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50 Grandi Idee Di Management

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grandi idee

management

Edward Russell-Walling

edizioni Dedalo

 

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IntroduzioneLe aziende sono molto simili alle persone, se non le si esamina troppo a fondo. Se ne

trovan o poche di gentili e premurose, e altrettan to p oche di decisamen te sgradevoli. E tra i

due estremi, ci son o mol te sfumature. Com e tutti noi, esse vogliono farsi strada, guadagnare

di più e influire sugli altri. E pen sano - mol to - a com e fare per ott en ere tu tto ciò. Un a

ma nciata di esse possiede abb astanza fiducia nei prop ri mezzi e consap evolezza di sé per ela-

borare un p roprio piano. Al tre si senton o più sicure facend osi consigliare da un professionista.

Il resto, e ce n'è in abbon danza, asp etta di vedere cosa faranno gli altri e di copiarn e le idee.

Originali o prese in prestito, tali idee costitu iscono l'oggetto di questo libro. In talun i

casi esse riguardan o la strategia comp lessiva - il mo d o in cui l'aziend a prog etta di rag-

giungere i propri obiettivi. In altri casi, si tratta delle modalità di gestione, o management.

In altri ancora, ci si occup a dell'organizzazione - il m od o in cui l'aziend a si stru ttu ra e

adegua i propri sistemi. Nell'ambito della gestione aziendale esistono impostazioni diverse

riguardo il modo di esercitare un'efficace concorrenza, di motivare i dipendenti o

migliorare la qualità, la leadership e perfino il modo d i pen sare.

I modelli gestionali sono un prodotto come qualsiasi altro. Spesso sorgono come prassi

all'intern o di aziende in nov ative, ma di solito vengon o predicati con insistenza sotto formadi teorie - ven gon o cioè trasformati in idee - nelle facoltà di Econ om ia. Di qui essi passano

ai rivenditori di idee, i consulenti aziendali e gestionali, che li distribuiscono tra le varie

aziende. Queste ultime mettono le idee in pratica e riferiscono sulle eventuali carenze. Gli

accadem ici rito ccan o il pro getto e, se l'idea è valida, il ciclo cont in u a.

Com e ogni altro prodotto, le idee han no u n valore, che p uò anch e essere alto, soprattu tto

se sono nuove e brillanti. Ma h an no an che un a scadenza. Un'id ea accattivan te d iventa un

must assoluto del management per un periodo, e poi esce di scena, quando i manager siaccorgono che non mantiene quanto promesso dalla confezione. Alcune sono migliori di

altre ed ent ran o a far parte della tradizione, ad attate ai tempi nu ovi. Altre caratteristiche p ar-

ticolarmente attraenti vengon o propagandate e vendu te in misura esagerata, poi cadon o in

disgrazia, anche se qu alche elem en to essenziale sopravvive e diviene p arte del pensiero comu -

nem ente accettato. Qu esto ciclo in cui contin uam ente nu ove stelle oscurano q uelle vecchie

viene perpetuato in parte dai professori universitari e dai consulenti, che hanno bisogno di

un flusso di nuovi prodotti se vogliono restare in attività, e in parte dalla domanda deimanager, dotati di un robusto ap petito per qualsiasi cosa p rom etta d i migliorare i loro affari.

II man agemen t no n h a mai scelto davvero tra essere arte o scienza. La scienza p rom ette

certezza, una qualità inafferrabile nel moderno mondo delle imprese, e i manager ame-

rebbero averne una quota maggiore. E questa mancanza di garanzia sul prodotto in un

mondo che insiste sul cambiamento che continuerà a far emergere nuove idee sul mana-

gement, incrementando continuamente quella varietà in evoluzione che, spero, il

presente libro contrib uirà a far con oscere.

 

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50 grandi idee di management

01 AdhocraziaPer q u anto riguar d a le stru t tu re organizzative, l 'adh ocraziaè l 'opposto della burocrazia - non strut turata, decentratae, almen o in teoria, cap ace di da re risp oste flessibili.In un a bu rocrazia la s t ru t tu ra è più imp ortante d elle persone.

Un'adhocrazia, invece, è progettata per valorizzarleal m assimo.

Una burocrazia, secondo l ' Oxford Dictionary of Business and Management, è «un

sistema amministrativo gerarchico chiamato a svolgere grandi quantità di lavoro

in modo abitudinario, in larga misura mediante applicazione di un sistema di

nor me rigide e im personali. E caratterizzato d a stabilità e durevolezza, da un proprio

corpus di esperienze e precedenti, e dal fatto di non fare affidamento sui singoli

individui». Tutto questo, più o meno, riassume ciò che un'adhocrazia non è.

L'idea è apparsa inizialmente nell'opera del teorico statunitense della leadershipWarren G. Bennis. Scrivendo dell'azienda del futuro in The Temporary Society,

in collaborazione con Philip Slater nel 1968, predisse che essa si sarebbe basatasu gruppi di p rogetto (project teams) agili e flessibili nell'ambito di una struttura* t , j . _ . da lui battezzata «adh ocrazia». Il term ine deriva dall'e-

% L a d h o cr a z i a . , . ,, , . .,. ,N • x • spressione latina ad hoc, che significa «per un deter-e CaOS o r gan izza t o , y m inat o scopo», an che se oggi trasmette pu re un senso

 AlVin Toffler, 1870 di improvvisazione.

L'idea delle ad hocrazie h a ricevu to u n impulso più deciso da Alvin Toffler nel suo

best seller del 1970 Lo shock del futuro, in cui l'autore le descriveva come «un

nuovo mondo di organizzazioni cinetiche dalla forma libera». Egli prevedeva che

le aziende per sopravvivere avrebbero avuto bisogno di strutture più orizzontali,flussi informativi più rapidi e gruppi di progetto che si sciogliessero una volta

terminato il loro compito. In seguito è stato Henry Mintzberg ad appropriarsi

del termine. Anche Mintzberg, che è diventato famoso studiando come i

linea del tempo

Innovazione

1450 1920Decentramento

 

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adhocrazla I S

Organizzazioni (e meccanismi di coordinamento) di Mlntzberg

Semplice Complesso

Stabile Burocrazia meccanica

Lavoro, processi e

prodotti standardizzati

Burocrazia professionale

Capacità e norme

standardizzate

Dinamico Struttura semplice

Supervisione diretta

Adhocrazia

Aggiustamento reciproco

man ager spend ono effettivam ente il loro tempo, si interessava alle struttu re orga-

nizzative. Nel suo libro del 1979, intitolato The Structuring of Organizatìons, tra

l 'al tro, ne individuava quattro t ipi fondamentali . Questi ul t imi venivano sta-

bil i t i r icorrendo a una matrice due per due che incrociava la natura del loro

ambiente di lavoro (semplice o complesso) con i l r ispett ivo ri tmo di cam-

biamento (stabile o dinamico). Le organizzazioni risultanti erano la burocrazia

meccanica, la burocrazia professionale, la struttura semplice, l 'adhocrazia.

Mintzberg sostiene che ognuna usa meccanismi sostanzialmente diversi per coor-

dinare le proprie attività, e osserva inoltre che ogni tipo di organizzazione ha

un a sua configurazione di potere.

La bu rocrazia meccan ica È contraddistinta da compiti operativi e pro-cedu re formali altamen te specializzati, da num erose nor me e regolamentazioni auto-

prodotte, da una comunicazione formale, da unità operative di grandi dimensioni

e da un p rocesso decisionale relativamen te centralizzato. Dispone in oltre di molte

di quelle che Mintzberg chiama «tecnostrutture» - plotoni di manager, pianifi-

catori e contabili. Il meccanismo di coordinamento è la standardizzazione delle

procedu re e dei prod otti - di cui sono responsabili i tecn ocrat i. In tal mod o, essi

detengono un potere considerevole. Basti pensare alla General Motors.

Le persone più influen ti in un a burocrazia professionale son o i professionisti con

un'elevata formazione che svolgono le principali funzioni operative e lavorano

1968Adhocrazia

2004Web 2.0

 

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Col trifoglio si va sul vellutoLa teoria del management e dell'innovazione

è sempre stata dominata dagli americani,

perché gli Stati Uniti dispongono della più alta

concentrazione di imprese al mondo, e quindi

del più ampio mercato cui essa può rivolgersi.

Ma anche il Regno Unito ha fornito

occasionalmente brillanti contributi, non ultimo

quello di Charles Handy, ex dirigente della

Shell e professore alla London Business

School. Una delle tante idee stimolanti di

Handy è stata la «shamrock organization»,o organizzazione a trifoglio.

Illustrata ne L'epoca della non-ragione 

(1989), la shamrockè  una struttura post-

adhocratica che riflette la crescente flessibilità

e frammentazione di molte organizzazioni

moderne. Il personale di una delle

organizzazioni a trifoglio di Handyè raggruppato in tre petali differenti.

Per primo viene il nucleo centrale della

forza lavoro, composto da manager e

amministratori professionisti a tempo pieno,

ben pagati, gran lavoratori e in numero

ristretto.

Poi c'è la frangia contrattuale. Si tratta

di lavoratori qualificati a contratto, ingaggiati

nei tempi e modi richiesti dall'azienda senza

dover sostenere i costi indiretti del lavoro.

Essi ricevono un compenso per produrre

un risultato specifico, tuttavia all'azienda

può sfuggire il controllo sui loro metodi.

Infine c'è la forza lavoro flessibile, ossia il

personale temporaneo e impiegato part-time.

Le aziende, per realizzare attività di supporto,

preferiscono ricorrere a questo tipo di

lavoratori, la cui remunerazione è inferiore,

anziché al proprio costoso personale

del nucleo centrale.

i n m o d o r e l a t i v a m e n t e i n d i p e n d e n t e . C o m e n e l l a b u r o c r a z i a m e c c a n i c a , e s s i

s o n o t e n u t i a l r i s p e t t o d i d e t e r mi n a t e r e g o l e , ma me n t r e n e l p r i mo c a s o q u e s t e

u l t ime sono genera te a l l ' in te rno , l e norme de i p rofess ion is t i - i l meccanismo d i

c o o r d i n a me n t o - p r o v e n g o n o d a u n o r g a n i s mo e s t e mo . S i p e n s i a g l i o s p e d a l i e

a l le g randi az iende contab i l i .

La Struttura semplice È povera d i t ecnos t ru t tu r e ,

ma presen ta un 'e leva ta cen t ra l izzaz ione de l po te re , inva-

r i a b i l me n t e c o n c e n t r a t o n e l l e ma n i d e l f o n d a t o r e o d e l

d i re t to re genera le . In ta l modo i l meccanismo d i coord i -

na m en to p rend e la forma de l la sup erv is ione e de l cont r o l lodiret t i , e i l capo e i manager pr incipal i eserci tano l ' in-

f luenza prevalente. Questo t ipo di organizzazione tende ad

essere flessibile e informale, suscita lealtà e non si impegna

pa rt icolarm ente n el la pianificazione. La maggior parte d el le

aziende passa per questo s tadio nei pr imi anni di vi ta .

( Q u a n d o l e s t r u t t u r em o n o l i t i c h e a f o r m a d i

«pa lazzo» de l le az iendecedono i l passo , c i

r i t r o v i a m o i n u n m o n d od i t en d e . 5

Charles Handy, issa

 

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 € L' a d h o cr az i a m o s t r a p o ch i s s i m or i s p e t t o p e r i p r i n cì p i c l a s s i c i

d e l m a n a g e m e n t . 5Henry Mintzberg, 1979

L'adhocrazia non ha niente in comune con la burocrazia meccanica, mentre

unisce l ' informalità della struttura semplice alla delega delle responsabilità

tipica della burocrazia professionale, anche se spesso in misura maggiore. Come

ha suggerito Bennis, in questo caso gli specialisti godono di una considerevole

auto nom ia e veng ono collocati all'inter no di piccoli gruppi di progetto orientat i

al mercato. Poiché innov azione e creatività son o centrali p er l'azienda, il livello

di standardizzazione e regolamentazione è basso. Il coordinamento deriva dal-l'aggiustamento reciprocò di gruppi ad hoc, in tal mod o nessuna u nità acquista

un potere sproporzionato. La maggior parte dell'industria delle tecnologie del-

l'informazione (TI) più recente è organizzata secondo lo schema dell'adhocrazia,

come nel caso delle agenzie pubblicitarie e delle nuove imprese delle comuni-

cazioni.

Mintzberg distingueva due tipi di adhocrazia. L'adhocrazia operativa innova erisolve problemi per i clienti, come le suddette aziende informatiche e agenzie

pu bblicitarie. L'adhocrazia am ministrativa ha la stessa struttu ra basata su gruppi

di pr ogetto, ma lavora per sodd isfare le esigenze int ern e - Mintzberg cita com e

esempio la National Aeronautics and Space Administration (NASA). In un'am-

ministrazione ad ho cratica le attiv ità di basso livello possono essere au tomatizzate

o affidate all'esterno.

L'adhocrazia è viva e vegeta. Robert Waterman, coautore di Alla ricerca dell'ec-

cellenza, ha pubblicato un altro libro nel 1990 intitolato Adhocrazia: la forza del

cambiamento. Egli ha d efinito l'ad hocrazia com e «qualsiasi tipo di organizzazione

che esce dai normali schemi della burocrazia per cogliere opportunità, risolvere

problemi ed ottenere risultati». Ed ha inoltre affermato che, in un'epoca di rapidi

cambiamenti, organizzazioni come queste, con la loro capacità di adattarsi e ade-

guarsi, sono quelle che ha n n o più proba bilità di otten ere successo.

idea chiaveL'opposto della b u rocrazia

 

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0 2 La scheda dì

valutazione bilanciataSe i l m an agemen t fosse un a squ adra sp or t iva , la s t ra tegiasarebb e il fu oriclasse ch e d irige il gioco e con q u ista i titolidei giornali . Ma la stra tegi a non serve a n ien te se nonè attu ata con successo. Perciò la m isurazion e del ren d imen to

e il m an agemen t , umil i gregar i , sono al t re t tan to imp ortant ip er segn are pu n ti sul tabellone. A p artir e dai prim i anni '90,la sch ed a di valutazione bilan ciata è st ata un odegli strumenti preferi t i per tenere sotto controllol 'a t tuazione pra t ica del la s t ra tegia .

La sched a di valutazione bilan ciata, o balanced scorecard  (BSC), ha attraversato

da allora varie fasi di evoluzione, ma per la prima volta è stata esaminata in det-

taglio da Robert S. Kaplan e David Norton in un articolo apparso nel 1992 sulla

 Harvard Business Review. La BSC esamina la strategia di un'organizzazione, la

suddivide in obiettivi quantificabili e ne misura il raggiungimento. Comincia

dall'impostazione generale - forse dalla dichiarazione di intenti, o missione - e

la suddivide in strategie, poi in attività tattiche e si conclude con le misurazioni.E la struttu ra di qu este ultime - le att ività di misurazione - ad essere «bilanciata».

Kaplan successivamente h a scritto un libro intito lato Balanced scorecard: t radurre

la strategia in azione, che riassume il tutto in pochi punti essenziali. I due pro-fessori non negavano la necessità dei dati finanziari come aiuto per orientarsi eper tranquillizzare gli azionisti, ma insistevano sulla necessità di adottare altreprospettive. Ne aggiunsero altre tre, portando il totale a quattro.

linea del tempo1965 1985Strategia d'impresa Catena del valore

 

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( L a s c h e d a d i v a l u t a z i o n e b i l a n c i a t a d e s c r ì v el a t e o r ì a d e l l a v o s t r a s t r a t e g i a . Voi r i t e n e t e ch e

f a ce n d o A a c c a d r à B . Q u i n d i o r a d o v e t e c o m i n c i a r e ae s a m i n a r e l a s t r a t e g i a a t t r a v e r s o i v o s t r i m e cca n i s m i

d i r i s p o s t a . .. t e s t a n d o l e i p o t e s i . D o v r e s t e s e m p r ed o m a n d a r v i : s e f acci o A , s u c ce d e r à B ? J

David Norton, 2001

La prospettiva finanziaria «Come curiamo gli interessi degli azioni-

sti?». Poche aziende mancano di informazioni finanziarie. L'andamento finan-

ziario di un'impresa è fondamentale per la sua sopravvivenza e per soddisfare gliazionisti. Dati precisi come la redditività del capitale investito, i costi unitari, il

flusso di cassa, la qu ota d i mer cato e la crescita del p rofitto con tin u an o a svolgere

una funzione molto importante per il progresso dell'azienda. Kaplan e Norton

muovevano ben poche critiche a questo aspetto della misurazione, limitandosi

a suggerire che a volte fosse sovrabbon da nte. Tu ttavia, essi sottolineav an o ch e i

dati finanziari sono, per definizione, dati storici. Essi descrivono cosa è accaduto

all'azienda, ma potrebbero non essere efficaci nell'indicarci cosa sta accadendoadesso. E, come affermano le pubblicità dei prodotti finanziari, un buon

and amen to n el passato no n è u na garanzia di successo per il futu ro.

La p rospettiva del cliente «Come curiamo gli interessi dei clienti?».

Kaplan e Norton scrivevano in un'epoca in cui le aziende cominciavano a

rendersi magg iormente co n to d ella necessità di vedere le cose dal pu nto di vista

del cliente e a riconoscere ch e costa molta più fatica procurarsi un cliente nu ovo

che conservarne uno vecchio. La «customer satisfaction», la soddisfazione della

clientela, si avviava a diventare un mantra e la «gestione delle relazioni con i

clienti» era sul pu nto di divent are la nu ova idea di successo in materia di m ana-

gemen t - e da allora la preoccup azione per i clienti n on è certo d iminu ita. Per

vedere la sua attività da questo punto di vista, l'azienda deve stimare la soddi-

sfazione della clientela rispetto ai prodotti e ai servizi offerti. Le misurazioni

anni '90 1992Gestione delle relazioni con i clienti Scheda dì valutazione

bilanciata

 

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Kaplan e NortonLa scheda d¡ valutazione bilanciata è uno

dei concetti di management di maggior

successo degli ultimi anni. Un'agenziadi consulenza ha stimato di recente che

almeno il 40% delle imprese Fortune 1000

adotta tale metodologia.

I suoi inventori, Robert S. Kaplan e David

Norton, hanno pubblicato vari libri e avviato

una prospera attività di consulenza che aiuta

le aziende a mettere in pratica le loro idee.Kaplan è professore alla Harvard Business

School, dove insegna dal 1984, e nel 2005 è

stato inserito nell'elenco dei 25 Top Business

Thinkers del «Financial Times». Norton

è il consulente della loro società e dirige

la BSCol, l'azienda che hanno fondato insieme.Ne L'impresa orientata dalla strategia,

pubblicato nel 2001, gli autori hanno

aggiornato la scheda di valutazione

trasformandola in «sistema di gestione

strategico», introducendo la cosiddetta

«mappa strategica». Kaplan afferma che

tale mappa, un grafico di una pagina cheriunisce le quattro prospettive della BSC,

è «un modello di come un'azienda

crea valore».

riguardano la soddisfazione d ella clientela, il tasso di m an ten ime nt o d ei client i

acquisiti, i tassi di risposta e la r epu tazione.

La prospettiva interna dell'impresa «Quanto efficaci siamo al

nostro intemo?». Si tratta di una prospettiva rivolta all'interno che misura l'an-

damento di tutti quei processi chiave che fanno funzionare l'azienda. Per molte

imprese, in particolare quelle manifatturiere, tutto ciò suonava più familiare: il

regno dei cronometri e dei blocchi per appunti. Le misure stesse possono

dipendere dal tipo di attività, ma includono in genere l'eccellenza e la qualitàdella produzione, i tempi di arrivo sul mercato dei nuovi prodotti e la

gestione delle scorte. Alcuni riassumono così la domanda cui questa

prospettiva cerca di rispondere: «In cosa dobbiamo eccellere?».

La p rospettiva d ell'app rend imen to e della crescita«Com e possiamo cambiare e migliorare?». Le risposte a questa d omand a

d ann o una misura del potenziale and ament o futuro, concentran do l 'at-

tenzione sulla necessità di investire nello sviluppo del personale dell'azienda.

L'«apprendimento» è un concetto più vasto di «addestramento», sebbene com-

prenda a nch e qu est'ultimo. Le ore di ad destram ento ricevute e il nu mero di sug-

gerimen ti da parte dei d ipend enti p ossono rientrare tra le misurazioni richieste.

Ma Kaplan e Norton promuovono anche l ' idea di mentori e tutori all ' interno

£ Una vo l t a chel o h a i d e s c r i t t o ,p u o i g e s t i r l o . J

David Norton, 2001

 

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dell'azienda, oltre all'instaurazione di un o stile comu -

ni cativo rilassato tra i dip end enti che con sen ta loro

di ottenere collaborazione, ove necessaria, nella riso-

luzione dei problemi. Alcu n i in clud ono in qu esta pro-

spettiva l ' innovazione, aggiungendo misure relative

alla quota della ricerca e sviluppo sul volume delle

vendite, ad esempio, o come p ercentu ale delle vend ite

di nuovi prodotti.

Mettete insieme i dati derivanti d a questi diversi pun ti

di vista e il risultato sarà qu ello ann u n ciato dalla con-

fezione: una visione «bilanciata» dell'azienda, anziché

una prevalentemente finanziaria. Il legame tra misu-

razione e strategia comp are al m om ent o d ella scelta diciò che va misu rato - l'ap para to di misu razione. Ma la

BSC n on si limita alle misurazioni. L'utilità di qu este ultime risiede nel fatto di

offrire ai manager un'immagine più chiara dell'azienda aiutandoli a gestirla in

mod o più efficace - a pren dere decision i migliori - in base a tali dati.

Pertanto Kaplan e Norton, che dell'aiutare le aziende a mettere in atto la BSC

ha nn o fatto un 'attività remu nerativa, affermano ch e si tratta di un sistema sia digestione ch e di misurazione. Essi sostengono che n on si pu ò migliorare u na cosa

se no n la si può misurare. Le risposte della scheda b ilanciata veng ono utilizzate

per adeguare l'attuazione della strategia o, se necessario, la strategia stessa.

Oggi la BSC è an cora largamen te usata dalle grandi aziende e ha tro vato seguito

nel settore p ub blico e tra le organizzazioni no profit. Alcun i u tilizzatori osservano

che, se attuata correttamente, la BSC può diventare un catalizzatore di cam-

biamento. Essi sottolineano che la misurazione dell'andamento non è un fine in

sé. Come suggerisce la legge di Goodhart, tali valori non devono diventare

obiettivi. Devono invece essere strumenti di aiuto per l 'analisi. Non devono

essere accurati, ma la gente deve fidarsi di essi e considerarli indicatori di ciò

che sta accadendo.

( 1 s i s t e m i f i n a n z i a r iso n o s e m p r e d e l l ei s t a n t a n e e : n o n p o s s o n od e sc r i v e r e u n a l o g i c a

t e m p o r a l e d i c a u s aed e f fe t to . Non p osson oi n t e g r a r e t i p i d i v e r s id i a t t i v i t à in ciò ch ec h i a m e r e i u n a r i c e t t as t r a t e g i c a . 5

David Norton, 2001

idea chiaveUna visione globale

dell'azienda

 

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0 3 B e n c hma r k i n gSe qu alcu no h a p iù su ccesso d i voi in qu ello ch e fa, p u ò esseresen sato osservare un po' e vedere cosa p otet e imp arare d a lui .I costruttori americani hanno cominciato a farlo quandosi sono accorti che i loro concorrenti giapponesi gli stavanop ortan d o via i m ercati . Si ch iam a benchmarkinge si è talmen te diffuso tr a le gran d i aziend eche alcun i esp erti e teorici ormai invitano ad an d arci p iano.

I libri di storia indicano la Xerox come la prima grande azienda americana ad

applicare il benchmarking. Tutto è cominciato alla fine degli anni '70, quando

l'impresa, al pari di molti suoi comp atrioti, h a com inciat o ad avvertire la pressione

d ella concorren za. La Xero x ha preso in esame separatam ente tu tte le parti chiav e

della sua attività, dalla produzione alla manutenzione e alle vendite, e le hamisurate confrontandole una per una con quelle delle altre aziende, sia all'estero

che in p atria. Se le prestazioni del processo altrui risultavan o m igliori, ad esempio

per rapid ità, economicità o efficienza, la Xero x decideva per lo meno d i eguagliarle.

Così facendo, l'azienda ha modificato le sue prestazioni complessive e la notizia si

è diffusa. E altrettanto è avvenuto per la pratica del benchmarking.

Un altro famoso esercizio iniziale di benchmarking è stato l 'Intern ational Motor

Vehicle Programme, svoltosi negli anni 1985-90. Coordinato dal MassachussettsInstitute for Technology, esso coinvolgeva costruttori auto mobilistici americani,

europei e giapponesi e mirava a stabilire come mai i produttori del paese asiatico

ottenessero p restazioni ta nt o migliori di tutti gli altri. Le conclu sioni por tarono

all'adozione in Occidente di quella che oggi è nota come lean production, o pro-

duzione snella (si veda p. 112).

U n benchmark  è uno standard di prestazione; può applicarsi a qualsiasi cosa, daitassi di produ zione alla qua ntità di difetti dei prod otti e al modo d i rispondere al

telefono. Nel benchmarking, prima si esaminano le proprie prestazioni, si con-

linea del tempoanni '40Marketing snello Gestione della qualità totale

 

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frontano con le altre e poi, se queste risultano superiori, si fa

ciò che occorre per egu agliarle o - meglio ancora - sup erarle.

E interessante osservare che i giapponesi non hanno un

termine per indicarlo ma, spinti dall'aspirazione al continuo

miglioramento, lo applicano costantemente. C'è stato un

tempo in cui non c'era fiera com merciale occiden tale che nonvedesse la partecipazione di squadre di giovani e gentilissimi

giapponesi intenti a scarabocchiare sui loro taccuini.

Interno ed esterno II benchmarking può prendere diverse forme. Nella

versione interna, ad esempio, può applicarsi per confrontare il modo in cui i

dipartimenti dei servizi di regioni diverse gestiscono i reclami relativi ai prodotti

in garanzia. Se non altro, può essere un buon modo per scoprire come funziona

il benchmarking. Quello estemo è più difficile e dovrebbe essere più produttivo.

Effettuarlo con i concorrenti diretti può essere un'operazione delicata, poiché

essi potrebbero rifiutarsi di fornire determinate informazioni, anche se in certi

camp i, com e la salute e la sicurezza, potrebb ero essere ma ggiorm ente cooper ativi

per il bene d ell'indu stria n el suo comp lesso.

Oltre il p roprio m ercato Applicare il benchmarking a pratiche adottate

da indu strie no n legate tra loro è più facile e in genere più utile, perché è p iù pro-babile che vi dica qualcosa che n on sap ete già. Guard are oltre la propria indu stria

aiuta a togliersi i p ara occhi e - al m om en to dell'app licazione - è m eno p robabile

che ci si scontri con la sindrome del «non è stato inventato qui». Il gestore aero-

portuale britannico BAA ha offerto un classico esempio di benchmarking tr a

indu strie diverse qu and o ha m esso a confr on to le sue osservazioni con q uelle del-

l'ippodromo di Ascot e dello stadio calcistico di Wembley. La scelta dell'azienda

- frutto di grande buo n senso - si basava sul fatto ch e an che essi si trov ava no adover gestire arrivi e partenze di massa in brevi periodi di tempo.

Passo dopo passo I metodi del benchmarking variano nei dettagli, ma

seguono per lo più lo stesso cammino. Si prende un determin ato aspetto come

pu nto di riferimento , che n on sia troppo am pio e sia possibile definire con pre-

cisione. Una scuola di pensiero sostiene che il benchmarking si può e si dovrebbe

applicare a qualsiasi cosa, ma dati i costi in termini di tempo e personale, tale

% I l cos to p iùs i g n i f i c a t i v o[de i b e n c h m a r k i n g ]

è i l t e m p o r i c h i e s t od a l l a s u a g e s t i o n e . J

Oxford Dictionary of Businessand Management, 2008

anni 70 1985 2004Benchmarking  Catena del valore Strategia oceano blu

 

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Errori da evitareIl benchmarking  è stato accolto in Australiacon un entusiasmo superiore rispetto

a qualsiasi altro luogo. Particolarmente

apprezzata da queste parti è la storia

del fornitore di cemento che lo ha applicato

a una pizzeria allo scopo di migliorare

i propri tempi di consegna. La Benchmarking 

Plus, un'agenzia di consulenzadi Melbourne, fornisce i seguenti consigli:

Non confondete il benchmarking  con

una valutazione Le agenzie di valutazione

che si occupano della vostra industria

possono informarvi sulla posizione che

occupa la vostra azienda, ma non possono

migliorarla. Una valutazione può fornire

numeri interessanti, ma il benchmarking 

ci dice cosa si nasconde dietro ad essi.

Non confondete il benchmarking  co n

la ricerca II benchmarking  riguarda

i processi esistenti. Se state avviando un

nuovo processo e volete studiare le idee

delle altre aziende a riguardo, questo ècompito della ricerca.

Non allargate troppo il campo Se un

processo è costituito da un gruppo di attività

e un sistema è un gruppo di processi, non

cercate di sottoporre a benchmarking  un

intero sistema. Richiederebbe troppo tempo,

avrebbe costi troppo elevati e sarebbedifficile concentrarsi sugli aspetti salienti.

Non sottovalutate la necessità di

trovare il partner giusto Individuate con

cura il partner per il benchmarking.

Non fate perdere tempo né a voi né agli altri.

Non trasc urate i vostri c ompi ti

Cercate di conoscere a fondo il vostroprocesso e di sapere cosa volete imparare

prima di rivolgervi a un partner.

Non siate incoerenti Non scegliete un

aspetto che non sia coerente con gli obiettivi

complessivi dell'azienda o che contraddice

delle iniziative in corso.

p u n t o d i v i s ta t e n d e a d i v e n t a r e m i n o r i t a r i o ; p e r q u e s t o s t es s o mo t i v o l ' imp e g n o

d a p a r t e d e i v e r t i c i d e l l ' a z i e n d a è i mp o r t a n t e . P o i s i f o r m a u n g r u p p o . A l c u n e

imprese pre fe r i scono p icco l i g ruppi d i due o t re persone , a l t re g ruppi p iù

n u me r o s i , ma a l me n o a l c u n e d i e s s e d o v r e b b e r o a v e r e u n ' a n z i a n i t à s u f f i c i e n t e a

fa rne approvare le raccomandaz ioni . S i può r icor re re a consulen t i es temi , in par -t ico la re se v i sono problemi d i r i se rva tezza o l ' az ienda manca d i esper ienza ne l

cam p o. In en t ra m bi i cas i, il p r imo passo è a n a l i z z a r e i l p r o p r i o p r o c e s s o dal -

l ' in iz io a l la f ine , in modo da sapere cosa s i s ta met tendo a conf ronto . Per co loro

ch e pe ns an o d i con oscer e i p rop r i p rocess i qu es to eserciz io pu ò dare r i su l ta t i sor -

prendent i e r ive la rs i d i per sé un benef ic io .

Se l e z io n a r e i p a r t n e r : non sempre s i t rat ta di un 'operazione semplice, poiché i piùovvi e at t raent i possono r isent ire del lavoro di benchmarkìng. Stabi l i re i metodi e -

 

importante le unità di misura e infine raccogliere i dati Le relazioni sui dati

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importante - le unità di misura, e infine raccogliere i dati. Le relazioni sui dati

dovrebbero comprend ere qu alsiasi differenza relativa a lle p ratiche, a lla struttu ra e ai

processi del partner. Analizzare i risultati e, come si d ice in gergo, stabilire il divario.

Poi, progettare il cambiamento, individuando le idee che si possono

adottare o adattare per migliorare i propri processi e stabilire come

metterle in pratica. I progetti dovrebbero mirare a un risultato cheno n si limiti a colmar e il divario esistent e. La prossima vo lta che com-

parerete i dati - come necessario - il partner in questione avrà presu-

mibilmente continuato a migliorare anche lui.

Perché non attuarlo Questo modello di benchmarking è di-

ventato talmente consueto come pratica standard che le voci critiche

che si levano nei suoi confronti non possono sorprendere. Uno degliargomenti sollevati è che tale attività costituisce uno sp reco di temp o

destina to al ma nag emen t, che p otrebbe essere utilizzato più opp ortu-

nam ente per riflettere sui problemi fond am entali d ella prop ria azienc

Daniel Levinthal, del Dipartimento di management della Wharton Business

Schoo l, ricon osce il valore e la forza del benchmarking ma avverte ch e pu ò essere

pericoloso imitare alcune pratiche e politiche di altre aziende. Egli sottolinea

che le diverse componenti funzionali di un'impresa sono complementari e sirafforzano reciprocamente - sono interdipendenti. Le aziende che hanno man-

tenuto nel tempo il loro vantaggio competitivo sono quelle capaci di gestire

opportunamente tali interdipendenze.

L'ipotesi implicita nel concetto di benchmarking è che una politica adottata dal-l'esterno possa essere indipendente da qualsiasi altra cosa faccia l'azienda.

Tuttavia, per alcun e di tali comp on enti - ad esempio le risorse uman e - adottarela miglior pratica di gestione di un'altra azienda non solo può non risultareottim ale, ma potrebbe ad dirittura prov ocare d elle disfunzioni. Potrebbe alterarela coerenza del pacchetto di scelte strategiche interdipendenti dell'impresa.

Infine, au men tano le critiche r ivolte al mod o in cui il benchmarking sta portand o

tutte le aziende a somigliarsi tra loro, producendo una convergenza strategica. E

la mancanza di differenziazione, come direbbe l'economista statunitense Michael

Porter, non è una fonte di vantaggi competitivi.

é Cop ia re l em i g l i o r i p r a t i c h ep u ò r e n d e r v i p i ùe f f i c i en t i , mav i f a r à a n c h es o m i g l i a r ed i p i ù a i v o s t r i

concor r en t i . JNicolqj Siggelkow, 2008

idea chiaveTenersi al passo

 

16 I 50 grandi idee di management

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16 I 50 grandi idee di management

0 4 La strategiaoceano bluIn n ovare! In n ovare! Non si p u ò dire ch e sia u n 'idea nu ova.Tutti sann o che la stra tegi a aziend ale ideale è creare un n uovop rod otto che tu tti vogliono e ch e n essun altro offre, m a è piùfacile a dirsi che a farsi. Com e si fa un a cosa del gen ere?W. Chan Kim e Renée M aub orgne p en sano di avere u n a risp osta,un q uad ro p er aiutare le imp rese ad at traversare indenn ile acque agitate, l 'oceano rosso sangue della concorrenza,e app rod are in acq u e p lacide e sen za p red atori - l 'ocean o blu.

Da Mich ael Porter in p oi la maggior pa rte delle imprese ha costru ito le sue strategieattorno all'idea della concorrenza. Ma le teorie di Porter sul vantaggio compe-titivo basato sulla differenziazione o sul costo (cost leadership) sono state così per-suasive da diventare u n d ato accettat o. Tutti le seguono. Il benchmarking strategico

6 Qua ndo un ' a z i e ndas v i l u p p a l a s u a

s t r a t e g i a p e r r e a zi o n e ,n e l m ome n t o i n c u i

ce rca d i t en e re i l p ass ocon la con corren za

perde l a sua un ic i t à . J

W. Chan Kim eRenée Mauborgne, 200S

e operativo non ha portato alla differenziazione, ma a un blando

conformism o intern azionale. L'eccesso di offerta di prod otti stan-

dardizzati, la doman da stagn an te o in calo, e il d eclino della fedeltàal mar chio h an n o in nes cato guerre dei prezzi ed eroso i margini di

pro fitto. Quest o è lo spazio di m ercato n oto, limitat o e aspram ente

conteso, l'oceano rosso. L'oceano blu è lo spazio di mercato ignoto

e non conteso. Alcuni si sono creati il proprio oceano blu e Kim

e Mauborgne, che insegnano strategia e management intema-

zionale all'INSEAD Business School, affermano che le aziende

imp antan ate n ell'oceano rosso possono fare altrettan to.Essi hanno delineato le loro idee nel 2004 in un articolo inti-

tolato Blue Ocean Strategy (La strategia oceano b lu) e le ha nn o poi svilupp ate in

un libro l'anno successivo descrivendo come metterle in pratica.

linea del tempo

1450 1924Innovazione Segmentazione del mercato

 

Artisti del circo II più efficace esempio di azienda che ha colonizzato

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t st de c co p a p a a a a

l'oceano blu è l'affascinante Cirq ue du Soleil, il circo itinera nte canadese per adulti.

Quella del circo era un'attività sul punto di estinguersi quando nel 1984 è stato

fonda to il Cirqu e du Soleil. I bam bini a vevan o di meglio da fare con i loro video-

giochi e le organizzazioni animaliste av evan o p un tato la loro attenzion e sui circhi.

Il Cirqu e du Soleil h a smesso quind i di cercare di battere la concorren za. Inv ece

di scritturare clown più famosi (e costosi) ha creato un nuovo mercato per una

nuova fascia di clienti - che erano ben disposti a pagare molto di più. Da allora

circa 40 milioni di persone hanno assistito agli spettacoli del Cirque.

Tra gli abitanti d i un ocean o blu figurano an che Pr êt a Manger, che serve p iatti

di qualità alla velocità di un fast food; Curves, una catena di centri estetici a

prezzi abbord abili per sole don ne; e JC Decau x, che h a stim olato l'affissione pu b-

blicitaria negli ann i '60 creand o app osite strutture di arredo u rbano. Kim e Mau-borgne sostengono che è una logica strategica a far emergere queste ed altre

aziende dell'oceano blu, e ad essa danno il nome di «inno-

vazione di valore».

La creazione di valore di per sé ha di solito carattere incre-

mentale, e la sola innovazione tende ad essere orientata alla

tecnologia e troppo futuristica per essere accettata in frettadai consumatori. L'innovazione di valore rende la concorrenza

irrilevante creando un repentino aumento di valore per gli

acqu irent i e l'aziend a. Essa lega l'inn ova zion e al valore, colle-

gandola all'utilità, al prezzo e al costo. Qui non si fa la scelta

tipica di Porter tra differenziazione e basso costo, ma si per-

seguono entrambi simultaneamente.

Il manuale di navigazione La formulazione dellastrategia oceano blu segue qu attro pr incìpi:

1. Ridefinire i confin i del m ercato Cercate gli oceani blu dove la concorrenza

non punta la sua attenzione, in industrie che offrono alternative ai vostri pro-

dotti; tra gli utenti anziché tra i compratori e gli influenzatoti di acquisto; nei

servizi comp lemen tari (come l'assistenza post-ven d ita); nel richiam o emot ivo o

funzionale; o andando oltre nel tempo e anticipando le tendenze.

1965 1979 1980 2004 IStrategia d'impresa Benchmarking  Le cinque forze Strategia oceano blu

della concorrenza

6 C o n c e n t r a r s is u l l ' o c e a n o r o s s os i g n i f i c a . . . a c c e t t a r e

i p r i n ci p a l i f a t t o r iv i n c o l a n t i d e l l a g u e r r a- u n t e r r e n o l i m i t a t oe l a n e c e s s i t àd i b a t t e r e il n e m i cop e r v in ce re . J

W. Chan Kkn eRenée Mauborgno, 2006

 

P di ib i

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Provocare una distribuzioneL'innovazione, tanto apprezzata dai teorici del

management, può spingere qualcuno fuori dal

mercato. La tecnologia che elimina il prodotto

dominante è nota come «dirompente» e il suoprincipale cronista è Clayton Christensen,

professore ad Harvard.

L'innovazione dirompente, come afferma

Christensen ne II dilemma dell'innovatore,

assume numerose forme. Una è quella del

«segmento finale», dove il prodotto esistente

supera i requisiti di certi clienti. Il nuovoprodotto entra sul mercato in questo

segmento meno remunerativo, con una

qualità appena sufficiente. Le prime macchine

fotografiche digitali, ad esempio, avevano

una scarsa risoluzione d'immagine, ma erano

economiche. Una volta acquisito un punto

d'appoggio, l'innovatore dirompente devemigliorare il margine di profitto e quindi

aumenta la qualità. L'azienda già presente non

si impegna eccessivamente nella difesa di

questo segmento non troppo remunerativo

e punta alle fasce più alte del mercato per

concentrarsi sui suoi clienti di maggior valore.

Christensen afferma che la riduzione dello

spazio continua progressivamente fino a

quando l'innovatore dirompente non soddisfa

il segmento più remunerativo del mercato.

E fine del gioco.Gli innovatori dirompenti che si affacciano

sui «nuovi mercati» hanno prestazioni inferiori

in base alla maggior parte degli standard,

ma sono adatti a un segmento emergente.

Il sistema operativo Linux rientrava in questa

tipologia. Altri innovatori di questo tipo sono

superiori, ma vengono ignorati dalle aziendegià presenti sulla scena, che difendono i loro

investimenti nelle tecnologie più vecchie.

Per essersi rifiutato di procedere alla

modernizzazione quando è apparso il nuovo e

più efficiente metodo della containerizzazione,

il porto di San Francisco è stato soppiantato

da quello di Oakland. Caratteristica delletecnologie dirompenti è che esse consentono

invariabilmente a una popolazione più vasta

e meno preparata di fare cose di cui

storicamente solo un esperto era capace. Ma,

dice Christensen, non si può avere un effetto

dirompente su un mercato se i clienti non sono

ancora stati saturati dalle offerte prevalenti.

La Net je t s , invent r ice de l j e t a p ropr ie tà f raz iona ta , e ra a l la r ice rca d i merca t i

a l te rna t iv i e ha r i so l to d iversamente i l d i lemma t ra possedere un aereo pr iva to e

v iaggia re in pr im a classe . La Ho m e Dep ot ha fa t to a l t re t ta n to of f rendo consulenze

nel campo del l 'arredamento domestico a prezzi infer ior i a quel l i dei negozi di fer-

ra me nt a . In Gia p p on e , d ove i pa r ru cchie r i per u om o era no inaf fidab i l i, l en t i ecostosi , Q B H ou se li h a resi fun ziona l i , rapidi ed eco n om ici . La Sw at ch ha t ra-

s formato l ' o ro log io econ om ico funz iona le in un 'app ass iona ta espressione d i mod a .

2 . C o n c e n t r a r s i s u l q u a d r o d ' i n s i e me , n o n s u i n u m e r i Kim e Mauborgne descrivo-

n o com e dip ingere u na «tela strat egica», anziché affogare tra fogli di calcolo e bilan ci.

 

3. Ampliare la domanda r ispetto a quella esistente £ L ' innovazione

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Invece di concentrarsi sui clienti, guardare a quelli che

ancora non lo sono. La Callaway Golf si è accorta che

molte persone non giocavano a golf perché trovavano

troppo difficile colpire la palla. Così, ha progettato delle

mazze dalla testa più grande.

4. Seguire la giusta sequ enza strategica Costru ite la stra-

tegia nell'ord ine segu ente. Se la risposta a ognu na d i que-

ste domand e è «no», occorre un ripen samento gen erale:

• Utilità p er l 'acqu irente - La vostra idea di attivit à

prevede un interesse eccezionale per l'acquirente? L'u-

tilità non è l 'equivalente di una tecnologia sor-

prendente .

• Prezzo - I vostri prezzi sono accessib ili senza sforzo per la massa degli

acqu irenti? L'innovazione tradizionale p arte d all'alto e procede verso il basso

(un processo detto «skimming», trascinamento). Ma nell 'oceano blu è

imp ortante sapere dal prin cipio quale prezzo attirerà rapid amen te la massa dei

compratori cui si mira. Il volum e genera guadagni m aggiori di una volta e, per

gli acqu irenti, il valore di un p rod otto pu ò essere strett am en te legato al num erodi persone che lo usano.

• Cost o - Siete in grado di raggiun gere il vostro costo obiett ivo e fare profitti al

vostro prezzo st rategico?

• Adozion e - Q uali ostacoli esistono all'adozione, li state affrontand o fin dal-

l'inizio? Le idee «oceano blu» minacciano lo status quo e possono ispirare

timore e resistenze tra i dipendenti, i partner commerciali e il pubblico.

Educate i timorosi.Kim e Mauborgne completano la loro teoria con dei consigli su come attuarla.

Che sia coerente o meno in quanto metodologia, è un contributo illuminante

alla letteratura post-Porter.

d i va lo re è u n n u o v omodo d i e l ab o ra r e ea t t u a r e u n a s t r a t e g i ache d ia luogo a l l acreaz ion e d i u n ocean ob l u e p e r m e t t ad i s f u g g i r e a l l aconcor renza . 5W. Chan Kim

e Renée Mauborgne, 2005

idea chiaveRendere la concorrenza

irrilevante

 

50 grandi idee di management

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0 5 La matricedi BostonLa m atrice di Boston è i l Marion Bran d o del m an agem en t -bri l lante, celeb rata, app licata rozzam en te e poi screditata ,

m a ancora i l lum inan te nel con testo giu sto. Anche n otacome la m atrice crescita/q u ota, essa costi tuisce,a d et ta d i un autore d el se t tore , un o dei «du e più p otent istrumenti nella storia della strategia».

Le aziende possono usare la matrice di Boston per analizzare il proprio portafoglio

di attiv ità e decidere cosa fam e - spend ere soldi per svilupp arle, lasciarle semp li-cemente andare avanti, o dismetterle. A volte indicata come matrice BCG, è

stata elaborata alla fine degli an ni ' 60 da Bru ce Hend erson d el Boston Consu lting

Group - da cui il nome. A Henderson e ai suoi colleghi si deve anche l'altro di

questi «due pote nt i strum enti» - la curva dell'esperienza (si veda p. 80).

In m atem atica u na m atrice è una tab ella utilizzata per il calcolo di una soluzione.

Più tradizionalmente è uno stampo, usato per realizzare dischi in vinile per l'in-

dustria musicale o per imprimere caratteri. Nel caso della matrice di Boston, leinformazioni immesse vengono trasformate in un'istantanea strategica dell'a-

zienda in base alla quale poi delineare i futuri sviluppi.

Il primo passo nell'uso della matrice consiste nel suddividere l'azienda in areestrategiche di affari (ASA, o SUB, Strategie Units of Business). Un'ASA può essereun a filiale, un a divisione, un p rod otto o un ma rchio - qualsiasi area con i propri

clienti e concorrenti. La posizione dell'area viene inserita nella matrice in base adu e variabili - la sua forza sul m ercato e l'attra ttiva del mer cato in q uestion e.

Su un asse è riportata la quota relativa di mercato dell'area - ossia la quota di

mercato come percentuale di quella del concorrente principale. Quindi, se

 

l'ASA ha il 10% di un segmento di mercato e il suo

i l i i l il 40% h l i di( I «cani» non sono

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rivale principale il 40%, essa ha una quota relativa di

mercato del 25% (o 0,25). A posizioni invertite essa

avrebbe una quota relativa di mercato del 400% (o

4,0). Sull'altro asse è riportato il tasso di crescita del

mercato in questione.

Henderson ha scelto queste due variabili per l ' in-

fluenza che esercitano sulla disponibilità di denaro e

sul consumo. In linea con la sua teoria della curva di

esperienza, un aumento della quota relativa di mercato

dovrebbe accompagnarsi a un vantaggio a livello dei

costi e, pertanto, a un incremento della disponibilità di denaro. Un mercato in

rapida espansione richiede investimenti nella capacità produttiva, il checomporta un maggior impiego di den aro. Questi p rincìpi si riflettono nella suc-

cessiva analisi, una volta stabilita la posizione dell'area all'interno della matrice.

L'attività occuperà una delle quattro caselle della tabella due per due, in mododa attribuirle la carat teristica rispond ente e valutarla opp ortu nam ente, e si avràuna delle seguenti soluzioni.

Cash COWS Le aree di affari con un'ampia quota di mercato maturo (ossia abassa crescita) vengono chiamate cash cows (mucche da mungere). Sono dettetali perché generano più denaro diquanto ne consuman o. And rebberomunte del loro apporto di denaro ealimentate il meno possibile. Ildenaro ricavato può essere in tal

modo utilizzato per incrementare i«pun ti interrogat ivi» e finanziare le«stelle» esistenti (si veda qui diseguito), diversificare le attività eremunerare gli azionisti.

StOTS Le attività vengono dette

«stelle» (stars) quando occupanouna posizione relativamente forte

1965 1966 1968Strategia d'impresa Curva

dell'esperienzaLa matrice di Boston

n e c e s sa r i . So n o l a p r o v ad i u n f a l l i m e n t o d e lt e n t a t i v o d i c o n q u i s t a r eu n a p o s iz io n e d o m i n a n t ed u r a n t e l a f a s ed i cr e sc i t a , o d i r i t i r a r s ie l i m i t a re l e p e rd i t e . JBrace Henderson, 1970

Quota relativa di mercato

Alta Bassa

Stars  9•Question marks 

Cash cows  Dogs 

 

Altre matrici

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Altre matriciLa General Electric, ai suoi tempi un

pianificatore centralizzato monolitico,

chiese aiuto ai consulenti McKinsey& Co per affinare la matrice di Boston,

creandone una propria versione più

dettagliata e sofisticata. L'asse della

quota relativa è sostituito da una più

ampia misura della «forza

concorrenziale» che comprende fattori

come la forza relativa del marchio,la fedeltà del consumatore, la forza

distributiva, tradizione innovativa

e accesso ai finanziamenti.

Lungo l'altro asse la crescita del

mercato viene elaborata in «attrattiva

del mercato», che comprende aspettiquali le dimensioni e la redditività del

mercato, le tendenze dei prezzi e le

opportunità di differenziare. La griglia

della GE sostituisce la matrice di

Boston due per due con una struttura

a tre righe e tre colonne. In tal modo

la semplice distinzione tra crescita equota «Alta» e «Bassa» è sostituita

da forza competitiva e attrattiva

di mercato «Alta», «Media» e «Bassa».

in un mercato in grande espansione. Producono molto denaro, ma a causa della

loro crescita, ne consumano anche molto. E così che deve essere, e dovrebberoricevere tutti gli investimenti necessari a mantenere la loro quota relativa di

mercato. In caso positivo, quando il mercato rallenta si tra-

to Tut t i i p rodot t i a l la sformano in cash cows. In caso negativo, e se si consente

f ine d iven tano «mucche che perdano quote di mercato, possono diventare dogs.

d a m u n g e r e » O «can i». 5 DogS Com e dice il no m e - «cani» - esse com bin an o il

Bruce Henderson, 1970 peggio di entrambe le situazioni, anche se Henderson ori-

ginariamente aveva dato loro il nome di «pets», animali

d omestici. Occup an o u na posizione d ebole in un segm ento di mercato a crescita

bassa o nulla. Non consumano molto denaro, ma neppure ne producono tanto

ed è improbabile che si rivelino molto remunerative. Secondo la teoria, sono

fortem ente cand idat e alla dismissione, in m odo da ricavare denar o utilizzabile per

sostenere le «stelle» o per diversificare. I critici sostengono che le aree che

rientrano nella casella contrassegnata dal cane - in cui potrebbero in fondofigurare numerose ASA di un'azienda - sono suscettibili di trasformarsi in

«mucche da mu ngere».

Questiotl marks Chiamati a volte «bambini difficili», i «punti interro-

gativi» (question marks) sono le aree più insidiose da affrontare. Operano in

 

 € S e n on s i i m m e t t e d e n a ro

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[n e i p u n t i i n t e r r o g a t i v i ] , e s s ir eg red i scono e s i e s t inguono . 5

Brace Henderson, 1970

mercati attraenti e in espansione, ma ricoprono una quota esigua. Quindi da unlato consu man o d enaro per finanziare la crescita, ma d all'altro non n e p rodu cono

molto. La qu estione è quali di essi meritin o gli investim enti aggiuntivi necessari

per accrescere la quota di mercato e trasformarli in «stelle».

La matrice di Boston ha infervorato il mon do d elle aziende nei p rimi anni '70 ed

ha alimentato un'intera cultura basata sulla pianificazione strategica centralizzata

e sulla razionalizzazione e diversificazione delle attività. La crisi petrolifera e laconseguente recessione della metà degli anni '70 hanno rivelato le debolezze

della pianificazione centralizzata e della diversificazione, e la colpa è stata

attribuita in buona parte, forse ingiustamente, al BCG e alla sua matrice.

Com e altri autori han n o segnalato, il tasso di crescita è solo una delle tan te com-

ponenti che rendono attrattivo un mercato, e la quota relativa di mercato è solo

uno degli elementi del vantaggio competitivo. La matrice non tiene conto di

ciò. E particolarmente severa con i «cani», che potrebbero favorire le prestazioni

di altre aree o che , dan do u na diversa definizione di «me rcato», potrebb ero n on

essere affatto tali.

Essa resta, tuttavia, u n b uon prisma attraverso il qu ale osservare una determ inata

attività e, qu antom eno, un u tile pun to di partenza per qualsiasi discussione stra-

tegica. Il cinema non è più stato lo stesso da quando Marion Brando ha fatto

irruzione sullo schermo. E se la matrice di Boston non fosse stata inventata ilmondo delle imprese sarebbe molto diverso.

idea ch iaveCani, stelle, mucche

 

0 6 II BPR

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0 6 II BPRI l Bu siness Process Reengin eering (BPR ) è sta to

i l con cet to d i p u n ta del m anagem en t degl i anni '90.L'en tu siasm o nei suoi confronti si è raffredd ato, ma i suoiprincìpi di fondo sono ancora validi, in particolare se applicatiad aziend e vecchie e di m aggiori d imen sioni ch e son ostat e mod ellate su di essi.

Il BPR, o riprogettazione dei processi aziendali, è stato diffuso, se non proprio

inventato, da Michael Hammer e James Champy attraverso il loro libro del 1993 Ripensare l' azienda. Ham mer am ava dire che il BPR avrebbe «invert ito il corso della

Rivoluzione indu striale». Co n ciò voleva dire che men tre i desideri e i bisogni dei

consum atori si spostavano di contin u o nella nu ova Era dell'informazione, il modo

in cui le aziende soddisfacevano tali bisogni era estremamente stabile e solido.

Diversamente dalla gestione della qualità totale, o cocal qualicy management  (si

veda p. 184), che tendeva ad arrestarsi davanti alla porta dei vari dipartimenti,il BPR procedeva con una visione a volo d'uccello sull'intera attività cercandodi scardinare le gerarchie verticali - «silos» o «ciminiere» - stratificatesi neltempo. Il concetto era che per soddisfare il cliente occorrono processi trasversalirispetto ai suddetti compartimenti verticali e che essi comportano una ridefi-nizione delle attività.

Hammer ha delineato i fondamenti del BPR in un articolo del 1990 intitolato

 Reenginering work: don' t automate, obliterate («Ripensare il lavoro: non automa-tizzare, elim ina re»). La sua tesi era ch e in vece di autom atizzare il lavoro che nonaggiunge valore le aziende dovrebbero sbarazzarsene. L'idea è poi stata elaboratain una teoria comp leta. Second o H amm er e Cham py il BPR consiste «nel ripen-samento fondamentale dei processi di business e nella loro radicale riproget-tazione al fine di conseguire u n d eciso miglioram ento degli indicatori chiave diperformance: costo, qualità, servizio e tempestività». Alla base di ciò stava l'in-

terrogativo ricorrente su come offrire al cliente un maggiore valore aggiunto.

linea del tempo1911 1951Organizzazione scientifica del lavoro Gestione della

qualità totale

 

La direzione giusta

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La direzione giustaIl governo federale USA ha adottato il BPR su grande scala. La sua Guida

di valutazione del BPR, pubblicata nel 1996, indicava agli enti governativi

le seguenti trasformazioni da adottare in qualsiasi processo di riprogettazione:

D a • AV) prevalente uso dì carta • prevalente uso dell'elettronica.ET3 $ organizzazione gerarchica • organizzazione a reteáSO) c potere attraverso l'accaparramento • potere attraverso la condivisionee oo> «.1.1o> c« E

delle informazio ni delle informa zionie oo> «.1.1o> c« E

unità indipende nti • virtuale e digitale

o» -acc <S2 impostazione basata sul controllo • impostazione basata sulle prestazioni& 43

S iS £

impostazione basata sul rispetto • impostazione basata£ a»

ì i delle norme sul benchmarking 

e tu» g singoli esperti interni • team di talenti¿j CD

l i organizzazioni tipo tubi cilindrici • organizzazioni tipo alveare

I S  organismi di sorveglianza • organismi di preparazione£ ® 3  1 risposta lenta • risposta immed iata

s sg s immissioni di dati ripetute • unica immissione di dati£ < 

timore verso la tecno logia capacità di coglie re al volo i van tagg i della tecnolog ia

decisioni prese ai vertici dell'organismo • decisioni a livello delle transazioni con la clientela

I termini del la definizione sono stat i scel t i accuratamente. I l BPR è f o n d a m e n t a l e ,

perché pone le domande: «perché facc iamo ques to?» , e «perché lo facc iamo in

questo modo?». Occorre mettere in discussione le vecchie regole ed ipotesi .

È rad ica le , per ché par te da un a pagina in b ianco , senza tener e cont o de l le s t ru t tu re

e del le pr ocedur e esis tent i . La r iprog et tazione n on è una r iorganizzazione. E dec iso ,

p e r c h é c e r c a d i c o n s e g u i r e mi g l i o r a me n t i s o s t a n z i a l i , n o n r i t o c c h i ma r g i n a l i .

Mol te az iende hanno appl ica to i l BPR perché e rano in se r ie d i f f ico l tà o preve-

devano d i t rovarc i s i en t ro breve tempo.

1954 1979 anni '90 1993Management per obiettivi Benchmarking  Gestione del rapporto Il BPR

con i clienti

 

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£ Alcune aziende I processi costituiscono il perno del BPR. Di solito le aziende

P O S S O H O e v i t a r e s o n o suddivise in reparti, e i processi in compiti che vengono

U, . ripa rtiti tra essi. Il BPR riesamina tali comp iti in base al finet e rm i n e ,. , . , . . _

ultimo che essi devono conseguire e si concentra partico-n p r o g e i i t a z i o n e la rm en te su lle n ecessità d el con su m ator e.e u sa r e a l t r e d i ci t u r e ,

Q Q it t fi r i s t r u t t u r a z i o n e ^ a m m e r e Champ y citano l'esempio del processo d i approvazione. . del credito della IBM Cred it Corporation, che era solita prendersi

O t r a s i o r m a z i o n e Ciei i n m e cJi a sei giorni di tempo, ma poteva prolungare l'operazionep r o c e s s i . M a , Sino a due settimane. In quel lasso di tempo l 'IBM finiva spesso

in SOStanza, e per perdere l'ordinazione a favore di un concorrente . Il processo

Un 'a t t i vi t à che r i e n t r a e r a articolato in Cinque fasi. L'addetto alle vend ite presentava unaD6rfett &m eiltC n e lla richiesta di finanziamento in copia cartacea scritta da un

• ». . . a impiegato dell'ufficio cen trale. Il foglio passava all'ufficio crediti,n os t ra de f in iz ion e . 7 j i , , , . , f  , ,* dove si esaminava la posizione del cliente, si prendeva nota del

Michael Hammer, 2003 risultato su carta e il foglio in questione veniva inviato all'ufficiopra tiche aziendali. Quest'ultimo modificava il contrat to d i prestito

standard per adeguarlo alle esigenze specifiche del cliente, includeva eventualiclausole speciali e inviava il documento all'ufficio prezzi. Questo, a sua volta, sta-biliva il tasso di interesse opportuno per il cliente e lo aggiungeva al documentoprima di inviarlo all'amministrazione, che elaborava un preventivo e lo rinviavaall'addetto vend ite, che infine lo presentava al cliente - se ce n'era ancora uno.Dopo aver tentato inutilmente di apportare una serie di correzioni, i dirigentipresero una richiesta di finan ziamento e la portarono, letter almen te, attraverso

i cinqu e passaggi previsti. Impiegarono un 'ora e mezzo. Il problema n on risiedevanel tempo impiegato dal personale per fare il proprio lavoro, ma nella strutturastessa del processo e in tu tti qu ei passaggi.

Un'analisi più attenta rivelò l'esistenza dell'assunto implicito che ogni richiestafosse unica e richiedesse l'esame di quattro specialisti. In realtà molte eranorichieste standard e avrebbero potuto essere facilmente evase da un impiegatogenerico, purché fossero inserite in un sistema informatizzato facile da usare. Ilricorso all'informatica come strum ento d i facilitazione è parte integrante del BPR,purché non venga usato semplicemente per automatizzare vecchi compiti e ilreparto delle tecnologie informatiche non sia coinvolto nella loro ridefinizione.

Hammer e Champy proponevano per il BPR i seguenti princìpi:

• riorganizzarsi a par tire dai pr odotti, non dalle attività ;• inserire la gestione delle informazioni all'inter no del lavoro reale che le genera;• trat tar e le risorse disperse geograficam ente come se fossero centralizzate,

ricorrendo alle tecnologie dell'informazione;

 

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il BPR 27

• collegare le attività con un flusso di lavoro parallelo anziché in tegrare solo i

rispettivi risultati;• collocare i pu nti di decisione dove l'attività viene svolta e inserire il con trollo

all'intern o dei p rocessi;

• acqu isire le informazioni un a sola volta, alla fonte.

Nessun manu ale Non esiste un manuale che

indichi le fasi del BPR da realizzare una dopo l'altra,

tuttavia metodi comu ni sono: comb inare d iversi lavori

in un o solo, consentire ai lavoratori di partecipare alledecisioni, ridurre al min imo la ricomposizione dei con -

trasti e fornire al cliente un un ico pu nto di con tatto.

Tra i fattori ch e possono ostacolare il BPR troviamo:

• cercare di correggere un processo invece di cambiarlo;

• cercare di attuarlo d al basso verso l'alto;

• trovare un accordo accontentan dosi di risultati discarso rilievo;

• abband onare il tentat ivo tropp o presto;

• econom izzare sulle risorse;

• concentrarsi esclusivam ente sulla progettazione;

• limitare preventivam ente la definizione dei pro-

blemi o la portata dell'esercizio;

• cercare di non scontentare nessuno.A parte l'IBM, tra le aziende che hanno ottenuto risultati soddisfacenti grazie al

BPR figurano la Procter & Gam ble, la Gen eral M otors e la Ford. Tuttavia, circa il

70% dei progetti di BPR ha fallito i suoi obiettivi, probabilmente a causa di

qualcuno dei fattori sopra indicati. Dopo una prima fase di popolarità, la teoria è

stata criticata per la sua man canza di attenzione verso la dimen sione uman a. Alcun i

l'han no definita «il nu ovo taylorismo» (si veda p. 152) accusan dola di essere solo

un a scusa per disfarsi dei dipen den ti. Successivamen te Ham mer h a rivisto in partele sue posizioni ammettendo di aver trascurato i valori e le convinzioni del per-

sonale e affermando che essi non andreb bero ignorati. Versioni successive, men o

radicali ed aggressive, di BPR p rend ono il nom e di ristrutturazione, miglioramen to

e gestione dei processi aziendali.

idea chiaveUn completo ripensamentodel p rocesso aziendale

6 M e n t r e l a p r i m a o n d a t ad ì r i p r o g e t t a z i o n i

s i i n c e n t r a v a i n p r i m ol u o g o s u i p r o c e s s i r e l a t i v ia l l e t r a n s a z i o n i c h e s is v o l g e v a n o d i e t r o l e q u i n t e ,l ' o n d a t a a t t u a l e h a u n ap o r t a t a m o l t o p i ù a m p i a

e c o m p r e n d e i l l a v o r ocr e a t i v o d a l l o sv i l u p p od e l p r o d o t t o a l m a r k e t i n g . JMichael Hammer, 2008

 

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07 II marchioLa Apple h a lan ciato u n a camp agn a pu bb licitariaintern azionale in cui comp aiono d ue amici , M ac e P C.PC p ort a la cravatta, è abb astanza carino an che se h a l 'ar iaun po' fissata e convenzionale. Fa quel che deve fare, ossiail comp uter , abb astanza b ene e crea m en o comp licazioni

possibili . M ac in d ossa u n a m agli etta , è rilassato, accattiv an te,affronta tu tto senza problem i. Non trop p o p ieno di sé,è semp licemen te i l t ipo di p erson a ch e non t i disp iacerebbeincontrare in un bar. Con chi preferiresti avere a che fare?

La campagna che ha interessato tutto il mondo e usato volti noti per impersonareMac e PC, rappresenta la logica continuazione nella promozione del marchio. Faquello che altri operatori del mercato hanno invitato a fare, ossia «umanizzare» ilma rchio - solo che la App le lo ha preso alla lettera . 1 marchi hanno percorso moltastrada da qu ando figuravano sul posteriore del bestiame texan o. Com e n el caso di

quelli originari, dai marchi usati nel m arketing ci si aspetta che imprimano un 'imm a-gine del prodotto nella vostra mente. Gli addetti al marketing non concordereb-bero tutti su una definizione precisa, ma ad ogni modo essa si è ampliata passandodal «nome, marchio o simbolo» di un tempo a qualcosa di simile a «la somma ditu tte le esperienze e i valori associati con un d eterm inato p rod otto, servizio o azien-da». N on si tra tta d i un elen co esclusivo, dato ch e qualsiasi entit à voglia i vostri sol-di o la vostra attenzione è attualmente in grado di creare un marchio, compresipersonaggi (Madonna, Martha Stewart), città e paesi. Nel 2006 i tre marchinazionali più im portan ti secondo l'A nh olt N ation Brand Index erano quelli del Re-gno Un ito, d ella Germania e d el Canad a. Gli Stati U niti figuravano al decimo posto.

I marchi del tipo «nome, marca o simbolo», nascono con i prodotti confezionati,

il che li riporta essenzialmente, se non nel nome, al XIX secolo. Tra i primi

«marchi» figuravano quello della zuppa Campbell e naturalmente quello della

linea del tempo

1886 1 ' ! ' H 1916 1924Marchio Diversificazione Segmentazione del mercato

 

Marchi ombrello

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Le due più grandi aziende del mondo di prodotti

contrassegnati da marchio, la Procter & Gamble

e la sua controparte europea Unilever, sonotradizionalmente rimaste in secondo piano e

hanno lasciato che a parlare fossero i marchi

dei loro prodotti. Ma nel 2004, un anno prima

del settantacinquesimo anniversario della

fondazione, l'Unilever ha deciso di pubblicizzare

il marchio aziendale. L'anno successivo

un nuovo logo Unilever era stampato su tuttele confezioni dei prodotti del gruppo.

Il mondo stava cambiando, dicevano,

e i clienti chiedevano alle aziende qualcosa di

più del marchio, trasferendo le loro opinioni

di cittadini nelle rispettive decisioni di acquisto.

Volevano marchi di cui fidarsi. Il nuovo

marchio Unilever sarebbe comparso

visibilmente sul retro dei prodotti dell'azienda,

in uno spirito di trasparenza e responsabilità.

Sbandierare il logo Unilever potrebbe

contribu ire a segnalarne i prodotti , anche se

il gruppo ha realizzato una drastica riduzione

dei marchi, riducendo il portafoglio da 1600 a

400. I potenziali investitori ora si ricorderanno

dell'azienda ogni volta che prendono dallo

scaffale un barattolo di maionese Hellmann.

E l'impresa spera di suscitare un nuovo sensodi «unileverità» nel personale, la cui lealtà

si indirizzava piuttosto ai rispettivi marchi.

La Procter & Gamble intende fare altrettanto?

Nossignore. Un marchio ombrello obbliga

la casa madre a mantenere una certa coerenza

tra le sue aziende. Alla Procter & Gamble

piace invece l'indipendenza dei suoi marchi.

C o c a - C o l a , t u t t o r a il p i ù im p o r t a n t e a l m o n d o , s e co n d o i c o n s u l e n t i d e l l a

I n t e r b r a n d . I l p u b b l i c i t a r i o J a m e s W a l t e r T h o m p s o n h a p u b b l i c a t o u n a s p i e -

gaz ione de l la d i f fus ione pubbl ic i ta r ia de i marchi a l l ' in iz io de l seco lo scorso , a

segui to de l la qua le la maggior par te de l le az iende ha sv i luppa to la sens ib i l i t à a is imboli , a l le mascotte e agl i s logan. Con l 'arr ivo del la radio negli anni '20 gl i

s l o g a n s i s o n o t r a s f o r ma t i i n j i n g l e . G l i s t u d i o s i h a n n o c o mi n c i a t o a me t t e r e

o r d i n e n e l l a ma t e r i a n e l 1 9 5 5 . Bu r l e i g h G a r d n e r e S id n e y L e v y h a n n o s u g g e r i t o

in The Produci and the Brand  che i l march io in sé è meno impor tan te de l la per -

cez ione che ne ha i l consumatore . La ch iamavano « immagine d i marca» e a f fe r -

ma v a n o c h e e r a p a r t e i n s e p a r a b i l e d e l ma r c h i o , c h e r i c h i e d e v a c r e a z i o n e ,

sv i luppo e ges t ione appos i t i . Era na ta un ' indus t r ia .

1960 1964 1970 2004In quale attività Le quattro «P» Responsabilità » Web 2.0

siete realmente del marketing sociale d'impresacoinvolti?

 

Vendere ancora zupp a I brand manager hanno imparatoad alimentare tali percezioni associando i loro prodotti a qualità

i ffid bili à li à l i i l T iò

£ P r i m a i l m a n t r ae r a r e n d e r e

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attraenti - affidabilità, qualità, salute, giovinezza, lusso. Tutto ciòh a preso il nome di branding e ha portato al luogo comu ne secondocui il cliente acquista il marchio, non il prodotto. Si trattava diuna distinzione importante in un mondo in cui i prodotti in con-

correnza tra loro diventavano sempre più simili. Alcuni marchihanno avuto una vita molto lunga, se si tiene conto dell'aspra con-

correnza esistente. A parte la Coca-Cola e la Campbell (tuttora lapiù grande azienda produttrice di zuppe al mondo), Heinz TornatoKetchup, Bird's Custard, Kellogg's Com Flakes e le lamette Gillettesono solo alcun i dei m archi leader dei propri mercati da oltre mezzosecolo.

Ai clienti p iacciono i marchi perché garantiscono ciò che p rometton o e perché

velocizzano la scelta. Da u n lato essi aiutan o a creare e a con servare la fedeltà delcliente, e dall'altro port ano altri vantaggi strategici ai loro proprietari. Il primo,e non di poco conto, è che essi permettono all'azienda di praticare prezzi piùelevati e, assicurando maggiori margini di guadagno ai rivenditori all'ingrosso eal dettaglio, il sovrapprezzo facilita la distribuzione del prodotto. Nel mercato

dei generi di drogheria, dove il potere è passato dai produttori ai rivenditori, èutile disporre di strumenti di questo tipo.

U n altro vantaggio d eriva dalla prat ica sempre più diffusa d etta «brand stretching»,

«leveraging the brand» o «brand extension», ossia dall'estensibilità del marchio. Inquesto caso si estendono le virtù del marchio esistente e del suo nome ad unnuovo prodotto. Yves Saint Laurent ha dato l'esempio a tutti gli altri stilistidan do il suo no me a una gamm a di accessori, dalle cin tur e agli occhi ali d a sole(Coco Chanel aveva fatto altrettanto con i profumi negli anni '20). La Mars è

entrata nel mercato dei gelati e la Procter & Gamble's Fairy Soap ha prodottoFairy Liquid.

Ciò elimina in parte, ma certo non del tutto, i rischi legati al lancio di nuovi

prod otti e vi si pu ò ricorrere per aprire nu ovi segmenti all'in tern o di un mercato

esistente, come ha fatto la British Airways con Club Class. Reintroducendo un

senso di freschezza e diversità, l'estension e del m archio p uò contrib uire a rinviarela fase di matu rità del ciclo di vita del prod otto (si veda p. 90), com e è avven uto

nei settori un tempo in declino dei rasoi elettrici e delle biciclette.

Oggi i consulenti parlano della necessità di portare il consumatore ad appro-

fondire il suo rapporto con un marchio. I rapporti umani, quelli che ispirano il

e r a r e n d e r ei l m a r c h i o

i n s o s t i t u i b i l e .

O g g i n o n b a s t ap i ù - d e v e e s s e r ei r r e s i s t i b i l e . J

Kevin Roberto

(direttore generale

di Saatchi & Saatchi)

 

il marchi o I 31

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 € È m e g l i o e s s e r e i p r i m i n e l l e m e n t i ch e

s u l m e r c a t o . I l m a r k e t i n g n o n è u n a b a t t a g l i at r a p r o d o t t i , m a t r a p e r ce z i o n i . )

Al Ries e Jack Trout, 1993

tipo di fedeltà e affetto desiderato dagli operatori d el marketing, h an n o invaria-

bilmente un significativo contenuto emotivo. Così oggi si parla di «caricare i

marchi di valenze emotive», facendo entrare in gioco l'umanizzazione. Marc

Gobé, consulente e autore di un libro suH'emoriorwi branding, è convinto che le

emozioni facciano vendere. L'attribuzione di una valenza emotiva dona nuova

credibilità e personalità a un marchio, creando un potente legame con i consu-

mato ri a un «livello per sonale e olistico». In tal m od o si trasferiscono gli acqu isti

dal piano della necessità a quello più elevato del desiderio. Questo è ciò che,

secondo lui, fa la Apple.

Creare un brandscape Un mar chio è un'attività, e sebbene immateriale,ha un valore, che può fornire un consistente contributo a quello complessivo

dell'azienda che lo possiede; ciò spiega l'impegno profuso dalle imprese nella

creazione dei ma rchi. Quest o ha fornito ad alcuni critici lo spu nto per a ttaccare

l'intero concetto di grandi marchi. Naomi Klein ha toccato un nervo scoperto

con il suo libro No Logo nel quale accusava i promotori dei marchi di avvin-

ghiare tutti noi in un brandscape, un p aesaggio di ma rchi. Le aziend e sp ostavano

le loro fabbriche nel Terzo mon do p er vend ere, invece d ei prod otti, aspirazionie immagini, un «mondo di Barbie per adulti».

Klein n on è la sola ad essere ossessionata dal ma rchio. L'ex pr esidente della Disney

Michael Eisner una volta ha definito il termine «abusato, sterile e privo di imma-

ginazione». Affidarsi al marchio e al «valore del marchio» ha reso le aziende inso-

litamente vulnerabili, come hanno potuto sperimentare imprese quali la Nike e

la Shell quando sono state accusate di aver infangato il proprio nome (si veda p.47). Caricare il m arch io di valenze emotiv e è un a bella cosa ma - stran o a dirsi -

le emozioni possono cambiare in un bat ter d 'occhio.

idea ch iave

Plasmare l 'esistenzadel consumatore

 

0 8 La gestione

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0 8 La gestione

dei canaliIn quest i g iorni s i sente spesso par lare di cambiamentidiscont inui . Dappr ima i l concet to è comparso nel l ' ambitodel la teor i a de l la ca tas trof e , ch e p u ò in d u rre a q ualcherif lessione, ma ai teorici dell 'azienda e agli economisti piace

il m od o in cu i esso d escrive il salto q u an tico - i l p ass agg iorad ica le ch e ren d e tu t to d iverso. Ad essi p iace p oi an ch eil modo in cui (alla fine) sostiene la crescita, assai piùdi q u anto non avvenga con un camb iamen to inc remen ta le .

Alcu n e delle più p oten ti d iscont inu ità d ell'ultim o secolo o giù di lì sono state lacomparsa dell 'automobile, del volo a propulsione, del personal computer e,attualmente, crollo delle aziende informatiche a parte, di Internet. La rete hacostretto chiunque avesse un'azienda a ripensare con esattezza al modo in cuiprom uove, vend e e distribuisce i suoi prod otti. E ciò ha po rtato ad alcun e serieriflessioni sulla gestione dei canali.

Distribuzione I canali sono le vie ch e dalle aziend e cond u cono al mercato

e costituiscono una parte della voce «punto vendita» nelle quattro «P» del

marketing (si veda p. 88). Al momento di prendere in esame queste ultime, iman ager devo no d ecid ere a quan ti livelli di distribuzione ricorrere. L'azienda p uò

- o semplicemente desidera - disporre di una propria capacità distributiva

diretta? Vuole rivolgersi ai rivenditori al dettaglio, o anche ai grossisti, e quanto

scrupolosamente intende selezionarli?

L'organizzazione di un sistema di vendita diretto è costosa, ma ha il vantaggio

di mantenere l 'attività sotto lo stretto controllo dell 'azienda. Non altrettantoavviene con i rivenditori all'ingrosso e al dettaglio, e motivarli a fare del loro

linea del tempo1950 primi anni '50Gestione della Gestione dei canalicatena dell'offerta

 

meglio costituisce una parte rilevante della tradizionale gestione dei canali.

L'incentivo maggiormente usato dalle aziende, e probabilmente il più efficace,

è il denaro, che può essere elargito garantendo più ampi margini di guadagno

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, p g g p p g g g

a chi promuove i loro prodotti anziché quelli dei concorrenti, o mettendo in

piedi una qualche forma di competizione per ricompensare i venditori che si

comportano opportunamente. Fornire loro formazione e gli s trumenti

necessari per vendere efficacem ent e il prod otto in qu estione, pu ò a sua voltarisultare utile.

In un'organizzazione integrata verticalment e, il prod uttore o fornitore pu ò an che

possedere propri punti vendita al dettaglio, oppure il gruppo commerciale può

produrre in proprio i p rod otti che vend e - in qu esti casi si parla, risp ettivam ente,

di integrazione in avanti o all'indietro. Si tratta di un modello rigido che

comporta elevati costi fissi e che può distogliereenergie dal man agement ma, come nel caso della £ A . C3.l l .S3i d e l l a ,

v en d it a d ir etta , resta so tt o il co nt ro llo d ell'azien da, p r o l i f e r a z i o n e d e i C a n a l i

Un canale di distribuzione che offre la possibilità i di r igent i del le Vendi tedi un controllo a basso costo è quello delle ordi- e d e l m a r k e t i n gnazioni per posta. E oggi, naturalmente, c'è la rete(una sorta di ordinazione postale potenziata). C om e

avv iene con la maggior par te dei progressi tecn o- .

logici, ci son o stati p och i entu siasti p ion ieri, " Controllo dei loro d ie n t i ,mentre molt i a l tr i sono r imasti prudentemente a COn Con segu en zeguardare. Oggi, tuttavia, la rete è diventata un fina n z iar i e n ega t ive . Jcanale indispensabile per la maggior parte delleindustrie che si rivolgono al consumatore e uno

di un am pio ven ta g lio

d i i nd us t r i e hann o pe r so

Joseph Myers, Andrew Pickersgill

e Evan van Metre, 2004strum ento di mar keting per molte aziende che com- ,,merciano con altre aziende. ( M c K m s e y & C o m p a n y )

La scelta del con su m atore Più significativo è forse il fatto ch e Inte rn et

non è solo un altro canale singolo tra cui scegliere. Il suo arrivo ha accelerato lo

sviluppo della distribuzione attraverso più canali, nella quale i clienti possono

usare canali diversi in fasi differenti del processo di acquisto. Essi possono con-

trollare on-line che un determinato articolo sia disponibile prima di recarsi al

negozio ad acquistarlo. Opp ure p ossono ordinar lo on -line e ritirarlo al negozio.

1964Le quattro «P» del marketing

anni '90Gestione delle

relazioni con i clienti

2004Web 2.0

 

Le sfide legate ai can ali

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Non tutto è come sembra nel panorama

attuale dei canali. L'informatizzazione e la

rete sembrano offrire vantaggi in termini

di costo e di facilità nella gestione dei canali,ma non è sempre così.

Le banche se ne sono accorte alla fine

degli anni '90, quando si sono innamorate

delle macchine. La strategia era quella di

spostare le transazioni al di fuori delle

agenzie, trasferendole agli sportelli

automatici. I costi delle transazioni erano piùbassi e il personale poteva essere impiegato

più utilmente o licenziato. Meglio ancora,

si potevano chiudere le agenzie e vendere

gli immobili.

Allo scopo di favorire questo processo si

è ridotto il personale agli sportelli e si

sono lasciate gonfiare le file. Una banca

del Regno Unito imponeva il pagamento

di una sterlina per ogni transazione

effettuata di persona e molti clientihanno cominciato a usare gli sportelli

automatici. Abituati a recarsi in agenzia

una volta a settimana, ora approfittavano

della comodità e della rapidità dei

suddetti sportelli due, tre e anche quattro

volte alla settimana - facendo così

aumentare i costi totali delle transazioni.Ma anche al costo di una sterlina

a operazione, sono state così numerose

le persone che hanno continuato

a preferire il contatto umano che sono

stati prodotti 25 milioni di sterline

di profitto straordinario.

Possono voler realizzare la transazione per telefono, on-line o di persona in

occasioni diverse a seconda della loro scelta.

In questo m ond o fatto di com m istione tra reale e virtuale la gestione d ei canaliassume u n nu ovo significato. Semp re più client i v ogliono, o sono stati conv inti

a volere, accesso a merci e informazioni attraverso nuovi canali come Internet,il telefon o e - in par ticolare n el caso dei servizi finan ziari (u n settor e all'av an -guardia nell'adozione d ei nu ovi can ali) - gli sportelli bancari au tom atici. Com ele banche hanno ben presto potuto scoprire, però, i clienti continuano a desi-derare ancora i solidi servizi di una volta.

Le aziende spendono cifre considerevoli per venire incontro alla clientela.

Alcu ni h an n o osservato ch e i clienti ch e desiderano servirsi di più canali di solitohanno più soldi di quelli che ne usano uno solo, e probabilmente ne spendono

anche di più. I clienti cercano maggiori vantaggi - fare acquisti da casa - e un

più rapido accesso alle informazioni. Il risultato è che la molteplicità dei canali,

più ch e una p ossibilità da percorrere per otten ere u n vantaggio comp etitivo, sta

diventando una necessità strategica.

 

Gestirli, tuttavia, presenta dei problemi. Uno è quello contro cui mettono in

guardia i consulenti, la tentazione antieconomica di voler fornire tutto a tutti e

ovunq ue. La risposta è, in p rimo lu ogo, sapere qu ali sono i clien ti p iù redditizi,

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un campo nel quale la gestione del canale si intreccia con la gestione delle

relazioni con i clienti, o C RM , dall'inglese Customer relationship management  (si

veda p. 56). Successivamen te, stabilire quali sono i loro canali preferiti.

La CRM ci invita a concen trarci sul cliente, a fornire un

servizio omogeneo e uniforme. Se la distribuzione at-

traverso più canali assicura u n'esperienza di q uesto tip o

per il cliente, allora va praticata. I canali vanno gestiti

come sistema interdipendente, collegato e coordinato

anziché com e un insieme di operazioni separate. Alcu n i

consulenti chiamano ciò strategia «multicanale», perdistinguerla dalla semplice gestione di più canali diversi.

Niente laissez faire Le preferenze dei clienti di maggior valore dovreb-

bero ovviamen te influenzare le modalità di attuazione della strategia. Ma qu esto

non vuol dire adottare un'organizzazione completamente passiva e lasciare che

siano i clien ti a scegliere u n canale qualsiasi. Alcun i son o più costosi di altri, a

volte in misura sorprend ente (si veda il riquadro a fianco). Occorre comp rend ere

le implicazioni economiche dei canali e guidare i clienti verso quello piùopportuno ed effettivamente più efficiente rispetto ai costi.

Trasferire i clienti verso nuovi canali è un compito delicato e rischioso e va

affrontato con cautela. Se ciò è vero per i clienti, lo è anche per i canali esi-

stenti. I rivenditori possono sentirsi minacciati dall'introduzione di un canale

nuovo che potrebbero percepire come concorrente . Alcune imprese hanno

previsto degli incentivi per mantenere i rivenditori dalla loro parte mentre svi-luppano nuove iniziative di vendita attraverso il web o il telefono.

Se adottato correttamente, l'approccio multicanale può essere una fonte di dif-

ferenziazione difficile da imitare. Se la gestione dei canali stava diventando

monotona prima dell'avvento della rete, oggi è molto più vivace.

idea chiaveLe vie p er raggiu n gereil clien te

( L a d i s m i s s i o n e o l ach i u s u r a d i p u n t i v e n d i t af a s p e s s o p a r t e d e l l as o l u z i o n e m u l t i c a n a l e . 5Corey Yullnsky, 2000

(McKinsey & Company)

 

36 I 50 grandi idee di management

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0 9 II nucleodi competenzeM ich ael Porte r e le su e cinq ue forze d ella con corren zagu ardavan o fuori , oltre i b astioni dell 'aziend a, p er esam in are

il panorama concorrenziale che si trovava al suo esterno.G ary H am el e C.K. Prah alad , guard avan o all ' interno, alla r icercadel «nu cleo di com p eten ze» ch e secon d o loro costitu iva la verafonte del vantaggio competitivo. Era ora, sostenevano,che gli al t i dir igen ti r ipe n sassero i l concetto d i aziend a.

Hamel e Prahalad stavano reagendo alla strategia del portafoglio di attivitàdecentrate seguita da molte grandi aziende. Invece di un portafoglio di attività

ub icate all'intern o di «aree strategiche di affari» ( A SA ) più o men o separate dallealtre, le aziende avrebbero dovuto pensarsi come un portafoglio di competenze,sostenevano gli autori in un articolo assai influente pubblicato nel 1990 sulla«Harvard Business Review», intitolato The core competence of the corporation.

6 II nucleod i compe tenze

è la fon te de l losv i luppo d i

n u o v e a t t i v i t à . JGary Hamel e

C.K. Prahalad, isso

Lo scenario industriale nel quale si inseriva il loro intervento era quelloin cui le imprese occiden tali aveva no iniziato a riprend ersi dal boom d elle

importazioni giapponesi a basso costo ed alta qualità. Ma ora i loro con-

correnti asiatici le stavano prendendo in contropiede riversando ondate

su ond ate di nu ovi prod otti su nu ovi mercati. La Hon da aveva inv entato

il fuoristrada a quattro ruote Buggy e la Yamaha il pianoforte digitale. La

Sony stava operand o un 'ampia p enetrazione di mercato con la sua video-

camera a 8 mm. Nel settore automobilistico i costruttori giapponesi sip on evan o all'avanguard ia con i loro sistemi di navigazione di bordo e con

i sistemi elettronici di gestione del motore. Essi mantenevano costi e qualità a

livelli standard, ma le imprese occidentali in questo settore stavano recuperando

linea del tempo

1450Innovazione

1920Decentramento

 

il nucleo di competenze I 87

posizioni e c'erano qu indi m eno fonti d ecisive di vantaggi com petitivi € II fu t u ro n on è

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p q gg p

rispetto al passato. Il problema per molte aziende occidentali, affer-

mavano Hamel e Prahalad, non era che avevano un management

peggiore o una cap acità t ecnica inferiore rispetto ai giapp onesi, ma ch e

i vertici non eran o abbastanza lun gimiranti da sfruttare le ampie riserve

di capacità tecnologiche di cui indubbiamente disponevano.

Un nu cleo di comp etenze è u n qu alcosa che si sa fare meglio di chiun qu ealtro. In effetti, le grandi aziende alle quali si rivolge questa teoria dovrebberofornire prestazioni di livello mondiale. Il risultato è un nucleo di prodotti o unlivello di efficienza che non costituiscono prodotti finali, ma una componente

vitale di una gamma di prodotti finali. Il nucleo di competenze della Black SiDecker, ad esempio, consiste nel realizzare motori elettrici di piccole dimensioni.Questi costituiscono l'elemento centrale di una vasta gamma di prodotti finali,dalle seghe a nastro e i tosaerba agli aspirapolvere e ai sistemi di apertura deglisportelli delle autom obili. La Can on ha u n nu cleo di comp etenze nell'ot tica e nella

meccanica di precisione, e lo ha ampiamente trasferito dalle macchine fotografichealle fotocopiatrici sino alle stampanti laser. Il nucleo di competenze della Honda

consiste nei motori e negli ingranaggi elettrici, che le conferiscono un vantaggionella realizzazione e nella vendita di automobili, motocicli, motofalciatrici e gene-ratori. La 3M raggiunge livelli mondiali di qualità nel campo dei materiali adesivi.

Test dì competenza Così il nucleo di competenze apre la strada a molti

mercati d iversi. E qu and o le aziende r iflettono su come sfruttarle han no più pro-

babilità di produrre innovazioni. Hamel e Prahalad hanno indicato tre caratte-

ristiche che contradd istingu ono un nu cleo di competenze:• fornisce accesso potenz iale a un'amp ia varietà di mercati;

• dà un contribu to significativo ai benefici del prod otto finale percepiti dal con -

sumatore;

• è d ifficile da im itare.

Raggiungere una qualità di livello mondiale nella fabbricazione di componenti

comuni, qualcosa che sono in molti a produrre, non garantisce un vantaggio com-

petitivo. Un nucleo di competenze dà un contributo straordinario in termini di

valore per il cliente e deve essere valutato in termini di concorrenza. Dovrebbe

essere qualcosa che i vostri con corren ti vorrebbero avere. No n si tratt a di superare

1960 1965 1980 1981 1990Alleanze Strategia d'impresa Le cinque forze Il management Il nucleo di competenzestrategiche della concorrenza giapponese

 € II fu t u ro n on èc iò che accadrà ,m a ciò ch e s t a

accadendo. 9Gary Hamele C.K. Prahalad, 1886

 

i r ival i sul p ian o del la spesa per r icerca e svi lupp o (u na d el le p ra t iche d is t int ive d ei

cos t ru t to r i innova t iv i g iappones i cons is teva ne l le a l leanze s t ra teg iche che s t r in -

g e v a n o i n mo d o d a o t t e n e r e t e c n o l o g i e o c o mp e t e n z e d i c u i e r a n o c a r e n t i ) . N o n

i di i i i i di A S A iò ò d d bb

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si t ra t ta di r ipar t i re i cost i t ra diverse A S A - ciò pu ò accad ere, ma no n d ovr ebbe

essere una mot ivaz ione . E non s i t ra t ta neppure d i in tegraz ione ver t ica le , anche

se, ancora una volta , può accadere che essa s i verif ichi in un certo grado.

È poco probabile che un 'azienda disponga di un nucleo di più di c inque o sei com-

petenze fondamental i . Se s i arr iva ad elencarne venti , vuol dire che la definizione

n on e ra esa t ta . Le az iende possono perdere incon sap evolm ente par te de l nu c leo d i

competenze perseguendo una po l i t i ca d i r iduz ione de i cos t i . Hamel e Praha lad

avevano osservato che la Chrysler considerava i motori e gl i ingranaggi elet t r ic i

come componenti qualsiasi , di cui spesso aff idava la produzione al l 'es terno. Essi

r i tenevano poco probabile che la Honda cedesse ad al t r i la responsabil i tà nel campo

Vantaggi e svantaggiHamel e Prahalad hanno citato lo spiacevole

contrasto nell'andamento di due aziende

informatiche per illustrare concretamente il loroconcetto di nucleo di competenze. Nei primi

anni '80 l'americana GTE sembrava destinata

a diventare uno dei principali attori dell'industria

delle tecnologie informatiche che era in fase

di evoluzione, grazie alla sua presenza

consistente nel campo delle telecomunicazioni,

dei semiconduttori, della costruzione

di televisori e delle tecnologie degli schermi.La NEC giapponese partiva da una base analoga

che comprendeva anche la costruzione

di computer, ma le cui dimensioni erano

inferiori alla metà di quelle dell'altra azienda.

La NEC, anticipando la convergenza tra

computer e comunicazioni, aveva adottato nel

1977 la strategia «C&C». Aveva deciso che perraggiungere il successo occorrevano alcune

competenze, soprattutto nel campo dei

semiconduttori, e ha stretto più di cento

alleanze per costruire rapidamente e a buon

mercato le proprie capacità. Un apposito

comitato C&C è stato incaricato

di supervisionare lo sviluppo dei nuclei

di prodotti e di competenze. La GTE,

decentrata, trovava difficoltà a concentrarsi sul

nucleo delle competenze. Ha profuso molti

sforzi per individuare le tecnologie chiave della

nuova epoca ma i Une manager  continuavano

ad agire in modo scollegato tra loro.

La NEC è diventata un leader mondiale

nel campo dei semiconduttori, consolidando

la propria posizione nel settore dei computer

e costruendosi una nuova

e solida posizione nei prodotti per le

telecomunicazioni, introducendo i cellulari,

i computer portatili e i fax, e a metà degli

anni '80 ha superato le vendite della GTE.

Quest'ultima ha abbandonato la produzionedi semiconduttori e televisori e negli anni '90

era poco più di un'azienda telefonica.

La Bell Atlantic nel 2000 l'ha acquistata

per costituire la Verizon.

 

della progettazione e della costruzione di una parte tanto critica nel

fun zionamento d i un'au tomob ile. «L'estemalizzazione p uò costituire

una scorciatoia per ottenere un prodotto più competitivo», osser-

i d i l dà ib ll

£ I benef ìc i de l lecompetenze , come. . .l ' o f f e r t a d i m o n e t a ,

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vavan o i due autori, «ma generalmen te dà un o scarso contrib ut o alla

formazione d i personale d otat o d ella specializzazione n ecessaria a con -

servare la leadership a livello di un d etermin ato pro do tto».

Hamel e Prahalad vedevan o nel decentram ento e nella «tirann ia delle

ASA» il nemico del nucleo di competenze. In un'azienda basata su

molte A SA nessuna area specifica potrebbe sentirsi chi amata ad ali-

mentare un nucleo di competenze. Le ASA tendono a essere

inchiodate al presente, concentrandosi sulla massimizzazione delle vendite attuali.

Se da un lato ten don o a creare comp etenze, dall'altro sono spesso inclini a tenersele

strette, e possono essere riluttanti a mettere a disposizione di altre aree il personaledotato di talent o allo scopo di perseguire nu ove opp ortunità. Se il nu cleo di com-

petenze non viene condiviso o riconosciuto, le innovazioni derivanti dalle ASA

tend erann o a procedere per lenta accum ulazione.

Arch itetti del futu ro II compito del management, pertanto, è sviluppareun'«architettura strategica» a livello dell'intera azienda, una mappa del futuroche individui le comp etenze da costruire e le tecno logie necessarie allo scopo. Il

nucleo delle competenze dovrebbe diventare una risorsa aziendale e le ASAdovrebb ero aspirare ad otten erle com e avvien e per le risorse finanziarie.

I sistemi di remunerazione e gli scatti di carriera dovrebbero essere svincolati

dalla struttura ver ticale delle A S A e si dovrebb e convi n cere il personale di valore

del fatto ch e non è legato a un a particolare attivit à. Significativamen te, u no dei

principali punti del pian o di riconversion e della Gen eral Electric di Jack Welch ,

ormai in atto, era l'idea della «azienda senza barriere».

L'azienda diversificata, second o H amel e Prahalad, è u n grand e albero il cui tron co

e i rami p rincipali sono costituiti dal nu cleo dei prodotti, i rami più p iccoli (le

AS A, si no ti b en e) sono le aree di affari e le foglie, i fiori e i frutti son o i p rod otti

finali. Le radici che lo nu tron o, lo sostengono e lo tengon o in piedi sono il nu cleo

delle comp etenze. Se si guardano solo le foglie di un albero, affermavano gli autori,

non ci si rende conto della sua forza. Allo stesso modo, si rischia di ignorare laforza dei concorrenti se si osservano soltanto i loro prodotti finali.

,d i p e n d o n od a l l a v e l o c i t à

d i c i rco laz ion e . JGary Hamele C.K. Prahalad, isso

idea chiaveLe rad ici del van taggio competitivo

 

1 0 Corpora te

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p

governanceRecentem en te l'America è stat a invitata a verificareil conto d elle spese d egli amm inistratori d elegati p er scoprire,tr a l'altro, che il capo dell'American Exp ress veniva p aga to 132 000dollari p er l 'uso personale delle auto aziend ali e rimb orsato deglispu ntini d alla m ensa della società. Alcun i sono rimasti in fastiditi piùdagli spun tini che d alle auto. Molte informazioni d i qu esto tipostann o diventand o di pub blico dominio perché la Securities an dExchange Commission americana ha abbassato la soglia di segretezzarelativamen te alle p rerogative d ei manager. Ma la pubb licizzazionedei comp ensi e d elle ind enn ità dei dirigenti d'aziend a è solo un o degliaspetti, semp re più nu merosi, attinen ti alle attività di m anagemen tsottop osti al severo sguard o della corporate governance.

A causa dei problemi legati alla rappresentanza, gli azionisti si sono agitati per

anni intomo alla questione della buona gestione. Essi desiderano che li si tratti

equamente e si presti loro ascolto, soprattutto in presenza di una vasta maggioranza

di azionisti ch e n on sempre ha or ecchie p er i desideri d elle «m inoran ze». I circoli

dominanti e gli ambienti familiari a volte si attribuiscono un maggiore potere divot o emet ten d o azioni di tipo diverso - le azioni A, ad esempio, in un a votazione

valgono il doppio delle azioni B, e indovinate un po' chi detiene quelle di tipo A?

Gli azionisti vogliono sapere cosa accad e all'in tern o d ell'aziend a, come i dirigenti

spendono i «loro» soldi e se i loro piani sono ragionevoli o spericolati. Perciò essi

premono per una sempre maggiore trasparenza. La sala di comando del processo

d ecisionale è il consiglio di amm inistrazione, p ertan to gli azionisti sono vivam en-

te interessati a conoscerne la struttura, a sapere chi siano i consiglieri e qualivincoli limitino o meno l'operato dell'amm inistratore d elegato.

linea del tempo

Diversificazione Leadership

 

Tradizionalmente, i governi si sono interessati meno ai dettaglidella corporate governance, limitandosi a controllare che i consi-glieri non violino la legge e le imprese non occupino unaposizione di monopolio. Nel Regno Unito sono state le preoc-

4 U n a b u o n ac o r p o r a t e g o v e r n a n c e

d o v r e b b e s p i n g e r e

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p p g p

cupazioni del settore privato, alimentate dalle frodi legate ai casiBCCI e Robert Maxwell, a suggerire una serie di indagini sui

resoconti finanziari, i compensi degli amministratori, le regoleinteme aziendali e il ruolo degli amministratori non esecutivi.La maggior parte delle raccomandazioni più importanti sonostate raccolte nel Combined Code nel 1998. Sebbene la re-lazione più recente sia stata commissionata dal governo, ilCodice è facoltativo. Circa metà delle società quotate nellaBorsa di Lond ra vi si conform a, e quest'u ltima r ichiede alle altre

di illustrare i motivi della loro scelta nei rispettivi rapporti annuali.

Consigli d'ammin istrazione adegu ati Un a delle raccomand azionidel Cod ice prevede che il presidente del consiglio d'am ministrazione ( CD A ) sia«indipendente», non provenga dai ranghi della società e che assolutamente nonsia un ex amministratore delegato (AD). Il presidente e l 'amministratore

delegato non dovrebbero essere la stessa persona, per evitare un'eccessiva con-centrazione di potere. Nel CDA dovrebbe esserci una presenza equilibrata diamministratori non esecutivi - meno esposti all'influenza dell'AD e più inclinia porre dom ande p un tuali - e amm inistratori esecutivi, che conoscon o l'azienda.Un apposito comitato dovrebbe stabilire i compensi degli amministratori, e unaltro dovrebbe occuparsi dei revisori; solo gli amministratori non esecutivipotrebbero prendere parte ad entrambi. Il Codice è servito da modello perdocumenti analoghi adottati in diversi altri paesi europei.

Lo scandalo sulle irregolarità nella gestione delle imprese - Enron, WorldCom,Tyco, ecc. - esploso in America nel 2002 ha finalmente richiamato l'attenzione delgoverno. La risposta è stata rapida e decisa con l'emanazione del Sarbanes-OxleyAct. Tale legge ha istituito il Public Company Accounting Oversight Board, pertenere accuratam ente so tto con trollo i revisori dei bilanci d elle aziende p ub bliche,e ha reso obbligatorio il ricorso a organismi ind ipenden ti di revisione dei bilanci perle società quotate in Borsa. Essa faceva inoltre obbligo agli amministratori delegati

e ai direttori finanziari di certificare i bilanci societari, rendendoli penalmente

1970 1994 1998Responsabilità Stakeholder Corporate governance sociale d'impresa

p gg l i a m m i n i s t r a t o r ie i m a n a g e r

a p e r s e g u i r e o b i e t t i v ich e r i s p o n d a n o a g l ii n t e r e s s i d e l l ' a z i e n d ae de i suo i az ion i s t i . JOCSE, 2004

 

Indicazioni di p rin cip io«L'integrità delle imprese e dei mercati è centrale stranieri. Ad ogni azionista dovrebbe essere

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per la vitalità e la stabilità delle nostre economie».

È quanto ha affermato l'OCSE, organizzazione che

riunisce 30 stati membri, sottolineando come unabuona corporate governance  contribuisca alla

crescita e alla stabilità finanziaria. I Princìpi di

governo societario dell'OCSE, rivolti più ai governi

che alle imprese, sono stati pubblicati nel 1999 e

aggiornati nel 2004.

1. Assicurare le basi per un efficace governo

societario. L'assetto del governo societariodovrebbe promuovere mercati trasparenti ed

efficienti, essere coerente con la legge e articolare

chiaramente la suddivisione delle responsabilità

fra le diverse autorità preposte alla supervisione,

alla regolamentazione e alla garanzia

dell'applicazione delle norme.

2. Diritti degli azionisti e funzioni fondamentaliassociate alla proprietà delle azioni. L'assetto

del governo societario dovrebbe proteggere

i diritti degli azionisti e facilitarne l'esercizio.

3. Equo trattamento degli azionisti. L'assetto

del governo societario dovrebbe assicurare

l'equo trattamento di tutti gli azionisti,

compresi quelli di minoranza e gli azionisti

riconosciuta la possibilità di disporre di efficaci

rimedi giuridici per la violazione dei propri

diritti.4. Il ruolo degli stakeholder nel governo

societario. L'assetto del governo societario

dovrebbe riconoscere i diritti degli stakeholder

previsti dalla legge o da mutui accordi e

incoraggiare un'attiva cooperazione tra le imprese

e tali soggetti al fine di creare ricchezza e posti di

lavoro, e di assicurare lo sviluppo durevole diimprese finanziariamente solide.

5. Informazione e trasparenza. L'assetto

del governo societario dovrebbe assicurare una

tempestiva e accurata informazione su tutte le

questioni rilevanti riguardanti la società, comprese

la situazione finanziaria, le performance, gli assetti

proprietari e la governance  della società.6. Le responsabilità del consiglio

d'amministrazione. L'assetto del governo

societario deve assicurare la guida strategica della

società, l'efficace monitoraggio della gestione

da parte del consiglio d'amministrazione

e che il consiglio di amministrazione risponda

del suo operato alla società e agli azionisti.

respon sabil i di even tu al i falsi . I C D A inglesi, nel corso di a lcun i ann i , si son o avvi-

c ina t i al mod el lo de l Com bin ed C od e , con a lcun e eccez ioni r i levant i com e l 'H SBC.

In America la di t ta tura assoluta del l 'AD (che di norma è anche i l presidente) resis te

abbastanza bene anche se s i osserva un consistente t rasfer imento di potere a favore

degli amministratori . Si r iduce anche la prat ica del le presenze incrociate in diversiCDA. Infat t i , a causa del crescente onere che comporta i l r ispet to del le norme, su

ent r am be le spond e de l l 'At lan t ico s i assi ste a un a no tevo le d iminuz ione de l nu mer o

di A D d ispost i a pa rtecipa re ai consigl i di am m inistr azion e di a l t re imprese. N el

Regno Uni to g l i amminis t ra tor i t endono ad acce t ta re incar ich i ne l le soc ie tà con-

t ro l la te a t t raverso fond i private equicy, lon tano da i r i f le t to r i .

 

I l cambiamen to in Giappone L'interesse per la corporate governance

è diffuso prevalentemente nel mondo angloamericano, ma si sta estendendo

anche al resto d'Europa. Qualche cambiamento si sta verificando nel sistema

giapponese, poiché le aziende cercano di rispondere alle

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g pp p p

pressioni degli investitori stranieri. I CDA giapponesi sono

sempre stati m olto amp i e chiu si a qualsiasi cosa somigliasse a u n

amministratore indipendente. Ora alcuni stanno accogliendouno o due ammin istratori estem i e restringendo il num ero dei

membri. L'opinione occidentale è che consigli meno numerosi

consenton o u na discussione seria, mentre se il nu mero dei m em-

bri supera di molto la dozzina è difficile prend ere delle d ecisioni.

In u no sforzo volto a d are alla corporate governance una maggiore

diffusione l'Organizzazione per la Cooperazione e lo SviluppoEconomico (OCSE) ne ha stilato i princìpi a beneficio degli

stati membri. Come sottolinea l'organizzazione, oggi l'adozione

di buone pratiche fa salire la quotazione delle azioni di una

società e, miglioran don e il ratin g - ossia la valutazion e sulla sua

affidabilità - può ridurre i costi dell ' ind ebitam ento. U n o studio congiu nto

Harvard/Wharton ha rivelato che le aziende americane con una migliore

governance hanno registrato una crescita delle vendite più rapida e risultavanopiù redditizie rispetto alle altre ad esse comp arabili. Tu ttavia, m olti concord an o

sul fatto che n on esiste un solo modello di buon a corporate governance. An che in

un m ond o dom inato dalle mu ltinazionali è difficile esportare sistemi di corporate

governance, legati come sono alle leggi e alle usanze dei singoli paesi.

La posizione degli azionisti è così venu ta a modificarsi negli ultim i an ni . Gli inve-

stitori han no più influenza ch e m ai sul managem ent delle società. An ch e se natu-

ralmente ritengon o n on sia mai abbastanza. Essi con tinu ano a pensare che gli A D

guadagnino troppo, anche se un bravo amministratore delegato può procurare

guadagni tali da ripagarsi m olte volt e delle spese sostenute per il suo onorario. G li

azionisti, inoltre, vorrebbero avere più voce in capitolo nella scelta degli ammi-

nistratori ch e, second o loro, dovreb bero essere in grado di assumere e licenziare i

dirigenti delle aziende. Finora il man agement no n ha ceduto alle loro pressioni.

idea chiaveRegole di comportamento

più severe

4 G l i a m m i n i s t r a t o r id e l e g a t i h a n n or i e m p i t o i c o n s i g l id ' a m m i n i s t r a z i o n ec o n a m m i n i s t r a t o r id i lo ro conoscenzai n m o d o d a r i d u r r e

i p o s s i b i l i d i s s e n s i . JPatrick McGurn, 2007

(Institutional ShareholderServices, ISS)

 

11 La responsabilità

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sociale d'impresaL'econom ista Milton Fried m an e la r ivista «The Econ om ist»sono solo du e dei soggett i ch e h an n o n u tr i to scarsaconsiderazione per la responsabil i tà sociale d ' impresa(RSI) o corporate social responsibility. Friedman nel 1970afferm ava che la respon sabil i tà sociale di un 'aziend aconsisteva nell ' incrementare i suoi profìtti . «The Economist»lo h a definito un concetto n ebu loso e p ericoloso e h apubblicato una tabella per spiegarne £[ significato.Ep p u re anche le imp rese che son o d 'accord o con loroalla fine potr eb b ero d overci fare i con ti.

«The Economist» ha confrontato l'effetto della RSI sui profitti con quello sulbenessere sociale. Se la RSI aumentava il secondo e deprimeva i primi, non

si trattava che di una «virtù in prestito», mugugnava la rivista, e si faceva

del bene a spese degli azionisti. Se aumentava i profitti e diminuiva il

benessere sociale, era perniciosa, e se riduceva entrambi era un'autentica

delusione. Se però la RSI produceva un aumento win-win sia del benessere

sociale che dei profitti, non d ipend eva dalla RSI, ma da una buon a gestione.

La rivista sosteneva che un'azienda non dovrebbe cercare di fare il lavoro del

govern o, e viceversa, il che è corret to. Ma d ate le preoccupa zioni di una fetta

crescente della società, il «benessere sociale» è una variabile più limitata

rispetto alla RSI che, secondo qualsiasi definizione attuale, comprende ormai

an che lo svilupp o sostenibile e la responsabilità am bienta le.

La visione di un consiglio d'amm inistrazione vecchio stile, in sintonia con «The

Econom ist», può essere pr obabilmen te qu ella che considera la RSI po co più di

linea del tempo1886Marchio Leadership

 

una cassetta delle elemosine, da riempire nel migliore dei casicontribuendo agli hobby del presidente o alle attività carita-tevoli di sua moglie. Ma i temp i stann o cambiand o. Alla lucedegli scandali di bilancio e dei disastri ambientali ricorrenti,

£ L a r e s p o n s a b i l i t às o c i a l e d ' i m p r e s aè u n a d e c i s i o n e

i d l d i f f i i l

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l'opinione pubblica è incline a richiedere più regole di com-portamento alle aziende, e può non essere tenera. Che i

manager ritengan o o men o che la RSI rientri nel loro campo,essi devono prendere decisioni basandosi sui fatti, e comedirebbe Alfred P. Sloan le op inion i nel m ercato sono fatti.

Cosa è esattamente la RSI? Non esiste un'unica definizione.Il Consiglio mondiale delle imprese per lo sviluppo soste-nibile la definisce come «l'impegno continuativo da parte diun 'azienda a comportarsi in modo etico e a contribu ire allo

sviluppo economico migliorando la qualità della vita deilavoratori e delle loro famiglie nonché della comunitàlocale e della società in generale». Più sinteticamenteMallen Baker della Business in the Community del Regno Unito sostieneche la RSI riguarda «il modo in cui le imprese gestiscono i processi aziendaliallo scopo di produ rre un imp atto comp lessivo p ositivo sulla società».

L'Europa contro gli USA I sostenitori della RSI non sono aiutatidal fatto che essa abbia un significato in Europa e nel Regno Unito e un altronegli Stati Uniti. La visione europea è più ampia e considera la RSI come uncomportamento onesto e ragionevole attraverso il quale si tenta seriamentedi migliorare il mondo. In America l'idea del «good corporate citizen», ossia

delle imprese che si comportano da buoni cittadini, presenta due aspettiseparati. L'equivalente più prossimo alla RSI europea è l'«etica aziendale»,

ossia tenersi fuori dai guai e favorire norme etiche. La RSI è piuttosto un'at-tività caritatevole o filantropica, un modo di ringraziare per i profitti ottenutisenza aspettarsi niente in cambio - altrimenti non sarebbe filantropia.

Nella versione più ampia la RSI prende in considerazione una grandequantità di comportamenti scorretti. La Global Reporting Initiative chefornisce le linee guida alle aziende per riferire sul rispetto degli impegniassunti nel quadro della RSI, prevede 32 indicatori di performance che vanno

1970 1984 1998Responsabilità Stakeholder Corporate governance sociale d'impresa

a z i e n d a l e d i f f i c i l ed a p r e n d e r e . N o n v a

p r e s a p e r c h é è u n ab e l l a c o s a o p e r c h éq u a l c u n o c e l oi m p o n e . . . m a p e r c h éè b u o n a p e r l e n o s t r eaz iende . 5

Niall FitzGerald, 2008(ex AD, Unilever)

 

dalla riservatezza del cliente e dal comportamento anticoncorrenziale al lavorominorile e ai diritti delle popolazioni indigene. La prospettiva di aggiungerenuovi impegni agli obblighi di documentazione e relazione già esistenti continuaa spegnere l'entu siasmo di alcune imprese per la RSI. Gli in vestitori istituzionali,t t t i t ' tt i t l t iù hi d

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tut tavia, prestano u n'atten zione crescente al tema e sempre più spesso chied on oalle aziende di mostrare le loro credenziali in materia di RSI. Gli investimenti

etici stanno mostrando di poter superare altri indicatori generali di confrontoed è l'effetto finale in termini di quotazione delle azioni che alla fine potrebbesconfiggere le posizioni dei seguaci di Friedman.

Licen za d i agire I sostenitori della RSI affermano che non si tratta di darvia del denaro che appartiene di diritto agli azionisti, ma di difendere la licenzadi agire d ell'aziend a, gestend one i rapp orti con i gruppi più in fluent i - lacliente la, il person ale, la com u nit à in gener ale. La RSI significa gestire il prop rio

rischio e la propria reputazione.

Etica, quale etica?I consumatori non hanno una grande opinione consumatori intervistati nel Regno Unito, in

dell'etica delle aziende, e in base a un Francia e in Spagna riteneva a sua volta che

sondaggio condotto su cinque paesi, si stanno l'eticità del comportamento fosse peggiorata,

orientando verso il «consumo etico». La Gli acquirenti inglesi si sono rivelati i più critici,

Germania era il paese che meno aveva di che e gli spagnoli i più scettici circa l'«imbroglio»

rallegrarsi: il 64% degli intervistati percepiva etico. Tuttavia, la classifica emersa dal

un peggioramento degli standard. A seguire, sondaggio dei marchi percepiti come quelli

gli Stati Uniti con il 55%. Quasi la metà dei più etici contiene qualche sorpresa:

REGNO UNITO STATI UNITI FRANCIA GERMANIA SPAGNA

1 Co-op(compr. Co-op Bank)

Coca-Cola Danone Adidas Nestlé

2 Body Shop Kraft Adidas

Nike

Nike

Puma

Body Shop

3 Marks & Spencer Procter & Gamble Coca-Cola

4 Traidcraft Johnson

& Johnson

Kellogg's

Nike

Sony

Nestlé BMW Danone

5 Cafédirect

Ecover

Renault Demeter

Gapa

Corte Inglés

 

Esistono dati ch e conferm ano l'imp atto ben efico della RSI sugli utili delle aziende,

ma non sono ancora completam ente convin centi. È più facile dimostrare i costi

legati alla sua man cata adozione con un nu mero crescente di esempi di dan no di

immagine dovu to a una RSI n egativa. Il più citato è la Brent Spar, un a piattaforma

petrolifera nel Mare d el Nord giun ta alla fine del suo ciclo di vita

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petrolifera nel Mare d el Nord giun ta alla fine del suo ciclo di vita.

La Shell, ch e n e era proprietaria, aveva deciso che affondarla in

mare fosse l'opzione più responsabile dal punto di vista am-bientale, e forse lo era. Ma l'opinione pubblica, mobilitata dagli

attivisti di G reen pe ace, ha d eciso altrimen ti. Le proteste e il suc-

cessivo boicottaggio dei prodotti Shell han no obbligato la com-

pagnia a fare marcia in dietro. La Shell, che in passato dom inava

la riflessione sul futuro, aveva la scienza dalla sua parte. Ma

Green peace si è armata di valori. E i valori han no vint o.

La Nik e, azienda leader nelle calzature, sta ancora scontan do la batt uta d'arrestoprovocata da una campagna partita dal Regno Unito che l'accusava di ricorrereal lavoro minorile nei paesi in via di sviluppo. Essa ha reagito con una rigorosainiziativa di RSI che comprendeva anche la nomina di un direttore per losvilupp o sostenib ile. In m olti m ercati l'aziend a è riuscita a recup erare la sua repu-tazione. In un recente sondaggio sui marchi più «etici» (si veda il riquadro afian co), tut tavia, la Nik e n on figura nella classifica del Regn o U n ito .

Il camb iamen to climat ico è la qu estione del giorno in molti m ercati occidentali, e

potrebbe convogliare la forza dell'opinione pubblica. Le maggiori agenzie pubbli-

citarie britann iche p revedon o un 'ondata di campagne di marketing ecologico poiché

le aziende si precipiteranno a sfoggiare le proprie credenziali ambientali. Esse

ritengono ch e i consu matori p un irann o le imprese con un b asso profilo ecologico.

La Tomorrow's World, una lobby di aziende favorevoli alla RSI, teme che essapossa prendere un a delle due strade seguenti. In u n caso, potrebbe rappresentareuna mera affermazione di principio e le aziende sarebbero libere di dire che sipreoccupano unicamente degli azionisti, ma il mercato sarebbe in grado di rico-noscere facilmen te la loro posizione. Si tratterebb e di un a «RSI n omin ale». Nel-l'altro, la pressione sociale obb ligherebb e al risp etto degli imp egni e le aziende siguad agnerebbero il plauso scrivend o le cose giuste nelle loro relazioni - la «RSI

reale». Il consumatore sarebbe certamente in grado di riconoscere l'una dall'altra.

( Ci vogliono

2 0 a n n i p e r f a r s in n a r e p u t a z i o n ee c i n q u e m i n u t ip e r d i s t r u g g e r l a . JWarren Buffet

(presidente della Berkshire Hathaway)

idea chiaveGestire il risch io e la repu tazione

 

1 2 La strategia

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d'impresaV

La s tra teg ìa è eccita n te. E il m asch io Alfa delle funzioniaziend ali, qu ello di fronte al qu ale tut ti gli altri - prod uzion e,operazioni, marketing, finanze, contabilità, risorse umane,eccete ra - si inchin ano. I giovani consu lenti di m an agem en tda grandi vogliono diventare consulenti strategici e come

biasimarli? La strategia è l'architetto (gli obiettivi, forse,sono i clienti), gli altri son o i m u rator i. Ma se d a lon tanosem b ra accattivan te, vista d a vicino è u n lavoro ard u oe le aziend e ch e la fraintendono sono tan te qu an te qu ellech e riescono a farla fun zionare.

£ L a s t r a t e g i a s ioccupa de l l a

v i t to r i a . 5Robert M. Grant, 1995

La strategia è vecchia quanto la guerra: tutti i dizionari la associano più frequen-temente a questo termine che non a quello di «impresa». L'espressione «l'artedella guerra» riassume chiaramente le sue applicazioni militari, ma le definizionidegli autori che scrivono di management raramente sono così sintetiche. Gerry

Johnson e Kevan Scholes affermano: «La strategia è la direzionee il raggio d'azione che un'organizzazione assume nel lungoperiodo: ciò che procura vantaggi all'organizzazione attraverso lasua configurazione di risorse in un ambiente impegnativo, alloscopo di soddisfare le esigenze di mercato e le aspettative degliazionisti». Michael Potter è più sintetico e adotta un'impo-

stazione differente: «La strategia si occupa di ciò che vi renderà unici», ha af-fermato recentemente in una conferenza presso la Wharton School.

Comunque la si descriva, la strategia per molti anni non è stata una preoccu-

pazione esplicita dei manager. Essi pen savan o e pianificavan o, e alcun i cercavan o

di differenziarsi dagli altri, ma ciò faceva semplicemente parte dell'attività

linea del tempo

mGuerra e strategia

1450Innovazione

 

Missione incredibileLa dichiarazione della missione è oggi un

apprezzato ornamento della relazione annuale.• la nostra missione - le nostre fina lità , perché

siamo in attività;

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apprezzato ornamento della relazione annuale.

In certi casi si tratta di proclami altisonanti al

limite dell'autoinganno. Dilbert.com, la casavirtuale del fumetto dedicato all'omonimo

impiegato imbranato, dispone di un generatore

di dichiarazioni di missione che sputa fuori a

caso esempi inventati ma fin troppo familiari:

Ci battiamo per rafforzare con decisione 

il capitale intellettuale cruciale per la nostra 

missione allo scopo di potenziare totalmente gli attuali infallibili catalizzatori del 

cambiamento  promuovendo al tempo stesso 

la crescita personale dei dipendenti.

Elaborate correttamente, tuttavia,

le dichiarazioni della missione possono costituire

un'utile pietra di paragone per il management

e il personale, contribuendo a salvaguardarela coerenza e la solidità dei valori e della cultura

dell'azienda. Tali dichiarazioni contengono

di norma tre elementi:

siamo in attività;

• i nostr i valo ri - il nostro stile, cosa

è importante e non modificabile del nostromodo di lavorare;

• la nostra visione - i nostri obiettivi, dove

vogliamo arrivare entro X anni.

La dichiarazione della missione non crea -

non dovrebbe - la missione né i valori, ma

dovrebbe semplicemente enunciare ciò che

esiste. Avviare una riflessione collettiva sulladichiarazione della missione può portare in luce

una missione o uno stile che non erano stati

articolati adeguatamente in precedenza,

ma dovrebbe riflettere la verità e non

aspirazioni alla Dilbert. Le aspirazioni trovano

il loro posto nella sezione dedicata alla

visione, che potrebbe consistere in undeterminato obiettivo o in una trasformazione

di un qualche tipo. La dichiarazione della

missione non è, mai e poi mai, una strategia.

in t rapresa e non e ra codi f ica to come «s t ra teg ia» pr ima degl i anni ' 50 . Po i , ne l

1965 , H. Igor Ansof f ha pubbl ica to Corporate Strategy, c h e h a f a t t o c o n o s c e r el ' a rg om ent o ins iem e a l «m an ag em en t s t ra teg ico» - l a sua formu laz ione e app l i -

caz ione - a p iù vas t i am bien t i az ienda l i .

Una regola per prendere decisioni R i c o n o s c i u t o c o me i l p a d r e

de l management s t ra teg ico , Ansof f d iceva che la s t ra teg ia e ra «una regola per

prendere dec is ion i» , e pochi avrebbero da . r id i re a r iguardo . Egl i d i s t ingueva t ra

obie t t iv i , che ind icano g l i scopi , e s t ra teg ia , che ind ica i l cammino per rag-

I 1916 1960 1965 1968 1980 1990 2004Diversificazione Alleanze Strategia Matrice Le cinque forze Nucleo Strategia

strategiche d'impresa di Boston della concorrenza di competenze oceano blu

 

giungere gli scopi. Ed era fermamente convinto che «la struttura viene dopo lastrategia». Le decisioni strategiche dovevano rispondere a tre domande fonda-mentali:

• Qu ali sono gli obiettivi e gli scopi dell'azienda?

• L'azienda dovreb be d iversificare e in caso affermativo in quale cam p o e con

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• L azienda dovreb be d iversificare e, in caso affermativo, in quale cam p o e con

quanta intensità?

• In che m odo l'azienda d ovrebbe sviluppare e sfruttare la sua attuale posizionein termini di prodotti e mercati?

Ansoff ha richiamato l 'attenzione su un aspetto importante che daallora ha complicato la formulazione di una strategia, ossia che lamaggior parte delle decisioni viene presa in un quadro di risorselimitate. Gra nd e o piccola ch e sia un 'azienda, le decisioni strategichecomp ortan o scelte tra usi alternativi d elle risorse. Accrescere l'attivitàattuale e lasciar perdere la diversificazione? Diversificare e rischiare ditrascurare l'attività attuale? «La questione è realizzare un modello diallocazione delle risorse che offra le maggiori possibilità di raggiungeregli obiettivi dell'azienda», diceva, e poi mostrava come fare.

Anso ff h a prov ocato u n'esplosione nella p ianificazione strategica e ben

presto tutti coloro che occupavano posizioni di un qualche rilievo

avevan o messo in piedi un settore di pianificazione aziendale ch e sfornava catervedi previsioni e obiettiv i n ello stile della pianificazione qu inq uen nale sovietica. Se

il loro mom ento è passato in fretta e le idee di Ansoff sono diven tate m eno p re-

scrittive («l'analisi è la paralisi», diceva all'inizio), gli studiosi venuti dopo di lui

gli devono ancora molto. Coloro che non amano particolarmente i tomi teorici

ricordano Ansoff soprattutto per la sua matrice prod otto-mercato, u no strum ento

ancora utile per decidere strategicamente come espandere l'attività aziendale. Le

quattro possibili strategie da essa previste si fondano su diverse combinazioni diprodotti e mercati: la penetrazione del mercato, la strategia più sicura, consiste

nell'aum entare la qu ota di un prod otto attuale sul mercato attuale; lo svilupp o del

prodotto consiste nel vendere nuovi prodotti ai clienti attuali; lo sviluppo del

mercato consiste nel trovare nuovi clienti per i prodotti attuali; e la diversifi-

cazione, la più rischiosa, nel trovare nuovi mercati per nuovi prodotti.

La catena della pian ificazione L'ufficio pianificazione aziendale avràanche tolto le tende, ma la pianificazione strategica resta una funzione indispen-

sabile. Il processo n ormal men te si svolge in q uest'ordine:

• Dichiarazione d ella missione e degli obiettivi - si descrive la visione dell'a-

zienda e si definiscono obiettivi finanziari e strategici misurabili.

 € L a p o l i t i ca èu n a d e c i s i o n e

c o n t i n g e n t e ,m e n t r e l a

s t r a t e g i a è u n ar e g o l a p e r

p r e n d e r e l edec i s ion i . J

H. Igor Ansoff, 1006

 

• Esame amb ientale - si raccolgon o informazioni all'in tern o e all'esterno e si

analizza l'azienda, l'ind ustria e l'ambien te in termin i più generali. Qu esto è il

luogo di ritrovo delle «cinque forze» della concorrenza (si veda p. 84) e del-

l 'analisi SWOT (strengths, weaknesses, opportunit ies, threats - ossia, punti di

forza, debolezze, opportunità, minacce).

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• Formu lazione della strategia - la parte difficile. «Van taggio com p etit ivo » fai-

da-te, «nucleo di competenze», o ripensare davvero tutto radicalmente?• Attuazion e della strategia - altra parte difficile. Comu n icare la strategia, orga-

nizzare le risorse e moti vare il person ale a forn irle.

• Valutazione e contro llo - misurare, confron tare con il pian o e correggere.

Trovare un a strategia «giusta» o anch e solo «buo na», ovviam en te, è tutt o un altro

paio di man iche, an che se si dispone di una q uan tità di buoni consigli. M ichael

Porter ritiene che la concorrenza brutale sia un errore. Egli

afferma che nessun o vin ce una simile battaglia, spesso in nescatadal desiderio di essere il «migliore» all'interno di una deter-

minata industria. Chi è il «migliore» lo stabilisce lo spettatore.

Perciò è meglio sviluppare una strategia imperniata su ciò che

rende u nico il posto ch e si occup a nel mercato.

Porter è critico a n che sul valore per gli azionisti in q uan to ob iettivo aziend ale,

aspetto che egli definisce il triangolo delle Bermuda della strategia: «Il valoreper gli azionisti è un risultato. Deriva dalla realizzazione di una prestazione eco-

nomica superiore». L'efficacia operativa non è una strategia, ma un'estensione

delle buon e prat iche. Pu ò essere positivo per le prestazioni, m a è difficile da man -

tenere nel temp o - se è una buona pratica anche altri vorrann o adottarla.

Richard K och (si veda p. 70) ritien e che il con to d ella strategia aziendale sia in

rosso e ch e nell'u ltimo mezzo secolo abbia fatto più male che b ene. No n perché

sia sbagliata, ma perché è stata invariabilm ente d iretta da quello ch e lui chiam a

- p robabilm ente con u na smorfia di repulsione - «il Cen tro ». Mol ti «Cen tri»,

anche se non tutti, distruggono più valore di quanto non ne creino. Possono

essere bravi a risolvere crisi finanziarie, a individuare punti di svolta, a trovare

acquisizioni utili e a integrarle, a effettuare una gestione del portafoglio basata

sulla ma trice di Boston (si veda p. 20). M a a p arte ciò, afferma Koch, la strategia

dovreb be essere lasciata alle aree di affari.

( L a s t r a t e g i aè i l g r ande l avo rodel l 'o rgan izzaz ione . 5Siili T zu, circa 600 a.C.

idea chiaveCome fare per arrivarci

 

1 31 costi della

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complessitàE il cliente che coman d a. Se le im prese h an n o imp arato qu alcosanegli ultimi cinq uan t'anni è stat o il fatto d i concentrarsisui clien ti e le loro necessità . Offritegli innovazione, offriteglipossib ilità di scelta, giu sto? Fino a un certo p u n to.Alcun e aziend e si sono accort e ch e abb ond are in novitàe varietà po rta alla com p lessità, e ch e la com p lessità costa.

Semplifichiamo. Non è un'idea nuova. Il suo più famoso difensore, anche se non

il primo, è stato il frate francescano inglese Guglielmo di Occam. Il principio

del «rasoio di Occam» affermava, semplicemente, che la soluzione più semplice

di solito era la migliore, e questo nel XIV secolo. Purtroppo, Occam tace sulle

implicazioni che il suo principio potrebbe avere per i profitti. Ben più recen-temente, tuttavia, i consulenti della Bain & Company hanno osservato che in

un campione di 75 aziende di una dozzina di industrie diverse, le

aziende «a più bassa complessità» hanno aumentato i loro ricavi due

volte più in fretta rispetto alle altre. Inoltre, la crescita dei ricavi ha

mostrato un legame molto più stretto con i livelli di complessità che

con le dimensioni dell'impresa.

Più un'azienda diventa complessa, più aumentano i suoi costi. Una

maggiore complessità può derivare da molti elementi diversi, spesso

associati con un'espansione dell'attività. Può verificarsi in conseguenza di un'in-

novazione, dell'am pliam ento della gamma di prod otti, o dell'acquisizione di nuov i

clienti. L'adozione di nuove tecnologie e abilità aggiunge complessità quasi per

definizione. Questo tipo di complessità indotta dal mercato può essere remune-

rativa, ma l'azienda deve allocare e determinare correttamente i costi aggiuntivi (si

( La compless i t às i a c c u m u l ane l tempo. J

Eric Clemons, 2006(Wharton School)

¡ililinea del tempo

Costi della complessità Fusioni e acquisizioni

 

veda i l r iquadro in basso) per prendere decisioni in meri to. Essa potrebbe scoprire

ch e i ben efìci de l l 'espan sione son o infer ior i a l pr evisto, o ad dir i t tu ra neg at iv i .

Più temp o-macchin a U n c o n s u l e n t e r a c c o n t a d i u n a d i t t a d i a l i me n t i

confez iona t i che ha cerca to d i d i fendere la sua quota d i merca to a t t raverso un

aggress ivo programma di innovaz ione Tut tav ia p iù prodot t i aggiungeva a l la sua

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aggress ivo programma d i innovaz ione . Tut tav ia , p iù prodot t i aggiungeva a l la sua

gam ma, p iù i cos t i au m ent av an o . Si d ove t t e ro aum ent are g li add e t t i a l mar ke t ing

d e l 2 0 % , e l e s c o r t e a u me n t a r o n o v e r t i g i n o s a me n t e . I n f a b b r i c a , p i ù d e l 3 0 %

d e l t e mp o - ma c c h i n a d i s p o n i b i l e v e n i v a a s s o r b i t o d a g l i a d a t t a me n t i n e c e s s a r i

p e r l ' e n n e s i mo p r o d o t t o . Pe r c o mp e n s a r e , l ' a z i e n d a d e d i c a v a s e s s i o n i d i p r o -

d u z i o n e p i ù l u n g h e a i p r o d o t t i d i m i n o r v o l u me - c h e p o i s c a d e v a n o p r i ma d i

a r r ivare a l consumatore . La s t ra teg ia d i innovaz ione de l l ' az ienda , per v ia de l la

Imparare l 'ABCUn quadro veritiero dei costi della complessità

dipende dalla capacità di individuarne l'origine,

prodotto per prodotto, specialmente quando si

tratta di costi indiretti come quelli per

l'ammin istrazione e il marketing. I metodi

contabili tradizionali non sono di grande aiuto in

questo, poiché essi attribuiscono i costi indiretti

ad ogni prodotto in proporzione al costo diretto

del lavoro e dei materiali necessari per produrlo.

Tuttavia, prodotti apparentemente simili

possono avere costi significativamente diversi,

perché richiedono più tempo macchina, unamaggiore attività amministrativa,

o tempi di vendita più lunghi. Cosi si favoriscono

gli altri prodotti.

Robert S. Kaplan (si veda p. 8) e William Bruns

nel 1987 hanno dato un contributo alla soluzione

del problema con il «costo basato sulle attività»

(activity-based costing, ABC). Tale metodo

permette di attribuire i costi indiretti ai singoli

prodotti e può essere utilizzato sia dalle imprese

di servizi che da quelle di produzione. Esso

individua i criteri di ripartizione («cost drivers»),

e attribuisce i costi ai prodotti

in base al numero di attività che comportano

e al tempo che richiedono.

Oltre ad attribuire più accuratamente i costi ai

prodotti o ai servizi che li generano, l'ABC permette

di individuare i clienti più redditizi per l'azienda

e quelli che lo sono meno, ed offre al managementun quadro più realistico delle aree o delle fasi

in cui insorgono i problemi. Non si adatta, però,

ai metodi contabili standard e può essere utilizzato

solo per scopi interni. Perciò alcune aziende non

usano l'ABC perché esitano di fronte all'eventualità

di creare due sistemi distinti di contabilità.

1924 1950 1985 1993Segmentazione del mercato Gestione della Catena del valore BPR

catena dell'offerta

 

maggior comp lessità ad essa conn essa, m in acciava di peggiorare

drasticamente la sua posizione in termini di costi, per non

parlare della presenza sul mercato.

La comp lessità si nascond e an che so tto altre maschere. Fusioni

e acquisizioni possono presentare ogni tipo di complessità (si

( Plu ra l i ta s n on

e s t p o n e n d a s i n e

n e c e s s i t a t e

(oss ia , nonl i t

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e acquisizioni possono presentare ogni tipo di complessità (si

veda p. 136). Un portafoglio di attività eccessivamente ampio

può distogliere l 'attenzione da quelle fondamentali. La com-

plessità può essere costituita da un numero troppo elevato di

fornitori o dall 'eseguire all ' interno un processo che potrebbe

essere svolto all'esterno con maggiore efficienza o efficacia.

Design dei prodotti e flussi di processi complicati fanno

aum ent are la comp lessità e i costi. La m oltep licità dei livelli gerarchici d el man a-

gemen t comp orta u na maggiore comp lessità. Lo scrittore ed ex consu lente stra-

tegico Richard Koch ritiene che circa la metà di tutti i costi legati al valore

aggiunto nell'azienda media siano connessi con la complessità e che la metà di

esse presenti b uon e opp ortun ità di una rad icale riduzione dei costi. Second o lui

«com b attere la comp lessità può portare simu ltaneam ente a riduzioni dei costi e

ad aumenti sbalorditivi del valore per il cliente».

I consu lenti M ichael G eorge e Steph en Wilson nel loro Conquering Complexity

in Your Business, enunciano tre semplici massime:

• elimin are la comp lessità per la qu ale il cliente no n è disposto a pagare;

• sfruttare la comp lessità per la quale il clien te è disposto a pagare;

• minim izzare i costi della comp lessità ch e si offre.

George e Wilson osservano ch e la situazione più frequente è quella in cui le aziendeoffrono più prod otti e servizi di quanti ne desiderino in realtà i loro clienti. Liberarsi

di alcuni di essi non solo elimina una fonte di costi superflui - muda, o «scorieinu tili», direbb ero i giapponesi - ma può an che p rocurare un van taggio con cor-renziale. Essi richiamano l'attenzione sulla compagnia aerea a basso costoSouthwest Airlines che resta competitiva in un'industria standardizzata in partegrazie ai suoi bassi costi e alla sua cultura par ticolare, ma in parte grazie an che a unabassa complessità. Quest'ultima caratteristica è stata realizzata quando l'azienda hascelto di utilizzare un solo tipo di velivolo - il Boeing 737. L'American Airlines,

invece, ne h a utilizzati stor icamen te fin o a 14, con 14 magazzini di pezzi di ricambio,la formazione di 14 tipi diversi di meccanici e di piloti, e 14 diverse certificazioniFAA , senza che n essuno di tali aspetti rappresenti per il cliente un valore aggiuntoo ch e il clien te sia disposto a pagare per essi. L'American Airlines, ner essere onesti.

compl ica te

le cose se non ènecessa r io ) . JGuglielmo di Occam,

ca.1285-1848

 

Affron tare la com plessità n on sign ifica n ecessa- £ j j ^ ^ q d e l l a C o m p l e s s i t àriam en te disfarsen e. Basta essere sicuri di riuscire a » x j ir , , r, i o l l a . u ii n on e com p en sa t o d al p rezz ofarsela pagare. La Baskin-Robb ins offre oltre mille ~ r

gusti d i gelato d ive rs i, il che r appresen ta una P U Ò C n i e d e r e . /  

discreta complessi tà, ma i clien ti pagan o un prezzo GCPaPd APpey, 2008

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discreta complessi tà, ma i clien ti pagan o un prezzo GCPaPd APpey, 2008

aggiuntivo per essa. Conquistare la complessità, ( A D d e l l ' A m e r i c a n A i r l i n e s )

secondo George e Wilson, significa averne un

livello molto basso sul mercato, o mirare a clienti disposti a pagare un sovrap-

prezzo adeguato per la maggiore complessità fornita a basso costo.

Trovare il flllcro Mark G ottfredson della Bain sostiene che ridurre la com -

plessità può far aumentare i ricavi e diminuire i costi, ma che azzerarla non è

ovviam ente la risposta giusta. Hen ry Ford ha fatto q uell'errore, prod ucend o solo

automobili n ere. Poi è arrivata la Gen eral Moto rs che h a aggiunto altri colori (e

complessità) e si è imposta come leader del mercato soppiantando la Ford, che

non ha mai recuperato tale posizione. Analogamente, secondo Gottfredson,

molte aziende non h an n o trovat o il loro «fulcro dell'inn ovazione». «Qu ello è il

punto in cui i prodotti o servizi soddisfano pienamente le esigenze dei consu-

mat ori con il min imo livello possibile di costi d ovuti alla comp lessità». Egli sug-

gerisce di scegliere un prodotto medio dell'azienda e chiedersi quali costi si

avrebb ero se si prod ucesse solo qu ello; di in dagare quali tipi di complessità i con -sum atori apprezzano realmen te, e poi di aggiungerli un o alla volta - sino a qu an-

do il cliente è disposto a pagare per coprire il costo relativo a tali operazioni.

Il fulcro dell'inn ovazione dovrebb e essere abbastanza facile da in dividu are. Razio-

nalizzare la gamma dei prodotti può offrire maggiore visibilità al dettaglio ai

prodotti più richiesti, facendo aumentare le vendite. «Supponiamo che abbiate

17 000 articoli in catalogo, ma ch e il vostro riven di tore m edio n e prend a solo 17,

qual è la probabilità che siano proprio quelli giusti?».

Eric Clemons, professore di management operativo e della comunicazione

presso la Wharton School, invita a sua volta a trovare un equilibrio. «Gestire

la compl essità n on è la stessa cosa ch e gestire i costi », afferma. «Si tra tta d i dare

a ogni cliente esattamente ciò che vuole senza farsi distruggere dalla struttura

dei costi».

idea chiaveSemplificare al massimo

 

14 La gestione

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delle relazionicon i clientiVi sono idee ch e con t in u ano a susc i tare r isp et to t r a i teor iciincal l i t i de l management anche anni dopo la loro appar iz ione ,

e al tre che vengono messe alla berl ina. La gestione dellerelazioni con i cl ien ti (sp esso abb reviata in CRM , d all ' ingleseCustomer relationship management) - in torno a l la qualeè sor t a u n a vera e p rop r ia in d u str ia - è ogget todi schern o p iù d i q u anto mer i t i .

( La CRM è p iù u n afilosofia aziendale

che un softw are,

più u n a passionech e u n p rogetto. JMade2Manage Systems, zooe

Tutti abbiamo sperimentato il lato negativo della CRM rimanendo, prima opoi, intrappolati nell'inferno telefonico in cui una voce registrata ci invita a

«premere il tasto x», per la quin ta v olta. Eppu re l'idea d i fondo è del tu tto logica

- concentr arsi sui propri client i, imparare a conoscern e necessità

e comp ortam enti, usare quel che si è imp arato per migliorare le

relazioni e, in ultima analisi, vendere loro più del solito.

Tecnologia A q uesto scopo le grandi aziende ha nn o fatto

ampio ricorso alla tecnologia per catturare e immagazzinareinformazioni sui client i, analizzarle e informatizzare le ven d itee le unità di assistenza. Di conseguenza, la CRM è stata stret-tamente associata alla tecnologia. Le «aziende CRM» sono

quasi tutte ditte di software. Quando un progetto di CRM non funziona(come spesso accade ai grandi progetti di tecnologie dell'informazione) o è

applicato male, finisce per rovinare la reputazione della CRM. E dopo l'in-

successo e la cancellazione di vari progetti costosi e ben pubblicizzati, la CRM

linea del tempo

1896 1897Fedeltà Il principio 80/20

 

Stop ai fallimentiI progetti di CRM che falliscono sono tanti

quanti quelli che hanno successo. Come

mai? Alcuni rispondono che dipende dal fatto

6. La CRM viene considerata come un progetto

TI, e non come delle iniziative aziendali che

potenziano la tecnologia.

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che le aziende non capiscono che non si

tratta di una «soluzione», ma di una culturaaziendale. La CGI, impresa fornitrice di

tecnologie informatiche (TI), indica le dieci

principali ragioni di insuccesso della CRM:

1. Le iniziative di CRM vengono lanciate

senza una strategia.

2. La strategia della CRM non è integrata in

quella dell'azienda.

3. L'insieme degli strumenti della CRM si

basa sul successo di qualcun altro.

4. La CRM viene lanciata senza tener conto

dell'azienda o del cliente.

5. La CRM viene lanciata senza un contributo

da parte dei clienti.

7 La CRM viene lanciata senza aver stabilito

unità di misura e obiettivi.8. La CRM viene considerata come un evento

una tantum.

9. Si dà per scontato di avere una cultura

incentrata sul cliente per il solo fatto di avere

dei clienti.

10. I vertici aziendali non esercitano

la leadership e non coinvolgono attivamentei dipendenti nella CRM

La CGI definisce la CRM come «un approccio

strategico che combina processi aziendali,

tecnologia, dipendenti e informazioni

nell'ambito di un'impresa per attirare

e trattenere i clienti redditizi».

cominc ia a mos t ra re la corda . La tecnologia , comunque , dovrebbe essere i l

c inema, e non i l f i lm s tesso . La CRM è venuta fuor i neg l i anni ' 90 in un

p e r i o d o i n c u i i c o n s u ma t o r i in g e n e r a l e c o mi n c i a v a n o a e s se r e m e g l i o

i n f o r ma t i , p i ù s e l e t t i v i e me n o f e d e l i a l ma r c h i o . L e b a n c h e c h e o f f r o n o

cred it i a bre ve te rm in e e gl i assicurat ori son o stat i t ra i pr imi a r ico no scer e ibenef ìc i der ivant i da una ges t ione p iù e f f icace de i lo ro numeros i c l ien t i .

Ess i hanno impara to che a t t i ra re nuovi c l ien t i è mol to p iù cos toso che con-

servare e amp l ia re la «quot a d i por ta fogl io» d i qu e l l i es i s ten t i . Alcu n i c l ien t i

s o n o p i ù imp o r t a n t i d i a l t r i p e r u n ' a z i e n d a , s e c o n d o i l p r i n c i p i o 80 / 2 0 (s i

veda p . 68) , che ind ica che i l 20% de i c l ien t i genera l ' 80% de i p rof i t t i . I l

p roblema è come fa re a ind iv iduar l i .

1924 primi anni'50 anni '90Segmentazione Gestione dei canalidel mercato

Gestione dellerelazioni con i clienti

 

La tecnologia forniva la risposta sotto forma di data wharehousing (immagazzi-

namen to dati) e data mining (estrazione di conoscenza dai dati ). Il prim o consiste

nel raccogliere e conserv are i dati in m odo ch e sia possibile studiarli e analizzarli.

Il secondo nel frugare nei dati opportunamente immagazzinati per vedere cosa

emerge da essi. Il risultato può d ire molto sullo stile di vita di un consum atore,

sulle sue preferenze, le sue mod alità p revalenti di acqu isto e su tu tto ciò ch e è

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p , p q

rilevante per un'azienda. Una volta saputo tutto ciò, le aziende possono adeguaredi conseguenza le relazioni con i clienti e il marketing, guarnendoli con una

generosa porzione di gestione d ei canal i (si veda p. 32).

I clienti di poco valore possono essere deviati su canali a basso costo

come le televendite o i siti web mentre quelli con un valore poten-

zialmente alto possono essere trattati p ersonalm ente. Le informazioni

sui clienti e le loro relazioni con i diversi rami dell'azienda vengono

poi riunite in un u nico con ten itore, in modo che lo stesso archivio siaaccessibile a tu tti i settori dell'imp resa - dalle diverse unità op erative

alla contabilità, alle vendite e all'assistenza. Ciò significa che ogni

volta che il cliente contatta l'azienda, attraverso qualsiasi canale, tutti

seguono lo stesso spartito.

Le informazioni centralizzate possono anche essere utilizzate per indi-

viduare opportunità di vendite incrociate. «La signora ha un contocorrente e un mutuo da noi. Proviamo a venderle un'assicurazione». Un'analisi

dei dati individuali più particolareggiata può mostrare anche altre opportunità.

Se una banca sa che la polizza mista di un cliente sta arrivando a scadenza,

potrebbe essere il momento giusto per offrire un altro prodotto di investimento

- fondi comuni d'investimento, magari. Essere informati sulle fasi della vita del

cliente e degli eventi che possono innescare decisioni di acquisto significa sapere

quando è il momento migliore per offrire mutui, un piano di risparmio per lespese un iversitarie, o un o schem a pen sionistico. Nel futuro ci aspettan o sistemi

«attivi» di CRM che sapran no se e quand o offrirci un o sconto p er conclud ere un

affare mentre ci stiamo pensando in un sito web.

I servizi finanziari e le telecomunicazioni hanno aperto la via, ma altri sono stati

pron ti a seguirli e la CRM è diven tata sia un'indu stria, sia una specie di contin uo

ronzio. L'opportunità principale per i venditori di CRM consisteva nel metterea pu nto e ven dere sistemi che collegassero e alimentassero i vari can ali di vend ita

di un 'azienda: il sito web, i cali cen ter («... prem ere 1...»), i riven di tori, i rappre-

sentanti. Il sistema raccoglie i dati, li analizza, li immagazzina e li fornisce quando

è necessario.

6 Quando la CRMè a t t u a t a co n

successo, è come

u n g i g a n t e sc om a r t e l l o

pneumat ico chea b b a t t e l e p a r e t i

in te rne . JDick Lee, 2002

 

La qu antità di dati n ecessaria per cons enti re alla CRM di fare ciò ch e d ovrebb e

è considerevole, e ciò agli inizi costituiva un problema. Ora Internet permette

alle aziend e di immagazzinare le informazioni all 'estern o, e la relativa tecnol ogia

svolge un ruolo m olto più rilevan te n elle strutture p er la CRM . La maggiore fles-

sibilità che essa consente porta a una maggiore accettazione da parte dei

dipendenti, mentre in precedenza le resistenze del personale nei diversi settori

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p p p

di un'azienda hanno spesso impedito ai progetti di CRM di funzionare.Un'efficace CRM costituisce una strategia aziendale di vasta

po rtata. L'integrazione d ei can ali attrav erso i quali si entra in

con tat to con i clienti n on è m olto utile se il resto dell'orga-

nizzazione non mantiene le sue promesse. Ordinare un

articolo a mezzanotte in rete è splendido, ma non se poi ci

mette tre settimane ad arrivare.

Il futuro Tutta questa tecnologia, per sua natura, è co-stosa e di solito il costo d ella CRM era tale che solo le grandiaziende po tevan o permettersela. Più di recent e, sono en tratinel mercato i cosiddetti provider di servizi applicativi cheospitano software destinati alla CRM che «affittano» effi-cacemente alle piccole imprese, ampliando in tal modo il

mercato della CR M .

Vi sono numerose aziende che potrebbero parlare bene della CRM mostrandocome essa abb ia port ato a una crescita a du e cifre dei ricavi, a un a maggiore pro-duttività e a una maggiore soddisfazione. Tuttavia la CRM basata su softwareinstallati in azienda continua a dare risultati contrastanti, e più della metà deiprogetti risulta non funzionare o funzionare al di sotto delle aspettative. I suoisostenitori afferman o che p ossono esserci valide ragioni p erché ciò si verifichi (siveda il riquadro a p. 57). Una di esse è ovvia per i clienti che incappano nel-l'inferno delle segreterie telefoniche - quando le aziende in questione hannoad ottato la CRM , in realtà, i clienti eran o l'ultim o dei loro pensieri.

6 La CRM comprendeo g n i a s p e t t od e l l a c o n d u z i o n ed e l l ' a z i e n d a ,d a i p r o ce s s i i n t e r n ia i s e r v i z i a c o n t a t t ocon i l pubbl ico ,a l l ' i n f o r m a t i z z a z i o n ed i q u a l s i a s i c o s a . 5Unta Hershey, zoos

(LGH Consulting)

idea ch iaveFate di tu tto per conservarei clien ti m igliori

 

50 grandi idee di management

1 5 n decentramento

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La General Motors è, d a un temp o per la m aggior p artedi noi qu asi imm emorabile, la più gran d e casa automob ilistica.È un a presenza di grand e p eso a livello produ ttivo,anche se i l suo p rim ato attu almen te è m eno sicuro di un temp o.Non m inore è la sua imp ortanza n el cam p o delle ideesul m anagem ent, essendo stata la p ietra di paragon e

della concezione d ell ' imp resa mod ern a p er più d i mezzo secolo.Q u an to fatto alla GM nella p rim a m et à del XX secolo si riflettean cora nelle p rati che d i gestion e e, tr a le sue innovazioni, quellach e h a esercitato la m aggiore influenza è il d ecen tram en to.

Il management deve molto alla General Motors e al contributo di Peter Drucker.

Sotto la direzione di Alfred P. Sloan, la GM ha reinventato se stessa e la strutturaorganizzativa, anche se è stato Drucker ad analizzarne le realizzazioni e a presentare

le sue riflessioni in merito in Concepì of the Corporation. In seguito anche Sloan ha

scritto su ll'argomento pu bblicand o La mia General Motors di cui resta famosa la

descrizione data da Bill Gates: «probabilmente la scelta migliore se volete leggere un

solo libro sulle imprese». E stato osservato che se Concepì of the Corporation fa del

man agement una d isciplina, Sloan ne fa una professione.

Sloan era un tipo non comune - un direttore che è diventato un'autorità rico-

nosciuta n el camp o del man agem ent. Egli si è un ito al gruppo di qu attro p ersone

che costituiva la direzione della GM nel 1920, quando l'azienda si trovava in

gravi difficoltà (ne è divenuto amministratore delegato tre anni dopo). Trala-

sciando il resto, la GM aveva un'organizzazione caotica derivante dal fatto di

essere nata dall'unione di 25 costruttori automobilistici e da svariati produttori

di componenti. Inoltre, stava andando a picco.Per prima cosa, sono state riportate sotto controllo le spese, con previsioni

mensili e un contr ollo di bilancio centralizzato - cont abilità e finanze n on sono

linea del tempo1920 1924 1938Decentramento Segmentazione Leadership

del mercato

 

 € [I l d e ce n t r a m e n t o ] a u m e n t a i l m o r a l e d e l l ' o rg an iz za z i o n eco l l o ca n d o o g n i a t t i v i t à n e l s e t t o r e ch e l e co m p e t e ,

f a c e n d o s e n t i r e q u e s t ' u l t i m o p a r t e d e l l ' a z i e n d a ,s p i n g e n d o l o a d a s s u m e r s i l e p r o p r i e r e s p o n s a b i l i t àe a d a r e il p r o p r i o co n t r i b u t o a l r i s u l t a t o f i n a l e . 5

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 Alfred P. Sloan, 1963

mai stati decentrati alla GM. Poi è arrivata la prima vera segmentazione del

mercato autom obilistico con i cinqu e marchi GM che pu ntavan o ciascun o a una

diversa fetta di mercato. Infine ogni m archio, insieme a tre un ità imp egnate nella

produzione di componenti, è stato trasformato in una divisione separata dotata

di un certo grado di autonomia nell'esercizio delle sue funzioni. «La struttura

segue la strategia», come insegnano nelle facoltà di Economia, e questo era, let-teralmente, un esempio da manuale.

Dopo il Iliultifun zionalismo Al tempo stesso, ma per ragioni diverse

(crescita e aumento della complessità) anche la DuPont aveva organizzato la sua

struttura in divisioni e operato il decentramento. La struttura prevalente delle

grandi aziende all'epoca era improntata a quello che lo storico delle imprese

Alfred Chandler chiamava «multifunzionalismo». Si trattava di strutture gerar-chiche nelle quali le responsabilità di gestione erano specializzate in base alle

funzioni. Esse erano sorte a metà del XIX secolo dalle compagnie ferroviarie ame-

ricane per far fronte all'espansione vertiginosa delle loro funzioni - gestione dei

passeggeri, delle merci, del materiale circolante, della rete ferroviaria stessa. La

direzione articolata per reparti, d etta an che line management, è stata ovviamente

inventata nelle ferrovie.

L'organizzazione per divisioni e il d ecentr am ent o h an no avv icina to responsabilitàe processo decisionale al teatro dell'azione, alle persone che sapevano davvero

come funzionavano le cose. Ciò ha motivato i manager e ha eliminato in gran

parte la perdita di tempo dovuta ai continui passaggi tra servizi operativi e sede

centrale e, cosa ancora più im por tante, h a separato la strategia d alle questioni op e-

rative. I dirigenti dell'aziend a n on avevan o respon sabilità op erative dirette e così

non potev ano interferire in qu estioni di cui sapevan o poco. Essi, invece, p otevan o

1965 1968Strategia d'impresa Adhocrazia

 

Abbassare la tem p eratu raSe la posizione di A lfred P. Sloan avesse

prevalso, la storia della letteratura sul

management sarebbe stata alquanto diversa.

economici e affidabili e avrebbe consentito alla

GM di competere direttamente con la Ford.

La direzione sottopose il progetto alle

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g q

Egli non riteneva di particolare interesse lasciarintromettere Peter Drucker nella sua azienda, la

GM. Ma i suoi colleghi avevano votato a favore,

e Sloan non credeva nel management fatto con

i diktat. Il risultato è che entrambi hanno scritto

un libro che è divenuto un classico.

In quanto presidente della GM a Sloan non

mancavano di certo preparazione e lungimiranzain fatto di organizzazione aziendale, ma era

anche particolarmente ricettivo e tollerante con

le persone, come testimonia la corrispondenza

giunta fino a noi con il suo suscettibile capo

del settore ricerca. L'ingegnere credeva

appassionatamente in un sistema

di raffreddamento a rame capace di fare a meno

dell'acqua, che avrebbe reso i motori più

p p g

divisioni ma qui venne rapidamenteinsabbiato e alla fine non superò le prove sul

campo. L'ingegnere andò su tutte le furie.

Sloan gli scrisse una lettera estremamente

pacata che riuscì a far firmare a tutti i membri

della direzione. Tuttavia ciò non bastò a

placare l'ingegnere che minacciò le dimissioni.

Sloan gli scrisse di nuovo spiegandogli chenon vi era sufficiente fiducia in quel tipo

di macchina, aggiungendo però: «Ciò che

dobbiamo fare è far vedere la faccenda ai

nostri uomini come la vede lei, una volta fatto

questo non ci saranno problemi». Il motore

era stato mandato in panchina, ma lo scambio

di lettere rivela una considerazione e un tatto

sorprendentemente gradevoli.

dedicars i a de l ineare la po l i t i ca az ienda le senza l ' in te ressa ta par tec ipaz ione de i

diret tor i di divis ione, esclusi dal la formulazione del la s trategia complessiva.

L a f u n z i o n e a z i e n d a l e p i ù i mp o r t a n t e , s e c o n d o S l o a n , e r a l ' a l l o c a z i o n e d e l l er i sorse . La nuova s i tuaz ione permet teva d i misurare i l rendimento degl i inve-

s t im ent i d iv i s ion e per d iv i s ione . E c iò , per usare le pa ro le d i S loan , ha perm esso

a l la G M d i «ind i r izzare il cap i ta le aggiu nt iv o d ove avre bbe pr od ot to i l mass im o

benef ic io per l ' impresa ne l suo complesso» .

Ques to t ipo d i o rganizzaz ione decent ra ta è d iventa to gradua lmente la norma t ra

le grand i az iende occ iden ta l i , ch e h an n o r icono sc iu to i benef ic i in te rm in i d i eff i-c ienza de l la s t ru t tu ra «mu l t id iv i s iona le» o - com e sarebbe s ta to ch ia m at o succes-

sivamente - del «modello M». Seguendo le indicazioni di Sloan, le divis ioni nel le

a z i en d e mo d e l l o M d e v o n o co mp e t e r e t r a lo r o p e r o t t e n e r e f on d i d i mo s t r a n d o d i

mer i ta r l i a t t raverso una combinaz ione d i p res taz ion i e p ian i per i l fu turo .

 

Alcune più di altre Oggi alcune aziende restan o più centralizzate di altre.

Le imprese giapponesi ottengono buoni risultati quando si tratta di responsabi-

lizzare gli operai e consentire loro di prendere alcune decisioni, ma non

altrettan to nel campo del decentr amen to aziendale. La loro abitudin e a prendere

decisioni consensualmente rende questo aspetto meno rilevante rispetto alle

imprese occiden tali. Ce rte comp agnie p etrolifere e min erarie£ La capac i t à d i

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continuano a centralizzare le conoscenze tecniche fonda-men tali, e con esse molte d elle d ecisioni.

Invece di mostrare una tendenza allo sviluppo del lavoro di

squadra molte aziende «decentrate» conservano in ultima

analisi una struttura gerarchica. Tuttavia, alcun i i nv ocano u n

cambiamento. Nel suo saggio del 1998, Management's New

Paradigms, Drucker affermava che un principio strutturale

corretto era qu ello di avere il minor n um ero possibile di livellidi gestione - no n fosse altro perché la prima legge della teoria

informatica ci dice ch e «ogni ripetizione raddopp ia il rumore

e dimezza il messaggio». Egli ripeteva, tu ttavi a, ch e n on c'era

un solo modo giusto di organizzare un'azienda, osservando

che si era «arrivati a propagandare la squadra come l'unica

forma organizzativa giusta per quasi tutto». Egli riteneva che

tra i membri delle squadre sorgesse un conflitto intemo dovuto alla lealtà che

nutrivano sia per la squadra, che per il capo del loro settore. Ma, era solito

ripetere, il capo d eve essere uno solo, perché in un a situazione di crisi q ualcun o

deve dare ordini ed essere ascoltato. Il personale deve imparare a lavorare in

squadra per un compito e all ' interno di una struttura gerarchica per un altro.

Drucker era sempre incline a scegliere una via di mezzo.

Tom Malone della MIT Sloan School of Management, osserva che le aziendecontin uan o a decen trare, m a per una via diversa. Il telelavoro si sta diffondendo

grazie alle tecnologie dell'informazione di nuova generazione. Le nuove comu-

nicazioni a basso costo offrono a molte persone occupate nelle grandi aziende

informazioni sufficienti a prendere autonomamente decisioni corrette anziché

ricevere ordini da qualcuno che teoricamente dovrebbe saperne più di loro. E

quan do le persone possono d ecidere d a sé sono più mot ivate, creative e flessibili.

£ La capac i t à d ip a s s a r e i n m od of l e s s i b i l e d a l l av i s i o n e a l i v e l l oc e n t r a l i z z a t o a q u e l l aa l i v e l l o d e c e n t r a t o

a s e c o n d a d e l l as i t u a z i o n e - q u e s t oè que l lo che occor reo g g i p e r e s s e r eu n m a n a g e r e f f i c a c e . 9Tom Malone, 2004

idea ch iaveSeparare la strategia dalla tatt ica

 

16 La diversificazione

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I d om in atori del web, Amazon e G oogle, son o cresciuti tan toin fretta d a arrivare al m om en to di ch iedersi «qu ale sar àla n ostra prossima mossa?» più rapid amen te della maggiorp art e delle aziend e. La rapid ità è, in u n a m isu ra fuori dalcomun e, p arte in tegrante dell ' ind ustr ia in cui essi op erano,m a qu and o si tr at ta d i sosten ere la crescita si trovano di frontealle stesse dom and e strategich e di tu tti gli altri: espan d ereo diversificare, costru ire o comp rare . Amazon , il rivend itore,ora desidera vendere on-line capacità di calcoloe di im m agazzin am en to. Google, il m otor e di ricerca, ora sfidaM icrosoft con un p rop rio p acche tt o software d i Office.Ce la faranno? La diversificazione, la strada che entrambele aziende stan n o pren den d o, non è m ai u n a scelta sicura.

La diversificazione è una classica strategia di crescita che ogni azienda di successo

prende in considerazione per lo meno a un certo punto della sua evoluzione.

Nella sua forma pura - prodotto nuovo, mercato nuovo - è la più rischiosa delle

qu attro opzioni di crescita p reviste dalla m atrice prod otto-mer cato di Anso ff (siveda p. 50), sostenuta e deplorata con uguale passione. La strategia della diver-

sificazione ha inn escato un a precoce ond ata di fusioni negli Stati Un iti n el 1916,

ma ha avuto il suo culmine negli anni '60 e nei primi anni '70, l'epoca del pia-

nificatore aziendale. I top manager si consideravano professionisti in grado di

gestire qualsiasi cosa e di conseguenza alcuni hanno costruito imperi basati su

attività senza alcun legame tra loro. Harold Geneen della ITT ha rappresentato

un esempio estremo dei conglom erati che si sono venu ti formand o, riunend o uninsieme eterogeneo di attività che comprendeva Sheraton Hotel, Avis Rent-a-

Car, le assicurazioni The Hartford e la Continental Banking.

linea del tempo1886 1916Marchio Diversificazione

 

La rappresentanzaGli azionisti (i proprietari) e i direttori e i

manager delle aziende (i prestatori d'opera)

non sempre desiderano le stesse cose. Le

option-  che rappresenta un costo. Possono

anche licenziarli, pur se con qualche difficoltà,

o vendere le azioni esponendo l'azienda

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tensioni non sempre creative tra i due gruppiseno riassunte in quello che i teorici chiamano

il «problema della rappresentanza»,

che a sua volta può presentare dei costi.

A maggior irritazione degli azionisti, la

rappresentanza - 1 manager - sa molte più

cose di loro sull'azienda, e a volte persegue

obiettivi propri, ad esempio mirando allacrescita a danno dei profitti. La crescita

significa un impero più vasto, uno status

più elevato e un compenso maggiore per

i dirigenti, e prospettive di promozione

in generale. Per cercare di far coincidere

gli interessi del management con i propri,

gli azionisti offrono loro generosi compensie possono concedergli anche una quota

di prosperità futura sotto forma di stock 

a una eventuale rilevazione e i manageral licenziamento.

Gli azionisti, d'accordo in questo con

le Borse e le autorità, cercano di spremere il

massimo di informazioni possibili dalle aziende.

La loro esigenza di ottenere frequenti

rendiconti, accoppiata con una sensibilità

generalizzata al corso delle azioni, ha fattoemergere un altro costo, legato alla politica

a breve termine (in cui il management agisce

in modo da far salire il prezzo delle azioni

a breve termine anche se ciò non

è necessariamente nell'interesse dell'azienda

a lungo termine). I detentori di obbligazioni

impongono a loro volta un altro costo fissando,in cambio del denaro che prestano all'azienda,

limiti alle sue attività o prestazioni.

I conglom era t i , da a l lo ra , sono cadu t i in d i sgraz ia , a lm en o in Europ a e negl i S ta t i

Un i t i , e neg l i an ni ' 80 m ol t e imp rese h an n o com in c ia to a d i s fa rs i de l le a t t iv i t à

ma r g i n a l i e p o c o r e mu n e r a t i v e . M o l t i c o n g l o me r a t i s o n o s t a t i a c q u i s i t i ,

s me mb r a t i o e n t r a mb e l e c o s e . L ' o s c i l l a z i o n e d e l p e n d o l o h a c o mi n c i a t o a

inver t i re la d i rez ione negl i anni ' 90 anche se s i è fe rmata pr ima d i to rnare a l

mo del lo ITT. La tend enza è s ta ta p iù verso un a r i s t ru t tu raz ione s t ra teg ica in to m o

a un 'a rea comune e a l l ' acquis iz ione d i a t t iv i tà co l lega te che of f rano qua lche t ipo

di s inerg ia indus t r ia le o d i merca to .

938 1965 1983 1998eadership Strategia d'impresa Globalizzazione Corporata governance 

 

 € La d iversificazion eè un camp o m in ato p er le aziend e. J

Robert M. Grant, 1896

I muscoli degli azionisti Una ragione del declino dei conglomerati di-

versificati va ritrovata n el fatto che n egli anni '80 gli azionisti han no com inciato a

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mostrare i muscoli. In molti casi la diversificazione basata sulle acquisizioni appariva

loro dettata più dall'ego m anageriale e dalla sman ia di ampliare le dim ensioni d el-

l'azienda ch e n on dal desiderio di au men tarn e la redd itività. Poiché m olte fusioni

alla fine no n increm enta no la redd itività, gli azionisti avevan o un bu on argomento.

Essi sono riusciti a farlo valere licenziand o il mana gem ent o vend end o le loro quote,

deprimendo in tal modo il corso delle azioni e rendendo l'azienda vulnerabile nei

confronti di possibili predatori. Il bagno di sangue aziendale che ne è seguito, cul-

minato con l'acquisizione record della RJR Nabisco nel 1988 effettuata con una

scalata med iante operazioni di leverage, è stato un potente incentivo per i manager

a comp ortarsi in mod o più pru dente da allora in poi.

Un'altra giustificazione avanzata per dimostrarne la bontà era che la diversifi-cazione riduce i rischi. La tesi ha qu alche fond am ent o - se un 'aziend a è pr esentein industrie non correlate e che attraversano fasi diverse del ciclo di attività è

probabile che il suo reddito sia meno volatile. Ma gli azionisti hanno respintoanche questo argomento, affermando che possono diversificare le loro società inmodo più articolato dei conglomerati e che preferiscono investire in «giochicorretti».

Meno rìsch i In quest'ep oca post-conglom erati, il term ine «diversificazione»

è spesso riferito in modo più vago all'introduzione di nuovi prodotti su mercati

esistenti o viceversa. Consapevoli del fatto che la diversificazione si può siacostruire che ottenere mediante acquisti, gli azionisti considerano queste ope-

razioni meno rischiose, purché li si convinca che esistono buoni motivi per effet-

tuarle. Uno dei motivi più comuni sono le economie di gamma, in cui diversi

pr od otti p ossono sfruttare le stesse risorse, com e il marketin g, la distribuzione, la

ricerca e sviluppo o addirittura il marchio. Un altro è quello di estendere le

proprie abilità principali in un segmento collegato, come ha fatto la Gillette

quando si è messa a produrre cosmetici e articoli per il bagno, o come la Marks& Spencer che dal settore abbigliamento ha diversificato in quello alimentare.

Alcuni sostengono che l'espansione geografica sia preferibile alla diversificazione

indu striale. Ciò assicura econ om ie di scala (min ori costi un itari per una m aggiore

produzione della stessa cosa) e consente all'azienda di usare più efficacemente le

 

proprie risorse di marketing. Le multinazionali sono più flessibili delle impresenazionali perché possono spostare la produzione dove i prezzi delle materie primeo il costo del lavoro sono bassi o in calo. Qu esto tipo di espansione geografica offreinoltre più opportunità di spostare i profitti e la tassazione ovunque sia possibileotten ere un vantaggio fiscale. La regola num ero un o della diversificazione p rescrivedi non prenderla in considerazione sino a quando l'attività originaria non è sal-dam ente impianta ta. La diversificazione sottrarrà tempo, denaro e concentrazione

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p p ,all'azienda principale.

Il nuovo mercato offre migliori prosp ettive in term ini di profitti di quello esistente?Se non è così fareste meglio ad accrescere la vostra quotasul mercato in cui siete già pr esenti. Potr ebbe darsi che il 6 TVltte le d iversi ficazion imercato attuale sia ormai maturo o in declino e sempli- v a l i d e S Ì b SLS&JlO S Ucernente n on offra più opportun ità di crescita. In tal caso, 1 1 T 1 v a n t a g g i o C o m p e t i t i v o

la diversificazione potrebbe essere una strategia difensivapercorribile. Ma qual è il costo di entrata , potet e sostener-lo? Infine, siete in grado di conseguire un vantaggio com-

n el nu cleo cen traledi at t ivi tà. 9

petitivo rispetto a lle aziende già presenti in qu el mercato? Tom MalOIIB, 2004

Se gli insuccessi superano ampiam ente i successi, vi sono casi di passaggio a nuovimercati che si sono rivelati un trionfo, spesso acquisendo un marchio aziendale

esistente (si veda p. 28). La Virgin fa sembrare l'ITT un'azienda concentrata supoche attività. E partita come etichetta discografica, ma ora gestisce una com-pagnia aerea, produce bibite, tv via cavo, cellulari, offre servizi finanziari, gestiscecentri benessere e vende abiti per cerimonie. La Canon ha fatto il salto dallemacchine fotografiche alle attrezzature per ufficio.

Esistono pareri divergenti sulla bontà delle strategie di diversificazione diAmazon e Google. Alcun i sostengono che Am azon d ovrebbe restare sul proprioterreno p assando ad altre forme di vendita, a nziché allontan arsene e passare aiservizi informat ici. Altr i riten gono che, qu alunque sia il risultato del suo ingressoin campi diversi dal software, Google ha già evocato la «maledizione del vin-citore» riportando la vittoria in una costosa guerra di offerte per YouTube. Siache questi sentieri conducano a verdi pascoli o a campi incolti, fra qualche annomeriteranno di essere esaminati nelle facoltà di Economia. Questo è certo.

idea ch iaveÈ u n a buona idea u scire

dal seminato?

 

17 II principio/

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80/ 20Le aziend e, come la vita, si gesti scono p iù facilm en teb asand osi su p och i prin cìpi fond amen tali di cui f idarsi.I teorici del management investono molte energie nel tentativo

di definir l i con precision e in m od o da poterl i app licarerip etu tam en te con su ccesso. Ma u n a volta fuori dalla fabbrica,dove prevalgono le leggi della fisica e della statistica, le cosed iventan o m en o prevedib ili . Così i m an age r p osson o ricorrerecon q u alch e sollievo al «prin cipio 80/20» sap en d o ch e è qu asidel tut to affidabile.

Il pr incipio 80/ 20 afferma che il 20 % d elle cause prod uce inv ariab ilmen te l' 80%

degli effetti, quindi l'80% dei vostri risultati dipende dal 20% del lavoro che

ded icate ad essi - e viceversa. E molto sem plice, ma ha m oltep lici e diverse imp li-

cazioni per il management e, a sentire i predicatori evangelici, per la vita stessa.

Esso è apparso inizialmente con il nome di principio di Pareto, scoperto dall'e-

conom ista e sociologo italiano Vilfredo Par eto n el 1897. Stu d iand o i modelli di

distribuzione della ricchezza in Inghilterra, egli si era accorto che il 20% della

pop olazione possedeva l' 80% del denaro. N el corso di ulteriori ricerche aveva poi

constatato che la stessa proporzione si ripeteva ovunque, in epoche diverse e in

paesi diversi. Tutto qui. Nessun altro vi prestò particolare attenzione. Non fino

alla Second a guerra mon d iale, per lo meno, quan do due ricercatori americani -

un filologo e un ingegnere - riportarono alla luce la scoperta di Pareto.

Il filologo era George K. Zipf che , nel 1949, h a riformu lato qu ello ch e ch iam avail «principio del minimo sforzo». Esso affermava che le risorse si organizzano in

Costi della complessità

XIV secolo

 

La General Motors mettein moto la rivoluzione

della qualità giapponese

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La GM ha sofferto parecchio a causa della superiore qualità dei giapponesi.

Ma potrebbe avere inconsapevolmente contribuito a determinarla? Joseph M.

Juran, esperto in materia di qualità, che ha importato in Giappone le sue idee

sulla qualità basate sul pensiero di Pareto, ha visitato la GM alla fine

degli anni '30 per uno scambio di idee con i suoi ingegneri. Per divertirsi

gli ingegneri gli diedero un messaggio crittografato e lo sfidarono adecifrarlo, cosa che fece. Lui stesso ha poi raccontato il seguito:

 Erano sbalorditi dalla notizia che l' irrisolvibile era stato risolto e per il resto

della visita sono stato accompagnato dall'aura dell'uomo dei miracoli.

Come effetto collaterale mi sono state aperte alcune porte segrete.

 E stata una di queste a mettermi in contatto per la prima volta con l' opera

di Vilfredo Pareto. L' uomo che ha aperto quella porta era il Sig. Merle Hale,responsabile dello schema retribut ivo dei dirigenti della General Motors.

 Hale mi mostrò uno studio che aveva effettuato per confrontare lo schema

remunerativo dei dirigent i prevalente alla General Motors con

uno dei modelli matematici elaborati da Pareto. C'era una sorprendente

somiglianza. Registrai l' episodio nella mia memoria assieme al fatto

che Pareto aveva svolto ampi studi sulla distribuzione ineguale della ricchezza,

e aveva inoltre elaborato modelli matematici per quant ificare

questa maldistribuzione.

Più di un decennio dopo Juran ha tirato le somme... ed è andato in Giappone.

1896 1897 1951 anni '90 1Fedeltà Il principio 80/20 Gestione della Gestione delle

qualità totale relazioni con i clienti

 

mod o da minimizzare il lavoro; di conseguenza il 20-30% d elle risorse prod ucevail 70-80% dell'attività. L'altro era l'ingegnere Joseph M. Juran, che ha affiancatoal principio il nome di Pareto, anche se a volte lo chiamava «la regola delminimo vitale». «Dopo aver ordinato una lunga lista di difetti in base alla fre-quenza, un numero relativamente esiguo è risultato provocare la gran parte delladifettosità», aveva scritto, ed ha poi proceduto ad applicare questa scoperta alcontro llo statistico di qualità - con effetti tr avolgenti.

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£ Se av ess i avu to L'industria americana non ha accettato subito le teorie diU n ' Ì H l D O S t & Z Ì O I 1 6 Jur an . Tuttavia, quand o nel 1953 si è recato in Giapp one per

- , . un a conferenza, egli è stato accolto a bra ccia aperte eV r a , a v r e i i n v itato a restare. Cosa che ha fatto. Separatamente, ma

cer tamente chiamato parallelamente a un suo connaziona le espatriato, W. Edwardsprincipio di Ju ra n . 7 Deming, egli ha trasformato nel tempo gli scadenti standard

JOSeph M Jur an ^ produzione giapp onesi fino a por tarli all'eccellenza a li-vello mondiale. Una delle grandi ironie della storia azien-

dale è che degli americani, ignorati nel loro paese, hanno fornito ai giapponesiil know-how per battere l'industria statunitense - e che quest'ultima è statacostretta ad and are in Giap pon e a imparare ciò che aveva disprezzato.

Prevedibile È inu tile discuter e il pr incipio 80/ 20 con dei mat em atici, che

vi disorienterebbero con i loro se e i loro ma. Il pr incipio non è di una precisionema tem atica e può man ifestarsi anche sotto forma d i 70/ 30 o perfino di 90/ 10.Resta il fatto che, come scrive Richard Koch nel suo 80/20. La formula vincente,

«uno squilibrio prevedibile agisce nell'Universo».

Nell'industria del crimine il 20% dei delinquenti commette L'80% dei reati. Lestatistiche sugli incidenti mostrano che il 20% dei guidatori provoca l'80% degliscontri. Persino nel matrimonio il 20% delle coppie sposate è responsabile

dell'80% dei divorzi (il dato cela ovviamente un elevato tasso di matrimoni edivorzi multipli).

Dopo che Juran ha esportato le sue idee in un Giappone carico di aspettative,l'IBM è stata un a delle prime imprese americane a utilizzare il principio di Pareto,ma non per ridurre i difetti di progettazione. Nei primi anni '60 l'azienda si èresa cont o che l'80% del temp o utilizzato da un compu ter ven iva speso nell'ese-

cuzione di circa il 20% del codice operativo. Allora ha rapidamente riscritto ilsoftware in modo da rendere rap idam ente accessibile e facile da usare il 20% piùutilizzato. Risultato? I computer IBM sono diventati più rapidi ed efficienti diquelli della concorrenza, almeno per la maggior parte delle applicazioni. Lalezione n on è stata ignorata da chi è arrivato dopo, come A pp le e Microsoft.

 

il principio 80/20 I 7 1

Se potete produrre l'80% dei risultati con il 20% degli sforzi, può farlo anche

un'azienda, il che la rende particolarmente attraente. Le imprese hanno tutta

l'inten ione di fare ciò che indica il principio generando il maggior li ello pos

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l intenzione di fare ciò che indica il principio, generando il maggior livello pos-sibile di vendite con il minimo sforzo possibile.

Qu ella ch e Koch chia m a «la legge della concorr enza 80/ 20», suggerisce che og ni

mercato viene rifornito per più de ll'80% nel corso del tempo d al 20% o men o dei

fornitori anche se, nel mondo reale, è improbabile che un simile equilibrio possa

perdurare a lungo. Qu alcun o arriverà e scomp aginerà lo schema introdu cend o u n

nuovo prodotto o dando una nuova veste a uno vecchio.

Ma poiché le aziende innovano e competono in più

segmenti di mercato, ecco che Pareto si manifesta all'in-

terno dell'impresa stessa - l'80% dei redditi operativi è

generato dal 20% dei segmenti, dal 20% dei clienti e dal

20% dei prodotti. Più interessante ancora, l'80% dei redditi

operativi sarà prodotto dal 20% dei dipendenti.

Una conseguenza di ciò è che l'impresa dovrebbe sempreessere in grado di aum entare i profitti concen tran d osi solo

sui mercati e solo sui client i ch e gar ant iscono già i maggiori

profitti. In alternativa, o in combinato, essa può destinare

più energ ia e risorse a qu el 20% dell'aziend a - p ersona le,

imp ianti, reparti vend ite o regioni - che prod uce l'80% dei guad agni. Al temp o

stesso, può lasciar morire, eliminare o migliorare decisamente il restante 80%.

Koch m ette in guardia dall'interpretare il prin cipio 80/ 20 in mod o troppo rigido e

indica come esempio il caso del commercio dei libri. Nella maggioranza delle

librerie il 20% dei titoli - sorpresa! - assicura l'80% delle vendite. Dovrebbero

quindi eliminare l '80% dei libri? N o, perché gli acquirenti ch e visitano un a buon a

libreria vogliono trovare una vasta scelta di libri, anche se poi non li comprano.

Rid ucete la gamma d isponibile e i clienti and rann o altrove. Inv ece, avverte Koch,

le librerie dovrebbero individu are con p recisione il 20% dei clien ti ch e procura lorol'80% dei profitti e offrirgli esattamente ciò che desidera. Pareto è ancora valido.

6 [Il p rin cip io 80/20]pu ò ess ere app licatocon p rofit to a q u alsiasiind u s t r ia e a q u als ias iimpresa, a quals ias i

funzione al l ' internodi un ' imp resa ea qualsiasi lavoro. 5Richard Koch, 1987

idea ch iave

Alcune cose sono moltopiù importan ti di altre

 

18 EmpowermentL t i d ll d d l ti è i i t

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La storia d elle mod erne p rocedu re lavorative è comin ciata conl'organizzazione scientifica del lavoro (o scientìfic management),che prevedeva l'esatto contrario dell'empowerment. lino ad alloraogni lavoratore q ualificato aveva fatto il p rop rio lavoro a modosuo. L'inven tore dell'organizzazione scientifica, FrederickW. Taylor affermava che gli operai d ovevano ab ban don are qu esta

abitud ine e svolgere i loro comp iti nel «solo modo giusto»che era st ato m isu rato e cron om etrato alla perfezione. Taylorsemp licemen te non prevedeva l'empowerment, anche se h ain trodotto un piccolo spazio nel quale esprim ersi - la cassett adei suggerimenti.

La storia dell'empowerment sul posto di lavoro, in un certo senso, è stata un

ritorno allo status quo ante, e non è particolarmente lunga. Nel 1977, quandoRosabeth Moss Kanter scrisse Men and Women of the Corporation, uno studio sul

potere e il ruolo delle don ne in una grand e azienda, no n av eva ancora fatto la sua

apparizione. Il libro si collocava all'avangu ardia d i un mov imen to volto a restituire

ai dip end enti u na certa d iscrezionalità sul loro lavoro (un a d efinizione ragionevole

dell'empowerment), per emanciparli da rigide gerarchie e creare distensione in

generale. Ormai sono molti gli studi che hanno proclamato l'esistenza di un

legame tra trattare i d ipend enti come p ersone mature e la loro capacità di prendereiniziative, la loro motivazione, il loro benessere e il loro «impegno».

Dei dipendenti impegnati hanno un più forte legame emotivo con l'azienda. Ci

sono più probabilità che la raccomandino ad altri, che investano tempo ed

energia per aiutarla ad avere successo e che sviluppino per conto proprio idee

innovative e soluzioni ai vari problemi. Kanter ci racconta la storia emblematica

di un'azienda di tessuti che realizzava prodotti sofisticati. La rottura del filodurante la fabbricazione era un annoso problema, che gravava sui costi e creava

uno svantaggio competitivo. Una nuova direzione, convinta di dover estendere

a tutti i d ipend enti la ricerca di nu ove idee e di innovazioni, ten ne u na r iunione

linea del tempo

 \ 1911 1938Empowerment Leadership

Organizzazionescientifica del lavoro

 

L'impegn o in u n a letteraSe gli editori e i fabbricanti di shampoo

rispettano il legame esistente tra la confezione

e la vendita dei prodotti, perché non dovrebbero

farlo i teorici del management? Essi amano

razziare l'alfabeto per giocare con le allitterazioni

5. Congratulazioni - degli ottimi dirigenti danno

riconoscimenti, e lo fanno spesso. I dipendenti

spesso lamentano di ricevere commenti

immediati per le prestazioni insufficienti, mentre

il riconoscimento di quelle valide è molto più raro

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razziare l alfabeto per giocare con le allitterazioni

e i professori della University of Western

Ontario, Gerard Seijts e Dan Crim, hanno dato

recentemente un contributo a questo genere

di produzioni. Convinti che l'impegno della

forza-lavoro possa creare un vantaggio

competitivo, hanno inventato le dieci «C»per coinvolgere i dipendenti:

1. Contatto - i dirigenti devono mostrare

attivamente il loro apprezzamento per i dipendenti.

L'impegno di questi ultimi è un riflesso diretto

del rapporto che sentono di avere con il capo.

2. Carriera - i dirigenti dovrebbero assegnare

compiti impegnativi e significativi che presentinoopportunità di avanzamento nella carriera.

La maggior parte delle persone vuole fare cose

nuove nel suo lavoro.

3. Chiarezza - i dirigenti devono comunicare una

visione chiara. I dipendenti vogliono sapere quali

piani ha la dirigenza per l'azienda e quali sono i

loro obiettivi e quelli dei direttori dei vari settori perle divisioni, le aree o i team.

4. Comunicazione - i dirigenti devono chiarire

cosa si aspettano dai dipendenti e comunicare

le loro valutazioni sull'operato di questi ultimi.

il riconoscimento di quelle valide è molto più raro.

6. Contributo - le persone vogliono sapere

che il loro apporto è importante e che stanno

contribuendo in modo significativo al successo

dell'azienda.

7. Controllo - i dipendenti apprezzano il fatto di

poter esercitare un controllo sul flusso e il ritmo

del loro lavoro, e i dirigenti sono in grado di creare

opportunità affinché i dipendenti esercitino un

simile controllo.

8. Collaborazione - gli studi indicano che

quando i dipendenti lavorano in gruppo e godono

della fiducia e della cooperazione degli altri

membri, le loro prestazioni superano quelle deisingoli e dei gruppi in cui i rapporti non sono

buoni.

9. Credibilità - i dirigenti dovrebbero sforzarsi

di mantenere la reputazione dell'azienda

e di dimostrarne gli elevati livelli etici. Le persone

vogliono essere orgogliose del loro lavoro,

delle loro prestazioni e della loro azienda.10. Confidenza - dei buoni dirigenti fanno

in modo che si confidi nell'azienda, essendo

essi stessi esempio di livelli etici

e di prestazioni elevati.

1960 1990Gestione della qualità totale Teorie X e Y (e teoria Z) Organizzazione basata

sull'apprendimento

 

per discutere della necessità di un camb iam ento. U n dipen dente di lungo corso,entr ato n ell'azienda qu ando era ancora un giovane immigrato, suggerì un'idea perrimediare alla rottura del filo, e questa funzionò. Gli chiesero quando aveva avutoquell'intuizione e lui rispose: «Trentadue anni fa».

( Il p rob lem a, d e l le «E solo un lavoro» Lavorare come parte di un team per un

grand i dimensioni è obiettivo comune può anche offrire maggiori motivazioni, e le

1 1 T I f l J o c o m u n e i m P r e s e occid enta li lo ha nn o imparato da strutture giapponesi che

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f l J o c o m u n e i P occid enta li lo ha nn o imparato da strutture giapponesi chep j ^ g J a m o l t i d e i a P P ' ' c a n o Kaizen (o miglioramento continuo, si veda p. 114).

® Un o studio della Gallup del 1999 ha dimostrato che dei dipend entiU l t e m m i m e l e c k e s j im pegnan o possono p rocurare all'azienda un am pio ventaglio

persone s i t rovano di vantaggi. Esso asseriva che i dipendenti erano più produttivi,ad affrontare creavano maggiori profitti ed erano più concentrati sui clienti.

S u l l a v o r o . 5 Inoltre, subivano o provocavano meno incidenti ed era meno pro-

. u . „ . babile che si mett essero a cercare un altro lavoro. Alcu ni di-Rosabetn Moss Kanter, 1872 , . , , . . < <pend enti non ha nn o intenzione di impegnarsi - «e solo un lavoro»

- e non lo faranno mai. I critici considerano l'empowerment una truffa perspremere più lavoro dal personale senza offrirgli in realtà alcun potere signifi-cativo. Tuttavia, l'opinione prevalente è che un ambiente lavorativo checoncede maggiori poteri produce risultati positivi, a volte sorprendenti.

Se non ne produce, è possibile che non si tratti di empowerment. I dirigentitend ono a riempirsi la bocca con questa idea - «Oggi tu tti ap plicano l'em-powerment, no?» - senza metterla in pratica. A volte non capiscono neppurecosa significhi. Chied ere alle persone la loro opinione su qualcosa non è lo stessoche metterle in condizioni di prendere decisioni sul proprio lavoro. E giudicarecol senno di poi la decisione presa da qu alcuno cui si è data l'opp ortu nità d i farlonon dà a quest'ultimo l'impressione di essere stato davvero messo in grado di

decidere. Analogamente, fargli sentire il fiato sul collo non dimostra una granfiducia nelle sue capacità, mentre una supervisione troppo blanda suggeriscedisinteresse e può essere altrettanto demotivante.

Uno studio recente ha scoperto che la percezione dell'importanza del propriolavoro e del proprio ruolo nell'attività dell'azienda esercita un impatto maggioresulla fedeltà e sul servizio offerto ai clienti di tutti gli altri fattori legati al per-sonale. «N on stai tagliando p ietre, stai costruend o u na catted rale», per usare leparole di un consulente. I dipendenti hanno bisogno di chiarezza su ciò che ci siaspetta esattamente da loro, oltre alle risorse necessarie per farlo. Occorre sta-bilire le regole di fondo: i limiti dell'emp owerm ent che i dip end enti n on devonooltrepassare, le politiche e i princìpi regolatori e gli eventuali tabù aziendali. Lepersone devono sapere verso chi sono responsabili e in quale modo, oltre alle

 

19 ImprenditorialitàGli im p rend itori pu llulano di idee Colgono le op p ortu n ità

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Gli im p rend itori pu llulano di idee. Colgono le op p ortu n ità.Sono decisi, energici, versatili e trainanti. La grande impresaè... beh è grand e. I l suo prim o ist into è qu ello di p roteggersi ,p erciò è p ru d en te e con servatr ice. È len ta nel d are r isp ostee rapida nel soffocare le idee audaci. Come infonderelo spir i to imprenditoriale in una realtà del genere?N on è facile, m a si p u ò risp on d ere con 1'«imp rend itorialitàaziendale».

Joseph Schumpeter ha esaltato le virtù degli imprenditori nel lontano 1911. Laragione più imp ellente per cui le grandi aziend e dovrebbero acquisire un caratterepiù imprenditoriale è quella di individuare le opportunità presenti nei loromercati prima che lo faccia qualcun altro. I fratelli maggiori potrebbero rac-

conta re loro molte storie terrificanti su cosa può accadergli se no n sta nn o atte nt e.Un a delle più orribili riguardava la Joh ns on Joh ns on , che una volta detenevauna quota del 90% sul mercato degli stent coronarici (tubicini che mantengonoaperte le arterie occluse). Quando un concorrente ha ottenuto l'approvazione diun d ispositivo di nuova generazione, la Joh ns on <St Johnson è stata un po' lentaa rispond ere. E poi riuscita a organizzare un a contro m ossa, ma la sua quota si eraormai ridotta all'8%. Quando, a sua volta, l'IBM ha detto ad alcuni ingegneri

tedeschi di smettere di lavorare su un software che collega i processi gestionalinei diversi settori delle aziende, essi se ne sono andati e hanno fondato unanu ova società. Si chiam a SA P e ha fatto registrare vend ite per miliardi di dollari.

Le grandi aziende son o spesso presenti in u na m olteplicità di m ercati, il che vuol direche d evono tenere m olti occhi spalancati. Da qualche parte può esserci un p otenzialeconcorrente più concentr ato su ll'obiettivo, che proprio in questo mom ento potrebbe

adoperarsi per rendere obsoleta la soluzione che attualmente esse sono in grado dioffrire ai clienti. Le aziende d evono stimolare la propria cap acità innov ativa (si vedap. 96) o r inu nciare alla crescita a favore di rivali più rapidi d i loro.

linea del tempo

Innovazione

1450

 

Comp rarne u n p ezzo Sono varie le forme di imprenditorialità che sonoemerse - uno dei modi più efficaci con cui le aziende possono agire come impren -ditori, se applicato correttamente, è il corporate venturing. Questa pratica ha godutodi una certa popolarità nelle indu strie in crescita, come qu elle high -tech e farma-ceutiche, nei casi in cui le risorse intellettuali costituiscono gran parte del costodi entra ta e le piccole imp rese possono sfidare con relativa facilità le grandi aziendedel settore con nuovi prodotti. Se si fanno troppo minacciose se ne compra unpezzo e poi si procede insieme verso il futuro. Nella sua forma pura l'azienda

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p p p pacquista una quota di minoranza in un'impresa più piccola dal know-how pro-mettente, ma vi sono anche alternative come alleanze non basate sulle azioni.

Le aziende più accorte effettuano investimenti in compartecipazione con unasocietà a capitale d i rischio, non d a ultimo perché queste sono decisamente bravea capire quand o staccare la spina. Dato che p iù della m età di questi investimenti

possono rivelarsi un fallimento, si tratta di un'abilità particolarmente utile e chepermette di risparmiare denaro. Il produ ttore di semicond uttori Intel dal 1991 hainvestito più di 4 miliardi di dollari in circa 1000 aziende; da allora 310 di questeaziende sono state vendu te o quotate in Borsa. An che la Nokia ricorre at tivamenteal corporate venturing. La società di telecomunicazioni BT aveva avviato u n p roprioincubatore di imprese, ma poi ha imparato la lezione e ha venduto una quota dimaggioranza a investitor i con capita li di rischio. / ,

« G l i i m p r e n d i t o r iPoi esiste la «intrapreneurship», o intraprend itorialità, un termine g j t r o v a n o S p e S S Oreso famoso da Gifford Pin cho t n el 1985 con il suo libro Intrapre- n^ gjjggì D 6 r c h éneuring, che egli definisce com e il «comp ortarsi come un impren- . " _ditore quando si è dipendenti di una grande impresa per il bene Bg l S C O n O Q U 8J1Q Odell'azienda nel suo complesso». Ne lla m aggior parte d elle orga- g l i a l t r i Vor rebbe ron izzazion i le pe rs one vengono cla ss ifica te come «gen te che C h e a s p e t t a s s e r o . J

sogna» o «gente che fa». Secon d o Pin cho t gli intr ap ren d itori QjffQpd PjnCllOt 1887sono «sognatori che fann o». Son o quelli che por tano avan ti una 'buona idea, malgrado vengano scoraggiati o subiscano addirittura il veto daparte dei dirigen ti. Pinch ot au spica la ribellione degli intr ap rend itori - «è piùfacile ottenere il perdono che un permesso» - e l'incoraggiamento da partedell'azienda, che dovrebbe mettere a loro disposizione tempo e risorse. Gliscettici sostengono che l'intraprenditorialità sponsorizzata dall'azienda è un

1911 1920 IImprenditorialità Decentramento

 

Por ta re il m ercato all' in tern oQualche anno fa la Hewlett-Packard ha creato una

piattaforma di scambio, ha preso una dozzina di

prodotti, ha versato su un conto ai suoi manager

50 dollari e li ha invitati a scommettere su quale

sarebbe stato il livello delle vendite dei computer

guadagni più un dollaro extra per ogni azione

che rientrava nel giusto spettro delle vendite.

Diversi settori dell'azienda da allora hanno

integrato il mercato nel loro sistema normale

di previsione.

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alla fine del mese. Se ad esempio pensavano che

si sarebbero attestate tra i 190 e i 195 milioni

di dollari potevano acquistare un titolo relativo

a quella previsione, analogamente a un contratto

sui futures. Se successivamente cambiavano idea

potevano rivenderlo e acquistarne un altro.

Quando si sono chiusi gli scambi, la previsione

sulle vendite che aveva raggiunto il prezzo più

alto era ovviamente quella che il «mercato»

riteneva più probabile. E quando sono arrivati

i dati reali si è visto che le previsioni erano

sbagliate del 13% ma il mercato aveva avuto una

flessione solo del 6%. Nelle prove successive il

mercato ha battuto le previsioni il 75% delle volte.

Gli «operatori» hanno tenuto gli eventuali

La casa farmaceutica Eli Lilly produceva

numerosi farmaci, ma una quota elevata di essi

non aveva successo. Sperando di aumentare le

probabilità di indovinare i prodotti di successo,

l'azienda ha coinvolto 50 dipendenti in un'asta

del tipo di quella della Hewlett-Packard-,

Comprando e vendendo le «azioni» dei farmaci

candidati essi hanno previsto correttamente

i tre prodotti di maggior successo. Alcuni

dipendenti hanno ammesso che la loro attività

di «operatori» - ossia vendere un determinato

farmaco in cui avevano poca fiducia - ha

permesso loro di «dire», e di concordare in

merito, cose che non avrebbero mai ammesso

in una conversazione reale.

s o s t i t u t o a p p a r i s c e n t e d i c i ò c h e i l m a n a g e m e n t d o v r e b b e f a r e c o m u n q u e a

l i v e l l o s t r a t e g i c o .

Un terzo approccio consiste nel «portare i l mercato al l ' interno» - introdurre nel-l 'azienda meccanismi di acquisto e vendita per effet tuare t ransazioni , condividere

informazioni e anch e effet tuare p revisioni in mod o più eff iciente . Qu esto era lo st i le

de l l ' o rmai fa l l i t a Enron , i l che non cos t i tu i sce cer to una buona pubbl ic i tà , ma è

stata la Enr on a fal li re , n on i l con cet t o. Le aziende h an n o at t ivat o già da ann i forme

in t em e d i mer ca to , con u n se t to re ch e «vend eva» ad un a l t ro con m eccanismi con-

correnzial i , ma qui l ' idea viene portata un gradino più in al to. Quando la Bri t ish

Petroleum, ad esempio, voleva r idurre le emissioni di gas-serra ha concesso a ogniarea di affari il diritto di produrre una tonnellata di emissioni di biossido di carbonio.

Essa ha organizza to anche un s i s tema d i scambio e le t t ron ico de l le emiss ion i per

que l l i che in tendevano scambiare t ra lo ro ta l i d i r i t t i . Se l ' a rea A r iduceva le

emiss ion i a mezza ton ne l la ta po teva ven d ere i suo i d i r i t t i r e la t iv i a l le res tan t i

 

é Ogni azien d a h abisogno di ad ot tare

emissioni all'area B, che ne avrebbe prodotto una tonnellata emezzo. Nessu no voleva fare la parte d ell'area B e pagare l'area A ,

così la società ha raggiunto il suo obiettivo di riduzione nove v

anni prima del previsto. Altri interessanti esempi di mercati 1 imprendi tor ial i tà ,in terni er ano volt i a p revedere le vend it e in modo p iù a ccurato, p u r c h é S a p p i a C h e ,

e a fin an ziare e attr ib uir e p erson ale ai vari p rog etti (si v ed a il s e p o r t a t a a g l i e s t r e m i ,

riquadro a fianco). ¿i n grad o di ind ebolireOltre a giocare un po' co n i mercati, la BP ha an che fatto ricorso i l S U O potere. J

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gg p , palla quar ta e ultim a tecn ica, la «trasformazione impren di- • „• !__ n ¡ . b ¡ H . h . . . . h a m

. , , i e • j u> Julián BiPkinsnaw, zoostonale», che comporta la trasformazione dell intera organiz-zazione e della sua cultu ra p er consent ire al person ale, in pa rticolare ai dirigenti, disentirsi più impr end itori, e di comp ortarsi di più com e tali.Negoziare un con tratto Julián Birkinshaw, specialista di gestione stra-

tegica e intemazionale presso la London Business School, ha studiato la trasfor-mazione della BP e afferma che essenzialmente si tratta di una filosofia di gestioneche diffond e la responsabilità d ella produ zione dei risultati nella struttura profondadell'azienda. In questo quadro vengono stipulati dei «contratti» tra i vertici delmanagement e i responsabili delle aree di affari che poi sono liberi di fornire irisultati quan do lo ritengo no op portu no, ent ro certi limiti. Tali limiti sono stabilitidai respon sabili centra li, che forn iscono an che varie forme d i sostegno. Il risultato

è un mod ello di gestione articolato in quattro comp onen ti:

1. Direzione - la strateg ia dell'aziend a, i suoi obiet tiv i, i m ercati in cui op era, eil suo posizionamento su di essi. Comprende l'impegno della BP a «essere unaforza del bene».

2. Spazio - individu a il grado di libertà di cui godo no i capi area per ottemp erareai loro «contratti». Essi evitano continue interruzioni e una stretta super-

visione e ha nn o il temp o di sperimen tare e affinare le loro id ee.3. Vincoli - i limiti legali, regolamentari e morali entro i quali opera l'azienda.Possono essere specificati in documenti e codici, o restare sottintesi.

4. Sostegno - sistemi inform atici, programm i per la cond ivisione d elle conoscenze,formazione e sviluppo, servizi per favorire l'equilibrio tra vita professionale evita pr ivata, tut ti fom iti d all'azienda per aiutare i capi area a fare il loro lavoro.

idea chiaveFar pen sare le gran d i imp resecome un nuovo arrivato

 

2 0 La cu rvadell'esperienza

La curva dell 'esperien za in dica ch e più si fa u n a cosa m eno

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La curva dell esperien za in dica ch e più si fa u n a cosa, m enocosta farla. E ciò h a imp orta n ti im plicazioni se si è sceltodi costru ire la p rop ria q u ota di m ercato a costi inferiorir ispetto ai con corren ti - u na strat egia bas ata sul van taggioin termin i di costo.

La teoria della curva d ell'esperienza no n è la stessa delle econo m ie di scala, a nch ese la scala pu ò dare un utile contr ibu to. Il suo vero ant en ato è la curva di app ren-

dimento. T.P. Wright, che ha studiato l'industria aeronautica americana, ha ela-

borato per primo la curva dell'apprendimento negli anni '30. Egli aveva osservato

che ogn i volta che la prod uzione cum ulativa d i velivoli - ossia il nu mero totale

prod otto nel temp o - raddopp iava, le ore-uom o necessarie a produrre un esemp lare

diminuivano di una percentuale costante (del 10-15%, in base al suo studio).

La percentuale può variare da un'industria all'altra, arrivando fino al 30%, ma

nella maggior parte dei casi rimane abbastanza costante. Diciamo pari al 10%.

Se, dopo aver realizzato 1000 unità di un determinato prodotto, ogni unità

richied e un 'ora di lavoro, quand o il volum e cum ulativo raggiunge le 2000 un ità,

ognu na d ovrebbe richiedere solo 54 min ut i. A 4000 u nità il temp o richiesto do-

vrebbe scendere a 48,6 minuti, a 8000 a 43,7 e così via.

La teoria ha una sua logica, soprattutto se si considera che Wright stava stu-diando una linea di produzione ad alta intensità di lavoro. Man mano che il

volume prodotto aumenta nel corso del tempo, gli operai acquistano maggiore

fidu cia e rapidità. Sp end ono men o temp o a risolvere dubbi e comm etto no men o

errori, e imparano metodi più veloci di eseguire le operazioni. Lo stesso vale,

fatte le debite differenze, per i manager.

linea del tempo1964 1966Le quattro «P» Curva dell'esperienzadel marketing

 

BRUCE HENDERSON 1015-1992

Di Bruce Henderson, venditore di bibbie prima di diventare ingegnere

meccanico, si potrebbe dire che aveva quasi le caratteristiche ideali

per diventare un consulente di direzione. La cronaca non riporta quanto

successo abbia avuto con le bibbie - suo padre era proprietario della casa

editrice - ma è stato uno dei consulenti più originali di tutti i tempi.Henderson ha lasciato gli studi alla Harvard Business School tre mesi

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prima di laurearsi per accettare un lavoro alla Westinghouse Corporation.

Qui è divenuto uno dei più giovani vicepresidenti della storia dell'azienda,

guadagnandosi una menzione sul «Time». Nel 1963 la Boston Safe

Deposit & Trust Company gli chiese di mettere in piedi il settore

consulenza della banca. Il risu ltato è stato il Boston Consult ing Group -

fatturato del primo mese: 500 dollari.Nel 1966 il BCG aveva 18 consulenti e un uff icio a Tokyo - una novità

per un'agenzia di consulenza occidentale. In quell'anno essi hanno

elaborato la teoria della curva dell'esperienza. L'anno dopo, il primo

articolo di Henderson sulla «Harvard Business Review» illustrava

una visione della strategia aziendale basata sulla teoria dei giochi.

Ci sarebbero voluti altri trent'anni perché la teoria dei giochi prendesse

piede nell'analisi aziendale. La matrice di Boston, sicuramenteuno dei prodotti più famosi di quella città, è stata elaborata nel 1968.

Henderson è andato in pensione nel 1985 ed è morto nel 1992.

4 Fo ch e p e r so n e h a n n o a v u t oa l t r e t t a n t a i n f l u e n z a s u l l ' i n d u s t r i a

i n t e r n a z i o n a l e n e l l a s e co n d a m e t àdel XX secolo. J«Financial Times», 1992

1968Matrice di Boston

1980Le cinque forzedella concorrenza

 

( L'effetto della curva dell 'esperienzapuò esser e osservato e misu rato

in ogni aziend a, in ogni in d u str iae p er ogn i voce di costo, ovun qu e. 9

Bruca Henderson, 1973

Il lavoro costa denaro, quindi la curva dell'apprendimento riduce i costi neltem p o La cur va dell'esperien za si basa sullo stesso p rin cipio ind ica l'esistenza

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tem p o. La cur va dell esperien za si basa sullo stesso p rin cipio - ind ica l esistenza

di un rapp orto tra esperienza ed efficienza - ma in una p rospettiva più amp ia.

Come la matrice di Boston (si veda p. 20) è stata elaborata da Bruce Hen-

derson e dai suoi colleghi del Boston Consulting Group (BCG) nel 1966. I

consulenti del BCG erano consapevoli degli effetti della curva dell 'appren-

dimento. Tuttavia, mentre svolgevano un incarico per un costruttore di semi-

condu ttori h an no osservato che un radd oppio della produzione ridu ceva i costi

del 20-30%. Questo fenomeno diventava par t icolarmente evidente nell ' in-

dustria elettronica, poiché la rapida espansione del volume di quegli stessi

semiconduttori, e quindi dei calcolatori elettronici, dei personal computer e di

altre apparecchiature elettr on iche p rovocava una d ecisa diminuzione dei costi

e dei prezzi.

Anche i fornitori Henderson ha scritto in seguito che, mentre l'effetto erafuori discussione, la comprensione delle cause era ancora «imperfetta». La curva

dell'apprendimento contribuisce ovviamente alla spiegazione, poiché l'abilità dei

lavoratori aumenta. La standardizzazione e l'automazione contribuiscono a loro

volta a una maggiore efficienza e quando la produzione aumenta i macchinari

ven gon o u tilizzati meglio. An ch e qu esto ha l'effetto di ridu rre i costi unitari. Altr i

benefìci sul piano d ell'efficienza p ossono derivare da r itocchi al design d ei prod otti

e al mix dei vari input. Anche i fornitori beneficiano della curva dell'esperienza,il che d ovrebbe portare a una riduzione del costo dei com p onen ti.

Il BCG ha utilizzato la sua scoperta in due modi. In primo luogo, come spia diopp ortun ità di ridu zione dei costi. Se u n'azienda no n aveva ridotto i costi di pro-duzione in linea con la curva dell'esperienza, era ora che escogitasse qualchesistema per farlo. L'altra applicazione importante di questo concetto riguarda le

sue implicazioni per la strategia concorrenziale.Aver e costi inferiori a qu elli dei rivali è un a validissima strategia concorren ziale.Gli effetti della curva dell'esperienza rendono ancora più importante per un'a-zienda espandere la propria quota di mercato poiché, a parità di condizioni, laquota massima si tradurrà in costi minimi. Il vantaggio di costo può allora venire

 

( È n oto ch e i costi si rid u rran n o conmaggiore certezza se tut t i s i at tendono

che ciò avvenga. JBrace Henderson, 1874

sfruttato sotto forma di maggiore redditività, o utilizzato per ridurre la pressionesui costi e mantenere una posizione prevalente sul mercato.

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Il BCG sosteneva con decisione che sarebbe stato miope lasciare la curva dei

prezzi inalt erat a risp etto a qu ella dei costi - in altre par ole, p un tare a più ampi

margini di profitto. Il rischio è che i concorrenti usino i prezzi per conquistare

quote di mercato e aumentare i benefici derivanti dalla propria curva dell'espe-

rienza. Se questa non fosse la loro scelta, e preferissero a loro volta margini diprofitto più soddisfacenti, questi stessi margini finirebbero per attirare nuovi

attori nell'industria, che poi ridurrebbero i prezzi. Perciò il leader di mercato

dovrebbe sempre abbassare i prezzi almeno di quanto ha ridotto i costi. Ciò

dovrebbe spaventare la concorrenza o renderla poco conveniente, e consolidare

al tempo stesso il predominio sul mercato e la riduzione dei costi. Queste idee

hanno svolto un ruolo importante nell'elaborazione della matrice di Boston, il

famoso strumento del BCG per l'allocazione delle attività.La tecnologia e l'innova zione, tu ttavia, sono solite interrom pere

la curva. L'introduzione di nuovi prodotti o processi mette fine

alla vecchia curva e ne inizia una nuova. Ovviamente, se ogni

soggetto presente nell'indu stria è consapevole d ella curva d ell'e-

sperienza, la sua conoscenza diventa meno utile. Se tutte le

aziende p erseguono una strategia basata su di essa, finiran no per

avere prezzi bassi, capacità produttiva in eccesso e nessun

incremento della quota di mercato.

6 Simili riduzionidei cost i nonavvengonoautomat icamente .Richiedono una

gestione. JBrace Henderson, 1874

idea chiaveL'esperienza riduce i costi

 

2 1 Le cinque forzedella concorrenza

Le q u att ro «P», le set te «S» - la teo ria del m an agem en t

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è spesso p resen tata in qu esto mod o mn emon ico e un p o 'eccessivo che sa di circo Barnum e facili trovateper catturare l 'a t tenzione del pubblico. Attualmentei teor ici del m an agemen t d i m aggior successo app ar tengon o

certamente all ' industr ia dello spettacolo, con tantodi app arizion i in pu bb lico, au togra fi sui libri e, se sp ingon oil bottone giusto, cospicui assegni.

Non fatevi però un'idea sbagliata delle cinque forze. La definizione e l'ideasono frutto di uno dei teorici del management più seri e rigorosi, assai poco

ten tato dallo spirito del vaudeville - Mich ael Po rter. Le cinq u e forze svolgono

un ru olo centr ale nelle teorie di Porter sul vantaggio comp etitivo sostenibile.Egli delimita il suo campo affermando che possono esserci solo tre strategieper ottenere un vantaggio competitivo (si veda il riquadro a p. 86).

Si può produ rre qualcosa più econom icamen te di chiun qu e altro e se ne diventa

il prod uttore a più basso costo. Opp ure, fare qualcosa di speciale che perm ette

di chiedere per quel prodotto un prezzo più alto di chiunque altro. Oppure

ancora, dominare una nicchia di mercato in cui gli altri trovano difficilepenetrare. Per scegliere quale strategia adottare i manager devono analizzare il

tipo di mercato in cui si trova la loro indu stria - è fram men tata o em ergente,

matura o in declino, o globale? Poi, per stabilire se è attraente o meno

dovrebbero analizzare il mercato p rescelto sulla base delle seguenti cinqu e forze

della concorrenza. L'idea di Potter è che la concorrenza diretta rappresenta solo

un a parte del panoram a concorren ziale. Solo un a delle sue cinqu e forze - la

rivalità - è intema all'industria, mentre le altre quattro vengono dall'esterno.

linea del tempo

Innovazione Segmentazione del mercato

 

Rivalità concorrenziale tra soggetti esistenti Come sipresenta la situazione? Più intensa la concorrenza, maggiore la pressione sui

prezzi e sui margini per tutti. La concorrenza sarà più accesa se:

• le aziende in concorrenza tra loro sono molte, in particolare se ha nn o tu tte

dimensioni simili;

• la crescita è lent a e obbliga le aziende a lottare per la qu ota di mercat o (nei

mercati in rapida espan sione le entr ate crescono in mod o costan te men trela quota rimane stabile);

'è diff i i i d i i l iò l

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• c'è poca differenziazione tra i pr od otti in concorren za tra loro, e p erciò laconcorrenza si incentra sul prezzo;

• le barriere all'us cita son o eleva te per ché i m acchin ari son o specializzati ecostosi (ad esempio nella cantieristica na vale).

Il p otere con trattu ale d ei fornitori I vostri fornitori vogliono

mettervi con le spalle al muro? Le «forniture» comprendono tutti gli input

necessari alla produzione - compresi il lavoro, le materie prime e i com-

po nen ti. I fornitori p oten ti alzeranno i prezzi per inter cettare p arte dei profitti

del produttore. I fornitori hanno probabilmente un potere contrattuale

maggiore se:

• il mercato è d ominat o da pochi grandi fornitori;

• cambiare fornitori comp orta un costo significativo;• no n ci sono sostituti per gli inpu t;

• i loro clienti sono d ispersi e deboli;

• esiste il p ericolo di un con solid am ent o (integr azione a valle) tra i fornitor i,

che potrebbe provocare un aumento dei prezzi.

Ogn i ipotesi cont raria alle precedenti metter ebbe i fornitori in un a posizione

più debole.Il p otere contrattu ale d ei clienti I vostri clienti vogliono met-

tervi con le spalle al muro? I clienti che si trovano in una posizione con-

trattuale molto vantaggiosa possono costringere a ridurre i prezzi e i margini

di profitto. L'esempio estremo è quello del monopsonio, un mercato con un

solo acquirente e molti fornitori, dove l'acquirente può dettare il prezzo. I

clienti ha nn o probabilmente un m aggior potere contrattu ale se:

1965 1966 1980 1985Strategia Curva dell'esperienza Le cinque forze Catena del valoreaziendale della concorrenza

 

Il vantaggiocompetitivosostenibile

Se un'azienda ottiene profitti superiori alla mediadel suo settore detiene un vantaggio competitivo

sui suoi rivali secondo Michael Porter Egli afferma

Con una strategia basata sulla differenziazione

l'azienda offre un prodotto o un servizio con qualità

uniche che i clienti desiderano e per le quali sono

disposti a pagare un prezzo più alto. Può trattarsi di

un prodotto fabbricato in esclusiva o riconosciuto

come superiore per qualità o tecnologia tra gli altri

simili.Porter indica una terza strategia che costituisce

in realtà un affinamento delle altre due - la

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sui suoi rivali, secondo Michael Porter. Egli afferma

che vi sono in realtà due sole strategie

fondamentali per ottenerlo e mantenerlo.

Perseguendo una strategia di leadership nei

costi, l'azienda offre prodotti della stessa qualità

dei suoi concorrenti, ma a un prezzo inferiore.Può farlo grazie a processi più efficienti, materie

prime più economiche, o riconfigurando la sua

catena del valore in modo da abbassare i costi.

Quindi può scegliere se vendere a prezzi medi

e ottenere un profitto superiore o trasferire

al consumatore il risparmio sui costi vendendo

a prezzi inferiori alla media e aumentare la quotadi mercato. In una guerra dei prezzi essa può

mantenere una certa redditività, mentre ì rivali

soffriranno delle perdite.

in realtà un affinamento delle altre due la

strategia del focus. Invece di porsi un obiettivo di

mercato a livello di industria, l'azienda mira a un

segmento ridotto del mercato e cerca di ottenere

un vantaggio di costo o una differenziazione. Dato

un minor volume in un mercato più ristretto,e quindi un minor potere contrattuale verso i

fornitori, il focus sul vantaggio di costo è più

difficile da perseguire del focus sulla

differenziazione.

Porter mette in guardia le aziende dal ricorrere

a più di una di queste strategie, per non rischiare

di inviare messaggi contraddittori. Le aziende chehanno adottato strategie multiple con successo,

di solito hanno creato aree di affari distinte per

ciascuna strategia.

• c i s o n o p o c h i g r a n d i a c q u i r e n t i ;

• h a n n o mo l t i p i c c o l i f o r n i t o r i ;

• i lo ro forn i tor i hanno e leva t i cos t i f i s s i ;

• e s i s t o n o s o s t i t u t i d e l p r o d o t t o ;

• c a mb i a r e f o r n i t o r e è s e mp l i c e e n o n è c o s t o s o ;

• sono sens ib i l i r i spe t to a l p rezzo ( forse hanno anch 'ess i marg in i r i s t re t t i ) ;

• i c l ien t i posson o min acc ia r e d i r i l evare il fo rn i t o re o un suo con cor ren te ( in te -

g r a z i o n e a mo n t e ) .

Anche in questo caso, ogni ipotesi contrar ia al le precedenti indebolirebbe i c l ient i .

La min accia di nuovi con corren ti Tut t i i me rca t i reddi t iz i a t t i ran o

n u o v i s o g g e t t i , c h e q u a s i c e r t a me n t e l i r e n d e r a n n o me n o r e mu n e r a t i v i , a me n o

ch e no n v i s iano bar r ie re a ll ' en t ra ta . P iù fac ile è en t r a re in un ' ind us t r ia , maggiore

l a c o n c o r r e n z a a l s u o i n t e mo .

 

le cinque forze della concorrenza I ffi

I nuovi concorr ent i possono essere dissuasi dall'entrare n el mer cato se:

• pat enti e brevett i limitan o l'ingresso;• le econom ie di scala impon gono sostanziosi volum i minim i di produ zione

affinché essa sia remunerativa;

• l'ind ustria presenta elevati costi fissi o di inv estimen to;• i soggetti già presenti h an n o d ei vantaggi di costo grazie alla loro curva d ell'e-

i

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sperienza;• c'è scarsità di risorse imp ortan ti (lavoro comp reso);• i soggetti già pr esenti cont rolla no l'accesso alle mat erie prime o i

relativi canali di distribuzione;• esistono barriere statali, com e nel caso di monop oli televisivi o con-

cessioni per le tv via cavo;• cambiare clienti com por ta costi elevati.

Un'a mp ia disp onibilità di tecnologia, m archi deboli, un facile accessoalla distribuzione e basse econo mie di scala attirera nn o n uov i soggettie farann o int ensificare la concorrenza.

La min accia d ei succedan ei I succedanei sono prodotti di altre industrie e

la loro disponibilità lim ita la possibilità di alzare i prezzi da pa rte d i un'azienda. Così ifabbricanti d i lattine d i allum inio per bibite sono limitati d alla dispon ibilità di bottigliedi vetro e di plastica. I produ ttori di pan nolini u sa e getta d evono ricordare che, oltreun certo prezzo, le versioni lavabili e riutilizzabili possono diventa re u n valido sostitu to.I fattori che possono aum entare o ridurre la minaccia dei succedan ei comp rend ono:

• il rapp orto prestazioni/ prezzo dei succeda nei;• la fedeltà al ma rchio;

• i costi legati al cam biam ent o.

N el 1980 Porter ha scritto il suo pr imo libro sul van taggio comp etitiv o, La strategia

competitiva, analisi per le decisioni, che illustrava tra l'altro le cinq u e forze e ha avu toun ampio e immediato successo. Altrettanto è avvenuto con il secondo libro II 

vantaggio competitivo, pu bblicato cinqu e anni dopo. Alcu ni h ann o not ato un a certaironia nel fatto che molti concorrenti abbiano usato il modello di Porter per dif-ferenziarsi gli uni dagli altri sebbene, a essere onesti, egli lo presenti come unostimolo alla riflessione più che come un modello.

idea ch iaveUn m anu ale p er analizzare

la concorrenza

6 La concor renzaè so t t i le , e im a n a g e r t e n d o n oa sempl i f i ca re . JMichael Porter, 2001

 

2 2 Le quattro «P»

del marketing

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del marketingIn quanto branca dell 'azienda con i l compito di at t irarel 'at tenzion e dei cl ienti , i l m arketin g h a p rod otto non p och eciarlatanerie. Quello delle quattro «P», tuttavia, ha il pregio

di essere un concetto gestionale semplice e logico, ancoramolto in uso a qu arant 'an n i dal la sua formu lazione.

L'idea delle quattro «P» è radicata nel marketing concepì, l 'orientamento alcliente. Se il marketing non è evidentemente la stessa cosa della produzione,

esso non coincide neppure con le vendite. Quasi due secoli e mezzo fa AdamSmith osservava ne La ricchezza delle nazioni che l'intero sistema mercantile era

^ , , stato inv ent ato per soddisfare le necessità dei prod uttori,V o Z i e n a a n a , s o l o anziché quelle dei consumatori. Aveva così indicato il punto

d u e f u n z i o n i — debole dell'idea fond am enta le del marketing - o, a quei temp i,i l m a r k e t i n g della sua mancanza. Da a llora, e da prima an cora, fino agli inizi

e l ' i n n o v a z i o n e . 5 del XX secolo , l' indus tr ia si è impern ia ta su lla produzione.

.. . . „ . L'«orientam ento alla produzione» significava che i produ ttoriMilan Kundera „ . , , . ,si concentravano sulle merci che potevano produrre in modo

più efficiente, a un costo che potesse creare un m ercato per esse. Le domande chesi sarebbero posti erano: possiamo produrre questa merce, e in quantità suffi-ciente?

Quando è iniziata l'epoca della produzione di massa, dopo la Prima guerra

mondiale, la natura delle domande è cambiata. La popolazione aveva necessitàelementari, in linea di massima, e la concorrenza era in aumento. Arriviamo cosìalP«orientamento alle vendite», in cui i produttori si chiedono: possiamo

linea del tempo1950

Gestione dellaoperate?

primi anni '50

Gestione dei canali

 

vend ere questa m erce, e possiamo chied ere un prezzo adegu ato per essa? La que-stione se il cliente ne avesse bisogno o meno non si poneva. Il marketing, se

esisteva una cosa del genere, entrava in scena solo dopo che i beni erano stati

prodotti, e si limitava a forme più inventive di «vendita».

È solo d op o la Se co n d a gu err a m o nd ia le ch e il m a rk et in g ^ ^ m a r k e t i n g e S o l o

n ell' acce zio n e a tt u ale d el t er m in e h a co m in ci at o ad e vo l- l i n a . f O i ' l l k i l C i v i l i z z a t a

ver si. I consuma tor i d i sponeva no d i un ma gg io r r edd i to e d i g u e r r a i n C U Ìd iv en ta va no sem pre p iù selet tiv i. Le d om an d e ch e ora i p ro- J a , m a g g i o r p a r t e d e l l e

d u tto ri er an o co st re tt i a p orsi er an o : co sa v uo le il clie n te , e b a t t a g l i e S O n O v i n t e

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possiamo produrlo prima che cessi di desiderarlo? Era la d a U e q 1 d a U e i d e e

nascita del ma rketing orien tat o al cliente , che richiede di _

prendere in considerazione le necess ità d i quest 'u l timo pr ima ® ^ U a i i a ^ r i I i e S S l O n e

di sviluppare un prodot to . Esso s ignifica anche a ll ineare le d l S C i p l i n a t a . y

risorse e le fun zion i d ell'azien d a per con cen tr ar si su qu elle AlbCPt W. EfllGPynecessità, perché è solo soddisfacendole nel lungo periodo ( d i r i g en t e p u b b l i c i t a r i o )

che l'azienda farà profitti. Le quattro «P» sono emerse come

uno strumento concettuale cui ricorrere in questo processo. Si trattava di un affi-

namento del «marketing mix», un termine coniato da Neil H. Borden nel suo

articolo del 1964 intitolato The concepì of marketing mix. Egli elencava più di una

dozzina di ingred ienti da mescolare in varie qu ant ità - un p o' più di un o, un p o'

men o di un altro - a second a delle circostanze. Gli in gred ienti sono stati poi rag-gruppati in quattro categorie dal professore di marketing della Notre Dame, E.

Jerome McCarthy. Erano queste le quattro «P» del marketing.

Prodotto II primo elem ent o del mar keting mix è il pr odo tto - ch e può con-

sistere in beni, servizi, una destinazione o anche un'idea, come lo slogan di una

campagna contro la guida in stato di ebbrezza. Le decisioni da prendere ri-

guardan o l'aspetto, il no m e, la qualità, la confezione e il livello di assistenza d opo

la vendita.

Prezzo II secondo elemento è il prezzo - quanto sono disposti a pagare i con-

sumatori? Questo è l'unico elemento del marketing mix che genera ricavi. Tutti

gli altri rap pr esentan o costi. Qu ale strategia sui prezzi ad ottar e inizialm ente -

praticare un prezzo iniziale elevato (finché il mercato lo permette, per poi

abbassarlo successivamente) o puntare alla penetrazione (prezzi bassi per sti-

1960 1964 1966 2004In quale industria Le quattro «P» Curva dell'esperienza Web 2.0operate? del marketing

 

Il ciclo di vita del p rod ottoCome gli esseri umani, i prodotti che

superano i primi giorni di vita hanno un ciclo

di vita. Nascono, fioriscono e cominciano

ad appassire, e nelle diverse fasi del ciclo si

applicano strategie di marketing differenti. In

realtà, molti prodotti seguono un ciclo di vita

A questo stadio, la distribuzione è spesso

selettiva.

Crescita - la domanda è in crescita, e i prezzi

possono essere mantenuti stabili. Si aggiungono

canali di distribuzione e si intensifica

la promozione per raggiungere un pubblico

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proprio, ad ogni modo le fasi classiche sono:

Lancio - un'accoglienza favorevole è più

importante del profitto, la promozione è

necessaria per far conoscere il prodotto. In

un mercato concorrenziale praticare prezzi

bassi per favorire la penetrazione può

massimizzare le vendite iniziali e

accelerare la curva dell'esperienza. Se la

concorrenza non è intensa, praticare prezzi

inizialmente più alti può permettere di

recuperare i costi di sviluppo del prodotto.

più vasto.

Maturità - inizia la concorrenza da parte di

prodotti simili, ne deriva una guerra dei prezzi.

Quando le vendite si stabilizzano la distribuzione

diventa più intensa.

Declino - il mercato comincia a declinare,

forse a causa di altre innovazioni o di un

cambiamento dei gusti. I prezzi scendono

ulteriormente e si riduce la promozione

per diminuire i costi. Alla fine il prodotto viene

abbandonato o ceduto.

molare le vendite iniziali)? Quali sconti offrire? Effettuare aggiustamenti sta-

gionali? A parità di ogni altra cosa, il prezzo è il fattore più importante che

influenza i potenziali acquirenti. E anche uno degli elementi più flessibili del

mix, dato che può essere cambiato con un breve preavviso, in particolare sotto

forma di sconti. L'attribuzione dei prezzi è spesso un compito difficile per i respon-

sabili del marketing, che non sempre trovano la soluzione giusta, a volte tengonotroppo conto dei costi o non si adeguano ai mutamenti del mercato. Qualunque

sia quella adottata in fase di lancio, è probabile che la strategia relativa ai prezzi

cambi durante il ciclo di vita del prodotto.

Pun to vend ita Questo elemento riguarda in realtà la distribuzione, maquesta non inizia per «P». Esso abbraccia tutte le attività richieste per portare il

prodotto al cliente, assicurando che ciò avvenga al momento giusto e nel luogogiusto per essere acquistato. Una decisione chiave relativa al «punto vendita» èla scelta di un canale di distribuzione. Questa può essere effettuata direttamenteal consumatore attraverso rappresentanti, ordini per corrispondenza, venditetelefoniche e/ o Intern et. Cana li più ind iretti comp rend ono i rivenditori al det-

 

taglio, o un grossista e un d ettag liante, e a volte altri livelli di distri-buzione. Per fare queste scelte occorre prendere decisioni sulla

copertura d el mer cato, che pu ò essere inten siva, selettiva o esclusiva.

Intensiva, vuol dire distribuire il prodotto attraverso qualsiasi

grossista o d ettaglian te ch e d ecida di rifornirsene. N ella distribuzione

selettiva, i canali si limitano ai pochi prescelti. La distribuzione

esclusiva avviene solo attraverso un unico grossista o dettagliante in

una determinata area. L'elemento «punto vend ita» comp rende anch ela logistica ma teriale della distribuzione, dal tra ttam ent o d egli ord ini,

al magazzinaggio all'uso di cent ri di distribuzione e al traspo rto

( L'obiett ivod e l m a r k e t i n gè conoscere e cap i rei l cl i e n t e t a l m e n t eb en e ch e i l p rodo t too i l se rv i z io g l iva a penne l loe s i ven d e d a solo . J

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al magazzinaggio, all uso di cent ri di distribuzione e al traspo rto.

Promozione Qui il marketing sfocia nelle vendite. La pro-

mozione comporta la comunicazione di tutte le informazioni necessarie a per-

suadere il cliente a comprare il prodotto. Le strategie promozionali vengono

divise in due categorie, quelle che «attirano» e quelle che «spingono». La pub-blicità attira, porta il consumatore a conoscenza del prodotto e lo invoglia a

richiederlo, ma può essere costosa. Nella strategia basata sulla spinta, il settore

vend ite prom uove il pr od otto presso i grossisti e i d ettaglian ti, spingend olo lun go

i canali di distribuzione fino all'utilizzatore finale.

Il marketing promozionale viene spesso classificato come above the Une (sopra la

linea) o below the line (sotto la linea). Tradizionalmente, un 'attività above the line

è fare pubblicità a pagamento, attraverso la carta stampata, la televisione, la

radio, il cinem a e i cart ellon i. La pr omozione below the line non comporta esborsi

e comprende cataloghi, sponsorizzazioni, merchandising e mostre. Le Pubbliche

relazioni, che cercano di costruire un buon rapporto con i diversi tipi di pubblico

di un'azienda, rientrano tra i metodi below the line. Le campagne promozionali

sono incentivi a breve termine per favorire le vendite.

Oggi nella promozione la tendenza si sta spostando d al marketing di massa allapersonalizzazione d i massa e al cosidd etto «mar ket of on e», il mercato d i un solo

consumatore, dalla comunicazione indifferenziata a quella personalizzata. E

Internet sta cambiando profondamente la comunicazione e le abitudini di

acquisto. Perfino in quest'epoca, tuttavia, le quattro «P» restano un concetto

utile e valido.

idea ch iaveLa ricetta fondamentaledel marketing

Peter Drucker

 

2 3 La globalizzazioneLa globalizzazione, stret tamente parlando,non è un concet to d i m an agem en t , è un fenomen o m ondiale .M a si t ra t t a di un fenomen o talmen te vasto che h a costre t to

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M a si t ra t t a d i un fenomen o ta lmen te vasto che h a costre t toi m an ager a r ipen sare i loro m ercati , le st rategi edi produ zione, le catene dell 'offerta e le fonti di van taggicompetitivi. E se qualcuno di essi ritiene

ch e la globalizzazione sia un p rocesso a sen so u nico,forse dovrà r ipensarci .

Come molte delle idee tra cui il management si dibatte, quella della globa-

lizzazione non è nuova. Lungo la Via della Seta si svolgeva un florido com-

mercio internazionale già intorno al II secolo a.C., e gli anni che hanno

preceduto la Prima guerra mondiale sono stati l'apice dell'«internaziona-lismo», un periodo di frenetici scambi e investimenti transfrontalieri. E solo

per via della progressiva chiusura delle economie nazionali nel periodo tra le

é l m e r c a n t i n o nh a n n o n a z i o n e .

I l lu ogo in cu i

s i t rovano nonc o s t i t u i s c e u n l e g a m e

f o r t e q u a n t o q u e l l od a cu i t r a g g o n o

i lo ro gu ad agn i . ^Thomas Jefferson, 1814

due guerre che l'attu ale fase di internaziona lismo ci app are com e

una completa novità. Pertanto i manager hanno dovuto con-

frontarsi con essa già in precedenza, an che se certa m ent e n on su

questa scala, a questa velocità e con questa intensità.

Un ingrediente nuovo che ha amplificato tutto ciò è la tec-nologia - l'effetto combinato delle telecomunicazioni, del

computer e della rete, che ha reso il mondo più piccolo, più

intelligente e più veloce. Tutto questo avrebbe avuto un impatto

minore se non fosse stato per un secondo ingrediente - la dere-

golamentazione, le privatizzazioni e l'apertura dei mercati da

parte degli stati di tutto il mondo.

Nel 1983, l'economista di Harvard Theodore Levitt (si veda p. 201) ha

rilevato che la tecnologia stava portand o il mon do verso «una comu nità con-

linea del tempo1920

Marchio Decentramento

 

I grandi fattori del livellamentoThomas Friedman, esperto di affari esteri

del «New York Times», ha riportato un buon

successo con II mondo è piatto. Breve storia 

del XXI secolo, pubblicato nel 2005, che

costituiva un aggiornamento di un precedentelibro sulla globalizzazione. Piatto, perché il web

ha livellato il piano della concorrenza. Ma,

5. L'esternalizzazione - che trasferisce

funzioni aziendali in India risparmiando

denaro e alimentando l'economia del Terzo

mondo.

6. L'off-shoring - produzione in conto terzi checonferisce alla Cina rilevanza sul piano

economico.

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affermava l'autore, ci sono stati altri dieci fattori

di livellamento.

1. La caduta del muro di Berlino - avvenuta

il 9 novembre 1989 (e che fa pendere la bilancia

del potere mondiale dalla parte delle democraziee del libero mercato).

2. L'IPO Netscape - 9 agosto 1995 (che suscita

enorme interesse per i cavi in fibra ottica).

3. Il software workflow - che consente un più

stretto e rapido coordinamento tra dipendenti

che si trovano a grande distanza.

4. L'open sourcing - comunità autorganizzate(come Linux) che lanciano una rivoluzione

basata sulla collaborazione.

7. La catena dell'offerta - che crea una solida

rete di fornitori, rivenditori e clienti

per aumentare l'efficienza dell'azienda.

8. L'insourcing - i giganti della logistica

assumono il controllo delle catene dell'offertaal consumatore, aiutando i negozi

a conduzione familiar e a globalizzarsi.

9. L'in-formazione - strumenti elettronici per

la ricerca che consentono a ognuno

di usare Internet come una «catena

dell'offerta» personale di conoscenza.

10. Il wireless - che consente una maggiorecollaborazione nell'impresa

(PC e cellulare).

v e r g e n t e » e c h e s t a v a n o e me r g e n d o me r c a t i g l o b a l i p e r p r o d o t t i d i c o n s u mo

standard izza t i «su una sca la d i ampiezza un tempo in immaginabi le» . Egl i ha

chia m at o «g loba lizzaz ione» la c rescen te in tegraz ione , in te rd ipend enza e con -ness ione genera le de l mondo. Le indus t r ie e g l i inves t i to r i s i sono moss i in

f r e t t a p e r a p p r o f i t t a r n e e r a f f o r z a r l o , ma i l f e n o me n o h a a n c h e , i n v a r i a

misura , una d imens ione soc ia le , cu l tu ra le e po l i t i ca .

Un a tela globale Nel la s fe ra economica , con i f il i de l comm er c io e de-

g l i inves t iment i d i re t t i e ind i re t t i , che s i ra f forzano rec iprocamente , s i va

1950 1960 anni'70 1983 2004

 

tessend o un a tela sempre più globale. Il com m ercio interna-

zionale è in continua crescita, dato che in tutto il mondoquote sempre maggiori di spesa vengono destinate a beni eservizi importati. La quota del commercio dei paesi in via di

sviluppo si è triplicata negli ultimi vent'anni, aiutata dall'e-stemalizzazione della prod uzione da p arte d ei paesi svilup pati.Gli investimen ti d iretti esteri, ossia quand o un'impresa di unpaese impianta n'atti ità in n altro si sono moltiplicati in

6 Q u a s i o g n i i n d u s t r i aè o r m a i e s p o s t aa q u a l c h e f o r m a

d i c o n c o r r e n z ap r o v e n i e n t ed a l l ' e s t e r n o

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paese impianta un attività in un altro, si sono moltiplicati, inparte grazie al trasferimento all'estero di aziende dei paesi svi-luppati. I singoli individui e i fondi di investimento nonhanno interesse ad avviare attività in paesi stranieri, ma

possono inv estire i loro soldi in m ercati emergen ti, e negli ultimi ann i lo han nofatto in misura crescente, anche se selettiva.

La globalizzazione aziend ale ha p reso slancio a partire d alla metà d el XX secolo,

quando esportatori di successo hanno piantato radici nei rispettivi mercati esteri,

per seguirli più da vicin o e risparm iare sui costi di trasp orto. Ne l corso del temp o,

molti di essi hanno integrato le loro attività in imprese autenticamente globali.

La fase successiva ha visto le aziende occidentali trasferire le attività produttive

all'estero, in cerca di mercati del lavoro più economici; ad esse si sono poi

aggiunti servizi come i cali center e lo sviluppo di software.

I principali beneficiari sono stati l'India, in particolare per quanto riguarda il

software, e la Cina, per la produzione in conto terzi. Entrambe le economie

stanno crescendo rapidamente e i due paesi possono entrare nei ranghi delle

superpotenze entro i prossimi vent'anni, insieme al Brasile e alla Russia. Le

Filippine hanno raccolto numerosi centri di contatto e lavoro amministrativo,e l'Asia in generale d etiene la qu ota maggiore del mercato d elle estemalizzazioni.

Tuttavia, esso è in espansione anche in America Latina, nell'Europa centrale e

orientale e in Medio Oriente. Alcuni ritengono che anche destinazioni a basso

costo come il Gh an a e il Vietnam d iventeran no più competitive.

II processo globale di esternalizzazione ha riguardato inizialmente i lavori dei

colletti blu. Ma attualmente molti più lavori da colletti bianchi, in settori comela ricerca e sviluppo o il design, vengono effettuati all'estero, non per tagliare i

costi, ma perché le aziende nei loro paesi non trovano personale per svolgerli.

Ciò può aggravare uno degli svantaggi dell'esternalizzazione all'estero, la perdita

del contr ollo di gestione a causa del trasferimento d i fun zioni che riguardano il

nucleo dell'attività dell'azienda.

«Pensare globalmente - agire localmen te» Il «vasto mondo», tut-

tavia, non è solo un'utile aggiunta alla catena dell'offerta. E un mercato e le vere

d e l t e r r i t o r i ot r a d i z i o n a l e . 5

Rosabeth Moss Kanter, 1886

 

aziende globalizzate sono quelle che operano su molti mercati intemazionali.Eravamo abituati a chiamarle «multinazionali», termine che non ha sempre avuto

connotazioni positive, ma oggi le aziende preferiscono il carattere universale con-

ferito dalla denom inazione di «imprese globali». Qu elle di successo, secondo alcuni,

sono quelle che sanno quando agire a livello locale e quando a livello globale.

L'H SBC ha riassun to il con cetto n el mot to aziendale «pensare globalmen te - agire

localmente», anche se quando si è accorta che ai consumatori suonava troppo

generico, lo ha trasformato in «La banca locale mondiale». Ma si può agirelocalmen te a nch e in m odo sbagliato, come ha scoperto la Gillett e agli inizi della sua

presenza in Cina. Supponendo che il mercato non fosse pronto per i sistemi di

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rasatura avanzati, essa ha com inciato a vend ere lam ette v ecchio stile. Poi si è accorta

che vend eva più articoli imp ortati che prod otti localm ente. I cinesi conoscevan o i

nuovi prodotti e non volevano quelli vecchi. La chiamano comunicazione.

La Gillette oggi esemplifica l'azienda integrata a livello globale, con ricerca e svi-luppo, progettazione, produzione e comunicazione pubblicitaria centralizzate. Pos-

siede molti impianti in tutto il mondo (meno che in passato) ma sono diretti dal

centro e i manager a livello nazionale si concentrano sul trade marketing, ossia sul

marketing rivolto al mercato intermedio della distribuzione.

I manager vengono trasferiti spesso d a un paese all'altro , raf- £ La «l inea r O S S a »

forzando quella che Rosabeth Moss Kanter chiama la «na- C O l l e f f a v a i l Creml ino

tura cosmopolita», la cultura di gestione globale dell'aziend a. . , n .A, . ^ , K7 ® , , , , . a l l a C a s a Bi a n caAlt re imp rese, come la Nestle, standardizzano la produzione % .

in tu tto il mondo, men tr e la strateg ia e il market ing r ela tiv i ® S t a t a S O S t l t U l t a d a l l a

ai prod otti sono gestiti a livello nazionale. Un terzo modello «ass i s t enza t e l e fon ica»prevede organizzazioni nazionali semiautonome che c h e C o l l e g a ft liiiin ip ift

ricercano sinergie tra di loro. Imprese come l'IBM stan no ¡ q A m e r i c a a i C a l i C e n t e r

concentrando certe a t tività dove vengono svolte meglio , B a n g a l o r e J

come il procurement  (l'acquisto da p arte dell'azienda di b enie servizi funzionali alla produzione) in C in a. U lOIMS Ff ie dlliail , 20 0 6

Vi è il sentimento diffuso che la globalizzazione sia un qualcosa che «noi», il

mondo sviluppato, stiamo facendo a «loro». Non c'è da esserne tanto sicuri.

Qu and o vi sarete accorti della prima azienda globale indiana sarà già com inciata

la fase successiva. La globalizzazione si diffonde in tutte le direzioni.

idea ch iaveUn mondo sem p re p iù conn essoe sempre p iù p iccolo

 

2 4 L'innovazioneLe aziend e han n o di nu ovo in serito l' inn ovazione nella loroagen d a. Q u an d o la frenesia inn ovativa d egli ann i del boomdelle aziende in formatiche si è b ru scam en te in terrotta , le grand i

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imp rese h ann o abb and onato le novità e sono torn ate a concentrarsisugli aspet t i p iù famil iari . O ra s tann o pru d entem ente uscend od al bu nk er. L'in d u stria delle tecn ologie dell ' informazione in cita

all' inn ovazione e dip end e da essa p er gran p art e della suasopravvivenza, m a il r in n ovato e p u b b licamen te p roclam atoimp egno ad inn ovare d a p art e di gran d i imp rese com e la GeneralElectric e la Pro cter & Gamb le h a in coraggiato alt re in d u striea torn are in lab oratorio.

L'innovazione arriva a ondate, alimentata dai progressi tecnologici. Così è

accaduto nel 1450, quando Johannes Gutenberg inventò la pressa da stampa.L'avvento del personal computer ha innescato un'ondata simile negli anni '70,aprendo la strada all'èra informatica. Negli anni '80 è stata la volta del softwaree negli anni '90 di Internet e del digitale. La rivoluzione digitale continua, mala spinta odierna a innovare è anche rivolta all'interno, poiché le aziende sirivolgono alle proprie competenze in cerca di novità.

Se, come dice Michael Porter (si veda p. 84) le uniche fonti di vantaggi competitivisono il prezzo e la differenziazione, l'innovazion e è il più p oten te fattore d i differen-ziazione, anch e se la storia insegna ch e n on sempre assicura u na m aggiore redd itività

nel lungo periodo. Le aziende si rivolgono ad essa come a un mezzo per entrare innu ovi mercati e generare u na crescita organica senza dover ricorrere ad acquisizioni.

Inn ovare non è inventare Innovazione non è sinonimo di invenzione- un 'invenz ione d eve essere immessa sul mer cato per inn ovare davv ero. L'inno-

vazione deve camb iare il mod o in cui le persone fann o u na determ inata cosa. Inun saggio sulla creatività Teresa Ama bile e altri descrivono l'inn ovazione come«la riuscita applicazione di idee creative all'interno di un'organizzazione».

linea del tempo1450

Innovazione

1911

Empowerment

 

La creatività, che comprende l'invenzione, è solo il punto di partenza dell'inno-vazione, una condizione n ecessaria ma non su fficiente affinché essa si manifesti.Come suggerisce Teresa Amabile, l'attività dell'innovazione deve essere gestitalungo tutto il percorso che va dall'ispirazione creativa fino a un prodotto o servizioda lanciare sul mercato. L'innovazione non riguarda solo prodotti e servizi. Puòessere intem a all'azienda, e prend ere la forma d i nuovi processio strutture organizzative. Potrebbe essere un nu ovo metodo di £ U n o d e i S e g r e t i d e l

marketing o di distribuzione, come le dimostrazioni d ella Tup- S U C C e S S O d e l l e a z i e n d eperware o le consegne a dom icilio della spesa fatta on -line. c h e p r e s e n t a n o e l e v a t i

Nella concezione odierna l'innovazione può anche essere t a S S Ì d i i n n o v a z i o n e

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pcostitu ita da u n m iglioramento significativo di un'offerta. Fab- s t a S e m p l i c e m e n t e n e lbricate una migliore trappola per topi, sembra abbia detto

Ralph Wald o Emerson , e il mond o farà la fila davanti alla . »p i ù c o s e . 7

f a t t o c h e s p e r i m e n t a n o

vostra porta. Non ha detto una trappola «rivoluzionaria».Tuttavia alcune aziende restano impantanate nella cosiddetta ROSStHStfl MOSS KflIItCP, 2006innovazione incrementale a spese dell'innovazione radicale.George Day, professore di marketing alla Wharton School, ritiene che una seriedi piccole innovazioni sia più simile a un miglioramento continuo. Egli affermache questo tipo di progetti rapp resenta l' 85-90% del portafoglio m edio di sviluppodelle aziende, ma non rende le imprese particolarmente più competitive o remu-

nerative. Anche se fanno aumentare di molto i profitti, i grandi progetti di inno-vazione costituiscono una quota sempre minore dei progetti di sviluppo.

Per questo le grandi innovazioni sono difficili e pericolose. L'innovatività sicostruisce, non è spon tanea, ma m olte grandi imprese semp licemen te n on sannogestire adeguatamente questo processo. Alcune regole empiriche sono emerseattraverso fasi successive di innovazione. Da quando il primo computer Apple èstato progettato in un garage della Silicon Valley, ci si è accorti dell'importanzadi dare spazio alle persone creative liberandole dalle pastoie burocratiche (ilrischio attualmente è che questi gruppi di «irregolari» restino troppo isolati dal-l'azienda, che poi respinge facilmente le loro idee). Anche le grandi aziendeaffermate ha nn o accett ato di dover essere inn ovative. In Winning through Inno-

vation, Charles O'Reilly e Michael Tushman hanno introdotto il concetto di«organizzazione ambidestra» che si destreggia tra strutture e culture contrad-dittorie in modo da sfruttare qu elle vecch ie e, al tempo stesso, esplorare le nu ove.

1951 1980 1990Gestione dellaqualità totale

Le cinque forzedella concorrenza

Organizzazionebasata sull'apprendimento

 

L'innovazione come«distruzione creatrice»

Adam Smith ha parlato ne La ricchezza delle 

nazioni  della «mano invisibile» che porta

in equilibrio i mercati anche se i capitalistiperseguono i propri interessi. Alfred Chandler,

storico dell'economia, ha scritto sulla «mano

invisibile» del management Ma l'economista

posto, sembra particolarmente appropriata

all'èra digitale. Altrettanto vale per la sua

convinzione che lo spirito imprend itorial e -Unternehmergeist -  sia la forza determinante

dell'economia. In un primo momento egli

riteneva che i singoli imprenditori

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invisibile» del management. Ma l economista

Joseph Schumpeter, che ha conosciuto

di recente un revival, ha descritto il mercato

in termini alquanto più violenti. E quando

definiva il capitalismo come un processodi «distruzione creatrice» parlava

dell'innovazione.

Scienziato politico non meno che

economista, Sc humpeter (che è vissuto tra

il 1883 e il 1950) oggi viene citato in molte

occasioni. La sua idea secondo cui ondate di

innovazione investono le imprese affermate

spazzandole via e lasciandone di nuove al loro

riteneva che i singoli imprenditori

incarnassero VUnternehmergeist, ma poi è

arrivato alla conclusione che quest'ultimo è

invece rappresentato dalle grandi imprese

che fanno ricorso intensivo alla ricerca.Certi politici americani hanno descritto

l'economia del futuro come «schumpeteriana»,

con la distruzione creatrice e l'innovazione

come forze trainanti. Essi tendono a tralasciare

che la visione di Schumpeter culminava

in una forma di socialismo corporativo,

innovazione meccanizzata e soffocamento

dell'imprenditore.

Essa se lez iona le tecn olog ie e i m erca t i v in cen t i s ta nd o v ic i na a i suo i c l ien t i ,

r i s p o n d e n d o r a p i d a me n t e a i s e g n a l i d i me r c a t o e s a p e n d o e s a t t a me n t e q u a n d o

e l i mi n a r e u n p r o d o t t o o u n p r o g e t t o c h e n o n h a f u n z i o n a t o . R i f l e s s i o n i s u c -

c e ss i v e i n d i c a n o t u t t a v i a ch e a s co l t a r e t r o p p o a t t e n t a m e n t e i c l i e n t i p u ò i n i b i r e

l e g r a n d i i n n o v a z i o n i .

Rosabe th Moss Kanter , p rofessoressa d i Amminis t raz ione az ienda le ad Harvard ,

r i t i ene che mol t i sed icen t i innova tor i non abbiano impara to dagl i e r ror i commess i

l ' u l t ima vol ta , e n ea n ch e da que l l i de l la vo l ta p r eceden te . In Innovation: the classic

traps, un saggio apparso di recente sul la «Harvard Business Rewiew» (di cui era

red a t t r ice ) l' au t r ice ind iv idu a la s tessa ma ncan za d i coraggio o d i conoscenz a ch e

h a a r res ta to pr eceden t i ond a te d i innov az ioni : «Dicon o d i vo le re p iù innovaz ione ,

ma poi s i chiedono "chi al t ro la s ta facendo?". . . Dichiarano di essere in cerca di

nuove idee, ma poi bocciano tut t i quel l i che gl iele presentano». Kanter afferma che

 

con poche ammirevoli eccezioni come Intel e Reuters le divisioni aziendaliimpegn ate a gestire il capitale d i rischio d elle aziend e spesso no n creano un valore

significativo per il nucleo centrale di attività.

Troppo p iccole p er con tare Alla base dell'inn o-

vazione possono esserci motivazioni strategiche, o legate ai

processi, alla stru ttura o alle specializzazioni. Un d ifetto t ip ico

consiste nel fatto che i manager, impegnati nella ricerca del

colpo ad effetto, ignorano le opportunità che appaiono loro

troppo piccole. Alcune aziende soffocano le innovazioni

app licand o le stesse regole di pianificazione, b ilan cio e valu-

6 Le az iende che ev i tanol e g r a n d i i n n o v a z i o n itemono che i benef ìc ia r r i v i n o in u n f u t u r ot roppo lon tan o o ap rezzo d i u n r i sch io

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tazione previste per il resto d ell'attività. Co m e osserva Kanter,

dei team creativi richiedono un trattamento diverso, ma

questo spesso le espone a critiche del tipo «loro si divertono

e noi p ortiamo i soldi a casa». Un errore comu ne è quello diaffidare responsabilità agli appassionati di tecnologia. Galvanizzare i team creativi

e comunicare nuove idee ai dirigenti è di importanza cruciale, ma non sempre

ingegneri e specialisti delle tecnologie dell'informazione sono bravi in questo.

La creatività richiede tempo, e secondo gli studi in materia bisogna aver fatto

parte di un team creativo o di ricerca per due anni prima di diventare davvero

produttivi. Quante volte gli addetti vengono trasferiti in un altro settore prima

che sia trascorso un tale periodo?

Anche nei casi in cui dispongono di un'idea geniale, le aziende potrebbero non

ricavarne tutti i benefìci sperati. La misura in cui esse sono in grado di catturare

il valore di un'innovazione è nota come «appropriabilità». Possono proteggere

la loro idea? Per quanto tempo resteranno all'avanguardia prima che gli inevi-

tabili imitatori affollino il mercato? Quante risorse specializzate sono necessarie

per mettere in moto l ' innovazione? Ad esempio, se avete inventato deglialimenti surgelati dovrete cedere gran parte del valore ai fornitori di attrezzature

per la refrigerazione. Una delle difficoltà dell'innovazione è che spesso i profitti

vanno a qualcun altro. Il PC è stato inventato dalla Micro Instrumentation

Telemetry Systems - esatto , da chi? Produ rre inn ovaz ione è un a cosa, sfru ttarla

è un'altra.

idea chiavePortare nuove ideesul mercato

prezzo d i u n r i sch iot ropp o a l to . ^George Day, 2007

 

2 5 II management

giapponeseRichard Pàscale e Anthony Athos han no osservato in Le sette

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giapponeseRichard Pàscale e Anthony Athos han no osservato in Le setteS, ovvero l'arte giapponese di gestire con successo l'az ienda,ch e il m odello am erican o veniva sfid ato su tre fronti.

I l p rim o era qu ello della p rat ica gestionale, in cuiintensif icare le pratiche correnti produceva meno r isultat i .I l second o era un m u tam en to d ei valori sociali,che significava nuove aspettative nei confronti delle aziendee del lavoro. Il terz o era la fortiss im a con corren za d all 'este ro.

£ I l m a n a g e m e n tg i a p p o n e se e q u e l l o

a m e r i c a n o s o n o

ugual i a l 95% ed i v e r s i i n t u t t i g l ia s p e t t i i m p o r t a n t i . J

Takeo Fujisawa

(cofondatore della HondaMotor Company)

Questo era il punto. Era il 1981. Il prodotto nazionale lordo giapponese era il piùalto del m ond o ed era sulla buona strada p er restarlo nei ven t'an ni successivi. IlGiappone è un paese piccolo, montagnoso, il 70% del territorio è inabitabile e

il riman ente h a le dim ensioni di Cuba. Eppure, nono stant e fossequasi privo di risorse naturali, stava crescendo e investendo a untasso dopp io rispetto a quello degli Stat i U n iti. Av eva sostituitoi pr eced enti leader intern azionali in u n'indu stria dopo l'altra: la

Germ an ia nelle m acchin e fotografiche, la Svizzera (chi l'avrebbemai creduto?) negli orologi, il Regno Unito nelle motociclettee gli Stat i Un iti n ei prod otti elettron ici di consumo, nell'acciaioe in una moltitudine di altri prodotti, incluse le cerniere. «IlGiappone», hanno dovuto ammettere Pascale e Athos, «si stacomportando molto più che bene».

Pur non essendo certamente l'unico, il libro era un tentativo di

definire meglio di cosa si trattava. Le differenze più facili da individuare si tro-

vavano nella fabbricazione stessa; le imprese giapponesi avevano studiato il

linea del tempo1911 anni '40Empowerment

Produzione snella

 

il management giapponese I 101

La strategia implicitaDicono che la Honda abbia ridefinito

l'industria motociclistica americana.Se è così, non è stato il frutto di un piano

diabolico, ma del modo in cui la Honda ha

reagito a una serie di eventi inattesi.

di cilindrate da 305cc, 250cc, 125cc e,

successivamente, anche da 50cc con il SuperCub. Il piano era quello di concentrarsi sulle

moto di cilindrata più grande e lentamente

avevano cominciato a vendere le prime. Ma

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g

Molto giapponese. Kihachiro Kawashima

e due suoi colleghi hanno aperto una

concessionaria della Honda a Los Angeles

nel 1959 col vago obiettivo di catturare il 10%del mercato delle moto di importazione.

Ma le previsioni erano fosche.

Le autorità giapponesi avevano assegnato

alla Honda solo un quarto della quota di

esportazione che aveva richiesto e l'azienda

insisteva sul fatto che la maggior parte

veniva assorbita dalle scorte. Al suo arrivoalla fine dell'estate, Kawashima aveva

scoperto che la stagione delle vendite di

moto negli USA tradizionalmente andava da

aprile ad agosto. Essi avevano diviso la loro

limitata quota di esportazione in lotti uguali

p

poi c'era stato il crollo, quando iniziarono

a diffondersi voci su perdite del serbatoio

e problemi alla frizione.

Non avevano neanche tentato di venderei Super Cub per timore di danneggiare

l'immagine della Honda in un mercato

popolato da machos, ma adesso non avevano

altra scelta. La sorpresa è stata che i magazzini

di articoli sportivi erano intenzionati a venderli,

e ci sono riusciti in quantità rilevanti. L'azienda

era salva. Successivamente la campagna«You Meetthe Nicest People on a Honda»

ha aperto un segmento completamente nuovo

nel mercato delle giacche di pelle. Nel 1964

quasi una moto su due di tutte quelle vendute

negli Stati Uniti era una Honda.

mo d e l l o s t a t u n i t e n s e , l ' a v e v a n o a s s o r b i t o d a i g u r u a me r i c a n i d e l l a q u a l i t à

(profe t i inasco l ta t i in pa t r ia ) , ada t ta to e mig l iora to f ino a sv i luppare un propr io

mo d e l l o d i p r o d u z i o n e . E a n c o r a d i s t a n z i a n o n e t t a me n t e i l r e s t o d e l mo n d o p e r

q u a n t o r i g u a r d a l a r a p i d i t à d i p r o g e t t a z i o n e e p r o d u z i o n e . I l o r o me t o d i s o n o

ar r iva t i in Occ id en te negl i ann i ' 80, in tu t t o o in par te , ne l la form a de l la ges t ione

del la qual i tà totale (s i veda p. 184), del Six Sigma (si veda p. 156) e del la pro-

duzione snel la (s i veda p. 112). Fuori del loro ambiente naturale essi hanno avuto

r i su l ta t i a l te rn i in te rmin i d i successo e dura ta . Quando hanno fa l l i to , l a causa è

1 1965 1981 1986one della Strategia Il management

Six Sigmatè totale aziendale giapponese

 

da imputarsi in gran parte al fatto che nel pacchetto acquistato dalle aziendemancavano due elementi chiave - lo stile giapponese di management e l'atteg-

giam ento d ei singoli nei con front i dell'organizzazione.

Niente conflitti Piccolo com'è, il Giappone conta ben 127 milioni di abi-tanti che, negli ultimi due millenni, hanno dovuto coltivare l'etica del wa -

arm on ia - sem p licemen te p er no n farsi a pezzi gli u ni con gli altri. Il con flittoaperto, pertanto, non è socialmente accettabile. Per ragioni

stor iche la società occiden tale con ta su diverse istituzioni - lechiese, lo stato, il mon d o del lavor o - per sodd isfare le d ifferentiesigenze. La storia giapp onese ha pr od otto u na società ch e ten dea rivolgersi all'impresa per soddisfare la totalità dei suoi bisogni

 € II p r im o r e q u i s i t od i u n d i r i g e n t e

g i a p p o n e s e èl ' t t i d t

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a rivolgersi all impresa per soddisfare la totalità dei suoi bisogni.E risapu to che le grandi aziend e giapponesi garan tiscono il lavoroa vita, anche se questo è un aspetto che sta subendo una lentaerosione dopo il «decennio perduto» delle crisi economiche.

Anche in questa situazione, tuttavia, esse spendono note-volm en te di più degli occiden tali in benefìci aziend ali, ad esempio

nel campo sanitario e in quello ricreativo. I manager che senza eccezione devonopassare un an no o d ue in fabbrica si iden tificano con i loro subordinati e si senton oresponsabili del loro benessere complessivo. Gli operai non partecipano al lavorosolo con le braccia e i muscoli, ma anche con la loro intelligenza, il loro atteg-giam ento e i loro sent imen ti. Si richiede loro di fornire idee, analizzare i problemi

e suggerire soluzioni, e son o addestrati in m od o ta le da disporre dei mezzi per farlo.

Le imprese occidentali stanno recuperando terreno su questo piano, ma le dif-ferenze n on si ferman o qui. In Europa e negli Stati U n iti il man agemen t basatosul coman d o e il cont rollo p uò essersi amm orbid ito, ma in realtà non è scomp arsoin molte aziende. Significativamente, in giapponese non esiste un'espressioneequ ivalen te a «pr end ere decision i», e la leadership , essi d icono , è come l'aria -

necessaria, ma invisibile. Le decisioni nascono tradizionalmente nel mezzo escorrono verso l 'alto, raccogliendo consenso lungo il cammino di modo chequando arrivano al vertice il più delle volte è solo per essere approvate. Ciòrichiede tempo, ma significa che tutti sono sinceramente impegnati ad agire inuna certa direzione. Non c'è posto per sabotaggi sotto banco.

L'applicazione rivela altre differenze. Se un'impresa occidentale ha preso unadecisione sgradita, come la fusione di due settori, prima ne sarà dato l'annuncioe poi cominceranno i mugugni. Un manager giapponese suggerirebbe qualchepiccolo cambiamento nell'ambiente di lavoro, poi un altro, e alla fine se ci fosseun an nu ncio n on farebbe che conferm are semp licemen te ciò che è già successo.Il cambiamento graduale viene sempre preferito a un assalto frontale. Questomodo di pensare si riflette nell'atteggiamento dei top manager verso la strategia.

l ' a c c e t t a z i o n e d a p a r t ede l g ruppo . 9

Richard Pascale

e Anthony Athos, issi

 

Anche se i piani strategici quinquennali non sono più in uso, la strategia occi-dentale conserva il senso di un impegno verso un grande progetto. I giapponesipianificano in anticipo e hanno una visione delle cose, ma non amano sentirsilegati a un'unica strategia per paura che impedisca loro di accorgersi di unmutamento delle circostanze (si veda il riquadro a p. 101). Essi preferiscono ilmeikiki, la «previsione con discernimento».

Imparare dall'America La cosa più scioccan te ^ P o t r e m m o p e n s a r e

per i cap it alis ti occiden t ali è la r ela tiva ind ifferenza per C h e , a p p r e z z a n d ogli u t ili: in G iappone le per sone e la socie tà che l'a zienda i l l a v o r o d i S f f l i a d r a ,rap p resen ta son o p iù im p or ta nti d i q uesti. N eg li u ltim i l ' a r m o n i a e ì r a p p o r t it em p i l'este sa co ng iu n tu r a e co n om i ca sfa vor ev ole e le u r n a n ì | C Ì a D D O n e s i

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t em p i, l este sa co ng iu n tu r a e co n om i ca sfa vor ev ole e le u r n a n ì | C Ì a D D O n e s iproteste degli investitori esteri ha nn o con vin to alcune . ' . ,. . a i n o n s i a n o i n c r r a d oaziende a ripensare il proprio atteggiamento. Alcune B _

hann o svel ti to il processo decisionale per essere più fles- ^ g i o c a r e d l l T O . ysibili e hanno cominciato a reclutare più lavoratori tem- RIclUHMl P&SC&lB

poranei e part-time, una pratica prima assente. Hanno g AlItllOliy AtflOS, 1981

anche tagliato i costi ma, come ci si poteva aspettare, lohanno fatto ottenendo l 'appoggio del personale anziché facendone a meno. Icritici giapponesi hanno invitato le imprese del proprio paese a imparare dall'A-mer ica e ora, inv ece di libri sul mira colo giapp onese, abbiam o libri sul m iracolo

della Silicon Valley. Tuttavia, non c'è molto nelle strategie californiane che igiapponesi no n sapp iano già, e le lezioni ch e esse possono fornire sul «valore pergli azionisti» possono risultare sgradite.

La recente stagnazione economica del Giappone è forse imputabile alle pratichee alle strutture finanziarie del paese, no n alle sue pra tiche di gestione indu striale.Le imprese hanno bisogno di maggiore flessibilità per ottenere il massimobeneficio dai mercati attualmente in rapido rialzo e potrebbero certamente

adeguare il tratta men to della manodopera n on giapponese man man o che si tra-sferiscono all'estero. Ma nei segmenti tradizionali dell'automobile, dell'ottica,dei beni di consumo elettronici e delle macchine utensili restano dei concorrentiformidab ili. E la Toyota ce lo dim ostrerà qu and o, come è prossima a fare, sottrarràla corona di maggior costruttore au tomob ilistico d el mon do alla Gener al Motors.

idea ch iaveTenere con to delle personee adottare u n a strategia aperta

 

2 6  L'economìadella conoscenza

Come al soli to Peter D rucker se n e è accort o prim a d ichiunque altro e alla fine degli anni '60 ha coniato il termine«economia della conoscenza», predicendo che la diffusionedell ' informazione avrebbe provocato grandi cambiamenti

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dell informazione avrebbe provocato grandi cambiamentinella società. Qu ello ch e il m an agem en t d oveva fare, diceva,era sosten ere la p rodu tt ività del «lavoro ba sato

sulla con oscenz a» e d ei «lavorat ori d ella con oscenz a».

Studiosi e statistici - che vorrebbero misurarla - devono ancora mettersi

d'accordo su cosa sia esattamente l'economia della conoscenza. Alcuni dicono

si tratti di un gruppo specifico di industrie, come quelle della fabbricazione di

prodotti high-tech, quelle informatiche e quelle delle telecomunicazioni. Altri

sostengono che la conoscenza permea tutte le industrie. L'Organizzazione per la

Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) sceglie una via di mezzo e ne

dà una definizione che comprende la fabbricazione di prodotti ad alta e media

tecnologia, le indu strie che forn iscono servizi ad alto con ten u to d i conoscenza,

come la finanza, le assicurazioni e le telecomunicazioni, seguite dai servizi alle

imprese, dall'istruzione e dalla sanità.

Il profano potrebbe trovare una definizione peggiore di quella data dalla Work

Found ation, u na ON G b ritan nica: «L'economia della conoscenza è quello che siottiene mettendo insieme computer potenti e cervelli istruiti per soddisfare una

domanda crescente di beni e servizi basati sulla conoscenza». Comunque la si

definisca, il mondo sviluppato sta chiaramente diventando una cosa del genere.

Gli economisti, che avevano imparato che il lavoro e il capitale sono i principali

fattori di produzione, vi diranno che la conoscenza sta sostituendo il lavoro in

quanto principale attività creatrice di ricchezza. In quanto tale, essa presenta

linea del tempo1450Innovazione

1911Empowerment

 

l'attraente vantaggio di non perdere di valore con l'uso. Infatti,condividerla p uò accrescerne il valore.

Quasi tutte le economie dell 'OCSE vedono aumentare la quota

di reddito nazionale prodotta da industrie basate sulla conoscenza

e al tempo stesso la proporzione di lavoratori impiegati in attività

basate sulla conoscenza e in aziende che utilizzano la tecnologia

per innovare. A seconda della definizione che se ne dà, in tali

paesi l'economia della conoscenza rappresenta già oltre la metà

del reddito e dell'occupazione.

La conoscenza è sempre stata una forza economica, ma il suo

è lifi d ll l i d ll i i

4 Noi . . . r i ten iamoche l ' e conomiade l l a conoscenzas i a t r a i n a t ap r i n c i p a l m e n t ed a l p r o g r e s s o

tecnolog icoe d a l c r e sc e n t eb e n e s s e r e d e l p a e s e ,ch e f a a u m e n t a r e

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potere è stato am plificato d alle tecnologie d ella comu nicazione e

dell'informazione (TCI) che possono modellarla, estrapolarla e

trasmetterla con grande rapidità. Le imprese basate sulla cono-

scenza, in senso stretto, combinano le nuove TCI con scienza etecnologia nuove per creare nuovi prodotti destinati a consu-

matori più ricchi e istruiti.

Valore aggiu nto La conoscen za - il tip o giusto di conoscen za - aggiunge

valore. Può portare a decisioni più app ropriate, favorire la comp rensione e l'in-

novazione, e aumentare la produttività. Nel campo dell'innovazione può creare

un van taggio com p etitivo in vari mod i - la diffusione in rete di conoscenze puòcontribu ire ad accelerare e a migliorare lo svilup po di nu ovi pr od otti, ad esempio.

Condividere le migliori pratiche a livello aziendale può ridurre i costi e

aum entare la qualità. Quin d i in u n'econ om ia in fase di globalizzazione e sempre

più concorrenziale, con know-how frammentati e diffusi, vi è una crescente

necessità di amministrare e gestire la risorsa più sfuggente. Anche nelle aziende

che non si considerano basate sulla conoscenza in modo particolarmente intenso,

la conoscenza sta diventando un aspetto strategico e ci si domanda comeacquisirla, svilup parla, cond ivider la e conservar la. Il risultato è la discip lina rela-

tivamente nuova della gestione della conoscenza (GC). Diverse aziende stanno

nominando responsabili della conoscenza, soprattutto negli Stati Uniti, dove a

partire dal 1996 ogni ente govern ativo ha dov uto nom inare un responsabile del-

l'informazione (che svolge un ruolo simile). La gestione della conoscenza deve

operare un'accurata distinzione tra conoscenza e informazione, mettendo in

1968 1969 2004Adhocrazia Leconomia Web 2.0

della conoscenza

ch e f a a u m e n t a r el a d o m a n d a d is e r v i z i b a s a t isu l l a con oscen za . Jlan Brinkley, zooe

 

Parliamo tacitamenteLa consulenza sul management deve molta

della sua influenza a un gergo suggestivo.

Una nuova espressione entrata nel vocabolario

è «interazioni tacite». È il termine usato

da McKinsey per le attività lavorative piùcomplesse, quelle che richiedono

una «conoscenza tacita», sotto forma

di capacità di analisi, di giudizio e di risoluzione

dei problemi

Egli osserva che il divario tra le prestazioni

dei migliori e dei peggiori produttori industriali

si è ridotto sostanzialmente. Altrettanto è

accaduto per le industrie basate sulle

transazioni. Ma quando si tratta di attivitàbasate su conoscenze tacite, come le case

editrici, la sanità e il software, il divario resta

ampio, e ciò lascia pensare che esista la

possibilità di ulteriori incrementi di produttività

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dei problemi.

Il numero di coloro che sono impegnati

in interazioni tacite nelle imprese è in costante

aumento. Si tratta dei dipendenti con maggiortalento e più remunerati. Ma quanto sono

produttivi? McKinsey osserva che

il miglioramento dell'efficienza e della

produttività è lungi dall'aver esaurito il suo

compito nel campo della produzione e,

conseguentemente, in quelli che egli chiama

i settori basati sulle transazioni come quelli dellavendita al dettaglio e delle compagnie aeree.

possibilità di ulteriori incrementi di produttività.

Tuttavia, gli strumenti tradizionali della

standardizzazione e dell'automaz ione non

funzionano con i lavoratori taciti. La tecnologia,secondo il consulente, deve essere usata per

accrescere la collaborazione (ad esempio con

le videoconferenze e lo scambio istantaneo di

messaggi) e il management deve sostenere

il cambiamento organizzativo, l'apprendimento

e l'innovazione. Questa, conclude McKinsey,

potrebbe essere la più grande opportunitàdell'era moderna. Si stava già leccando i baffi?

c h i a r o c h e n o n t u t t e l e i n f o r ma z i o n i r a p p r e s e n t a n o c o n o s c e n z e , e n o n t u t t e l e

c o n o s c e n z e s o n o u t i li . A l c u n i c o n s u l e n t i d i s t i n g u o n o t r a c o n o s c e n z a « e sp l i c it a »

e « tac i ta» . Quel la esp l ic i ta s i t rova ne i da ta base e ne i case l la r i - può essere

r a c c o l t a , d o c u m e n t a t a e i mma g a z z i n a t a . Q u e l l a t a c i t a è n e l l a t e s t a d e l l e p e r s o n ee comprende e lement i in tangib i l i come l ' e sper ienza , i l g iud iz io e l ' in tu iz ione .

G l i i n d i v i d u i s o n o l ' e l e m e n t o c h i a v e d e l l a G C - l a c r e a z i o n e d i c o n o s c e n z a

d ipen d e d a l l ' in te r az ion e um an a - e i p r oge t t i d i G C basa t i su l le tecn olog ie de l -

l ' i n fo r ma z i o n e c o m e f a t t o r e t r a i n a n t e t e n d o n o a e s se r e u n f a l l i me n t o .

L a c o n o s c e n z a u t i l e s i t r o v a i n d i v e r s e p a r t i d e l l ' a z i e n d a . C ' è l a c o n o s c e n z a

essenz ia le de i c l ien t i , de i p rocess i e de i p rodot t i e c ' è que l la che a t t i ene a i

r a p p o r t i e a l l a me mo r i a o r g a n i z z a t i v a . C ' è a n c h e l a c r e a z i o n e d i n u o v a c o n o -

scenza . La G C usa var i me tod i per crear e , o rganizzare , cond iv id ere e u t i li zzare

tu t to c iò , com pr es i l a form azion e , l ' in t ra ne t az iend a le , i s i s temi d i a l la rm e e g l i

s t r u me n t i p e r l a c r e a t i v i t à .

 

L'altra faccia della medaglia è che se la conoscenza è patrimoniodelle persone, può anch e scomp arire con esse - e succede in con -

tinuazione. I dipendenti di talento possono essere attirati da un

concorrente; il personale anziano va in pensione. In un mondo in

cui si cerca di ridu rre i costi, i d ipen denti ven gon o messi alla por ta.

Perciò una delle priorità della GC è estrarre la conoscenza da

quelle persone e conservarla in qualche modo all'interno dell'a-

zienda. Uno dei problemi della GC è come far fluire liberamentela conoscenza, controllandola e mettendola al sicuro al tempo

stesso. L'economia della conoscenza e le sue componenti mobili

riceveranno in futuro maggiore attenzione da parte dell'industria

dell'ottimizzazione aziendale Per gran parte della seconda metà

£ I l concet tod ì e c o n o m ì a t r a i n a t ada l l a conoscenzan on s i r i f e r i s ce so loa l l e i n d u s t r i eh igh - tech . Essod e s c r i v e u n i n s i e m ed i n u ove fon t id i v a n t a g g i ocompe t i t ivo che

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dell ottimizzazione aziendale. Per gran parte della seconda metà

del XX secolo il management si è concentrato principalmente su

come migliorare la produzione materiale. I manager e i loro con-

sulenti han no lavorato sodo e con inventiva per riuscire a produrrecon m aggiore efficienza, e sono stati talmen te bravi ch e no n resta

mo lto altro da fare. Dopo ta nt i an ni di esperienza e adozione d elle

migliori pratiche, le possibilità di continuare ad ottenere un van-

taggio competitivo attraverso l'efficienza della produzione sono

virtualmente inesistenti.

compe t i t ivo ches i p o s so n o a p p l i ca r e

a t u t t i i s e t t o r i ,a t u t t e l e i m p r e s ee a tu t t e l e r eg ion idel mondo. 5Charles Leadbeater, issa

Più efficienza La fase successiva è stata qu ella di cercare una maggiore efficien-za nei servizi e nei processi aziendali. Ciò ha portato a tecniche come la riproget-

tazione dei processi aziendali (si veda p. 24) e la pianificazione delle risorse

d'impresa, con l'aiuto di massicce dosi di tecnologia d ell'informazione. A n ch e qui

la diffusione delle migliori p ratiche h a rid otto qu alsiasi possibilità di otten ere in fu-

turo un vantaggio comp etitivo. Così l'atten zione si è infine rivolta alla conoscenza.

La società di consulenza McKinsey &. Co ha operato una distinzione tra le tra-

sformazioni (realizzare o ingrandire cose) e le transazioni (servizi, scambi com-merciali, la maggior parte del lavoro dedicato alla conoscenza). I loro consulenti

sudd ividono p oi queste ultime in transazioni di routine e interazioni tacite, ch e

dipendono in grandissima misura dal giudizio e dal contesto (si veda il riquadro

a fianco). Essi ritengono che poche imprese abbiano fatto molto finora per dif-

ferenziarsi aumentando la produttività di queste interazioni tacite.

idea chiaveI cervelli con tan o di p iù

 

2 7 La leadershipNelle aziend e ci sono m olti elemen ti intangibili , sop ratt u ttoal di fuori del sett ore d ella prod uzion e, m a n ienteè altrettanto intangibile della leadership. In cosa consistel i d l i i fi ll ' i f h i l d

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la m agia d el «seguitem i fino all ' inferno» ch e spian a la stra d ae galvanizza le tru p p e? I consu lenti e gli stu diosi vorrebb ero

tan to riu scire a isolarla, distillarla e vend erla in b ottiglia,m a finora nessu n o c'è an cora riu scito. Q u esto non li h adissuasi dal tentare e alcuni ritengono che quelladella lead ersh ip sia la p rossim a grand e frontiera degli studisul management .

£ I l ca ra t t e r e èl a ch iave de l l a

l e a d e r sh i p . JWarren 6. Bennis, issa

Il prezzo della leadership, se esiste un simile mercato, è fluttuante. Alla fine degliann i '90 gli amministratori delegati più am mirati avevan o raggiunto lo status delle

rockstar e il corso delle azioni d elle loro aziende, e i loro compen si, eran olievitati di conseguenza. An ch e il mer cato era in crescita - eran o i lont an iann i '90 - ma una ricerca recente che abbr acciava un p eriodo di dieci anniha rivelato che le azioni delle imp rese che si riten eva avessero degli ottim idirigenti sono salite dodici volte più rapidamente di quelle delle aziendeche ne erano ritenute prive. Poi i mercati azionari sono crollati, seguiti

dallo stordente e vergognoso fallimento della Enron e della WorldCom, e daiprocessi e dalle condanne inflitte ai loro celebri dirigenti. L'aria è cambiata. Perso-nalità dal profilo altrettan to alto (ma più oneste) ha nn o lasciato imprese come WaltDisney, Hewlett-Packard e AIG, e sono stati sostituiti da personaggi più tranquillie dimessi. Jack Welch della Gen era l Electric, il Mick Jagger degli AD, si era ritiratopoco temo prima, lasciando un vuoto che gli investitori e i media devono ancorariemp ire. We lch , tra l'altro, diceva di avere solo tre comp iti - trovare le persone

giuste, allocare le risorse e diffondere le idee rapidamente. Chester Barnard, in unoscritto del 1938, diceva che il compito del leader consisteva nel gestire ciò che havalore nell'aziend a e nel suscitare l'imp egno dei d ipend enti.

linea del tempo500 a.C. 1897Guerra e strategia Fusioni e acquisizioni

 

Esem p i di lead ersh ipIl consulente inglese Kieran Patel riassume

gli stili di leadership in queste tipologie

facilmente identificabili:

Il missionario - guidato da scopi elevati

(il modo giusto di fare affari, o migliorare

il mondo). È un leader che predica e ispira

fiducia, e ci si aspetta che tutti quelli

che entrano nell'azienda si convertano.

cambia il gioco.Conta su un piccolo gruppo

di seguaci che lo considerano un salvatore.

Il banchiere d'investimento - cacciatore

di affari, che opera attraverso acquisizioni

e dism issi oni È un manager con un proprio

stile che gestisce un portafoglio - di attività,

competenze, rapporti, o prodotti e servizi.

Il generale - vuole controllare il gioco

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Il capitalista di rischio - cerca i vincenti

nel nuovo ambiente. Intraprendente,

in cerca di innovazione e favorevole a

strategie volte alle acquisizioni, il capitalista

di rischio spesso crede che «piccolo è bello»

e crea imprese indipendenti all'interno

dell'organizzazione.

Il rivoluzionario - cerca di infrangere le

regole, distrugge il modello esistente e

e considera l'attività economica come la

conquista di un territorio nemico per mezzo

di tattica e strategia superiori. Un generale

attribuisce enorme importanza a una

pianificazione dettagliata.

Il presidente - gestisce il gioco, da politico

e ambasciatore, lontano dalla prima linea.

Schiere di consulenti collegano e isolano

un presidente dal resto dell'azienda.

Che si veda o meno i l r i tomo del l 'AD in veste d 'eroe, l ' importanza di un leader che

sappia decidere e motivare è fuori discussione. Dato che i mercat i e i consumatori

cambiano e che le az iende s i adeguano d i conseguenza , l e ab i l i t à d i un buon

di r igen te devono a lo ro vo l ta cambiare . S tor icamente le az iende sono s ta te d i re t te

secondo schemi mi l i ta r i , con i l l eader a de t ta re ord in i come un genera le . Nel -l ' a t tua le economia de l la conoscenza , que l l i che tu t t i ch iamano « lavora tor i de l la

conoscenza» non sono part icolarmente motivat i dal sent irs i s t r i l lare ordini . Warren

Bennis r i t i ene che in fu turo i l van taggio compet i t ivo d ipenderà da l la cos t ruz ione

di un 'a rch i te t tu ra soc ia le che gener i cap i ta le in te l le t tua le : «E la leadersh ip è la

ch iav e per real izzare app ieno le po ten z ia l i t à de l cap i ta le in te l le t tu a le» .

1911 1916 1938 1960 1990Empowerment Diversificazione Leadership In quale industria Organizzazione basata

operate? sull'apprendimento

 

Cosa rende tale un leader? Bennis, uno psicologo industriale, indica

sette attributi essenziali della leadership: competenza tecnica, capacità intel-

lettuale, carriera, abilità sociali, fiuto (nel riconoscere il talento), capacità di

giudizio e carattere. Non ne troverete molti che manchino delle prime tre. Ma

è la padronanza delle altre abilità, più delicate, che può contraddistinguere i

grandi leader del futuro. Un leader non è un manager, aggiunge Bennis che in

un passaggio famoso ha scritto: «I manager fan no le cose nel mod o giusto. I leader

fanno le cose giuste». Pur non credendo in un unico modello di leadership,

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Bennis ritiene che i leader debbano essere capaci di soddisfare le aspettative dei

loro dipendenti secondo lo schema seguente:

Le persone vogliono 1 leader offrono Per aiutare a creare

Significato

e indicazioni

Scopi e sensodi fermezza

Fini e obiettivi

Fiducia Rapporti autentici Affidabilità e coerenza

Speranzae ottimismo Solidità(fiducia nel fatto che le

cose funzioneranno)

Energia e impegno

Risultati Inclinazione all'azionee al rìschio, curiosità ecoraggio

Fiducia e creatività

«Dei leader efficaci infondono passione, capacità di previsione e significato nel

processo di definizione degli scopi dell'organizzazione», aggiunge Bennis,

afferman do ch e tu tti i leader efficaci si app assionano a ciò che fann o. La capacità

di previsione è necessaria p erché le persone v ogliono sapere cosa accadr à d opo

il prossimo av ven imen to. E gli attua li lavoratori d ella conoscenza, ch e p ossono

facilmente trovare lavoro altrove, vogliono avere la sensazione di fare qualcosa

che h a un senso - vogliono sapere ch e tu tto qu esto significa q ualcosa.

Agire con delicatezza «Autenticità» è uno dei nuovi termini ricorrenti

negli studi sulla leadership. Si riassume nel fatto che devi essere te stesso se vuoi ch e

la gente si fidi di te. Se le persone hanno l'impressione che tu sia guardingo o

reticente - non au tentico - si chiederann o cosa stai davvero pensando. Saran no a

disagio, meno p ropense a darsi interam ente. Au ten ticità vu ol dire che essere aperti

e vu lnerabili non è un segno di debolezza. Si è verificato un improvviso sviluppo

della «formazione all'au ten ticità», an che se imparare ad essere au tent ici può sem-brare una contraddizione in termini. I leader che alla fine non ottengono risultati

 

la leadership I 1 1 1

perdono la fiducia dei sottoposti. In tutto il mondo, secondo Bennis, i

leader che puntano ai risultati sono come i campioni di hockey su

ghiaccio - continuano a centrare il colpo. E cita Wayne Gretzky,

leggenda canadese di questo sport, quand o dice che «uno sbaglia il 100%

dei colpi che non centra». Ma essi creano anche un clima di tolleranzaverso i colpi sbagliati.

Al pari dell 'autenticità, 1'«intelligenza emotiva» è un altro nuovo

con cett o associato alla leadersh ip. La sua po po larità risale al libro così

intitolato scritto nel 1995 da Daniel Goleman, che articolava il

 € U n a v a l i d at e o r i a d e l l al e a d e r s h i p s a r à

p r o b a b i l m e n t ei n c e n t r a t a s u ig rupp i . 5Owain Franks eRichard Rawlinson 2008

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intitolato scritto nel 1995 da Daniel Goleman, che articolava il

concetto in quattro elementi. I primi due erano di natura personale e

gli altri di natu ra sociale: consapevolezza di sé, aut ocon tro llo (la cap acità di con -

trollare le proprie emozioni), senso della socialità (empatia e considerazione), egestione delle relazioni.

Stili diversi Sono state proposte diverse classificazioni degli stili di lea-

dership, alcun e più dettag liate di altre. Patricia Pitcher, u na stud iosa di Mon trea l,

ha individuato tre tipi, ognuno con un temp eramento diverso:

• gli artisti - imm aginativi, ispiratori, lung imiranti, intrap rend enti, em otivi;

• gli artigian i - costa nt i, ragionev oli, sensibili, pr eved ibili, d egni di fid ucia;• i tecnocrat i - cerebrali, atten ti al par ticolare, intransigen ti, caparbi.

Ognuno è adatto a soddisfare domande diverse, sostiene la studiosa. Se il vostro

obiettivo è lo svilup po, pren dete un artista; se volete consolidare la vostra posizione,

trovatevi un artigiano; e se dovete portare a termine un lavoro sgradevole, come

operare un taglio delle spese, affidatevi a un tecnocrate, lo farà come si deve.

Alcuni aspettano ancora l'emergere di una teoria dominante della leadership.Owain Franks e Richard Rawlinson, consulenti della Booz Alien Hamilton,

rilevano che la leadership in media non è migliore di quanto fosse in passato,

nonostante gli evidenti progressi a livello di marketing, produzione, finanza e

strategia. L'assenza di un a teoria com u nem ent e a ccettata sulla leadership - che

si sia dimostrata valida in term ini di previsione - secondo loro è sintom o e al

tempo stesso causa di tale fallimento. Essi ritengono tuttavia che i tempi siano

maturi perché ne emerga una. E se avvenisse? «Sarebbe lo sviluppo più

importante nella gestione aziendale dei prossimi venti anni».

Richard Rawlinson, 2008

idea ch iave

Cercare di imbottigliare l'essenza 

28 La produzionesnella

Può d arsi che s i presen t i con un a denomin azione a lqu antoi l d i ll i l

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prosaica, ma la «produzione snella» suscita uno zelodecisamente paragonabile al fervore religioso.

G iapp onese di n ascita e an cor più p er natu ra, è comp lessa,imp lacabilm ente esigen te e, al tem p o stesso, di u n a elegan tesemp licità. Non è pe r nulla sem plice d a app licare, m asi rid u ce a un prin cip io im p erioso - «elimin are gli sprechi».

Il termine «snella», usato dai suoi sostenitori, sta a indicare rapidità ed efficienza,

anche se essi direbbero che le cose sono molto più complicate di così. E nata nel-

l 'ambito dell 'industria automobilistica giapponese negli anni '30-'40, ma

la sua riconosciuta influenza risale almeno ai tempi di Henry Ford. È stato

Ford il primo a integrare il processo prod uttivo, a usare comp onen ti inter-

cambiabili, lavorazioni standardizzate e la linea di produzione mobile.

Alcu n i sostengo no ch e sia stato il prim o a pr aticare la produ zione snella.

Un aspetto che a Ford non piaceva era la varietà, perché avrebbe ral-len ta to il suo pr ocesso. Ol tr e al colore - «po tete av ern e una di qualsiasi

colore , pu rché sia ner o» - ogn i elem en to era di un solo tipo, e tutti gli

chàssis del Modello T sono rimasti gli stessi finché la fabbrica non ha

chiuso. In seguito le case automobilistiche hanno offerto molti modelli diversi, ma

il prezzo che hanno dovuto pagare è stato l 'abbandono della linea di produzione

continua, con il conseguente aumento dei tempi di lavorazione e delle scorte.

In Giappone invece, alla Toyota Motor Company, Taiichi Ohno e il suo collega,

l'ingegner Shigeo Shingo, avevano pensato di sfruttare le virtù sia della varietà del

4 E l i m i n a t ele r ag i on i . J

Taiichi Ohno(replicando a chi gli

elencava le ragioni per

cui non si possono

ridurre le scorte a zero)

linea del tempo1911 anni '40Organizzazione scientifica del lavoro Produzione snella

 

la produzione snella I 1 1 3

prod otto che della produzione cont inu a, utilizzando le tecn iche di

Ford, ma introducendo alcune innovazioni. Il risultato è stato

quello che è poi stato chiamato il sistema di produzione Toyota,

che comprendeva diverse idee nuove.

Invece degli enormi macchinari utilizzati a Detroit, Ohno eShingo hanno ridimensionato i loro, in modo conforme ai vo-

lumi realmente necessari. Essi hanno introdotto dei metodi

molto veloci - ora noti come SMED («single-minute exchange

of dies», camb io stamp i in un m inu to) - in modo che ogni m ac-

( La produzioneh a t r a s f o r m a t ola f abb r icaz ione .O ra è t em p o d ia p p l i c a r e i l p e n s i e r osn e l l o a i p r o ce s s id i con su m o. JJames WOmack e

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chinario poteva produrre lotti molto piccoli di componenti per

provvedere ai vari modelli della gamma. Inoltre sono riusciti a

fare in modo che ogni segmento del processo informasse il precedente delle suenecessità di materiali (utilizzando il sistema di schede Kanban), riducendo le

scorte allo stret to in d ispensabile. Era la prod uzione just in time (JIT) i cui pr incìpi

fond am entali er an o: bassi costi, alta qu alità, ricchezza della varietà e temp i rapidi

di lavorazione per tener conto della volubilità dei gusti del consumatore.

Qualcosa di diverso Altre imprese giapponesi hanno adottato alcune

delle tecniche Toyota ma è stato solo negli anni '70 che il resto del mondo, inparticolare gli Stati U n iti, si è accorto che i costruttori giapp onesi stavan o facendo

qualcosa di mo lto diverso. È stato allora ch e i giapponesi han no iniziato a compiere

consistenti incursioni nel segmento term inale del mercato autom obilistico ame-

ricano prima di espandersi in altri settori, come quello dell'elettronica.

I costruttori americani hanno allora iniziato a visitare il Giappone per vedere

cosa stava accadendo e ne sono tornati con quella strana e accattivante idea delle

schede Kanban. Ma non sono riusciti a comprendere del tutto la cosa fino a

quand o nel 1981 N orm an Bodek, un imprend itore americano, non si è imb attuto

in alcun i libri di Shin go sul sistema Toyota. Li ha fatti tradurre, ha invita to Shing o

a tenere conferenze negli Stati Uniti e ha avviato la prima agenzia di consulenza

sulla produzione snella. Il termine «snella» è entrato nel vocabolario solo nel

1990 con la pubblicazione di The Machine that Changed the World, un libro di

James Womack, Daniel Jones e Daniel Roos che confrontava le industrie auto-mobilistiche americana, europea e giapponese. Womack, all'epoca ricercatore

James WOmack e

Daniel Jones, 2006

1950 1951 1986Gestione della catena Gestione della qualità totale Six Sigma

dell'offerta

 

Il ge rgo della p rodu zione snellaAutonomazione L'automazione con un tocco umano; processi semiautomatici in

cui l'operatore e la macchina lavorano insiemeProduzione bilanciata Quando tutte le unità producono nello stesso tempo di ciclo

Error-proofing Individuare la causa di un difetto in un prodottoo in un processo (a prova di errore)

Kaizen Miglioramento continuo

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Kaizen Miglioramento continuo

Kanban Effettuare lo stoccaggio mediante contenitori, schede o segnali,

in modo da rispondere a esigenze reali e non a delle previsioniJust in time Fabbricare al momento richiesto i componenti richiesti

dalle unità produttive

Mistake-proofing Qualsiasi cambiamento in un'operazione cheaiuti l'operatore a ridurre o eliminare gli errori (a prova di errore)

Muda Spreco

Lotto unitariodi produzione

Produrre un'unità alla volta invece di grandi lotti

Poka-Yoke Tecniche a prova di errore

Takt time Il ritmo di produzione necessario per soddisfarela domanda del cliente

Value stream mapping Determinare il valore aggiunto a un prodotto nel corsodel processo di fabbricazione (mappatura del flusso

di materiali e informazioni)

presso il MIT, ha poi fond ato l'organizzazione no -profit Lean Enterp rise Institut e

per diffond ere il verbo. E il verb o si è diffuso, arrivando ad aziende com e la Boeing,

la Porsche e la Teseo. La produzione snella non viene presentata come una

soluzione sbrigativa - gli adepti la descrivono come un viaggio verso una desti-

nazione che non si può mai raggiungere davvero. E non ci si può arrivare da soliperché se uno vuole essere snello devono esserlo anche i suoi fornitori, e la cosa

non funziona se la catena dell'offerta non garantisce qualità e JIT.

La produzione snella inizia con una visita in fabbrica, per osservare con occhio«snello» e capire come le diverse parti influiscono le une sulle altre, alla ricerca

di sprechi (muda). Gli sprechi si presentano in varie forme. Produrre più della

domanda o prima del necessario è uno spreco. E lo sono anche le scorte e

 

( L a p r o d u z i o n e sn e l l a m a n t i e n e l ap r o m e s s a d i r i d u r r e o e l i m i n a r e g l i sp r e c h id i t e m p o , so ld i e d e n e r g i a n e l l a s a n i t à . J

James Womack, zoos

qualsiasi cosa che non aggiunga valore al prodotto. Attendere che le macchinesiano in grado di effettuare la lavorazione e i trasporti superflui sono sprechi eand rebbero elimin ati. Realizzare prod otti difettosi è un o spreco pu ro e semp lice- inv ece di ind ividu are e riparare i d ifetti, bisogn a prev enir li. Se il per son ale

non viene addestrato e non gli viene concessa una certa autonomia si sprecanoil loro tempo e le loro abilità. Se si offre ai client i un a scarsa qualità, con elem ent iche no n aggiungono v alore al pr odott o, si sprecano i loro soldi e il loro tem po .

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gg g p , p p

La produ zione snella si basa su molti elemen ti tra cui JIT, SMED, Kanban , la man u-

tenzione della produttività totale, le 5 «S» (ordine e pulizia) e Kaizen (miglio-ramento continuo). I professionisti della produzione snella mettono in guardiacontro il fai-da-te. Non si può, affermano, applicare il Kaizen a proprio piacimento.Qu ello che bisogna fare è seguire i cinqu e prin cìpi d ella prod uzione snella:

1. Indicare il valore - nell'indicare e creare il valore, concentrarsi inflessi-bilmente sul cliente (non sugli azionisti, sugli alti dirigenti, sull'opportunitàpolitica o qualsiasi altra cosa).

2. Ind ividu are il flusso del valore - tracciare una map pa di com e il valore vien eaggiunto al prodotto, attraverso tutte le azioni richieste per produrlo.

3. Produr re un f lusso - solo dopo i primi due passaggi è possibile delineareprocessi che scorrano ininterrottamente.

4. Lasciar effettuare il processo al cliente - lasciare che siano i clien ti ad at-

tirare a sé i prodotti, se necessario, invece di spingere prodotti indesiderati.

5 . Perseguire la perfezione - a questo pun to apparirà eviden te, d icono Wom acke Jones, «che non c'è fine al processo di riduzione dello sforzo, del tempo,

dello spazio, del costo e degli errori quando si offre un prodotto sempre piùvicino a ciò che desidera realmente il cliente. Ad un tratto la perfezione, ilquinto e ultimo principio, non sembra più un'idea folle».

idea ch iaveEliminare gli sprechi

 

2 9 L'organizzazionebasatasull'apprendimento

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sull apprendimentoI l mon do diventa semp re più veloce m an m an o ch e au m en tail cab laggio e le p erson e diven tano più esigen ti - voglio esattam en tequ ello ch e voglio, e lo voglio su b ito. M a do m an i po tre i volere u n a cosad iversa. Dato ch e il m ercato si frammenta e cam b ia semp re più infretta, le azien d e d evon o ten ere il p ass o o soccom b ere. Ecco perch éil m iglioram en to con tinu o p arti to dalla fabb rica oggi si riflette

n el concetto d i cam b iam en to con tinu o a l ivello d ell ' intera aziend a.La capa cità di ripensare con tin u am en te scopi e m etod i è la piùim p ortan te fonte s ingola di van taggio comp eti tivo, affermalo scrit tore ed e x p ianificatore aziend ale oland ese Arie d e G eus.Ma gli individui p ossono cam biare solo at t ravers o l 'app rend imen to,e ciò fa di q u est 'ult im o il cap itale del fu turo.

Da qui l'evoluzione d ell'«organizzazione basata su ll'app rend imento» (o ìearning orga-nizaticm), che n on è solo quella che d à al personale una formazione adeguata - anche

se fa anche questo. L'organizzazione stessa impara e continua ad imparare, al di là

dei singoli individui che ne fanno parte. In questo campo è stato in gran parte Peter

Senge, conferenziere al MIT, a deter min are il passo. Il suo libro del 1990 La quinta

disciplina, descrive le organizzazioni basate su ll'appr end imento com e «organizzazioni

in cui le persone ampliano continuamente la loro capacità di produrre risultati ai

quali tengono, si coltivano nuovi ed ampi modelli di pensiero, le aspirazioni col-lettive vengon o liberate e gli individui imparano contin u am ente a cogliere insieme

la totalità». Belle parole... Ma non è così semplice. Senge elenca gli ostacoli che si

frapp ongono alla creazione d i un'organizzazione basata sull'apprend imento. Un o di

linea del tempo• • • • • • C T T F ^ ^ ^ ^ H P . i H V T T r a

Empowerment Pensiero sistemico

Imprenditorialità

 

essi con siste n ella sind rom e «.o son o la m ia £ L e o r g a n i z z a z i o n i b a s a t eposizione», che compo rta un o scarso senso di n » . . «

responsabilità per quanto accade nel resto dell'a- S u l 1 a p p r e n d i m e n t o S O n Oziend a. «Il n em ico è là fu ori» è un altro con cetto p o s s i b i l i p e r c h e , n e l p r o f o n d o ,che rapp resenta un osta colo - «là fuori» e «qui s i a m o t u t t i a p p r e n d i s t i . 7d entro» sono in genere, secondo Senge, parte di un p gt gp Sfing e 1890

unico sistema. Fissarsi su singoli eventi, come i

ricavi trimestrali o il nuovo prodotto di un concorrente, può oscurare le vereminacce, come un declino relativo nella qualità della progettazione. E mentreimpariamo dall'esperienza, non possiamo sperimentare d irettam ente l'effetto dellenostre decisioni su altri settori dell'azienda. Infine, c'è il modo in cui gli individui,in particolare i manager, comunicano tra loro, che in genere è difensivo e passivo,an che se spesso camu ffato in m odo da sembrare attivo . Chris Argyris, d ocente ad

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p gy ,Harvard, che ha coniato il termine «apprendimento organizzativo», ha lavorato

molto sul modo in cui la conoscenza «sbagliata» v iene p resentata come un risultatoe diffusa come tale (si veda il riquadro a pagina seguente).

Le cinque discipline Tutti possono imparare, ma ambienti e strutture

come questi non incoraggiano la riflessione e l'impegno. Eppure, se si domanda

alle persone com'è far parte di un grande team, dice Senge, ciò che colpisce è

quanto può essere significativa una simile esperienza. «Il vero apprendimento

arriva al cuore di ciò che significa essere umani». Egli richiama l'attenzione sui

cinqu e fattori che d istingu ono le organizzazioni basate su ll'app rend imento:

1. Pensiero sistemico (si veda p. 172) - un modo di vedere l'insieme, le inter-

relazioni tra le cose. Significa sapere che una cosa che si fa oggi qui può avere

effetti (forse negativi) da qualche altra parte e dopo un certo tempo, e com-

prend ere e usare la stru ttura.

2. Padronanza p ersonale - il term ine con cui Sen ge ind ica il fattor e della cre-

scita e dell'apprendimento personali. Basato sulle competenze e le abilità,

significa vivere la vita da un p un to di vista creativo e non passivo. Ch i è d otato

di padronanza person ale sente di non aver mai imparato abbastanza ed è d alla sua

ricerca che origina lo spirito dell'organizzazione basata sull'apprendimento.

3. Modelli mentali - immagini profonde di come funziona il mon do o di come

qualcun o è in realtà. Incidon o sulle nostre azioni per ché influiscono su ciò ch e

1980 1990Le cinque forzedella concorrenza

Organizzazione basatasull'apprendimento

 

Dire quello che voglionosentirsi dire

Un elemento centrale dell'organizzazione

basata sull'apprendimento è il modo in cuii colleghi comunicano tra loro, che per molti

di essi - e le loro aziende - inib isce la capacità

di apprendere. In base al comportamento

interno, le aziende, secondo il guru Chris

Argyris si dividono in due categorie

la verità o mente. In tal modo l'azienda riceve

informazioni «non valide» e non è in gradodi individuare e correggere gli er rori. E per

Argyris individuare e correggere gli errori

è proprio il compito dell'organizzazione

basata sull'apprendimento.

Le aziende del Modello II invece

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Argyris, si dividono in due categorie,

che egli chiama il Modello I e il Modello II.

Nelle aziende del Modello I, i dipendentiesprimono solo i pareri e rivelano le

informazioni che la cultura aziendale ritiene

appropriati (attivando implicitamente delle

«difese aziendali»). Essi evitano il confronto.

Se uno pensa che verrà penalizzato per aver

annunciato cattive notizie in una riunione

o che così facendo metterà qualcunoin imbarazzo, resta in silenzio, non dice tutta

Le aziende del Modello II, invece,

adoperano conoscenze valide perché hanno

trovato il modo di affrontare i problemi. I loroaddetti non hanno paura di esprimere pareri

conflittuali e vengono incoraggiati a sollevare

interrogativi e a dare giudizi pubblicamente

su ciò che dicono gli altri. Gli errori vengono a

galla e possono essere affrontati, sia a livello

di obiettivi che di strategia. Purtroppo, a detta

di Argyris, di aziende del Modello II ce nesono poche in giro.

ved iamo. Se uno r itiene che Tizio non sia ad atto a un certo lavoro, lo tratterà di

conseguenza. E quando egli commette il suo primo errore l'altro dice: «Vedi, che

non è adatto?». Ma Tizio non è incompetente, è solo nervoso. Per anni alla

General Motors una delle ipotesi di fondo (un modello mentale) è stata che leau tom obili sono status symbol, e perciò lo stile era più imp ortan te della qu alità.

I modelli mentali non sono negativi di per sé, ma devono essere

riconosciuti come tali ed esaminati.

4. Costruire una visione condivisa - una forza potente, più che

un 'idea; una risposta alla dom and a «cosa vogliamo creare?». Qua nd o

le persone cond ividon o davvero una visione entrano in connessionee il lavoro diventa parte di un fine più vasto da raggiungere. Una

visione condivisa è vitale perché fornisce la concentrazione e l'e-

nergia per apprendere.

5. Apprendimento di gruppo - coordinare e sviluppare la capacitàdi un gruppo di produrre il risultato che i suoi membri davvero desiderano. Molticervelli sono più intelligenti di uno solo, e i gruppi imparan o a pensare «intu i-

4 Le difeseo r g a n i z z a t i v e

sono . . . con t ra r ie

a l l ' a p p r e n d i m e n t oe d e c c e s s i v a m e n t ep r o t e t t i v e . J

Chris Argyris, issz

 

 € S e c' è u n ' i d ea r i g u a r d o a l l al e a d e r s h i p ch e h a i s p i r a t o p e r m i g l i a i ad i an n i l e o rgan izzaz ion i , è l a cap ac i t à

d i o t t e n e r e u n q u a d r o co n d i v iso d e lfu tu ro che ce rch iam o d i c r ea r e . J

Peter Senge, isso

tivamente» su aspetti complessi. Sviluppano una «fiducia operativa» reciproca

e se si tratta di gruppi esperti, trasmettono le loro pratiche in modo da inco-

raggiare altri gruppi di app rend iment o. Il dialogo aperto e la discussione svolgono

un ruolo importante nell 'apprendimento di gruppo.

C i l d

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Cercasi leader II quinto elemento di Senge, per inciso, è in realtà il

pensiero sistemico. Egli afferma che è il fondamento di tutti gli altri e che intutto ciò il leader riveste un'importanza cruciale. In effetti, Senge afferma che le

organizzazioni basate sulla conoscenza richiedono una nuova visione della lea-

dership. La leadership tradizionale parte dall'ipotesi che le persone siano prive

di potere, manchino di una visione personale e siano incapaci di dominare le

forze d el cam biam en to. So lo i leader possono farlo - e anch e in questo caso solo

i grandi ci riescono. Ma i leader delle organizzazioni basate sull'apprendimento

devono delineare le finalità complessive, la visione e il nucleo dei valori, ela-borare le p olitiche, le strategie e i sistemi n ecessari, e integrare i cinqu e elem en ti.

Essi devono essere i custodi, non i padroni, della visione. E devono agire come

insegnanti, con l'esempio, sostenendo quella di ognuno.

Tutto ciò p orta a un a visione d i particolare forza e il con cett o d i «organizzazione

basata sull'apprendimento» viene citato da sempre più aziende nelle loro dichia-

razioni sulla propria m issione. Ma le imp rese interessate seguon o dav vero le pre-

scrizioni di Senge? Non molte. Certo, la formazione di team è diffusa e si svolgono

corsi sull'organizzazione basata sull'apprendimento. Ma adottare queste idee nel

complesso per la maggior parte delle aziend e rappresenta un cam biam en to tropp o

consistente. Forse Senge è un po' in anticipo sui tempi.

idea ch iaveL'apprendimento è il cap italedel fu tu ro

 

3 0 La coda lungaIn tern et camb ia tut to, si era soli t i dire negli ann i '90.Ciò accadeva prima che si scoprisse che non è così.Tuttavia cam b ia m olte cose, e u n a di q u este - second ola teori a della cod a lu n ga - è la cap acità n el corso del t em p odi fare soldi sfruttan d o nicchie d i m ercato m olto p iccole

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di fare soldi sfruttan d o nicchie d i m ercato m olto p iccole.

C'è stato un tempo in cui le nicchie vantaggiose erano un luogo comune, mal'èra della produzione di massa e quella del marketing di massa le hanno eli-minate, in pa rticolare nei mercati al consu mo. Il consolidamen to h a fatto sorgererivenditori potenti, che decidono di tenere in magazzino solo gli articoli che

vendono in gran quantità e riducono di conseguenza la gammadi prodotti offerta. Molti piccoli produttori sono stati emarginati

nel corso di questo processo.

Il fenom eno è stato particolarmen te evid ente n elle industrie deimedia e dell'intrattenimento - nella pubblicazione di dischi elibri e nella produzione di film. Viviamo nel mondo dei bestseller,dei blockbuster, dei grandi successi. La tesi della coda lunga èche in un mondo in cui c'è Internet i prodotti di nicchia non

solo sopravvivono, ma le loro vendite cumulative possono egua-gliare o addirittura superare quelle dei prodotti di successo.

L'uomo che ha tracciato la coda lunga sulla mappa è Chris Anderson, capore-dattore della rivista « Wired ». N el 2004 ha d elinea to l'idea in un articolo, poi ciha scritto sopra un libro. Entrambi si intitolavano La coda lunga ed entrambimettevano in primo piano la storia di La morte sospesa, un libro di alpinismo,diventato un best seller dieci anni dopo la sua prima pubblicazione. La ragione

è stata u n'ond ata di recensioni su Amazon .com che si è estesa a macchia d 'olio,innescata dall'uscita recente di un libro simile. Come ha scritto Anderson, non

( L'epoca di

un- formato-buono-p e r - t u t t i s t a

f inendo , e a l suop os to c'è q u a l c o sa d i

n u o v o , u n m e r c a t od i m o l t i tu d in i . J

Chris Anderson, ZOOG

linea del tempo1897 primi anni '50

Il principio 80/20 Gestione dei canali

 

Le m assime della coda lu n gadi Anderson

Ampliare il magazzino

I rivenditori possono offrire una varietà molto più grande on-line che attraverso inegozi. Alcuni attualmente usano un «magazzino virtuale», dove i prodotti sono

custoditi nel magazzino di un socio, ma sono esposti nel sito aziendale.

Lasciare fare il lavoro al cliente

La «produzione alla pari», in cui molte persone contribuiscono gratis ai progetti ha

fatto sorgere eBay Wikipedia Craigslist e MySpace

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fatto sorgere eBay, Wikipedia, Craigslist e MySpace.

Le recensioni inviate dagli utenti sono ritenute affidabili. Non si tratta di «outsour-

cing», ma di «crowd-sourcing».

Un formato non va bene per tutti

II «microchunking» spezzetta i contenuti in varie componenti - i ed in brani singoli, i

giornali in articoli, i libri di cucina in ricette. Un formato va bene per uno, molti per

molti.

Un prezzo non va bene per tutti

Nei mercati in cui la varietà abbonda, prezzi variabili possono aiutare a massimizzare

il valore di un prodotto e le dimensioni di mercato.

Condividere le informazioni

Classificare in base al numero di vendite, al prezzo, alla recensione. La trasparenza

può contribuire a creare fiducia a costo zero.

Lasciate che il mercato lavori per voi

Nei mercati poveri bisogna indovinare cosa si venderà. Nei mercati ricchi si puòmettere tutto a disposizione e vedere cosa succede.

1964Le quattro «P» del marketing

2004La coda lunga

Web 2.0

 

si trattava solo di un caso interessante di vendita di libri on-line, ma di «unesempio di mod ello econom ico com pleta men te n uov o per le indu strie dei mediae dell'intrattenimento che sta appena iniziando a mostrare la sua forza».

( La nos t r a idea èq u e l l a d i c o s t r u i r e

un luogo in cu it r o v a r e e s c o p r i r e

q u a l s i a s i c o s a

Am azon in questo caso ha svo lto due utili fun zioni. La primaè quella di aver contribuito a diffondere le informazioni sul

libro, e l'altra, ancor più importante, è di averlo effetti-

vamente messo in magazzino. Per le librerie tradizionali lo

spazio sugli scaffali è prezioso, p erciò ten d on o a fare scorta

solo di articoli che vendono di sicuro. In quanto libreria vir-

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i n o s t r i c l i e n t i

p o s sa n o v o l e rcompra re . J

Jet! Bezos

(fondatore di Amazon)

Testa

corta

tuale, Amazon può permettersi di avere un vasto magazzino in

mezzo al nulla, e di disporre di molti più titoli di un negozioin centro. Si aggiungano i libri (e gli album) digitali, ed ecco

che la capacità di magazzinaggio si impenna.

La regola del 98% Tale regola esercita un marcato

effetto sul modello delle vendite. Un team diretto dal prof.

Erik Brynjolfsson del Massachusetts Institute for Technology ha studiato il

rapporto esistente tra le vendite di Amazon e la classifica dei libri venduti, e hascoperto che un'ampia quota di vendite era rappresentata da titoli non dispo-

nibili nelle librerie tradizionali.

Anderson ci racconta un'altra storia, sulla Ecast, che gestisce juke-box a schermo

tatt ile digitale installati nei bar e nei club di tu tta l'Am erica. Qu ale p ercentuale

dei suoi circa 10000 album «vende» una canzone almeno una volta ogni tre

mesi? U n a risposta in telligen te, se si crede alla regola 80/ 20 (si veda p. 68),

sarebbe il 20%. La risposta esatta è il 98%. A nd erson sostiene ch e questa «regoladel 98%» si applica con piccole variazioni percentuali alle vendite di altre

aziende on-line, compresa Amazon, il rivenditore musicale iTunes e Netflix, che

noleggia film. Nel mondo dell'accesso istantaneo, i consumatori guardano pra-

ticamente tutto. Per gli studenti delle quattro «P» del marketing questo getta

una nuova luce sulla voce «punto vendita». Mettete a confronto il numero di

acquisti e dow nload con i prod otti o i titoli reali e vi ritroverete con un grafico

che p arte in alto a sinistra, scende r ap idam ente verso l'asse delle x e poi si allunga

in basso a destra. La parte allungata e piatta è nota come coda a legge di potenza,

coda di Pareto (dalla regola 80/ 20 di Pare to) o coda lun ga. I successi raggruppati

Coda lunga

TITOLI

 

la coda lunga I 128

a sinistra in quella che Anderson chiama la testa corta, sono oggetto di molti

download nel breve periodo della popolarità. La coda, invece, può abbracciare

centin aia di m igliaia di prod otti, con un a frequenza inferiore di down load ch e si

ripet ono però ann o dopo an no - se i rivend itori decidon o di tenerli in m agazzino.

Essa, alla fine, può perfino rivaleggiare con la testa in

termini di valore.

Anderson afferma che occorre ricordare due grandiprincìpi se si vuole creare un'azienda di successo che sirivolga alla coda lunga:

1 Rendere disponibile tutto

6 Quando s i possonof a r i n c o n t r a r e d o m a n d ae o f f e r t a r iducendoc l a m o r o sa m e n t e i c o s t i ,non sono so lo i n u m er i

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1. Rendere disponibile tutto.

2. Aiutare le persone a trovare le cose.Egli sostiene che i ben efìci della coda lunga si esten d on o

a molte altre ind ustrie oltre a quelle dei media e d ell'in-

trattenimento, e cita ad esempio la Lego, produttrice

danese di giocattoli. I negozi tradizionali di giocattoli

sono soliti immagazzinare una dozzina scarsa di prodotti Lego e dei suoi mat-

ton cini a incastro. Il reparto ord inazioni postali della Lego, sempre più incent rat o

sulla rete, contempla circa 1000 prodotti. E solo pochi prodotti tra quelli che

figurano in cima alla lista delle vendite sono reperibili nei negozi. I bambini

possono anch e disegnare da soli i prod otti, ch e ven gon o poi inseriti nel sito web

e venduti ad altri.

Esiste anch e un a cod a lunga di robot da cucina, forn ita da Kitchen Aid . I negozi

sono soliti rifornirsi di tre colori di robot Kitchen Aid - nero, b ianco e un altro

colore spesso concesso in esclusiva al singolo rivenditore. Nonostante sianodisponibili più di cinquanta colori, i rivenditori sono conservatori nelle loro

scelte e così ogni anno sul mercato tradizionale si trovano solo sei o sette colori.

L'azienda, tuttavia, offre ormai l'intera gamma on-line e, dato che si forma una

coda lunga, tutti gli esemplari vendono bene. Nel 2005 il colore più venduto è

stato uno che non si trova in nessun negozio - aran cione.

a c a m b i a r e ,m a l a n a t u r a s t e s s ade l m erca t o . J

Chris Anderson, 2000

idea ch iaveIl ritorn o della n icch ia

 

3 1 La fedeltàI consulenti del management passano ore, giorni e mesialla ricerca della p iet ra filosofale - sp eran d o di trovareu n a b ri l lan te id ea gestionale, un legam e cau sale an corasegreto t ra i l m od o in cui le aziende fun zionano e l 'en ti tàdel loro saldo di bilancio. Frederick F. Reichheld e i suoicolleghi della Bain & Company hanno ottenuto un grande

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successo quand o han no ind ividu ato u n a s t re t ta connessionetra conservazione dei clienti, crescita e profitti . L'hannochiamata «fedeltà» e hanno scoperto che nelle aziende con lemigliori p restazioni si in trecciava con qu ella dei d ipen den tie con quella degli investitori. Ognuna rafforzava le altre.

Tutt a questa fedeltà e tu tte queste tessere che n on si sa più d ove mettere, avute

da negozi che neanche ci si ricorda di visitare... Prendetevela con Reichheld.I programmi volti a suscitare fedeltà non sono una novità, ma il suo libro II 

 fattore fedeltà del 1996 ne ha fatto un fattore competitivo obbligato, dato che

le aziende si sono affrettate a mettere in pratica le sue idee e a cercare di con-

servare i clienti migliori. A quelli che pensavano che la fedeltà fosse sparita

assieme alla castità e alle buon e ma niere, Reichh eld ripeteva ch e no n solo era

viva e vegeta, ma era anche una misura affidabile della creazione di valore. Le

persone di una certa età ricorderanno i bollini verdi, introdotti con successonegli Stati Uniti nel 1896 e molto più tardi come «scudi verdi» nel Regno

Unito. A seconda di quanto spendevano, i clienti ricevevano dei bollini da

atta ccare in un album e restituire per ottener e in cambio tostap ane e bicchieri.

Erano scomparsi negli anni '80 anche se il loro inventore, Sperry &. Hut-

chinson, è ancora attivo col suo programma Gr eenp oints in Intern et.

L'American Airlines ha inventato la risposta del check-in ai bollini verdi eil moderno programma di marketing per fidelizzare i clienti così come lo

conosciamo oggi, quando ha lanciato l'iniziativa AAdvantage air miles nel

linea del tempo

1896 1924

Fedeltà • Segmentazionedel mercato

 

la fedeltà I 125

1981. Da allora programmi simili si sono moltiplicati esono diventa ti più ambiziosi qu ant o all'entità d ei «prem i».

Le aziende hanno quindi escogitato modi più o meno ori-

ginali per legare i propri client i per generazioni e non è un a

grande scoperta venire a sapere che trattenere i clienti è

una buona cosa. Che i clienti di vecchia data fossero di

particolare valore era già noto , in parte p erché più a lungo

rimangono tali più si ammortizza il costo legato alla loro

acquisizione, e perderli diventa meno probabile. Essi sono

più inclini a parlare bene dell'azienda e a comprare altri

prodotti accessori. E poiché sanno come funzionano le

£ Una vo l ta cheu n ' a z i e n d a h a c a p i t o i nche modo la fede l tà de ic l i en t i , de i d ipenden t i

e d e g l i i n v e s t i t o r i so n ol e g a t e , i s u o i m a n a g e rp o s s o n o u s a r el a f e d e l t à p e r g e t t a r en u o v a l u c e su i p r o c e s s i

d i t i l i

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prodotti accessori. E poiché sanno come funzionano le

cose, curare i clienti di lunga data è più rapido ed eco-nomico.

Tuttavia, Reichheld e il suo team hanno attribuito alla

fedeltà dei clienti, dei dipendenti e degli investitori un ruolo centrale nel

raggiungimen to di prestazioni superiori, e h an no con tribu ito a chiarire quali

di essi sia più utile conservare. Malgrado non compaiano nei bilanci, Rei-

chheld affermava che questi tre gruppi costituiscono le attività di maggior

valore dell'azienda. Egli sottolinea va le d imensioni pr evalenti d ell'infedeltàcon un 10-30% di clienti che sparivano ogni anno , un ricambio del personale

intorno al 15-25% e un tasso di instabilità degli investitori superiore al 50%.

E si domandava: «Come ci si può aspettare che un manager renda remune-

rativa un'azienda in cui ogn i ann o tra il 20 e il 50 % dei beni di maggior valore

sparisce senza lasciare traccia?».

Un in dicatore del valore La missione fondamentale di un'aziendanon era la creazione del profitto, ma del valore, di cui, affermava Reichheld,

il profitto è una conseguenza vitale. I profitti in sé possono essere manipolati

licenziando i dipendenti. Tagli agli stipendi e aumenti dei prezzi possono far

aumentare i guadagni, ma hanno un effetto negativo sulla fedeltà dei

dipendenti e dei clienti (e le attività che rappresentano). «Dato che l'unico

mod o in cui un'azienda pu ò conservare la fed eltà dei dipen d enti e dei clien ti

è offrire loro un maggior valore, un'elevata fedeltà è un segno sicuro dellacreazione di un solido valore».

m e d i a n t e i q u a l i

e ssa c rea va lo re . 5Frederick  F. Reichheld, 1886

1980 anni'90Le cinque forze Gestione delle

della concorrenza relazioni con i clienti

 

Prenda la nostra tesseraLe tessere-fedeltà spuntano fuori nel posti

meno probabili. La Maxwell House Coffee

assegna «House Points» per ogni barattolo

acquistato. La Neutrogena, specializzata in

cosmetici e prodotti per i capelli, sembra nestia studiando una, e altrettanto vale per la

America's National Basketball Association.

Ideate per premiare la fedeltà del cliente

con sconti o prodotti e servizi, possono dare

risultati soddisfacenti. Xavier Orèze,

i t i h t di

sono strutturati. Gli «omaggi iniziali», ad

esempio, spingono i clienti a essere più

costanti nella raccolta dei punti necessari

per il premio. Supponiamo che occorrano

otto acquisti per completare il percorso.L'azienda invece ne stabilisce dieci, ma

regala i primi due all'atto dell'iscrizione. È la

stessa cosa, ma i clienti sentono di aver già

intrapreso qualcosa che resta da concludere,

invece di non aver ancora cominciato. Ciò

l b bili à h il

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un ricercatore americano che studia

i programmi di fidelizzazione, riferiscedi un programma «baby club» che ha fatto

aumentare le vendite di prodotti per

l'infanzia in media del 25% in un periodo di

sei mesi. Drèze e il suo collega unive rsitario

Joseph C. Nunes hanno studiato anche

il comportamento dei titolari delle tessere

e hanno scoperto che i programmi possonoessere più remunerativi a seconda di come

aumenta la probabilità che il programma

venga portato a termine e riduce il temponecessario, secondo i ricercatori.

Alcuni consumatori sono eccitati dal fatto

di collezionare punti anche se privi di valore

monetario. Yahoo Answers offre punti per

le risposte giuste e fa una classifica

dei risultati. La gente ad ogni modo spende

ore e ore nella raccolta dei punti per il puro

piacere di battere gli altri.

Gli e f fe t t i de l la fede l tà d i cu i par la Reichh e ld s i d i f fond ono a casca ta in tu t t a l ' a -

z i e n d a . R i c a v i e q u o t e d i me r c a t o s i e s p a n d o n o p o i c h é s i c o n s e r v a n o e a c q u i -

s i scon o i mig l ior i c l ien t i , in ta l m od o l' az iend a pu ò pe rm et te r s i d i essere p iùse le t t iva ne l la sce l ta d i u l te r io r i c l ien t i . Una c resc i ta dura tura met te l ' impresa in

grado d i a t t i ra re i mig l ior i d ipendent i . Ess i t raggono soddis faz ione da l fa t to d i

of f r i re p rodot t i d i va lore super iore e , man mano che conoscono i lo ro c l ien t i d i

l u n g a d a t a , p o s s o n o f o r n i r e u n v a l o r e a n c o r a ma g g i o r e ,

ra f forzando la fede l tà su en t rambi i l a t i .

I d ipe nd en t i fede l i imp ara no su l cam p o com e r idur re i cos t i e

mig l iora re la qua l i tà , aggiungendo va lore e aumentando la p ro-

dut t iv i tà . I l surp lus d i p rodut t iv i tà va a f inanz ia re paghe p iù

e leva te , s t rument i e formazione mig l ior i : maggior i l a p rodut -

t iv i tà e le remuneraz ioni , maggiore la fede l tà . Una cont inua

41 d ipenden t i f ede l i avo l t e sono una fon te

i m p o r t a n t e p e rp r o c u r a r s i n u o v ic l ien t i . ^

Frederick F. Reichheld, 1886

 

espansione della produttività e una maggiore efficienza nella cura dei clienti

comportan o u n vantaggio di costo difficile da emulare per i concorrenti . Un van-

taggio di costo duraturo e una crescita costante dei clienti generano il tipo di

profitti ch e attira e tratti en e il tipo giusto di investitori - quelli fedeli.

Gli investitori fedeli si comportano come soci,

affermava Reichheld, il che non significa che non

siano esigenti. «Essi stabilizzano il sistema, riducono

il costo del capitale, e assicurano che un 'approp riataquantità di denaro sia reimmessa nell 'azienda per

finanziare gli investimenti che aumenteranno la

potenziale creazione di valore d a parte dell'imp resa».

Il profitto distruttivo II profitto non occupa

una posizione centrale in questo schema, anche se

( Le aziende -sopra t tu t to le grand i

aziende - possono esseremolto t rascurate nelprend ere u n a d ecisionesu q u ali clien ti occorretrov are e acq u isire. JFrederick F Reichheld isae

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svolge un ruolo cruciale nell'alimentare una maggiorecreazione di valore e incen tivare u na fedeltà du ratura diffusa. Reichh eld definisce

«virtuoso» il tipo di profitti generati d a questo mod ello. Considerare il profitto

l'elemento quintessenziale, con lo sguardo fisso ai rendimenti trimestrali, è

«distruttivo». Questo tipo di profitto non deriva dalla creazione e condivisione

di valore, ma dallo sfruttamento delle attività e dalla svendita del vero

patrimonio dell'azienda.

Com e egli afferma, non è semp re facile distinguere tra i due tipi. Il bilan cio n ondà indicazioni in merito, perché entramb i comp aiono ind istintamente n ei conti

profitti e perdite. Un modo, tuttavia c'è, ed è quello di misurare i tre tipi di

fedeltà. Se le defezioni sono ridotte e in diminuzione, abbiamo dei profitti

virtuosi. Altrimenti, l 'azienda sta probabilmente liquidando il suo patrimonio e

distruggendo il valore di lun go p eriodo.

Non tutti sono d'accordo. Una scuola di pensiero sostiene che, a parità di con-dizioni, un numero crescente di clienti si dirigerà ogni volta verso il prezzo più

conveniente. Senza dubbio, Reichheld li chiamerebbe profeti distruttivi.

Frederick F. Reichheld, isae

idea chiaveConservare è meglioche cercare

 

3 2 La gestioneper obiettiviLa gestione p er obiett ivi è un p rincipio talm en te classico

che l 'espression e su ona familiare perf ino a molti di coloroche non si in teressan o m in im am en te alle aziend e. È sta ta

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in trod otta nel lingu aggio dal più autorevole dei teoriciclassici delle im p rese, Peter D rucker, n ella su a op erafond am entale d el 1954, The Pract ice of Management.

La gestione p er obiettivi (management by objectives, M BO) ha lo scopo di evitare

che ci si perda nei d ettagli. Drucker si era accorto ch e i manager p otevan o restare

bloccati in quella che definiva la «trappola dell'attività», ossia lasciarsi prendere

talmente da ciò che si sta facendo da perdere di vista la ragione per cui ci si sta

impegnando a farlo. L'MBO è un invito a concentrarsi sui risultati, anziché sulle

attività. Per questo a volte viene anche chiamata gestione per risultati.

Drucker ci dice che fissare degli obiettivi è la prima di cinque operazioni

essenziali che com p eton o ai mana ger (le altre sono organizzare, motivare e comu-

nicare, m isurare e, infine, far evolvere il per sonale - comp resi se stessi). Un o d ei

punti chiave dell'MBO è che tutti i manager, di alto e basso livello, devono com-prendere gli obiettivi e condividerli. Una volta che ognuno ha i suoi obiettivi

specifici, coerenti gli uni con gli altri, e si tengono sotto controllo, si misurano

e, ove necessario, mod ificano le iniziative volt e al loro raggiung imento, l'aziend a

d ovrebb e essere in grado di ot ten ere i migliori risultati p ossibili da risorse neces-

sariamente finite.

Il processo dell'MBO inizia con la revisione e la fissazione degli obiettivi generalidell'organizzazione nel suo complesso. Il primo passo consiste nel fatto che il

consiglio di amministrazione si riunisca e definisca gli obiettivi complessivi del-

linea del tempo1911 1920Empowerment Decentramento

 

l'azienda. Poi occorre stabilire quale particolare at-

tività di gestione sia necessaria per raggiungere tali

obiettivi e a chi ne competa la responsabilità. Tali

attività devono a loro volta essere analizzate per sta-

bilire quali siano le condizioni per il loro successo, e

così via. In qu esto modo m ete e obiettivi subord inati

vengono riversati a «cascata» all'interno dell'azienda.

Ognuna di tali mete richiede una definizione e l'ela-borazione di un piano d'azione di sostegno. Se il per-

sonale deve davvero impegnarsi nel raggiungimento

degli obiettivi concordati, deve poter partecipare al

processo che li definisce. E poiché stiamo parlando

di gestione per obiettivi, e non per attività, i manager dovrebbero stipulare un

«cont ratto p er obiettivi» con i propri dip end enti invece di indicare loro nel det-

£ N e l l a c o m p l e s s a s o c i e t àd e l l e o r g a n i z z a z i o n iin cu i v iv iamo, l eo r g a n i z z a z i o n i - e q u i n d ii p r o f e s s i o n i s t i ch e l eg e s t i s c o n o - d e v o n o

c e r t a m e n t e a s s u m e r s il a r e s p o n s a b i l i t àd e l b e n e co m u n e . JPeter Drucker, 1878

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«cont ratto p er obiettivi» con i propri dip end enti, invece di indicare loro nel det

taglio come dovrebbe essere eseguito il lavoro. Come ha scritto Drucker: «Ilmanager dovrebbe essere controllato e diretto dagli obiettivi relativi alle pre-

stazioni, anziché dal suo capo».

Quindi l'MBO si basa molto sulla delega ed è stato una prima forma di em-

powerment, almeno per quanto riguarda i manager di livello inferiore. Esso dà

per scontata una certa competenza da parte dei manager e descrive il rapporto

tra alcune imprese multinazionali e le loro filiali intemazionali. La sede centralericonosce che i man ager nei d iversi paesi ha n no una migliore conoscenza della

situazione locale e, una volta concordati gli obiettivi a grandi linee, ne lascia ad

essi il consegu imen to. Ad esemp io, la British Petroleum concord a dei «contr atti»

con i respon sabili delle sue aree di affari (si veda p. 79).

Legam e Strategico In questo mod o, si ritiene ch e la struttura M BO crei

un legame diretto tra la strategia al vertice e la sua attuazione ai livelli inferiori

dell'azienda. Per mantenere il processo in carreggiata occorre esaminare perio-

d icamente i progressi compiu ti verso il raggiungimento degli obiettiv i e valu tare

le prestazioni dei dipendenti. La valutazione dovrebbe essere accompagnata da

una verifica. Per Drucker ciò significa che quando si intraprende un'azione

chiave o si prende una decisione importante, si esplicita per iscritto cosa ci si

1954Gestione per obiettivi

 

P E T E R D R U C K E R 1 9 0 9 - 2 0 0 5

«Qualsiasi idea sul management oggi di moda

prendiate in considerazione, è probabile che

sia stata affrontata da Peter Drucker prima che

nasceste». Così Charles Handy, a sua volta

non trascurabile teorico del management ,

presentava quello che definiva «il padre delmanagement». Non esagerava. Concetti come

decentramento, privatizzazione, lavoratori

della conoscenza e globalizzazione - ogg i

accettati come luoghi comuni - sono stati

coniati per la prima volta dalla mente

indagatrice di Drucker.

società. Un atteggiamento tipico di Drucker.

Diffidente verso i governi potenti e le forze

incontrollate del mercato, riteneva che il buon

management con il suo esempio potesse

salvare il mondo da se stesso.

Era critico verso la catena di montaggioereditata da Frederick Taylor (si veda p. 152) e

riteneva che i lavoratori dovessero essere trattati

come risorse - lavoratori dell'intelletto - e non

come costi. Tuttavia, non auspicava un particolare

empowerment, né un eccessivo controllo da parte

del management, preferendo una via di mezzo

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Drucker era nato a Vienna e, dopo avertrascorso la giovinezza nella Germania

hitleriana, ha lavorato brevemente a Londra

prima di stabilirsi negli Stati Uniti nel 1939.

Sette anni dopo ha pubblicato Concept of the 

Corporate, un'analisi approfondita della

General Motors e del suo management, che

aveva suscitato irritazione in coloro che eranooggetto della sua indagine e si erano sentiti

rivolgere domande sul ruolo dell'azienda nella

tra l'anarchia e la creatività soffocata.Gli interessi di Drucker andavano molto al di là

del mondo aziendale - era affascinato dal modo

di agire dei governi e delle organizzazioni

di volontariato. In effetti, egli ha dedicato

al management poco meno della metà dei suoi 35

libri. Non gli importava di essere definito un «guru

del management», e infatti una volta ha osservatoche i giornalisti usavano la parola «guru» solo

perché «ciarlatano» era troppo lunga per i titoli.

a s p e t t a d a es s e . Po i , m a n m a n o c h e i r i s u l t a t i d i v e n t a n o d i s p o n i b i li , si

p r o c e d e r e g o l a r me n t e a c o n f r o n t a r e l e a s p e t t a t i v e c o n c i ò c h e è r e a l me n t e

accaduto. Questa verif ica serve poi a s tabi l i re in cosa s i è bravi o meno, cosaoccor re cambiare e dove b isogna eserc i ta re press ione .

Qu ind i , co loro che raggiu ngon o i r i su l ta ti s tab i l it i ven gon o prem ia t i . L 'M BO,

ne l la sua forma pura , p revede che co loro che non raggiungono g l i ob ie t t iv i

s i a n o p u n i t i . I l l a v o r o d i D r u c k e r a l l a G e n e r a l E l e c t r i c n e g l i a n n i ' 4 0 h a

forn i to gran par te de l la base d e l l 'M BO - e i ma nag er de l la GE che n on r i spe t -

ta va no g l i ob ie t t iv i fi s sa t i en t r o i t em pi prev is t i ve n iva n o l icenz ia t i .Uno de i punt i debol i de l l 'MBO è che tu t to ques to f i s sa re e r ivedere ob ie t t iv i

produce mol ta burocraz ia e r ich iede mol to tempo. L 'a l t ro è che , po iché mol to

d ipende dagl i ob ie t t iv i s tess i , è impor tan te sceg l ie re de l le mete che per lo ro

 

la gestione per obiettivi I 181

( Ne l l e o rgan izzaz ion i basa te su l l a conoscenza , tu t t i i membr idevono es se re in g rad o d i con t ro l l a r e l ' e s i t o de l lo ro

l a vo r o e s a m i n a n d o co m e i r i s u l t a t i o t t e n u t i i n f l u i s ca n osu i p rop r i ob ie t t iv i . J

Peter Drucker, iosa

stessa nat ur a siano realizzabili - d elle met e in telligen ti. E negli an ni ' 80 e '90SMART (intelligente) è diventato un acronimo molto noto per indicare lequalità richieste agli obiettivi dell'MBO. Essi dovevano essere:

Specifici - vaghi e generici non avrebbero funzionato.

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Misurabili - l'obiettivo doveva essere quantificabile.

Accessibili - non troppo facili, ma non impossibili.

Realistici - date le risorse a disposizione.

Temporanei - legati a una scadenza.

Nessun manager competente suggerirebbe di eliminare gli obiettivi, ma in

quanto teoria completa, l'MBO classica non è più in uso. Data la crescente

accettazione od ierna d ei sistemi olistici di pen siero, la concezion e d ell'M BO

è ritenuta troppo lineare e troppo poco attenta al contesto e alla natura

umana. Né risulta particolarmente adatta a un'epoca basata sul rapido

scambio di informazioni nella quale una ridefinizione delle ipotesi e degli

obiettivi può rendere fin troppo rapidamente inutile il piano elaborato ieri.

La gestione basata sui risultati, che premia chi li consegue e direttamente o

indirettamente penalizza gli altri, può esercitare effetti distorti sulla for-mazione di gruppi di lavoro, sul morale e perfino sull'etica del compor-

tamento, dato che i dipendenti possono «modellare le cifre». Come molte

altre idee influen ti nel camp o del man agemen t l 'M BO è stata a volte oggetto

di critiche troppo aspre. Drucker non deve essersene rammaricato troppo e

si è sforzato lui stesso di rid imen sionar e l'impor tanza d ella sua teor ia. «È solo

un o stru men to com e un altro », pare abbia affermato. «N on è un a cura mira-

colosa contro l'inefficienza del management... l 'MBO funziona se si co-noscono gli obiettivi. E il novanta per cento delle volte non è così».

idea ch iaveRisultati, risultati, risultati

 

3 3 La segmentazione

del mercatoIn q uesti giorni si fa un gran p arlare sui blog della m orte d elm ercato d i m assa. Semm ai, si è trat tat o d i un a lunga agonia.I mezzi di comu nicazione d i m assa, card iogram m i del m ercatodi m assa, han no pe rso lettori e sp ettat ori fin dagli ann i '70 -

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almen o negli Stati Uniti, dove tale m ercato è stato inven tato.È vero, tu ttavia, ch e negli ultim i an n i la p roliferazioned ei nu ovi m ed ia h a accele rat o il rit m o del suo declino. E lasegmen tazione d el m ercato, il contra rio del m arketin g di massa,ha p u n tato il suo zoom inq uad rand o semp re più da vicino icon su m atori individu ali con l ' insistenza d i un satellite sp ia.

Il mercato di massa è stato creato da imprese americane come Sears Roebuck,

DuPont e General Electric, di pari passo con l'avanzata della ferrovia e del

telegrafo. Esso è cresciuto rapidamente tra gli anni '80 del XIX secolo e gli anni

'20 del XX secolo. Il marketing di massa, dall'altro lato, ha trovato il suo ritmo

solo dagli ann i '20 in poi con la d iffusione degli app arecchi di ricezione - la rad io.

La televisione è arrivata poco prima della Second a guerra mond iale e intor no agli

ann i '60 chi acquistava u no spazio pu bblicitario p oteva raggiungere l' 80% delledonne americane con una reclame trasmessa simultaneamente dall'ABC, dalla

CBS e dalla NBC.

Il primo marketing di massa non era raffinato, ma era egualitario. Diffondeva lo

stesso messaggio e vend eva gli stessi pr od otti a tut ti. La segm entazion e, t ut tavia,

significa che non tutti sono uguali e che hanno bisogni e aspirazioni differenti.

Che anche i rispettivi portafogli fossero diversi era noto ad Alfred P. Sloan dellaGeneral Motors fin dal 1924, quando aveva cominciato a offrire al pubblico

linea del tempo1450Innovazione

1086Marchio

 

«un'auto per tutte le tasche e per tutti gli scopi». La GM è

stata un p ioniere della segmentazione in base al redd ito.

«Differenziazione delle p referenze» Solo nel1956 Wendell Smith ha formalizzato quest'idea in un saggio,

Product different iation and market segmentation as alternative

marketing strategies (La differenziazione del prodotto e la seg-mentazione del mercato come strategie di marketing alter-

native) pubblicato dal «Journal of Marketing». Egli scriveva:«La segmentazione del mercato comp orta ch e si guardi a un m ercato eterogeneocome a numerosi mercati omogenei più piccoli, in risposta alla differenziazionedelle preferenze attribuibile al desiderio dei consumatori di soddisfare con mag-gior precisione i propri mutevoli gusti». Smith era direttore delle ricerche dimercato d ella RCA , azienda prod uttr ice di app arecchi rad iofonici e televisivi, epertanto il suo interesse non era puramente accademico.

6 [Lo st i l e d i v i ta è]i l modo d i s t i n to oc a r a t t e r i s t i c o d i v i v e r ed i u n ' i n t e r a s o ci e t ào d i u n suo segm en to . JWilliam Lazer, 1963

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Dai tempi di Smith, la segmentazione ha prodotto molte altre fasce differenziate

di consumatori, poiché questi ultimi sono passati dal desiderare quello che aveva

il vicino a voler essere speciali. Nel 1963, William Lazar ha intr od otto il con cett o

di «stili di vita» nel marketing, come un sistema di atteggiamenti e valori,

opin ioni e interessi - di un gruppo o di un singolo ind ividuo. In cerca di clienti

definiti con chiarezza e, si spera, adeguatamente ricettivi, la segmentazione

classica in primo luogo suddivide il mercato complessivo nel segmento indu-striale e in quello al consumo. Quest'ultimo viene ulteriormente suddiviso in

base a caratteristiche più utili grazie a quattro fattori: demografia - ossia età,

genere, dimensioni della famiglia e ciclo vitale, classe sociale, grado di istruzione,

reddito, occupazione e religione; geografia - regione, paese, area urbana o rurale

e clima; psicografia - stile di vita, valori, opinioni e atteggiamenti; e compor-

tamento - tipo di benefici richiesto, fedeltà al marchio, chi prende le decisioni

in merito agli acquisti. Applicate tutto ciò ai clienti costituiti da altre aziende eotterrete un elenco comparabile, comprese voci come ubicazione, tipo di attività,

dimensioni, tasso di utilizzo degli impianti, persone incaricate di effettuare gli

acquisti e relative modalità. Una volta definito un segmento, bisogna assicurarsi

che valga la pena, in termini di tempo e sforzi, proseguire definendo un mix di

azioni di marketing. Si dovrebbe utilizzare uno schema con le seguenti voci: suf-

1924 1964 2004Segmentazione Le quattro «P» Web 2.0

del mercato del marketing

 

ficientemente differente, potenzialmente redditizio, accessibile e probabilmentericettivo. Una segmentazione eccessiva può essere costosa.

La filosofia della segmentazione è talm ent e pervasiva che è difficile trovare u n'a-zienda che am mett a di operare ancora in un m ercato di massa, perfino tra quelle

che ne sono state la personificazione. La Procter &. Gamble, il cui Tide è statoil detersivo più venduto d'America per oltre mezzo secolo, sostiene di non pos-

f . . . v sedere ma rchi orient ati al me rcato di massa - tu tti• L a c a r a t t e r i s t i c a p i l i sono p r e s i i n considerazione singolarmente. Analo-

i m p o r t a n t e d i q u e s t o gamente, McDonald's afferma di non essere un ope-n U O V O merca to d i «un ic i» ratore del mercato di massa, anche se ammette di

è C h e C Ì p a r l i a m o e ci e s s e r e u n operatore di grandi dim ensioni. E più iron ico

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r a c c o n t i a m o l a v e r i t à su i di quanto ci si aspet t i- vis to che una del le poche. . j , , . imprese a definirsi ancora «produ ttore per il mercato divos t r i p rod ot t i . , , D P i

x r massa» e la... RCA.I l m a r k e t i n g e m o l t o m e n o

i n t e r e s s a n t e d i q u e s t e d marketing verso di voi Manr . a mano che l'ottica si restringe la «personalizzazione dicon ve rs az io n i. 7 , . , i j

* massa» (o customizzazione) perm ette ai clien ti di sce- Adrìana Cronin-Lllkas, 2008 (blogger) gliere tra una gamma di varianti o un prodotto stan-dard. Non tut te le aziende han no avuto esperienze felici

con questa strategia, ma la Dell l'ha usata con buoni risultati nell'industria delpersonal computer. Land's End, la rivendita per corrispondenza, ora confezionadeterm inati capi di abbigliamen to in base alle misure fom ite dai clienti. Il «micro-marketing» a volte si definisce come marketing u no-a-un o - in contrapp osizione

con u no-a-molti - e utilizza l'e-mail e la rete per entrar e in cont at to con le pre-ferenze dei singoli individui. Il sito web che annuncia «chi ha acquistato [l'ar-ticolo che avete appena comprato] acquista anche ...» sta facendo micromarketing.Altr etta nt o fanno i Feeds Web RSS che vi consen ton o di «attirare» il marketingverso di voi, specificando la «dieta informativa» con cui volete essere rego-larmente alimentati. La rete ha fornito ai marchi di nicchia una piattaforma apartire dalla quale comp etere in termini più o meno p aritari con i marchi di massa,

creando stretti rapporti con la comu nità di uten ti della rete.La «ricerca pagata» è un altro modo per autoselezionare il marketing ed è laforma pubblicitaria on-line che mostra la crescita più rapida. Si tratta di «linksponsorizzati» o annunci che si attivano o meno quando usate un motore diricerca . L'inserzionista ch e offre di più si colloca in cima alla lista, dove riceve piùclic, e paga il sito web ogni volta che un utente entra nel suo sito - «pay per 

click». Si prevedeva che Google raccogliesse la maggiore quota singola di ricavi

pubblicitari del Regno Unito nel 2007, un indicatore a vasto raggio del

 

I formativi an n i ' 50La segmentazione ha rappresentato una pietra

miliare nell'evoluzione del mercato dai tempi in

cui muoveva i primi passi a quando è diventata

una disciplina matura e documentata. Al pari

della segmentazione, molte altre pietre miliaridel marketing sono state formulate negli anni '50,

quando la televisione nascente cominciava a

trasformare la pubblicità. Fino ad allora, per la

maggior parte delle aziende il «mercato» era

semplicemente quello che si vendeva, e si

vendeva più che si poteva. Ma nel 1950 Neil

sull'«immagine del marchio» (si veda p. 28).

Il presidente della General Electric, John

McKitterick ha riunito questi elementi e ha

introdotto il «concetto del marketing» in una

conferenza del 1957 intitolata «Cos'è il concettodi gestione del marketing?». La sua risposta era

una filosofia aziendale «orientata al cliente,

integrata e orientata al profitto».

Abe Schuhman ha coniato il termine «marketing

audit» nel 1959, riferendosi a un controllo

sistematico di ogni aspetto delle vendite, del

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Borden ha introdotto il concetto di «marketingmix», affermando che il successo nelle vendite

comportava ingredienti come la pianificazione del

prodotto, l'attribuzione dei prezzi, la politica del

marchio e la distribuzione - i predecessori delle

quattro «P» (si veda p. 88).

Nello stesso momento, altri affinavano la

riflessione sul «ciclo di vita del prodotto» e

marketing, dell'assistenza al consumatore e di altreoperazioni pertinenti, per verificare se e quanto

contribuiscono positivamente e in modo efficiente

rispetto ai costi al conseguimento degli obiett ivi

aziendali. Quando Ted Levitt ha inaugurato gli anni

'60 con il suo articolo bomba Marketing myopia 

(si veda p. 200), il marketing aveva ormai

delle solide basi, a livello teorico se non pratico.

ma r k e t i n g d i ma s s a , p e r n o n p a r l a r e d e l l e t e l e v i s i o n i c o mme r c i a l i d e l R e g n o

U n i t o . U n n o t o a n e d d o t o s u l l e a g e n z i e p u b b l i c i t a r i e r a c c o n t a d i u n ma n a g e r d e l

ma r k e t i n g c h e a f f e r ma v a d i s a p e r e c h e b u t t a v a a l v e n t o l a me t à d e i f o n d i

des t ina t i a l la pubbl ic i tà , so lo che non sapeva d i qua le metà s i t ra t tava . Ovunque

s i t rov i , eg l i ce r tamente amerà la pubbl ic i tà d ig i ta le in In te rne t , che g l i d ice conprec is ione con quanta e f f ic ienza sono s ta t i spes i i suo i so ld i , o l t re a recapi ta rg l i

tu t te que l le p rez iose in form azioni ch e i c l ien t i son o cos t re t t i a d ig i ta re ne i suo i

da ta base . La persuas ione s ta d iventando una sc ienza , invece de l l ' a r te che e ra

u n t e m p o .

idea ch iaveDallo schioppoalla vista telescopica

 

3 4 Fu sion i

e acquisizioniLa mess a a pu n to di u n a scalata societaria, nella sede p rincipaledi un 'aziend a, h a un che d i esilarante. Le stan zedell 'ammin istratore delegato si trasforman o nella tend a d a

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cam p o di un o Stato m aggiore, con t an to di consiglieri trafelati,consigli di gu erra e rap id i camb i di tatti ca. Per i dirigenti ch eam an o lo stile m ilitare è q u asi com e essere dei veri gen erali - ilp ian o, l 'at tacco, la cap itolazione e il trofeo. Pur trop p o p er loro, leofferte ostili stann o diventand o men o di m oda, m a l 'acqu isizioneresta un'opzione strategica perfettamente ragionevole, anche se

di solito m en o dram m atica, p er le aziend e di ogni tip o.Le fusioni e le acquisizioni - M&A (dall'inglese «mergers and acquisitions») nelgergo dei ban chieri - att iran o l'atten zion e del pu bblico più di qualsiasi altra cosapossa fare un'azienda, a parte, forse, licenziare metà della manodopera o fallire.Di solito si verificano quando un'azienda acquisisce tutte le attività e le passivitàdi un'altra. C'è differenza tra una fusione e un'acquisizione? Non molto spesso.

Una vera fusione è un matrimonio tra uguali in cui le azioni vengono convogliatein una nuova società, una cosa poco frequente. Le case automobilisticheDaimler-Benz e Chrysler si sono fuse con spirito paritario nel 1998, assumendoun nuovo nome - DaimlerChrysler - che rifletteva la situazione. Se anche fosse,i commentatori americani oggi si lamentano del fatto che si è trattato di unascalata de facto, con il management e il know-how tedeschi a tirare le fila - eadesso addirittura, si dice, a preparare la vendita della Chrysler.

A differenza della DaimlerChrysler, molte fusioni sono ovviamente delle scalate

in cui l'identità separata di una delle parti scompare, se non immediatamente,

lìnea del tempo500 a.C. 1897Guerra e strategia Fusioni e acquisizioni

 

nel corso del temp o. Fusione è un term ine essenzialmente dip lomatico, un velo

che permette di salvare la faccia a chi viene acquistato. Qualsiasi formaprend ano, le fusioni sono guidate da un m otivo fondam entale: fare in modo cheuno più uno faccia tre. Alcuni la chiamano «sinergia» o «valore aggiunto», maalla fine si risolve ne l dar vita a un'azienda che valga più della somma d elle parti.Abbastanza spesso, tuttavia, finisce per valere m eno, come vedrem o.

Su. giù O di lato Le fusioni classiche sono di tre tipi. / " . . . . ., , ? . . . . , , . . %E o r a ch e t u t t i n oi -Una fusione si dice «orizzontale» quando si acquisisceun'azienda della stessa industria per accrescere rapi- q u e l l i i a v o r e v o i l a l i a

damente la quota di mercato. Le fusioni «verticali» com- fu s ion e e q u e l l i che v i s ip ortan o u n'in tegrazion e v er ticale, m ed ian te l'acqu isto d i o p p o n e v a n o — l a v o r i a m o

un fornitore o di un canale di distribuzione e lo scopo in i n s i e m e p e r i l b e n egenere è quello di tenere i costi sotto controllo. Infine, in d e l l ' a z i e n d a 5quelle note negli Stati Uniti come fusioni «conglomerate»,

C | Fforilia 1888 ( id t d l l

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un'azienda ne acquisisce un'altra con la quale non ha C a p | y Fforilia, 1888 (ex presidente del lanessun tipo di rapp orto come forma di diversificazione. H e w l e t t - P a c k a r d , r i g u a r d o a l l a « f u s i o n e »

con la Compaq)Sebbene valga per la maggior parte delle fusioni, è piùfacile eliminare i duplicati nelle scalate orizzontali, in cui le imprese possonoessere l'una il riflesso dell'altra. Ciò vale anche per un altro tipo di sinergia, leeconom ie di scala - quan do si acquista di più, il prezzo d iven ta più econ om ico

sia che si tratti di sottogruppi o di fermagli per fogli di carta. A volte vi sonovantaggi fiscali nelle fusioni se, ad esempio, l'azienda obiettivo ha delle perditefiscali di cui l'acquirente può opp ortun amen te avvantaggiarsi.

Questi sono benefici generici che si otten gono acquisendo u n'azienda, ma possonoessercene di più specifici: acquisire nuova tecnologia, espandersi in nuovi mercatidi produzione o geografici, o per fino - è accadu to - impad ronirsi di un d eter-minato AD. Si ha una scalata o fusione «inversa» quando un'impresa che ancora

non lo è vuole essere ammessa alla quotazione in Borsa, ma non vuole affrontarei problemi e i costi di u n'offerta p ubblica iniziale (IPO ). Essa acquista un'aziendaquotata, si libera delle attivit à indesiderate e si «riversa» nel suo guscio, come unpaguro. La WPP, uno dei più grandi gruppi pubblicitari del mondo, era il pro-duttore di carrelli per la spesa Wire and Plastic Products, finché l'attuale pre-sidente M artin Sorrell ha «riversato» in essa i suoi interessi a metà degli anni '80.

1916Diversificazione

1939Leadership

1965Strategia d'impresa

 

Più p otereLe fusioni di solito falliscono perché

le aziende gestiscono male la fase

dell'integrazione, ma a volte non riescono

neppure ad arrivare a questo punto. Quella

che era stata etichettata come la più grandefusione del mondo è stata bloccata dalle

autorità di controllo della concorrenza

dell'Unione Europea nel 2001.

La General Electric aveva offerto 41

miliardi di dollari per acquisire la Honeywell

International nel 2000. La GE era attratta

d ll' tti ità i l d ll H ll

per vedere realizzato l'affare. La fusione

avrebbe aumentato le dimensioni della GE,

che era già una delle imprese più grandi del

mondo, di quasi un terzo.

Il Dipartimento della Giustizia americanoaveva dato via libera, insistendo solo

affinché la GE vendesse la sua azienda di

elicotteri militari per ragioni di sicurezza. Ma

gli europei non erano d'accordo. Per ragioni

di concorrenza, e per la prima volta, hanno

proibito una fusione già approvata dalle

t ità t t it i L H ll ià

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dall'attività aerospaziale della Honeywellche, con il suo sistema industriale e le

attività nelle materie plastiche, si sposava

perfettamente con il proprio sistema. Jack

Welch, l'AD dell'azienda, aveva addirittura

posticipato il suo pensionamento di un anno

autorità statunitensi. La Honeywell aveva giàceduto il controllo sulle principali decisioni

operative e in materia di personale alla GE.

«Ciò dimostra che non si è mai troppo

vecchi per restare sorpresi», ha commentato

un deluso Welch.

Le fusioni che funzionano sono meno della metà del totale. Ciò significa che nei

casi di insuccesso non si verifica quell'aum ento di valore che si preved eva qu and o

si è concluso l'affare. A volte dipende dal fatto che la strategia era sbagliata fin

dal principio. Più spesso ciò avv iene p erché le aziende com bin an o d ei pa sticci nel

tentativo di integrare l'azienda acquistata in quella esistente. Come dicono gli

specialisti dell'integrazione post-fusione, quando si conclude l'affare non è finita- è appena iniziata.

Un difetto frequente è l'incapacità di armonizzare due culture in una sola. Il per-

sonale dell'azienda acqu isita è invar iabilmen te tim oroso e diffiden te verso i nu ovi

pad roni. H a bisogno d i essere rassicurato e r ispetta to e di sentire d i far parte d ella

nuova impresa. Il management dovrebbe concentrarsi più su questo aspetto che

sul nuovo logo. Un'altra trappola è quella di riprodurre nella nuova organiz-zazione pratiche e processi che non hanno funzionato molto bene in quella

vecchia. Forse la cosa più importante è che chi compra dovrebbe avere una

visione e un pian o pro nto d a attuare fin dal primo giorno - ricord ate la guerra

 

fusioni e acquisizioni I 189

in Iraq - e che all'interno dell'azienda tutti dovrebbero conoscerlo. Se l'inte-

grazione post-fusione non funziona, può provocare defezioni di massa tra il per-

sonale più preparato, i clienti, i fornitori e gli investitori.

Pagare troppo Una delle ragioni di partenza per cui alcune acquisizioni

non aggiungono valore risiede nel fatto che, in primo luogo, il management hapagato un prezzo troppo alto. Ciò tende a verificarsiquand o l'asta per un'azienda è combattu ta, quand o l'ADsi interessa più alle dim ension i d el suo impero ch e a farei conti. E più probabile che vengano pagati prezzi stra-vaganti quand o il mond o delle aziende è colpito dall'en-nesima smania per le fusioni. Si tratta di un fenomeno

periodico ch e risale all'ond ata che h a colpito l'Am erica

é Ho sem p re d e t to ch ele megu fus ion i e r an op er i m ega loman i . J

David Ogilvy (direttore della pubblicità)

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periodico, ch e risale all ond ata che h a colpito l Am ericatra il 1897 e il 1904, che ha portato poi al crollo del mercato azionario e all'a-dozione della legislazione anti-trust. La maggior parte degli anni '80 e la secondametà degli anni '90 hanno rappresentato periodi di picco per le attività di fusionee acquisizione negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Gli anni '80 hanno prodottolo scalatore societario, le «mega-fusioni» e un incremento delle acquisizioni dal-l'estero. L'ondata degli anni '90, terminata con l'esplosione della bolla del

mercato dei titoli high -tech, non aveva tan to come obiettivo un aum ento d elledimensioni quanto una ristrutturazione strategica.

Le ondate di fusioni e acquisizioni sono alimentate dall'elevato corso dei titoli

azionari, che forn iscono alle aziende d enaro a buon m ercat o per fare acquisti e/ o

debiti a buon mercato, e consentono ad esse di pagare in contanti anziché in

azioni. L'indebitamento a basso costo ha fatto nascere un nuovo tipo di com-

prator e - i fond i private equity. L'acquisizione è l'essenza della loro strategia checonsiste nell'acqu istare società relativam ente econ om iche, sprem erne il succo e

rivenderle.

idea chiaveComprare o costruire?

Comprare

 

3 5 Eccellenza

organizzativaMolti stud i bizzarri sul m an agem en t n on varcan o mai lasoglia delle facoltà universitarie. Altri possono influenzareil modo in cui le aziende sono organizzate e gestite, anche sep rim a devono p ass are attr avers o il fi ltro della consu lenza.

S hi i l ib i l t h ff ' id

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Sono pochi i l ibri sul m an agem en t che offrono un 'idea cap acedi far p resa al p u n to di sp ingere gli al t i d ir igenti d 'azien d a aleggerli e abb everarsi diret tam en te alla fonte. Ma u nosoltan to h a creato un ' in tera nu ova ind u str ia in un colpo solo,

 A lla ricerca dell'eccellenza, di Tom Peter s e Rob ert Waterm an ,consulenti della McKinsey.

Si può dire che il libro h a creato d ue nu ove ind ustrie: l'indu stria di massa dei libri

aziendali e quella di Tom Peters. E apparso come un lume di speranza in un'A-

merica aziendale immersa nella notte, che sentiva di aver smarrito la rotta nelle

tenebre. Schiacciati da una concorrenza proveniente dai luoghi più improbabili,

in mercati che avev ano d om inato con orgoglio fino a po co prima, i man ager ame-

ricani hanno teso le braccia verso Peters e Waterman come l'omino dei cartoni

animati che arranca nel deserto e tende le mani verso l'acqua. Il loro messaggiodiceva che in America c'erano aziende eccellenti, e che l'eccellenza era lì a portata

di mano, se solo i manager si fossero concentrati sul cliente, si fossero resi conto

della forza dei loro dip end enti e si fossero imp egnati con passione.

Era una consulenza sul management fai-da-te presentata nella forma più leg-

gibile, e ne sono state acquistate milioni di copie. E diventato il libro aziendale

più venduto di sempre e ha determinato il successo di Tom Peters, con le suepresentazioni in pubblico, i libri, i video e le serie televisive.

linea del tempo1450 1911Innovazione Imprenditorialità

 

Le sette «S»Le aziende sono complicate e se state

pensando di cambiarne una può essere utile

avere uno schema che indirizzi la vostra

attenzione verso i punti giusti.

Mentre stavano scrivendo Alla ricerca 

dell'eccellenza, Peters e Waterman avevanoelaborato proprio uno schema del genere

e dopo diversi tentativi con le varie sigle

e definizioni l'hanno chiamato le sette «S».

Esso individua sette variabili interdipendenti

all'interno dell'azienda: struttura, strategia,

sistemi, staff, stile, skills (abilità) e shared

values (valori condivisi).

utilizzato come base per il loro Le sette S,

ovvero l'arte giapponese di gestire con 

successo l'azienda  (si veda p. 100). In questo

libro essi affermavano che i manager

americani tendevano a concentrarsi

eccessivamente sugli aspetti «hard» e che,a differenza dei loro omologhi giapponesi, non

erano particolarmente bravi in quelli «soft».

Peters e Waterman ritenevano che le sette

«S» potessero ricordare ai manager

professionisti che «il soft è hard».

Lo schema diceva loro: «Tutte le cose

che avete trascurato per tanto tempo,

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values (valori condivisi).

Le prime tre variabili (struttura, strategia e

sistemi) rappresentavano l'«hardware»

dell'azienda, e le altre quattro il «software».

Richard Pascale e Anthony Athos, che hanno

contribuito ad elaborare il concetto, lo hanno

che avete trascurato per tanto tempo,come l'organizzazione informale considerata

ingestibile, irrazionale, intuitiva, possono

essere gestite... Sarebbe sciocco ignorarlo,

e per di più ecco anche un modo per

rifletterci sopra».

Pubblicato nel 1982, Alla ricerca dell' eccellenza si basava su un a metod ologia semp lice,

che contr ibuiva al fascino del l 'opera. Gli autori avevano selezionato una ser ie di

aziende in base a del le «misure del la sup eriorità di lun go periodo», esam inan d o su un

arco di ven ti an ni la cresci ta comp osi ta d el le at t ivi tà e dei t i toli , i rapp ort i t ra valore

di mercato e valore contabi le , e la reddit ivi tà del capi tale invest i to , del capi tale

propr io e de l le vendi te . Al t r i c r i t e r i e rano la g radua tor ia e l ' innova t iv i tà de l leindustrie. Da questa corsa a ostacoli alla fine erano uscite illese 43 aziende, 14 delle

qual i spiccava no per i l bu on a nd am en to da tut t i i pu nti di vis ta: Boeing , Caterp i l lar ,

Dana, Delta Air l ines, Digi tal Equipment , Emerson Electr ic , Fluor , Hewlet t-Packard,

IBM, John son &. John son , McDona ld ' s , Procter &. Ga m bl e e 3M.

1938 1960 1981 1982 anni '90Leadership Teorie X e Y Il management Eccellenza Gestione delle relazioni

(e teoria Z) giapponese organizzativa con i clienti

 

Abbastanza giusto da essere sbagliato Gli autori osservavano

che la professionalità nel management veniva spesso intesa come «razionalitàpratica». Si riteneva che dei manager professionisti con una buona formazionealle spalle potessero gestire qualsiasi cosa, che tu tte le d ecisioni p otessero esseregiustificate da un'analisi distaccata. Ciò era tanto giusto da essere pericolo-samente sbagliato, sostenevano gli autori, e aveva portato l'America fuori strada.

«Non ci insegna ad amare i clienti», dicevano. «Non rivela conquanta forza i dipendenti possono identificarsi con il loro lavoro

se d iamo loro un m inim o di approvazione». Poi criticavan o le altrepratiche - controllo di qualità motivato dalle ispezioni anzichédalla propria convinzione, l'incapacità di allevare produci cham-

 pions, ossia dei promotori interni del prodotto, la mancanza diossessione per l'assistenza ai clienti. La razionalità «non mette inluce, come dice Anthony Athos [professore di amministrazioneaziendale a Harvard] che "un buon manager produce significato

per le persone, oltre che sold i"». Peters e Water m an d iscutevan o

( Serv iz i , qua l i tà ea f f i d a b i l i t à so n o

s t r a t e g i e f i n a l i z z a t ea l l a f e d e l t à e a l l a

c resc i t a de l f lu ssode i r i cav i d i lungo

per iodo. JTom Peters e Robert

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p p ,anche la visione negativa che molte aziende hanno del propriopersonale. Vogliamo essere contenti di noi stessi e il numero di

coloro che si ritengono migliori della media è molto al di sopra della media. Male aziende fissano obiettivi impossibili, sanzionano la minima mancanza e

uccidono lo spirito di chi promuove le innovazioni anche quando le invocano.Le aziende «eccellenti» non si comportano in questo modo. I due consulenti

hanno individuato otto attributi comuni che hanno caratterizzato le pocheimprese prescelte:

1. Predisposizione all'azione - sono po rtate ad agire. Possono aver adot tato unapproccio analitico per quanto riguarda le decisioni, ma non si sono lasciateparalizzare. In molte di esse la procedura operativa standard era del tipo: «fallo,correggilo, provalo».

2. Vicinanza con il cliente - hanno imparato dalle persone per le quali lavorano,offrendo qualità, servizi e affidabilità (virtù efficaci e durature) senza paragoni.Molt e ha nn o m atur ato le loro migliori idee sui prod otti grazie all'attent o ascoltodei clienti.

3 . Autonomia e imprenditor ia l i tà - hanno incoraggiato leader e innovatori esono state fu cine di prom otori in tem i. No n h an no tenu to le briglie così tirate al

personale da impedirgli di essere creativo, hanno invece incoraggiato l'as-sunzione di rischi e sostenu to i tenta tivi validi.

4. Produttività attraverso il personale - hanno trattato il lavoratore comune

come la fonte primaria della qualità e degli incrementi di produttività. Non

Tom Peters e RobertWaterman, i r e

 

eccellenza organizzativa I 148

hanno assunto un atteggiamento di distacco tra «noi» e «loro» sul

lavoro e non hanno considerato l'investimento di capitali come la

principale fonte di miglioramento della produttività - hanno avuto

rispetto per gli individui.

5. Partecipazion e e attenzion e al valore - Thomas Watson dell'IBM

e William Hewlett della Hewlett-Packard erano leggendari per illoro stile di manag emen t basato sul con tat to d iretto. Ray Cro c dellaMcDonald's visitava regolarmente i punti vendita e ne valutava larispondenza ai criteri cari alla catena del fast food in materia diqu alità, servizio, pulizia e v alore.

6. Restare nel seminato - l'ex presidente della Joh ns on & Joh nso n,

Robert Johnson, era solito dire: «Non comprate mai un'azienda che non sapetegestire» Edward Harness ex AD della Procter & Gamble affermava: «Quest'a-

 € A r r i v a u n ab u o n a n o t i z i ad a l l 'A m e r i c a .L e p r a t i c h e

d i b u o n a g e s t i o n en o n e s i s t o n osolo in Giappone. JTom Peters e Robert

Waterman, 1882

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p pgestire». Edward Harness, ex AD della Procter &. Gamble affermava: «Quest a-

zienda non si è mai allontanata dalla sua base. Cerchiamo di essere tutto meno

che un conglomerato».

7. Forma semplice, dirigenza snella - nessuna delle aziende eccellenti era orga-nizzata come una struttura a matrice (in cui il personale riferisce sia al projectmanager che al function manager). Esse disponevano di strutture e sistemi

«semplici ed eleganti» e di uno staff dirigenziale snello.8. Approccio elastico - eran o sia centralizzate che d ecent rat e, per lo più spin-

gevano l'autonomia fino al livello di fabbrica o di sviluppo del prodotto. Ma

quand o si trattava d ei po chi aspetti cui attribu ivano maggiore importanza, erano

fanatiche accentratrici.

Purtroppo, in molti casi l'eccellenza non è durata a lungo. Nei cinque anni suc-

cessivi i due terzi delle aziende che figuravano nell'elenco hanno avuto problemidi varia natu ra e si erano p raticamen te ritirate dall'attività. La cosa non è sembrata

grave. Peters e Waterman avevano ispirato una generazione di uomini d'affari

abituata a pensare che migliorare fosse possibile, e molti dei loro consigli sono

validi oggi come ieri. I due da allora hanno seguito carriere diverse come autori,

Peters è diventato una specie di superstar, e ciò gli ha permesso di scrivere il suo

terzo libro, Thriving on Chaos, con il sottotitolo: Non esistono aziende eccellent i.

idea chiaveGli otto attrib u ti

delle aziende eccellen ti

 

3 6 EsternalizzazioneNel 2003 la Pro cter & Gam ble ha lasciato alcun i di stu ccoesternalizzand o le sue fun zioni informatiche alla H ewlett-Pack ard, il d ip art im en to r isorse um an e alla IBM e la gestionedegli imp ianti al la Jon es Lang LaSalle. Second o i l suoragion am en to, gli specialist i dei diversi p rocessi sarebb eroriu sciti a m igliorare l 'efficienza e il servizio. Non solo n on èsta t a delusa , m a è s ta ta add ir i t tura p iacevolmen te sorpresadall 'enti tà del miglioramento. Fin qui l 'esperimento è statoun classico esemp io del p erch é i l m an agem en t si r ivolgeall 'esternalizzazione.

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all esternalizzazione.

Non tutte le esternalizzazioni rientrano in questa descrizione, al contrario. Molti

di coloro che ci hanno provato dicono che sono difficili da mandare in porto, e

il tasso di insu ccesso resta alto - tra il 40 % e il 70%, a secon d a di ch i si int erp ella.

Una serie di evidenti infortuni occorsi in fase di esternalizzazione a grandi

imprese com e la Dell e la Lehm an Broth ers (che h an no re intro d otto gli help

desk all'interno dell'azienda) e la JP Morgan (che ha recuperato le sue funzioni

informatiche), hanno sollevato dubbi sul fatto stesso che questa pratica possa

avere un futuro. Anche alcuni enti pubblici britannici hanno fatto a loro volta

una triste esperienza con i rispettivi progetti di trasferimento a terzi delle loro

funzioni informatiche. Eppure, il volume delle esternalizzazioni continua ad

aumentare, così come le tipologie di lavoro interessate.

Può essere difficile da realizzare, ma non è un'idea complicata. Esternalizzaresignifica trasferire a terzi una determinata funzione, forse un intero processo. Se

pagate qualcuno per venire ad innaffiare le piante nella reception, state effet-

tua nd o una esternalizzazione, anch e se qu an to a difficoltà di attuazion e si colloca

su un grad ino basso della scala. In teoria, l'esternalizzazione è an tica quasi qu ant o

la produzione industriale. Affidare a un fornitore la realizzazione di componenti

linea del tempo1950 1960Gestione della catena Alleanze strategichedell'offerta

 

( I I n u m e r o d i p o s t i d i l a v o r o n e l l ' i n d u s t r i am a n i f a t t u r i e r a s t a t u n i t e n s e è d i m i n u i t o, m a

q u es to h a poco a ch e ved e re con l ' e s t e rn a l i zzaz ion ee m ol to con l ' inn ovaz ion e tecn olog i ca . 5

Watter Williams, 2005

è un'estemalizzazione, strettamente parlando, ma non è ciò che generalmente si

intende con questo termine. Ci si riferisce piuttosto al dare in appalto servizi e

processi.

La pratica ha preso slancio negli anni '80 e nei primi anni '90. L'analisi della

catena del valore (si veda p. 188) di Michael Porter stava trovando seguito

all'epoca e si manifestavano i primi segni di un ritorno strategico al nucleo (si

veda p. 36). Qual è il nucleo delle nostre attività e dove aggiungiamo valore, si

chiedeva il management. La domanda logica che sorgeva era: se non si pos-i d ti l i bilità l d t i t f i d

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siedono particolari abilità per svolgere una determinata funzione ed essa non

aggiunge valore, perché realizzarla? Qualcun altro potrebbe farlo meglio e, pro-

babilmente, a un costo inferiore.

Gestire la men sa I servizi inform atici sono st ati un a prima forma d i ester-

nalizzazione per coloro ch e no n p oteva no p ermettersi capa cità o temp i di calcolo,

e le TI restano attualmente una delle funzioni più esternalizzate. I candidati suc-cessivi erano i servizi, come la manutenzione degli edifici e degli impianti

aziendali, o la gestione d ella m ensa. E d iventa ta p rassi da parte d ell'app altante

utilizzare almeno parte del personale che svolgeva in precedenza le mansioni

esternalizzate all'interno dell'azienda e, se vi erano dei beni connessi, acquistare

anche quelli.

Le aziende hanno progressivamente familiarizzato con il concetto e cominciato

a fidarsi dei vari fornitor i, iniziand o a trasferire interi p rocessi aziend ali, a partiredalla gestione d elle paghe, dall'immissione d ati e dalle richieste di risarcimento

in campo assicurativo. Questa era l'«esternalizzazione dei processi aziendali», o

BPO (dall'inglese business process outsourcing). L'esternalizzazione delle TI (ITO,

dall'inglese information technology outsourcing) rappresenta un sottoinsieme della

anni '70 1983 1985 1990Esternahzzazione Globalizzazione Catena Nucleo

del valore di competenze

 

( L a m a g g i o r a n z a d e g l i a m e r i c a n i ( 7 1 % )a f f e r m a ch e e s t e r n a l i z z a r e i l l a v o r o a l l ' e s t e r o

«nuoce a l l ' economia amer icana» . J

Foreign Policy flssociation/Zogby International survey, 2004

BPO . Il prin cipio si è poi esteso ad altri p rocessi come la fattu razione, gli acquisti

e gli aspetti finanziari - qu ello che gli ap paltator i indian i chiam an o lavoro «n on -

voice». Lungo un altro percorso ha poi interessato, come è noto, anche la

gestione delle relazioni con i clienti e l'assistenza tecnica attraverso cali center,

spesso ubicati in altri paesi.

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Alcuni lo chiamano off-shoring, o ridislocazione, anche se i puristi insistono sul

fatto che il termine indica il trasferimento all'estero di una parte dell'azienda

senza rinunciare alla sua proprietà. Contrattare un cali center di Calcutta

affinché gestisca i rapporti con i propri clienti è semplicemente un'esternaliz-

zazione all'estero. Sia come sia, è una questione delicata, sia dal punto di vista

politico che da quello delle persone che perdono il posto di lavoro; a differenzadi qua nto av viene con l'estemalizzazione all'intern o del paese, esse non possono

sem p licement e attraversare la strada e and are a lavorare presso il nu ovo forn itore

di servizi.

La BPO riguarda per lo più lo svolgimento di processi di routine, anche se in

alcune strane nicchie. Un fornitore di servizi esternalizzati di Londra gestisce le

richieste di rimborso spese dei dipendenti via Internet. La cosiddetta «estema-

lizzazione dei processi della conoscenza» trasferisce capacità intellettiva, sotto

forma di abilità te cnich e e nel camp o della ricerca e d ell'analisi.

Quali benefici si aspettano le imprese? Per quelle che avvertono la crisi, la

vend ita di beni p atrim oniali e la ridu zione degli esborsi dovu ti alle paghe possono

essere un motivo sufficiente a innescare il cambiamento, anche se gli esperti nel

campo dell'esternalizzazione direbbero che si tratta di una cattiva decisione.

Tuttavia, esternalizzare porta a una riduzione dei costi, perché il fornitore hadelle migliori economie di scala o perché, nel caso l'attività venga trasferita

all'estero, il costo del lavoro è in feriore. Tra gli altri mo tivi d ecisivi ci sono qu elli

di effettuare il lavoro in m odo più efficient e o efficace e di ott en ere u n più stret to

controllo sul bilancio attraverso costi più prevedibili.

Il mantenimento della qualità e la segretezza delle informazioni sono preoccu-

pazioni costanti per molte imprese, e i risparmi sui costi non sono così cospicui

 

esternalizzazione I 147

( [Esternalizzare] significa semplicementech e se il lavoro pu ò es se re fatt o all 'estern o m eglio

che all 'interno, allora dovremmo fare così. 9 Alphonso Jackson, 2003

come alcuni si aspettano, e qu esto è il motivo p er cui esse han n o bisogno di unaccurato quadro della situazione aziendale per giustificare il cambiamento. Qua-lunqu e sia il prezzo ind icato dal con tra tto , gli specialisti sostengon o che chi ester-nalizza dovrebbe calcolare in più un 10% per il raggiungimento e la gestionedell'accordo, e circa il 65% se l'attività vien e trasferita all'estero, a causa dei costidi viaggio e della complessità della mediazione culturale. Altri costi possono

riguardare il benchmarking, l'analisi necessaria a stabilire che si tratti d avvero d ellascelta giusta e gli esub eri Il period o di transizione la valle della d isperazione

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scelta giusta, e gli esub eri. Il period o di transizione - la «valle della d isperazione»per alcun i membri d ell'azienda - pu ò durare da pochi m esi a un p aio d'anni ed èspesso caratterizzata da u n cal o d ella produ ttività qu and o le cose si stabilizzano.

Polarizzare il mercato II mer cato d ei forni tori d i servizi estemalizzati si

sta polarizzando, come accade di solito ai mercati, attorno a un numero ridotto

di grandi fornitori multiservizi in patria e all'estero e a una massa di piccoli for-nitori specializzati. Con il temp o la situazione potrebb e evolvere fino a p resentare

menu di servizi à la carte, di più facile accesso rispetto alle offerte attuali.

Se l'India domina il mercato estero, in particolare per le attività legate al

software, altre destinazioni popolari sono l'Irlanda, le Filippine, la Russia, la

Polonia, e la Repubblica Ceca. Tuttavia si è già attivato anche un flusso di

ritomo con piccoli fornitori che spuntano fuori nell'America rurale.

La legge ferrea è non esternalizzare mai la strategia. A parte questo, c'è qualco-

s'altro che non possa essere estemalizzato? Probabilmente no. Il più utile con-tributo dell'estemalizzazione alla pratica gestionale risiede forse nel fatto chegrazie ad essa si sta radicando la prassi di esaminare assolutamente ogni aspettodell'attività aziendale e chied ersi: «Dobb iamo d avvero farlo?».

idea chiaveDobbiamo davvero farlo?

 

3 7 Project

managementAl giorno d'oggi tra gli alti dirigenti aziendali ci sono piùavvocati, contabili e laureati in economia e meno ingegneri.I l declino della f igura d ell ' ingegnere com e ma n ager va di par ip asso con la r idu zione del p eso della fabb ricazione ind ustr iale

nelle economie sviluppate. Tuttavia c 'è molto che i managerpossono imparare dall 'umile e oscura att ività del project

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possono imparare dall umile e oscura att ività del projectm an agemen t , p ianif icando p roget t i comp lessi e por tandot icon tutte le energie a conclusione.

Un progetto è molto diverso da un processo. Un processo svolge ripetutamente

la stessa funzione per ottenere un prodotto o un servizio. Un progetto èun'impresa singola, con un inizio e una fine chiari, generalmente volta a dar vitaa qualche cambiamento utile o ad aggiungere valore - di solito costruire unnuovo impianto o creare un nuovo prodotto. Le abilità richieste per portare atermine un progetto con successo non sono le stesse che occorrono per gestireun processo, e così il project management si è trasformato in una disciplina a sé.

I progetti coinvolgono risorse come dipendenti, fondi e materiali, che devono

essere organizzati e gestiti allo scopo d i otten ere un d eterm inato risultato. La parte

difficile è porta re il pro getto a com p imen to en tro un t erm ine sp ecifico, a un costo

determinato. Vari strumenti sono stati escogitati per aiutare i project manager a

svolgere questo compito che richiede inevitabilmente molto impegno. I più

duraturi sono stati sviluppati nelle industrie chimiche e della difesa americane.

Henry Gantt, un collega di Frederick Taylor, l'inventore dell'organizzazione

scientifica del lavoro (si veda p. 152), è generalmente considerato il padre delproject management. Egli è più famoso per il diagramma di Gantt, un diagramma

linea del tempo

Organizzazione scientifica del lavoro

 

a colonne articolato in giorni, settimane o mesi che ancora oggi permette ai

supervisori di sapere a colpo d'occhio se il loro progetto procede o meno secondoi tempi stabiliti. Ma solo negli ann i '50 sono comparsi du e dei più not i strum enti

per il p roject m an agem ent - il criticai path method  (CPM), o metodo del percorso

critico, e la programme evaluation and review technique (PERT), o tecnica di valu-

tazione e revisione del programma.

Metodo d el percorso critico Questo metodo è stato escogitato dai

ricercatori alla DuPont e alla Remington-Rand per gestire l'attività complessadell'arresto degli imp ianti, a scopo d i manu tenzione, e del loro successivo riavvio.Il CPM inizia tracciando un diagramma del progetto, che indica i tempi richiestiper portare a terminare ciascuna delle attività previste. Il diagramma poi segnalaquali sono le attività critiche per far marciare il progetto secondo i tempi - equali non lo sono. Funziona nel modo seguente:

1. Definire le singole attività.

2. Elencarle in ord ine di esecuzione - alcun e non possonoessere a iate finché certe altre non sono state portate a

6 La comunicaz ione

a senso un ico nonf u n z i o n a Bi so g n a a v e r e

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essere avviate finché certe altre non sono state portate atermine.

3. Delineare un grafico delle attività o diagramma dei

flussi che mostri ogni attività in rapporto alle altre.

4. Stimare il tempo necessario per effettuare ogni attività.

5. Individuare il percorso critico. Ossia, l'itinerario at-traverso la rete - il diagramma - che richiede più tempo.

Nessuna d elle attiv ità ch e si trova su questo percorso pu ò

essere ritardata senza ritardare anche l'intero progetto.

I compiti che non rientrano nel percorso critico possono anche sforare i tempi

- fino a un certo pu nto - senza procrastinare la data di comp letam ent o d ell'intero

progetto. Qu esta deriva verso l'abband ono d elle attività non critiche viene d etta

anche «fase di stagnazione» o di «galleggiamento». Le attività che si trovano

lungo il percorso critico, invece, non stagnano affatto. Accade spesso che il dia-

gramma riveli più di un p ercorso critico - infatti, i p roject manag er aman o d ire

che il prog etto perfettam ente equ ilibrato si trova tu tto sul percorso critico. Grazie

al grafico CPM, i project manager sanno quanto tempo occorrerà al loro progetto

f u n z i o n a . B i so g n a a v e r eu n a c o m u n i c a z i o n eb iun ivoca se s i vuo lech e l e p e r so n e a g i s c a n ot e m p e s t i v a m e n t e .La p ian i f i caz ioneè una conver saz ione . JHai Macomber, 2002

1938Leadership

anni '50Project management

 

La tiran n ia del trian goloTutti ¡ proget ti sono sogget ti a limiti , e i tre principali costit uiscono un tri ango lo

- il «triangolo del project management». Non è possibile modificare un lato del

tri ang ol o senza esercitare un effe tto sugli altri due. I tre limit i princi pal i sono :

Tempo - il fattore più difficile da controllare

Costi - aumentano quando si dà più importanza al tempo

Campo d'azione - ciò che il progetto dovrebbe realizzare

Gestirli tutti e tre non è facile. Come dicono i cinici: «Sceglietene due tra questi:

ben fatto rapido o economico»

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ben fatto, rapido o economico».

complesso per essere completato, e quali compiti sono di importanza assolu-

tamente vitale per rispettare le scadenze. Nel diagramma il percorso critico è

qu ello che va dal comp ito 1 al comp ito 3 e poi al 5. Ciò comp orta una pausa ditre giorni sul percorso del compito 2, seguito dal 4 e poi dal 5.

Un a volta individu ato il percorso critico, i p roject m anager aggiungono le infor-

mazioni sui costi di ciascuna attività, e su quelli necessari ad accelerarle, e pos-

sono d ecidere se vale la pen a di accelerare l'in tero p rocesso - e in tal caso d efinire

un piano ottimale. Suona tutto molto promettente, ma il CPM ha i suoi limiti.

E un mod ello determ inistico n el senso ch e i risultati sono p redeterminatidai dati che v i vengon o immessi - in questo caso i

tempi di completamento dei compiti critici.

Cambiateli, e cambierà il risultato. Ciò si-

gnifica che il CPM riesce a tenere

conto della complessità, ma è

più adatto per dei progetti di

routine con tempi di realiz-zazione prevedibili. Un errore può

mettere a repentaglio l ' intero progetto.

Qu ind i, se i temp i di realizzazione sono men o

certi, la PERT è uno strumento più conven iente.

Tecnica di valutazione e revisione delp r o g r a m m a La PERT è un p rodo tto de ll'indus tr ia a mer ica na

Percorso critico

13 giorni

Percorso più breve

10 giorni

 

della difesa, elaborato dall'agenzia di consulenza sul management Booz Alien

Hamilton a metà degli anni '50 per essere utilizzato sul sottomarino nuclearePolaris. Presenta d elle analog ie con il CP M e con tien e l'idea del percorso cr itico,

ma consente delle approssimazioni per quan to riguarda i tempi di comp letamen to

dei singoli compiti.

Come il CPM, la PERT è imperniata su un grafico, il diagramma del reticoloPERT. Esso raffigura le attività, rappresentate da linee dette «archi», e le pietre

miliari, rappresentate da piccoli circoli chiamati «nodi». Le pietre miliari (avolte dette «event i») segnano il comp letamen to di un 'attività.

Le pietre m iliari sono nu merat e di dieci in dieci, in mod o ch e

se ne possano inserire di nuov e senza dov er rinu merare tu tto

il grafico. Quest'ultimo somiglia molto al diagramma CPM,

con la differenza fondamentale che permette tre stime tem-

porali diverse. Qu este sono:

• Tempo ottim istico - il temp o più breve ent ro il quale il comp ito può essere

t t t i t tt li d l i t (O)

C U n p r o g e t t o d i d u ea n n i n e r i ch i e d e r à t r e ;u n o d i t r e a n n i n o nf in i r à ma i . 9

 Anonimo

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portato a termine, se tutto va meglio del previsto (O).

• Temp o pessimistico - il più lungo tempo di comp letament o, supponend o chetutto vada storto (P).

• Tempo più prob abile - esat tam ente ciò che indica l'espressione (PP ).

Il project manager può quindi calcolare il tempo atteso, che è il tempo medio

qualora il compito venisse ripetuto continu am ente per un periodo prolungato.Secon d o la formula, temp o atteso = (O + 4PP + P)/ 6.

Anche questa volta il percorso critico del progetto viene stabilito aggiungendo

i tempi richiesti dalle attività in ogni sequenza per individuare il percorso più

lungo. Questi sono i compiti che vanno svolti rispettando i tempi se si vuole

completare il progetto entro la scadenza fissata.

Nell 'arsenale del pr oject man agem ent, l 'arma del percorso critico man tiene lastessa importanza di sempre, non da ultimo per chi lavora nell'industria del

software. La principale differenza è che mentre i calcoli del percorso critico

una volta si facevano con carta e penna, oggi c'è un pacchetto software che lo

fa per voi.

idea chiaveCercare di portarea termine il progetto

 

3 8 L'organizzazionescientifica del lavoroI l management è un 'ar te o una scienza? I l dibatt i to non ènu ovo e nep p u re concluso. Di recent e i sosten itori dell 'opzione«ar te» han no r iguad agn ato in p ar te i l ter reno perd uto ,m a nel XI X secolo l ' in gegn er Fred erick Winslow Taylor è sta toil p rim o ad attr ib u ire al m an agem en t i caratt er i d ella scienza.Secondo Peter Drucker, guru dei guru del management,

Taylor merita un posto accanto a Darwin e Freud nella schieradi coloro che han no plasm ato il mon do mod erno.

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Taylor riteneva che la produzione fosse soggetta a leggi universali indipendentidal giudizio umano. Era compito dell'organizzazione scientifica del lavororivelarle e scoprire «l'unico modo giusto» di fare le cose. Poteva trattarsi delmod o m igliore di spalare il carbon e, di fissare un bu llone o di eseguire il contr ollo

di qualità. Al giorno d'oggi Taylor, al di fuori delle facoltà di Economia, èampiamente dimenticato. Quando ne riaffiora la memoria in genere è per leragioni peggiori. Egli è stato il prim o a fram men tare il lavoro in piccoli segmen ti,

( Ques to a r t i co lo è s t a toa misurarli e a rimetterli insieme in modo che fun-

. . zionassero in mo d o più efficient e. Si d ed icava con

scr i t t o ... p e r d i m o s t r a r e passione all'eliminazione degli sforzi inutili e ha

ch e il m a n a g e m e n t inventato l'analisi dei tempi e delle fasi di pro-

m i g l i o r e è u n a a u t e n t i c a duzione, o cronotecnica. In breve, è stato il primosc ienza , che s i fonda S U e s P e r t 0 mondiale di efficienza, e a volte è stato

dipinto come l ' inventore di tutto quanto c 'è dipeggio nella vita in fabbrica. Per alcuni - i sinda-calisti ma rxisti ne son o l'esemp io p rincipale - «tay-

l egg i , no rme e p r inc ìp iben de f in i t i . 5

Frederick Winslow Taylor, 1911 lorismo» è ancora una parolaccia, sinonimo di uno

linea del tempo

1911Organizzazione

scientifica del lavoro

 

stile di management improntato allo sfruttamento e alla trasformazione dell'o-

peraio in m acchina . Tutt avia, Taylor riteneva che il suo metodo avr ebbe p ortatovantaggi anche agli operai (e va detto in suo onore che è stato anch e l'invent ore

della pausa fumo e della cassetta dei suggerimenti).

È impressionante quan te teorie sul ma nagem ent vengan o prod otte oggi da gente

che in vita sua no n h a fatto un solo giorno di «lavoro» - ossia produ rre o vend ere

cose. La mod erna teoria del ma nagem ent è dom inata d ai professori u niversitari

e dai consulenti, più che dai manager. Ma Taylor ha elaborato le sue teorie nel

luogo in cui intendeva applicarle, in fabbrica.

Nato in una famiglia quacchera benestante della

Pennsylvan ia, Taylor è stato costretto d alla d ebole

vista ad abbandonare le speranze di una carriera

accademica per diventare invece apprendista ad-

detto allo stampaggio presso le acciaierie locali. Di

notte studiava ingegneria meccanica e alla fine èdiventato ingegnere capo dell'impresa. Nel corso

( I I p r in cip a le ogge t tod e l m a n a g e m e n t d o v re b b ee s s e r e q u e l l o d i g a r a n t i r el a m a s s i m a p r o s p e r i t àa l d a t o r e d i l a v o r o a s s i e m ea l l a m a s s i m a p r o s p e r i t à

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del tempo ha inventato diversi dispositivi, ha modi-

ficato numerosi processi in modo da aumentarne

l'efficienza e ha pubblicato un articolo che elevava

il taglio dei metalli al rango di scienza.

Molteplici e varie Infine, ha rivolto la sua attenzione agli operai stessi.Proba bilmen te è d ifficile rendersi cont o di qu an to sia stata am pia la sua influenzasenza sapere come si svolgeva in precedenza la produzione industriale. A quei

tempi, il lavoro veniva per lo più realizzato da artigiani specializzati che, comeTaylor, avevano seguito un percorso di appren distato. Le tecnich e e mod alità dilavoro erano m olteplici e varie quan to coloro che le applicavano. La produ zioneveniva effettua ta in m igliaia di piccole officine ed era, second o qu alsiasi stand ard,

disperatam ente inefficiente. I manager, da pari loro, avevano ben p ochi cont att icon gli operai, che erano gestiti dai capi-officina. Forza lavoro e dirigenza si dete-stavano e spesso si guardavano con ostilità.

Taylor si era reso conto di tutto ciò e aveva deciso di applicare i metodi scien-

tifici al lavoro e alla sua gestione in modo da migliorare la produttività. Una

a l l a m a s s i m a p r o s p e r i t àde l l avo ra to re . JFrederick Winslow Taylor, i s n

1960Teorie X e Y

(e teoria Z)

1993BPR (Business processreengineering)

 

Henry Ford e la catenadi montaggioL'eredità più influente del taylorismo è stata

il fordismo. L'ingegner Henry Ford aveva

cominciato a fabbricare il suo famoso

Modello T di automobile nel 1908, al prezzo

di 950 dollari. Il suo scopo dichiarato era

costruire un'auto per la «grande moltitudine»,

ma per la grande moltitudine quel prezzo era

eccessivo. Nei cinque anni seguenti egli

aveva poi introdotto gradualmente quattro

princìpi per ridurre i costi - il flusso continuo,

la divisione del lavoro, le parti intercambiabili

e un minore spreco di energie.

Ispirato dagli impianti di imballaggio della

ai lavoratori su un nastro semovente essi

avrebbero perso meno tempo a spostarsi

da una parte all'altra dell'officina. Sfruttò le

idee di Taylor sull'assegnazione dei compiti

-suddividendoli ip piccoli segmenti -

e scompose l'assemblaggio del Modello T

in 84 operazioni. E assunse Taylor per

realizzare lo studio sui tempi, e per stabilire

il ritmo e i movimenti esatti dei lavoratori.

La catena di montaggio è stata infine

commissionata nel 1913, riducendo il tempo

di produzione per veicolo da 728 a 93 minuti.

Quando la produzione del Modello T è

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carne di Chicago e dal ricordo del nastro

trasportatore di un mulino, gli venne in

mente che se il lavoro fosse stato portato

cessata nel 1927, Ford ne aveva venduto 15

milioni di esemplari, al prezzo di 280

dollari ciascuno.

delle cose che aveva osservato nell'industria dell'acciaio era il modo in cui glioperai agivano d eliberatam ente al di sotto delle loro cap acità. Un atteggiamento

usualmente detto «battere la fiacca». Taylor riteneva che sia esso che la bassa

produttività avessero varie cause. Gli operai ritenevano che se avessero lavorato

sodo ci sarebbe stato meno bisogno di loro e alcuni avrebbero perso il posto. Il

sistema prevedeva una remunerazione identica a prescindere dalla produzione

individuale. Perché lavorare di più se non era necessario? E i metodi «fai da te»

con cui gli operai affrontavano i loro compiti comportavano molti sprechi.

Taylor com in ciò a sperim entare mod i per trovare il livello di prestazioni ottim ale

per certi lavori, trasformandosi nello strano uomo con il cronometro e il taccuino

in man o. Avrebbe sezionato i diversi comp iti fino a ridu rli alle comp onen ti ele-

mentari, misurando i relativi tempi di esecuzione fino alle frazioni di secondo,

individuand o le pr atiche più prod uttive - «avvita quel bullone in 16,4 secondi».

Chiamava i suoi esperimenti «studi sui tempi» e, altro aspetto importante, eraconvinto che i salari dovessero basarsi sul rendimento.

Spalare L'esperimento più noto di Taylor riguardava l'azione dello spalare.

Aveva sta bilito che il peso ottimale ch e un operaio dov eva sollevare con la pala

 

- il peso che gli avrebbe p ermesso di lavorar e più a lun go senza stancarsi - era di

21 libbre e mezza. Materiali come il carbone e il ferro hanno densità diverse,quindi il rispettivo peso ottimale comporta volumi diversi. Agli operai vennero

fomite pale adeguate e, come previsto, la produttività raggiunse livelli quasi qua-

drupli. La paga aumentò di conseguenza - Taylor era convinto che si dovesse

pagare di più per un prodotto maggiore. Ma il numero di spalatori si ridusse da

500 a 140, quindi gli operai forse avevano ragione ad essere diffidenti.

Il metodo scientifico, egli affermava, si applicava «a chi è al comando dell'a-zienda» esattamente come all'operaio. «In passato veniva prima l'uomo, in futurodeve venire prima il sistema», scriveva con orwelliana mancanza di ironia. Iqu attro obiett ivi d ell'organizzazione scientifica del lavoro eran o i seguenti:

• sostituire i metod i di lavoro intu itivi con m etodi individuati scientificam ente;

• selezionare, addestrare e far sviluppare i lavoratori in mod o scientifico, anzichélasciare che si formino da soli;

• sviluppare lo spirito di collaborazione tra operai e dirigenti per garantire chesi seguano i metod i elaborati scientificam ente;

i ti il l t i i tità i li di d h

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• ripartire il lavoro tra man ager e operai in qua ntità quasi uguali, di modo ch ei primi pianifichino il lavoro scientificamente, e i secondi eseguano i lorocompiti.

Taylor ha enunciato dei princìpi organizzativi che sono divenuti con molto

anticipo i precursori della successiva teoria dell'organizzazione. Essi compren-devano una definizione chiara dell'autorità; la separazione tra fase di pianifi-

cazione e fase operativa; programmi di incentivi per i lavoratori; e la

specializzazione dei compiti.

Le idee di Taylor sono state applicate in molte fabbriche e hanno debitamente

contribu ito all'inn alzamen to della prod uttività. Sono state utilizzate da m anager

senza scrup oli per ridu rre le paghe, e anch e qu and o sono finite in ma ni più cari-

tatevoli hanno certamente aumentato la monotonia del lavoro. Egli, tuttavia, hatrasformato il modo in cui il lavoro viene eseguito e importanti elementi del-

l'organizzazione scientifica del lavoro sopravvivono tuttora. Le risorse umane e

il controllo della qualità sono solo due dei settori aziendali che hanno le loro

radici nella sua opera.

idea chiaveL'unico modo giu sto

 

3 9 Six SigmaLe art i m arziali, l 'alfab eto greco e uri p rod u ttor e elettron ico

am erican o m escolati assiem e in u n a disciplina di controllodei difetti ch e h a con q u istato migliaia di ad ep ti nelle aziend e.Q u esto è Six Sigma. Era sta to elab orato allo scop o di ridu rrei d ifetti e i tem p i d el ciclo prod u ttivo, e a volte ci riesce inm od o molto efficiente, m a oggi i suoi sp on sor lo p rop agan d an ocome sistema di gestione pien amen te in tegrato.

Six Sigm a è stato elabora to negli ann i '80 dalla società di elettr on ica e telecomu -

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nicazioni Motorola. Era parte della risposta di quell'azienda alla devastante con-correnza dei produttori stranieri, in particolare giapponesi. Le vendite andavanoa picco e c'era un'ondata crescente di proteste da parte degli addetti alle venditeper via delle num erose richieste di ind ennizzo dei prod otti in garanzia. Com e rac-contano alla Motorola, il vicepresidente ha guardato negli occhi l'amministratored elegato e gli ha d etto: «A bbiam o un a qualità ch e fa schifo». I du e h an n o poi sta-bilito che occorreva decuplicare la qualità nell'arco dei dieci anni successivi.

Il compito di realizzare tale obiettivo è toccato a Bill Smith, ingegnere e

scienziato della divisione telecomu nicazioni della Motorola. Egli ha riu nito un a

serie di metodologie esistenti, in gran parte d erivanti d alle pra tiche giapp onesi,

e nel 1986 ha introdotto il concetto di Six Sigma che, come diceva l'azienda era

«un nuovo metodo per standardizzare la rilevazione dei difetti; con Six Sigma cisi avvicina alla perfezione». Poiché si è evoluto nel tempo, il suo obiettivo è

diventato ottenere la totale soddisfazione del cliente fornendo il prodotto tem-

pestivam ente e senza difetti, o eccessivi guasti dur ante il fun zionam ento.

Sigma è la «S» dell'alfabeto greco e, in modo abbastanza ironico, nella forma

min uscola si scrive com e se fosse un sei inclina to verso destra. N ei m anu ali di sta-

tistica sigma rappresenta la deviazione standard, una misura dell'ampiezza con laquale un insieme di numeri si discosta dalla sua media. Se la media è un indice

linea del tempoanni '40Produzione snella Six Sigma

 

di qualità, riducendo la deviazione standard si

riduce il numero di prodotti che restano am-

piamente al di sotto di essa.

Per otten ere la qu alifica d i Six Sigma un processo

non deve produrre più di 3,4 componenti

difettosi per milione (che dovrebbe rappresentare

un sigma di 6). La metodologia per modificare i

processi che richiedono miglioramenti incre-

mentali è riassunta nella sigla DMAIC che

indica le fasi importanti del processo:

Definire il pr oblema, stabilire cosa va m igliorato.

Misurare lo stato attu ale rispetto a qu ello desiderato.Analizzare la causa profonda del divario tra essi.

Indurre un miglioramento del processo attraverso il brainstorming, selezionand o

( Pe n s i a m o a S i x S i g m aa t r e l ive l l i d ive r s i :co m e u n i t à d i m i s u r a ,come metodo log ia

e co m e s i s t e m a d i g e s t i o n e .E s s e n z i a l m e n t e , S i xS igma è tu t t e e t r e l e cosea l t empo s t e sso . 5Motorola University

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Indurre un miglioramento del processo attraverso il brainstorming, selezionand o

e applicando la soluzione migliore.

Controllare la sostenibilità a lungo termine dei miglioramenti stabilendo mec-

canismi di controllo, responsabilità e strumenti di lavoro.

Per delineare nuovi processi o prodotti conformi alla qualità Six Sigma c'è lametodologia DMADV - definire, misurare, analizzare, delineare, verificare. Può

essere utilizzata anche nel caso in cui un processo funzioni in modo talmente

insoddisfacente da richiedere più di un cambiamento incrementale.

Cinture I dipendenti devono essere addestrati e certificati per poter applicare

Six Sigma, che ha dato vita a un'industria collaterale di formatori e certificatori. In

concorrenza con loro c'è l'università della stessa Motorola, che offre formazione

alla fonte e servizi di consulenza su Six Sigma. Per m ant enere un 'aria giapp onese,chi ottiene la certificazione prende la cintura verde o nera, cosa che richiede la

formazione sul campo oltre alle ore di lezione. Le cinture verdi sono i fanti delle

squadre imp egnate n el processo di miglioram ento , e le cintu re nere - il corso

relativo presso la Motorola University costa attua lmen te più di 13 000 dollari - so-

no i sottufficiali. Le cinture nere che dimostrano «efficacia ed esperienza» dopo un

certo temp o p ossono ven ire elevate al rango di cintu re nere m aster. Esse affrontano

i progetti di miglioramen to p iù comp lessi e istruiscono le cintur e ner e e verdi.

1992 1993Scheda di valutazione BPR

bilanciata

 

Sigma diventa snelloSix Sigma classico elimina i difetti e aumenta

la qualità. La produzione snella

(si veda p. 112) si concentra sulla rapidità,

l'efficienza e l'eliminazione degli sprechi.

La combinazione di entrambe ha creato

un potente motore di crescita e redditività.Scopriamo Lean Six Sigma.

Ognuna delle due metodologie ha qualcosa

da offrire all'altra. Six Sigma elimina i difetti

ma non affronta la questione di come

ottimizzare il flusso del processo.

La produzione snella si occupa proprio di

questo, ma non comprende gli strumenti

statistici in grado di minimizzare la variazione

del processo. La produzione snella sveltisce

il lavoro e Six Sigma lo migliora. Costruttori

come BMW e Xerox si sono rivolti

a Lean Six Sigma per ridurre i costi

e la complessità o per attuare programmidi cambiamento strategico. Esso viene adottato

anche nel settore dei servizi, ad esempio in

quelli bancari, assicurativi e delle rivendite

al dettaglio, oltre che nelle amministrazioni

pubbliche. Il metodo può essere usato per

legare la strategia a miglioramenti operativi,

per creare valore e fidelizzare i clienti.

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Six Sigma ha avuto le sue recensioni negative, e alcuni puristi della tecnica

sostengono che i suoi risultati possono essere distorti. I suoi sostenitori contro-

batton o che può contem plare qu alche imprecisione, ma che n on è

questo il punto. Funziona, dicono, e assicura benefìci quali una forteriduzione dei costi e degli sprechi, tempi più rapidi nei cicli di pro-

duzione e una maggiore soddisfazione del cliente. Dato che le

modalità di esecuzione sono indicate dettagliatamente, è semplice,

anche se non rapido da attuare. Ma questo metodo, con la sua

cultura incentrata sul cliente e sull'analisi basata sui fatti, è chia-

ramente qualcosa di più di una cassetta degli attrezzi per rimediare

ai difetti di produ zione. An ch e la Motor ola la pensa così. N ei primianni '90 Six Sigma veniva già impiegato nelle industrie non mani-

fatturiere, come quelle dei servizi finanziari, dell'high-tech e dei trasporti. Nel

2002, la Motorola ha messo a punto una nuova versione di Six Sigma che andava

molto al di là del livello di fabbrica, e che definiva come «un sistema completo

ad alte prestazioni che mette in pratica la strategia aziendale». Questo nuovo

Six Sigma - o Six Sigma 2.0, se preferite - prevede le seguenti quattro fasi:

• Or ienta re i dirigenti verso i corretti obiettivi e traguardi creand o una scheda

di valutazione bilanciata (si veda p. 8) di obiettivi strategici, unità di misura

( S ix S igmaf u n z i o n a n e l q u a d r od i u n p r o ce s so

e s i s t e n t e , m a n o nm e t t e i n d u b b i o i l

p rocesso . J

Michael Hammor, 2001

 

e iniziative. Questa individuerà i miglioramenti che

influiranno maggiormente sui ricavi.

• Mobilitare le squadre incaricate del miglioramento,

utilizzando la metodologia DMAIC.

• Accelerare i risultati - il cam biam ent o si realizza

meglio con uno sprint che con una maratona.• Governare i l miglioramento continu o e condi-

videre le buone pratiche con i settori dell'azienda

che possono beneficiarne.

In questo modo, sostiene la Motorola, le aziende

possono accrescere la quota di mercato, fidelizzare maggiormente i clienti, svi-

luppare nuovi prodotti e servizi, accelerare l'innovazione e gestire le mutevolirichieste dei clienti.

Ampliare troppo una buona idea Alcuni hanno espresso scetti-

6 C 'è b isogno d i S ixS igma , no rmale e sne l lo ,p e r i n d i r i z z a r e im i g l i o r a m e n t i n e l l ' a m b i t o

del ROIC* e o t tenerela mig l io re pos iz ionecompe t i t iva poss ib i l e . 5Michael George (AD del George Group)

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p pp pcismo circa quest'ultimo sviluppo dell'evoluzione di Six Sigma. Essi temono cheuna bu ona idea possa dan neggiare la propria reputazione - e rendern e così piùdifficile l'adozione - attra verso eccessivi pro clami circa i risultati ch e può reali-sticamente ottenere. Qualcosa di analogo è accaduto alla riprogettazione dei

processi aziendali (si veda p. 24) verso la fine degli anni '90.

Uno di quelli che si preoccupano che ciò possa accadere è il Dr. Michael

Ham mer, che essendo un o dei fond atori della riprogettazione d ei processi azien-

dali dovrebbe sapere di cosa sta parlando. Come egli ha detto: «Un deraglia-

mento di Six Sigma... sarebbe una tragedia per tutte quelle aziende che

potrebbero beneficiare di un'applicazione razionale e misurata di questa valida

tecnica».Per evitare il disastro, Hammer ha consigliato ai professionisti di elaborare una

prospettiva bilanciata su Six Sigma, ammettendo che non è la risposta universale

a tutti i problemi aziendali. È, egli afferma, solo uno strumento tra tanti, molto

utile per un particolare tipo di problemi.

• Return On lnvested Capital, rendimento sul capitale investito [N.d.T.].

idea chiaveEliminare i difetti

 

4 0 Gli stakeholderI l dest ino d i a lcun e parole è quel lo d i p assare rapid amen teattra verso le fasi in cui prim a sono i llum inanti , d iventanodi m od a, poi se n e comin cia ad ab usare e infine diventan ofrancamente irri tan ti; «stak eh old er» è u n a di q u este. È st atad issem in ata nelle relazioni e u sata a pien e m ani n elledichiarazioni di missione, come se citarla bastasse adimostrare il proprio impegno. Pèggio ancora, i politici se nesono im p ossessati . Pron u n ciato d a loro, i l term in e sem brariferirsi alla p op olazione in gen erale, il ch e con ferisce lorol 'ar ia di p erson e prem u rose e in teressa te sen za che significhip oi m olto. Tb tto ciò è un p eccato , p erch é il concett o origin ario

b i di l l d i i l

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rap p resen ta un camb iamen to radicale nel mod o in cui leaziende vedono, o dovrebbero vedere, se stesse.

Il concetto di stakeholder ha iniziato a diffondersi grazie al libro scritto da R.Edward Freeman nel 1984 Strategie Management: A Stakeholder A pproach. Free-

man sosteneva che le imp rese com mer ciali sarebbero gestite in mod o molto più

efficiente a livello strategico se si tenesse conto di ciò che sta a cuore ai diversi

stakeholder, o portatori di interessi. In altre parole, ciò porterebbe vantaggi a

lungo termine agli azionisti. Successivamente, egli ha detto di aver delibera-

tamente scelto la parola «stakeholder» in contrapposizione a «stockholder», o

azionista. Freeman d efinisce stakehold er di un'organizzazione qualsiasi ind ividu oo gruppo che «può influenzare o è influenzato» dalle sue attività. È una defi-

nizione su fficientement e ampia da comp rend ere an che i concorrenti dell'azienda

stessa, il che sembra eccessivamente generoso. Tuttavia, essa richiamava l'at-

tenzione sul fatto che le aziende vivono in una comunità e che dei buoni vicini

vivono in genere in modo più soddisfacente.

linea del tempo1970 1984Responsabilità sociale d'impresa Stakeholder

 

gli stakeholder I 161

Il concetto ha agitato gli ambienti accademici, ma è anche penetrato nel mondodelle aziende. Un'ulter iore sp inta è venuta d alla Cau x Round Table, un gruppo di

uomini d'affari europei, nord-americani e giapponesi che si sonoriuniti per la prima volta in Svizzera per cercare di trovare una £ JJ COIlCCttOvia d'uscita alle tensioni che affliggevano il commercio interna- [ g i a p p o n e s e ]

zionale. Nel corso dell'incon tro il gruppo ha riconosciuto che le j j j n A / m „ a „i .. 1 - 1 - V 1 1 1 1 . - 1 c u i&yosG M c o o p e r a r egrandi imprese avevano la responsabuita globale di ridurre le " r v

min acce sociali ed economiche alla pace e alla stabilità mondiali P ® ' ^ Dene COffiline — ee, nel 1994, ha p rodot to il p rimo cod ice in temaz ionale d i e tica a m p i a m e n t e C o e r e n t eaziendale - i Princìpi di Cau x (si veda il riquad ro a pagina con un a vi s ion eseguen te) - i p rincìp i dello «stakeholder managemen t». d e l l ' a z i e n d a b a s a t aDare sostanza Un anno dopo, è iniziato in rete uno sugl i s takeholder . 5straordinario progetto quinquennale che coinvolgeva diverse JanieS E. POSt, Lee E. PrCStOII

centinaia di studiosi di tutto il mondo. Si chiamava Ridefinire g SyblllO SaChS, 2002l'azienda; aveva ott enu to u n sussidio dalla Fondazione Alfred P

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l azienda; aveva ott enu to u n sussidio dalla Fondazione Alfred P.Sloan e metteva a fuoco il modello dello stakeholder e le sue implicazioni per lateoria, la ricerca e la pratica del management. Nel 2002 James E. Post, Lee E.Preston e Sybille Sachs hanno pubblicato il libro conclusivo del progetto che

portava lo stesso titolo. Esso invitava le aziende a ripensare i loro scopi e,basandosi sulle esperienze della Cummings Engine Company, della Motorola edella Shell (compreso il noto caso della Brent Spar - si veda p. 47) sviluppavail concet to d i stakeholder.

Gli autori non ved ono l'azienda come una cosa d istinta dagli stakeh older -l'impresa è una «collaborazione tra diversi gruppi e interessi detti stakeholder».La loro tesi principale è che i rapporti specifici tra stakeholder vanno al di là di

un interesse privato lungimirante. Essi sono centrali per la creazione (o ladistruzione) del «benessere aziendale» e, in quan to ta le, per gli scopi e le attiv itàfondamentali dell'impresa. In tal modo lo stakeholder management, definitocome la gestione delle relazioni con gli stakeholder per il mutuo vantaggio, è diimportanza cruciale per il successo dell'azienda.

«Le imprese sono quello che fanno», affermano gli au tori. Le aziende ormai no n

si rifanno più al modello medievale in cui la finalità sociale era centrale. Né

1998Corporate governance 

 

I p rincìp i degli stakeholderIl progetto Ridefinire l'azienda  ha indicato

sette princìpi per il management basato

sugli stakeholder.

1.1 manager devono riconoscere e tenere

costantemente d'occhio le preoccupazioni di

tutti i legittimi stakeholder, e dovrebbero tenere

debitamente conto dei loro interessi nel

prendere le decisioni e nello svolgimento della

loro attività.

2. I manager dovrebbero ascoltare e

comunicare apertamente con gli stakeholder

circa le preoccupazioni e i contributi rispettivi,

nonché per quanto riguarda i rischi che

corrono in virtù del loro coinvolgimento

nell'azienda.

3 I manager dovrebbero adottare processi

dalle attività dell'azienda, tenendo conto dei

rispettivi rischi e vulnerabilità.

5. I manager dovrebbero cooperare con altri

enti pubblici e privati per assicurare che i rischi

e i danni derivanti dalle attività dell'impresa

siano ridotti al minimo e, ove non possano

essere evitati, siano adeguatamente

compensati.

6. I manager dovrebbero evitare del tutto

le attività che possono mettere a repentaglio

diritti umani inalienabili (ad esempio il diritto

alla vita); queste danno luogo a rischi che, una

volta individuata chiaramente la loro natura,

risulterebbero palesemente inaccettabili per

importanti stakeholder.

7 I manager dovrebbero riconoscere

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3. I manager dovrebbero adottare processi

e comportamenti che tengano conto delle

preoccupazioni e delle capacità dei vari gruppi

di stakeholder.

4.1 manager dovrebbero riconoscerel'interdipendenza degli sforzi e delle

ricompense tra gli stakeholder e dovrebbero

cercare di raggiungere un'equa distribuzione

tra essi dei benefici e degli oneri derivanti

7. I manager dovrebbero riconoscere

i potenziali conflitti tra: a) il loro stesso ruolo

di stakeholder dell'azienda e b) le loro

responsabilità legali e morali nei confronti degli

interessi degli altri stakeholder, e dovrebberoaffrontarli attraverso una comunicazione

aperta, un'adeguata attività di relazione e

sistemi di incentivi e, ove necessario,

ricorrendo all'arbitrato da parte di terzi.

dovrebbero segui re l ' a t tua le model lo «propr ie ta r io» che a t t r ibu isce la mass imaimpor tanza ag l i in te ress i p r iva t i deg l i inves t i to r i . Lo scopo de l l ' az ienda è c reare

r icchezza , ma la sua leg i t t im i tà - i l suo s ta tu to soc ia le o « l icenza d i ag i re» -

d i p e n d e d a l l a s u a c a p a c i t à d i s o d d i s f a r e l e a s p e t t a t i v e d i u n v a s t o g r u p p o d i

sogge t t i . Il l egam e t ra r icchezza e respon sabi l i t à è s ta to r icon osc iu to da p iù d i un

secolo e se l ' impresa deve sopravvivere , ess i a f fe rmano, deve ada t ta rs i a l cam-

biamento soc ia le . Gl i au tor i sos tengono che v i sono due rag ioni per cu i occor re

r idef in i re la g rande impresa . Una r i s iede sempl icemente ne l le sue d imens ioni ene l suo pot e re e l ' a l t ra è ch e se da un la to g li az ion is t i ne d e te ng on o i t i to l i , da l -

l ' a l t ro non poss iedono rea lmente l ' az ienda in nessun poss ib i le senso - e non sono

certo gl i unici soggett i fondamental i per i l suo successo. Per loro natura, le grandi

 

multinazionali alterano l'ambiente sociale, politico e fisico in

cui operano, e questi impatti devono essere considerati comeparte del loro prod otto. Del prod otto di un'azienda sono respon-

sabili i manager, e talvolta esso può essere involontario o addi-

rittura dannoso. Anziché provocare interventi governativi

costosi e indesiderati, i manager possono ridurre tali effetti se

sono m otivati a farlo.

Abbandonare il modello proprietario convenzionale, tuttavia,

non significa «la morte dei diritti di proprietà» o «la fine del

valore per l'azionista (shareholder value)». Già nel 1946 Peter

Dru cker definiva «una rozza e vecch ia finzione giurid ica» l'idea

che l'impresa non fosse altro che la somma dei diritti di pro-

prietà degli azionisti. Post, Preston e Sachs afferma no ch e esiste

una somiglianza e una comunanza di interessi tra i soggetti

costitutivi di un'impresa e che essa non può sopravvivere se

non si assume la responsabilità del loro benessere e di quello

della società in cui opera.

Un in teresse U l lO CO II i l d ll d fi i i d li

 € Gli stak eh old erin un 'aziend a sono gliindividu i e i grupp ich e contribu isconovolontariamente omeno al le su e a t t ivi tàe alla su a capacitàdi creare ricchezzae ch e sono qu indii su oi b en eficiari e/ovitti m e potenziali. JJames E. Post, Lee E. Preston

e Sybllle Sachs, 1884

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Un in teresse U l g lO CO II pu nto essenziale della definizione degli sta-

keholder è che essi hanno un interesse nel risultato in gioco, e vogliono che l'a-

zienda sia gestita in modo tale da migliorare, o almeno non peggiorare, la loro

posizione. In Toward a Stakeholder Theory of the Firm, Thomas Kochan e Saul

Rubinstein individuano tre caratteristiche degli stakeholder: forniscono risorsecritiche; il loro benessere è influenzato dal destino dell'azienda; hanno, in alter-

nativa, il potere di influire sulle sue prestazioni, in modo favorevole o sfavorevole.

In ogni caso tra gli stakeholder rientra no i dip end enti, gli investitori, i clienti, i

sindacati, i fornitori, i legislatori, i cittadini e le comunità locali, diverse orga-

nizzazioni private e le amministrazioni pubbliche. I benefìci e i danni costi-

tuiscono un flusso biunivoco tra essi e l'azienda, secondo Post, Preston e Sachs- anche gli stakeholder involontari, come quelli che abitano in prossimità di

una fabbrica, danno un contributo tollerando la presenza dell'azienda e rice-

vendone di conseguenza benefìci o danni. Essi possono essere legati tra loro e

all'azienda, e possono scontrarsi aspramente su una determinata questione. Le

comunità sono fatte così.

idea chiaveSiamo tutti coinvolti

 

41 Alleanze

strategiche«O si trova un p ar tn er o è la fine», h a dich iarat o un a voltaAnn e Mu lcahy, AD d ella Xer ox. Stava an n u n cian d o l 'enn esim adi u n a serie di al leanze s trategi ch e che la su a aziend a avevastretto efficacemente nel corso di molti anni, a cominciare daqu ella con la Fuji nel 1960. Forse su on ava un p o' come u n

iperb olico rullo di tamb uri , ma nei mutevoli m ercati at tuali -e in p art icolare n el set tor e h igh -tech in cu i op era la Xer ox -non era che un 'osservazione ragionevole.

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g

I manager e gli azionisti vogliono che la loro azienda si espanda, anche se non

sempre per gli stessi motivi. La crescita si pu ò otten ere au men tand o la quota sui

mercati esistenti ed espandendosi in nuovi mercati; e in entrambi i casi ci sonopiù modi per farlo. Le scelte convenzionali in materia di crescita

sono sempre state quelle di costruire o di comprare. Le aziende

possono crescere in modo organico, prendendo la strada dura e

faticosa. L'alternativa facile (e delud ente) è qu ella di acquistare un

concorrente o un'azienda nel nuovo mercato prescelto. Le dif-

ficoltà dell'acquiszione consistono nel fatto che è un'operazione

costosa, rischiosa e, quando occorre provvedere all'integrazionepost-fusione, sfiancante.

Acquistare senza pagare Le «alleanze strategiche»possono offrire molti dei vantaggi dell'acquisizione senza troppidei problemi ad essa connessi, più rapidamente e a una frazione

del costo. Alcune imprese preferiscono parlare di «partnering». Comu nqu e la si

chiami, l'alleanza strategica è un accordo che due o più imprese stringono alloscopo di mettere assieme le risorse e raggiungere obiettivi comuni. Le alleanze

linea del tempo1450Innovazione

 € La ca p a ci t à d ia t t r a r r e p a r t n e r e

g e s t i r e a l l e a n z e . . . èi l n u ovo n u cleo d i

c o m p e t e n z e d e l l ' è r ad e l l a r e t e . JMatt Schifrin, 2001

(redattore di «Forbes.com»)

1916Diversificazione

 

Chiamata all 'alleanzaIl mercato Internet mobile è dominato dal

servizio i-mode della NTT DoCoMo, che ne

ha catturato più del 50%. Le alleanze hanno

un'importanza fondamentale nell'attrattiva

che l'offerta dell'i-mode esercita sugli utenti.

In quella che è nota come una strategia

«orchestratrice» è stata costruita, ben prima

del lancio, una serie di partnership con

fornitori di contenuti.

L'ampia gamma di contenuti e servizi, tra

i quali il posto d'onore spetta all'handset

menu, è subito entrata in sintonia con

i consumatori, dando all'i-mode il vantaggiodi un'offerta seducente. I partner ottengono

traffico e altri extra. DoCoMo richiede una

piccola tariffa per ogni sito visitato e ne gira

la maggior parte al fornitore di contenuti.

Essi condividono anche la ricerca della

DoCoMo sulle modalità d'uso degli

abbonati.

Le alleanze sono state anche il veicolo perl'espansione internazionale dell'i-mode, che

sta migliorando le economie di scala nella

produzione degli apparecchi standard

i-mode. Ha preso come partner nove

operatori telecom locali in Europa per creare

una rete i-mode continentale. Il passo

successivo sarà usare l'i-mode comepiattaforma per fornire servizi finanziari.

Altre alleanze...

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possono essere stipulate tra aziend e com plem enta ri, con clienti e fornitori, con-

correnti (su basi definite scrupolosamente), istituzioni accademiche e di ricerca,

0 addirittura enti governativi. Le alleanze generalmente sono motivate daqualcosa di più specifico della pura crescita, anche se essa è di solito lo scopo

ultimo. Può trattarsi della necessità di accedere a una particolare tecnologia o

proprietà intellettuale, o di un modo di stabilire una presenza in un particolare

territorio o di acquisire un nu ovo cana le di distribuzione. Amp liare la gamm a di

prodotti offerta ai clienti attuali, tagliare i costi della ricerca e sviluppo o ridurre

1 tempi di arrivo sul mercato, possono essere altre ragioni.

In quasi tutti i casi suind icati, un'alleanza att enta m ente strutturata d ovrebbe ridurre

i rischi. Un aspetto attraente è che le alleanze forniscono accesso al capitale del

partner. Infatti, alcuni consulenti aziendali le chiamano «finanziamenti virtuali»,

perché p ortan o con sé tu tti i benefìci associati a un 'iniezione di fondi, relativam ente

rapida e ottenu ta senza prend ere denaro in prestito né vend ere altre azioni.

1960 anni '70 1990 2004Alleanze strategiche Esternalizzazione Nucleo di competenze Web 2.0

 

Sulla base di qu ant o det to, le alleanze strategiche si sono m oltiplicate n egli ultimitempi, al punto da essere più numerose su base annua delle fusioni e delle acqui-

sizioni. Nelle semplici alleanze di marketing, le aziende si scambiano i dati per-

sonali e vendono alle reciproche clientele - si possono ottenere delle royalties

per le vend ite effettuate d all'alleato ai propri clienti.

In un'alleanza di produzione, invece, si offrono ai propri

clienti i prodotti di un'altra azienda, espandendo la gamma

senza costosi investimenti. Questi e altri più complessi

scambi di know-how sono particolarmente prevalenti nelle

industrie tecnologiche e informatiche, dove il rapido accesso

a nuovi prodotti e ricerche è fondamentale per restare com-

petitivi.

L'accelerazione del parmering è in parte dovuta a un raffred-

d am ento d ell'entu siasmo per le bu one vecchie fusioni (leggi«rilevamenti») di una volta. Sta diventando un luogo co-

mune che siano più le fusioni che falliscono di quelle che riescono e che è piùprobabile che il valore per l'azionista venga raccolto da chi vende anziché da

( Q u e s t a s p i n t a a l l e

a l l e a n z e a z i o n a r i ec o s t i t u i s c e u n n u o v ocap i to lo

ne l l ' evo luz ione de l l al i b e r a i m p r e sa . 5

Peter Pekar

e Marc Margulis, 2003

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probabile che il valore per l azionista venga raccolto da chi vende anziché dachi acquista. Nelle aste concorrenziali il vincitore tende a pagare un prezzoeccessivo, evocando quella che viene chiamata «la disgrazia del vincitore».Qualsiasi dirigenza attenta al corso delle azioni troverebbe attraente l'alternativa

dell'alleanza.

La mania d elle alleanze è frutto d ella crescente com plessità e velocità d ell'attu ale

mondo degli affari. Le aziende sono bombardate da minacce e opportunità, ma

la loro capacità di risposta è limitata dalla disponibilità di capitali e risorse

um ane. Da un a parte, esse sono att ratt e d allo sgretolarsi delle barriere geografiche

e tecnologiche. Dall'altra, molte si sono ritirate nel loro nucleo di competenze

(si veda p. 36) e han n o bisogno di par tner per avventurarsi di nuovo all'esterno.Un ventaglio di opzioni L'alleanza strategica è una delle possibiliforme di alleanza aziendale, ognuna delle quali richiede gradi diversi di impegnoe integrazione da parte dei partner. A un estremo abbiamo la concessione diuna licenza, una specie di alleanza, ma di solito si tratta di un accordo con-trattuale che in realtà comporta ben poca collaborazione. Poi ci sono le alleanzenon azionarie, in cui si condividono le risorse ma non ci si scambiano titoli.

L'impegno deve essere maggiore nelle alleanze azionarie, che sono di due tipi.Il primo comporta un'acquisizione parziale, nella quale una parte acquista leazioni dell'altra, o accordi azionari incrociati, in cui entrambe acquistano unaquota d i minoranza d ell'altra.

 

alleanze strategiche I 18 7

La seconda e più integrata forma di alleanza azionaria è la joint venture, in cui i

partn er costitu iscono un a nuova società alla quale sono interessati entra mb i. La

sua realizzazione richiede tempo, può essere complicata da gestire e può

impegnare una notevole quantità di tempo degli alti dirigenti.

Alcune delle alleanze più efficaci sono sorte per raggiungere obiettivi molto spe-

cifici. Il gruppo delle telecomunicazioni americano BellSouth si è alleato conl'oland ese KPN per penetrare n el mercato ted esco della telefonia m obile, m entre

Nestlé e Hàagen Dazs si sono unite per competere con Unilever nel mercato

americano dei gelati.

Finire in lacrime Negli affari, come nella vita, le relazioni intime non si

svolgono semp re tranqu illam ente. N ei primi anni ' 90 la App le e la IBM avevan o

stretto un'alleanza strategica per sviluppare un sistema operativo destinato aimicrocomp uter d i nuova generazione; no to come Taligent, è svanito piano p iano

nel nu lla. Un'alleanza nel settore autom obilistico tra la H ond a e la Rover è finita

tra le lacrime.

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Le imprese hanno imparato dai reciproci errori e le probabilità di successo sono

aumentate, purché si seguano alcune regole fondamentali: sapere esattamente

cosa si vuole dall'alleanza e perché la si sta stringendo; trovare il partner adatto

attraverso un'accurata ricerca - se l'alleanza rientra in una strategia di ripresa, è

poco probabile che un p artner con u na situazione altret tan to p roblematica possa

offrire una soluzione. Occorre inoltre una chiarezza cristallina su ciò che ogni

partner si aspetta dall'altro, e un buon avvocato per metterlo nero su bianco.

In alcune alleanze uno scambio di personale contribuisce a creare la necessariafidu cia e com p ren sion e tra le pa rti. Occorr e specializzarsi e lasciar fare al pa rtn er

ciò che sa fare meglio. E ricordare ch e le alleanze no n d evon o durare in ete m o,ma solo finché son o utili a entr am bi i partner. Un a v olta raggiunto l'ob iettivo essi

dovrebbero essere liberi di separarsi senza rancore. Questo è il motivo per cuisecondo alcuni sarebbe meglio chiamare le alleanze strategiche «alleanzetattiche». Ma non suona altrettan to grand ioso.

idea ch iaveNuovi m ercati con m eno risch i

 

4 2 Gestione dellacatena dell'offertaQu and o i m an ager d ella caten a dell 'offerta confron tano i lorod ati, è prob abile che la con versazion e cad a su ll ' «ordin azionep erfet ta». O ssia quella conse gn ata al cl iente nel p osto giu sto,senza aver sub ito dan ni e a tem p o deb ito. Come altremanifestazioni della perfezione, non è così frequente comealcun e aziend e vorreb bero. Le p ercen tu ali di ordinazioni

evase in m od o m en o che pe rfett o non solo rend ono i cl ientiinsod d isfatti , m a suggeriscono ineff icienze della caten adell 'offerta ch e costan o den aro all' imp resa. Così l 'a t tenzion ep er la caten a dell 'offerta si è sp osta ta d ai magazzin i

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p p ge dalle aree di caricame n to ai pian i al ti delle im p rese.

La catena dell'offerta è costituita dai collegamenti fisici e informatici tra i for-nitori e l'azienda da un lato, e tra l'azienda e i suoi clienti dall'altro. Comprendela pianificazione della produzione, gli acquisti, il trattamento dei materiali e, nelsottoinsieme denominato «logistica», il trasporto e il magazzinaggio (magazzinie centri di distribuzione). Sebbene le aziende fossero solite pensare al lato del-l'offerta e a quello della domanda (i clienti) come a due realtà separate, oggi leconsiderano e le gestiscono sempre più come un'unica catena. Per molti anni è

stato pr incipalm ente il flusso prov enient e d ai fornitori a preoccupare le impresemanifatturiere. La strada per arrivare al consumatore era costituita dal canaledistributivo (si veda p. 32), un problema che riguardava un altro settore dell'a-zienda.

La storia del fornitore come terminale della catena è stata scritta in gran partedalle grandi case au tom obilistiche, per le quali è stato sempre un asp etto fonda-

linea del tempoanni '40 950Produzione snella Gestione della

catena dell'offerta

 

mentale. Agli inizi, Ford produceva da sé la maggior parte dei componenti e

quindi i fornitori non rappresentavano una grande preoccupazione. La GeneralMotors ha «estemalizzato» la produzione di componenti nel

1920 (si veda p. 144), ma solo a imprese da essa controllate.

Solo nel 1950 Ford ha cominciato a esternalizzare nel vero

senso della parola, ossia verso altre aziende, ed è stato allora

che è nata la comp licata attività d ella caten a d ell'offerta, fatta

di date di consegna, quantitativi, scorte, qualità e danni.

A quei tempi se un o aveva fornitu re in eccesso le teneva sem-plicemente in magazzino finché non ce n'era bisogno -

meglio averne in più che esserne a corto, era la filosofia. Ma

tenere delle scorte congela il capitale. Le avete pagate ed

eccole lì, inoperose. Finché le scorte non vengono incor-

porate in un prodotto e vendute, il capitale circolante che

rappresentano è improduttivo. Lo stesso vale per i prodotti

finiti che restano in magazzino a raccogliere polvere. Avete

impiegato più d enaro di qu ant o ne avreste usato se aveste pia-

nificato meglio il flusso delle scorte, e il surplus avrebbe potuto essere depo-

sitato in banca dove avrebbe maturato degli interessi oppure avrebbe potuto

é La ca tenade l l ' o f f e r t a nonc o s t i t u i s c e p i ùu n ' a t t i v i t à o s c u r a .È d i v e n t a t a u n ap o t e n z i a l e a r m ad i compe t i z ionein cons ig l iod ' a m m i n i s t r a z i o n e . JKevin O'Connell, 2005

(divisione catena dell'offertaintegrata della IBM)

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sitato in banca, dove avrebbe maturato degli interessi, oppure avrebbe potuto

essere speso in qualcosa di più utile. Dato che le scorte sono un costo, ridu-

cetele e risparm ierete d enaro. I manag er di vecchio stam po fissavano orgogliosi

i magazzini traboccanti. Quelli di oggi, se hanno un minimo di intelligenza, lo

farebbero con disperazione.

 Just  il l t ime Imparando dai giapponesi, le grandi imprese hanno cominciato a

tagliare le scorte negli anni '80, facendo in modo di ricevere le forniture solo

quand o ne avev ano bisogno - «just in cime». Ciò voleva dire cooperare più stret-

tam ente con i fornitori, che le imprese intelligenti h an no com inciato a considerare

come partn er o stakeholder (si veda p. 160) le cui fortun e erano stretta men te legate

alle loro. Nelle industrie complesse i bei tempi in cui si martellavano i fornitori esi sceglieva qu ello che p raticava i prezzi più bassi sono t u tt'a ltro che fin iti. I prezzi

restano una comp onen te d ecisiva del mix, ma non sono più l'unica.

Mentre gestiscono il lato dell'offerta in modo più efficiente, le imprese hanno

scarso controllo sul lato della domanda. Basta realizzare troppi prodotti e si

primi anni '50Gestione dei canali

anni'70 1984 1985Esternalizzazione Stakeholder Catena del valore

 

Mai p iùTra il 2003 e il 2004 la domanda di chip

per cellulari è aumentata del 37% poiché la

popolazione mondiale ha sviluppato qualcosa

di più di una predilezione per questi

apparecchi. Il balzo della domanda ha colto

impreparato il produttore di chipsetQualcomm. L'azienda non riusciva a far fronte

a tutti gli o rdini che arrivavano perché non

riusciva a procurarsi abbastanza chip.

Esasperata, l'impresa ha riorganizzato la

catena dell'offerta in modo che ciò non si

ripetesse mai più. Fino a quel momento la

Qualcomm aveva divìso la catena dell'offertain due - con gruppi di pianificazione separati

per la domanda e per l'offerta. La Qualcomm

li ha fusi, e si è poi anche accorta del fatto che,

aveva bisogno di previsioni della domanda più

a lungo termine che tenessero conto anche

della capacità produttiva dei suoi fornitori.

Ha potenziato il software impiegato nella

pianificazione della domanda e adesso tiene

regolarmente sessioni di pianificazioneche coinvolgono l'intera catena dell'offerta,

dalle finanze alle tecnologie informatiche,

alle vendite e al marketing. L'azienda

ha aumentato la flessibilità della catena

ricorrendo a più fornitori, con i quali ora

condivide più informazioni che in passato. E se

si verificasse un altro balzo inatteso potrebberipartire aumenti e riduzioni della produzione

tra i diversi fornitori. Il tasso di consegna del

prodotto a richiesta è salito dal 90% al 96% -

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per aumentare la percentuale di ordini evasi. un livello alto per questa industria.

incappa nella maledizione delle scorte. Realizzatene troppo pochi ed ecco che ilprodotto «è esaurito» - parole che gelano il sangue nelle vene a un venditore.

Per questo è così importante disporre di un'accurata previsione delle vendite,

non tanto perché l'azienda possa congratularsi con se stessa per il buon

andamento del mese, quanto perché possa assicurare livelli adeguati di pro-

duzione - né troppo, né troppo poco.

Tuttav ia, le previsioni sono noto riam ent e inaffidabili, e la dom and a da parte deiclienti può aumentare o diminuire per molte ragioni inattese. Gli effetti delle

fluttuazioni della domanda reale si ripercuotono all'indietro su tutta la catena

dell'offerta fino al fornitore, che deve sapere al più presto se aumentare o

diminuire la propria produzione o mantenerla al livello attuale.

Integrazione Ecco perché qu and o si parla della caten a d ell'offerta attual-

m ent e si tocca a n che l'aspetto d ell'«integra zione», ossia della creazione di sistemi

che comunichino le oscillazioni nelle vendite all'azienda e ai suoi fornitoriquanto prima. I produttori di beni destinati al consumo stanno migliorando a

questo riguardo. Con il vecchio modello di catena dell'offerta della Procter &

 

gestione della catena dell' offe rta I 1 7 1

( I I cor re t t o fun z ionam ento d e l la n os t r a ca te n ad el l 'of ferta d ipen de a l 75% dai p rocess i e a l 25%

d agl i s t ru m en t i e d a l le tecnolog ie . 5Norm Fjeldheim, 2005 (Quaicomm)

Gam ble (P &G ) p otevan o volerci settimane per riempire i vuoti sugli scaffali deirivenditori. I sistemi di raccolta dei dati presso i punti vendita relativi ai prodottiin uscita sono stati usati per inviare al centro distribuzione della P&G un mes-saggio quando veniva venduto un certo numero di prodotti, e ne occorrevaquindi un rifornimento. Ma ciò richiedeva tempo. Ora il sistema informa diret-tam ente il fornitore d ella P &G di ogni ar ticolo vend ut o su base giornaliera e la

dotazione degli scaffali è no tevo lmen te migliorata.

Tutto questo va benissimo nei mercati interni altamente industrializzati, ma la

globalizzazione ha aggiunto una dimensione completamente nuova. Quando

un'azienda americana costruisce un cellulare in Cina e lo vende a un commer-

ciante in Au stria la caten a d ell'offerta si allunga quasi fino al pu nto di rottu ra

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ciante in Au stria, la caten a d ell offerta si allunga quasi fino al pu nto di rottu ra,

e a volte oltre. Vi sono talmente tanti punti di snodo lungo la catena, compresi

i trasporti, che è più probabile che le cose vadano storte. E dei sistemi infor-

mat ici sofisticati han n o scarso effetto su un fornitor e u bicato in qu alche localitàremota in cui un telefono e un fax bastano e avanzano.

Gli snodi lungo la catena dell'offerta corrispondono a molti di quelli della catena

del valore di Porter (si veda p. 188) e a ognuno di essi vi sono risparmi sui costi

da conseguire, dalla gestione delle scorte ai tempi di attesa dei trasportatori. Per

le aziende la cui vera attività n on è spostare scatolon i di comp on ent i in giro per

il mondo, ci sono altri che possono farlo in modo più efficiente, e per i manager

della catena dell'offerta il terzo argomento di conversazione, in ordine di pre-ferenza, è l'esternalizzazione. Oggi un numero crescente di produttori industriali

esternalizza ogni snodo della catena logistica. La donna sul carrello elevatore

che sposta casse di cuscinetti a sfera da un lato all'altro della fabbrica proba-

bilm ent e n on lavora per la casa aut om obilistica, m a per un forn itore sp ecializzato

di servizi logistici. La caten a d ell'offerta pu ò essere fon te di vantag gi comp etitivi,

e questo è il pu nto fin dove alcun e aziende v ogliono spingersi per ot ten erlo.

idea chiaveOliare la catena dal fornitore

fino al clien te

 

4 3 II pensiero

sistemicoAlcuni agricoltori hanno scoperto il pensiero sistemico a lorosp ese. Poiché gli in setti stava n o divoran d o i loro raccolti ,han n o messo m an o alle pistole a spruzzo e l i han n o elimin aticon i p esticidi. La cosa h a fu n zionato, p er un p o'. Ma poi lecol ture sono sta te nu ovamente a t t accate , p iù gravementech e mai, e il p esti cida che aveva fu n zionato così b en e stavoltanon aveva più nessun effetto. Era successo che l ' insetto chedivorava i raccolti mangiava anche un altro insetto, o erain com p etizion e con esso O ra l 'in setto n 1 er a sp arito e

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in com p etizion e con esso. O ra, l in setto n . 1 er a sp arito, el'insetto n. 2 se la spassava. Il «pensiero sistemico» ci dice chele cose sono più complesse di quel che sembrano e che leazioni p ossono avere consegu enze im previste e ind esid erate.

Il pensiero sistemico riconosce che nessun uomo - né insetto - è

un'isola, e che nei processi sociali e naturali esistono interconnessioni

non sempre evidenti. Il pensiero «lineare» funziona in linea retta. Esso

ci dice ch e se si fa A a B, il risu ltato sarà C. 11 pensier o sist em ico d ice

che se si fa A a B, ciò può influenzare anche D ed E, dando comerisultato F - anche se F ci metterà del tempo a verificarsi.

Il pensiero sistemico deriva dalla «dinamica dei sistemi», creatura del-

l'ingegnere informatico americano Jay Forrester. Egli ha studiato il

modo in cui perfino dei sistemi semplici possono comportarsi in

maniera sorprendentemente non lineare e nel 1958 ha pubblicato un

articolo intitolato Industriai Dynamics. Più di recente, Peter Senge (siveda p. 118) si è occupato di come il pensiero sistemico e la consape-

1958. f •

985Pensiero sistemico Catena del valore

£ II concettod i s i s t e m a

c o n t r a d d i c e

l 'op in ionesecond o cu i g l ii n d i v i d u i so n o

s o g g e t t ic o m p l e t a m e n t e

l iber i . ^

Jay VI. Forrester, 1998

linea del tempo

 

Progettazione futurist icaNon vi sognereste di spedire sulla Luna una

nave spaziale senza prima aver collaudato dei

prototipi e simulato le rotte. Non

fabbrichereste neppure un nuovo bollitore

elettrico senza effettuare qualche prova di

laboratorio. Perché allora fondiamo aziendesenza prima sottoporne a test il progetto?

Jay Forrester, padre della dinamica dei

sistemi, usa da anni i computer per studiare i

sistemi del modello sociale e ritiene che sia ora

di farlo davvero. Simuliamo e sottoponiamo a

test la progettazione dei sistemi sociali (ad

esempio le aziende) per vedere se funzionano.Egli ammette che a molti non piace l'idea di

«progettare» le organizzazioni sociali, ma

sostiene che le abbiamo sempre progettate,

solo che l'abbiamo fatto male. Egli afferma:

«Le organizzazioni create da un comitato

o dall'intuizione non funzionano meglio

di quanto farebbe un aeroplano costruito

con gli stessi metodi».

Gli aeroplani veri sono progettati daprogettisti e guidati da piloti. Ma nel mondo

delle aziende l'aeroplano è progettato dai

piloti. In futuro, prevede Forrester, le scuole

di management formeranno progettisti

di imprese, e non solo operatori aziendali:

«Una corretta progettazione può rendere

l'azienda meno vulnerabile... Una corretta

progettazione può evitare l'adozione di

politiche che offrono vantaggi a breve termine

al prezzo di insuccessi a lungo termine».

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v o l e z z a s i s t e mi c a p o s s a n o a i u t a r e l e p e r s o n e a l a v o r a r e i n s i e me p i ù p r o d u t t i -

v a m e n t e p e r o b i e t t i v i c o mu n i n e l l e o r g a n iz z a z io n i b a s a t e s u l l ' a p p r e n d i me n t o .

Una curva chiu sa I I pens ie ro s i s temico cons idera un processo come un

s i s t e ma , n o n c o me u n a l i n e a r e t t a , ma c o me u n a c u r v a , o u n a s e r i e d i c u r v e

interconnesse. I l s is tema col lega t ra loro persone, is t i tuzioni , processi e così via ,

ma non sono ess i in quanto ta l i a cos t i tu i re i l punto cen t ra le , quanto le in f luenze

che ognuno di ta l i fa t tor i eserci ta sugli a l t r i . Senge sost iene che le radici del la

« g u e r r a a l t e r r o r i s mo » n o n r i s i e d o n o n e l l e i d e o l o g i e c o n t r a p p o s t e , ma i n u n

mo d o d i p e n s a r e c o n d i v i s o d a e n t r a mb e l e p a r t i .

Secon d o il pen s ie ro lineare de l l ' e s tab l i shm ent a m er ican o , g l i a t ta cch i t e r r or i s t ici

causano una minacc ia per l 'Amer ica , e ques ta causa la necess i tà d i una r i spos ta

mi l i ta re . Secondo i l modo d i pensare de i t e r ror i s t i , l ' a t t iv i tà mi l i t a re degl i S ta t i

1990Organizzazione basata

sull'apprendimento

 

Uniti è causa della percezione dell'aggressività americana, che spinge le persone

a diventare dei terroristi. In effetti, queste due linee rette formano un circolo, un

sistema di variabili che si influenzano reciprocamente - un ciclo perpetuo di

aggressione. «Entrambe le parti rispondono a delle minacce percepite», afferma

^ Seng e. «Ma le loro azioni finiscon o per por tare a un p ericolo

• ^ process i d i crescente per tutti. In questo caso, come in molti sistemi, farere t roaz io n e .. . sono la ciò che è ovvio non produce l'ovvio risultato desiderato».

base fondamentale di Quante volte si potrebbe dire la stessa cosa circa la risoluzione

t u t t i Ì Cam biamen t i , y dei problemi sul posto di lavoro? Un'idea chiave del pensiero

Ja y W. Fo r r e s t e r , 1898 Sistemico è qu ella dei «circuiti di retroazione» che, suscitando

qualche confusione, sono cosa ben diversa dalla risposta che si

vorrebbe avere dai clienti. Essi sono invece i flussi di influenza tra ogni soggettodel sistema. Ogni influenza è sia un a causa che un effetto. La scomparsa d ell'insetton. 1 era l'effetto d ell'applicazione d el pesticida e la causa del riemergere d ell'insetton. 2. Qu esta cat ena di cause ed effetti alla fine crea un bop, o curva chiusa.

L t i i h i i f i t 'i t ifi i d l

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Le retroazioni che si rinforzano reciprocamente provocano un'intensificazione del

fenom eno , e p iccole d osi di esse possono am plificarsi fino a esercitare effetti enormi,

positivi o nega tivi - il circolo vizioso. Le profezie che si autoav veran o sono esempi

di retroazioni che si rinforzano, e altr etta nto vale per l'escalation tra il governo ame-ricano e i terroristi. Le retroazioni che si equilibrano stabilizzano il sistema e sono

il risultato di un com portam ento gu idato da determinati fini. Se viaggiate a 60 km/ h,

ma volete an dare a 50km/ h, questo desiderio vi «influenzerà» e vi farà usare i freni.

Se state andan do a 40km/ h ma volete viaggiare a 50km/ h, schiaccerete l'accele-

ratore, ma solo fino ad arrivare alla velocità desiderata. Qu esto è u n sistema esplicito

di retroazioni che si equilibrano. Delle retroazioni che si

V L a d i n a m i ca de i s i s t e m i equilibrano implicitamente possono essere il motivo pere n a t a p e r a r r i v a r e a u n a CUÌ quando si cerca di cambiarlo il sistema resiste a

m i g l i o re comp re ns i one qualsiasi tentativo. Nelle retroazioni si verificano spesso

d e l m a n a g e m e n t . 9 r i t a r < *i ' u n ' a ' t r a i d e a chiave, che interrompono o in-

" fluenzan o il flusso delle cause, di modo che le conseguenzeJa y W. Fo r r es t er , 1888 si manifestano solo gradualmente.

Si possono osservare dinamiche di sistema in atto sotto molte forme, compreso ilmodo in cui una soluzione diventa un problema in un punto diverso del sistema.

Un nuovo manager «risolve» il problema degli elevati costi di stockaggio

riducendo le scorte, ma gli addetti alle vendite finiscono per spendere più tempo

nella gestione dei clienti irritati per i ritardi di consegna. Oppure le vendite

subiscono un forte calo nel quarto trimestre a causa del gran successo del pro-

gramma di sconti messo in atto nel terzo trimestre. Senge racconta come il

 

il pensiero sistemico I 1 7 5

sequestro di un ingente quantitativo di droga abbia provocato una nuova ondata

di microcriminalità a causa della ridotta offerta di stupefacenti che ne ha fatto

aum entare i prezzi, spingen do così i tossicodip end enti disperati a comm ette re più

reati per finanziare il loro vizio.

Reazioni con trarie Le retroazioni che si rinforzano ^ r e a l t à è f a t t a d i

si verificano qu ando le aspettative dei manager influenzano . . .i j - 1 i j . • d • l t an elli , m a noi vediamole prestazioni dei loro sub ordinati. Rite n ete ch e alcuni ' 1abbiano d elle grandi p otenzialità, e quindi vi ad operate in d elle l in ee ret te . 5special modo affinché le sviluppino. E le persone in que- Peter SenOe, 1880stione ci riescono. Dunque ritenete di avere ragione einsistete ancora un po' ad aiutarle. Succede il contrario con le persone che pre-sentano un rendimento basso e «giustificano» la scarsa attenzione che viene

prestat a loro. «Più forte si spinge, più forte è la reazione cont raria del sistema», cosìSenge d escrive un tip ico sistema di retroazioni ch e si equ ilibrano. Egli raccont a diun amico che h a cercato inu tilmente di ridurre i casi di esaurimento tra i profes-sionisti impegnati nella sua azienda di formazione stracarica di lavoro, riducendo

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gli orari e chiu den do a chiave gli uffici. N ien te da fare. Si portavan o il lavoro a casae sfidavano la riduzione dell'orario, e perché? La ragione era che secondo unaregola no n scritta i veri eroi dell'azienda, qu elli che fan no carriera, lavoravan o 70

ore a settim ana - p erché qu ello era l'esempio ch e ven iva dal cap o stesso.

Questi sono casi semplici. I sistemi nelle grandi aziende possono essere molto

più complessi. Le imprese dispongono di potenti e sofisticati strumenti di pre-

visione, pianificazione e analisi eppure non riescono a individuare le cause di

alcun i dei problemi più ardui. Ciò second o Senge avviene p erché sono progettati

per affrontare il tipo di comp lessità che p resenta m olte variabili - comp lessità a

livello di dettaglio. Ma ce n'è un altro tipo, e gli strumenti non sono progettati

per affrontarlo - la complessità d in ami ca - in cui cause ed effetti son o difficili da

cogliere e le conseguenze di un intervento nel tempo non sono ovvie.

Affrontare tutto ciò richiede un «cambiamento di mentalità», afferma Senge.

L'essenza del pensiero sistemico, egli sostiene, sta nell'individuare le interre-

lazioni anziché i legami lineari di causa-effetto, e i processi di cambiamento

anziché d elle semp lici istantan ee.

idea ch iaveEssere consapevoli

delle in terrelazion i t ra le cose

 

4 4 Le teorie X e Y

(e la teoria Z)Le idee su com e motivare i d ipen d enti sono un po ' camb iated a qu and o n ell 'am bito dell 'organizzazion e scientif ica dellavoro ci si è interrogati per la prima volta su come rendere ilavoratol i più efficienti . O ggi, la m aggi or p art e d ei man ager,

almeno a parole, ammetterebbe che i dipendenti sono esseriumani, con aspirazioni e necessità umane, e che occorre rico-n oscerlo se si vuole ott en ere il m eglio da loro. Pu ò sem b rareovvio, m a in qu anto p recetto d el m an agem en t deve molto aD ou glas M cGr ego r e alle sue teo rie X e Y

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D ou glas M cGr ego r e alle sue teo rie X e Y.

La teoria X e la teoria Y sono due protagonisti di uno stesso spettacolo - un po'

i Totò e Pepp ino del manag emen t - e no n lasciano nessun d ubbio su quale pre-ferisca McGregor, anche se lui afferma che uno stile di management ottimaledovrebbe ispirarsi a entrambe le teorie. McGregor riteneva che il modo in cuiun'azienda è gestita riflettesse la concezione che i suoi manager hanno dellanatura umana. Le sue teorie si occupano di capire in che modo soddisfare lenecessità dei dipendenti possa contribuire a motivarli, anche se ognuna di esseformula ipotesi molto diverse su quali siano tali necessità.

Second o questa teoria esiste una gerarchia dei bisogni, ogn un o dei quali - come

insegna Maslow - d eve essere sod disfatto prima d i passare a qu ello superiore. Si

parte d alle n ecessità fisiche p er arrivare in cima alla scala dov e si trova qu ella che

egli chiama «autorealizzazione». L'ordine, partendo dal fondo, è il seguente.

Bisog ni p rim ari - ciò che ci occorre per sopravvivere (aria, acqu a, cibo e riposo).

Bisogni di sicurezza - una volta assicurata la sopravvivenza, dobbiamo essere

liberi dal pericolo (vivere in un luogo sicuro, avere un lavoro stabile e denaro asufficienza). Bisogn i p sicologici - risolti gli aspett i fisici e della sicurezza, i bisogni

linea del tempo1450

»1911

Innovazione Empowerment

Organizzazione scientifica

del lavoro

 

psicologici cominciano ad acquistare importanza (abbiamo

bisogno di amici, senso di appartenenza, dare e ricevere

amore, fare sesso). Bisogni di stima - soddisfatto il bisogno

di appartenenza, vogliamo sentirci importanti e rispettati.

Maslow suddivide il bisogno di stima in due categorie:

quella int em a (au tostima, o il sen tim ent o di aver realizzato

qu alcosa) e qu ella estem a (lo status sociale, l'attenzion e da

parte degli altri, o la reputazione). Nelle versioni successive

di questo modello Maslow aggiunge un livello tra quello

della stima e qu ello dell'autorealizzazione e riconos ce l'esi-

stenza d ella necessità d ella conoscen za e della bellezza -

bisogni cognitivi ed estetici. Bisogni di autorealizzazione

- l'apice della piramide, un bisogno che, al contrario diquelli che stanno alla base, non è mai pienamente soddi-

sfatto. E il bisogno istintivo di esprimere pienamente le proprie potenzialità - di

trovare significato e verità nel mondo - di sperimentare l'armonia.

Il libro di Douglas McGregor del 1960 L'aspetto umano dell'impresa illustra due

( [La sf ida è] . . .innovare , scopri re nuovimodi di or gan izzar ee d i r iger e gl i s for zi

um an i , anche se s i amocon sapevol i del fa t t och e l 'organ izzazion epe rfe t t a , come i l vuot oasso lu to , è p ra t i cam en tei r r agg iung ib i l e . J

Douglas McGregor, i960

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Il libro di Douglas McGregor del 1960, L aspetto umano dell impresa, illustra due

teorie contrastanti sulla motivazione della forza lavoro, che egli chiamava sem-

plicemente teoria X e teoria Y.

La teorìa X Essa parte dall'ipotesi che le persone:

• no n am ano il lavoro e se potessero lo eviterebbero;

• d evono essere contr ollate e min acciate prima ch e si m etta no a lavorare sodo;

• non vogliono avere responsabilità e preferiscono essere d irette;

• vogliono sentirsi sicure sul lavoro.

Le persone nella teoria X lavorano solo per soddisfare i bisogni fisiologici e disicurezza. Il ruolo del manager è strutturare il lavoro e incentivare i dipendenti

attraverso la paga e altri benefit. McGregor segnalava che la teoria X è debole,

perché u na volta sodd isfatti, tali bisogni n on forniscono più m otivazioni. E da to

che i dipendenti devono cercare di soddisfare i loro bisogni superiori al di fuori

del lavoro, l'un ica fonte di sodd isfazione cont inu a ch e possono trarre dal lavoro

verrà dalla continua richiesta di più denaro. Tuttavia, McGregor riteneva che

nelle operazioni produttive su larga scala la teoria X fosse più praticabile dellateoria Y.

1960 1981 1982Teoria X e Y Il management Eccellenza(e teoria Z) giapponese organizzativa

 

H erzberg e i fattor i di igieneQuello della ricerca su ciò che motiva la forza

lavoro è un sentiero assai battuto. Non

altrettanto quello su ciò che la demotiva.

Il primo ad avventurarsi su questo terreno

è stato lo psicologo americano Frederick

Herzberg, che ha elaborato una propria teoria

sui fattor i igienici e motivazionali, a volte detta

teoria dei due fattori. Essa affermava che

i fattori che provocano insoddisfazione sul

lavoro sono totalmente scollegati da quelli che

causano soddisfazione. Egli Ghiamava questi

ultimi «fattori motivazionali», e i primi «fattori

di igiene».

Fattor i motivazionali

Herzberg affermava che i due sentimenti non

erano opposti. L'opposto della soddisfazione,

sosteneva, non è l'insoddisfazione, ma l'assenza

di soddisfazione. I fattor i di igiene provocano

insoddisfazione, ma affrontarli direttamente non

avrebbe in realtà prodotto motivazione -

avrebbe solo spento l'insoddisfazione. I fattori

motivazionali sono intrinseci al lavoro, mentre

i fattori che riguardano l'insoddisfazione sono

esterni. Herzberg li chiamava fattori KITA (kickin the ass, calcio nel sedere), intendendo con ciò

che essi comprendevano incentivi o la minaccia

di una punizione.

Il consiglio di Herzberg era di arricchire il

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Fattor i motivazionali• conseguimento di risultati • riconoscim ento

• il lavo ro stesso • responsabilit à

• avanzamento • crescita

Fattor i di igiene• polit ica dell'azienda • supervis ione

• rapporti con il capo • condizion i di lavoro

• rappor ti con i colleghi • paga

lavoro. Questo doveva essere abbastanza

impegnativo da richiedere tutte le capacità

dei dipendenti, e a coloro che mostravanolivelli crescenti di abilità occorreva affidare

maggiori responsabilità. Se il lavoro non può

assorbire tutte le capacità del lavoratore,

bisogna automatizzarlo, o prendere qualcuno

che sia meno qualificato.

La teor ìa Y Qu es t a teor ia t ra t t a i d ip end ent i p iù com e adu l t i e ipo tizza che

essi:

• v o g l i a n o d a v v e r o l a v o r a r e ;

• s iano in grado d i d i r igersi da so li r i sp e t ta nd o g li ob ie t t iv i az ienda l i , quan d o si

i m p e g n a n o ;

• s iano d ispos t i a imp egnar s i se m ot iv a t i da r icom p ense ch e sodd is fano i lo ro

bisogni super ior i ;

• s iano cap ac i d i acce t ta re respon sabi l i t à e possan o add i r i t tu ra assumerse le a t t i -

v a m e n t e ;

• s iano im m agin a t iv i e c rea t iv i e po ssano usare il lo ro ing egn o per r i so lvere i

p roblemi su l l avoro .

 

Secondo la teoria Y l 'azienda ha molte più opzioni per stimolare i £ T . ' i m m ndip end enti. Può d ecentr are e delegare, ripartend o il potere decisionale tra £ 1 1 T I a n i n i a l pun numero maggiore di persone. Le specifiche di lavoro possono essere g j^ g d e s i d e r aam pliat e - al pari della delega, ciò sodd isferà il bisogn o di stim a. I . x ®

dipendenti possono venire consulta ti e inclusi nel processo decisionale , C O l l l l I l t l i l J l i e i i M í . jincanalando la loro creatività e dando loro al tempo stesso un certo con- Abrah am MaSlOW, 18 4 3

trailo sulla loro vita professionale. Ne d ovrebbe derivare un a motivazioneassai più stimolante di quella della teoria X, perché consentirebbe alla forza lavorodi soddisfare i propri bisogni superiori attraverso il lavoro.

McGregor riteneva che la teoria Y fosse più adatta ai lavoratori della conoscenza ea quelli addetti ai servizi professionali, e che stimolasse particolarmente la riso-luzione partecipata d ei pr oblemi. Le sue idee sono a volte et ichet tat e in gen erale co-

me «soft» man agemen t, m entre alla teoria X viene attribu ita la qua lifica di «hard ».Altri hanno definito i due diversi stili «partecipativo» e «autoritario». La speri-mentazione ha dimostrato la scarsa flessibilità della teoria Y, ma gran parte del suospirito è stato assorbito da successivi con cetti d el mana gemen t, com e l'«emp ower-ment». L'esperienza di McGregor riguardava le imprese americane, ma il pubblico

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brita nn ico ed europ eo no n aveva d ifficoltà a v edere riflesse nella sua opera le pro-prie strutture aziendali. C'era tuttav ia un terzo mod ello di manag ement, com e l'Oc-

cidente ha p otu to scoprire con d isapp unto negli ann i '80 - il mod ello giappon ese.

L'apparentemente inarrestabile avanzata dell'industria e della finanza giapponesiha attirat o un'a ttenz ione inv idiosa sulle sue struttu re e pr atiche aziendali - m oltodiverse da quelle occid ent ali. Le imprese giapp onesi offrivan o un lavoro a vita, unprocesso decisionale collettivo, m eccanism i di contr ollo im pliciti più che espliciti,e un'attenzione complessiva al benessere dei dipendenti. Se da un lato ciò davachiaramente come risultato una forza lavoro impegnata e altamente motivata, dal-l'altro era così poco occiden tale ch e un a sua imitazione ap pariva fuori luogo.

La teoría Z Nel 1980, tuttavia, William Ouchi, originario delle Hawaii, ha

pubblicato Theory Z: How American Management Can Meet the Japanese

Challenge, in cui proponeva un modello che combinava il meglio delle praticheamericane e giapponesi - offrire un'occupazione a vita e attenzione olistica aidipendenti e alle loro famiglie, ma con responsabilità individuali e un misto di

meccanismi di controllo impliciti ed espliciti. Il risultato, secondo Ouchi do-vrebbe essere un'occupazione stabile, un'elevata produttività e un morale alto.

idea chiaveCome motivare i dipendenti

 

4 5 II punto criticoIl com b attivo ex m in istro della Difesa Don ald Rum sfeldera famoso p er l'uso dell 'espressione «tipp ing poin t», pu n tocritico, p er d escrivere la p osizione che la gu err a in I raqnon aveva ancora raggiun to. O rm ai l 'uso dell 'espressioneh a su p erato il suo «p u n to critico» e an ch e le azien d el 'hanno adot ta ta .

Un rapido giro nel web mostra come l'espressione (soprattutto in inglese) - soli-

tamente preceduta da frasi come «abbiamo raggiunto il...» - sia associata alla

guerra in Iraq e a commenti sul suo andamento, alla guerra in Afghanistan, ai

media on -line, al petro lio, a vari mar chi di software, alla pu bblicità e ai video on -

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line, e all'autismo. Si scopre a nch e che m olte aziend e se ne son o impossessate per

usarla nel proprio nome commerciale, dalle agenzie pubblicitarie e di marketing,

alle aziende impegnate nella formazione e, curiosamente, alle imprese che sioccupano di sicurezza delle tecnologie dell'informazione.

6 I I mon do - per q u an topos s i a mo de s i de ra r l o -

n on s i accord a con la

nos t ra in tu i z ione . 5Malcolm Gladwell, 2000

L'espressione è stata coniata dallo scienziato politicoamericano Morton Grodzins che studiava l ' inte-grazione di quartiere negli anni '50. Egli aveva sco-per to che le famiglie bian che sarebbero rimaste per uncerto tempo dopo l'arrivo delle prime famiglie nere,ma l'insediamento di un numero «eccessivo» di questeultime provocava la fuga, immediata e in massa, dei

bianchi. Quel momento costituiva il punto critico. Nel 2000 il concetto è statoripreso in una nuova veste dal giornalista Malcolm Gladwell nel libro che haper titolo prop rio quest'espressione. Il sott otitolo ne rivela l'argom ento: I grandi

effett i dei piccoli cambiament i.

Gladwell racconta la storia di come a metà degli anni '90 le Hush Puppies dascarpe tip iche dei perd igiorno siano div ent ate l'articolo più di moda della città,

linea del tempo1958Punto critico

 

facendone salire le vendite da 30000 a 430000 paia in un anno. Quale respon-

sabile del mark eting n on vorrebbe ott ener e lo stesso risultato? Ma il m arketing

non c'entrava nulla. Animati da spirito alternativo, alcuni ragazzini alla moda

di Manhattan avevano cominciato a portarle proprio per il loro aspetto pale-

semente fuorimoda. Anche Isaac Mizrahi, noto designer, aveva cominciato a

portarle. Un altro designer le aveva usate per la sua collezione primaverile, poi

un altro ancora e non è passato molto tempo prima che sul tetto di uno dei negozi

più alla moda di Hollywood campeggiasse un bassotto - il cane di Hush Puppies

- gonfiabile lungo sette metri. Era stato raggiunto un punto critico, e soloattraverso il passaparola o, in questo caso, per imitazione contagiosa.

Contagio è la parola giusta. Gladwell chiama epidemia questa improvvisa

ondata di entusiasmo e, in effetti, i punti critici sono un fenomeno reale nel-

l'epidem iologia. La differenza tra un 'infezione virale che si spegne e un a che si

diffonde in una spirale esponenziale, fino a trasformarsi in un'epidemia, è molto

piccola in termini del numero di soggetti che trasmettono il virus. Ciò può

spiegare cosa è accaduto con le Hush Puppies. Ma come è successo? Gladwellpropone tre spiegazioni: la legge dei pochi, il fattore presa e il potere del con-

testo.

I t e promotori La legge dei pochi afferma che per diffond ere un messaggio

come un'epidemia occorrono tre tipi di persone che lo promuovano:

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come un epidemia occorrono tre tipi di persone che lo promuovano:

1.1 connettori - persone che sembrano conoscere tutti e si muovono in molti

contesti sociali. Son o specialisti dei cont att i, un collan te sociale.2. Gli esperti - persone che accumulano conoscenze su un particolare argomento

e aman o cond ivider le. Son o il tipo di persone che r icordan o i prezzi di dieci an ni

prima, che sanno tutto sugli impianti stereo o che scrivono ai giornali. Sono spe-

cialisti dell'informazione, banche dati umane.

3 . 1 ven d itori - person e che possiedono ciò che serve, qualsiasi cosa sia, per con -

vincervi a fare qualcosa. Sono i persuasori.

Il fattore presa è difficile da definire, ma spesso è qualcosa di

eccentrico nel modo in cui viene presentato che spinge la

gente a prestare attenzione a un'idea o un prodotto.

Gladwell sostiene che Sesame Street, il programma tele-

£ Pa u l Re v e r ee ra un conne t to re . 5Malcolm Gladwell, 2000

1968Adhocrazia

2004Web 2.0

Strategia oceano blu

 

Hai saputo...?Volendo sensibilizzare la comunità nera

di San Diego ai pericoli del diabete e del

cancro ai seno, l'infermiera Georgia Sadler

ha organizzato dei seminari nelle chiese

della città. Sono venuti in pochi, e quei pochi

erano già al corrente ma volevano saperne

di più. In mancanza di punti critici

all'orizzonte, la Sadler aveva bisogno di un

contesto, di un messaggero e di qualcosa

che facesse presa, e non aveva molti soldi

da spendere.

Poi ha avuto un'ispirazione, e ha spostato

la sua campagna dalle chiese ai negozi deiparrucchieri. Ha formato un gruppo di

professionisti del settore che operavano

in varie parti della città: con l'aiuto di uno

studioso del folklore ha insegnato loro come

dare informazioni raccontando delle storie

e poi li ha lasciati fare. Essi avevano il

pubblico prigioniero perfetto e un rapporto

speciale con i loro clienti e, come molti

parrucchieri, erano dei conversatori nati.

Erano simultaneamente connettori esperti

e venditori.

Sadler offriva ai suoi parrucchieri un

flusso costante di nuovi argomenti di

conversazione, informazioni e pettegolezzi.

Gradualmente, sempre più donne hanno

cominciato a sottoporsi a mammografie e

test per il diabete. Aveva funzionato. «Perinnescare un meccanismo epidemico

bisogna concentrare le risorse su pochi

aspetti fondamentali», osserva Gladwell,

«si può fare molto con poco».

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visivo, ha migliorato in modo dimostrabile la capacità di lettura di milioni dibambini perché i Muppets facevano presa.

Il potere del contesto significa che il momento e l'ambiente devono essere quelli

giusti, altrimenti non si crea massa critica. Nella New York dominata dal crimine

dei primi ann i '90, il tasso di crim ina lità è sceso verticalm en te - gli omicidi son o

diminuiti di più del 60% in cinque anni, e il numero complessivo di reati si è

dimezzato. Ciò è avvenuto grazie a un capo della polizia perspicace e pieno dirisorse, e il suo messaggio non è stato diffuso da persone ma grazie alla elimi-

nazione dei graffiti nella metrop olitana. Il cont esto, effettivam ente po tent e, era

che gli abitanti della città ne avevano finalmente avuto abbastanza.

Gladwell ritiene che i gruppi possano svolgere un ruolo nell'effetto contesto. / 

sublimi segreti delle Ya-Ya sisters di Rebecca Wells ha venduto 2,5 milioni di copie

in gran parte grazie al fatto di essere stato ad otta to d a gruppi di lettura femm inili.

Far parte di un gruppo mod ifica il comp orta men to u man o - i film sono sempre

più divertenti o hanno più suspence quando la sala è piena. Le conclusioni dei

 

il punto critico I 18 8

gruppi sono spesso abbastanza diverse da quelle che i singoli membri avrebbero

raggiunto da soli. Glad w ell sostiene che, com e nel caso delle Ya-Ya, i gruppi coesi

ha nn o il potere di ingigantire il potenziale epidem ico di un'idea. Ma qu anto pu ò

essere nu meroso u n grupp o prima di com inciar e a perdere coesion e? E le imprese

possono imparare qualcosa da tutto questo?

Il numero di Dunbar La ricerca e l'esperienza suggeriscono che ilnu mero magico di 150 persone - a volte not o come nu mero di Dun bar - costi-

tuisce il gruppo più vasto all'interno del quale ognuno può mantenere rapporti

stabili. L'antropologo inglese Robin Dunbar ha individuato questo limite dopo

aver studiato i Primati e le dimensioni delle tribù e dei villaggi preistorici. Gli

insediamenti degli Hutteriti, la setta comunitaria anabattista, tradizionalmente

si divid ono qu and o i loro membri raggiungon o il nu mero di 150. Alla WL Gor e

Associates, azienda produttrice del Gore-Tex, quando un impianto raggiunge i150 addetti, se ne apre un altro. La Gore ha mostrato un'elevata redditività per

quasi quarantanni e figura molto in alto, se non in cima alla lista dei «posti

migliori in cui lavorare» negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in

Germania, in Italia e nell'Unione Europea nel suo complesso. £ La t eo r i a de i pun t i

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Gladwell ritiene che la Gore abbia creato «un meccanismo orga-

nizzato che rende molto più facile emergere alle nuove idee einformazioni» - in altre parole, passare da una person a o da p arte

di un gruppo a tu tto il gruppo in u na v olta sola, sfruttand o i legami

creati dalla memoria e dalla pressione dei propri pari: «se la Gore

avesse tentato di raggiungere singolarmente ogni dipendente,

avrebbe avuto un comp ito m olto più d ifficile da affrontare».

Gladwell è stato assediato in quanto nuovo guru del management ed è entrato

nel giro delle conferenze, anche se egli sostiene di voler continuare a dedicarsial giornalismo. Malgrado alcuni lo accusino di affermare semplicemente delle

ovvietà, si è guadagnato l'amm irazione di em inen ti teorici del man agement come

Henry Mintzberg (si veda p. 4). W. Chan Kim e Renée Mauborgne (si veda p.

16) sono stati attratti dalle sue idee al punto di scrivere Tipping Point Leadership,

un d ettagliato caso di studio del progetto d i cont rasto al crim ine a New York.

cr i t ic i r ich iede . . .

u n a r i f o r m u l a z i o n ede l n os t ro modo d ipensa re i l mondo . JMateolm Gladwell, 2000

idea chiavePiccole cose possono

fare una grande differenza

 

4 6 La gestionedella qualità totaleSe il m an agemen t è u n a scienza, come alcun i han n o sostenu to,

è u na scienza inesatta ; essa stimola l 'apparizione d i un 'infinitàd i idee sulla m ate ria ch e affiorano e, il più delle volte, sprofond anonel nu lla. N el cam p o della qu alità, dove la scienza e la m atem aticasono di casa, si sono fatti p rogressi d avvero im p ressionan ti.Il contrib u to scientifico è giun to in gran p art e dall 'America,m a c'è stat o anche un n otevole ap p orto in termini di conoscenzeum ane, proveniente spesso dal Giapp one.

Questa potente combinazione ha raggiunto per la prima volta molte aziende

occidentali agli inizi degli anni '80 sotto forma di «gestione della qualità totale»

(GQT). Si trattava di una sintesi di diverse idee e strumenti sviluppatasi in

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Giappone dopo la Seconda guerra mondiale. Uno dei suoi principali architetti

è stato un ex demografo americano di nome W. Edwards Deming, invitato inGiap po ne n el 1947 dal Com an d o supremo delle forze alleate d 'occu-

pazione. I militari volevano che facesse qualcosa per ovviare agli

scarsi livelli di qualità giapponesi - come dimostrato chiaramente

dai loro rifornimenti locali.

 € La t r a s f o r m a z i o n e èu n l avo ro d i tu t t i . J

W. Edwards Deming, isas

Deming ha influenzato l'industria giapponese con tanto successo cheè ancora considerato una specie di semidio e, cosa non trascurabile, a lui è stato

intitolato il Deming Award, il più prestigioso premio annuale nazionale per laqualità. Egli ha redatto un piano in quattordici punti che costituisce una vera epropria filosofia del management, auspica una cultura del miglioramento ed

espone i modi per realizzarla. Uno era «smettere di dipendere dalle ispezioni dimassa» (il metodo tradizionale di controllo della qualità) e richiedere inveceprove statistiche del fatto che la qualità fosse stata incorporata nel prodotto.

linea del tempo1897Il principio 80/20

anni '40Produzione snella

 

Kaizen - p iccolo è belloIl Kaizen (miglioramento continuo) introduce

costantemente piccoli cambiamenti

cumulativi nell'azienda. Elemento

fondamentale della gestione della qualità

totale, è poi stato adottato dalla produzione

snella (si veda p. 28). Può essere unostrumento molto efficace, ma non può essere

utilizzato isolatamente. Funziona solo

in un'azienda in cui tutti, dal capo in giù,

sono incoraggiati a partecipare e a creare

un ambiente favorevole ai circoli di qualità

(si veda p. 187) che costituiscono parte

della sua attuazione.Il miglioramento su vasta scala può

sembrare più attraente: il salto quantico.

Ma i salti quantici sono rischiosi e difficili

da realizzare perché coinvolgono un gran

numero di persone e di processi. I piccoli

miglioramenti sono più facili (perché le idee

vengono dalle persone stesse), rapidi,

economici e meno rischiosi, e si accumulano

al punto che l'effetto può essere superiore

al salto quantico. Dato che incoraggia

i lavoratori a «impadronirsi» del loro lavoro,questo approccio può offrire notevoli

motivazioni. Il management deve ancora stare

attento a individuare le situazioni che

richiedono un cambiamento radicale, perché

è improbabile che esso derivi dal Kaizen.

La popolare, ma scorretta, espressione

«Kaizen blitz» - i giapponesi dicono kaikaku,che significa «cambiamento radicale» - sta a

indicare un cambiamento isolato, localizzato

e su scala più piccola, in cui un team tralascia

qualsiasi altra cosa per una settimana o dieci

giorni per migliorare un processo.

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p p p

Deming ausp icava un ' i s t ruz ione e una formazione energ iche , l ' abba t t imento de l le

bar r ie re t ra i var i se t to r i e il co in vo lg im en to q u ot id ian o degl i a l t i d i r igen t i . Egl i

s o s t e n e v a i n o l t r e i l m i g l i o r a me n t o c o n t i n u o a t t r a v e r s o u n a r i p e t i z i o n e d e l c i c l o

P D C A (pian, do, check, action), ossia pianif icare (raccogliere dat i , anal izzare i l

p r oblema , p r oge t ta r e la so luz ion e) , ag i re , cont ro l la re (misu rare il cam bia m en to )

e i n t e r v e n i r e ( a p p o r t a r e mo d i f i c h e o v e n e c e s s a r i o ) .

Joseph M. Duran ( s i veda p . 68) è s ta to un a l t ro amer icano mol to in f luente . «La

qual i tà non nasce per caso» , d iceva . Ques to e ra i l punto d i par tenza de l la sua

«t r i log ia de l la qua l i tà» , compos ta da l la p ian i f icaz ione d i qua l i tà , da l cont ro l lo d i

qua l i tà e da l mig l ioramento de l la qua l i tà . Kaoru I sh ikawa, che ha da to i l nome

al graf ico Ishikawa, o graf ico «a l isca di pesce» - uno strumento per r isolvere i

1951 1981 1986Gestione della Il management giapponese Six Sigmaqualità totale

 

pr oblemi legati alla qu alità - è stato u n'altr a figura di rilievo n ellosviluppo della GQT. Armand Feigenbaum ha usato per primo l 'e-

spressione «controllo della qualità totale» in un libro del 1951, poi Ishi-kawa ha corretto il «controllo» in «gestione».

Anche se molti elementi sono stati ripresi da metodologie successive (sivedano pp . 112 e 156), la G Q T in quan to tale è ormai in disgrazia. Ai tem piin cui era in auge costituiva un v ero e proprio stile di vita per l'imp resa e do-veva essere d iretta dai vertici aziendali. Qu and o non lo era - e accad eva

spesso nelle aziende occident ali che n e prend evano qu a e là gli elemen ti che preferi-van o - il fallimen to era quasi assicurato, e ciò ha con tribu ito a ridu rne la popolarità.Malgrado si incentrasse sul singolo settore era progettata p er essere applicata in tu ttal'azienda, non solo alla produzione. Prendeva in esame la qualità e il processoaziendale dal pu nto di vista del clien te, an che se il «client e» p oteva essere qualcun oin tem o alla stessa azienda, la person a cui si trasm etteva il lavoro o qu ella di cui si sod-

disfacevano le richieste.

Il metodo Kaizen La G Q T aveva due obiettiv i pr incipali - la soddisfazionetotale del cliente (intemo ed estemo) e quello che è poi stato chiamato «zero di-fetti». Ciò non significava che non si sarebbero verificati errori, ma che il processonon doveva contemplare un tasso di insuccesso. Il principio del Kaizen (si veda ilriquadro a pagina precedente) - l'equivalente giapponese del «miglioramento

ti f d t i it ll G Q T id t l' i d

4 Fa r e

d e l n o s t r omeg l io c i s t arov inando . JIl secondo teorema

di Deming

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contin u o» - era profond amente inserito nella G Q T e considerato l'unico mod o permantenere un'elevata soddisfazione del cliente. Altri princìpi fondamentali eranoche la pr evenzione è meglio della cura, e che è più econ om ico eliminare i d ifetti findalla progettazione dei prodotti; che la qualità riguarda tutti; e che i dipendentisvolgono un ru olo centrale nell'individu are i problemi a livello della qua lità e nelproporre miglioramenti.

Quest'ultimo principio dava luogo a «circoli di qualità», un altro elemento tipicodella GQT, e a un modo di praticare l'empowerment della forza lavoro. Dato

che tali aspetti vanno di pari passo con il Kaizen, a volte vengono detti «gruppiKaizen». Si tratta di gruppi di persone, non troppo numerosi, che eseguono lostesso tipo di lavoro e si incontrano regolarmente per risolvere eventualipr oblemi - spesso utilizzando i grafici di Ishikaw a. I p rincìpi gu ida dei circoli diqualità comprend ono i seguenti p un ti:

• Devo no essere formati su base volon taria. Nessun o dovrebbe essere forzato aparteciparvi.

• Dev on o riunirsi regolarmen te, sotto la guida del supervisore almen o u n'oraalla settimana, per cominciare. Successivamente la frequenza dipenderà daiproblemi incontrati.

 

• Devo no riunirsi du rante l'orario di lavoro, ma senza le distrazioni causate d al

luogo di lavoro.

• Ogn i riun ione deve avere un ordine del giorno e degli obiettivi chiar i.

• Il circolo deve essere in grado di richieder e l'aiu to di un esp erto, ove

necessario, e disporre di un proprio budget.

Quando la GQT è arrivata negli Stati Uniti, Phil Crosby, un ex

man ager del con tro llo di qua lità per il pr ogetto relativo ai missili

Pershing, ha p reso e ad attato al pu bblico am ericano gran parte di

queste idee. Ha coniato l'espressione «zero difetti» e uno dei suoislogan era «fallo bene fin dall'inizio». Egli ha anche formulato i

quattr o princìpi assoluti della gestione d ella qu alità:

1. La qualità è la conformità ai requisiti.

2. Per la qualità la prevenzione è meglio dell'ispezione.

3. Zero difetti è la prestazione standard di qualità.

4. La qu alità si misura in term ini mon etar i - il prezzo d ella no n confor m ità.Anche Crosby riteneva che il management doveva assumersi una responsabilità

di primo piano in questo cam po e ha in trod otto d ei «gruppi per il miglioramento

della qualità», incoraggiando i dipendenti a fissare i propri obiettivi di qualità.

Egli calcolava che i produttori industriali spendevano il 20% dei ricavi per fare

cose sbagliate e poi correggerle, e che per le imprese di servizi tale quota poteva

6 La q u ali tà v aprodotta, non

controllata. JPhil Crosby, 1888

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cose sbagliate e poi correggerle, e che per le imprese di servizi tale quota poteva

arrivare fino al 35% dei costi operativi. Questo era il costo della qualità. Inve-

stendo per correggere gli errori, le aziende avrebbero potuto recuperare tali costiprima ancora di ottenere qualsiasi ulteriore vantaggio competitivo. Perciò

Crosby, facendo riferimento al titolo del suo libro del 1979, era solito dire che

«la qualità non costa».

La GQT andava bene per ottimizzare i processi esistenti, ma era meno utile

quando si trattava di affrontare qualcosa di nuovo. La metodologia ipotizzava

che una migliore qualità fosse la risposta a tutti i problemi; molti suoi elementi,tuttavia, sopravvivono in altri sistemi e alcuni hanno osservato che essa riaffiora

in gran parte nel nuovo standard intemazionale di qualità della produzione

IS09001.

idea chiaveZero difetti, clientisoddisfatti al 100%

 

4 7 La catena

del valoreMichael Porter, che ha d ato al m an agem en t il m aggior n u merodi gran d i id ee dai tem p i di Peter Drucker, è inflessibile sullacomp etitività. Se u n'azien d a vuole otten ere un van taggiocomp etitivo, egli afferm a, deve esam in are ogn i p iccola cosa ch e

fa attraverso la lente d ella comp etitività. Il suo mod ello basat osulle cinq ue forze era un o stru m en to pe r valutare l ' inten sitàd ella con corren za o ltre i can celli della fabb rica. Per contribuireall 'analisi della comp etitività intern a di u n 'aziend a eglih a elaborato il concetto d i caten a d el valore.

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Potter considerava tutte le attività interconnesse che creano un prodotto o unservizio come anelli di una catena alquanto complessa. Ognuno ha un costo e

ognuno aggiunge valore al prodotto finale. L'azienda vuole vendere il prodotto

finale al cliente a un prezzo - un livello aggregato di valore - superiore alla

somma dei costi. La differenza costituisce il margine di profitto. Per massimizzare

tale differenza incitava le aziende ad analizzare la competitività di ogni anello

della catena. Egli divideva le attività aziendali in due categorie:

Le attività primarie sono direttamente coinvolte nella realizzazione

del prodotto o nella erogazione del servizio. Esse comprendono:

• gestione della logistica in entra ta - ricevere e immagazzinare

materie prime dai fornitori e distribuirle dove occorrono;

• operazioni - assemblare o realizzare il pr od otto finito, o fornire

il servizio;

• gestione della logistica in uscita - immagazzinare e distribuire i prod otti finiti;

• m arket ing e ven d ite - attiv ità volte a persuad ere il client e a compra re il

linea del tempo

£ I l valore è ciò chei c l ien t i sono

d i sp o s t i a p a g a r e . J Abraham Maslow, 1848

Gestione della catenadell'offerta

 

MICHAEL PORTER (n. 1947)

Un collega della Harvard Business School

ha descritto Michael Porter come

«probabilmente il più influente professore

di Economia del mondo», e in molti

considererebbero superfluo l'avverbio.

Nessun altro teorico del management, morto

o vivente, si avvicina tanto a Peter Druckerper il rispetto che suscita.

Porter e Drucker sono personaggi molto

diversi. Drucker, il visionario, mette sempre

le persone al centro della sua filosofia. Porter

non si occupa tanto delle persone, ma è un

professore fino al mido llo - incessantemente

analitico e ostile ai protagonismi individuali.Harvard gli ha conferito il titolo di University

Professor - un raro onore - e ha creato un

istituto per la strategia e la competitività

volto a proseguire il suo lavoro.

Tale lavoro, incentrato sulla competitività,

apparso nel 1990 e da allora egli ha

pubblicato studi indipendenti sulla Nuova

Zelanda, la Svizzera, la Svezia e il Canada -

sfruttando il suo vantaggio competitivo. È

stato a lungo uno dei professori più pagati del

mondo.

Come parte del suo lavoro sullacompetitività nazionale egli ha sottolineato

il valore dei «cluster», ossia delle

concentrazioni in una determinata località,

industriali - come Hollywood, Silicon Valley o

la SiliconFen di Cambridge. Altri argomenti

che hanno attirato il suo interesse

comprendono lo sviluppo dei centri urbani, losviluppo rurale, la responsabilità sociale

d'impresa e l'innovazione. Dei suoi 17 libri

i più recenti sono Redefining Health Care e Cari 

Japan Compete? ( la risposta è sì, se rinuncia

al capitalismo burocratico). Attualmente

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a e a o o, ce t ato su a co pet t tà,

si è propagato dalle aziende a interi paesi.

Il vantaggio competitivo delle nazioni è

p )

il Giappone assegna il premio annuale Porter

Prize alle scoperte in materia di strategia.

prodot to , comprese l ' a t t r ibuz ione de l p rezzo , l a sce l ta de l cana le d i d i s t r i -

buz ione e la pubbl ic i tà ;

• se rv iz io - ass i s tenza a l c l ien te dop o l ' acqu is to de l p r od ot to , comp res i l ' ins ta l -

lazione, i l servizio post-vendita e la gest ione dei reclami.

Le a t t iv i tà d i sos tegno a iu tano a mig l iora re l ' e f f ic ienza de l le a t t iv i tà p r imar ie .

Esse sono:

• forn i tu r e - l ' acquis to d i tu t t i i ben i , m ater ie p r ime e se rv iz i necessar i a c reare

i l prodotto o i l servizio ( le at t ivi tà di «creazione del valore»);

1980 1985Le cinque forze Catena del valoredella concorrenza

 

• svilupp o tecn olog ico - ricerca e svilup po, au tom azione e altri usi d ella tec-nologia a sostegno delle attività creatrici di valore;

• gestion e delle risorse um ane - r eclutar e e selezionar e la forza lavoro, adde-strarla, farla crescere, motivarla e remunerarla;

• infrastru ttu ra azienda le - organizzazione e con tr ollo, aspetti finan ziari, giu-ridici e tecnologia dell'inform azione.

L'impresa può ottenere un vantaggio competitivo realizzando queste attività diimportanza strategica più economicamente o meglio dei suoi concorrenti. Le

attività sono connesse in alcuni punti attraverso i quali le prestazioni o il costodell 'una influiscono su quelli dell 'altra. Tali punti di contatto sono moltoimportanti e comprendono i flussi di informazioni nonché di beni e servizi. Ilmar keting e le vend ite, ad esempio, devon o fornire previsioni realistiche e tem -pestive sulle vendite ai vari settori. Solo allora i responsabili delle forniturepossono ordinare i giusti quantitativi di materie prime per la data prevista. Lalogistica in entrata sarà pronta e i reparti operativi potranno fissare le scadenze

di produzione in modo da effettuare tempestivamente le consegne.

Un altro esempio di interconnessione in atto si ha quan do un p rodotto d ovevaessere riprogettato per ridurre i costi di fabbricazione, ma poi ha fatto aumentareinav ver titam ent e i costi di servizio. Più u n'aziend a riesce a eseguire in m odo effi-cient e le attività lungo la caten a del valore e a gestirne le conn essioni, più amp liail suo ma rgine di profitto - o com e direbbe Porter «genera u n valore su periore»

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il suo ma rgine di profitto o, com e direbbe Porter, «genera u n valore su periore».

Comprend ere i costi L'analisi della catena del valore è utile per per-seguire entr am be le strategie generali di comp etitività di Porter - il vantaggio di

costo e la differenziazione. Il suo focalizzarsi su att ività separate do vrebbe portare

a una migliore com pr ensione d ei costi e di com e comp rimerli in un d etermin ato

punto della catena. Ciò aiuta anche l 'azienda a decidere quali attività può

effettuare meglio dei suoi concorrenti, suggerendo opportunità di differen-

ziazione. L'analisi della catena del valore può anche far emergere le attività per

le quali l'esternalizzazione può costituire un'opzione valida.

L'impresa può procurarsi un van taggio di costo ridu cend o l'inciden za d elle singole

attività della catena del valore o riconfigurando quest'ultima. Ciò può significare

introdurre un nuovo processo produttivo o nuovi canali di distribuzione. Ad

esempio, la Federai Express ha riconfigu rato la sua caten a d el valore e trasformato

l'attività di spedizione rapida delle merci dotandosi di propri aeroplani e rea-

lizzando u na struttura hub and spoke, ossia uno scalo centralizzato.Porter ha isolato alcuni fattori che possono influenzare i costi delle attività della

catena del valore. Essi comprendono: le economie di scala, l'utilizzo degli

 

la catena del valore I 191

£ Ef f e t t u a r e a t t i v i t à s i m i l i m e g l i o d e i r i v a l i p u ò e s s e r ee s se n z i a l e p e r o t t e n e r e p r e s t a z i o n i su p e r i o r i , m a t e n d ea po r ta re l e az iende ve r so l a convergenza compe t i t iva ,

anz iché ve r so l ' un ic i t à . J

Michael Porter, 1986

impianti, le connessioni tra le attività, l'apprendimento, le interrelazioni tra learee aziendali, il grado di integrazione verticale, i tempi di arrivo sul mercato el'ubicazione geografica. Controllare questi fattori in modo più efficace dei con-correnti procura un vantaggio di costo.

Un'azienda che abbia optato per la differenziazione può ricercare il vantaggio in

qualsiasi punto della catena del valore. Nelle forniture, ad esempio, un input

raro o unico può creare differenziazione. Altrettanto vale per i canali di distri-

buzione che offrono alti livelli di servizi al cliente. Riconfigurare la catena del

valore per ottenere una differenziazione può comportare qualche forma di inte-

grazione verticale - ossia acquistare un fornitore o un clien te. La differenziazione

mira all'un icità - ma richied e crea tiv ità e spesso costa di più.

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Porter ha messo in luce diversi fattori che d eterm inan o l'u nicità, osservando che

molti di essi d eterm inan o a nch e i costi. Essi comp ren d ono: le p olitiche e le de-cisioni, le connessioni, la tempistica, l'ubicazione, le interrelazioni, l'appren-

dimento, l'integrazione e la scala. La catena del valore di un'azienda non è

un'isola. E parte di un sistema più ampio di catene del valore. Assieme esse

formano ciò che Porter chiam a il «sistema del valore».

Esistono connession i tr a le caten e e possono essere più o men o formalizzate. L'inte-

grazione verticale - l'acqu isto di un client e o di un fornitore - pu ò contribu ire all'e-stensione del contr ollo in questo camp o, ma il coord inam ento è possibile anche inaltri mod i. I fornitori di comp onen ti p er la motor istica p ossono mettersi d 'accord oe costruire i loro imp ianti vicino a un costruttore autom obilistico, ad esempio. An a-logamente, quand o deve gestire le connessioni int em e, la capacità di un'azienda dicreare e conservare un vantaggio competitivo dipenderà anche dalla sua capacitàdi gestire le connessioni esteme, e l'intero sistema del valore di cui fa parte.

chiaveconnessioni creano

 

4 8 Guerra

e strategiaL ' id e a che i l bu siness fosse una gue rra sot to a lt ro nom e hafat to pre sa su m olt i dirigen ti d 'azien d a n egli ann i '80. Non èche volessero d istr u ggere il n em ico - an ch e se alcun i di lorolo han no indub biamen te fa t to - m a r i tenevanod i d oversi d ed icare alla str at egia com e valorosi gen era li.

Anche se ammetterlo non va più di moda, molti dirigenti di grandi impresehanno sentito un'affinità con dei generali famosi. Essi hanno visto in loro gliartefici del proprio tempo, in un'epoca in cui il «commercio» non era unavocazione rispettabile. Nati in un'epoca successiva, gli uomini che aspiravano

^ alla carriera militare avrebbero tranq uillamente potu to optarefc Nella S t r a t e g i a t u t t o p e r ¡1 m 0 n c j 0 dell'industria- Vi avrebbero trovato molte

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fc Nella S t r a t e g i a t u t t o p e r ¡1 m 0 n c j 0 dell industria Vi avrebbero trovato molte

è S e m p l i c e , m a n o n analogie con il loro lavoro, come pianificare, organizzare lep e r q u e s t o f a c i l e . 5 risorse e motivare gruppi numerosi di persone per raggiungere

Cari von Clausewitz, 1832 u n d c r e r m i n a r o o b i e t t i v o

Jack Welch, l'ex AD che ha riformato la General Electric, nonfaceva mistero della sua ammirazione per Cari von Clausewitz, i cui scritti sid iceva avessero «trasferito l'essenza della strategia nap oleonica nella sua teoria».Egli era il capo di Stato maggiore prussiano a Waterloo e il suo Della guerra èstato pubblicato postumo nel 1832. «La strategia costituisce il piano di guerra»,ha scritto von Clausewitz, pur riconoscend o che può essere necessario m odificarei pian i. Qu ind i, aggiungeva, la strategia doveva andare «con l'esercito sul campodi battaglia p er mettere a pun to i dettagli sul mo m ent o». «La strategia non puòmai distogliersi dal lavoro nean che per un istant e».

Come suggerisce la citazione, l'approccio di von Clausewitz alla strategia era

descrittivo, più che prescrittivo, aspetto che piaceva a Welch. Una volta que-

linea del tempo500 a.C. 1897Guerra e strategia Fusioni e acquisizioni

 

st'ultimo h a citato d ei passi da una lettera d i un o dei suoi manager, affermand oche aveva colto gran parte del suo pensiero sulla pianificazione strategica:

Clausewitz ha riassunto d i cosa si trattava [...]. Non si poteva ridurre la strategia a unaformula. La pianificazione dettagliata era necessariamente destinata a fallire a causadelle inevitabili frizioni che si sarebbero incontrate: eventi casuali, imperfezioni nel-l'esecuzione e la volontà autonoma dell'avversario. Invece gli elementi umani eranofondamentali: carisma, morale, e il quasi istintivo buon senso dei generali migliori. Lastrategia non era un esteso piano d'azione. Era l'evoluzione di un'idea centraleattraverso circostanze in continuo cambiamento.

Il Boston Consulting Group era sufficientemente affascinato da von Clau-

sewitz da dedicargli un libro. Non è stato tuttavia un soldato prussiano, ma un

generale cinese a catturare in particolare l ' immaginazione dei dirigenti

aziend ali occiden tali della fine del XX secolo. Pressati come er ano d all'att acco

(ancora un termine militare) delle importazioni giapponesi, guardavano all'O-

riente in cerca di indicazioni con cui ribattere. La letteratura giapponese non

si è occupata molto del tema, ma la Cina offriva lo straordinario volume L'artedella guerra di Sun Tzu. Egli era un vittorioso generale della tarda dinastia

Ch ou e il suo libro - se è sta to lui a scrive rlo - risale più o men o al 500 a.C .,

epoca in cui vissero anche i filosofi Confucio e Lao Tzu.

Il paradiso degli aforismi Ammira to a

lungo dai soldati occidentali, il libro presenta un'a- 4 È p iù oppor tunol

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nalisi della strategia, ricca di aforismi e osservazioni

penetranti, adatta anche al lettore profano. In

tredici capitoli Sun Tzu esamina la pianificazione e

lo sviluppo strategico, le manovre, la spontaneità

sul campo, lo scontro vero e proprio e infine l'uso

dell'intelligence. La strategia, egli afferma, è il

«Grande Lavoro» dell'organizzazione, e il suo studio

non può essere trascurato. Essa si basa su cinquefattori fondamentali:

• Tao - la coesione del gruppo che n on fa sentire la paura ai suoi membr i.

• Fattori natu rali - fasi del giorno, cond izioni climat iche e lo scorrere del

tempo.

p a r l a r ed i a r t ed e l l a g u e r r ache d i sc ienzad e l l a g u e r r a . 5Cari von Clausewitz, 1882

1938Leadership

1965Strategia d'impresa

 

Lo ha detto Sun TzuChi è in grado di distinguere quando è il momento

di dare battaglia e quando non lo è, sarà vittorioso.

Chi è in grado di stabilire quando deve usare forze

maggiori, e quando minori, sarà vit torioso. Chi ha

creato un esercito compatto, con ufficiali e soldati

che combattono per un unico fine, sarà vit torioso.Chi è prudente e preparato, e resta in attesa delle

mosse del nemico temerario e impreparato, sarà

vit torioso. Chi dispone di generali esperti non

vincolati da funzionari di corte, sarà vit torioso.

 Le regole per impiegare le truppe sono queste. Se

sei dieci contro uno devi accerchiare il nemico. Se

sei cinque volte più forte attaccalo. Se la tua forza

è il doppio della sua, dividilo. Quando [e forze sono

uguali, se puoi impegna il combattimento.

Quando sei inferiore in tutto, se puoi ritirati.

Se sei inferiore in tu tt o al nemico devi riuscire a

sfuggirgli [•••] per una forza più potente, un a forzaesigua diventa una preda desiderata.

Combattere e ottenere conquiste in ogni battaglia

non è il massimo dell'abilità. Il massimo

dell'abilità consiste nello spezzare la resistenza

del nemico senta combattere.

• Situ azion e sul camp o - distanza, vie di fuga, accessibilità e pr obabilità di vita

e di morte.

• Com an d o - intelligenza, credibilità, um anità, coraggio e disciplina.

• Ar te flessibilità

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• Ar te - flessibilità.

Sun Tzu riconosce che la guerra non è indip end ente d alla politica e d all'econom ia.

Anzi, i cinqu e elem ent i più decisivi per la guerra sono la po litica, la tem pestività,

l'ubicazione geografica favorevole, i com an d an ti e la legge - la p olitica è il più

importante. Un a n ota sorpren dentem ente attuale si ritrova nella sua convinzione

che le batta glie vad ano v int e pagando il m inor prezzo possibile. Il miglior mod o per

vincere è ricorrere alla strategia politica. Egli insiste inoltre sul fatto che conoscere

il nemico è importante quanto conoscere se stessi e consiglia l'uso delle spie.Lezioni p er 1 m a n a g e r ? Il fatto che L' arte della guerra sia diventato la

Bibbia degli A D h a dato luogo a com m ent ari e libri del tipo «Lezioni per il mana-

gem ent d a...» - almen o una cinq u an tina , stando a un rapido calcolo. Un o è Sun

Tzu and the Art of Business, di Mark McNeilly, in cui l'autore estrapola dalla

famosa opera sei princìpi strategici per i manager:

1. Impadronitevi del vostro mercato senza distruggerlo. Gli scontri frontaliand rebbero p er qu an to p ossibile evitati. Le guerre dei prezzi inn escano le risposte

più rapide e aggressive da parte dei concorrenti, e distruggono i profitti di tutti.

 

guerr a e strategia I 195

 In guerra è meglio conquistare uno stato intatto. Devastarlo significa ottenere un

risultato inferiore... Ot tenere cento vittorie su cento battaglie non è il massimo dell'a-

bilità: vincere il nemico senza bisogno di combattere, quello è il massimo trionfo.

2. Evitate i pu nti forti dei vostri concorr ent i e atta ccateli su quelli deboli.

Un esercito può essere paragonato a un fiume, perché proprio come il fiume evita le

alture e si precipita nella vallata, altrettanto devono fare le truppe: scansare il pieno ecolpire il vuoto.

3. Usate la capacità di previsione e l'inganno per potenziare al massimo la

capacità di raccogliere informazioni economiche.

Conosci il nemico e conosci te stesso. In questo modo, anche se affrontassi cento bat-

taglie, non t i troverai mai in pericolo.

4. Usate rapidità e preparazione per battere velocemente la concorrenza. Larapidità n on è fretta - richied e molta p reparazione.

Fare affidamento su informazioni grossolane è il peggiore dei crimini. Essere preparati

in anticipo per qualsiasi circostanza è la più grande delle v irtù.

5. Usate alleanze e punti di controllo strategici per «plasmare» i vostri con-

correnti e renderli conformi alla vostra volontà.

Il l t f i d h i il i i i l i

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 Il generale esperto non va, ma fa in modo che sia il nemico a venire: non si lascia

condurre da lui.

6. Sviluppate le vostre caratteristiche di leader per aumentare al massimo le

potenzialità dei vostri dipendenti.

Se si trattano i sottoposti con benevolenza, giustizia ed equità, e si ha fiducia in loro,

le truppe saranno unite e accetteranno volentieri gli ordini dei comandanti.

Se Sun Tzu continua ad avere un seguito, i generali sono stati messi da parte in

quanto modelli strategici e sostituiti, tra gli altri, dalle squadre sportive.

idea chiaveoni didai militari

 

4 9 Web 2.0A p art e p och e lun gimiranti eccezioni, le aziend e sono lente adap rirsi al nu ovo. M a qu and o lo fann o ci si gett an o a capofitto.Un a man ciata d i pionieri trasform a un a nuova idea invan taggio comp etitivo, finché t u tti non la fann o p rop ria.Allora il nu ovo diventa la nor m a e la situazione t orn a in p arità.Ciò vale p er la tecnologia d elle comu n icazioni com e p erqu alsiasi altra cosa: ad esemp io, le aziend e han n o p iegato alleloro esigen ze il tel egra fo, il telefon o, il te lex e il fax. O ra to ccaa In tern et e a tu tt o ciò che fluisce attr ave rso la rete. Tuttaviasecondo alcuni «stavolta è diverso»: le tre parole più temutenel vocabolario aziendale.

Le idee sulle possibilità nel campo delle comunicazioni di trasferire pacchetti di

dati e di creare connessioni di rete sono venute alla luce al MIT negli anni '60,

e la prima rete di computer comunicanti attraverso le linee telefoniche è stata

t it l 1965 M i è d ti i li i '80 hé l i d i

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costruita nel 1965. Ma si è dovuti arrivare agli anni '80 perché le aziende comin-

ciassero a fiutarne le opportunità, e la prima fiera dell'interoperabilità che pre-

sentava Internet si è svolta nel 1988. Internet è la rete di base che consente di

funzionare a tutto il resto, ma le aziende erano più interessate alle applicazioni

che vi si p otev an o accopp iare, in p articolare il sistema d i scam bio di messaggi per

e-mail e il web, che permette di condividere informazioni utilizzando i browser

per accedere alle pagine web.

Le imprese ha n no capito in fretta le virtù dell'e-ma il in qu ant o mezzo di comu -nicazione, anche se il suo impiego come canale di marketing è stato ostacolato

da valang he di spam. Le aziende, e i loro clienti, era no p iù esitanti rispetto al web

e molti dei primi siti aziendali contenevano solo informazioni. E stato nell'am-

biente più protetto delle transazioni tra imprese che l'e-commerce ha cominciato

a diffondersi inizialmente. Man mano che le preoccupazioni dei consumatori per

linea del tempoprimi anni '50Gestione dei canali

1958Punto critico

1964Le quattro «P»del marketing

 

la sicurezza scemavano, e gli acquisti on-line di libri e di vacanze andati a buon

fine facevano aumentare la fiducia, l'e-tail (electronic retail) ha potuto occupare

il posto che gli spettava, diffondendo il commercio al dettaglio in ogni possibile

angolo. I minori costi d elle transazioni si sono trad otti in un a riduzione dei prezzi,

e gli acquisti on-line sono cresciuti del 50% nel 2006 fino a rappre-

sentare il 10% delle vendite al dettaglio complessive nel Regno

Unito, mentre negli Stati Uniti la quota è ancora intorno al 3%. Peralcuni agili produttori industriali e fornitori di servizi tutto ciò può

aver com po rtat o solo il riposizionam ento su un cana le di distribuzione

diverso (si veda p. 32). Ma i media hanno cominciato ad avere i

brividi man mano che sempre più persone sceglievano di informarsi

attraverso i blog e i siti di social network come MySpace, invece di

ricorrere alla stampa o alla televisione.

Un clic e addio II web ovviamente non sta distruggendo la

realtà concreta, ma anche negli Stati Uniti molti di coloro che

effettuano gli acquisti fuori della rete, prendono on-line le loro

decisioni in materia, aprendosi la strada a colpi di clic tra un sito e

l'altro, confron tan d o prezzi e caratter istiche. Il rovescio della m edaglia

è che alcun i negozi stanno d iventan d o dei saloni da esposizione, d ove

4 [ I n t e r n e t ] s t a

f a c e n d o n a sc e r eu n a n u o v aa r c h i t e t t u r aa z i e n d a l e c h es fi d a l a s t r u t t u r ad e l l ' i m p r e s an e l l ' è r ai n d u s t r i a l ei n q u a n t o b a s ed e l l a s t r a t e g i acompe t i t iva . 9

2001

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i clienti entrano per familiarizzare con il prodotto e poi lo acquistanoon-line. Cercare un'impresa o un p rod otto su Google è d iventat o, per

molti, parte integrante del fare acquisti e cercare informazioni. Le aziende, nel

web, hanno bisogno non solo di essere presenti, ma di fare «presa» (si veda p.

180), altrimenti basta un clic e addio. Il web è l'ambiente più egoista del mondo,

come amano ripetere su Yahoo!

Lo scoppio della bolla delle imprese informatiche ha tagliato il fiato alla new

economy - per un breve periodo - ed è sembrato dar ragione a coloro che r ite-

nevano che la rivoluzione on-line fosse stata esaltata in modo esagerato. Tra

questi vi era anche lo stimato Michael Porter. Egli non riteneva che Internet

costituisse una rottura con il passato e sosteneva che rientrava semplicemente

nell'evoluzione d elle tecnolog ie d ell'informazione in corso, alla pari con la com u-

nicazione wireless e le tecniche di scansione delle immagini. Don Tapscott,

coautore di Capitale digitale, era in totale disaccordo e sosteneva che Internet

stava già cambiando radicalmente. Egli la definiva la nuova infrastruttura del

1980 1983 2004Le cinque forze Globalizzazionedella concorrenza

Web 2.0

La coda lunga

Don Tapscott,2001

 

Virus contagiosiIl marketing virale, l'inarrestabile diffus ione

di un messaggio tra la popolazione come

un contagio, sta diventando più difficile.

Gli inserzionisti sgomitano per ottenere

attenzione nei siti web e la comunità

internauta diventa sempre più diffidente.

Per i manager del marketing della vecchia

economia che si sentono abbastanza audaci

da fare un tentativo, Karl Long (blogger e web

integration manager del settore videogiochi

della Nokia), osserva che il successo

non è in relazione con gli investimenti,

e suggerisce un approccio in tre fasi:

Sperimentare - prendetelo come un

esercizio di innovazione e costruite un

portafoglio di esperimenti di social media

attraverso blog, vlog, podcast, widget e social

network (strumenti abbastanza facili da

affrontare e condividere). L'insuccesso

non è solo una possibilità è un requisito

Monitorare - i social media mettono nelle

mani dei responsabili del marketing una gran

quantità di strumenti che consentono

di misurare e monitorare in tempo reale

il successo delle proprie idee sul mercato.

Technocrati, del.icio.us, BlogPulse e PubSub

sono solo alcuni degli strumenti che permettono

di verificare quali idee vengono condivise e

quali prendono piede. Tuttavia monitorare non

vuol dire solo misurare, ma anche ascoltare.

Prestate attenzione alle conversazioni, alle

risposte e ai mash-up  e avrete una ricca fonte

cui attingere quando vorrete...

Rispondere - quando le cose decollano,

fareste meglio ad essere preparati a

rispondere, partecipare e impegnarvi nella

conversazione che scaturirà. Potete amplificare

quello che sta accadendo, rifletterlo,

metterlo a frutto? Divertitevi, abbiate senso

dell'umorismo Vi è una sola regola

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non è solo una possibilità, è un requisito.

«Sbagliare in fretta, per avere successo

prima».

dell umorismo. Vi è una sola regola

nel marketing virale, «non prendetevi troppo

sul serio».

XXI secolo - «i l meccanismo con cui gl i individui e le organizzazioni scambiano

d e n a r o , e f f e t t u a n o t r a n s a z i o n i , c o mu n i c a n o f a t t i , e s p r i mo n o p e n s i e r i e o p i n i o n i ,

e c o l l a b o r a n o a l l o s v i l u p p o d i u n a n u o v a c o n o s c e n z a » .

M e n t r e Po r t e r r i t e n e v a c h e u n a s u a a d o z i o n e u n i v e r s a l e a v r e b b e « n eu t r a l iz z a t o »

I n t e r n e t i n q u a n t o f o n t e d i v a n t a g g i o c o mp e t i t i v o , T a p s c o t t r i b a t t e v a c h e e s s a

avrebbe permesso a l le az iende d i c reare prodot t i un ic i , d i e l iminare g l i sprech i ,

di differenziarsi e di raggiungere forni tor i e cl ient i nuovi . In effet t i i l web è già

un a c rea tura m ol to d iversa da que l la o r ig inar ia , re la t iv am ent e s ta t ica e incent r a ta

sul le pagine. Erano sol tanto spazi da vis i tare . Oggi i l web è i l luogo in cui s i va

per «fare le cose». Entrate nel Web 2.0.

Partecipazion e, n on divulgazione T a p s c o t t a v e v a r a g i o n e q u a n d o

a f f e r ma v a c h e i l w e b s t a v a d i v e n t a n d o p i ù d i u n i n c r o c i o t r a u n c e n t r o c o m-

 

merciale e le Pagine gialle. Se il Web 1.0 si dedicava alla divul-

gazione, il We b 2.0 è partecipazione, afferma l'ed itore Tony O'Rei lly

(la cui azienda ha con tribu ito ad articolare il concet to della fase du e

nel 2004). Un sito web «wiki» è tipico del Web 2.0 perché consen te

agli uten ti di comp letarn e o m odificarne il cont en u to (iviki-wiki in

hawaiano sta per «rapido»). L'esempio più noto è quello di

Wikipedia, l'enciclopedia on-line che tutti possono correggere, avolte a suo dan no; alcun e aziende stan no, inoltre, usand o i wiki per

redigere ordini del giorno pre-riunioni o per sviluppare idee. In

alcuni casi il traffico wiki supera quello intranet.

 Mash-Up II Web 2.0 è attrezzato con il software e i dati p er fare ciò

che v i occorre, senza che d obbiate scaricare da voi p acchett i software.

Il web somiglia sempre più a u na r ete e la realizzazione d i conn essioni

è a sua volta un elemento centrale, sia collegando gli individui

attraverso i siti e i blog di social network, sia comb inan d o d iverse font i di conten u ti

nello stesso sito - i mash-up. Si è fatto ricorso a un mash-up per aiutare gli abitanti d i

New Or leans, trasferiti in seguito all'uragan o Katrina , a trovare un lavoro - inse-

rivano il tipo di lavoro desiderato nel sito, questo effettuava una ricerca su circa un

migliaio di piattaforme d i ann un ci e ne ind icava l'ubicazione su un a mappa Google.

6 I I p rod ot to d ie B a y è l ' a t t i v i t àc o l l e t t i v a d i t u t t ii suo i u t en t i ; comei l w e b s t e s s o ,

eBay c resceo r g a n i c a m e n t ei n r i s p o s t aa l l ' a t t i v i t àd e g l i u t e n t i . 5Don Tapscott, 2001

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Il «marketing virale» (si veda il riquadro a fianco) cerca di sfruttare le connessionisociali per far conoscere, attr averso il passaparola, prodotti e servizi in tu tto il web.

Le aziende web 2.0, come eBay e Skype sono nate nel web. Ogni volta che

qualcuno li usa e lascia un commento o aggiunge un contatto migliora lo

strum ento p er sé e per tu tti gli altri. «Ogni v olta che en triam o in qu esti siti stiamo

programmando il web», osserva Tapscott. Tuttavia, le aziende non-web, stanno

ancora cercando la loro strada nel web 2.0. Un numero esiguo di esse è presente

in Secon d Life, un o dei mon d i digitali del web. La casa editrice Pengu in, in mod oforse un po' temerario, ha lanciato un progetto di wiki-romanzo, intitolato A

Million Penguins, che ha attirato talenti di vario livello. Esistono chiaramente

opp ortunità di innovazione, an che se la comu nità w eb va trattata con attenzione.

La ricerca suggerisce tuttavia che i marchi che hanno successo nel web creano

legami emotivi, diventando «proprietà» non solo di coloro che li creano, ma

anche di quelli che li usano.

idea chiaveLa n u ova in f ras t ru t tu ra

del XXI secolo

 

5 0 In quale industria

operate?Ogni tanto spunta fuori un ' idea davvero r ivoluzionaria,di qu elle ch e spin gono ogni aziend a ragionevole a esam in arequ ello ch e sta facen d o in un a nuova p rosp ett iva. E uno sguardocorrettivo è proprio ciò che Theodore Leviti ha offerto ai

m an ager con il suo sprezzan te, p rovocatorio e assai influentearticolo Marketing Myopia, pubblicato sulla «Harvard BusinessReview» nel 1960. L'argomento sarà anche stato il marketing,m a più di ogni al tr a cosa, r igu ard ava la str ateg ia.

Certamente non vi è azienda al mondo che non sia «concentrata sul

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cliente», o almeno dica di esserlo. Potrebbe perciò essere difficile ricor-dare, o anche solo concepire, un'epoca in cui non era così. Ma la situa-

zione era proprio questa all'inizio degli anni '60 quando Levitt ha deciso

di dare una forte scossa all'industria americana. Egli ha osservato che tutte

le principali industrie una volta erano in crescita. Alcune lo erano ancora,

ma lo spettro del declino incombeva su di loro. Altre avevano

già cessato di crescere. In ogni caso, la ragione non era la satu-

razione del mercato, ma u n'in capacità d el man agem ent, al massi-mo livello dirigenziale. Vale la pena di citare per intero la sua

Prova A:

 Le ferrovie non hanno cessato di crescere perché è diminuita la necessità

di trasporti per passeggeri e merci. Questa è cresciuta. Le ferrovie oggi

sono in crisi non perché questa necessità sia stata soddisfatta da altri mezzi

(automobili, camion, aeroplani e perfino telefoni), ma perché non è stata

é I I mig l io r modop e r u n ' a z ie n d a d ie s s e r e f o r t u n a t a

è c o s t r u i r ed a s é l a p r o p r i a

fo r tuna . 5

Theodore Levitt, 1880

linea del tempo1450 1938Innovazione Leadership

 

THEODORE LEVITT 1925-2006

Economista e professore a Harvard, Theodore

Levitt si è guadagnato un posto nella storia del

management contemporaneo con Marketing 

Myopia. In tale articolo, uno dei 25 che ha

scritto nel corso del tempo per la «Harvard

Business Review», si combinavano le sue

qualità di pensatore spericolato e di scrittore

godibile. Anche i lettori la pensavano così - più

di 1000 aziende hanno ordinato 35000 nuove

copie nelle settimane successive alla sua

pubblicazione e il totale è arrivato a 850000.

Nato in Germania, si è trasferito a Dayton,

in Ohio, con la famiglia all'età di dieci anni.

Ha contribuito a fondare un giornale mentre

era ancora alle scuole elementari e ha

successivamente lavorato come cronista

sportivo per una testata locale, terminando

l'università per corrispondenza - aveva

interrotto gli studi a causa della Seconda

guerra mondiale e dell'arruolamento. Ha

recuperato rapidamente, conseguendo un PhD

in economia e, dopo aver lavorato come

consulente per il settore petrolifero, si è

trasferito a Harvard nel 1959 dove è rimasto

per il resto della sua vita professionale.

Levitt non ha solo scritto per la «Harvard

Business Review», ma ne è anche stato

redattore dal 1985 al 1990 dandole un tono

meno accademico e rendendola molto più

popolare. Se non avesse scritto Marketing 

Myopia, verrebbe comunque ricordato per

aver reso famosa nel mondo l'espressione

«globalizzazione», che ha usato nel 1983 in un

articolo intitolato The globalization of markets.

soddisfatta dalle ferrovie stesse. Esse si sono lasciate portar via i clienti perché rite-

nevano di operare nell' indust ria ferroviaria, anziché in quella dei trasporti. La

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ragione per cui hanno definito erroneamente la propria in dustria è che erano

orientate alle ferrovie, e non ai trasporti; erano orientate al prodotto anziché al

cliente.

Intrattenimento, non film Hol lywood è sopravvissu ta a l la nasc i ta

d el la te lev ision e, ma solo per i l ro t to del la cuff ia . Tu tt i i gran d i s tud i av ev an o

subi to una dras t ica r io rganizzaz ione e a lcuni e rano scompars i . La causa de i

l o r o p r o b l e mi , t u t t a v i a , n o n e r a l ' i r r u z i o n e d e l l a t e l e v i s i o n e , ma l a l o r omiopia . Pensavano d i essere ne l l ' indus t r ia de l c inema, ment re in rea l tà e rano

i n q u e l l a d e l l ' i n t r a t t e n i m e n t o . H a n n o s c a r t a t o l a t e l e v i s i o n e me n t r e a v r e b -

b e r o d o v u t o s a l u t a r l a c o me u n ' o p p o r t u n i t à . L e v i t t s i c h i e d e v a : « Se H o l -

1960 1965 anni'90Strategia d'impresa Gestione delle relazioni

vi trovate? con i clienti

 

Le vend i t e s ic o n c e n t r a n o su l l e

Theodore Levitt, 2001

lywood fosse stata orientata al cliente (offrend o int rat ten imen to) invece che

al prodotto (realizzando film) sarebbe passata attraverso il purgatorio fiscale

che le è toccato?». Egli ne dubitava.

Levitt sosteneva ch e no n esiste un'ind ustria in crescita, ma solo aziende ch e

possono creare e sfruttare occasioni di crescita. Le industrie «in crescita»

( La d i f fe renza t ra m o r t e 0 moribonde credevano in uno o più dei seguenti miti:

m a r k e t i n g e v e n d i t e * Ia nostra crescita è garantita d a una pop olazione in espansione

è p i ù ch e s e m a n t i c a . e c o n m a g e i o r i disponibilità economiche;

" non esiste alcun sostituto competitivo per il principale

prodotto della nostra industria;

possiamo proteggerci attraverso la produzione di massa e costi

n e c e s s i t à d e l unitari rapidamente decrescenti di pari passo con l'aumento

v e n d i t o r e , del prodotto;

i l m a r k e t i n g • l'eccellenza n ella ricerca e svilup po in cam p o tecn ico ci assi

s u i b i s o g n icurerà la

crescita-d e l l ' a c q u i r e n t e . 5 Lev it t osserv av a ch e u n m er ca to in esp an sio ne ev it a al p ro-

duttore di doversi lambiccare il cervello o di essere partico-larmente creativo. Se il vostro prodotto ha un mercato che si

espande automaticamente, potreste essere tentati di non riflettere su comeespanderlo voi stessi. Egli rimproverava all'industria petrolifera di avercreduto ai primi due miti e di essersi concentrata su come ottenere e fab-

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bricare in modo più efficiente il proprio prodotto, invece di migliorare ilprodotto in generale o il suo marketing.

Addio alla fru sta Non vi è alcuna garanzia contro l'obsolescenza del

prodotto, avvertiva, e se la ricerca dell'azienda stessa non rende il prodotto

obsoleto, lo farà qualcun altro. Con l 'avvento dell 'automobile, nessuno

sviluppo del prodotto avrebbe potuto salvare l'industria delle fruste per i coc-

chieri. Se essa avesse ritenuto di essere invece un elemento dell'industria dei

trasporti, avrebbe potuto mettersi a produrre, ad esempio, cinghie per le

ventole.

Nelle industrie di produzione di massa, il volume, notava Levitt, poteva

essere una trappola e una delusione. «La prospettiva di costi unitari decre-

scenti al crescere della quantità di prodotto, è un qualcosa cui di solito la

maggior pa rte d elle aziende d ifficilmen te sa resistere... Tutt i gli sforzi si con-

centrano sulla produzione. Il risultato è che il marketing viene trascurato».Altrettanto pericoloso può essere fissarsi sulla ricerca e sviluppo, illudendosi

che un prodotto superiore si venda da sé. Ancora una volta, il marketing è

 

un ripensamento tardivo, il figliastro trascurato. In tutti questi casi le aziende

si vedono come produttrici di beni e servizi, non di soddisfazione per il

cliente. Dovrebbero pensare al contrario. «Un'industria inizia dal cliente edai suoi bisogni, non da un brevetto, da materie prime o dall 'abilità nel

vend ere». Partend o dai bisogni del cliente, u n'indu stria dovrebbe svilupp arsi

all'indietro attraverso la consegna, la creazione, e infine le materie prime.

Vendere non è fare mark eting Levitt non intendeva dire che sistessero trascurando le vendite. «Ma vendere, ancora una volta, non è fare

marketing», affermava. «Vendere ha a che fare con trucchi e tecniche perspingere gli individu i a scambiare den aro con il vostro prod otto. No n riguardail valore al cent ro d ello scambio. E, al cont rario d i qu ant o fa invar iabilmenteil marketing, non vede l'intero processo aziendale come uno sforzostrettamente integrato per scoprire, creare, ridestare e soddisfare ibisogni del cliente».

Levitt diceva che costruire un'azienda efficace e orientata al cliente

richiedeva ben più che buone intenzioni e trucchi promozionali.Coinvolgeva aspetti profondi dell'organizzazione umana e della lea-

dership. L'azienda aveva bisogno di una guida «energica» ed

ispirata, con una visione capace di creare un vasto numero di

seguaci appassionati. «Nell'economia, i seguaci sono i clienti».

Nell'azienda rivisitata di Levitt il management non deve pensare a

( G l i ind iv idu ii n r e a l t à n o na c q u i s t a n o

b e n z i n a . E s s ia c q u i s t a n oi l d i r i t t o d ic o n t i n u a r e ag u i d a r e l a l o r oau to . ^

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se stesso come a un'entità che realizza prodotti, ma che fornisceelementi di soddisfazione che creano clienti e deve far penetrare

quest'idea - e tu tto ciò che compor ta - in ogni angolo d ell'azienda.

Essa deve pensare ad «acquistare client i» ed è l'amm inistratore delegato ch e

ha la responsabilità di creare questo atteggiamento e questa aspirazione.

«L'amm inistratore d elegato deve stab ilire lo stile dell'aziend a, la sua direzione

e i suoi obiettivi», concludeva Levitt. «Ciò significa sapere esattamente dove

si vuole andare e assicurarsi che l'intera organizzazione sappia dove si trovae ne sia entu siasta. Ques to è un p rimo requ isito della leadersh ip, per ché se un

leader non sa dove sta andando, nessuna strada ce lo porterà».

Theodore Levitt, i960

idea chiave

L'azienda è u n organ ism oche soddisfa il cliente

 

GlossarioAmmortizzare i costi II valoredelle attività si deteriora coltempo, quindi il loro costo vienecontabilizzato a fronte dei profitti

- ammortizzato - nell'arco di al-

cuni anni. Più lungo è il periodo,minore è la quota annua imputata.

A SA Area strategica di affari. Nu-cleo, settore o anche prodotto diun'azienda ch e serve il prop rio mer-cato e d etermina la propria strategia.

Barriere in en trata/u sci ta Fattori

che impediscono a nuovi con-correnti di entrare nel m ercato o aquelli esistenti di uscirne. Di solitosono legate ai costi o al know -how

- da cui il «costo d'entrata».

Capitale Attività finanziarie ofìsiche utilizzate per produrrereddito. Comprende il denaro

l'azienda. Un consigliere indi-

pendente dovrebbe rappresentaregli interessi degli stakeholder. Un

consigliere che h a lavorato p er l'a-zienda non è «indipendente».

Consolidamento Riduzione del nu-mero di concorrenti all'interno diun'industria dovuta al fatto che leaziende di maggiori dimensioni ac-quisiscono o eliminano quelle piùpiccole.

Convergenza Parola di moda

negli anni '90 che descrive la cre-scente interdipendenza di teleco-municazioni, computer e media.

La convergenza «strategica» è lacrescente somiglianza tra le stra-

tegie delle singole imprese.

Costi uni tar i II costo legato alla

d i di ' i à di l

Implica spirito di iniziativa e

assunzione di rischi.

Integrazione verticale Ciò che

accade quando un'azienda estendeil suo cont rollo lungo la catena del-

l'offerta, acquistando i suoi fornitori(integrazione all'indietro) o i suoiclienti (integrazione in avanti).

Investimento etico Un tipo diinvestimen ti ch e evita le azioni diaziende «non etiche», come qu elleche producono armi o tabacco e

che sono altamente inquinanti.Per alcuni anche la corporate

govemance rappresenta un aspetto«etico».

IPO Initial Public Offering, offertapubblica iniziale, con la quale siinvita il pu bblico a investire n elle

i i di 'i i

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investito in un'impresa (capitaleazionario) o preso in prestito daessa (cap itale di cred ito). Gli inve-stitori si aspettano un rendimentosul capitale investito (ROIC).

Capitale di rischio Finanziamentodi aziende ad alta crescita, giovan i

o in fase di avvio, le cui attivitàsarebbero troppo rischiose perattirare i necessari cap itali da altrefonti. L'alto rischio comporta an-che un alto rendimento.

Conglomerato Un insieme diaziende operanti in industrie non

connesse tra loro, di solito di pro-prietà di una holding company. N onpiù in voga tra gli investitori.

Consigliere indipend ente Membrodel consiglio di amministrazionenon impiegato come dirigente dal-

produzione di un'unità di qual-cosa. Le economie di scala in-dicano che quanto più si produce

di quel qu alcosa, minor e sarà il suocosto unitario.

Costo di entrata Si veda Barriere

in entrata/ uscita.

Customizzazione Si veda Perso-nalizzazione di massa.

Efficienza versus Efficacia Effi-cienza vu ol dire risparmiare temp o,

denaro, o fatica («fare le cose nelmodo giusto», affermava Peter

Drucker). Efficacia significa rea-

lizzare un lavoro di qualità che rag-giunge i suoi obiettivi (fare le cosegiuste).

Imprenditore Chi intraprendeun'attività al fine di rifornire il

mercato per ottenere un profitto.

azioni di un'impresa quotata inBorsa per la prima volta.

Le 5 «S» Sistema giapponese chemira all'ordine e alla pulizia sulposto di lavoro: seiri (precisione),seiton (ordine), seiso (pulizia), sei-

ketsu (standard) e shitsuke (disci-plina).

Legge di Goodhart In sostanza,quando un parametro assuntocome un ità di misura diventa unameta , esso smett e di essere valido,perché porta i dipendenti a con-centrare le loro attività su altriobiettivi.

Logistica Tecnicamente, la ge-stione del flusso di materiali einformazioni lungo la catena del-l'offerta, ter min e spesso usato piùspecificamente per indicare il tra-sporto e il magazzinaggio.

 

Margine Profitto espresso intermini di percentuale sulle

vendite. Un margine elevato èpositivo, uno basso meno.

Marketing virale Tecnica che inco-raggia gli individui a diffondere unmessaggio di m arketing attraverso isocial network (passaparola e mezzielettronici); si diffonde tra la popo-lazione come un virus. Se il tasso di

trasmissione è elevato la campagnasi diffonde a valanga, se è basso ilmessaggio fa fiasco.

Multinazionali Aziende con suc-cursali in più paesi. Alcune prefe-riscono definirsi «imprese globali».

Nicchia Piccola fetta di un piùvasto mercato. Il marketing dinicchia è molto più mirato diquello di massa.

Non correlati Si riferisce adattività o investimenti i cui ciclinon sono legati gli uni agli altri.Poiché le rispettive fortune non

d bb bi lti b i

la responsabilità sociale d'im-presa.

Organizzazione gerarchica Un'or-ganizzazione con molti livelli digestione, spesso piramidale, doveogni livello riferisce a quello su-periore fino a raggiungere il ver-tice.

Penetrazione di mercato Signi-

fica entrare in un nu ovo m ercato.I prezzi di penetrazione di solitosono inizialmente più bassi perconquistare l'accettazione da par-te dei consumatori.

Personalizzazione di massa A-dattare un prodotto di massa alconsumo individuale.

Produttività La quantità di pro-do tto per unità di input - spesso ilnumero di ore necessarie per rea-lizzare un prodotto. Aumentare laproduttività è una delle preoccu-pazioni favorite dei manager.

Ri P l tt t

Sinergia Quando uno più uno fatre. Il valore aggiunto creato (o più

spesso sperato) nel momento incui due aziende o attività vengonoaccorpate.

Skimming Una strategia di attri-buzione dei prezzi a prodottinuovi, specialmente se sonounici. Con lo skimming si fissa ilprezzo massimo consentito dalmercato, poi lo si abbassa quandosi presentano dei concorrenti.

Stakeholder  Portatori di interessi.Soggetti diversi dagli azionisti edagli obbligazionisti, che hannoun interesse nell'azienda e nellesue attività. Insieme vasto ed ete-

rogeneo che comprende, tra glialtri, la forza lavoro (e i suoi rap-pr esentanti), i clienti, ON G, sog-getti istituzionali, la comunità ingenerale.

Standardizzati Si riferisce a pro-dotti per i quali nessun mar chio ha

i t tt i ti h diff ti

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dovrebbero subire alti e bassisimultaneamente, la mancanza dicorrelazione dovrebbe ridurre lavolatilità.

Nu cleo di attività Le attività chesono al centro del successo diun'azienda. Altret tan to vale per ilnu cleo di prod otti e di abilità.

Off-shoring Spostare alcune atti-vità di un'azienda, spesso la produ-zione industriale, in un altro paese.Non è la stessa cosa dell'estemaliz-zazione, che consiste nel dare inappalto un'attività a qualcun altro,nel paese o all'estero.

O N G Organizzazioni non gover-native, di solito con fini altruisti-ci. Spesso coinvolte negli aspettiche riguardano gli stakeholder e

Risorse Personale, attrezzature,impianti, denaro e materiali uti-lizzati per raggiungere un parti-colare obiettivo. Il problema d ellerisorse è che non sono infinite.

Scorte Forniture, prodotti finiti osemilavorati che si trovano al-l'interno dell'azienda in ognimomento.

Settore Divisione aziendale chedi solito dispone di un propriobudget, come ad esempio vendite,produzione, marketing, risorseumane e finanze.

Sindrome «non è stato inventatoqui» Resistenza verso qualsiasiidea o pratica che provenga dal difuori dell'azienda o add irittura d elsingolo settore.

previsto caratteristiche differenti eche i consumatori scelgono uni-camente in base al prezzo.

Sviluppo sostenibile Quello che cisi aspetta che le grandi imprese pro-muovano con il loro comporta-mento, di modo che le attività

attuali non pregiudichino la ca-pacità delle generazioni future disoddisfare le proprie necessità.Riguarda principalmente, ma nonesclusivamente, la sfera ambien-tale.

Valore per l 'azionista Più soldiper gli azionisti. Sotto forma dicorso delle azioni più elevato, didividendi più consistenti o ditrasferimenti in un'unica solu-zione.

 

Indice

analiticoAAcquisizioni, 51, 54,66, 96,109,

136-139, 166.Adhocrazia, 4-7.Alleanze strategiche, 38, 164-

167, 195.Amazon, 64, 67, 120, 122.Ansoff H. Igor, 49-50. 64.Aree strategiche di affari (ASA),

20-23, 36, 38-39, 205.Assistenza al cliente/al consu-

matore/post-vendita, 17, 58,89, 135, 142, 189.

Athos Anthony, 100-103, 141-142.

Autenticità, 110-111.Azionisti:

corporate governance, 40-43;e diversificazione, 65-66;fedeltà degli, 124-125.127;valore per gli, 51, 103, 163,166, 205.

BBenchmarking, 12-16, 25, 147.Bennis Warren G„ 4, 7,7 5,108-

111.

Bisogni, gerarchia dei, 176-177.

soddisfazione del/dei/della.9-10, 24,114, 133, 156.158.186, 203.

Complessità, 52-55, 147, 150,158, 175.

Comunicazione, 51,91 ,95 ,105,132, 149, 162, 196, 197.

Concorrenza;e il principio 80/20, 71;e la catena del valore, 188-191;le cinque forze della, 84-87;l'economia della cono-scenza, 104-107, 109-110;strategia, 51, 67,195, 202.

Conglomerati, 64-66, 143, 204.Corporate governance, 40-43.Costo/costi:

basato sulle attività, 53;e catena del valore, 126-127,190-191;della complessità, 52-55;della concorrenza, 85-87;della diversificazione, 66-67;del project management,150;

e il problema della rappre-sentanza, 65;e la curva dell'esperienza,80-83;obiettivo, 19;riduzione dei, 38, 54, 82-83,146, 158.

Creatività, 7, 96, 99, 106, 179,191.

Creazione di valore, 17, 105,115, 124, 127, 137, 139,145, 189.

Crescita, 9-11, 20-23, 64-65, 67,

e organizzazione scientificadel lavoro, 72,152-155;motivazione dei, 74, 108,

110, 131, 176-179, 185, 195;e nucleo di competenze, 39;e previsioni di mercato, 78-79;

e responsabilità sociale, 45.Diversificazione, 27, 39, 50, 54,

64-67, 137, 202.DMAIC/DMADV, acronimi, 157,

159.

Dogs (cani), 21-22.Drucker Peter, 91,104,128-131,

152, 163, 188-189.DuPont, 61, 132, 149.

EEccellenza, 7,10, 70, 202.Eccellenza organizzativa, 140-

143.E-commerce, 196.Economia della conoscenza,

104-107, 109, 117-118.Efficienza, 12, 37, 54, 62, 82, 93,

106,112,127,135, 144,152-

153, 158, 189, 204.Emotional branding, 31.Empowerment, 72-75,115,129-

130, 179, 186.Etica, 45-47, 102, 131, 161-162.Esternalizzazione, 39,93-94,144-

147, 171, 190.Esternalizzazione dei processi

della conoscenza, 146.

Fabbricazione:ll' t 94

Gestione dei canali, 32-35, 58.Gestione della catena dell'offerta,

93-94,114,168-171,190-191.Gestione della conoscenza, 105,

195.Gestione della qualità totale

(GQT), 24, 101, 184-187.Gestione delle relazioni con i

clienti (CRM), 9, 56-59, 135,146.

Gestione per obiettivi, 128-131.Globalizzazione, 92-95,105,130,

171, 201.Google, 64, 67,134,197,199.Gruppi e comportamento, 182-

183.Guerra e strategia. 48, 192-195.

HHammer Michael, 24, 26-27,

158-159.Handy Charles, 6, 130.Henderson Bruce, 20-23,81-83.Herzberg Frederick, 178.Hewlett-Packard, 78, 108, 137,

141, 143-144.

Honda, 36-38,100-101,167.

IBM, 26-27, 70, 76, 95, 141,143-144, 167, 169.

Imprenditorialità, 76-79,98,109,142.

Innovazione:dirompente, 18;e costi, 52-55;ed economia della cono-scenza, 105;

e ruolo dei dipendenti, 74;

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sog , ge a c a de , 6Borden Neil H„ 89, 135.

Canali di distribuzione, 32-35,87, 90-91, 135, 137, 165,189-191, 197.

Capitale di rischio, 77, 99, 109,204.

Cash cows  (mucche da mun-gere), 21-22.

Catena del valore, 86,145,171,188-191.Chandler Alfred, 61, 98.Cinque forze, le, 36, 51, 84-87,

188.Cinque «S», le, 115.Clienti/clientela/consumatore:

bisogni/necessità dei, 24,26,203;creazione della, 19, 57-58;e concorrenza, 85-87;e la teoria della coda lunga,

121-122;e marchi, 30-31;fedeltà del/dei, 22, 30-31,124-127, 133, 142, 158-159;individuazione dei, 132,134;scelta del/dei, 33;

C escta, 9 , 0 3, 6 65, 6 ,85,90, 158, 164, 178, 202.

Cronotecnica, 152.Curva dell'esperienza. 20, 80-

83, 87, 90.Curva dell'apprendimento. 80-

8 2 .

DDecentramento, 39.60-63,130.Deming Edwards W., 70, 184.

Deregolamentazione, 92.Differenziazione. 15-17, 35, 85-

86,96, 133, 190-191, 198.Dipendenti/personale:

CRM 59;e catena del valore, 89-90;ed eccellenza organizzativa,141-143;ed economia della cono-scenza, 106-107;ed empowerment, 72-75,115, 129-130, 179, 186;ed esternalizzazione, 144-147;fedeltà dei, 29,63,124-127;e fusioni, 137-138;e management giapponese,102, 179, 185;

abb ca o eall'estero, 94;costi di, 53, 66, 80-83, 190;e catena del valore, 188,190;ed economia della cono-scenza, 104;

e fornitori, 85-86, 99.114;e organizzazione scientificadel lavoro, 72,152-155.metodi giapponesi di, 36, 38,100-102.

Fedeltà, 16, 22, 29-31, 74, 87,124-127, 133, 142.Formazione/addestramento, 10-

11, 93, 106, 110-111, 116,126, 142, 155, 157.

Fornitori, 54, 71, 82, 85-86, 93,99, 114, 139, 145, 147, 163,168-170, 188, 198.

Ford, 27, 55,112-113,154,169.Friedman Milton, 44, 46.Fusioni, 54, 64, 66, 136-139,

166.

GGeneral electric, 22,39,96,108,

130, 132, 135, 138, 192.General Motors, 5, 27, 55, 60,

69, 103, 118, 130, 132, 169.

e uo o de d pe de t , ;e strategia oceano blu, 16-19;e tecnologia, 76-77,198-199.

Insourcing, 93.Intelligenza emotiva, 111.Interazioni tacite, 106-107.Internet:

e CHM, 58-59;e diversificazione, 64;e gestione dei canali, 32;e globalizzazione, 92-93;

e servizio i-mode, 165;e innovazione, 96;e pubblicità, 134-135;e teoria della coda lunga, 120-123;e Web 2.0,196-199.

Intraprenditorialità, 77.

JJohnson & Johnson, 46, 76,

141, 143.Juran Joseph, 69-70.Just in time, produzione, US-

US, 169.

KKaizen, 74, 114-115, 185-186.Kanban, 113-115.

 

Kanter Rosabeth Moss, 72, 74-75, 94-95, 97-99.

Kaplan Robert, 8-11, 53.Kim W.Chan, 16-19, 183.Koch Richard, 51, 54, 70-71.

LLavoro di squadra, 63, 74-75,

99, 103, 117, 119, 155.Leadership, 4, 39, 57, 75, 102,

108-111, 119, 183, 203.Levitt Theodore, 92-93, 135,

200-203.Licenza, concessione di, 166.Une management, 61.

Livelli gerarchici di manage-ment/organizzazione gerar-chica, 25, 54, 61, 63, 205.

MManagement giapponese, 12,

69, 100-103, 141, 156, 179,184-186;si veda anche  Kaizen; pro-duzione snella.

Management strategico, 49-50,

160.Marchio, 28-31, 6fr€7, 87, 133,135, 199.

Marketing:audit, 135;di massa, 91, 120, 132, 135,202;e catena del valore, 188-189;e costi, 53, 66-67;e CRM, 58;e gestione dei canali, 32-35,90-91;e Internet, 196-198;

Motorola, 156-159,161.Multifunzionalismo, 61.Multinazionali, 43, 67, 95, 129,

163, 205.

NNicchia, prodotti di, 120, 134,

205.Nucleo di competenze, 36-39,

51, 145, 164, 166.Numero di Dunbar, 183.

Obiettivi, gestione per, 128-131.

Off-shoring, 93, 146, 205.Open sourcing, 93,Ordinazioni per posta, 33, 90,

123.Organizzazione basata sull'ap-

prendimento, 10-11, 116-119,172.

Organizzazione scientifica dellavoro, 72, 148, 152-155,176.

Organizzazioni:

basate sull'apprendimento,116-119,172;e adhocrazia, 4-7;e le sette «S», 141;e nucleo di competenze, 36-39;e obiettivi, 128-129;e strategia, 200-203.

PPartnership (alleanze, compar-

tecipazione), 77, 164-165,

167, 195.

riprogettazione dei, 24-27,107, 159.

Procter & Gamble, 27, 29-30,46, 96, 134, 141, 143-144,170.

Prodotto:ciclo di vita del, 30, 90, 135,202;e marketing, 89, 132-133;qualità del, 156-159, 168,184-187;sviluppo del, 27, 50, 90, 143,202.

Produttività, 59, 104-106, 115,126-127, 142-143, 147, 153-

155, 179, 205.Produzione snella, 12, 112-115,

158-159, 185.Profitti:

e diversificazione, 65-66;effetti legati alla fedeltà, 125-127;e impatto della catena delvalore, 188;e principio 80/20, 71;responsabilità sociale, 44-45,

47, 161-162.Project management, 148-151.Promozione, 28, 90-91.Prospettiva finanziaria, 9.Pubblicità/pubblicitario, 7, 9,17,

28-29, 47, 78, 89, 91, 95,132, 134-135, 137, 139,189.

Punto critico, 180-183.

QQualità, 24, 69, 113-114, 142-

143, 146, 156-159, 169, 184-187.

Six Sigma, 101, 156-159.Skimming, 19, 205.Sloan Alfred, 45, 60-63, 132,

161.SMART (acronimo), 131.SMED (single-minute exchange 

of dies, cambio stampi in unminuto), 113, 115.

Sprechi, 112, 114-115,154,158,198.

Stakeholder, 160-163, 169, 205.Stars (stelle), 21.Stile di vita, 58,133, 186.Strategia:

d'impresa, 39, 48-51, 147;e guerra, 48,192-195;e marketing, 200-203;e oceano blu, 16-19;e management giapponese,102-103, 185;

e management per obiettivi,129-130;e scheda di valutazionebilanciata, 8-11 ;e sette «S», 141;Six Sigma, 158-159.

Strategia oceano blu, 16-19.SunTzu, 51, 193-195.Sviluppo del mercato, 50, 78-79,

83, 91-92, 194-195.

TTaylor Frederick W„ 72, 130,

148, 152-155.

Tecnologia:e catena del valore, 189;e costi, 52;

e CRM, 56-59;dirompente 18;

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e marchi, 28-31;e punto critico, 181-182;e strategia oceano blu, 16-19;e teoria della coda lunga,121-122;le quattro «P» del, 88-91,135;strategia di, 50,91,200-203.

Marketing virale, 198-199, 205.

Mash-up, 198-199.Maslow, gerarchia dei bisogni

di, 176-177.Matrice di Boston, 20-23, 51,

81-83.Mauborgne Renée, 16-19, 183.Mercato di massa, 132, 134,

202.

Metodo del percorso critico,149-151.

Micromarketing, 134.Mintzberg Henry, 4-7, 183.Missione, dichiarazione della, 8,

49-50, 119, 160.Modello M, struttura del, 62.Monopsonio, 85.Motivazione, 51, 74, 109-110,

128, 176-179, 185, 195.

Pascale Richard, 100-103, 141.Penetrazione di mercato, 36,

50, 89-90, 205.Pensiero sistemico, 117, 119,

172-175.PERT (Tecnica di Valutazione e

Revisione del Programma),150.

PetersTom, 140-143.Pianificazione, 6, 23, 50, 99,

107, 135, 168, 170, 175,185, 193.

Porter Michael, 15-19, 36, 48-51, 84, 8fr87, 96, 145, 171,188, 191, 197-198.

Prezzi:e concorrenza, 85-87, 188;e le quattro «P», 89-90,135;fissazione dei, 19, 30, 121.

Principi di Caux, 161-162.Principio di Pareto, 68-70, 122.Principio 80/20, 57,68-71,120.Privatizzazione, 92, 130.Processi aziendali:

e scheda di valutazione bi-lanciata, 10;esternalizzazione dei, 144-147;

Quattro «P», le, 32, 84, 88-91,122, 135.

Question marks  (punti interro-gativi), 21-23, 46.

Quota di mercato, 9, 20-23, 53,82-83, 85-86, 126, 137, 159.

RRappresentanza, il problema del-

la, 40, 65.

Regola del 98%, 122.Responsabilità sociale d'impre-

sa, 44-47, 161-162, 189.Retroazioni, 174-175.Risoluzione dei problemi, 11,

106, 174, 179, 186.SScheda di valutazione bilanciata,

8-11.Scorte, 10, 53, 101, 112-113,

115, 169-171, 174, 188, 205.

Segmentazione del mercato, 61,132-135.Senge Peter, 116-117,119,172-

175.Sette «S», le, 84, 100,141.Shamrock organization, 6.

Shingo Shigeo, 112-113.

dirompente, 18;ed economia della cono-scenza, 105,166;globalizzazione;e innovazione, 76-77, 96-99.

Tecnologia dell'informazione:e BPR 26-27;e CRM 56-58;ed economia della cono-scenza, 104-107, 166;

ed esternalizzazione, 144-146;e innovazione, 96-99;e nucleo di competenze, 38;e telelavoro, 63;si veda anche Internet.

Tecnostrutture, 5-6.Teoria della coda lunga, 120-123.Teorie X, YeZ, 176-179.Toyota, 103, 112-113.

VValori aziendali, 49, 141.

WWaterman Robert, 7,140-143.Web, si veda Internet.Welch Jack, 39,108, 138, 192.Wiki, 199.

 

IndiceIntrodu zione 5 L'econom ia della conoscenza 104

01 Adhocraziu ? Xa lead ersh ip 108

02 La scheda di valutazione 28 La produ zione sn ella 112

bilanciata 8 29 L'organizzazione basata

03 Benchmarking 12 sull 'apprendimento 116 

04 La strategia oceano blu 16  30 La coda lunga 120

05 La matrice di Boston 20 31 La fedeltà 124

06 II BPR 24 32 La gestione per obiettivi 128

07 II marchio 28 33 La segmentazione

08 La gestione dei canali 32del mercato 132

09 II nucleo di competenze 36 34 Fusioni e a cquisizioni 136 

10 Corporate governance 4035 Eccellenza organizzativa 140

11 La responsabilità sociale36 Esternalizzazione 144

d' impresa

12 La strategia d'impresa

44

48

37 Project management

38 L'organizzazione scientifica

del lavoro

148

15213 I costi della complessità 5213 I costi della complessità

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del lavoro13 I costi della complessità 52156 

13 I costi della complessità39 Six Sigma 156 

14 La gestione delle relazioni39 Six Sigma

16014 La gestione delle relazioni

40 Gli stakeholder 160con i client i 56 

41 Alleanze strategiche 16415 II decentramento 60

41 Alleanze strategiche15 II decentramento 60

42 Gestione della catena16 La diversificazione 64 dell'offerta 168

17 II p rin cipio 80/ 20 68 43 II pensiero sistemico 17218 Empowerment 72 44 Le teorie X e Y (e la teoria Z) 176 19 Imprenditorialità 76  45 II punto critico 180

20 La curva d ell'esper ienza 80 46 La gestione d ella qua lità tota le 184

21 Le cinque forze 47 La catena del valore 188

della concorrenza 84 48 Guerra e strategia 19222 Le qu attr o «P» del m arketing 88 49 Web 2.0 196 

23 La globalizzazione 92 50 In quale ind ustria operate? 200

24 L'innovazione 96  Glossario 204

25 II management giapponese 100 Indice analitico 206