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VII-1 7. Misura di parametri reologici Le proprietà reologiche dei prodotti alimentari sono estremamente importanti per una accurata progettazione degli impianti di trasformazione e per la loro influenza sulle proprietà percepite nel momento in cui l’alimento è consumato. Le sostanze alimentari sono caratterizzate generalmente da una struttura interna che opera a livello sopramolecolare e, da cui dipendono molte delle proprietà percepite quale, ad esempio, la consistenza. Questa, indicata anche come texture, si sviluppa nell'arco di tutto il processo produttivo, per cui la sua progettazione non è disgiunta dalla progettazione del processo stesso. Per poterne predire il valore è necessario pertanto predisporre uno studio preliminare sulla struttura interna del materiale e identificare i parametri che la influenzano. In effetti, per quanto detto, sia il processo sia la composizione sono responsabili dello sviluppo della struttura. Pertanto parametri fisici caratterizzanti ingredienti, modi e condizioni operative risultano essere essenziali nella definizione della struttura interna che, d'altra parte, è caratterizzata da opportuni parametri reologici che a loro volta possono essere relazionati alle valutazioni sensoriali di panel specificamente addestrati. La ricerca di un modello di comportamento reologico, di tipo predittivo, è certamente impresa piuttosto ardua, anche perché al di là della complessità legata alla variabilità e diversità dei componenti, esiste una difficoltà sperimentale nel riprodurre le condizioni di consumo, laddove si valutino le proprietà reologiche. Basti pensare che, quando si mastica un prodotto alimentare, la sua struttura interna viene distrutta e contemporaneamente esso viene miscelato con la saliva e riscaldato alla temperatura corporea. Strumenti reologici, sia teorici sia sperimentali, adatti a riprodurre queste condizioni, non esistono. Pertanto la misura reologica ideale deve essere vista come un insieme di misure empiriche e misure fondamentali e misure sensoriali.

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7. Misura di parametri reologici

Le proprietà reologiche dei prodotti alimentari sono estremamente importanti per una accurata progettazione degli impianti di trasformazione e per la loro influenza sulle proprietà percepite nel momento in cui l’alimento è consumato.

Le sostanze alimentari sono caratterizzate generalmente da una struttura interna che opera a livello sopramolecolare e, da cui dipendono molte delle proprietà percepite quale, ad esempio, la consistenza. Questa, indicata anche come texture, si sviluppa nell'arco di tutto il processo produttivo, per cui la sua progettazione non è disgiunta dalla progettazione del processo stesso. Per poterne predire il valore è necessario pertanto predisporre uno studio preliminare sulla struttura interna del materiale e identificare i parametri che la influenzano. In effetti, per quanto detto, sia il processo sia la composizione sono responsabili dello sviluppo della struttura. Pertanto parametri fisici caratterizzanti ingredienti, modi e condizioni operative risultano essere essenziali nella definizione della struttura interna che, d'altra parte, è caratterizzata da opportuni parametri reologici che a loro volta possono essere relazionati alle valutazioni sensoriali di panel specificamente addestrati.

La ricerca di un modello di comportamento reologico, di tipo predittivo, è certamente impresa piuttosto ardua, anche perché al di là della complessità legata alla variabilità e diversità dei componenti, esiste una difficoltà sperimentale nel riprodurre le condizioni di consumo, laddove si valutino le proprietà reologiche. Basti pensare che, quando si mastica un prodotto alimentare, la sua struttura interna viene distrutta e contemporaneamente esso viene miscelato con la saliva e riscaldato alla temperatura corporea. Strumenti reologici, sia teorici sia sperimentali, adatti a riprodurre queste condizioni, non esistono. Pertanto la misura reologica ideale deve essere vista come un insieme di misure empiriche e misure fondamentali e misure sensoriali.

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La situazione descritta è caratteristica peculiare della reologia degli alimenti. Le notevoli difficoltà sperimentali hanno spinto i tecnologi del settore a ricorrere a misure che si definiscono empiriche nel senso che sono basate su esperimenti e quindi risultano affidabili solo per un controllo estremamente standardizzato; d'altra parte le proprietà percepite sono quelle che il processo deve conseguire, per cui si è sviluppata una procedura di analisi sensoriale il cui obiettivo fondamentale è rendere oggettiva una misura che è inerentemente soggettiva. Le misure fondamentali sono quelle proprie della reometria, laddove si usano cioè campi di flusso o di deformazione controllati, tipicamente a taglio o elongazionali. Esiste la possibilità anche di operare all’inverso, e cioè applicare un campo di forze e misurare il risultante campo di deformazione. Il legame tra questi due campi, in entrambi i casi, costituisce la caratteristica reologica del materiale trattato: si può quindi osservare come questo modo di procedere produca parametri che sono ben definiti a differenza delle altre metodologie. Resta da notare che i lavori di ricerca recenti tendono a ridurre sempre più l’area delle misure empiriche, nel senso che le moderne tecniche numeriche di analisi dei campi di deformazione, anche per condizioni al contorno complesse, hanno reso possibile la conversione di molte misure empiriche in misure fondamentali.

Per quanto riguarda le misure reologiche fondamentali il loro ottenimento su prodotti industriali ha in definitiva le seguenti implicazioni:

- controllo della qualità dei materiali sia in ingresso sia in uscita;

- controllo dell’effetto della variazione di specifiche variabili sulle proprietà del materiale;

- progettazione del prodotto, del processo e dei relativi impianti;

- correlazione tra struttura interna e proprietà macroscopiche.

Mentre i primi due punti sono realizzabili attraverso un opportuno programma sperimentale, gli ultimi due necessitano dell’ottenimento di un'equazione costitutiva ricavata, eventualmente, attraverso un’appropriata generalizzazione dei risultati ottenuti dagli esperimenti effettuati.

Per quanto riguarda l'approccio seguito per affrontare questa problematica, si distinguono due metodologie che sinteticamente possono definirsi come diversificante e unificante. Il primo approccio consiste nel considerare ogni sistema diverso dagli altri e quindi modellarlo nella sua specificità. L’approccio unificante è invece basato sul riconoscimento di elementi comuni e nella creazione quindi di una classe di materiali da trattare sia sperimentalmente che teoricamente in un'unica maniera laddove la diversificazione è limitata all'intensità delle funzioni e parametri materiali misurati o previsti. In questo caso rientrano, per quel che riguarda l'aspetto sperimentale, le misure fondamentali e dal punto di vista teorico, le teorie strutturistiche e quelle della meccanica del continuo.

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Approccio Diversificante: Aspetti Sperimentali.

Le difficoltà sperimentali incontrate nel trattare le sostanze alimentari ha portato a sviluppare in maniera pragmatica tecniche di misura particolari per ogni singolo materiale, che hanno richiesto lo sviluppo di una varietà impressionante di strumenti. Se ci si limita per quanto detto precedentemente alle sole misure empiriche, cercando di generalizzare per quanto possibile, si ha che la consistenza viene misurata attraverso penetrometri, tessurometri, compressimetri o viscosimetri.

I penetrometri rappresentano uno dei più antichi strumenti usati per la misura della consistenza. Come il nome stesso indica, essi sono basati sul principio di penetrare il materiale di prova con una sonda opportunamente sagomata, comunemente di forma conica o cilindrica o a lama, e misurare la forza richiesta per realizzare una predeterminata profondità di penetrazione o viceversa quella che si ottiene per un certo valore di forza applicata. Più è alta la forza misurata o più piccola è la penetrazione realizzata, più resistente è il materiale. Questo sistema può essere considerato una misura della durezza. E' evidente come non ci sia un controllo della velocità di deformazione che pure è un parametro importantissimo per la risposta del materiale. Nella figura si riportano due tipici schemi, e relativamente ad un classico penetrometro le misure dello yield che può essere qualitativamente correlato ad alcune caratteristiche sensoriali.

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I tessurometri sono in pratica dei dinamometri che consentono di fornire energia meccanica a velocità costante. Il risultato è una curva forza-tempo relativa alla geometria usata e che rappresenta una registrazione permanente dello spettro della consistenza del materiale di prova. L’interpretazione delle curve è basata su di un sistema di classificazione che tenta già di correlare i parametri meccanici ad attributi del tessuto descritti dal panel sensoriale. Durezza, coesività, elasticità e adesività possono essere ricavati direttamente dalle curve, mentre parametri quali gommosità o chewiness sono invece calcolati essendo una combinazione dei precedenti parametri. In figura è mostrato un tipico esempio.

I compressimetri misurano la resistenza dell'alimento a compressione. Similmente alle prove penetrometriche, essa può essere ottenuta o come una forza per produrre una certa

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deformazione assegnata o come una deformazione causata da una certa forza imposta. I compressimetri differiscono dai penetrometri essenzialmente in quanto il materiale in prova non viene penetrato. Nelle figure successive sono riportati due tipici esempi.

Il comportamento notevolmente non-newtoniano esibito dalla maggior parte degli alimenti, ha portato alla realizzazione di viscosimetri che si discostano da quelli usati nella classica reometria, i cui campi di flusso non sono sempre facilmente analizzabili. Spesso si ricorre a misure della viscosità in un sol punto, che risultano essere di valore molto limitato e spesso ingannevoli. Caratteristico è il cosiddetto indice di Bostwick per la misura della consistenza dei succhi vegetali mediante un piano inclinato su cui viene fatto scorrere il prodotto sotto un battente costituito dallo stesso materiale contenuto in un serbatoio: l’avanzamento che si realizza sul piano in un certo tempo è assunto come misura della consistenza del prodotto. In figura è riportato un esempio in cui si mostra la misura di consistenza di una passata di pomodoro.

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A questa categoria di strumenti possiamo far afferire anche i farinografi, mixografi, alveografi e amilografi: sviluppati specificatamente per la caratterizzazione degli impasti cerealicoli e basati sulla misura della potenza meccanica necessaria per mettere in movimento il campione di impasto in certe condizioni geometriche. Ognuna di queste apparecchiature prevede particolari condizioni di uso e accorgimenti: la loro utilità sta nel fatto che per produzioni standardizzate esistono una grossa quantità di dati sperimentali che possono essere utilizzati.

Un farinografo permette lo studio della evoluzione delle caratteristiche di un impasto nel tempo tramite la registrazione della resistenza che l’impasto oppone ad una sollecitazione meccanica costante in particolari condizioni operative (velocità di mescolamento, temperatura). Si ottiene un diagramma sforzo/tempo chiamato farinogramma.

Le tipiche curve di risposta di un farinografo sono utili per stabilire la quantità d'acqua necessaria per ottenere l’optimum reologico nella fase di impasto, mentre un alveogramma, viene usato per stabilire la forza di una farina. L’alveografo di Chopin è un apparecchio che serve a misurare l’estensibilità di un impasto. Tecnicamente si opera formando un impasto che viene successivamente suddiviso in piccoli dischi rotondi che, posati su un cilindro, vengono sottoposti ad una pressione e gonfiati fino a raggiungere il punto di rottura. Tutto questo viene riportato su di un grafico dal quale vengono estrapolati gli indici.

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Il grafico ottenuto indica tre valori dell'impasto: la resistenza allo stiramento, rilevabile dall'altezza massima ottenuta dalla curva (P); l'estensibilità, rilevabile dalla sua lunghezza complessiva (L), (dall'espansione alla rottura della bolla); la forza, rilevabile dall'area interna dell'alveogramma, indicata con W (cm2), che sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà l'area di riferimento.

Un parametro molto importante da valutare è il rapporto tra tenacità ed estensibilità, ossia il P/L; un valore di P/L basso (< 0.40) è indice di un impasto molle, estensibile e probabilmente colloso, un valore di P/L elevato (> 0.90) indica impasti difficili da lavorare che danno pane poco voluminoso e con mollica compatta. Le farine usate in panificazione hanno dei valori di P/L compresi tra 0.4 e 0.7. Un valore di W superiore a 280 è caratteristico di una farina di forza impiegata per impasti a lunga lievitazione, o come rinforzante di farine più deboli. W compreso tra 230 e 280 indica una farina equilibrata adatta alla produzione di pane e pasta per pizza. W inferiore a 170 indica una farina con scarse attitudini alla produzione di pane e pizza, destinata soprattutto a produzione di prodotti che non necessitano di lievitazione (biscotti, cialde ecc..).

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Approccio Unificante: Aspetti sperimentali

Per quel che riguarda gli aspetti sperimentali si cerca di ricorrere sempre più alle misure fondamentali. Molti strumenti sono stati proposti per misurare la viscosità e, più in generale, le proprietà reologiche di un fluido. Tali strumenti prevedono di imporre sul prodotto una ben definita tensione e di misurare la deformazione o la velocità di deformazione (o viceversa).

Essi possono essere di due tipologie fondamentali:

- reometri a tubo capillare;

- reometri rotazionali.

Nei reometri a tubo capillare si forza il fluido attraverso un tubo di geometria nota in condizioni isoterme. La relazione tra la velocità di deformazione e tensione è ottenuta dalla misura del gradiente di pressione e della portata volumetrica attraverso il tubo.

Si assume che il flusso sia stazionario e laminare, che le proprietà del fluido (assunto incomprimibile) non varino nel tempo, che non ci sia scorrimento alla parete, e che la viscosità non sia influenzata dalla pressione.

Nel caso di un fluido newtoniano valgono le seguenti relazioni:

2wR P

Lτ ∆

=

3

3w

QR

γπ

=

La principale causa di errore di misura è legata all’effetto di imbocco, a causa della variazione

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della sezione di passaggio. Le perdite di carico all’imbocco possono essere significative e devono essere valutate. A tale proposito si possono impiegare o tubi molto lunghi, misurando la caduta di pressione in una regione in cui il flusso laminare sia completamente sviluppato, oppure si può correggere la misura ottenuta, andando ad aumentare la lunghezza del tubo, ponendo lo shear stress eguale a:

( )2P R

L eRτ ∆ ⋅

=+

ovvero:

2 2LP eR

τ τ∆ = +

Diagrammando ∆P in funzione di L/R si può determinare il valore vero dello shear stress (τ) dalla pendenza della curva, ed e viene stimato dal valore di L/R per cui ∆P = 0.

Altro effetto che può alterare la misura è quello di parete, legato all’interazione tra la parete del tubo ed il fluido in moto in prossimità della parete. In molte soluzioni polimeriche e sospensioni il gradiente di velocità in prossimità della parete può determinare un qualche tipo di orientamento preferenziale delle particelle sospese o delle molecole di polimero. Il risultato è la formazione di un sottile strato a bassa viscosità in prossimità della parete.

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Al riguardo, si definisce un coefficiente di slip:

sc

w

v Rβτ

=

che viene ottenuto come pendenza della curva 3

w

QRπ τ

in funzione di 2

1R

a τw costante.

La portata può essere così corretta:

c w cQ Q Rπ τ β= −

ed il valore vero di shear rate alla parete è dato da:

3

3 1 cQnn R

γπ

+⎛ ⎞= ⎜ ⎟⎝ ⎠

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Nel viscosimetro a piatto e cono vengono generate ben definite shear rate in un ampio intervallo di valori. Il volume del campione è in genere piccolo (0.5-2 ml), e la sua temperatura può essere misurata e controllata con precisione. Il principio di funzionamento prevede la misura della coppia necessaria per avere rotazione con una velocità desiderata; la coppia è proporzionale allo shear stress nel fluido.

La punta del cono è sistemata verticalmente in contatto con il supporto orizzontale. Quando l’angolo del cono è molto ottuso (θ < 4°) e viene fatto ruotare a velocità costante si hanno misure di viscosità molto precise. La viscosità è data dal rapporto di shear stress e di shear rate.

In questo caso si ha:

3

32

TRθϕτ

π=

0tanγ

θΩ

=

L’uso di questi reometri è limitato a valori relativamente piccoli di shear rate. Per alti valori infatti gli effetti di bordo legati all’inerzia del campione rendono le misure inutilizzabili (a causa di moti secondari che vengono ad essere generati). Un’altra limitazione all’uso di questi reometri è legata al fatto che alcune sospensioni contengono particelle la cui dimensione è comparabile alla distanza tra le superfici.

Nel viscosimetro a piatti paralleli questo problema può essere risolto aumentando la distanza tra i piatti, che deve però rimanere sempre molto minore del raggio del piatto. Un esempio per la pasta di pomodoro è mostrato nella figura seguente: l’effetto del contatto tra le particelle ed il piatto è osservato per distanze tra i piatti inferiori a 500 µm. Per distanze maggiori, lo shear stress misurato aumenta con l’aumentare della distanza. Questo effetto può essere legato alla variazione della struttura del fluido che si ha nel caricamento dell’apparecchiatura e che è evidentemente più marcato per piccoli valori della fenditura.

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Un secondo esempio, per la purea di mele, è mostrato nella figura seguente. Per distanze tra i piatti minori di 500 µm i valori di shear stress sono maggiori, probabilmente perché il contatto particella-piatto controlla la resistenza al flusso. Per valori di distanza tra i piatti superiori a 1000 µm le misure di shear stress non dipendono più dalla distanza tra i piatti.

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Altro viscosimetro rotazionale è quello a cilindri concentrici.

In questo caso, per fluidi newtoniani, si ha:

22 i

Tr hθϕτ

π=

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2

2

1 i

o

rr

γ Ω=

⎡ ⎤⎛ ⎞⎢ ⎥− ⎜ ⎟⎢ ⎥⎝ ⎠⎣ ⎦

Il valore di soglia della tensione (yield stress) può essere determinato con numerose tecniche. Si possono ad esempio misurare valori di shear stress per shear rate molto basse ed estrapolare i risultati ottenuti, od estrapolare valori impiegando modelli reologici che includono uno yield stress. Una tecnica molto usata consiste nel diagrammare la viscosità in funzione dello shear stress: la viscosità tende ad un valore infinito quando lo shear stress è pari allo yield stress.

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Le misure possono essere eseguite in un regime stazionario, ovvero in transitorio, nel qual caso le predette funzioni materiali possono essere funzione anche del tempo. Spesso gli alimenti non presentano un regime stazionario, un esempio caratteristico relativo ad impasti cerealicoli è mostrato in figura.

Questa difficoltà sperimentale, legata essenzialmente alla scarsa resistenza meccanica esibita dagli alimenti, spinge ad utilizzare altre tecniche reometriche che, lavorando all’equilibrio, non disturbano eccessivamente il materiale sotto prova. Si ricorre quindi a misure a taglio in oscillatorio con una ampiezza di oscillazione molto piccola.