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Il tempo delle grotte All’incirca 80.000 anni prima della nostra era, l’ultima glaciazione – detta di Würm – inizia a coprire di ghiacci l’intero continente europeo. Di conseguenza, anche nel territorio corrispondente all’attuale Basilicata, i pochi gruppi umani stanziati nelle zone interne si dirigono verso le coste, alla ricerca di un clima più temperato e di risorse alimentari complementari o alternative a quelle derivanti dalla caccia. Il litorale tirrenico offre del resto ancor oggi un’ampia scelta di ripari naturali, costituiti dalle numerose grotte che vi si aprono, e proprio in alcune di esse è direttamente documen- tata la più antica presenza dell’uomo nel territorio, risalente al Paleolitico Medio. Quanto è stato accertato immediatamente a Nord (Grotta di Mezzanotte e Riparo Smaldone, presso Sapri) ed a Sud (Grotta di Torre Nave, presso Praia a Mare) trova infatti riscontro a Maratea nelle Grotte di Fiumicello, dove le ricerche di V. Fusco hanno portato al ritrovamento di tre schegge litiche lavorate nella tecnica detta musteriana, in associazione con resti faunistici (per lo più di cervidi, ma anche di rhinoceros antiquus) 1 . Si può dunque ragionevolmente ritenere dovuto al caso (o, piuttosto, alla mancanza di esplorazioni sistematiche) il fatto che le cavità che punteg- giano il resto della costa non ne abbiano sinora restituito traccia; in partico- lare, per il tratto corrispondente all’odierna Acquafredda, possiamo citare almeno due casi - la Grotta della Scala e la Grotta delle Colonne 2 - dimen- sionalmente adatti ad una qualche forma di utilizzo da parte dell’uomo. Tuttavia, solo per la prima – che è anche la più vicina alla punta - abbiamo elementi certi, sebbene al momento riferibili soltanto all’età moderna, quando gli abitanti del luogo lamentano che sia divenuta rifugio di corsari 3 . A cause analoghe a quelle già richiamate possiamo attribuire la scarsità di materiali riscontrata anche per la preistoria recente, sparsi in numerosi punti del territorio, ma sinora privi di contesto: il rinvenimento di un’ansa in impasto grezzo, sulla pendice sottostante la torre di Acquafredda, è per ora del tutto isolato 4 . In tale quadro, fa eccezione un unico sito (che è, d’altro canto, il più importante per consistenza e durata individuato ad oggi nella Lucania tirre- nica): il promontorio di Capo la Timpa, dove i pur pochi frammenti risa- lenti al Neolitico 5 prefigurano una frequentazione destinata ad intensificar- si in epoca protostorica, sino a dare origine, nell’Età del Bronzo Medio, ad un vero e proprio insediamento. 15 VILLA NITTI A MARATEA: IL LUOGO DEL PENSIERO A ritroso nei secoli Ansa in impasto da Acquafredda.

A ritroso nei secoli - old.consiglio.basilicata.it · Mezzanotte (o dello Scialandro), in territorio di Sapri, di una struttura a pianta circolare più antica inglobata in un basamento

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Il tempo delle grotte

All’incirca 80.000 anni prima della nostra era, l’ultima glaciazione –detta di Würm – inizia a coprire di ghiacci l’intero continente europeo. Diconseguenza, anche nel territorio corrispondente all’attuale Basilicata, ipochi gruppi umani stanziati nelle zone interne si dirigono verso le coste,alla ricerca di un clima più temperato e di risorse alimentari complementario alternative a quelle derivanti dalla caccia. Il litorale tirrenico offre delresto ancor oggi un’ampia scelta di ripari naturali, costituiti dalle numerosegrotte che vi si aprono, e proprio in alcune di esse è direttamente documen-tata la più antica presenza dell’uomo nel territorio, risalente al PaleoliticoMedio.

Quanto è stato accertato immediatamente a Nord (Grotta diMezzanotte e Riparo Smaldone, presso Sapri) ed a Sud (Grotta di TorreNave, presso Praia a Mare) trova infatti riscontro a Maratea nelle Grotte diFiumicello, dove le ricerche di V. Fusco hanno portato al ritrovamento ditre schegge litiche lavorate nella tecnica detta musteriana, in associazionecon resti faunistici (per lo più di cervidi, ma anche di rhinoceros antiquus)1.

Si può dunque ragionevolmente ritenere dovuto al caso (o, piuttosto,alla mancanza di esplorazioni sistematiche) il fatto che le cavità che punteg-giano il resto della costa non ne abbiano sinora restituito traccia; in partico-lare, per il tratto corrispondente all’odierna Acquafredda, possiamo citarealmeno due casi - la Grotta della Scala e la Grotta delle Colonne2 - dimen-sionalmente adatti ad una qualche forma di utilizzo da parte dell’uomo.Tuttavia, solo per la prima – che è anche la più vicina alla punta - abbiamoelementi certi, sebbene al momento riferibili soltanto all’età moderna,quando gli abitanti del luogo lamentano che sia divenuta rifugio dicorsari3.

A cause analoghe a quelle già richiamate possiamo attribuire la scarsitàdi materiali riscontrata anche per la preistoria recente, sparsi in numerosipunti del territorio, ma sinora privi di contesto: il rinvenimento di un’ansain impasto grezzo, sulla pendice sottostante la torre di Acquafredda, è perora del tutto isolato4.

In tale quadro, fa eccezione un unico sito (che è, d’altro canto, il piùimportante per consistenza e durata individuato ad oggi nella Lucania tirre-nica): il promontorio di Capo la Timpa, dove i pur pochi frammenti risa-lenti al Neolitico5 prefigurano una frequentazione destinata ad intensificar-si in epoca protostorica, sino a dare origine, nell’Età del Bronzo Medio, adun vero e proprio insediamento.

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VILLA NITTI A MARATEA: IL LUOGO DEL PENSIERO

A ritroso nei secoli

Ansa in impasto da Acquafredda.

Il tempo dei commerci

Con l’ingresso nella Protostoria, si può dire che l’intero arco costiero diMaratea (ma anche l’immediato retroterra) sia - ove più, ove meno - inte-ressato dalla presenza di frammenti attribuibili a quella cultura pastoraleche è stata denominata “appenninica”. I gruppi che ad essa avevano datovita, nel loro periodico affacciarsi, con le transumanze, verso il mare, nonmancarono di accorgersi che da esso giungevano, oltre ai loro affini prove-nienti dalle sponde più meridionali del Tirreno, altre genti (tra cui spicca lacomponente micenea), portatrici di nuovi spunti culturali o semplicementedi oggetti sconosciuti quanto affascinanti, perchè utili o solo perchè belli.Così, soprattutto alla sommità dei promontori (che, spaziando su un ampioorizzonte, consentivano di avvistare le piccole imbarcazioni dell’epoca sindal loro primo apparire), i pastori appenninici cominciarono a realizzaredapprima semplici accampamenti, e poi veri e propri villaggi, come quelloper l’appunto individuato a Capo la Timpa6.

Qui, su un terrazzamento che sovrasta il porto moderno, è stata esplora-ta una grande capanna con focolare centrale, di forma ovale od oblunga,con accurata pavimentazione a battuto e copertura sorretta da pali, chefaceva parte di un insediamento databile tra il XV e il XIV secolo a.C. Icontatti commerciali intrattenuti dagli abitanti del sito con l’area eoliana,puntualmente attestati per una fase più antica dalla presenza di ossidiana,sono confermati in particolare dall’apparato decorativo di molte ceramiche;sono, d’altro canto, evidenti anche gli influssi di matrice egea, giunti attra-verso naviganti provenienti dal Mediterraneo orientale.

Le caratteristiche di tale promontorio – in rapporto sia alla morfo-logia del litorale che ai percorsi da e per l’entroterra – ne fanno un sitopeculiare, che giustifica il perdurarvi di un abitato anche in età storica(per la precisione, dalla seconda metà del VI secolo al III secolo a.C.almeno)7; nelle altre aree esplorate (l’isola di Santo Janni e Capo laSecca) la documentazione si riferisce prevalentemente all’età romana,mentre Castrocucco, attraverso i dati delle necropoli, mostra una con-

tinuità d’uso che dalla seconda metà del IV secolo a.C. si estende finoall’alto Medioevo8.

Altrove, ritrovamenti per lo più sporadici forniscono indizi quantomeno di una frequentazione antica; nel caso di Acquafredda, stando ad unavalutazione di ordine meramente topografico, i siti idonei ad un insedia-mento sembrerebbero essere due: la punta su cui sorge ora Villa Nitti (che,sulla base della documentazione d’archivio, chiameremo di S. Pietro) equella più ampia, a Sud, denominata Rotondella. Esse presentano caratteri-stiche abbastanza simili: naturalmente difese su tre lati, entrambe eranocongiunte al retroterra da appezzamenti in lieve declivio, e perciò favorevolialle colture agricole, ed avevano accesso a sorgenti o pozzi d’acqua dolce,anche senza tener conto di quella che scorreva lungo i valloni.

Allo stato attuale, tuttavia, la documentazione archeologica parla unica-mente in favore della prima: nei dintorni della torre vicereale non si hannoindizi di presenze antiche (ad eccezione dell’ansa già ricordata), mentre iterreni circostanti la residenza nittiana hanno restituito una discreta quan-tità di frammenti ceramici e fittili risalenti all’epoca romana. I rinvenimen-ti, per la prevalenza di materiale acromo, sono da riferire ad un insedia-mento, i cui contatti col commercio marittimo sono documentati da sva-riati cocci d’anfora; l’unico preciso riferimento cronologico è per ora costi-tuito dalla presenza di terra sigillata, che riconduce all’età imperiale.

La preferenza data a questo sito scaturisce probabilmente da una conco-mitanza di fattori, tra cui certamente non sono secondari quelli geomorfo-logici: le pendici scoscese della punta, delimitate dalle profonde incisionidel Vallone della Chiesa (a Nord) e del Valloncello (a Sud), e da una sco-gliera quasi a picco sul mare costituivano infatti una difesa naturale per ilpiccolo pianoro, la cui efficacia si è attenuata solo in epoca moderna, perl’avanzamento della costa soprattutto in corrispondenza della foce delprimo dei due torrenti. Un quadro più preciso della situazione potrà, chia-ramente, scaturire soltanto dalla ricerca (anche di scavo) sul terreno.

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VILLA NITTI A MARATEA: IL LUOGO DEL PENSIERO

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VILLA NITTI A MARATEA: IL LUOGO DEL PENSIERO

Le due punte di San Pietro (al centro) e della Rotondella. Frammenti di età romana da Villa Nitti (dis. A. Palmieri).

Il tempo dei pirati

Con lo scorrere dei secoli, dai promontori della costa di Maratea non sismette di scrutare l’orizzonte: non tanto per spiare l’arrivo di qualcheimbarcazione intenzionata a far scalo nella piccola rada del Porticello (ren-dendo così possibile un modesto commercio di prodotti agricoli e caseari),quanto per avvistare in tempo le navi dei pirati saraceni - un flagello inces-sante, per gli abitanti del litorale - e consentire loro di cercare rifugio tra lemontagne retrostanti.

E’ poco noto – anche perchè trova, in genere, scarso rilievo negli studiprecedenti – il fatto che, già prima del bando con cui il vicerè spagnolodisponeva, nella seconda metà del Cinquecento, la costruzione delle torricostiere della Basilicata, esistesse un più antico sistema di avvistamento,meno articolato, ma comunque basato sul contatto visivo tra vari puntidella costa, in modo da potersi trasmettere segnalazioni, tramite fumo ofuochi. Tale sistema, di per sé antichissimo, si venne strutturando sullecoste dell’Italia meridionale a partire dal X-XI secolo, fino a trovare compi-mento sotto la dominazione angioina9.

Della sua esistenza, si hanno testimonianze certe da più fonti, anche setentarne una ricostruzione dettagliata è assai arduo, perché molte torri sonoandate distrutte, ed altre radicalmente rimaneggiate: il rinvenimento dischizzi costruttivi conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli consenteperaltro di stabilire che la tipologia non era uniforme, potendo le torri esse-re sia a pianta rotonda che a pianta poligonale10.

Qualche esempio se n’è per fortuna conservato lungo la costa campana equella calabrese, e sul litorale stesso del golfo di Policastro se ne possonoora riconoscere le tracce: già il Faglia11, nella sua sempre fondamentaleopera su queste costruzioni, evidenziava la presenza nella torre diMezzanotte (o dello Scialandro), in territorio di Sapri, di una struttura apianta circolare più antica inglobata in un basamento quadrangolare, rite-nuto in fase con le torri del sistema vicereale. Ad essa, tra i monumenti ana-lizzati dallo stesso autore, possiamo accostare la torre Dino, a S. Nicola

Arcella (CS), che col suo stato di conservazione permette di apprezzare lecaratteristiche strutturali del tipo12. Al Faglia sfuggiva, però (probabilmentea causa del pessimo stato dei ruderi, ed anche della difficoltà di accedervi),il fatto che sulla rupe denominata, secondo la tradizione locale, Apprezzamil’Asino sorgesse un corpo di fabbrica a pianta analoga. Di questi resti(restaurati a più riprese nel corso dell’ultimo trentennio) è solo ora disponi-bile un rilievo dettagliato13: la loro lettura non si presenta tuttavia agevole,soprattutto nel rapporto della struttura a pianta circolare con le altre mura-ture superstiti, anche perché si sono stratificati nel tempo vari interventi disostegno e rinforzo, richiesti dalla collocazione su uno sperone rocciosocontinuamente soggetto a crolli (come confermato anche da tragiche espe-rienze recenti). Soltanto dei saggi di scavo potrebbero dare risposte precise,almeno in termini di cronologia relativa; sono comunque più chiare formae significato di quello che possiamo infine riconoscere come torrione (o,meglio, come la base dello stesso), a scarpa e con buche pontaie, in strin-gente analogia con le caratteristiche della torre Dino ricordata sopra. Comenel caso della torre di Mezzanotte, il corpo a pianta circolare è da ritenere larealizzazione più antica, cui gli spagnoli affiancano poi il corpo a piantaquadrata che caratterizza tutto il sistema difensivo creato a partire dallaseconda metà del Cinquecento. Nel caso specifico della torre Apprezzamil’Asino, comunque, la conferma di un’esistenza in epoca anteriore al 1566viene proprio dai termini del decreto vicereale, che per essa prevede inter-venti di riparazione14.

Fino ad un anno fa, però, restava confinata in un ambito poco più cheleggendario l’esistenza ad Acquafredda di una terza torre circolare, da ascri-vere al sistema di avvistamento di presumibile creazione angioina (se nonanche precedente)15.

Due sono i dati che ne hanno nascosto la realtà storica: l’assenza di qual-siasi resto ad essa attribuibile sul sito della fabbrica a pianta quadrata tutto-ra visibile sul promontorio della Rotondella, ed il progressivo inglobamento

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della primitiva struttura, ormai soppiantata nella sua funzione, nelle costru-zioni che si sono succedute sulla punta di S. Pietro. Un piccolo indizio, inogni caso, si poteva già cogliere nelle stesse fonti relative alla costruzionedelle torri cinquecentesche: il bando del vicerè, infatti, non citaAcquafredda come sito in cui costruirne una, e solo più tardi, per le prote-ste della popolazione, si dà inizio all’opera16.

Una traccia più concreta compare in letteratura in relazione all’episodiodell’uccisione di C. Carducci, nel 1848: trasformata in quella che CarloPesce17 definisce “una bizzarra casetta circolare”, vi si trova a soggiornare ilprete Peluso, responsabile dell’assassinio del patriota cilentano. Senza entra-re qui nei dettagli della vicenda (che ritornerà nella narrazione poco oltre),diremo che la parte più antica di quella che è oggi Villa Nitti ha effettiva-mente inglobato un ambiente a pianta circolare, le cui caratteristiche sonoleggibili nelle poche immagini in cui la muratura interna non è ancora stataricoperta dall’intonaco. Osserviamo così una tecnica in cui è stato messo inopera pietrame rozzamente squadrato, legato con malta povera, e dove sonoben visibili le buche pontaie: elementi, tutti, che ci riportano a quantoosservato nelle torri già menzionate, mentre rafforza ulteriormente l’ipotesisulla funzione della struttura il considerevole spessore del muro perimetra-le, che raggiunge il metro. I raffronti dimensionali sono di scarsa utilità,visto che i dati relativi non sono tutti disponibili (e comunque non omoge-nei, per via dello stato di conservazione dei vari monumenti), ma quellache potremmo denominare “torre di S. Pietro” non si discosta molto, neldiametro, dal torrione di Apprezzami l’Asino. Non privo di significato(anche per le analogie che si potrebbero istituire quanto meno con la torreDino) risulta altresì il sistema di aperture ricostruibile attraverso le tompa-gnature: la comunicazione con l’esterno non sembra avvenisse tramite laporta attuale (che si direbbe essere stata in precedenza una finestra), bensìtramite quella orientata a Nord.

La quota cui sono impostate le aperture stesse induce poi ad ipotizzareche la base della torre fosse impostata alquanto più in basso: il terrapienocreato sul lato mare impedisce qualsiasi osservazione, ma una conferma

indiretta ci viene dalla descrizione della struttura data nell’Ottocento,quando è divenuta caserma delle guardie doganali, dato che vi si accede dalfronte costiero attraverso una piccola gradinata, e che l’ambiente circolareviene indicato al primo piano18.

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La torre di Mezzanotte e la torre Apprezzami l’Asino allo stato attuale.

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Particolari di torre Apprezzami l’Asino prima (in alto) e dopo gli interventi di restauro.

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Torre Apprezzami l’Asino: pianta e sezioni (dis. M. Papaleo).

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Torre Apprezzami l’Asino: prospetti (dis. M. Papaleo).

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Interno della presunta torre inglobata nella palazzina Nitti: a sinistra, particolare della muratura.

Note

1) A. TRAMONTI, Il Paleolitico e il Mesolitico, in Archeologia, arte e storia alle sorgentidel Lao, a cura di P. BOTTINI, Matera 1988, pp. 27-41.

2) C. MAROTTA, Grotte ed aree carsiche della Basilicata, Villa d’Agri 1997, pp. 43-60 e86-125; per le due grotte citate, in part., pp. 48-49.

3) Vd. sotto.4) Il rinvenimento si deve a R. Limongi.5) S. BIANCO, Dal Neolitico all’Età del Bronzo, in Archeologia Lao, cit., pp. 43-66; 6)

ID., Presenze pre-protostoriche nell’area di Maratea, in Sulla rotta della Venus, a cura diP. BOTTINI e A. FRESCHI, Taranto 1993, pp. 81-83.

7) P. BOTTINI, Capo la Timpa: un insediamento indigeno tra età arcaica ed età romana,in Venus, cit., pp. 85-93.

8) EAD., ibidem, pp. 97-100 (Santo Janni); pp. 105-109 (Capo la Secca); pp. 110-113(Castrocucco). In quest’ultima area, la necropoli preromana è stata rinvenuta solo direcente: P. BOTTINI, Il Lagonegrese tra età classica ed età ellenistica, in Greci e indigenitra Noce e Lao, Lavello 1998, p. 22 e tav. a p. 30; di recentissima individuazione èanche il piccolo cimitero altomedievale annesso alla chiesetta di Santo Janni, sull’iso-lotto omonimo.

9) O. PASANISI, La costruzione generale delle torri marittime ordinata dalla R. Corte diNapoli nel sec. XVI, in Studi di storia napoletana in onore di Michelangelo Schipa,Napoli 1926, pp. 423-442, e in part. P. 441, n. 1.

10) L. SANTORO, Le torri costiere della Campania, in Napoli nobilissima, VI, 1967, pp.38- 49. La scelta della pianta uniformemente quadrata, nel XVI secolo, risponde aprecise esigenze strategiche; da ultimo, L. SANTORO-G. ZAMPINO, Castelli e torri,in Storia della Basilicata, 3. L’età moderna, a cura di A. CESTARO, Bari 2000, pp. 55-65.

11) V. FAGLIA, Tipologia delle torri costiere nel Regno di Napoli. Le torri costiere dellaProvincia di Basilicata, Roma 1975.

12) FAGLIA, op. cit., pp. 61-62 (torre di Mezzanotte) e 75 (torre Dino).13) Il rilievo, particolarmente difficoltoso, è stato eseguito dai disegnatori S. Coronato e

M. Papaleo, e grazie alla collaborazione di G. e S. Ferrari, J. Montesano, G. Passarellae D. Rossini.

14) A. PERSIA, Torre Apprezzami l’Asino, in Il sistema difensivo in Basilicata. Le torricostiere, a cura di L. BUBBICO, F. CAPUTO, A. TATARANNO, Potenza 1995, pp.67-68.

15) Vd. nota 9.16) A. TATARANNO, in Il sistema difensivo…, cit., pp. 67-68.

17) Per le referenze bibliografiche rimandiamo al testo che segue, di Valeria Verrastro,dove l’episodio è riportato compiutamente.

18) Anche per questo si rinvia alle fonti d’archivio analizzate oltre.

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