 0

(intendiamo con ciò che è integrabile in intervalli che contengano 0).Pertanto y ed y0 potranno assumere anche il valore 0. Avremo

2√

y− 2√

y0 = − x2

2+

x20

2(24.26)

√y = − x2

4+ (√

y0 +x2

02) = − x2

4+ c (24.27)

dove si sia definito

c =√

y0 +x2

02

Osserviamo che la 24.27 impone che deve essere

− x2

4+ c ≥ 0 cioè

mai se c < 0

|x| ≤ −2c se c < 0

Osserviamo che al variare di x0 ed y0 c può assumere solo valoripositivi.

Le soluzioni dell’equazione saranno pertanto date da

y(x) =(− x2

4+ c)2

(24.28)

sotto le condizioni indicate per x ed il loro grafico è indicato in figura24.4.

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250 o.caligaris - p.oliva

24.5 Esempio

Consideriamo l’equazione

y′(x) =√

1− y2(x) (24.29)

Osserviamo innanzi tutto che deve essere |y(x)| ≤ 1 e che y(x) ≡±1 è soluzione dell’equazione.

Se y(x) 6= ±1 possiamo separare le variabili

y′(x)√1− y2(x)

= 1 (24.30)

ed integrando tra x0 ed x

∫ x

x0

y′(t)√1− y2(t)

dt = x− x0 (24.31)

posto s = y(t), avremo ds = y′(t)dt e

∫ y(x)

y(x0)=y0

ds√1− s2

= x− x0 (24.32)

Poichè 1√1−s2 è infinita in s = ±1 di ordine 1/2, è integrabile in s =

±1 (intendiamo con ciò che è integrabile in intervalli che contengano±1). Pertanto y ed y0 potranno assumere anche il valore ±1. Avremo

arcsin y(x)− arcsin y0 = x− x0 (24.33)

arcsin y(x) = x− x0 + arcsin y0 = x + c (24.34)

dove si sia definitoc = arcsin y0 − x0

Osserviamo che la 24.34 impone che deve essere

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analisi matematica 1 251

|x + c| ≤ π

2

Osserviamo che al variare di x0 ed y0 c può assumere tutti i valorireali.

Le soluzioni dell’equazione saranno pertanto date da

y(x) = sin(x + c) (24.35)

sotto le condizioni indicate per x ed il loro grafico è indicato in figura24.5.

24.6 Esempio

Consideriamo il problema di Cauchyy′(x) = e−(y(x))4 − 1

y(x0) = y0(24.36)

Possiamo scrivere

y′(x) = f (x)g(y(x)

se definiamo f (x) = 1 e g(y) = e−y4 − 1;Si ha f ∈ C0(R) e g ∈ C1(R), e quindi si avrà una ed una sola

soluzione per ogni x0 ∈ R ed y0 ∈ R.L’equazione ammette soluzioni costanti che possono essere trovate

ponendo y(x) = c e sostituendo; avremo

0 = e−c4 − 1

per cui la sola soluzione costante è y(x) = c = 0.Nel caso in cui y0 = 0 la soluzione costante è anche l’unica soluzione

del problema di Cauchy .

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252 o.caligaris - p.oliva

Se fissiamo x0 = 0 ed y0 = 1. possiamo supporre y(x) 6= 0 in unintorno di 0 e separando le variabili ed integrando tra 0 ed x si ottiene

y′(x)e−(y(x))4 − 1

= 1 (24.37)∫ x

0

y′(t)e−(y(t))4 − 1

dt =∫ x

0dt (24.38)

ovvero ∫ y(x)

1

dse−s4 − 1

= x

Studiamo ora la funzione integrale a primo membro h(y) =∫ y

1ds

e−s4−1.

Poiché l’integranda è definita e continua per s 6= 0 e

lims→0

1e−s4 − 1

= −∞

di ordine 4, l’integrale è divergente per in 0; ne segue che, essendoil primo estremo di integrazione positivo, la funzione è definita pery > 0.

Inoltrelim

s→+∞

1e−s4 − 1

= −1

da cui l’integrale è divergente anche per y→ +∞.Si ha infine h(1) = 0 e h′(y) =] f rac1e−y4 − 1 essendo l’integranda

continua per y > 0, e tale derivata risulta sempre negativa.Possiamo anche osservare che

h′′(y) =4y3e−y4

(e−y4 − 1)2> 0

per ogni y > 0, per cui la funzione risulterà convessa; inoltre, poiché

limy→+∞

h′(y) = −1

il grafico della funzione tenderà a diventare parallelo alla bisettrice delsecondo e quarto quadrante)

Il grafico della funzione h è indicato nella figura;Poichè deve aversi

h(y(x)) = x

il grafico della soluzione del problema di Cauchy sarà quello dell’in-versa di h, come riportato nella figura 24.6.24.6.

Per disegnare il grafico delle soluzioni del problema di Cauchy datoal variare dei dati iniziali x0, y0 ∈ R. possiamo osservare che l’equa-zione data è un’equazione differenziale autonoma, e quindi se y(x) èsoluzione, anche y(x + a) è soluzione per ogni a ∈ R.

Pertanto tutte le traslate (in orizzontale) della soluzione trovata sonoancora soluzioni, per y > 0.

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analisi matematica 1 253

(a) Grafico 1 (b) Grafico2 (c) Grafico3

Per quanto riguarda le soluzioni per y < 0, ripetendo i calcoli fatti,ad esempio con x0 = 0 e y0 = −1, si ha∫ y(x)

−1

dse−s4 − 1

= x

e con considerazioni analoghe si ottengono le curve indicate in figura24.6.24.6

(Si noti che, se y(x) è soluzione dell’equazione differenziale, tale èpure −y(−x), ovvero i grafici delle soluzioni sono simmetrici rispettoall’origine).

24.7 Esempio

Si consideri il problema di Cauchyy′(x) = 6x2√

y(x)

y(x0) = 1

Si tratta di un problema a variabili separabili con f (x) = 6x2 defini-ta e continua su tutto R, e g(y) =

√y definita e di classe C1 per y > 0;

pertanto essendo y0 = 1, per il teorema di esistenza ed unicità, esisteuna ed una sola soluzione del problema dato, per ogni x0 ∈ R.

Separando le variabili, per y(x) > 0, si ottiene

y′(x)√y(x)

= 6x2

ed integrando tra 0 ed x∫ x

0

y′(t)√y(t)

dt =∫ x

06t2 dt

ovvero

2√

y(x)− 2√

y(0) = 2x3 da cui√

y(x) = 1 + x3

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254 o.caligaris - p.oliva

Elevando al quadrato i due membri, dopo aver osservato che 1 +

x3 > 0 e cioè x > −1, si ottiene

y(x) = (1 + x3)2 , x > −1

(si noti che la soluzione è prolungabile, in modo unico, con y(x) = 0per x ≤ −1).

Il grafico delle soluzioni è riportato in figura 24.7

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25. Equazioni e Sistemi di EquazioniDifferenziali Lineari

Un altro tipo importante di equazioni di equazioni differenziali è co-stituito dalle equazioni lineari. La più semplice equazione lineare puòessere scritta nella forma

y′(x) = a(x)y(x) + b(x) (25.1)

Se a, b ∈ Co(I), l’equazione 25.1 ammette una ed una soluzione de-finita su tutto I; questa è forse una delle più importanti caratteristichedi questo tipo di equazioni e si può facilmente verificare, in questocaso, direttamente.

Sia x0 ∈ I, ed y0 ∈ R, e sia A una primitiva di a in I. L’esistenzadi A è assicurata dalla continuità di a; ad esempio possiamo porreA(x) =

∫ xxo

a(t)dt.La 25.1 è vera se e solo se

e−A(x)y′(x)− e−A(x)a(x)y(x) = b(x)e−A(x)

e ciò è equivalente a

ddx

(e−A(x)y(x)

)= b(x)e−A(x).

Integrando tra x0 ed x, si ottiene

e−A(x)y(x) = y0 +∫ x

x0

b(t)e−A(t)dt

ed infine

y(x) = e A(x)(

y0 +∫ x

x0

b(t)e−A(x) dt)

(25.2)

Quanto abbiamo esposto consente di affermare che tutte le soluzionidell’equazione 25.1 si ottengono, al variare di y0 ∈ R, dalla 25.2.

Osserviamo anche che la 25.2 stessa può essere riscritta nella se-guente maniera:

y(x) = y0e∫ x

xo a(t)dt + e∫ x

xo a(t)dt∫ x

x0

b(t)e−∫ t

xo a(s)dsdt

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256 o.caligaris - p.oliva

in accordo con i risultati che proveremo nel seguito per il caso piùgenerale.

La 25.2 costituisce, al variare di y0, l’integrale generale dell’equazio-ne 25.1.

I passi successivi consistono nel considerare equazioni lineari diordine superiore oppure sistemi di equazioni del primo ordine.

Un’equazione lineare di ordine n si può scrivere nella forma

y(n)(x) =n

∑i=1

aiy(i−1)(x) + b(x) (25.3)

dove ai , b ∈ C0 mentre un sistema lineare di ordine n si scrive nellaforma

Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x) (25.4)

dove A(x) = {aij(x)} e B(x) = {bi(x)} sono una matrice ed un vettorei cui elementi sono funzioni continue su un intervallo I; (scriviamoA ∈ Ck(I), B ∈ Ck(I) quando intendiamo pertanto affermare che aij ∈Ck(I), bi ∈ Ck(I) per i, j = 1, ..., n).

Il sistema può essere riscritto usando le componenti di Y, A, B, nellaseguente maniera

y′1(x)y′2(x)

...y′n(x)

=

a11(x) a12(x) . . . a1n(x)a21(x) a22(x) . . . a2n(x)

......

. . ....

an1(x) an2(x) . . . ann(x)

y1(x)y2(x)

...yn(x)

+

b1(x)b2(x)

...bn(x)

(25.5)

ed anche, in forma più compatta

y′i(x) =n

∑j=1

aij(x)yj(x) + bi(x) , i = 1, ..., n (25.6)

Qualora B ≡ 0 il sistema si dice omogeneo e assume la forma

Y′(x) = A(x)Y(x) (25.7)

Quando n = 1 il sistema si riduce ad una sola equazione differen-ziale lineare del primo ordine che, posto A = (a11) = a e B = b1 = b,si scrive nella forma

y′(x) = a(x)y(x) + b(x)

L’insieme T di tutte le soluzioni di 25.4 si chiama integrale generaledel sistema .

Quando si associa al sistema o all’equazione differenziale un oppor-tuno insieme di condizioni iniziali parliamo di problema di CauchyY′(x) = A(x)Y(x) + B(x) , ∀x ∈ I

Y(x0) = Y0(25.8)

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analisi matematica 1 257

y(n)(x) = an(x)y(n−1)(x) + .... + a1(x)y(x) + b(x) , ∀x ∈ I

y(x0) = y0, y′(x0) = y1, . . . , y(n−1)(x0) = yn−1

(25.9)sono problemi di Cauchy.

Lo studio di un sistema consente di trovare risultati anche per l’e-quazione di ordine n; sia infatti

y(n)(x) = an(x)y(n−1)(x) + . . . + a1(x)y(x) + b(x) (25.10)

una equazione differenziale lineare di ordine n e poniamo

yi(x) = y(i−1)(x) , i = 1, . . . , n. (25.11)

(Per chiarire le idee osserviamo che si avrà y1(x) = y(x) , .... ,yn(x) = y(n−1)(x) ).

Possiamo riscrivere l’equazione nella seguente forma

y′1(x) = y2(x)

y′2(x) = y3(x)

. . .

. . .

y′n(x) = an(x)yn(x) + .... + a1(x)y1(x) + b(x)

(25.12)

ed anche comeY′(x) = A(x)Y(x) + B(x)

non appena si sia definito

A(x) =

0 1 0 . . . 00 0 1 . . . 0...

......

. . ....

a1(x) a2(x) a3(x) . . . an(x)

B(x) =

00...

b(x)

Vale il seguente teorema di cui è importante in questo contesto solo

l’enunciato.

Teorema 25.1 Siano A: I −→Mn, B : I −→ Rn continue e siano x0 ∈ I,Y0 ∈ Rn.

Allora esiste una ed una sola soluzione del problema di CauchyY′(x) = A(x)Y(x) + B(x) , ∀x ∈ I

Y(x0) = Y0(25.13)

Il teorema precedente consente di provare un risultato di esistenzaanche per le equazioni differenziali lineari di ordine n.

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258 o.caligaris - p.oliva

Teorema 25.2 Siano ai , b ∈ C0(I), i = 1, ..., n e siano x0 ∈ I, yi ∈ R, i =0, ..., n− 1. Allora esiste una ed una sola soluzione y : I −→ R del problemadi Cauchy y(n)(x) = ∑n

i=1 ai(x)y(i−1)(x) + b(x)

y(i)(x0) = yi , i = 0, ..., n− 1(25.14)

Proviamo ora che l’insieme delle soluzioni di un sistema differenzia-le lineare, cioè l’integrale generale di un sistema differenziale omoge-neo del primo ordine è uno spazio vettoriale avente dimensione ugualeal numero di equazioni del sistema stesso.

Teorema 25.3 Sia A ∈ C0(I) e consideriamo il sistema differenziale linearedel primo ordine

Y′(x) = A(x)Y(x);

sia S il suo integrale generale. Allora S è uno spazio vettoriale di dimensionen.

Dimostrazione. E’ immediato verificare che S è uno spazio vetto-riale in quanto si vede subito che se y e z sono soluzioni del sistemaassegnato tali risultano anche αy + βz ove α, β sono scalari.

Per provare che dim S = n è sufficiente osservare che, per il teoremadi esistenza ed unicità della soluzione l’applicazione lineare

Γ : S −→ Rn

definita daΓ(Y) = Y(x0) , x0 ∈ I

è un isomorfismo. 2

In base al teorema precedente è possibile affermare che ogni solu-zione di un sistema differenziale lineare omogeneo di n equazioni in nincognite può essere espressa mediante un combinazione lineare di nsoluzioni linearmente indipendenti del sistema stesso.

Siano esse Y1, ..., Yn e sia (yi)j la componente j-esima della i-esimasoluzione.

Possiamo allora costruire la matrice

G =

(y1)1 (y2)1 . . . (yn)1

(y1)2 (y2)2 . . . (yn)2...

.... . .

...(y1)n (y2)n . . . (yn)n

(25.15)

che indicheremo spesso come

G = (Y1, Y2, ....., Yn)

considerando gli Yi come vettori colonna, e che si chiama matricefondamentale del sistema assegnato.

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analisi matematica 1 259

È possibile verificare che se G è una matrice fondamentale del siste-ma omogeneo 25.7 allora si ha

G′(x) = A(x)G(x) (25.16)

Il sistema 25.16 è un sistema differenziale lineare di n2 equazioni in n2

incognite.Ogni soluzione del nostro sistema potrà allora essere scritta nella

formaY(x) = G(x)C , C ∈ Rn

ovvero, considerando le componenti,

yi(x) =n

∑j=1

(yj)icj.

Anche lo spazio delle soluzioni di un sistema differenziale lineareordinario del primo ordine non omogeneo è strutturato in manieramolto precisa.

Teorema 25.4 Siano A ∈ C0(I) B ∈ C0(I) e consideriamo il sistema diffe-renziale lineare non omogeneo del primo ordine

Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x)

Sia T l’integrale generale del sistema assegnato e sia S l’integrale generaledel sistema omogeneo ad esso associato

Y′(x) = A(x)Y(x)

sia ancora z ∈ C0(I) tale che

Z′(x) = A(x)Z(x) + B(x)

AlloraT = Z + S

e T è uno spazio lineare affine di dimensione n.

Dimostrazione. E’ evidente che T ⊃ Z + S ; sia viceversa Y ∈ T ,è facile verificare che Y − Z soddisfa il sistema omogeneo associato epertanto Y− Z ∈ S da cui Y ∈ Z + S . 2

Definizione 25.1 Siano Y1, Y2, ....., Yn n soluzioni del sistema differenzialelineare omogeneo

Y′(x) = A(x)Y(x)

Chiamiamo determinante wronskiano, o più semplicemente wronskiano,associato alle n soluzioni assegnate il determinante della matrice

(Y1, Y2, ....., Yn)

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260 o.caligaris - p.oliva

In altri termini

W(x) = det

(y1(x))1 (y2(x))1 . . . (yn(x))1

(y1(x))2 (y2(x))2 . . . (yn(x))2...

.... . .

...(y1(x))n (y2(x))n . . . (yn(x))n

(25.17)

Proviamo ora una interessante proprietà del wronskiano.

Teorema 25.5 Siano verificate le ipotesi del teorema di esistenza ed unicitàper il sistema differenziale lineare omogeneo

Y′(x) = A(x)Y(x)

e siano Y1,Y2,...,Yn n soluzioni del sistema stesso.Sono fatti equivalenti:

1. Y1, ..., Yn sono linearmente indipendenti;

2. W(x) 6= 0 per ogni x ∈ I

3. esiste x0 ∈ I tale che W(x0) 6= 0.

Dimostrazione. Consideriamo, per ogni x fissato in I l’applicazionelineare

Γx : S −→ Rn

definita da Γx(Y) = Y(x). Per il teorema di esistenza ed unicità Γx èun isomorfismo.

• (1)⇒ (2)

Se Y1, ..., Yn sono linearmente indipendenti in S , allora

Γx(Y1), ..., Γx(Yn)

sono linearmente indipendenti in Rn e perciò

0 6= det (Γx(Y1), ..., Γx(Yn)) = det (Y1(x), ..., Yn(x)) = W(x)

per ogni x ∈ I

• (2)⇒ (3)

È ovvio.

• (3)⇒ (1)

W(x0) 6= 0 implica che Y1(x0), ..., Yn(x0) sono linearmente indipen-denti in Rn e perciò

Y1 = Γ−1x0

(Y1(x0)), ..., Yn = Γ−1x0

(Yn(x0))

sono linearmente indipendenti in S

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analisi matematica 1 261

2

Per il teorema precedente è essenziale che Y1, ..., Yn siano soluzionidel sistema; se ciò non fosse, sarebbe vero solo che (2)⇒ (3)⇒ (1)

Che le altre implicazioni siano false è facilmente visto se si considerail wronskiano associato alle funzioni Y1,2 : R −→ R2 definite da

Y1(x) = (x2, 2x) , Y2(x) = (2x, 2)

oppure

Y1(x) =

(x2, 2x) x ≥ 0

0 x < 0, Y1(x) =

(x2, 2x) x ≤ 0

0 x > 0

Altrettanti risultati possono essere ottenuti per le equazioni di ordi-ne n.

Teorema 25.6 Siano ai , b ∈ C0(I) , i = 1, ..., n, e consideriamo l’equazionedifferenziale lineare di ordine n

y(n)(x) =n

∑i=1

ai(x)y(i−1)(x)

Sia S il suo integrale generale, allora S è uno spazio vettoriale di dimen-sione n.

Sia

y(n)(x) =n

∑i=1

aiy(i−1)(x) + b(x)

la corrispondente equazione differenziale lineare di ordine n non omogenea, esia T il suo integrale generale.T è uno spazio lineare affine di dimensione n ed inoltre

T = z + S

dove z è una soluzione della equazione non omogenea.

Il teorema precedente consente di affermare che ogni soluzione del-l’equazione differenziale lineare omogenea di ordine n si può esprime-re come combinazione lineare di n soluzioni y1, ..., yn dell’equazionestessa che siano linearmente indipendenti.

L’insieme y1, ..., yn si chiama sistema fondamentale di soluzioni perl’equazione data; in altre parole ogni soluzione y può essere espressamediante la

y(x) =n

∑i=1

ciyi(x)

dove ci ∈ R

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262 o.caligaris - p.oliva

Definizione 25.2 Siano y1, ..., yn n soluzioni dell’equazione differenziale li-neare di ordine n, omogenea

y(n)(x) =n

∑i=1

ai(x)y(i−1)(x)

Chiamiamo wronskiano associato alle soluzioni y1, ..., yn il determinante

W(x) = det

y1(x) y2(x) . . . yn(x)y′1(x) y′2(x) . . . y′n(x)

......

. . ....

y(n−1)1 (x) y(n−1)

2 (x) . . . y(n−1)n (x)

(25.18)

Teorema 25.7 Siano verificate le ipotesi del teorema di esistenza ed unicità esiano y1, ..., yn n soluzioni dell’equazione differenziale omogenea di ordine n

y(n)(x) =n

∑i=1

ai(x)y(i−1)(x)

Sono fatti equivalenti:

1. y1, ..., yn sono linearmente indipendenti;

2. W(x) 6= 0 per ogni x ∈ I;

3. esiste x0 ∈ I tale che W(x0) 6= 0.

Come in precedenza, usando lo stesso esempio, si vede che, qualo-ra y1, ..., yn non siano soluzioni dell’equazione, le uniche implicazioniancora vere sono (2)⇒ (3)⇒ (1)

I risultati precedenti assicurano la possibilità di trovare l’integralegenerale di un sistema non omogeneo non appena siano noti l’inte-grale generale del sistema omogeneo ad esso associato ed una solu-zione del sistema non omogeneo; è pertanto molto importante averea disposizione uno strumento che consenta, noto l’integrale genera-le del sistema omogeneo, di trovare una soluzione del sistema nonomogeneo.

Sia G una matrice fondamentale del sistema lineare omogeneo

Y′(x) = A(x)Y(x)

e x0 ∈ I. Una soluzione del sistema non omogeneo

Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x)

è data daZ(x) = G(x)

∫ x

x0

G−1(t)B(t)dt.

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analisi matematica 1 263

Infatti se cerchiamo soluzioni del sistema non omogeneo della for-ma

Z(x) = G(x)λ(x)

dove λ : I −→ Rn è derivabile, dovrà aversi

Z′(x) = A(x)Z(x) + B(x)

e pertanto, poiché si può verificare che la regola di derivazione delprodotto può essere estesa anche al prodotto righe per colonne, si ha

Z′(x) = G′(x)λ(x) + G(x)λ′(x)

deve essere

G′(x)λ(x) + G(x)λ′(x) = A(x)G(x)λ(x) + B(x)

Ma G è una matrice fondamentale e quindi,

G(x)λ′(x) = B(x) e λ′(x) = G−1(x)B(x).

Se ne deduce che se

λ(x) =∫ x

x0

G−1(t)B(t)dt

Z è soluzione del sistema completo.Osserviamo inoltre che, essendo G(x)λ′(x) = B(x), per il teorema

di Cramer si ha

λ′i(x) =Wi(x)W(x)

essendo

Wi = det

(y1)1 (y2)1 . . . (yi−1)1 b1 (yi+1)1 . . . (yn)1

(y1)2 (y2)2 . . . (yi−1)2 b2 (yi+1)2 . . . (yn)2...

.... . .

......

.... . .

...(y1)n (y2)n . . . (yi−1)n bn (yi+1)n . . . (yn)n

(25.19)

e una soluzione del sistema non omogeneo è data da

Y(x) =n

∑i=1

λi(x)Yi(x).

Come conseguenza se G è una matrice fondamentale del sistemalineare omogeneo

Y′(x) = A(x)Y(x)

l’integrale generale del sistema lineare non omogeneo

Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x)

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264 o.caligaris - p.oliva

è dato da

Y(x) = G(x)(

C +∫ x

x0

G−1(t)B(t)dt)

, C ∈ Rn

Dove x0 ∈ I mentre la soluzione del problema di Cauchy relativo aidati Y(x0) = Y0 è

Y(x) = G(x)(

G−1(x0)Y0 +∫ x

x0

G−1(t)B(t)dt)

Il metodo esposto si chiama della metodo di Lagrange di variazionedelle costanti arbitrarie e può ovviamente essere applicato anche alleequazioni differenziali di ordine n non appena le si sia trasformatein un sistema. Tuttavia per le equazioni è più conveniente procederedirettamente; illustriamo qui di seguito, il caso di una equazione delsecondo ordine.

Siano a, b, c ∈ C0(I) e consideriamo l’equazione lineare del secondoordine

y′′(x) = a(x)y′(x) + b(x)y(x) + c(x).

Supponiamo note due soluzioni linearmente indipendenti dell’equa-zione differenziale omogenea associata; avremo allora a disposizionel’integrale generale dell’equazione omogenea nella forma

y(x) = c1y1(x) + c2y2(x)

Cerchiamo soluzioni per l’equazione non omogenea nella forma

z(x) = λ1(x)y1(x) + λ2(x)y2(x)

Avremoz′ = λ′1y1 + λ′2y2 + λ1y′1 + λ2y′2

e postoλ′1y1 + λ′2y2 = 0

si haz′′ = λ′1y′1 + λ′2y′2 + λ1y′′1 + λ2y′′2 .

Sostituendo si ottiene

λ′1y′1 + λ′2y′2 + λ1y′′1 + λ2y′′2 = λ1ay′1 + λ2ay′2 + λ1by1 + λ2by2 + c

e, tenuto conto che y1 e y2 sono soluzioni dell’omogenea,

λ′1y′1 + λ′2y′2 = c.

Ne viene che λ′1 e λ′2 devono soddisfare il seguente sistemaλ′1y1 + λ′2y2 = 0

λ′1y′1 + λ′2y′2 = c(25.20)

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analisi matematica 1 265

da cui si possono ricavare λ′1 e λ′2 e per integrazione λ1 e λ2.Ricordiamo infine, per sommi capi, un metodo che consente di ri-

durre l’ordine di una equazione differenziale lineare, qualora sia notauna soluzione dell’equazione stessa.

Ci occuperemo qui di mostrare come esso funziona nel caso di unaequazione del secondo ordine, essendo l’estensione del metodo deltutto ovvia per equazioni lineari di ordine superiore.

Consideriamo pertanto a, b ∈ C0(I) e l’equazione differenziale diordine 2

y′′(x) = a(x)y′(x) + b(x)y(x).

Supponiamo nota una soluzione z dell’equazione, tale che z(x) 6= 0∀x ∈ I.

Cerchiamo soluzioni dell’equazione nella forma y(x) = u(x)z(x)Derivando e sostituendo nell’equazione otteniamo che

u′′z + 2u′z′ + uz′′ = au′z + auz′ + buz

e, tenuto conto che z è soluzione,

u′′z + 2u′z′ − au′z = 0

Posto v = u′ si hav′z + v(2z′ − az) = 0

e quindi, poiché z 6= 0,

v′ + v(2z′

z− a) = 0.

Se ne deduce che deve essere

v(x) = e−∫ x

xo 2 z′(t)z(t) dt+

∫ xxo a(t)dt

e quindi

v(x) =(

z(x0)

z(x)

)2

e∫ x

xo a(t)dt.

Pertanto una soluzione sarà

v(x) =1

(z(x))2 e∫ x

x0a(t)dt

eu(x) =

∫ x

x0

1(z(t))2 e

∫ txo a(s)dsdt

da cui si può ricavare la soluzione cercata.La soluzione trovata risulta linearmente indipendente da z. Se in-

fattic1z(x) + c2z(x)

∫ x

x0

1(z(t))2 e

∫ txo a(s)dsdt = 0

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266 o.caligaris - p.oliva

per ogni ∀x si ha, per x = x0

c1z(x0) = 0 e c1 = 0

Ne viene anche che

c2z(x)∫ x

x0

1(z(t))2 e

∫ txo a(s)dsdt = 0

e c2 = 0 in quanto il secondo fattore non può mai annullarsi, se x 6= x0.Possiamo pertanto scrivere l’integrale generale dell’equazione data

come

y(x) = z(x)(

c1 + c2

∫ x

x0

1(z(t))2 e

∫ tx0

a(s)dsdt)

.

Ci occupiamo ora della soluzione di equazioni e sistemi differenzialilineari a coefficienti costanti della forma

Y′(x) = AY(x) + B(x)

Y′(x) = AY(x)

y(n)(x) =n

∑k=1

aky(k−1)(x) + b(x)

y(n)(x) =n

∑k=1

aky(k−1)(x)

In pratica l’integrale generale di un’equazione differenziale linearedi ordine n

y(n)(x) =n

∑k=1

aky(k−1)(x)

si può determinare come segue

1. si considera il polinomio caratteristico associato all’equazione data

P(λ) = λn −n

∑k=1

akλk−1

che si ottiene sostituendo formalmente la quantità algebrica λk ady(k)(x)

2. si trovano le n soluzioni, reali o complesse e coniugate, dell’equa-zione (a coefficienti reali)

P(λ) = 0

Consideriamo ogni soluzione λ1, .., λr con la sua molteplicità µ1, .., µr

3. in corrispondenza ad ogni valore λ, avente molteplicità µ,

• se λ è reale si considerano le funzioni

y1(x) = eλx y2(x) = xeλx · · · yµ(x) = xµ−1eλx (25.21)

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analisi matematica 1 267

• se λ = α+ ıβ è complesso, allora anche il suo complesso coniuga-to λ = α− ıβè autovalore in quanto i coefficienti dell’equazionesono reali, e si considerano le funzioni

u1(x) = eαx sin βx u2(x) = xeαx sin βx · · · uµ(x) = xµ−1eαx sin βx(25.22)

v1(x) = eαx cos βx v2(x) = xeαx cos βx · · · vµ(x) = xµ−1eαx cos βx(25.23)

Si verifica che le soluzioni trovate sono tra loro linearmente indi-pendenti.

4. Si trovano così

• in corrispondenza di ogni soluzione reale λ, µ soluzioni del si-stema linearmente indipendenti

• in corrispondenza di ogni soluzione complessa e della sua coniu-gata, 2µ soluzioni del sistema linearmente indipendenti

5. sianoy1, y2, y3, . . . , yn

le soluzioni trovate nei punti precedenti.

Avremo che le soluzioni sono proprio n in quanto la somma delnumero delle soluzioni, contate con la loro molteplicità, è proprio nper il teorema fondamentale dell’algebra.

La soluzione dell’equazione sarà pertanto

y(x) =n

∑i=1

ciyi(x)

In pratica l’integrale generale del sistema Y′ = AY si può determi-nare come segue

1. si trovano gli autovalori della matrice A, λ1, .., λr e la loro moltepli-cità µ1, .., µr;

2. in corrispondenza ad ogni valore λ di A, avente molteplicità µ,

• se λ è reale si considerano le funzioni

y1(x) = eλx y2(x) = xeλx · · · yµ(x) = xµ−1eλx (25.24)

• se λ è complesso, allora anche il suo complesso coniugato èautovalore in quanto i coefficienti del sistema sono reali, e siconsiderano le funzioni

u1(x) = eαx sin βx u2(x) = xeαx sin βx · · · uµ(x) = xµ−1eαx sin βx(25.25)

v1(x) = eαx cos βx v2(x) = xeαx cos βx · · · vµ(x) = xµ−1eαx cos βx(25.26)

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268 o.caligaris - p.oliva

Si verifica che le soluzioni trovate sono tra loro linearmente indi-pendenti.

3. Si trovano così

• in corrispondenza di ogni autovalore reale λ, µ soluzioni delsistema linearmente indipendenti

• in corrispondenza di ogni autovalore complesso e del suo coniu-gato, 2µ soluzioni del sistema linearmente indipendenti

4. sianoy1, y2, y3, . . . , yn

le soluzioni trovate nei punti precedenti.

Avremo che le soluzioni sono proprio n in quanto la somma del nu-mero delle soluzioni, contate con la loro molteplicità, è proprio n peril teorema fondamentale dell’algebra e possiamo cercare soluzioni

Y = (Yj)

del sistema omogeneo che abbiano come componenti delle combi-nazioni lineari delle funzioni yi cioè

Yj(x) =n

∑i=1

ci,jyi(x)

5. Le costanti introdotte ci,j sono in numero di n2 e quindi superioreal numero di costanti n necessario e sufficiente per descrivere l’inte-grale generale del sistema differenziale lineare omogeneo di ordinen; onde determinare solo n costanti si procede quindi sostituendonel sistema ed usando le uguaglianze trovate per ridurre il numerodi costanti libere ad n

Abbiamo con ciò gli strumenti per risolvere ogni equazione diffe-renziale ed ogni sistema differenziale lineare omogeneo, a coefficienticostanti; per risolvere i corrispondenti problemi non omogenei saràsufficiente trovare una soluzione particolare dei problemi non omo-genei stessi. Ciò può essere fatto, in generale, usando il metodo divariazione delle costanti di Lagrange, ma, nel caso dei coefficienticostanti, possiamo, se inoltre il termine noto è di forma particolar-mente semplice, trovare una soluzione particolare di forma similmentesemplice.

Più precisamente possiamo affermare che:

1. Se consideriamo l’equazione differenziale non omogenea 25.3 e se

b(x) = q(x)eλx

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analisi matematica 1 269

dove λ ∈ C e q è un polinomio di grado m a coefficienti complessi,si può trovare un polinomio r di grado al più m tale che, se µ è lamolteplicità di λ come radice del polinomio caratteristico P ,

y(x) = xµr(x)eλx

sia soluzione dell’equazione 25.3.

2. Se consideriamo il sistema differenziale non omogeneo 25.4 e se

B(x) = Q(x)eλx

dove Q è un vettore colonna i cui elementi sono polinomi a coeffi-cienti complessi, di grado minore o uguale ad m, si può trovare unvettore colonna R i cui elementi sono polinomi a coefficienti com-plessi di grado al più m + µ, dove µ è la molteplicità di λ comeradice del polinomio caratteristico P della matrice A, tale che

Y(x) = R(x)eλx

risolve il sistema 25.4.

Si può inoltre provare che, nel caso in cui i coefficienti siano reali,

1. Se

b(x) = eαx[q1(x) cos(βx) + q2(x) sin(βx)]

dove q1 e q2 sono polinomi a coefficienti reali di grado massimo me α± iβ è radice del polinomio caratteristico P di molteplicità µ, sipossono trovare due polinomi r1, r2 di grado al più m tali che

y(x) = xµeαx[r1(x) cos(βx) + r2(x) sin(βx)]

sia soluzione della 25.3.

2. Se

B(x) = eαx[Q1(x) cos(βx) + Q2(x) sin(βx)]

dove Q1 e Q2 sono vettori colonna i cui elementi sono polinomi acoefficienti reali di grado al più m e α± i β è radice del polinomiocaratteristico della matrice A con molteplicità µ, si possono trovareR1 ed R2 , vettori colonna i cui elementi sono polinomi a coefficientireali di grado al più m + µ, tali che

Y(x) = eαx[R1(x) cos(βx) + R2(x) sin(βx)]

sia soluzione del sistema 25.4.

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270 o.caligaris - p.oliva

25.1 La matrice esponenziale

Per studiare le soluzioni del sistema

Y′(x) = A(x)Y(x)

è quindi essenziale conoscere la matrice fondamentale G che possiamoindividuare come l’unica soluzione del problemaG′(x) = AG(x)

G(0) = I

Possiamo verificare, mediante sostituzione, che, se definiamo

eAt =+∞

∑0

Antn

n!= lim

N

N

∑0

Antn

n!

eAt soddisfa il problema assegnato e quindi, per il teorema di unicità

G(t) = eAt

Pertanto per conoscere la matrice fondamentale G è sufficiente calco-lare eAt.

Allo scopo osserviamo che se D(x) e S(x) sono polinomi di gradon e maggiore di n, rispettivamente, si ha

S(x) = D(x)Q(x) + R(x)

dove Q ed R sono polinomi e il grado di R è inferiore ad n.Tenendo conto che ex = ∑+∞

0xn

n! = limN ∑N0

xn

n! possiamo alloraaffermare che

ex = Q(x)D(x) + R(x)

dove il grado di R è inferiore ad n.Ora, se

D(λ) = det(A− λI)

è il polinomio caratteristico della matrice A,possiamo scrivere che

eλ = Q(λ)D(λ) + R(λ)

e calcolando per λ = λi dove λi è autovalore di A e quindi D(λi) =

0 otteniamo

eλi = Q(λi)D(λi) + R(λi) = R(λi)

Otteniamo così tante equazioni algebriche di grado n − 1 quantisono gli autovalori distinti di A; inoltre possiamo osservare che, se λi

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analisi matematica 1 271

è un autovalore con molteplicità 2, oltre a D si annulla in λi anche lasua derivata prima e quindi si ha

eλ = Q′(λ)D(λ) + Q(λ)D′(λ) + R′(λ)

per cui

eλi = R′(λi)

Con simili argomenti si trovano quindi esattamente n equazionialgebriche da cui ricavare i coefficienti del polinomio R.

Poichè, per il teorema di Cayley-Hamilton possiamo affermare cheA soddisfa il suo polinomio caratteristico, cioè che

D(A) = 0

possiamo dedurre che anche

eAt = R(At)

e quindi ricavare l’espressione di eAt

25.2 L’oscillatore armonico

Un esempio molto importante di modello matematico che utilizza lateoria delle equazioni differenziali lineari è costituto dall’oscillatorearmonico.

Si consideri l’equazione del secondo ordine

x”(t) + 2hx′(t) + ω2x(t) = K sin(αt) (25.27)

dove h, K, α > 0.Essa può descrivere il comportamento di diversi sistemi reali quali,

1. un punto materiale soggetto ad una forza di richiamo proporzio-nale alla distanza ed ad forza di attrito proporzionale alla veloci-tà, sollecitato da una forza esterna sinusoidale di ampiezza K e difrequenza α.

2. l’intensità di corrente che circola in un circuito RLC alimentato dauna forza elettromotrice sinusoidale.

Le soluzioni dell’equazione sono date da:

1. Se h > ω

x(t) = c1e(−h+θ)t + c2e(−h−θ)t + x(t)

I grafici di possibili soluzioni sono riportati nelle figure

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272 o.caligaris - p.oliva

Figura 25.1: Soluzioni del polinomio ca-ratteristico reali distinte una positiva eduna negativa

Figura 25.2: Soluzioni del polinomio ca-ratteristico reali distinte una positiva eduna negativa

Figura 25.3: Soluzioni del polino-mio caratteristico reali distinte entrambepositive

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analisi matematica 1 273

Figura 25.4: Soluzioni del polinomio ca-ratteristico complesse e coniugate conparte reale negativa

2. Se h = ω

x(t) = c1e−ht + c2te−ht + x(t)

I grafici di possibili soluzioni sono riportati nelle figure

3. Se h < ω

x(t) = e−ht(c1 sin(θt) + c2 cos(θt)) + x(t)

I grafici di possibili soluzioni sono riportati nelle figure

Figura 25.5: Soluzioni del polinomiocaratteristico reali coincidenti negative

dovex(t) = α sin(αt) + b cos(αt) = A sin(αt− φ)

ed inoltre si è postoθ = |h2 −ω2|1/2

a = Kω2 − α2

4h2α2 + (ω2 − α2)2

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274 o.caligaris - p.oliva

b = −K2hα

4h2α2 + (ω2 − α2)2

A =K√

4h2α2 + (ω2 − α2)2

φ = arccos( a

A

)Nel caso in cui h = 0 l’equazione diventa

x”(t) + ω2x(t) = K sin(αt)

con k, α > 0 e rappresenta un oscillatore armonico non smorzatosollecitato da una forza esterna sinusoidale.

Le soluzioni in questo caso sono

1. Se α 6= ω

x(t) = c1 sin(ωt) + c2 cos(ωt) +K

ω2 − α2 sin(αt)

2. Se α = ω

x(t) = c1 sin(ωt) + c2 cos(ωt)− K2ω

t cos(ωt)

Figura 25.6: Grafico di A in funzione diα ed ω

A =K

(4h2α2 + (ω2 − α2)2)1/2 =

=K/ω2

(4(h/ω)2(α/ω)2 + (1− (α/ω)2)2)1/2 (25.28)

conK/ω2 = .5

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26. Esistenza ed Unicità per Proble-mi di Cauchy Lineari

Lemma 26.1 Siano A : I −→Mn e B : I −→ Rn, continue e siano x0 ∈ I, Y0 ∈ Rn. Sono problemi equivalenti:

trovare Y : I −→ Rn derivabile, tale cheY′(x) = A(x)Y(x) + B(x)

Y(x0) = Y0

trovare Y : I −→ Rn continua, tale che

(2) Y(x) = Y0 +∫ x

x0

(A(t)Y(t) + B(t))dt.

Dimostrazione. E’ intanto ovvio che, se vale (1), per integrazione siottiene subito (2). Se viceversa (2) è vera, Y è derivabile ed anche (1)vale come si constata derivando e calcolando in x0. 2

Teorema 26.1 Siano A: I −→Mn, B : I −→ Rn continue e siano x0 ∈ I,Y0 ∈ Rn.

Allora esiste una ed una sola soluzione del problema di CauchyY′(x) = A(x)Y(x) + B(x) , ∀x ∈ I

Y(x0) = Y0

Dimostrazione. Proveremo l’esistenza di una funzione Y soddisfa-cente il problema (2) del lemma precedente. Troveremo Y come limitedella successione di funzioni definita da

Y0(x) ≡ Y0

Yk(x) = Y0 +∫ x

x0

(A(t)Yk−1(t) + B(t))dt.

Occorrerà pertanto provare innanzittutto che Yk(x) è convergente perogni x ∈ I.

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276 o.caligaris - p.oliva

Fissato un intervallo limitato I′ ⊂ I si ha

sup{‖A(x)‖ : x ∈ I′} = L0 ∈ R , sup{‖B(x)‖ : x ∈ I′} = N ∈ R

e pertanto

sup{‖A(x)Y0 + B(x)‖ : x ∈ I′} ≤ L‖Y0‖+ N = M ∈ R

essendo L = nL0 .Proviamo per induzione che

‖Yk+1(x)−Yk(x)‖ ≤ MLk|x− x0|k+1

(k + 1)!, k ≥ 0.

Si ha infatti

‖Y1(x)−Y0(x)‖ =∥∥∥∥∫ x

x0

(A(t)Y0 + B(t))dt∥∥∥∥ ≤

≤∣∣∣∣∫ x

x0

‖A(t)Y0 + B(t)‖dt∣∣∣∣ ≤ M|x− x0|

ed inoltre

‖Yk+1(x)−Yk(x)‖ =∥∥∥∥∫ x

x0

A(t)(Yk(t)−Yk−1(t))dt∥∥∥∥ ≤

≤∣∣∣∣∫ x

x0

n‖A(t)‖‖Yk(t)−Yk−1(t)‖dt∣∣∣∣ ≤

≤ L

∣∣∣∣∣∫ x

x0

MLk−1|t− x0|k

k!dt

∣∣∣∣∣ == M

Lk|x− x0|k+1

(k + 1)!

Pertanto è lecito affermare che

‖Yk+p(x)−Yk(x)‖ ≤p

∑i=1‖Yk+i(x)−Yk+i−1(x)‖ ≤

≤p

∑i=1

ML

Lk+i|x− x0|k+i

(k + i)!=

=ML

k+p

∑i=k+1

(L|x− x0|)i

i!

Ora si ha

‖Yk+p(x)−Yk(x)‖ ≤ ML

k+p

∑i=k+1

(Lδ)i

i!, ∀x ∈ I′

essendo δ scelto in modo che |x− x0| ≤ δ per x ∈ I′.

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analisi matematica 1 277

Ma

eLδ =k

∑i=0

(Lδ)i

i!+ eξ (Lδ)k+1

(k + 1)!, 0 < ξ < Lδ

e pertanto

k+p

∑i=k+1

(Lδ)i

i!= eLδ − eξ1

(Lδ)k+p+1

(k + p + 1)!− eLδ + eξ2

(Lδ)k+1

(k + 1)!≤

≤ eξ2(Lδ)k+1

(k + 1)!≤ eLδ (Lδ)k+1

(k + 1)!= E′k

Quindi

‖Yk+p(x)−Yk(x)‖ ≤ E′kML

= Ek , ∀x ∈ I′.

elim Ek = 0 .

Quanto provato, assieme al criterio di convergenza di Cauchy, per-mette di concludere che

lim Yk(x) = Y(x) , ∀x ∈ I′ ;

passando poi al limite per p→ +∞ si ha

‖Y(x)−Yk(x)‖ ≤ Ek , ∀x ∈ I′.

Proviamo ancora che Y è continua in I′ e che per essa risulta

Y(x) = Y0 +∫ x

x0

(A(t)Y(t) + B(t))dt , ∀x ∈ I′.

A questo scopo ricordiamo che è facile provare, per induzione, cheYk è continua su I e quindi anche su I′. Vediamo come da ciò discendeche Y è continua su I′.

Sia x ∈ I′ e sia kε tale che, se k ≥ kε, Ek < ε/3; per |x− x| < δε si ha‖Ykε

(x)−Ykε(x)‖ < ε/3 e perciò

‖Y(x)−Y(x)‖ ≤ ‖Y(x)−Ykε(x)‖+ ‖Ykε

(x)−Ykε(x)‖+

+ ‖Ykε(x)−Y(x)‖ ≤ 2Ekε

+ ‖Ykε(x)−Ykε

(x)‖ ≤≤ 2ε/3 + ε/3 = ε

Inoltre

lim∫ x

x0

(A(t)Yk(t) + B(t))dt =∫ x

x0

(A(t)Y(t) + B(t))dt , ∀x ∈ I′ .

Infatti∥∥∥∥∫ x

x0

(A(t)Yk(t) + B(t))dt−∫ x

x0

(A(t)Y(t) + B(t))dt∥∥∥∥ ≤

≤∣∣∣∣∫ x

x0

n‖A(t)‖‖Yk(t)−Y(t)‖dt∣∣∣∣ ≤ LδEk → 0

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278 o.caligaris - p.oliva

Ciò prova che, essendo

Yk+1(x) = Y0 +∫ x

x0

(A(t)Yk(t) + B(t))dt , ∀x ∈ I′,

si haY(x) = Y0 +

∫ x

x0

(A(t)Y(t) + B(t))dt , ∀x ∈ I′.

Quanto abbiamo fatto per I′ può essere ripetuto per ogni intervallolimitato contenuto in I e ciò consente di affermare che la Y è definita econtinua in I ed ivi risolve il problema assegnato.

Si è con ciò provata l’esistenza della soluzione cercata; per quantoconcerne l’unicità, siano Y e Z due soluzioni del problema assegnato,si ha

‖Y(x)− Z(x)‖ =∥∥∥∥∫ x

x0

A(t)(Y(t)− Z(t))dt∥∥∥∥ ≤≤∣∣∣∣∫ x

x0

L‖Y(t)− Z(t)‖dt∣∣∣∣

e per il corollario 16.6, ‖Y(x)− Z(x)‖ = 0 . 2

Il teorema che abbiamo appena dimostrato consente di provare, sen-za fatica, un risultato di esistenza anche per le equazioni differenzialilineari di ordine n.

Sia infatti

y(n)(x) = an(x)y(n−1)(x) + . . . + a1(x)y(x) + b(x)

una equazione differenziale lineare di ordine n e poniamo

yi(x) = y(i−1)(x) , i = 1, . . . , n.

(Per chiarire le idee osserviamo che si avrà y1(x) = y(x) , .... , yn(x) =y(n−1)(x) ).

Possiamo allora riscrivere la nostra equazione nella seguente forma

y′1(x) = y2(x)

y′2(x) = y3(x)

. . .

. . .

y′n(x) = an(x)yn(x) + .... + a1(x)y1(x) + b(x)

ed anche comeY′(x) = A(x)Y(x) + B(x)

non appena si sia definito

A(x) =

0 1 0 . . . 00 0 1 . . . 0...

......

. . ....

a1(x) a2(x) a3(x) . . . an(x)

B(x) =

00...

b(x)

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analisi matematica 1 279

Ci occuperemo qui di mostrare come esso funziona nel caso di unaequazione del secondo ordine, essendo l’estensione del metodo deltutto ovvia per equazioni lineari di ordine superiore.

Consideriamo pertanto a, b ∈ Co(I) e l’equazione differenziale diordine 2

y′′(x) = a(x)y′(x) + b(x)y(x).

Supponiamo nota una soluzione z dell’equazione, tale che z(x) 6= 0∀x ∈ I.

Cerchiamo soluzioni della nostra equazione nella forma y(x) =

u(x)z(x) .Derivando e sostituendo nell’equazione otteniamo che

u′′z + 2u′z′ + uz′′ = au′z + auz′ + buz

e, tenuto conto che z è soluzione,

u′′z + 2u′z′ − au′z = 0.

Posto v = u′ si hav′z + v(2z′ − az) = 0

e quindi, poiché z 6= 0,

v′ + v(2z′

z− a) = 0.

Se ne deduce che deve essere

v(x) = e−∫ x

xo 2 z′(t)z(t) dt+

∫ xxo a(t)dt

e quindi

v(x) =(

z(x0)

z(x)

)2

e∫ x

xo a(t)dt.

Pertanto una soluzione sarà

v(x) =1

(z(x))2 e∫ x

xo a(t)dt

eu(x) =

∫ x

x0

1(z(t))2 e

∫ txo a(s)dsdt

da cui si può ricavare la soluzione cercata.Proviamo che tale soluzione risulta linearmente indipendente da z.

Se infatti

c1z(x) + c2z(x)∫ x

x0

1(z(t))2 e

∫ txo a(s)dsdt = 0 ∀x

si ha, per x = x0

c1z(x0) = 0 e c1 = 0.

27 ottobre 2016—16:51:15 AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex]

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280 o.caligaris - p.oliva

Ne viene anche che

c2z(x)∫ x

x0

1(z(t))2 e

∫ txo a(s)dsdt = 0

e c2 = 0 in quanto il secondo fattore non può mai annullarsi, se x 6= x0.Possiamo pertanto scrivere l’integrale generale dell’equazione data

come

y(x) = z(x)(

c1 + c2

∫ x

x0

1(z(t))2 e

∫ txo a(s)dsdt

).

Osservazione. Notiamo che i risultati fin qui ottenuti possono essereprovati anche nel caso in cui i coefficienti siano complessi.

In particolare si può provare che lo spazio delle soluzioni della ver-sione complessa del sistema omogeneo (17.2) è uno spazio vettoriale didimensione n su C e di dimensione 2n su R. Rimandiamo all’appen-dice per precisazioni sulla struttura dello spazio vettoriale S . Ci occu-

piamo ora della soluzione di equazioni e sistemi differenziali lineari acoefficienti costanti della forma

(17.8) Y′(x) = AY(x) + B(x)

(17.9) Y′(x) = AY(x)

(17.10) y(n)(x) =n

∑k=1

aky(k−1)(x) + b(x)

(17.11) y(n)(x) =n

∑k=1

aky(k−1)(x).

La possibilità di scrivere esplicitamente l’integrale generale di unsistema differenziale lineare omogeneo a coefficienti costanti (17.9) di-pende dalla conoscenza della decomposizione canonica di Jordan dellamatrice A. In particolare, con argomenti di calcolo matriciale si provache (si veda L.S.Pontryagin, Ordinary differential equations):

Teorema 26.2 - di decomposizione di Jordan - Sia A una matrice n × n acoefficienti complessi e siano

λ1, ..., λr ∈ C

i suoi autovalori; per m = 1, .., r esistono s(m) ∈N, q1, .., qs(m) ∈N e

h11, .., h1

q1; h2

1, .., h2q2

; ...; hs(m)1 , .., hs(m)

qs(m)

vettori linearmente indipendenti tali che

r

∑m=1

s(m)

∑i=1

qi = n

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analisi matematica 1 281

ed inoltre

Ahi1 = λmhi

1 , Ahi2 = λmhi

2 + hi1

(17.12) . . . , Ahiqs(m)

= λmhiqs(m)

+ hiqs(m)−1

m = 1, ..., r , i = 1, ..., s(m)

Osserviamo esplicitamente che ad ogni autovalore λ può corrispon-dere più di una serie di vettori h.

Ora, fissati m = 1, .., r; i = 1, .., s(m) e t = 1, .., qi possiamo conside-rare il polinomio

Pt,im (x) =

t

∑j=1

xt−j

(t− j)!hi

j.

Come si verifica facilmente si ha

ddx

Pt,im (x) = Pt−1,i

m (x)

e

APt,im (x) = λmPt,i

m (x) + Pt−1,im (x)

Per cui le funzioni

Yt,im (x) = Pt,i

m (x)eλmx

sono soluzioni del sistema assegnato.Pertanto, dal momento che

Yt,im (0) = Pt,i

m (0) = hit

avremo che

W(0) = [h11, .., h1

q1, h2

1, .., h2q2

, ....., hs(r)1 , .., hs(r)

qs(r)] 6= 0

in quanto i vettori considerati sono linearmente indipendenti.Pertanto le funzioni Yt,i

m sono in numero di n, risultano linearmenteindipendenti e costituiscono una base per lo spazio delle soluzioni delsistema assegnato.

In pratica l’integrale generale del sistema Y′ = AY si può determi-nare come segue

1. si trovano gli autovalori della matrice A, λ1, .., λr e la loro moltepli-cità µ1, .., µr;

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282 o.caligaris - p.oliva

2. in corrispondenza ad ogni valore λ di A, avente molteplicità µ, oc-corre trovare le serie di autovettori associate; ciò può essere fattonella seguente maniera: si trovano i vettori h tali che

(A− λI)h = 0.

Tali vettori generano uno spazio vettoriale V1 di dimensione ν1 ≤ µ;siano h1, .., hν1 i vettori di una base di V1; se ν1 = µ non occorreproseguire; se invece ν1 < µ, in corrispondenza di ogni vettore hi,i = 1, .., ν1, si cercano i vettori h tali che

(A− λI)h = hi.

Sia Vi2 lo spazio affine delle soluzioni trovate e sia νi

2 = dimVi2,

avremo cheν1

∑i=1

νi2 + ν1 ≤ µ.

Se vale l’uguaglianza non occorre proseguire, altrimenti, in corri-spondenza di ognuno dei vettori di una base di Vi

2 si procede comesopra.

3. Si trovano così le serie di Jordan corrispondenti ad ogni autovaloreλ e si costruiscono le soluzioni del sistema come è stato visto inprecedenza.

Osserviamo infine che, con le notazioni usate nel teorema di decom-posizione di Jordan, l’integrale generale del sistema Y′ = A Y, è datoda

r

∑m=1

s(m)

∑i=1

q(i)

∑t=1

ct,im Pt,i

m (x) eλmx.

Passiamo ora a considerare il caso di una equazione differenzialelineare di ordine n a coefficienti costanti

y(n)(x) =n

∑k=1

aky(k−1)(x)

e chiamiamo

P(λ) = λn −n

∑k=1

ak λ(k−1)

polinomio caratteristico associato all’equazione assegnata.Osserviamo che, se definiamo,

A =

0 1 0 0 . . . 00 0 1 0 . . . 00 0 0 1 . . . 0...

......

.... . .

...a1 a2 a3 a4 . . . an

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analisi matematica 1 283

e se poniamo

yk(x) = y(k−1)(x) , Y = (y1, y2, ....., yn)

l’equazione data è equivalente al sistema differenziale lineare

Y′(x) = AY(x)

eP(λ) = det(A− λI).

E’ possibile pertanto usare i risultati ottenuti per i sistemi allo scopodi risolvere l’equazione assegnata; tuttavia ciò non risulta conveniente:è infatti molto più facile, data la particolarità della matrice A, seguireuna via più diretta e specifica.

Sia λ una radice di molteplicità µ dell’equazione P(λ) = 0; provia-mo che

eλx , xeλx , x2eλx , ..... , xµ−1eλx

sono soluzioni dell’equazione data.Definiamo, allo scopo, L : Cn(R) −→ Co(R) mediante la:

L(y)(x) = y(n)(x)−n

∑k=1

ak y(k−1)(x);

è immediato verificare che l’equazione assegnata si può riscrivere co-me:

L(y)(x) = 0

e che

L(xreλx) = L(

dr

dλr eλx)=

dr

dλr L(eλx) =dr

dλr (P(λ)eλx) =

=r

∑k=0

(rk

)dk

dλk eλx dr−k

dλr−k P(λ) =

= eλxr

∑k=0

(rk

)xkP(r−k)(λ) = 0

se si sceglie r ≤ µ− 1 , non appena si tenga conto che λ è soluzione diP(λ) = 0 con molteplicità µ.

E’ inoltre immediato verificare, usando il Wronskiano, che le µ so-luzioni ottenute sono tra di loro linearmente indipendenti.

Si può con ciò concludere che se λ1, λ2, ...., λp sono soluzioni del-l’equazione algebrica P(λ) = 0 con molteplicità µ1, µ2, ...., µp essendoµ1 + µ2+ .... +µp = n, si avrà che

eλkx , xeλkx , . . . xµk−1eλkx , k = 1, 2, ...., p,

sono n soluzioni linearmente indipendenti dell’equazione assegnata ilcui integrale generale può pertanto essere scritto come:

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284 o.caligaris - p.oliva

y(x) =p

∑k=1

µk−1

∑r=0

cr,kxreλkx .

Se i coefficienti sono reali, qualora

xmeλx = xme<e λx[cos(=m ˘x) + i sin(=m ˘x)]

sia soluzione dell’equazione assegnata, anche

xme<e λx[cos(=m λx)− i sin(=m λx)]

è soluzione (si ricordi che se un polinomio a coefficienti reali ammet-te una soluzione complessa, ammette anche la soluzione complessaconiugata).

Pertanto se ne deduce che, dette

λ1 , .., λk , α1 ± iβ1 , .., αh ± iβh

le radici del polinomio caratteristico, aventi rispettivamente moltepli-cità µ1, .., µk , ν1, .., νh, una base di S è data da

eλix , xeλix , . . . , xµi−1eλix , i = 1, 2, ...., k

eαix cos(βix), eαix sin(βix), ...., xνi−1eαix cos(βix), xνi−1eαix sin(βix)

i = 1, ..., h.

Qualora il sistema sia di forma generale, e non generato da un’e-quazione, dette

φ1, ...., φn

le n soluzioni linearmente indipendenti precedentemente trovate, sipotranno cercare soluzioni della forma

Y(x) = (y1(x), ...., yn(x))

ove

yi(x) =n

∑j=1

cij φj(x) , ci

j costanti.

Ovviamente le cij sono in numero di n2; per ridurle ad n, come è

necessario, si sostituiscono le yi nel sistema e si eliminano le costantisuperflue. La struttura dello spazio delle soluzioni reali di un siste-ma differenziale lineare a coefficienti reali può anche essere studiata apartire dai risultati sopra esposti per le equazioni non appena si sia ingrado di ridurre ogni sistema ad n equazioni indipendenti. Ciò ver-rà fatto successivamente nell’appendice. Sempre usando la riduzionecitata si possono provare i risultati che enunciamo qui di seguito perequazioni e sistemi, ma proviamo solo nel caso delle equazioni.

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analisi matematica 1 285

Abbiamo con ciò gli strumenti per risolvere ogni equazione diffe-renziale ed ogni sistema differenziale lineare omogeneo, a coefficienticostanti; per risolvere i corrispondenti problemi non omogenei saràsufficiente trovare una soluzione particolare dei problemi non omo-genei stessi. Ciò può essere fatto, in generale, usando i risultati delteorema 17.16, ma, nel caso dei coefficienti costanti, possiamo, se inol-tre il termine noto è di forma particolarmente semplice, trovare unasoluzione particolare di forma similmente semplice.

Più precisamente possiamo affermare che:

1. Se consideriamo l’equazione differenziale non omogenea (17.10) ese

b(x) = q(x)eλx

dove λ ∈ C e q è un polinomio di grado m a coefficienti complessi,si può trovare un polinomio r di grado al più m tale che, se µ è lamolteplicità di λ come radice del polinomio caratteristico P ,

y(x) = xµr(x)eλx

sia soluzione dell’equazione (17.10).

2. Se consideriamo il sistema differenziale non omogeneo (17.8) e se

B(x) = Q(x)eλx

dove Q è un vettore colonna i cui elementi sono polinomi a coeffi-cienti complessi, di grado minore o uguale ad m, si può trovare unvettore colonna R i cui elementi sono polinomi a coefficienti com-plessi di grado al più m + µ, dove µ è la molteplicità di λ comeradice del polinomio caratteristico P della matrice A, tale che

Y(x) = R(x)eλx

risolve il sistema (17.8).

Si può inoltre provare che, nel caso in cui i coefficienti siano reali,

1. Seb(x) = eαx[q1(x) cos(βx) + q2(x) sin(βx)]

dove q1 e q2 sono polinomi a coefficienti reali di grado massimo me α± iβ è radice del polinomio caratteristico P di molteplicità µ, sipossono trovare due polinomi r1, r2 di grado al più m tali che

y(x) = xµeαx[r1(x) cos(βx) + r2(x) sin(βx)]

sia soluzione della (17.10).

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286 o.caligaris - p.oliva

2. Se

B(x) = eαx[Q1(x) cos(βx) + Q2(x) sin(βx)]

dove Q1 e Q2 sono vettori colonna i cui elementi sono polinomi acoefficienti reali di grado al più m e α± i β è radice del polinomiocaratteristico della matrice A con molteplicità µ, si possono trovareR1 ed R2 , vettori colonna i cui elementi sono polinomi a coefficientireali di grado al più m + µ, tali che

Y(x) = eαx[R1(x) cos(βx) + R2(x) sin(βx)]

sia soluzione del sistema (17.8).

Ci limitiamo a verificare la (1) e la (1’), essendo (2) e (2’) conseguen-za di (1) ed (1’) e dei risultati provati in appendice, in cui si mostracome ridurre un sistema ad n equazioni indipendenti.

Sarà sufficiente provare che se

b(x) = xmeλx

e λ è radice dell’equazione caratteristica associata P(λ) = 0 di molte-plicità µ, si può trovare un polinomio q di grado al più m tale che

y(x) = xµq(x)eλx

sia soluzione dell’equazione (17.10).Si ha

xµq(x) =m

∑j=0

qjxj+µ

e (m

∑j=0

qjxj+µeλx

)=

m

∑j=0

qjL(

dj+µ

dλj+µeλx)=

=m

∑j=0

qjdj+µ

dλj+µL(eλx) =

=m

∑j=0

qjdj+µ

dλj+µP(λ)eλx =

=m

∑j=0

qj

j+µ

∑k=0

(j + µ

k

)dj+µ−k

dλj+µ−k eλxP(k)(λ) =

=m

∑j=0

qj

j+µ

∑k=0

(j + µ

k

)xj+µ−keλxP(k)(λ) =

dal momento che λ è radice di P con molteplicità µ

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analisi matematica 1 287

= eλxm

∑j=0

qj

j+µ

∑k=µ

(j + µ

k

)xj+µ−kP(k)(λ) =

= eλxm

∑j=0

qj

j

∑h=0

(j + µ

j + µ− h

)xhP(j+µ−h)(λ) =

e definito αjh = P(j+µ−h)(λ)( j+µj+µ−h)

= eλxm

∑j=0

qj

j

∑h=0

αjhxh =

= eλxm

∑h=0

xhm

∑j=h

αjhqj

(essendo l’ultima uguaglianza evidente se si somma prima per righeanziché per colonne).

Dovrà pertanto risultare, affinché L(y(x)) = xmeλx

αmmqm = 1

em

∑j=h

αjhqj = 0 , h = 0, 1, ..., m− 1.

Ciò equivale a risolvere un sistema algebrico di m + 1 equazioni inm + 1 incognite la cui matrice associata è

c =

α00 α10 . . . αm0

0 α11 . . . αm1...

.... . .

...0 0 . . . αmm

Poiché C è triangolare si ha det C = ∏ αhh ed essendo

αhh = P(µ)(λ) (µ + hµ) 6= 0

perché P ha radice λ di molteplicità µ e non µ+ 1 tale sistema ammetteuna ed una sola soluzione.

Proviamo infine la (1’); sarà sufficiente verificare che, se

b(x) = xmeαx sin(βx)

e se α +i β è radice dell’equazione caratteristica associata P(λ) = 0 dimolteplicità µ, si possono trovare due polinomi q ed r, di grado al piùm, tali che

y(x) = xmeαx[q(x) cos(βx) + r(x) sin(βx)]

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288 o.caligaris - p.oliva

è soluzione dell’equazione (17.10).Sia infatti z una funzione a valori complessi tale che

L(z(x)) = xme(α+iβ)x ;

per quanto dimostrato al punto (1) si può asserire che

z(x) = xµq(x)e(α+iβ)x =

= xµeαx[<e q(x) cos(βx)−=m q(x) sin(βx)]+

+ixµeαx[<e q(x) sin(βx) +=m q(x) cos(βx)] =

= z1(x) + iz2(x) .

Si avrà pertanto

L(z1(x) + iz2(x)) = L(z1(x)) + iL(z2(x)) =

= xmeαx cos(βx) + ixmeαx sin(βx)

e la (1’) è verificata.

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27. Equazioni Alle Differenze Finite

In questa appendice ci occupiamo di studiare un problema abbastanzasemplice, ma di grande utilità pratica: risolvere una equazione alledifferenze finite.

Definizione 27.1 Siano c0, c1, ..., cn ∈ R, cn 6= 0; diciamo di risolvere unaequazione alle differenze finite lineare omogenea se troviamo una successionea valori reali ak , k ∈N∪ {0}, tale che

n

∑i=0

ciak+i = 0 , ∀k ∈N.

Se definiamo

L(ak) =n

∑i=0

ciak+i

possiamo riscrivere la nostra equazione nella forma

L(ak) = 0

Teorema 27.1 L’operatore L è lineare, cioè se ak,bk sono due successioni realie se α, β ∈ R si ha

L(αak + βbk) = αL(ak) + βL(bk).

Posto

S = {ak : L(ak) = 0}

S è uno spazio vettoriale su R.

Teorema 27.2 Siano c0, c1, ..., cn ∈ R e siano

α0, α1, ..., αn−1 ∈ R.

Allora esiste una ed una soluzione del problema alle differenze finiteL(ak) = 0

a0 = α0 , a1 = α1 , ... , an−1 = αn−1.

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290 o.caligaris - p.oliva

Possiamo chiamare il problema considerato nel teorema A6.3 proble-ma alle differenze finite relativo ai dati iniziali α0, ..., αn−1.

Il teorema A6.3 e procedimenti del tutto analoghi a quelli usatiper i sistemi di equazioni differenziali lineari (si veda il capitolo 17)permettono di dimostrare che

Teorema 27.3 S è uno spazio vettoriale su R di dimensione n.

Il teorema A6.4, a sua volta, consente di affermare che, se sono noten soluzioni di

L(ak) = 0,

cioè n elementi di S linearmente indipendenti, è possibile trovareogni altra soluzione come combinazione lineare delle soluzioni note(si confronti con il capitolo 17).

Definizione 27.2 Siano a1k , ..., an

k ∈ S ; definiamo la matrice

Ck =

a1

k . . . ank

. . .. . . . . .

a1k+n−1 . . . an

k+n−1

Ck è analogo al wronskiano per le equazioni differenziali lineari e si chiamamatrice di Casorati.

Esattamente come per le equazioni differenziali lineari si può ancheprovare che

Teorema 27.4 Siano a1k , ..., an

k ∈ S ; sono condizioni equivalenti:

1. a1k , ..., an

k sono linearmente indipendenti (cioè γ1a1k + ...+γnan

k = 0 ∀k ⇒γ1 = ... = γn = 0 )

2. det(Ck) 6= 0 ∀k

3. det(C0) 6= 0.

Definizione 27.3 Siano c0, c1, ..., cn ∈ R e sia L come nella definizioneA6.1, sia inoltre bk una successione reale.

Diciamo di risolvere una equazione alle differenze finite lineare non omo-genea se troviamo una successione reale ak tale che

L(ak) = bk .

Denoteremo con T l’insieme delle soluzioni dell’equazione non omogenea

T = {ak : L(ak) = bk}

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analisi matematica 1 291

Teorema 27.5 Siano L ed ak come nella definizione precedente e sia dk unasuccessione reale tale che L(dk) = bk.

AlloraT = dk + S

Il teorema A6.8, con il teorema A6.4, mostra che T è uno spaziolineare affine su R e pertanto mette in luce l’importanza, allo scopo ditrovare tutte le soluzioni dell’equazione

L(ak) = bk

delle due seguenti questioni:

• trovare n soluzioni linearmente indipendenti di L(ak) = 0

• trovare una soluzione di L(ak) = bk .

Per trovare una risposta al primo quesito cerchiamo soluzioni di

L(ak) = 0

della formaak = λk con λ ∈ C.

Affinchè L(λk) = 0 deve aversi

λkn

∑i=0

ciλi = 0

e perciò λ deve essere soluzione della seguente equazione algebrica digrado n

P(λ) =n

∑i=0

ciλi = 0 .

Siano pertanto λ1, λ2, ..., λr le soluzioni di P(λ) = 0 ciascuna conmolteplicità µ1, µ2, ..., µr ; osserviamo che

r

∑i=0

µi = n

ed inoltre se λ = α + iβ è soluzione di P(λ) = 0 allora anche il suocomplesso coniugato α− iβ è soluzione in quanto i coefficienti di P(λ)sono tutti reali.

Ciò permette di associare ad ogni radice

λ = α± iβ = ρeiθ

con molteplicità µ le soluzioni

ρk sin kθ , ρk cos kθ , ........ , kµ−1ρk sin kθ , kµ−1ρk cos kθ .

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292 o.caligaris - p.oliva

Si ottengono complessivamente n soluzioni, che si possono verifica-re linearmente indipendenti.

Per quanto riguarda la seconda questione, possiamo dare due ri-sposte di tenore diverso.

Innanzi tutto si può dire che, se

bk = αk(p1(k) sin kβ + p2(k) cos kβ)

ove p1 e p2 sono polinomi di grado al più m, si può cercare unasoluzione dk dell’equazione non omogenea, nella forma

dk = kµαk(q1(k) sin kβ + q2(k) cos kβ)

ove µ è la molteplicità di αeiβ come soluzione di P(λ) = 0 e q1 e q2

sono polinomi di grado m con coefficienti da determinarsi mediantesostituzione nell’equazione assegnata.

Se invece bk non è del tipo particolare sopra descritto, si può pro-cedere come segue: siano a1

k , ..., ank ∈ S linearmente indipendenti,

possiamo cercare dk ∈ T nella forma

dk =n

∑i=0

λikai

k

dove λik sono successioni da determinarsi.

Esplicitiamo questo procedimento solo nel caso n = 2, essendoanalogo, ma più laborioso, il caso n > 2.

Consideriamo pertanto l’equazione alle differenze finite

c2ak+2 + c1ak+1 + c0ak = 0

e supponiamo che αk e βk siano due sue soluzioni linearmente indi-pendenti.

Allora ogni soluzione è data da

ak = λαk + µβk .

Cerchiamo una soluzione di L(ak) = bk nella forma

ak = λkαk + µkβk

imponendo opportune condizioni su λk e µk.Osserviamo innanzi tutto che, posto

∆ak = ak+1 − ak

∆2ak = ∆(∆ak) = ∆ak+1 − ∆ak = ak+2 − 2ak+1 + ak

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analisi matematica 1 293

si ha

c2ak+2 + c1ak+1 + c0ak =

= c2∆2ak + (c1 + 2c2)∆ak + (c2 + c1 + c0)ak =

= γ0∆2ak + γ1∆ak + γ2ak

non appena si siano fatte le opportune identificazioni.Pertanto

γ0∆2αk + γ1∆αk + γ2αk = 0

e altrettanto dicasi di βk .Possiamo anche calcolare che

∆ak = λk∆αk + µk∆βk + ∆λkαk+1 + ∆µkβk+1

e, posto∆λkαk+1 + ∆µkβk+1 = 0

∆2ak = λk∆2αk + µk∆2βk + ∆λk∆αk+1 + ∆µk∆βk+1 .

Onde, per sostituzione nell’equazione data, tenendo conto che αk e βk

sono soluzioni dell’omogenea, si haγ0(∆αk+1∆λk + ∆βk+1∆µk) = bk

αk+1∆λk + βk+1∆µk = 0

ed è possibile da esse ricavare

∆λk e ∆µk

e λk e µk successivamente. A titolo di esempio consideriamo il proble-

ma ak+2 = ak+1 + ak

a0 = a1 = 1

Si ha

P(λ) = λ2 − λ− 1 = 0

λ =1±√

52

ak = λ

(1 +√

52

)k

+ µ

(1−√

52

)k

Imponendo a0 = a1 = 1 si ottiene

λ =1 +√

52√

5, µ =

−1 +√

52√

5

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294 o.caligaris - p.oliva

e

ak =1√5

(1 +√

52

)k+1

− 1√5

(1−√

52

)k+1

.

Tale successione è nota con il nome di successione dei numeri di Fibo-nacci. Sia ancora ak+2 = 2ak+1 cos 1− ak

a0 = 0 , a1 = sin 1

Si haP(λ) = λ2 − 2λ cos 1 + 1 = 0

eλ = cos 1 + i sin 1 = ei

da cui, tenendo anche conto delle condizioni iniziali

ak = sin k.

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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28. Introduzione ai metodi di Inte-grazione numerica.

Sviluppiamo in questa sezione un caso semplice, ma molto importantee significativo, che illustra il principio su cui si basano le formule diquadratura (integrazione) numerica basate sui polinomi interpolatori.

Consideriamo pertanto una funzione f di classe almeno C3 definitasu un aperto contenente l’intervallo [a, b] e sia c il punto medio di [a, b]per modo che, posto b− a = h si abbia

c− a = b− c =h2

a c b

h

h2

h2

Consideriamo il problema di trovare un polinomio di grado minimoche coincida con f nei punti (a, f (a)) (b, f (b)) e (c, f (c)). E’ intantoevidente che occorre imporre 3 condizioni e che quindi sono necessarie sufficienti 3 coefficienti, per cui il grado del polinomio cercato deveessere 2. L’esistenza e l’unicità del polinomio cercato si deduce facil-mente imponendo le condizioni richieste; se ne ottiene un sistema incui la matrice dei coefficienti è del tipoa2 a 1

b2 b 1c2 c 1

ed ha determinante non nullo.

È facile vedere che il polinomio

P(x) = f (a)(x− c)(x− b)(a− c)(a− b)

+ f (c)(x− a)(x− b)(c− a)(c− b)

+ f (b)(x− a)(x− c)(b− a)(b− c)

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296 o.caligaris - p.oliva

in quanto, ad esempio(x− c)(x− b)(a− c)(a− b)

si annulla in c e in b e vale 1 in a .

Figura 28.1:

f(a)

f(c)

f(b)

a c bx

Sia ora x fissato in [a, b], distinto da a, b, c, sia R(x) tale che

f (x)− P(x) = R(x)(x− a)(x− c)(x− b)

Consideriamo la funzione

F(t) = f (t)− P(t) = R(x)(t− a)(t− c)(t− b)

ed osserviamo che F si annulla in 4 punti distinti (a, b, c, x), per cui F′

si annulla in almeno 3 punti distinti, F′′ in almeno due punti distintied F′′′ si annulla in almeno un punto.

Ne deduciamo che esiste almeno un punto ξ(x) (che dipende da x)tale che

0 = F′′′(ξ(x)) = f ′′′(ξ(x))− 3!R(x)

per cui

R(x) =f ′′′(ξ(x))

3!Integrando tra a e b otteniamo

∫ b

af (x) dx−

∫ b

aP(x) dx =

∫ b

a

f ′′′(ξ(x))3!

(x− a)(x− c)(x− b) dx

Nel caso in cui f ′′′ ≡ k sia costante, cioè nel caso in cui f sia unpolinomio di terzo grado, possiamo calcolare∫ b

a

f ′′′(ξ(x))3!

(x− a)(x− c)(x− b) dx =∫ b

a

k3!(x− a)(x− c)(x− b) dx = 0

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 297

per la simmetria dell’integranda, e quindi si dimostra che ogni polino-mio di grado fino a tre è integrato esattamente dalla formula trovata.

Nel caso si conosca un maggiorante di | f ′′′|

| f ′′′(x)| ≤ M ∀x ∈ [a, b]

possiamo stimare l’errore che si commette sostituendo∫ b

a f (x) dx con∫ ba P(x) dx osservando che

∣∣∣∣∫ b

a

f ′′′(ξ(x))3!

(x− a)(x− c)(x− b) dx∣∣∣∣ ≤ M

6

∫ b

a|(x− a)(x− c)(x− b)| dx

e che, posto b− a = h e x− c = t, si ha

x− a = x− c + c− a = t +h2

x− b = x− c + c− b = t− h2

per cui

M6

∫ b

a|(x− a)(x− c)(x− b)| dx =

M6

∫ + h2

− h2

|t||t2 − h2

4| dt =

M6

∫ + h2

− h2

|t|(h2

4− t2) dt =

2M6

∫ + h2

0t(

h2

4− t2) dt =

M3

(t2h2

8− t4

4

)+ h2

− h2

=M3

(h4

32− h4

64

)=

=M3

h4

64= M

h4

192=

M(b− a)4

192

Inoltre∫ b

af (x)dx =

= f (a)∫ b

a

(x− c)(x− b)(a− c)(a− b)

dx + f (c)∫ b

a

(x− a)(x− b)(c− a)(c− b)

dx+

+ f (b)∫ b

a

(x− a)(x− c)(b− a)(b− c)

dx

e, posto b− a = h e x− c = t, si ha x− a = t + h2 , x− b = t− h

2 e

∫ b

a(x− c)(x− b)dx =

∫ + h2

− h2

t(t +h2) dt =

t3

3+

ht2

4

∣∣∣+ h2

− h2

=2

24h3

∫ b

a(x− a)(x− b)dx =

∫ + h2

− h2

(t2 − h2

4) dt =

=t3

3− h2t

4

∣∣∣+ h2

− h2

=2

24h3 − h3

4= − 4

24h3

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298 o.caligaris - p.oliva

∫ b

a(x− c)(x− a)dx =

∫ + h2

− h2

t(t− h2) dt =

t3

3− ht2

4

∣∣∣+ h2

− h2

=224

h3

Per cui

∫ b

af (x)dx = f (a)

224 h3

h2

2

dx + f (c)− 4

24 h3

− h2

4

dx + f (b)2

24 h3

h2

2

dx =

=h6( f (a) + 4 f (c) + f (b)) =

(b− a)6

( f (a) + 4 f (c) + f (b)) =

Figura 28.2: 1 4 1

a c b

Possiamo migliorare la stima dell’errore utilizzando una sempliceosservazione.

Siaϕ(x) = (x− c)3

e sia Q(x) il suo polinomio interpolatore rispetto ai punti a, b, c.Possiamo facilmente calcolare che

Q(x) = (c− a)3 (x− c)(x− b)(a− c)(a− b)

+ (b− c)3 (x− a)(x− c)(b− a)(b− c)

per cui, posto b− a = h e x− c = t, si ha x− a = t + h2 , x− b = t− h

2ed anche

Q(x) = (−h2)3 t(t− h

2 )

(h)( h2 )

+ (h2)3 (t +

h2 )t

(h)( h2 )

=h2t4

=(b− a)4

4(x− c)

(Osserviamo che si sarebbe ottenuto con meno calcoli lo stesso ri-sultato ricordando che il polinomio cercato deve avere grado al più 2e che deve assumere i valori P(a) = P(b) = ( h

2 )3 e P(c) = 0; quindi

Q deve essere una retta che passa per i tre punti assegnati ed è imme-diato verificare che il polinomio trovato è l’unico che verifica questecaratteristiche.)

Consideriamo ora, per β ∈ R, e per x ∈ (a, b) \ {c} il valore R(x)per cui si ha

( f (x) + βϕ(x))− (P(x) + βQ(x)) = R(x)(x− c)2(x− a)(x− b)

e la funzione

F(t) = ( f (t) + βϕ(t))− (P(t) + βQ(t)) = R(x)(t− c)2(t− a)(t− b)

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 299

Si ha cheF(a) = F(c) = F(b) = F(x) = 0

per cui, per il teorema di Rolle, esistono tre punti distinti da a, b, c, xin cui F′ si annulla e

F′(t) = ( f ′(t)+ βϕ′(t))− (P′(t)+ βQ′(t)) = R(x)((t− c)2(t− a)(t− b))′

maF′(c) = f ′(c)− (P′(c) + βQ′(c))

e pertanto si può scegliere β = f ′(c)−P′(c)Q′(c)) per modo che

F′(c) = 0

Ne segue che F′ si annulla ancora in almeno 4 punti per cui F′′, F′′′,F′′′′ si annullano in almeno, rispettivamente, 3, 2 ed un punto in (a, b).

Pertanto esiste ξ ∈ [a, b] tale che

0 = F′′′′(ξ) = f ′′′′(ξ)− R(x)4!

da cui

R(x) =f ′′′′(ξ)

4!Ne deduciamo che∫ b

af (x)dx + β

∫ b

aϕ(x)dx−

∫ b

aP(x)dx + β

∫ b

aQ(x)dx =

=∫ b

a

f ′′′′(ξ)4!

(x− c)2(x− a)(x− b)dx

e, dal momento che ϕ e Q hanno integrale nullo su [a, b] per ragioni disimmetria, se | f ′′′′(ξ)| ≤ H|, si ha∣∣∣∣∫ b

af (x)dx−

∫ b

aP(x)dx

∣∣∣∣ ≤ H4!

∫ b

a|(x− c)2(x− a)(x− b)|dx

Inoltre possiamo calcolare che

H4!

∫ b

a|(x− c)2(x− a)(x− b)|dx =

H4!

∫ h2

− h2

|t2(t2 − h2

4)|dt =

=H4!

[− t5

5+

t3h2

12

] h2

− h2

=H4!

4h5

480=

H2880

h5 =H

2880(b− a)5

Come si vede la maggiorazione del resto è tanto più precisa quan-to più piccola è la lunghezza dell’intervallo (b − a) in particolare lamaggiorazione è utilizzabile quando

b− a < 1

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300 o.caligaris - p.oliva

Pertanto è opportuno suddividere l’intervallo su cui si lavora ed ap-plicare su ogni sottointervallo le formule trovate.

Se [a, b] è suddiviso in n parti uguali dai punti

a = x0 < x1 < · · · xn = b

e se yi è il punto medio di [xi−1, xi] Possiamo calcolare un valoreapprossimato di ∫ b

af (x)dx

mediante la

(b− a)n

∑1

f (xi−1) + 4 f (yi) + f (xi)

6

e possiamo affermare che

∣∣∣∣∣∫ b

af (x)dx− (b− a)

n

∑1

f (xi−1) + 4 f (yi) + f (xi)

6

∣∣∣∣∣ ≤≤ n

H2880

∣∣∣∣ (b− a)5

n5

∣∣∣∣ = H(b− a)5

2880n4

Figura 28.3: 1 4 11 4 1

1 4 11

11 4 1

1 4 2 4 2 4 2 2 4 1

È ovvio che è possibile fare simili considerazioni anche nel caso incui si usi la maggiorazione che coinvolge la derivata quarta di f .

28.1 METODI DI INTEGRAZIONE NUMERICA

Per eseguire calcoli numerici è spesso opportuno disporre di un po-linomio in grado di approssimare adeguatamente una funzione con-tinua ed è inoltre essenziale conoscere una valutazione qualitativa equantitativa dell’errore che si commette sostituendo il polinomio allafunzione data.

Cominciamo con l’esaminare la definizione e le proprietà dei poli-nomi interpolatori di Lagrange.

Definizione 28.1 Sia f : [a, b] −→ R e siano x0, x1, .., xn ∈ [a, b], x0 <

x1 < .. < xn; si dice polinomio interpolatore di f relativo ai punti {xi : i =0, 1, .., n} il polinomio Pn di grado al più n tale che

Pn(xi) = f (xi) , i = 0, 1, .., n .

E’ immediato provare l’esistenza e l’unicità di tale polinomio.

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 301

Teorema 28.1 Sia f : [a, b] −→ R e siano x0 < x1 < .. < xn n + 1 puntidi [a, b]; allora esiste uno ed un solo polinomio Pn interpolatore per f , relativoai punti assegnati, e si ha

Pn(x) =n

∑i=0

f (xi)n

∏j=0j 6=i

x− xj

xi − xj.

Dimostrazione. L’unicità di Pn segue immediatamente dal fatto cheesiste un solo polinomio di grado al più n che si annulla negli n + 1punti assegnati (quello nullo).

Per quanto riguarda l’esistenza è sufficiente constatare che il poli-nomio descritto nell’enunciato soddisfa i requisiti richiesti. 2

Per valutare la differenza tra Pn ed f si può far uso del seguenterisultato.

Facciamo notare che d’ora in poi non menzioneremo più esplici-tamente negli enunciati i punti xi,i = 0, 1, .., n relativamente ai qualil’interpolazione viene effettuata.

Teorema 28.2 Sia f : [a, b] −→ R continua, derivabile n + 1 volte in (a, b)e sia Pn il suo polinomio interpolatore.

Allora, per ogni x ∈ [a, b] esiste c ∈ (a, b) tale che

f (x)− Pn(x) =f (n+1)(c)(n + 1)!

n

∏i=0

(x− xi).

Dimostrazione. La tesi è ovvia se x = xi. Sia pertanto x 6= xi,definiamo

Rn(x) = ( f (x)− Pn(x))

(n

∏i=0

(x− xi)

)−1

.

Si ha allora

f (x)− Pn(x) = Rn(x)n

∏i=0

(x− xi)

e, se consideriamo la funzione g : [a, b] −→ R definita da

g(t) = f (t)− Pn(t)− Rn(x)n

∏i=0

(t− xi)

g si annulla negli n + 2 punti x0, x1, .., xn, x.Pertanto è possibile applicare n + 1 volte il teorema di Rolle ed

asserire che esiste c ∈ (a, b) tale che

g(n+1)(c) = f (n+1)(c)− Rn(x)(n + 1)! = 0

e la tesi. 2

E’ anche di notevole utilità ricordare che la corrispondenza tra fun-zione ed i rispettivi polinomi interpolatori è lineare, in altre parole

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302 o.caligaris - p.oliva

Lemma 28.1 Siano f1, f2 : [a, b] −→ R e siano P1n ,P2

n i polinomi interpo-latori di f1 ed f2, rispettivamente; siano α, β ∈ R. Allora αP1

n + βP2n è il

polinomio interpolatore di α f1 + β f2 .

Dimostrazione. Si può concludere osservando che il polinomio inter-polatore è unico e che quello proposto soddisfa le condizioni richieste.2

Lemma 28.2 Siano x0 < x1 < .. < x2n, 2n + 1 punti di [a, b] tali che

xn+k − xn = xn − xn−k , k = 0, 1, .., n;

consideriamo la funzione

φ(x) = (x− xn)2n+1

ed il suo polinomio interpolatore P2n relativo ai punti citati.Allora

• 1) P′2n(xn) 6= 0

• 2) P2n(x + xn) è una funzione dispari.

Dimostrazione. Siag(x) = xn

e sia Qn−1 il suo polinomio interpolatore relativo ai punti

(xn+i − xn)2 , i = 1, 2, .., n .

Si haQn−1(0) 6= 0

in quanto, se così non fosse Qn−1 − g sarebbe un polinomio di gradon che si annulla in n + 1 punti.

Verifichiamo che

P2n(x) = (x− xn)Qn−1((x− xn)2);

infatti P2n ha grado al più 2n− 1 (< 2n) e

P2n(xn) = 0 = φ(xn)

P2n(xn+i) = (xn+i − xn)Qn−1((xn+i − xn)2) =

= (xn+i − xn)2n+1 = φ(xn+i)

P2n(xn−i) = (xn−i − xn)Qn−1((xn−i − xn)2) =

= (xn − xn+i)Qn−1((xn+i − xn)2) =

= −φ(xn+i) = φ(xn−i).

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analisi matematica 1 303

InoltreP′2n(xn) = Qn−1(0) 6= 0

e, per come è stato definito, P2n(x + xn) è una funzione dispari. 2

Utilizzando questo risultato si può dimostrare che, qualora i punti

x0, x1, ..., xn

siano scelti opportunamente, è possibile migliorare la valutazione del-l’errore commesso sostituendo alla funzione il suo polinomio interpo-latore; l’applicazione di questo risultato risulta essere molto vantag-giosa nel caso in cui si studino formule di integrazione approssimatarelative ad un numero dispari di punti.

Lemma 28.3 Sia f : [a, b] −→ R una funzione continua, derivabile 2n + 2volte in (a, b); siano x0 < x1 < .. < x2n, 2n + 1 punti di [a, b] tali che

xn+k − xn = xn − xn−k , k = 1, 2, .., n

e sia P2n il polinomio interpolatore di f .Consideriamo inoltre la funzione

φ(x) = (x− xn)2n+1

e sia Q2n il suo polinomio interpolatore.Posto

β =f ′(xn)− P′2n(xn)

Q′2n(xn),

per ogni x ∈ [a, b] esiste c ∈ (a, b) tale che

f (x) + βφ(x)− P2n(x)− βQ2n(x) =f (2n+2)(c)(2n + 2)!

(x− xn)2n

∏i=0

(x− xi).

Dimostrazione. Definiamo

F(x) = f (x) + βφ(x);

avremo che il polinomio interpolatore di F, S2n, è dato da

S2n(x) = P2n(x) + βQ2n(x).

Definiamo ancora, se x 6= xi,

R2n(x) = (F(x)− S2n(x))

((x− xn)

2n

∏i=0

(x− xi)

)−1

,

si ha

F(x)− S2n(x) = R2n(x)(x− xn)2n

∏i=0

(x− xi) in [a, b]

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304 o.caligaris - p.oliva

e pertanto la funzione

G(t) = F(t)− S2n(t)− R2n(x)(t− xn)2n

∏i=0

(t− xi)

si annulla nei 2n + 2 punti distinti

x0, x1, ..., x2n, x.

Dal momento che G è derivabile, per il teorema di Rolle, G’ si annul-la in 2n+ 1 punti distinti di (a,b), tutti diversi da x e da xi , i = 0, 1, .., 2n;inoltre, poiché

G′(t) = f ′(t) + βφ′(t)− P′2n(t)− βQ′2n(t)−

− R2n(x)ddt

((t− xn)

2n

∏i=0

(t− xi)

)

si ha, tenendo conto che xn è uno zero doppio dell’ultimo polinomioda derivare,

G′(xn) = f ′(xn)− P′2n(xn)− βQ′2n(xn) = 0.

Pertanto G’ si annulla ancora in 2n + 2 punti distinti, ed essendoessa derivabile, applicando 2n + 1 volte il teorema di Rolle, si ottieneche esiste c ∈ (a, b) tale che

G(2n+2)(c) = f (2n+2)(c)− R2n(x)(2n + 2)! = 0

e la tesi. 2

Una applicazione molto importante della teoria dei polinomi inter-polatori è data dalle formule di integrazione approssimata.

Tali formule possono essere distinte in due classi: quelle che fannouso dei valori della funzione integranda in punti dell’intervallo di in-tegrazione che sono fra loro equispaziati e quelle che usano punti chesono determinati secondo regole opportune, per migliorare l’ordine diapprossimazione.

E’ subito chiaro che per certe applicazioni sono utilizzabili solo leformule appartenenti alla prima classe in quanto, se ad esempio i va-lori della funzione integranda sono forniti dalla tabulazione di datisperimentali, è plausibile, e certo più frequente, disporre di tali valoriper punti dell’intervallo d’integrazione tra loro equispaziati.

E’ inoltre opportuno osservare che, al crescere del numero dei puntidi interpolazione considerati, i valori usati per le formule relative al-l’ordine n possono essere riutilizzati per quelle relative all’ordine 2n,soltanto nel caso si usino formule del primo tipo.

Sia f : [a, b] −→ R una funzione sufficientemente regolare e propo-niamoci di trovare una formula che approssimi

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analisi matematica 1 305

∫ b

af (x)dx

e di valutare l’errore che si commette quando in luogo dell’integraleassegnato si consideri il valore fornito dalla formula.

Allo scopo si può procedere nel seguente modo;

• si considerano in [a, b] n+ 1 punti x0, x1, ...xn tra di loro equispaziatie si pone xi − xi−1 = h;

• si considera il polinomio Pn interpolatore di f relativamente ai puntiscelti;

• si integra Pn su [a, b] fino a trovare una formula in cui compaianoesplicitamente solo i valori della funzione f nei punti scelti;

• si valuta, usando i risultati ottenuti in precedenza la differenza tral’integrale effettivo ed il valore fornito dalla formula trovata.

Possiamo operare una ulteriore suddivisione tra le formule di in-tegrazione che abbiamo citato distinguendo tra quelle che compren-dono nei punti di interpolazione anche gli estremi dell’intervallo diintegrazione, formule di integrazione di tipo chiuso , e quelle che conside-rano punti di interpolazione tutti interni all’intervallo di integrazione,formule di integrazione di tipo aperto.

Teorema 28.3 - formule di quadratura chiuse - Sia f : [a, b] −→ R conti-nua, derivabile n + 1 volte in (a, b) e siano

h =b− a

n, xi = a + ih i = 0, 1, ..., n.

Sia Pn il polinomio interpolatore di f relativo ai punti xi; definiamo

I =∫ b

af (x)dx , In =

∫ b

aPn(x)dx

αi =∫ b

a

n

∏j=0j 6=i

x− xj

xi − xjdx

Rn =∫ b

a

n

∏i=0|x− xi|dx.

Allora

αi = h∫ n

0

n

∏=0j 6=i

t− ji− j

dt

e

Rn = hn+2∫ n

0

n

∏i=0|t− i|dt.

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306 o.caligaris - p.oliva

Inoltre

In =n

∑i=0

αi f (xi)

e, se supponiamo che | f (n+1)(x)| ≤ M ∀x ∈ (a, b),

|I − In| ≤M

(n + 1)!Rn.

Teorema 28.4 - formule di quadratura aperte - Sia f : [a, b] −→ R conti-nua, derivabile n + 1 volte in (a, b) e siano

h =b− an + 2

, xi = a + ih i = 1, ..., n + 1.

Consideriamo, come nel teorema precedente, Pn, I, In, αi, Rn; avremo allora

αi =∫ n+2

0

n+1

∏=1j 6=i

t− ji− j

dt

e

Rn = hn+2∫ n+2

0

n+1

∏i=1|t− i|dt.

Inoltre, se supponiamo | f (n+1)(x)| ≤ M ∀x ∈ (a, b), avremo

|I − In| ≤M

(n + 1)!Rn.

Nel caso in cui il numero dei punti considerati sia dispari, si puòmigliorare la valutazione dell’errore commesso sostituendo In ad I. Intal caso infatti si ha

Teorema 28.5 Se nel teorema 18.7 (e analogamente nel teorema 18.8) sisuppone n = 2m, m ∈N, allora, definito

R′n = hn+3∫ n

0|t− n/2|

n

∏i=0|t− i|dt

si ha|I − In| ≤

M(n + 2)!

R′n , ove | f (n+2)(x)| ≤ M.

Dimostrazione. Definiamo

φ(x) = (x− xm)2m+1

e sia Qn il suo polinomio interpolatore rispetto ai punti xi; si ha, per illemma 18.6, Q′n(xm) 6= 0 e, posto

β =f ′(xn)− P′n(xm)

Q′n(xm),

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analisi matematica 1 307

si ha

I − In =∫ b

a( f (x) + βφ(x)− Pn(x)− βQn(x))dx

poiché φ(x + xm) e Qn(x + xm) sono funzioni dispari, ed hanno per-tanto integrale nullo su [a, b]. 2

Per particolari riguardanti l’applicazione dei risultati qui dimostrati,rinviamo all’appendice 9, in cui sono esplicitati i casi più importantie le relative maggiorazioni degli errori, ed è fornita una tabella deicoefficienti di integrazione.

Quanto abbiamo provato nel capitolo 17 ci consente di affermare chela soluzione di un problema di Cauchy associato ad un sistema lineareesiste ed è unica, ma solo nel caso dei coefficienti costanti si possonoottenere ulteriori risultati che permettono di esplicitare la soluzionestessa non appena si conoscano gli autovalori e gli autovettori dellamatrice A del sistema.

Peraltro, anche in questo più semplice caso, non si hanno indicazio-ni praticamente utilizzabili in quanto occorre preliminarmente risolve-re un’equazione algebrica di grado n ed alcuni sistemi lineari algebricidi n equazioni in n incognite. Queste operazioni, se sono facili pern = 1, 2, diventano possibili, ma lunghe e noiose per n = 3, 4 e spessoimpossibili per n ≥ 5.

Queste considerazioni suggeriscono la necessità di trovare metodisemplici che consentano di ottenere una approssimazione della solu-zione di un problema di Cauchy ed una valutazione dell’errore com-messo in tale operazione.

Allo scopo dimostreremo i risultati seguenti.

Teorema 28.6 - Eulero - Siano A: I −→ Mn e B : I −→ Rn continue esiano x0 ∈ I, Y0 ∈ Rn; consideriamo il problema di CauchyY′(x) = A(x)Y(x) + B(x)

Y(x0) = Y0

Sia Ia = [x0, x0 + a] un intervallo scelto in modo tale che Ia ⊂ I e siaδk ∈ R+; definiamo in Ia una successione di funzioni nella seguente maniera:sia xi = x0 + iδk e poniamo

Yk(x0) = Y0

Yk(x) = Yk(xi) + [A(xi)Yk(xi) + B(xi)](x− xi)

per xi < x ≤ xi+1 ≤ x0 + a

Allora esiste un’unica funzione Y : Ia −→ Rn tale che sia derivabile, siabbia

Yk(x)→ Y(x) per x0 ≤ x ≤ x0 + a

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308 o.caligaris - p.oliva

e soddisfi inoltre il problema di Cauchy assegnato.

Dimostrazione. Cominciamo con il definire

L0 = max{‖A(x)‖ : x0 ≤ x ≤ x0 + a} , L = nL0

N = max{‖B(x)‖ : x0 ≤ x ≤ x0 + a}

e proviamo che Yk(xi) è limitato.Si ha infatti

Yk(xi+1)−Yk(xi) = [A(xi)Yk(xi) + B(xi)](xi+1 − xi)

e

‖Yk(xi+1)‖ ≤ ‖Yk(xi)‖+ ‖A(xi)Yk(xi) + B(xi)‖|xi+1 − xi| ≤≤ ‖Yk(xi)‖+ L‖Yk(xi)‖δk + Nδk =

= ‖Yk(xi)‖(1 + Lδk) + Nδk

e se ne deduce

‖Yk(xi)‖ ≤ (1 + Lδk)i‖Yk(x0)‖+ Nδk

i−1

∑j=o

(1 + Lδk)j =

= (1 + Lδk)i‖Y0‖+ Nδk

1− (1 + Lδk)i

1− (1 + Lδk)=

= (1 + Lδk)1

LδkiLδk‖Y0‖+

+NδkLδk

[(1 + Lδk)1

LδkiLδk − 1] ≤

≤ eLiδk‖Y0‖+NL(eLiδk − 1) ≤

≤ eLa(

NL+ ‖Y0‖

)− N

L= b

non appena si tenga conto che iδk ≤ a per come sono stati scelti xi e δk

.Più in generale si ha che, essendo Yk una spezzata poligonale di

vertici (xi , Yk(xi)), se xi ≤ x ≤ xi+1

‖Yk(x)‖ = ‖λYk(xi) + (1− λ)Yk(xi+1)‖ ≤ λb + (1− λ)b = b.

Ora per xi ≤ x ≤ xi+1 avremo

Y′k(x) = A(xi)Yk(xi) + B(xi) =

= A(x)Yk(x) + B(x)+

+ [A(xi)Yk(xi)− A(x)Yk(x) + B(xi)− B(x)] =

= A(x)Yk(x) + B(x) + ηk(x)

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analisi matematica 1 309

non appena si sia chiamato ηk l’addendo in parentesi quadra.Si ha

‖ηk(x)‖ ≤ ‖[A(xi)− A(x)]Yk(xi)‖+ ‖A(x)[Yk(xi)−Yk(x)]‖++ ‖B(xi)− B(x)‖ ≤

≤ n‖A(xi)− A(x)‖b + n‖A(x)‖‖Yk(xi)−Yk(x)‖++ ‖B(xi)− B(x)‖ ≤

≤ n‖A(xi)− A(x)‖b + L(Lb + N)|xi − x|+ ‖B(xi)−− B(x)‖

e dal momento che le funzioni ‖A(·)‖ e ‖B(·)‖ sono uniformementecontinue su Ia si può asserire che esiste una successione εk → 0 taleche

‖ηk(x)‖ ≤ εk , ∀x ∈ Ia.

Otteniamo con ciò che

Yk(x)−Y0 =∫ x

x0

[A(t)Yk(t) + B(t)]dt +∫ x

x0

ηk(t)dt

e quindi

‖Yk(x)−Yh(x)‖ ≤∫ x

x0

‖A(t)[Yk(t)−Yh(t)]‖dt+

+∫ x

x0

‖ηk(t)− ηh(t)‖dt ≤

≤∫ x

x0

L‖Yk(t)−Yh(t)‖dt + (εk + εh)(x− x0)

Pertanto usando il lemma 16.5 (di Gronwall) otteniamo

‖Yk(x)−Yh(x)‖ ≤ (εk + εh)(x− x0)eL(x−x0)

e deduciamo che la successione Yk(x) è di Cauchy.Esisterà pertanto una funzione Y : Ia −→ Rn tale che Yk(x)→ Y(x),

per x ∈ Ia, e passando al limite per h→ +∞ vediamo che

‖Yk(x)−Y(x)‖ ≤ εkaeLa = Ek.

Si può a questo punto fare riferimento al teorema 17.7, per dimo-strare che Y è continua, risolve il problema di Cauchy assegnato ed èunica. 2

Passiamo ora a valutare l’errore che si commette sostituendo lasoluzione Y con una delle sue approssimazioni Yk .

Teorema 28.7 Supponiamo che siano verificate le ipotesi del teorema 18.10,supponiamo inoltre che A e B siano derivabili in Ia e si abbia:

M1 = sup{‖A′(x)‖ : x ∈ Ia}, M2 = sup{‖B′(x)‖ ; x ∈ Ia} ∈ R.

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310 o.caligaris - p.oliva

Allora, per x ∈ Ia, si ha:

(18.3) ‖Yk(x)−Y(x)‖ ≤ [nM1b + L(Lb + N) + M2]δk(x− x0)eLa

ove b è dato dalla (18.1).

Dimostrazione. Nelle nuove ipotesi la (18.2) può essere riscritta nellaseguente maniera:

‖ηk‖ ≤ nM1bδk + L(Lb + N)δk + M2δk

e pertanto,procedendo come nel teorema precedente, per il lemma diGronwall si ottiene la (18.3). 2

Osservazione. Nel teorema precedente abbiamo fatto uso della se-guente disuguaglianza:

‖A(x)− A(y)‖ ≤ M1‖x− y‖

e della disuguaglianza analoga per B.Accenniamo qui come può essere dedotta dalle regole di calcolo

elementare.

‖A(x)− A(y)‖ = sup{|aij(x)− aij(y)| : i, j = 1, ..., n} == sup{|a′ij(ξ)(x− y)| : i, j = 1, ..., n, x < ξ < y} ≤

≤ M1|x− y|

Il metodo appena descritto nel teorema 18.10 rientra in quelli chesolitamente vengono chiamati metodi di integrazione numerica ad unpasso per equazioni differenziali. Nell’uso di tali metodi si commetto-no, ovviamente, errori di approssimazione che possono essere classifi-cati in due categorie:

• errori di troncamento intrinsechi delle formule usate, che possonoessere controllati determinando maggiorazioni teoriche dell’errore(si veda ad esempio il teorema 18.11);

• errori di arrotondamento dovute all’imprecisione con cui si eseguo-no i calcoli, che possono essere controllati conoscendo la precisionecon cui operano i mezzi di calcolo usati.

Consideriamo il problema di CauchyY′(x) = A(x)Y(x) + B(x)

Y(x0) = Y0

ed indichiamo con Y la soluzione corretta del problema stesso. Indi-chiamo inoltre con Z una soluzione numerica del problema assegnato,

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analisi matematica 1 311

relativa ai punti xi = x0 + iδ, e con Zi la soluzione corretta del seguenteproblema Z′i(x) = A(x)Zi(x) + B(x)

Zi(xi) = Z(xi)

si haZ0(x) = Y(x).

Ad ogni iterazione, da xi ad xi+1, supponiamo che

‖Z(xi+1)− Zi(xi+1)‖ ≤ ε = τ + ρ

essendo τ l’errore di troncamento e ρ l’errore di arrotondamento.Possiamo pertanto valutare l’errore commesso nel punto xi nella

seguente maniera

Ei = ‖Z(xi)−Y(xi)‖ = ‖Zi(xi)− Z0(xi)‖ ≤

≤i−1

∑j=0‖Zj+1(xi)− Zj(xi)‖

Ora

Zj+1(xi) = Zj+1(xj+1) +∫ xi

xj+1

[A(x)Zj+1(x) + B(x)]dx

eZj(xi) = Zj(xj+1) +

∫ xi

xj+1

[A(x)Zj(x) + B(x)]dx,

da cui si ottiene

‖Zj+1(xi)− Zj(xi)‖ ≤ ‖Zj+1(xj+1)− Zj(xj+1)‖+

+ L∫ xi

xj+1

‖Zj+1(x)− Zj(x)‖dx

essendo L come nel teorema 18.10 .Pertanto, poiché

‖Zj+1(xj+1)− Zj(xj+1)‖ = ‖Z(xj+1)− Zj(xj+1)‖ ≤ ε

si ha, usando il lemma di Gronwall,

‖Zj+1(xi)− Zj(xi)‖ ≤ εeL(xi−xj+1) = εeL(i−j−1)δ.

Ne deduciamo infine che

Ei ≤ εeLδ(i−1)i−1

∑j=0

e−Lδj = εeLδ(i−1) 1− e−Lδi

1− e−Lδ=

= εeLδi − 1eLδ − 1

≤ εeL(xi−x0) − 1

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312 o.caligaris - p.oliva

Osserviamo che, in generale, l’errore di troncamento può esserescritto nella forma

τ = cδp

(ad esempio il risultato del teorema 18.11 assicura che si può sceglierep = 2). Si ha pertanto

Ei ≤eL(xi−x0) − 1

L[cδp−1 + ρ/δ]

e si vede come, diminuendo l’ampiezza del passo δ, l’errore di tronca-mento decresce mentre l’errore di arrotondamento aumenta; ciò scon-siglia l’uso di passi eccessivamente piccoli.

28.2 COEFFICIENTI DI INTEGRAZIONE NUMERICA.

In questa appendice intendiamo precisare alcuni risultati provati nelparagrafo 18, riguardo alle formule di integrazione numerica, relativa-mente al caso in cui il polinomio interpolatore sia di grado 0, 1, 2, 4.

Teorema 28.8 Sia f : [a, b] −→ R continua, derivabile due volte in (a, b);se P1 è il polinomio interpolatore di f relativo ai punti a e b, allora

I1 =∫ b

aP1(x)dx =

f (a) + f (b)2

(b− a)

e|I − I1| ≤

M12

(b− a)3

essendo | f ”(x)| ≤ M e

I =∫ b

af (x)dx .

Inoltre, se f è convessa e 0 ≤ m ≤ f ”(x) ≤ M

I1 −M12

(b− a)3 ≤ I ≤ I1 −m12

(b− a)3 ≤ I1.

Dimostrazione. Per il teorema 18.3 si ha

I = I1 +∫ b

a

f ”(c)2

(x− a)(x− b)dx.

2

Teorema 28.9 Sia f : [a, b] −→ R continua, derivabile due volte in (a, b);se P0 è il polinomio interpolatore di f relativo al punto (a + b)/2, allora

I0 =∫ b

aP0(x)dx = (b− a) f

(a + b

2

)e

|I − I0| ≤M24

(b− a)3

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 313

essendo | f ”(x)| ≤ M e

I =∫ b

af (x)dx .

Inoltre, se f è convessa e 0 ≤ m ≤ f ”(x) ≤ M

I0 ≤ I0 +m24

(b− a)3 ≤ I ≤ I0 +M24

(b− a)3 .

Dimostrazione. Per il lemma 18.6 si ha

I = I0 +∫ b

a

f ”(c)2

(x− (b− a)/2)2.

2

Teorema 28.10 Sia f : [a, b] −→ R continua, derivabile tre volte in (a, b);sia P2 il polinomio interpolatore di f relativo ai punti

a ,a + b

2, b .

Allora, se

I2 =∫ b

aP2(x)dx =

b− a6

[ f (a) + 4 f(

a + b2

)+ f (b)]

si ha|I − I2| ≤

M192

(b− a)4

essendo| f (3)(x)| ≤ M

e

I =∫ b

af (x)dx .

Se di più supponiamo che f sia derivabile quattro volte in (a, b) e che siabbia

| f (4)(x)| ≤ H

possiamo affermare che

|I − I2| ≤H

2880(b− a)5 .

Dimostrazione. E’ sufficiente integrare le uguaglianze ottenute neiteoremi 18.7 e 18.9 rispettivamente. 2

Teorema 28.11 Sia f : [a, b] −→ R continua, derivabile sei volte in (a, b),e sia P4 il polinomio interpolatore di f relativo ai punti

a , a +b− a

4,

a + b2

, a + 3b− a

4, b

allora, se

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314 o.caligaris - p.oliva

I4 =∫ b

aP4(x)dx =

=b− a

90[7 f (a) + 32 f

(a +

b− a4

)+ 12 f

(a + b

2

)+

+ 32 f(

a + 3b− a

4

)+ 7 f (b)]

si ha|I − I4| ≤

H1474560

(b− a)7

essendo| f (6)(x)| ≤ H

e

I =∫ b

af (x)dx .

I teoremi A9.3 ed A9.4 sono tanto più efficaci quanto più piccola èl’ampiezza b-a dell’intervallo di integrazione.

E’ pertanto opportuno suddividere [a, b] in n parti uguali

[a +(k− 1)(b− a)

n, a +

k(b− a)n

]

ciascuno di ampiezzab− a

napplicare le formule di cui sopra in ogni singolo intervallo e sommareinfine i risultati ottenuti.

Dal teorema A9.1 si ha

In1 =

b− an

n

∑k=1

12

(f(

a +(k− 1)(b− a)

n

)+ f

(a +

k(b− a)n

))=

=b− a

n

(12

f (a) +n−1

∑k=1

f(

a +k(b− a)

n

)+

12

f (b)

)e

|I − In1 | ≤

n

∑k=1

M12

(b− a)3

n3 =M12

(b− a)3

n2 .

Dal teorema A9.2 si ha

In0 =

b− an

n

∑k=1

f(

a +(2k− 1)(b− a)

2n

)e

|I − In0 | ≤

n

∑k=1

M24

(b− a)3

n3 =M24

(b− a)3

n2 .

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 315

Dal teorema A9.3 si ha

In2 =

b− a6n

n

∑k=1

(f(

a +(k− 1)(b− a)

n

)+

+4 f(

a +(2k− 1)(b− a)

2n

)+ f

(a +

k(b− a)n

))=

=b− a

6n

(f (a) + 4 f

(a +

b− a2n

)+ 2 f

(a +

2(b− a)2n

)+

+4 f(

a +3(b− a)

2n

)+ +... + f (b)

)e

|I − In2 | ≤

n

∑k=1

M192

(b− a)4

n4 =M

192(b− a)4

n3

oppure

|I − In2 | ≤

n

∑k=1

H2880

(b− a)5

n5 =H

2880(b− a)5

n4 .

Dal teorema A9.4 si ha

In4 =

b− a90n

n

∑k=1

(7 f(

a +(4k− 4)(b− a)

4n

)+

+ 32 f(

a +(4k− 3)(b− a)

4n

)+ 12 f

(a +

(4k− 2)(b− a)4n

)+32 f

(a +

(4k− 1)(b− a)4n

)+ 7 f

(a +

b− an

))e

|I − In4 | ≤

n

∑k=1

M1474560

(b− a)7

n7 =M

1474560(b− a)7

n6

Diamo qui di seguito i coefficienti ed una valutazione del restorelativi alle formule di integrazione numerica chiuse ed aperte. Perla lettura delle tabelle relative all’integrazione chiusa, ci riferiremo allaformula

b− aβ

n

∑i=0

αi f (a + ih) , h =b− a

n

e valuteremo il resto nella forma

|Rn| ≤ (b− a)n+2γn M , | f (n+1)(x)| ≤ M

oppure, se n è pari, nella forma

|Rn| ≤ (b− a)n+3δn H , | f (n+2)(x)| ≤ H .

Osserviamo che vengono riportati solo i coefficienti αi, 0 ≤ i ≤E(n/2), essendo i rimanenti ottenuti mediante la

αi = αn−i .

27 ottobre 2016—16:51:15 AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex]

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316 o.caligaris - p.oliva

Per la lettura delle tabelle relative all’integrazione aperta, ci riferire-mo alla formula

b− aµ

n+1

∑i=1

λi f (a + ih) , h =b− an + 2

e valuteremo il resto nella forma

|Rn| ≤ (b− a)n+2θn M , | f (n+1)(x)| ≤ M

oppure, se n è pari, nella forma

|Rn| ≤ (b− a)n+3ηn H , | f (n+2)(x)| ≤ H .

Osserviamo che vengono riportati solo i coefficienti λi , 0 ≤ i ≤1 + E(n/2) , essendo i rimanenti ottenuti mediante la

λi = λn+2−i .

28.3 Formule di integrazione chiuse.

n = 1

β =2

α0 =1

γ1 =1

12≤ 10−1

n = 2

β =6

α0 =1

α1 =4

γ2 =1

192≤ 10−2

δ2 =1

2880≤ 10−3

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 317

n = 3

β =8

α0 =1

α1 =3

γ3 =49

174960≤ 10−3

n = 4

β =90

α0 =7

α1 =32

α2 =12

γ4 =19

1474560≤ 10−4

δ4 =1

1474560≤ 10−6

n = 5

β =288

α0 =19

α1 =75

α2 =50

γ5 =2459

4725000000≤ 10−6

n = 6

27 ottobre 2016—16:51:15 AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex]

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318 o.caligaris - p.oliva

β =840

α0 =41

α1 =216

α2 =27

α3 =272

γ6 =71

3762339840≤ 10−7

δ6 =983

1142810726400≤ 10−9

n = 7

β =17280

α0 =751

α1 =3577

α2 =1323

α3 =2989

γ7 =91463

146435169081600≤ 10−9

n = 8

β =28350

α0 =989

α1 =5888

α2 =− 928

α3 =10496

α4 =− 4540

γ8 =18593

974098582732800≤ 10−10

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 319

δ8 =47

60881161420800≤ 10−12

n = 9

β =89600

α0 =2857

α1 =15741

α2 =1080

α3 =19344

α4 =5778

γ9 =1631797

3006315552481274880≤ 10−12

n = 10

β =598752

α0 =16067

α1 =106300

α2 =− 48525

α3 =272400

α4 =− 260550

α5 =427368

γ10 =55337

3832012800000000000≤ 10−13

δ10 =106276187

204324120000000000000000≤ 10−15

n = 11

27 ottobre 2016—16:51:15 AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex]

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320 o.caligaris - p.oliva

β =87091200

α0 =2171465

α1 =13486539

α2 =− 3237113

α3 =25226685

α4 =− 9595542

α5 =15493566

γ11 =32579530343

90288931568921790921216000≤ 10−15

n = 12

β =63063000

α0 =1364651

α1 =9903168

α2 =− 7587864

α3 =35725120

α4 =− 51491295

α5 =87516288

α6 =− 87797136

γ12 =58689413

690924801108010755686430≤ 10−16

δ12 =117907

431828000692506722304000≤ 10−18

n = 13

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 321

β =402361344000

α0 =8181904909

α1 =56280729661

α2 =− 31268252574

α3 =156074417954

α4 =− 151659573325

α5 =206683437987

α6 =− 43111992612

γ13 =788106931

4172539031545978956131942400≤ 10−18

n = 14

β =5003856000

α0 =90241897

α1 =710986864

α2 =− 770720657

α3 =3501442784

α4 =− 6625093363

α5 =12630121616

α6 =− 16802270373

α7 =19534438464

γ14 =792462703

199280729181576203247550464000≤ 10−20

δ14 =218545454111

1906415981954155286239515770880000≤ 10−21

n = 15

27 ottobre 2016—16:51:15 AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex]

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322 o.caligaris - p.oliva

β =2066448384

α0 =35310023

α1 =265553865

α2 =− 232936065

α3 =1047777585

α4 =− 1562840685

α5 =2461884669

α6 =− 2000332805

α7 =1018807605

γ15 =250582204083791

3154005370882522406250000000000000000≤ 10−22

n = 16

β =976924698750

α0 =15043611773

α1 =127626606592

α2 =− 179731134720

α3 =832211855360

α4 =− 1929498607520

α5 =4177588893696

α6 =− 6806534407936

α7 =9368875018240

α8 =− 10234238972220

γ16 =2194164799877

1453574759554607320114205672079360000≤ 10−23

δ16 =181280279

4613396453664525185909344174080000≤ 10−25

n = 17

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 323

β =3766102179840000

α0 =55294720874657

α1 =450185515446285

α2 =− 542023437008852

α3 =2428636525764260

α4 =− 4768916800123440

α5 =8855416648684984

α6 =− 10905371859796660

α7 =10069615750132836

α8 =− 3759785974054070

γ17 =25677692814137083

939571998956906973070954084068363632640000≤ 10−25

28.4 Formule di integrazione aperte.

n = 0

µ =1

λ1 =1

θ0 =14≤ 100

η0 =124≤ 10−1

n = 1

µ =2

λ1 =1

θ1 =11

324≤ 10−1

27 ottobre 2016—16:51:15 AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex]

Page 324: Analisi Matematica 1 - web.inge.unige.itweb.inge.unige.it/DidRes/Analisi/AN_1.pdfanalisi matematica 1 11 •per ogni x 2Rnf0gl’inverso di x rispetto al prodotto è unico Siano x0,

324 o.caligaris - p.oliva

n = 2

µ =3

λ1 =2

λ2 =− 1

θ2 =5

1536≤ 10−2

η2 =1

3072≤ 10−3

n = 3

µ =24

λ1 =11

λ2 =1

θ3 =551

2250000≤ 10−3

n = 4

µ =20

λ1 =11

λ2 =− 14

λ3 =26

θ4 =19

1244160≤ 10−4

η4 =1181

1058158080≤ 10−5

n = 5

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

Page 325: Analisi Matematica 1 - web.inge.unige.itweb.inge.unige.it/DidRes/Analisi/AN_1.pdfanalisi matematica 1 11 •per ogni x 2Rnf0gl’inverso di x rispetto al prodotto è unico Siano x0,

analisi matematica 1 325

µ =1440

λ1 =611

λ2 =− 453

λ3 =562

θ5 =40633

49807880640≤ 10−6

n = 6

µ =945

λ1 =460

λ2 =− 954

λ3 =2196

λ4 =− 2459

θ6 =9679

253671505920≤ 10−7

η6 =139

63417876480≤ 10−8

n = 7

µ =4480

λ1 =1787

λ2 =− 2803

λ3 =4967

λ4 =− 1711

θ7 =2231497

1405871470483200≤ 10−8

27 ottobre 2016—16:51:15 AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex]

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326 o.caligaris - p.oliva

n = 8

µ =9072

λ1 =4045

λ2 =− 11690

λ3 =33340

λ4 =− 55070

λ5 =67822

θ8 =17257

290304000000000≤ 10−10

η8 =419179

149688000000000000≤ 10−11

n = 9

µ =7257600

λ1 =2752477

λ2 =− 6603199

λ3 =15673880

λ4 =− 17085616

λ5 =8891258

θ9 =7902329

3904707049181199360≤ 10−11

n = 10

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 327

µ =23100

λ1 =9626

λ2 =− 35771

λ3 =123058

λ4 =− 266298

λ5 =427956

λ6 =− 494042

θ10 =36991

585847240120074240≤ 10−13

η10 =1657

659078145135083520≤ 10−14

n = 11

µ =958003200

λ1 =348289723

λ2 =− 1126407423

λ3 =3371637557

λ4 =− 5718293865

λ5 =6277879038

λ6 =− 2674103430

θ11 =1439788039057

792124027191914150942208000≤ 10−14

n = 12

27 ottobre 2016—16:51:15 AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex]

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328 o.caligaris - p.oliva

µ =833976000

λ1 =329062237

λ2 =− 1497122214

λ3 =6058248882

λ4 =− 16159538710

λ5 =32215733235

λ6 =− 47966447844

λ7 =54874104828

θ12 =4114475173

84728201182642943557632000≤ 10−16

η12 =911150843

544908243855872430755020800≤ 10−17

n = 13

µ =516612096

λ1 =181146041

λ2 =− 737951959

λ3 =2671853466

λ4 =− 6013831334

λ5 =9451804423

λ6 =− 9336416457

λ7 =4041701868

θ13 =2375965520519

1963277541788062500000000000000≤ 10−17

n = 14

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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analisi matematica 1 329

µ =1915538625

λ1 =722204696

λ2 =− 3892087348

λ3 =18150263624

λ4 =− 57468376538

λ5 =137035461016

λ6 =− 249560348012

λ7 =355819203336

λ8 =− 399697102923

θ14 =292141856009

10338143313533949996435505152000≤ 10−19

η14 =17295277

20191686159245996086788096000≤ 10−21

n = 15

µ =62768369664000

λ1 =21326772142769

λ2 =− 104877906799553

λ3 =445971895176889

λ4 =− 1240671085036521

λ5 =2495772757288517

λ6 =− 3536302597392469

λ7 =3330684963199261

λ8 =− 1380520613746893

θ15 =16436560611150289

26481506505103135541974319650529280000≤ 10−21

n = 16

27 ottobre 2016—16:51:15 AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex]

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330 o.caligaris - p.oliva

µ =19059040000

λ1 =6912171129

λ2 =− 43087461474

λ3 =227788759000

λ4 =− 834322842510

λ5 =2317367615100

λ6 =− 4988390746282

λ7 =8524579147752

λ8 =− 11696802277350

λ9 =12990970309270

θ16 =274490126369

21330624437003369856327368048640000≤ 10−22

η16 =12305121193453969

35336338938974825344115411316029521920000≤ 10−24

n = 17

µ =64023737057280000

λ1 =21156441141866149

λ2 =− 121972899306097215

λ3 =596043470364791516

λ4 =− 1967193294708433100

λ5 =4792224378449610000

λ6 =− 8635040534820624232

λ7 =11419549616838153340

λ8 =− 10248543211438519308

λ9 =4175787902007892850

θ17 =25534744478669295197

101079324218714384442170318511086524661760000≤ 10−24

AnTot.TEX— [ Content/Analisi-7.tex] 27 ottobre 2016—16:51:15

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29. Ancora su Sistemi Ed EquazioniDifferenziali Lineari.

29.1 Qualche preliminare sugli spazi Euclidei.

Per il trattare i sistemi differenziali ci occorrono alcune nozioni cheriguardano gli spazi vettoriali e le funzioni a valori vettoriali (reali ecomplessi).

Allo scopo ricordiamo qui, sommariamente, le proprietà e le defini-zioni di cui faremo uso.

Denotiamo con Rn lo spazio euclideo ad n dimensioni, per cui ognielemento x ∈ Rn è individuato da una n− pla ordinata di numeri realii cui elementi saranno indicati con xi , i = 1, ..., n.

Denotiamo inoltre con Mn lo spazio delle matrici n × n e se A ∈Mn individueremo A scrivendo

A = (aij)

e intendendo con ciò che aij è l’elemento della i − esima riga e dellaj− esima colonna di A, e che i, j = 1, ..., n.

E’ pertanto naturale stabilire cheMn è isomorfo ad Rn2.

Sia V uno spazio vettoriale su R (C). Definiamo in V una funzioneche chiamiamo norma ed indichiamo con

‖ · ‖ : V −→ R+

soddisfacente le seguenti proprietà:

1. ‖x‖ ≥ 0 ∀x ∈ V ; ‖x‖ = 0 ⇔ x = 0

2. ‖αx‖ = |α|‖x‖ ∀x ∈ V , ∀α ∈ R (C)

3. ‖x + y‖ ≤ ‖x‖+ ‖y‖ ∀x, y ∈ V .

Se ad esempio V = Rn, possiamo definire

‖x‖ = max {|xi| : i = 1, ..., n } ;

tale scelta non è l’unica possibile, né la più usuale, ma è quella di cuifaremo uso nel perché è la più semplice per i nostri scopi.

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332 o.caligaris - p.oliva

Analogamente si può definire inMn la norma come

‖A‖ = max {|aij| : i, j = 1, ..., n } .

E’ evidente che quando n = 1 si ha Rn = R e ‖x‖ = |x|.Se A ∈ Mn e x ∈ Rn definiamo

(Ax)i =n

∑j=1

aijxj

e

(xA)j =n

∑i=1

aijxi .

Osserviamo che, mentre xA è un vettore riga, Ax è un vettore colon-na; in altre parole xA è una matrice ad una riga ed n colonne, mentreAx è una matrice ad n righe ed una colonna.

Ci è indispensabile provare il seguente risultatoLemma A8.1 - Sia A ∈ Mn e sia x ∈ Rn , allora

‖Ax‖ ≤ n‖A‖‖x‖ .

Dimostrazione. Si ha

‖Ax‖ = max{|n

∑j=1

aijxj| : i = 1, ..., n } ≤

≤ max{‖x‖n

∑j=1|aij| : i = 1, ..., n } ≤ n‖A‖‖x‖

Ricordiamo anche alcuni risultati e definizioni.Sia xk una successione a valori in Rn. diciamo che

limk

xk = x

e scriviamo anchexk → x , x ∈ Rn

selim

k‖xk − x‖ = 0.

E’ immediato dimostrare che:Lemma A8.2 - Se xk ∈ Rn è una successione, limk xk = x se e solo

se limk (xk)i = xi. Dimostrazione. |(xk)i − xi| ≤ ‖xk − x‖ , per ogni

i = 1, ..., n e pertanto è provato che se xk → x si ha (xk)i → xi , i = 1, ..., n.Se viceversa (xk)i → xi , per k > kε

i si ha |(xk)i − xi| ≤ ε; ora sek > kε = max{ kε

i : i = 1, ..., n} si ha ‖xk − x‖ < ε e la tesi.

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analisi matematica 1 333

Se x : R→ Rn , per a, b ∈ R, si definisce in modo ovvio

(∫ b

ax(t)dt)i =

∫ b

axi(t)dt e (

ddt

x(t))i =ddt

xi(t).

Queste poche considerazioni permettono di vedere come per studiare le fun-zioni definite su R a valori in Rn o le successioni a valori in Rn, ci si possageneralmente ricondurre alle funzioni e alle successioni reali che sono definitedalle componenti delle funzioni o successioni stesse.

Un ultimo cenno sulle funzioni e sulle successioni complesse: C, comespazio vettoriale, è isomorfo ad R2 (ma si ricordi e si tenga presente che dipiù C è un’algebra). Pertanto quanto detto sopra può essere riscritto per lefunzioni e le successioni a valori complessi.

Ricordiamo soltanto che, nel caso in cui x ∈ C, indicheremo con <ex e=mx la sua parte reale e la sua parte immaginaria; avremo pertanto che

x = <ex + i=mx .

Richiamiamo infine alcune nozioni sugli spazi vettoriali.Sia V uno spazio vettoriale su R o C. Siano v1, v2.., vn ∈ V , diciamo che

v1, ..., vn sono linearmente dipendenti se esistono n scalari αi ∈ K non tuttinulli tali che

n

∑i=1

αivi = 0 .

Al contrario n vettori si dicono linearmente indipendenti se non sonolinearmente dipendenti.

Chiamiamo base di uno spazio vettoriale un insieme massimale di elementilinearmente indipendenti. Si prova che comunque si scelgano due basi di V,esiste una corrispondenza biunivoca tra di loro. Pertanto, se V ammette unabase costituita da un numero finito di elementi, diciamo che V ha dimensionefinita e chiamiamo dimensione di V ( dim V ) il numero di elementi della basestessa.

29.2 Equazioni e sistemi differenziali lineari a coefficienti co-stanti.

Ci occuperemo qui della soluzione di equazioni e sistemi differenziali lineari acoefficienti costanti.

A questo scopo è più utile considerare, sia dal punto di vista pratico che daquello teorico, equazioni e sistemi i cui coefficienti siano complessi e pertantobisognerà cercare soluzioni a valori, esse pure, complessi.

Ciò non è concettualmente molto complicato e riposa sui risultati ottenutinel caso reale, a meno dell’usuale isomorfismo di spazi vettoriali che si puòdefinire tra Cn ed R2n mediante la corrispondenza che ad ogni elemento a +ib ∈ Cn associa (a, b) ∈ R2n.

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334 o.caligaris - p.oliva

Per quanto ci riguarda portiamo avanti questo argomento solo nel caso incui i coefficienti siano costanti, ma le idee e i metodi usati sono per lo piùvalidi anche nel caso di coefficienti non costanti.

Per tutto il seguito avremo a che fare con due problemi che enunciamoqui per la prima, ed unica, volta ed a cui faremo riferimento d’ora innanzi.Ricordiamo anche alcune notazioni di cui faremo abbondante uso.

Sia A una matrice n× n a valori complessi e sia B ∈ Cn; indichiamo con<eA ed =mA la parte reale e la parte immaginaria di A, e cioè le matrici icui elementi sono, rispettivamente, la parte reale e la parte immaginaria deglielementi di A.

Avremo ovviamenteA = <eA + i=mA

ed in maniera del tutto analoga

B = <eB + i=mB .

Consideriamo il sistema differenziale lineare

(A8.1) Y′(x) = AY(x) + B(x)

dove ovviamente Y è cercato a valori in Cn e consideriamo l’equazione diffe-renziale lineare di ordine n

(A8.2) y(n)(x) =n

∑k=1

aky(k−1)(x) + b(x)

dove ak ∈ C, b è a valori complessi ed y è cercato esso pure a valori complessi.Tanto l’equazione (A8.2) che il sistema (A8.1) possono essere facilmente

ridotte al caso reale e quindi possono avvalersi dei risultati provati nel casoreale.

Provvediamo qui di seguito a studiare il sistema (A8.1) nel nuovo ambitoscelto. Indichiamo, in accordo con quanto sopra, Y = <eY + i=mY ; avremoche il sistema (A8.1) è equivalente a

<eY′ + i=mY′ = (<eA + i=mA)(<eY + i=mY) +<eB + i=mB

e tenuto conto che un numero complesso è nullo se e solo se sono nulle la suaparte reale e la sua parte immaginaria, si ha che il sistema (A8.1) è equivalenteal seguente sistema reale:<eY′ = <eA <eY−=mA =mY +<eB

=mY′ = =mA <eY +<eA =mY +=mB

la cui matrice dei coefficienti è di dimensione 2n× 2n.Se ora poniamo Z = (<eY,=mY) ∈ R2n e definiamo

D =

(<eA −=mA=mA <eA

)E =

(<eB=mB

)

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analisi matematica 1 335

avremo D ∈ M2n, E ∈ R2n ed il sistema in questione si può riscrivere, nelcampo reale, come

Z′ = DZ + E

o più esplicitamente come

(A8.3)

(<eY′

=mY′

)=

(<eA −=mA=mA <eA

)(<eY=mY

)+

(<eB=mB

)

non appena si ricordino le regole di calcolo per le matrici a blocchi.Consideriamo ora il problema di CauchyY′(x) = AY(x) + B(x)

Y(x0) = Y0 x0 ∈ R , Y0 ∈ Cn

Tale problema risulta equivalente al problema di Cauchy reale

<eY′

=mY′

=

<eA −=mA

=mA <eA

<eY

=mY

+

<eB

=mB

(<eY(x0),=mY(x0)) = (<eY0,=mY0)

e pertanto è conseguenza del teorema di esistenza ed unicità (17.7) chela soluzione dei problemi (A8.4) e (A8.5) esiste ed è unica in Cn ed R2n

rispettivamente.A seguito di ciò si può facilmente provare che lo spazio Σ delle soluzioni del-

la versione omogenea del sistema (A8.1) è uno spazio vettoriale di dimensionen su C e di dimensione 2n su R.

Siano ora Y1, ..., Yn n soluzioni a valori complessi di tale sistema che ri-sultino linearmente indipendenti su C; chiameremo matrice fondamentale delsistema omogeneo (A8.1) la matrice

G =

(Y1)1 (Y2)1 . . . (Yn)1

(Y1)2 (Y2)2 . . . (Yn)2

. . . . . .. . . . . .

(Y1)n (Y2)n . . . (Yn)n

Ora se consideriamo

(<eY1,=mY1), (<eY2,=mY2), . . . , (<eYn,=mYn)

è ovvio che esse risultino linearmente indipendenti su R e risolvano il sistemaomogeneo corrispondente ad (A8.3), ma di più si può osservare che anche

(−=mY1,<eY1), (−=mY2,<eY2), . . . , (−=mYn,<eYn)

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336 o.caligaris - p.oliva

sono soluzioni dello stesso sistema. Infatti è facile verificare che si ha(−=mY′

<eY′

)=

(<eA −=mA=mA <eA

)(−=mY<eY

)

in quanto ciò equivale a dire−=mY′ = −<eA=mY−=mA <eY

<eY′ = −=mA =mY +<eA <eY

Di più si può verificare che le nuove soluzioni sono linearmente indipen-denti dalle prime; infatti supponiamo che esistano αk , βk ∈ R, k = 1, ..., ntali che

n

∑k=1

αk

(<eYk

=mYk

)+

n

∑k=1

βk

(−=mYk

<eYk

)= 0

Si avrebbe ∑nk=1 (αk<eYk − βk=mYk) = 0

∑nk=1 (αk=mYk + βk<eYk) = 0

e pertanton

∑k=1

(αk + iβk)(<ek + i=mYk) = 0

da cui αk = βk = 0 perché Y1, ..., Yn sono linearmente indipendenti su C.Pertanto una matrice fondamentale del sistema omogeneo associato ad (A8.3)

sarà dato da

F =

(<eY1)1 . . . (<eYn)1...

. . ....

(<eY1)n . . . (<eYn)n

(−=mY1)1 . . . (−=mYn)1...

. . ....

(−=mY1)n . . . (−=mYn)n

(=mY1)1 . . . (=mYn)1...

. . ....

(=mY1)n . . . (=mYn)n

(<eY1)1 . . . (<eYn)1...

. . ....

(<eY1)n . . . (<eYn)n

F =

ed avremo che F può essere scritta (a blocchi)

F =

(<eG −=mG=mG <eG

)

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analisi matematica 1 337

Pertanto l’integrale generale del sistema omogeneo associato ad (A8.1) puòessere scritto, per λ ∈ Cn,

Y = Gλ = (<eG + i=mG)(<eλ + i=mλ) =

= (<eG <eλ−=mG =mλ) + i(=mG <eλ +<eG =mλ)

mentre l’integrale generale del sistema omogeneo ad esso equivalente (A8.3)si può scrivere, per (λ1, λ2) ∈ R2n

Z = F

(λ1

λ2

)=

(<eG−=mG=mG<eG

)(λ1

λ2

)=

= <eG λ1 +=mG λ2 −=mG λ1 +<eG λ2

il che mostra, a meno del solito isomorfismo tra Cn e R2n, come i risultatiottenuti siano equivalenti.

Senza maggiormente indagare il sistema reale omogeneo (A8.3) ricordiamoche, detto W(x) il determinante associato ad n soluzioni del sistema omogeneo(A8.1) come nel caso reale, si può affermare che sono fatti equivalenti

1. Y1, ..., Yn sono linearmente indipendenti su C;

2. W(x) 6= 0 ∀x ∈ R ;

3. ∃x0 ∈ R tale che W(x0) 6= 0.

Diamo infine uno sguardo a quanto accade se cerchiamo soluzioni comples-se di un sistema i cui coefficienti siano reali.

In tal caso il sistema omogeneo omogeneo associato ad (A8.3) assumerà laforma, tenuto conto che =mA = 0,<eY′ = <eA <eY

=mY′ = <eA =mY

Risulta pertanto essere costituito di due equazioni completamente indipen-denti tra di loro e relative alla stessa matrice <eA = A; quindi ogni suasoluzione complessa sarà della forma

Y(x) = <eY(x) + i<eY(x) = =mY(x) + i=mY(x) .

Lo spazio vettoriale Σ delle soluzioni complesse avrà dimensione n su C esarà della forma

Σ = S + iS

dove S è lo spazio vettoriale su R, di dimensione n, delle soluzioni reali delsistema a coefficienti reali considerato.

In particolare, se

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338 o.caligaris - p.oliva

(A8.6) ρ1 + iσ1, ...., ρn + iσn

è una base di Σ su C, avremo che

(A8.7); ρ1, ..., ρn, σ1, ..., σn ∈ S

poiché dim S = n avremo che al più n tra essi sono linearmente indipendenti.D’altro canto almeno n tra essi sono linearmente indipendenti perché, dalmomento che i vettori della (A8.6) formano una base di Σ, i vettori della(A8.7) generano S .

Infatti sia s ∈ S , esistono α1, .., αn , β1, .., βn ∈ R tali che

is =n

∑k=1

(αk + iβk)(ρk + iσk)

e pertanto si ha

n

∑k=1

(αk ρk − βk σk) = 0 en

∑k=1

(αk σk + βk ρk) = s .

Si può inoltre affermare che, se ρ + iσ ∈ Σ , ρ, σ,−ρ,−σ ∈ S , per cuiρ− i σ ∈ Σ.

29.3 Riduzione dei sistemi a coefficienti costanti ad equazioniindipendenti

Nostro scopo in questa parte è mostrare come ogni sistema lineare a coefficienticostanti può essere ricondotto ad un insieme di equazioni di ordine superioreche coinvolgono una sola delle variabili in gioco.

Questo risultato riposa su alcuni fatti che riguardano la teoria delle matricia coefficienti polinomiali.

Consideriamo una matrice A, n× n, a coefficienti complessi e supponiamodi voler risolvere il sistema differenziale lineare

Y′(x) = AY(x) + B(x) ;

indicando con D il simbolo di derivazione, possiamo formalmente riscrivere ilsistema assegnato nella forma

(DI)Y = AY + B

ed anche come(DI − A)Y = B .

Pertanto, osservando che il simbolo D può essere trattato formalmente co-me una variabile numerica, possiamo ridurre il nostro sistema ad una formapiù semplice, con trasformazioni elementari sulla matrice DI − A .

Chiamiamo trasformazioni elementari su una matrice le seguenti:

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analisi matematica 1 339

1. scambio di due righe o due colonne;

2. moltiplicazione di una riga o di una colonna per un polinomio non nullo;

3. addizione ad una riga o ad una colonna di un’altra riga od un’altra colon-na.

Ciascuna delle trasformazioni si può ottenere moltiplicando a destra, se latrasformazione è sulle colonne, o a sinistra, se è sulle righe, per una opportunamatrice non singolare.

Si può provare (si veda A. Maltsev,Fondamenti di algebra lineare) che,mediante trasformazioni elementari, è possibile ridurre la matrice DI − Aalla matrice diagonale

N(D) =

f1(D) 0 . . . 0

0 f2(D) . . . 0...

.... . .

...0 0 . . . fn(D)

dove fi è un polinomio che divide fi+1; gli fi si chiamano invarianti dellamatrice A e si può provare che fn(D) è il polinomio minimo della matrice Ache, come è noto, divide il polinomio caratteristico det (DI − A).

Più precisamente si può provare l’esistenza di due matrici non degeneri acoefficienti polinomiali S(D) e T(D) tali che

S(D)(DI − A)T(D) = N(D) ,

essendo S(D) il prodotto delle matrici che generano le trasformazioni sullerighe e T(D) il prodotto delle matrici che generano le trasformazioni sullecolonne, operate per passare da (DI − A) ad N(D).

Ora, se Z soddisfa

N(D)Z(x) = S(D)B(x)

avremo cheS(D)(DI − A)T(D)Z(x) = S(D)B(x)

eY(x) = T(D)Z(x)

soddisfaS(D)(DI − A)Y(x) = S(D)B(x)

ed anche(DI − A)Y(x) = B(x) .

Osserviamo che, per poter ricondurre i risultati provati per le equazioni alcaso dei sistemi, è sufficiente osservare che:

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340 o.caligaris - p.oliva

• se Z(x), B(x) sono della forma Q(x)eλx , dove Q è un vettore colonnai cui elementi sono polinomi di grado al più m, tali restano S(D)B(x) eT(D)Z(x);

• i polinomi caratteristici delle n equazioni ottenute sono

fi(λ) , i = 1, .., n,

e pertanto hanno come radici tutte e sole le radici di P(λ) = 0 conmolteplicità minore o uguale a quella con cui ivi compaiono.

29.4 Dipendenza dai dati iniziali e stabilità dei sistemi diffe-renziali lineari.

Ci occupiamo ora di un problema di estremo interesse applicativo. I sistemidifferenziali sono di grande utilità per simulare modelli di fenomeni fisici eprevederne l’evoluzione futura; la costruzione del modello però dipende dalladeterminazione dei dati del sistema, nel nostro caso la matrice A, il vettore Bed il dato iniziale Y0, e la sua affidabilità è collegata alla precisione con cui idati sono stati rilevati.

Poiché deve prevedersi un errore nella determinazione dei dati, la soluzionefornita dal sistema rappresenterà non tanto l’evoluzione del fenomeno cui sia-mo interessati, bensì l’evoluzione di un fenomeno del tutto analogo relativoa dati che differiscono di poco, l’errore con cui si effettuano i rilevamenti, daidati effettivi.

E’ pertanto importante conoscere come variano le soluzioni dei sistemidifferenziali in funzione delle variazioni dei dati inziali.

Lo studio di questo problema viene indicato come studio della dipenden-za dai dati iniziali nel caso in cui si consideri l’evoluzione del fenomeno inun intervallo finito, mentre si definisce studio della stabilità del sistema seci interessa il comportamento della soluzione per grandi valori della variabileindipendente, cioè su un intervallo infinito. Cominciamo col dare alcuni risul-

tati che precisano la dipendenza dai valori iniziali della soluzione dei sistemilineari.

Teorema 29.1 Sia I = [x0, x0 + a] , a > 0 , e siano A : I −→ Mn,B : I −→ Rn continue; siano inoltre Y0, Z0 ∈ Rn.

Consideriamo le soluzioni dei seguenti problemi di Cauchy:Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x)

Y(x0) = Y0

Z′(x) = A(x)Z(x) + B(x)

Z(x0) = Z0

allora‖Y(x)− Z(x)‖ ≤ ‖Y0 − Z0‖e

n∫ x

x0‖A(t)‖dt.

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analisi matematica 1 341

Dimostrazione. Si ha

‖Y(x)− Z(x)‖ ≤ ‖Y0 + Z0‖+∫ x

x0

n‖A(t)‖‖Y(t)− Z(t)‖dt

e si può concludere usando il lemma di Gronwall. 2

Teorema 29.2 Sia I = [x0, x0 + a], a > 0 , siano A1, A2 : I −→Mn, B1, B2 :I −→ Rn, continue e sia Y0 ∈ Rn.

Consideriamo le soluzioni Y e Z dei problemi di CauchyY′(x) = A1(x)Y(x) + B1(x)

Y(x0) = Y0

Z′(x) = A2(x)Z(x) + B2(x)

Z(x0) = Y0

Si ha allora

‖Y(x)− Z(x)‖ ≤

≤(∫ x

x0

‖(A1(t)− A2(t))Z(t)‖dt+

+∫ x

x0

‖B1(t)− B2(t)‖dt)

en∫ x

x0‖A1(t)‖dt

Dimostrazione. Si ha

‖Y(x)− Z(x)‖ ≤

≤∫ x

x0

‖A1(t)Y(t)− A2(t)Z(t) + B1(t)− B2(t)‖dt ≤

≤∫ x

x0

(‖A1(t)(Y(t)− Z(t))‖+

+ ‖(A1(t)− A2(t))Z(t)‖+ ‖B1(t)− B2(t)‖)dt ≤

≤ n∫ x

x0

‖A1(t)‖‖Y(t)− Z(t)‖dt+

+∫ x

x0

‖(A1(t)− A2(t))Z(t)‖dt+

+∫ x

x0

‖B1(t)− B2(t)‖dt

e si può concludere usando il lemma di Gronwall. 2

Corollario 29.1 Nelle condizioni del teorema A8.3, ∀ε > 0 ∃δε > 0 taleche, se ‖Y0 − Z0‖ < δε si ha ‖Y(x)− Z(x)‖ < ε per ogni x ∈ I.

Corollario 29.2 Nelle condizioni del teorema ., ∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che, sesup{‖A1(x)− A2(x)‖ : x ∈ I} < δε e sup{‖B1(x)− B2(x)‖ : x ∈ I} <δε , si ha ‖Y(x)− Z(x)‖ < ε

Possiamo infine discutere brevemente la stabilità dei sistemi differenzialilineari.

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342 o.caligaris - p.oliva

Definizione 29.1 Supponiamo che I = [x0,+∞) ; A: I −→ Mn, B :I −→ Rn continue, e consideriamo il sistema differenziale lineare

Y′(x) = A(x)Y(x) + B(x) .

Diciamo che la soluzione Y è stabile per il sistema se, detta Z un’altra suasoluzione, ∀ε > 0 ∃δε > 0 tale che, se ‖Y(x0)− Z(x0)‖ < δε si ha ‖Y(x)−Z(x)‖ < ε ∀x ≥ x0.

Diciamo che Y è asintoticamente stabile per il sistema se è stabile ed inoltrelimx→+∞ ‖Y(x)− Z(x)‖ = 0.

Dal momento che Y e Z sono soluzioni di un sistema lineare non omoge-neo si ha, per i precedenti risultati, che Y− Z è soluzione del sistema lineareomogeneo corrispondente. E’ pertanto evidente che studiare la stabilità di Yper il sistema assegnato è equivalente a studiare la stabilità della soluzioneidenticamente nulla per il sistema lineare omogeneo ad esso associato. Solita-mente inoltre ci si limita a studiare, per quanto riguarda la stabilità, il casoautonomo; di conseguenza considereremo soltanto sistemi lineari a coefficienticostanti.

In tal caso si può provare il seguente risultato.

Teorema 29.3 Si consideri il sistema Y′(x) = AY(x) . Se la matrice A hatutti gli autovalori con parte reale negativa, allora la soluzione identicamentenulla è asintoticamente stabile.

Se la matrice A ha tutti gli autovalori con parte reale negativa o nulla, edinoltre gli autovalori con parte reale nulla hanno molteplicità 1, la soluzioneidenticamente nulla è stabile.

Negli altri casi la soluzione identicamente nulla non è stabile.

29.5 L’oscillatore armonico.

Si consideri l’equazione differenziale lineare del secondo ordine

x”(t) + 2hx′(t) + ω2x(t) = K sin(αt) h, K, α > 0.

Essa descrive il comportamento di un oscillatore armonico smorzato, cioèdi un punto materiale soggetto ad una forza di richiamo proporzionale alladistanza ed ad forza di attrito proporzionale alla velocità, sollecitato da unaforza esterna sinusoidale di ampiezza K e di frequenza α.

Le soluzioni dell’equazione sono date da:

1. h > ω

x(t) = c1e(−h+θ)t + c2e(−h−θ)t + x(t)

2. h = ω

x(t) = c1e−ht + c2te−ht + x(t)

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analisi matematica 1 343

3. h < ω

x(t) = e−ht(c1 sin(θt) + c2 cos(θt)) + x(t)

dovex(t) = α sin(αt) + b cos(αt) = A sin(αt− φ)

ed inoltre si è postoθ = |h2 −ω2|1/2

a = Kω2 − α2

4h2α2 + (ω2 − α2)2

b = −K2hα

4h2α2 + (ω2 − α2)2

A =K√

4h2α2 + (ω2 − α2)2

φ = arccos( a

A

).

Nel caso in cui h = 0 l’equazione diventa

x”(t) + ω2x(t) = K sin(αt) k, α > 0

e rappresenta un oscillatore armonico non smorzato sollecitato da una forzaesterna sinusoidale.

Le soluzioni in questo caso sono

1. α 6= ω

x(t) = c1 sin(ωt) + c2 cos(ωt) +K

ω2 − α2 sin(αt)

2. α = ω

x(t) = c1 sin(ωt) + c2 cos(ωt)− K2ω

t cos(ωt) .

Il comportamento delle soluzioni di queste due equazioni è illustrato nellefigure A.8.1-A.8.2-..-A.8.11. Più precisamente le figure A.8.1-A.8.2-A.8.3-A.8.4-A.8.5 riguardano la funzione

A =K

(4h2α2 + (ω2 − α2)2)1/2 =

=K/ω2

(4(h/ω)2(α/ω)2 + (1− (α/ω)2)2)1/2

conK/ω2 = .5 .

Le figure A.8.1-A.8.2-A.8.3-A.8.4 rappresentano, da diversi punti di vista, ilgrafico di A in funzione di h

ω e αω , mentre la figura A.8.5 ne rappresenta le

curve di livello.

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344 o.caligaris - p.oliva

E’ facile vedere come per valori di αω vicini ad 1 e di h

ω vicini a 0, lafunzione diventi molto grande (risonanza).

Le figure A.8.6-A.8.7 riguardano la funzione

x(t, α) =K

ω(α2 −ω2)(α sin(ωt)−ω sin(αt))

che è la soluzione dell’equazione dell’oscillatore armonico non smorzato sod-disfacente le condizioni iniziali x(0) = x′(0) = 0.

Le costanti K ed ω sono fissate: K = 2, ω = 2 ed i grafici mostranol’andamento di x in funzione di t e di α.

Le figure A.8.8-A.8.9 riguardano la funzione

x(t, ω) =K

2ω2 (ωt cos(ωt)− sin(ωt))

che è la soluzione dell’oscillatore armonico non smorzato, nel caso α = ω

(risonanza) soddisfacente le condizioni iniziali x(0) = x′(0) = 0.Le figure A.8.9 e A.8.10 riguardano la funzione x(t, h), soluzione dell’e-

quazione dell’oscillatore armonico smorzato, per valori di K e ω fissati: K = 2,ω = 3, soddisfacente i dati iniziali x(0) = 4, x′(0) = 0.

E’ evidente l’effetto dello smorzamento al crescere di h .

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Indice

1 Un po’ di Logica 3

2 I Numeri Reali 9

3 Funzioni Reali di una Variabile Reale 29

4 Le Funzioni Elementari 35

5 Definizione di Limite e sue Conseguenze 59

6 Le Successioni 69

7 La Continuità 93

8 I Teoremi sulla Continuità 95

9 La Derivabilità. 105

10 I Teoremi di Rolle, Lagrange e Cauchy. 113

11 La Regola di De L’Hôpital 119

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346 o.caligaris - p.oliva

12 La Formula Di Taylor 127

13 Qualche Sviluppo di Taylor 135

14 La Convessità 147

15 Estremi Relativi e Asintoti. 159

16 Ricerca Numerica di Zeri e Minimi. 163

17 Integrazione. 179

18 Integrali Impropri 199

19 Qualche Integrale Elementare. 205

20 Qualche Studio di Funzione Integrale 211

21 Integrazione secondo Riemann-Stieltjes. 219

22 Introduzione ai Modelli Differenziali 231

23 Equazioni Differenziali a Variabili Separabili. 237

24 Esempi Notevoli di Problemi di Cauchy 245

25 Equazioni e Sistemi di Equazioni Differenziali Lineari 255

26 Esistenza ed Unicità per Problemi di Cauchy Lineari 275

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analisi matematica 1 347

27 Equazioni Alle Differenze Finite 289

28 Introduzione ai metodi di Integrazione numerica. 295

29 Ancora su Sistemi Ed Equazioni Differenziali Lineari. 331

30 Indice analitico 349

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30. Indice analitico

0, 101, 10cos(x), 53sin(x), 53tan(x), 54f−1, 31

complementare, 7Criterio di Cauchy, 68implicato, 4integrale indefinito, 195integrale inferiore, 184integrale superiore, 184intersezione, 7Principio di Archimede, 17prodotto cartesiano, 7relazione di equivalenza, 6semifattoriale, 83somma di Cauchy-Riemann, 182not, 3

and, 3aperto, 28, 305appartiene, 6Approssimazione dei numeri reali in base

b, 24argomento di f, 29arrotondamento, 310–312asintoto, 161assi cartesiani, 26

binomio di Newton, 84Bolzano-Weierstraß , 72

Casorati, 290chiuso, 28, 305coefficiente binomiale, 83compatto, 28concava, 156

condizione di integrabilità, 184continua, 93, 166, 170–174, 275, 277,

278, 300, 301, 303, 305, 306, 309,312, 313

continua in D, 94contrazione, 171, 172convessa, 150–153, 165, 312, 313convesso, 151, 169crescente, 32, 70, 81, 82, 152, 153, 157,

164, 166, 198, 243Criterio di Cauchy, 89Criterio di convergenza di Cauchy, 75criterio di convergenza di Cauchy, 277

De-Morgan, 7decrescente, 32, 157, 164, 167dei numeri razionali, 13derivabile, 105, 153, 157, 165, 169, 173,

242, 275, 301, 303–307, 312, 313derivata, 105, 157, 172, 173, 178derivata destra, 106derivata seconda, 112derivata sinistra, 106destrorsa, 27differenza, 301, 305differenziabile, 107differenziabilità, 107differenziale, 271, 278–280, 282–285,

334, 338, 342dimostrazione per assurdo, 6Dipendenza dai dati iniziali, 340dipendenza dai dati iniziali, 340dispari, 157, 176, 177, 302, 303, 306, 307divergente, 70dominio, 29

elemento, 6elemento neutro, 9, 22elemento neutro rispetto alla moltiplica-

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350 o.caligaris - p.oliva

zione, 10elemento neutro rispetto alla somma, 9elemento separatore, 11epigrafico, 151equazione alle differenze finite, 290, 292equazione differenziale, 237equivalente, 4, 152, 283, 334, 335, 337,

342esistenza della soluzione, 278esponenziale, 46estremo inferiore, 16estremo superiore, 16Eulero, 307

fattoriale, 83Fibonacci, 169, 177, 294flesso, 156, 157formula di Taylor, 127, 198formula di Taylor con il resto di Cauchy,

133Formula di Taylor con il resto di Lagrange

, 130, 133Formula di Taylor con il resto di Peano ,

129Formula di Taylor con il resto di

Schlomilch-Ròche, 132formule di integrazione approssimata,

303, 304funzione, 29, 151, 153, 163, 165, 169–

174, 178, 190, 275, 288, 300–305,307, 309, 331, 340, 343, 344

funzione composta, 31funzione dispari, 31funzione limitata, 33funzione logaritmo, 46funzione pari, 31funzione potenza ad esponente razionale,

39funzione superiormente limitata, 33funzioni trigonometriche, 48

grafico, 29, 343Gronwall, 242

implica, 4induttivo, 13inferiormente limitato, 15infinitesimo campione, 91infinito, 340iniettiva, 30insieme, 6, 151, 153, 290, 333, 338

insieme compatto, 90insieme dei numeri interi, 14insieme dei numeri razionali, 14insieme derivato, 59insieme induttivo, 13insieme vuoto, 7integrabile, 184, 187, 190, 192integrabile secondo Cauchy-Riemann,

188integrale generale, 256, 266, 267,

280–283, 337integrazione per parti, 197integrazione per sostituzione, 197intervallo, 173–177, 276, 278, 304, 305,

307, 314, 340intorno, 157, 241, 242intorno bucato di centro x e ampiezza δ,

59intorno di centro x e ampiezza δ, 59inversa, 31inverso rispetto all’addizione, 10inverso rispetto alla moltiplicazione, 10invertibile, 31

l’integrale generale, 256legge del terzo escluso, 4legge di cancellazione, 11legge di non contraddizione, 4lemma di Gronwall, 310, 311, 341limitato, 15, 28, 171, 276, 278, 308limite, 59lineare, 107, 271, 278, 280, 282–285,

289–291, 301, 307, 334, 338, 339,342

lipschitziana, 171logaritmo naturale, 87lunghezza di un arco, 48

maggiorante, 15massimo, 15, 176, 285matrice fondamentale, 258, 335, 336metodo della ’regula falsi’, 163Metodo della regula falsi, 169metodo delle tangenti, 163metodo di Lagrange di variazione delle

costanti arbitrarie , 264metodo di Newton, 163minimo, 15, 173, 174, 176, 339minorante, 15modulo, 18monometrica, 27

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analisi matematica 1 351

monotòna, 32monotona, 241, 242

negativo, 12Newton, 167norma, 18, 331, 332notazione binaria, 23notazione decimale, 23notazione esadecimale, 23notazione ottale, 23numerabile, 153numeri decimali finiti, 26numeri interi, 13numeri naturali, 13numeri reali, 9

or, 3ordine di infinitesimo, 91ordine di infinito, 91origine, 26ortogonale, 27oscillatore armonico, 271, 342–344

pari, 176, 177, 315, 316parte intera, 18partizione dell’intervallo, 179partizione di [a, b], 181partizione più fine, 182periodica, 54polinomio caratteristico, 282, 284–286,

339positivo, 12potenza, 19potenza ad esponente frazionario, 38potenza ad esponente reale, 41potenza di esponente n, 35potenze ad esponente negativo, 37primitiva, 195, 198, 241principio di induzione, 14Problema di Cauchy, 241problema di Cauchy, 237–239, 242, 256,

275, 307–310, 335prodotto cartesiano, 26prolungamento, 30proposizione, 3punto di accumulazione, 59punto di massimo assoluto, 33punto di minimo assoluto, 33

radiante, 52radice, 283, 285–287, 291

radice n-esima, 36rango, 29rapporto incrementale, 171, 178Rappresentazione dei numeri naturali in

base b, 20regola di De l’Hôpital, 119regula falsi, 166relazione binaria, 6relazione d’ordine, 6restrizione, 30risonanza, 344

sinistrorsa, 27sistema cartesiano, 27sistema fondamentale di soluzioni, 261sistemi di equazioni differenziali lineari,

290somma, 12somme inferiori, 182somme superiori, 182spazio euclideo, 331strettamente convessa, 150strettamente crescente, 32strettamente decrescente, 32strettamente monotòna, 32successione, 69, 81, 164, 167, 169–174,

176, 177, 192, 275, 289–291, 294,307, 309, 332

successione convergente, 70successione crescente, 71successione estratta, 70successione ordinata di partizioni, 182successione regolare di partizioni, 182superiormente limitato, 15surgettiva, 30sviluppo di McLaurin di cos x, 138sviluppo di McLaurin di sin x, 136sviluppo di McLaurin di ex, 135

tabella di verità, 3teorema degli zeri, 95, 164, 170teorema dei valori intermedi, 96teorema della media, 195teorema di Weierstraß, 97teorema di Cauchy, 115teorema di Lagrange, 115teorema di Peano, 115teorema di Rolle, 114triangolo di Tartaglia, 83, 84troncamento, 310–312

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352 o.caligaris - p.oliva

unione, 7

valore assoluto, 18variabili separabili, 237vuoto, 7

Wronskiano, 283

wronskiano, 259, 290

xor, 3

zero, 22, 165, 168, 172, 173, 178, 241,242, 304

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