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Walter Benjamin, historiador de la percepción

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Andrea Pinotti

Piccola storia della lontananza

Walter Benjamin storico della percezione

. .

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Progetto grafico di Giorgio Catalano

ISBN 88-7043-096-0 ©1999 Raffaello Conina Editore

Milano, via Rossini 4

Prima edizione: 1999

Premessa

Sigle utilizzate

Indice

l. "Un breve scritto programmatico"

2. "Una sorta di ubiquità"

3. Una lontananza, per quanto vicina

Excursus: aura ed empatia

4. Storia dell'arte e storia della percezione

5. Culto ed esposizione

6. Tecnica e preistoria

7. Tecnica e mimesi

8. Specchi, maghi e chirurghi

9. Gnoseologia della dinamite

10. Teoria dd proiettile

11. Estetica ed estetizzazione

12. Una vicinanza, per quanto lontana

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La lontananza è il contrario della vicinanza Walter Benjamin

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Premessa

"Con tutta la sua tenera dedizione alle cose, la sua filosofia si rompe incessantemente i denti mordendo i noccioli": così Adorno caratterizza lo stile filosofico di Benjamin, nd suo approccio ravvicinato, tattile al mondo. Questa palpazione del reale contrastava sin­golarmente con qudla sorta di incorporeità da cui, come conferma anche Scholem, Benjamin appariva affetto nei rapporti umani: "Che gli amici non osasse­ro anche soltanto mettergli una mano sulla spalla". Essi erano tenuti a distanza, per quanto potessero es­sere vicini: erano, per così dire, guardati a vista. ·

La medesima polarità di vicino e lontano, di tocca­re e vedere, di tattile e ottico, domina larga parte dd­la riflessione benjaminiana rivolta ai modi di esperien­za tipici della modernità, e in particolare ai modi dd­l' esperienza artistica. Distanza e lontananza, occhio e mano costituiscono un vero e proprio paradigmil este-tico per l'interpretazione di tale esperienza. ·

A questa interpretazione - così come è proposta soprattutto nel saggio benjaminiano del1936 L.:opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica - è rivolto questo testo. Esso nasce nell'ambito di un seminario connesso al corso di Estetica tenuto dal professor Gabriele Scaramuzza ndl'anno accademico

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lO PREMESSA

1998-1999 presso l'Università degli Studi di Milano e dedicàto alla questione della decadenza dell'aura nel pensiero di Benjamin. La natura dello scritto, di ca­rattere espositivo, risponde in primo luogo a esigenze didattiche e riflette il lavoro seminariale di lettura di­retta del saggio sull'opera d'arte.

In secondo h10go, esistendo di tale saggio quattro redazioni diverse - tre stese da Benjamin in lingua tedesca e una da lui approntata in lingua francese in collaborazione con il traduttore, Pierre Klossowski -, di cui solo la terza versione tedesca è stata tradot­ta in italiano, si è ritenuto che l'esposizione para­grafo per paragrafo dell'opera potesse meglio dar conto delle differenze presenti nelle tre stesure anco­ra non tradotte nella nostra lingua, i cui elementi più salienti sono stati comparativamente evidenziati e messi a disposizione degli studenti insieme con la traduzione di alcuni appunti dai materiali preparato­ri, parerghi e paralipomeni. Si è tentato, inoltre, di rapportare l'insieme di questi scritti riguardanti l'o­pera d'arte con il resto della produzione benjaminia­na, in primis con gli altri lavori degli anni Trenta (co­me ad esempio la Piccola storia della fotografia, le te­si Sul concetto di storia, il Passagenwerk), per allude­re almeno ai numerosissimi rimandi interni, non di rado in forma di citazioni, che caratterizzano il cor­pus di Benjamin.

D'altra parte, non v'è naturalmente esposizione che non scaturisca da un punto di vista, da una chiave di lettura, a partire dalla quale viene a determinarsi la salienza di questo o quell'elemento. il saggio di Benja­min sull'opera d'arte - come in generale ogni suo scritto - si articola su molteplici livelli, di cui, per !i­mitarci a quelli più macroscopici, si possono menzio­nare il politico, il teologico, il dialettico, quello relati­vo alla filosofia della cultura e alla filosofia della storia

PREMESSA 11

(dell'arte). Collocandosi, come si è detto, nell'ambito di un seminario relativo a un corso di Estetica, il pun­to di vista della presente esposizione è un punto di vi­sta estetico- nel duplice senso che il termine. "esteti­ca" ha assunto nel corso della storia di tale disciplina: teoria dell'aisthesis, della sensazione e della percezio­ne, dottrina della conoscenza sensibile da un lato, e dall'altro teoria o filosofia dell'arte (delle arti).

Certamente di arti particolari si parla in questo sag­gio: di pittura e di scultura, di epica e di teatro, di fo­tografia e di cinema; così come si parla della storia dell'arte, dalle sue origini magiche e cultuali fino alle avanguardie novecentesche e all'epoca dell'infinita ri­producibilità delle opere; così come si parla di que­stioni tradizionalmente connesse alla teoria dell'arte: il bello, l'apparenza, la ~mesi, il rapporto fra arte e tecnica. Ma l'importanza attribuita da Benjamin al momento della ricezione dell'opera ·d'arte lo porta a evidenziare gli aspetti sensibili, estesici, percettivi del­la fruizione dell'artistico, e a descriverne la storia. Ec­co allora che la storia delle arti si correla alla storia della percezione, alla storia cioè delle differenti mo­dalità di rapporto estetico-sensibile tra un'umanità e il proprio mondo, alla storia delle diverse modulazio­ni dell'accesso corporeo al reale- storia di cui l'espe­rienza artistica costituisce una, anche se non l'unica, espressione pregnante, come insegnarono a Benjamin gli storici dell'arte della Scuola di Vienna, e sopra tut­ti Alois Riegl.

In virtù di tale correlazione tra artistico e percetti­vo, l'intenzione benjaminiana di elaborare in questo saggio una teoria materialistica dell'arte viene ad assu­mere - fatte salve le sue implicazioni politiche, che ne deteminarono un notevolissimo successo di pubblico, specialmente dopo il Sessantotto, e sulle quali tuttavia il presente lavoro non si focalizza - un senso più am-

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12 PREMESSA

pio, comprendente cioè la materialità del corpo pro­prio, nella sua concretissima relazione estesica con il mondo, articolata secondo le categorie fondamentali del vicino e del lontano, del tattile e dell'ottico: veri e Sigle utilizzate propri a priori corporei, trascendentali materiali del-l' esperienza tout court.

Ringraziamenti

Al professor Gabride Scaramuzza devo il generoso incoraggia­mento a intraprendere questo lavoro. Agli amici Maddalena Maz­zocut-Mis, Mauro Carbone, Markus Ophiilders i preziosi suggeri­menti che lo hanno migliorato. Al professor Elio Frarizini il consi­glio di dubitare della tesi che lo sottende.

GS Walter Benjamin, Gesammelte Schriften, unter Mitwirkung von Th.W. Adorno u. G. Scholem hrsg. v. R Tiedemann u. H. Schweppenhauser, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1972-.

Per il saggio I: opera d'arte nell'epoca della sua riproduabilità teatica (io GS VII-2, 681-682 si può trovare un utile schema sinottico delle quattro versioni):

I Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzier­barkeit- Erste Fassung, redatta fra il settembre e l'ottobre del 1935 (in GS I-2, 431-469; note dei curatori in GS I-2, 982-1063).

II Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzier­barkeit- Zweite Fassung, redatta fra la fine dell935 e i primi di febbraio dell936 (in GS VII-l, 350-384; note dei curatori in GS VII-2, 661-690). Si veda la t r. i t. di D. Maierna di due brani (GS VII-l, 381, 369 e nota) con il titolo redazionale LA ricev'o­ne distratta, e commento di F. Desideri, La verità mimetica, in "Linea d'ombra", 131, marzo 1998, pp. 30-33.

Fr. L: ceuvre d'art à /' époque de sa reprodudion mécanisée,:tr. fran­cese di P. Klossowski, elaborata in collaborazione con lo stesso Benjamin tra il gennaio e l'aprile dell936; pubblicata nella "Zeitschrift fiir Sozialforschung", 5, 1936, pp. 40-66 (in GS I-2, 709-739; note dei curatori in GS I-2, 982-1063, spec. 1006-1020). Questa versione fu l'unica edita quando Benjamin era ancora in vita.

III Das Kunstwerk im Zeùalter seiner technischen Reproduzier­barkeit- Dritte Fassung, redatta fra la primavera dell936 e il 1939 (in GS I-2, 471-508; note dei curatori in GS I-2, 982-

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14 SIGLE UTILIZZATE

1063). È su questa stesura che si basa la traduzione italiana: "I.:opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica", in W. Benjamin, L: opera d'arte nell'epoca della sua riproducibi· lità tecnica. Arte e società di massa, prefazione di C. Cases, t r. it. di E. Filippini, Einaudi, Torino 1966, pp. 17-56 {nuova ed.

'1991, con un saggio di P. Pullega). Si utilizzerà questa tradu­zione, segnalando di volta in volta eventuali modifiche.

Per le altre opere benjaminiane:

AN Angelus Novus. Saggi e frammenti, tr. it. e introd. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1962 (nuova ed. 1995, con un saggio di F. De­sideri).

AR Avanguardia e rivoluzione. Saggi wl/a lei/era tura, tr. it. di A. Mari etti, introd. di C. Cases, Einaudi, Torino 1973.

CCRT Il conce/lo di critica nel romanticismo tedesco. Scritti 1919-1922, a c. di G. Agamben, t r. it. di C. Colaiacomo, R Solmi, A. Marietti Solmi, A. Moscati, G. Agamben, Einaudi, Torino 1982.

CR Critiche e recensioni. Tra avanguardie e le/leratura di consumo, t r. i t. di A. Mari etti Solmi, Einaudi, Torino 1972.

CS Sul conce/lo di storia, a c. di G. Bonola e M. Ranchetti, Einau­di, Torino 1997.

DB Il dramma barocco tedesco [1928]. tr. it. di E. Filippini, introd. di C. Cases, Einaudi, Torino 1980.

H Sull'hascisch, con testimonianze diJ. Selz, tr. it. e nota di G. Backhaus, Einaudi, Torino 1975.

IB Infanzia berlinese, tr. it. di M. Bertolini Peruzzi, Einaudi, Tori­no 1982.

JJB Il viaggiatore solitario e il /Un eu r. Saggio su Bachofen [1934], a c. di E. Villari, il melangolo, Genova 1998.

MG Metafisica della gioventù. Seri/li 1910-1918, a c. di G. Agam­ben, tr. it. di I. Porena, A. Marietti Solmi, R. Solmi, A. Moscati, Einaudi, Torino 1982.

OA L: opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, tr. it. di E. Filippini, pref. di C. Cases, Einau­di, Torino 1966, pp. 17-56 (nuova ed. 1991, con un saggio di P. Pullega).

OC Ombre corte. Seri/li 1928-1929, a c. di G. Agamben, tr. i t. di G. Backhaus, M. Bertolini Peruzzi, G. Carchia, G. Gurisatti, A. Mari etti Solmi; Einaudi, Torino 1993.

SIGLE UTILIZZATE 15

PW Parigi, capitale del XIX secolo. I 'passages di Parigi, a c. diR Tiedemann, ed. it. a c. di G. Agamben, tr. it. di R. Solmi, A. Moscati, M. De Carolis, G. Russo, G. Carchia, F. Porzio, Ei­naudi, Torino 1986.

SSU Strada a senso unico. Seri/li 1926-1927, a c. di G. Ag~mben, tr. i t. di B. Cetti Marinoni, G. Carchia, A. Marietti Sol mi, M. Ber· tolini, Einaudi, Torino 1983.

Per gli epistolari:

A-B Th.W. Adorno - Walter Benjamin, Briefwechsel 1928-1940, hrsg. v. H. Lonitz, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1994.

Br Bn'efe, 2 voli., hrsg. v. G. Scholem u. Th.W. Adorno, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1978.

L Lei/ere 1913-1940 [1966], raccolte da G.G. Scholem eTh.W. Adorno, tr. it. di A. Marietti Solmi e G. Backhaus, Einaudi, Torino 1978.

TU W. Benjamin ·G. Scholem, Teologia e utopia. Carteggio 1933-1940, a c. di G. Scholem, t r. i t. di A. M. Mari etti, Einaudi, Tori­no 1987.

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l "UN BREVE SCRITTO PROGRAMMATICO"

Il saggio r.: opera d'arte nell'epoca della sua riproduci­bilità tecnica appare per la prima volta- nella versione francese tradotta da Pierre Klossowski con il titolo r.: ceuvre d'art à l' époque de sa reproduction mécanisée­nel maggio del 1936 sulla rivista "Zeitschrift fiir So­zialforschung", organo dell'Istituto per le Scienze So­ciali di Francoforte diretto dal 1931 da Ma x Horkhei­mer. La rivista era stata fondata nell932 e, in seguito alla chiusura dell'Istituto detenninata dall'ascesa al po­tere dei nazisti nel 193 3, continuava ad essere pubbli­cata dall'esilio negli Stati Uniti, a New York; esisteva però anche una sede parigina, con la quale Benjamin collaborava.

Fino all97 4 -data di pubblicazione di GS I- si co­noscevano soltanto due redazioni tedesche dyl saggio sull'opera d'arte: una precedente e una succe:Ssiva alla versione francese. Ma le notevoli modificazioni della F r. rispetto alla I inducevano i curatori a sospettare che tra il manoscritto della prima redazione e la traduzione francese esistesse un'citeriore redazione dattiloscritta, ristÙtata dalle prime discussioni di Benjamin con Horkheimer e posta alla base del lavoro di traduzione,

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18 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

che avrebbe apportato ulteriori cambiamenti: tale datti­loscritto era ritenuto in trova bile o perduto. Esso venne poi fortunatamente ritrovato, nella forma di un dattilo­scritto misto, che comprende anche riformulazioni e ag­giurte di note (cfr. GS VII-2, 662), tra le carte dell'ar­chivio Horkheimer alla Frankfurter Stadt- und Univer­sitiitsbibliothek e pubblicato in GS VII-l. "È il lavoro­scrivono i curatori- nella versione che Benjamin voleva vedere pubblicata per la prima volta" (GS VII-2, 661), quel lavoro da lui chiamato Urtext.

È dunque a questa seconda redazione che fanno ri­ferimento la lettera di Benjamin ad Adorno del 7.2.1936 (A-B, 163-64), riguardante un primo dattilo­scritto caratterizzato come il lavoro "finito, per così di­re, per la prima volta", e sottoposto a rielaborazioni e aggiunte di note quali risultarono dalle conversazioni avute con Horkheimer a Parigi "nel modo più fecondo e nell'atmosfera più amichevole" 1, proprio prendendo le mosse da alcuni spunti forniti alla discussione dallo stesso Adorno.

Questi ricevette, come si può evincere dalla lettera accompagnatoria di Benjamin del27.2.1936, un esem­plare dattiloscritto della seconda versione in tedesco che riportava ancora i segni del lavoro di traduzione condotto in collaborazione con KlossowskF ("La p re-

l. In tali conversazioni Horkheimer aveva anche manifestato l'intenzio­ne di contribuire al miglioramento delle condizioni materiali di Benjamin. In una lettera ad Adorno del 26.01.1936, Horkheimer scrive: • Avevamo parlato [sci!. a proposito dd saggio sull'opera d'arte] di 1000 franchi- è in· delicato da parte mia ricordarLe questa cifra? Dal momento che egli [scii. Benjamin] non può guadagnare nulla di più, anche facendo il più possibile economia, con meno a Parigi non ce la può fare'" (cit. in A-B, 165 n.).

2. Si veda la lettera indirizzata ad Adrienne Monnier, in cui Klossowski osserva: "Benjamin, valutando troppo libera la mia prima versione, aveva ri­cominciato a tradurlo insieme a me. Doveva risultame un testo assoluta­mente illeggibile a furia di venire ricalcato anche sulle più piccole locuzioni tedesche di cui Benjamin non accettava alcuna trasposizione. Spesso la sin-

"UN BREVE SCHr!TO PROGJV\MMATICO" 19

go di scusarmi per questo"): "Spero di non dover aspettare troppo tempo prima di ricevere la Sua rispo­sta. Anche se questa giungerà in poco tempo, come sempre, sarò impaziente. Il lavoro estremamente inten­sivo che per due settimane mi ha impegnato con il mio traduttore mi ha pem1esso di assumere rispetto al testo tedesco una distanza che di solito ottengo solo in tempi più lunghi. Non lo dico minimamente per allontanarmi da esso, ma piuttosto perché solo da questa distanza vi ho scoperto un elemento che vedrei volentieri raggiun­gere un qualche onore proprio in Lei come lettore: ap­punto l'urbanità cannibalica, una prudenza e cautela nella distruzione, che- come spero- rivela qualcosa di quell'amore per le cose a Lei più familiari che le mette a nudo" (A-B, 165-66)3•

Ma attraverso i riferimenti al saggio sull'opera d'arte rintracciabili nelle lettere, oltre che della storia del te­sto e delle speranze che il suo autore riponeva in una traduzione russa\ è possibile farsi anche un'idea del

tassi francese dava letteralmente dei crampi a questo logico irriducibile" (tr. it. di R. Prezzo, in 'aut aut", 189·90, 1982, p. 8).

3. Si veda la lunga e impOrtante lettera che Adorno scrisse a Benjamin da Oxford il18.3.1936, che fa indubitabilmente riferimento alla redazione II, poiché richiama concetti come "seconda tecnica", "rappresentazione e ap­parenza" che non sono presenti nella l.

4. Benjamin riteneva l'Unione Sovietica la terra d'dezione dd saggio. Nella lettera inviata a Kitty Marx·Steinschneider ill5 aprile 1936 da Parigi, Benjamin fa riferimento al saggio sull'opera d'arte come a un "piccolo frut­to", e accenna al progetto di preparare la versione in russo: "Dei rrlolti fasti­di quasi sempre connessi con tali attività [scii. di traduZione], sono compen· sato dall'interesse per le prime reazioni a un tale lavoro, un interesse che per la sua spiccata caratterizzazione è spesso superiore a quello per le reazioni successive in certo qual modo ufficiali. Avrei quasi motivo per dedurne che proprio nel paese che ne è il destinatario naturale, in Russia, esso avrà meno effetti che in ogni altro" (L, 317·18). "Sono estremamente ansioso- si legge in una lettera ad Alfred Cohn dd 26 gennaio 1936- se la si pubblicherà in Russia. t possibile. Tuttavia una decisione positiva mi meraviglierebbe di più di una negativa" (Br, 704). Sull'incontro di Benjamin con la realtà sovie-

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20 PICCOLA STOIUII. DELLA LONTANANZA

ruòlo che Benjamin stesso attribuiva a questo breve scritto nell'ambito delle ricerche che lo occupavano in­torno alla metà degli anni Trenta.

Per la prima volta Benjamin vi allude in una lettera indirizzata a Max Horkheimer il 16 ottobre 1935 da Parigi: "La Sua ultima lettera mi ha indotto a porre in un canto il quadro storico del problema, che era ormai · provvisoriamente fissato, per dedicarmi a riflessioni co­struttive che determineranno il quadro complessivo dell'opera [scil. il Passagenwerk]. Ora, per quanto que­ste riflessioni costruttive possano apparirLe provviso­rie nella forma in cui io le ho fissate, posso tuttavia af­fermare che esse costituiscono una puntata in direzione di una teoria materialistica dell'arte, che dal canto suo conduce ben al di là dell'abbozzo a Lei noto5• Questa volta si tratta infatti di determinare il luogo esatto del presente a cui la mia costruzione storica si riferirà come al suo punto prospettico. Se il tema del libro è il destino dell'arte nel diciannovesimo secolo, questo destino ha qualcosa da dirci solo perché è racchiuso nel ticchettio di un meccanismo a orologeria che per ora solo le no­stre orecchie odono scandire le ore. Ciò che intendo di­re è che l'ora fatale dell'arte ha suonato per noi, e io ne ho fissato il segno in una serie di riflessioni provvisorie che portano il titolo Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit. Tali riflessioni tentano di dare una forma veramente attuale ai problemi della teoria dell'arte: e lo fanno dall'interno [von innen her],

tica è importante testimonianza il Dia n'o moscovita {a c. di G. Smith, tr. it. di G. Carchia, prcf. di G. Scholem, Einaudi, Torino 1983), rdativo al viaggio da lui compiuto tra ill926 e ill927, non da ultimo indotto dalla passione per la regista Asja Lacis, conosciuta a Capri nd 1924. La Lacis dedicò a Benjamin alcune pagine dd suo Professione n'voluzionana [1971], tr. it. di E. Casini-Ropa, pref. di F. Cruciani, Fdttinelli, Milano 1976.

5. Cioè l'Exposé su Parigi, capitale del XIX secolo (PW, 5·19).

"UN D RE VE SCRilTO PROGRAMMATICO" 21

evitando ogni riferimento diretto con la politica. Que­ste annotazioni, che non si riferiscono quasi mai a ma­teriale storico, non sono molto ampie. Hanno unica­mente un carattere di principio. Le vedrei benissimo nella rivista. Naturalmente mi farebbe molto piacere che fosse proprio Lei a pubblicare questo prodotto del mio lavoro. Non intendo comunque farlo pubblicare senza aver prima sentito il Suo parere in proposito" (L, 311-12).

Come mostra questa lettera, il lavoro al saggio sul­l'opera d'arte deve essere contestualizzato nell'ambito delle vaste ricerche storiche che Benjamin andava con­ducendo sui passages parigini, di cui quel saggio doveva costituire una sorta di nucleo teorico, in particolare di teoria materialistica dell'arte, e di teoria immanente al­l'arte stessa ("dall'interno, evitando ogni riferimento diretto con la politica"). Il tono di Benjamin è piuttosto apocalittico e l'accento temporale è posto sul presente, laddove l'indagine sui passages appare una ricostruzio­ne storica del passato prossimo, l'arte ottocentesca. Il saggio avrebbe dunque il compito di esporre con chia­rezza qualcosa che altrimenti rimarrebbe nascosto o implicito nell'opera maggiore.

Benjamin accenna al saggio anche in una lettera in­dirizzata a Scholem il23 ottobre 1935, sempre da Pari­gi: "Negli ultimi tempi questo [scil. il mio vero lavoro] ha ricevuto un impulso decisivo da alcune concl,usioni fondamentali [grundlegende Feststellungen] a cui sono giunto nell'ambito della teoria dell'arte. Insieme allo schema storico [historischen Schematismus] che ho svi· luppato circa quattro mesi fa, esse- come linee di fon­do sistematiche [systematische Grundlinien]- costitui­ranno una sorta di reticolo [ Gradnetz] che dovrà essere arricchito di tutti i particolari. Queste riflessioni anco-

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rano la storia dell'arte nel diciannovesimo secolo alla conoscenza della situazione da noi vissuta nel presente. Io le tengo molto segrete, perché sono infinitamente più adatte a essere rubate della maggioranza delle mie idee. La loro stesura provvisoria si intitola I: opera d'ar­te nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" (L, 316).

È una lettera a Kitty Marx-Steinsclmeider, del24 ot­tobre 1935, a permettere di fissare all'arco di tempo fra il settembre e l'ottobre del193 5 il periodo della prima redazione del saggio: "Nelle ultime settimane mi sono occupato di fissare alcune riflessioni decisive sulla teoria dell'arte [ ... ]. È come se fossi riuscito ad afferrare per la prima volta queste riflessioni, che si erano sempre man­tenute nascoste nelle mattine del giorno calante, una volta fatte uscire alla luce di mezzogiorno" (Br, 697).

Significativa a tal riguardo è anche una lettera a Wer­ner Kraft, del28 ottobre 1935: "Per quanto mi riguar­da, mi sforzo di rivolgere il mio telescopio attraverso la nube sanguigna ad una fata morgana del diciannovesi­mo secolo, secolo che mi sforzo di ritrarre secondo quei tratti che esso mostrerà in un futuro stato del mon­do liberato dalla magia. Naturalmente devo innanzi tut­to costruirmi io stesso questo telescopio, e in tale sforzo ho ora trovato per primo alcune proposizioni fonda­mentali della teoria materialistica dell'arte. Sono at­tualmente in procinto di chiarirle in un breve scritto programmatico" (Br, 698-99). ·

In una lettera a [B.] del24 novembre 193 5 leggiamo un'ulteriore conferma del nesso strettissimo ravvisato da Benjamin fra il saggio sull'opera d'arte e il Passa­genwerk: "Il baricentro del mio lavoro si è sensibilmen­te spostato. Il lavoro riguarda sempre il mio grande li­bro. Ma lo svolgo solo di rado in biblioteca. Piuttosto ho interrotto gli studi storici[ ... ] e ho incominciato a

-uN UREVESCRr!TO PHOGRAMMATICO" 23

dedicarmi all'altro lato della bilancia. Poiché ognico­noscenza storica si può rappresentare nell'immagine di una bilancia in equilibrio, della quale un piatto è cari­cato con il passato, e l'altro con la conoscenza del pre­sente. Mentre sul primo piatto i fatti non potrebbero mai venire raccolti in modo abbastanza modesto e ab­bastanza numeroso, sul secondo piatto possono stare solo pochi pesi massicci. Sono questi pesi che mi sono procurato negli ultimi due mesi attraverso delle rifles­sioni sulle condizioni di vita dell'arte [nel] presente. Così facendo, sono giunto a formulazioni straordinarie e derivanti da concezioni e concetti del tutto nuovi. E posso ora affermare, che la teoria materialistica dell'ar­te, di cui si era sentito molto parlare, ma che nessuno aveva ancora visto con i propri occhi, adesso esiste" (GS VI, 814; cfr. GS VII-2, 665).

Lo ribadisce una lettera a Kraft del 27 dicembre 193 5, in cui si annuncia la conclusione del saggio: "Infine vorrei aggiungere che ho concluso un lavoro programmatico sulla teoria dell'arte. Si intitola L'ope­ra d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Non ha alcun rapporto di carattere contenutistico con il libro grande [scii. il Passagenwerk], di cui ho menzionato il progetto, ma ha uno strettissimo rap-

. porto metodologico con esso, dal momento che ogni lavoro storico, soprattutto se pretende di inscriversi nell'ambito del materialismo storico, deve essere pre­ceduto da una esatta fissazione della posizione del presente nelle cose la cui storia deve essere rappre­sentata: [. .. ] il destino dell'arte nel diciannovesimo secolo" (Br, 700).

Come si può evincere dai documenti epistolari, è dunque al grande lavoro rimasto incompiuto sui passa­ges parigini che Benjamin connette il saggio sull'opera

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24 PICCOLA srOIUA DELLA LONTANANZA

d'arte: la natura del rapporto fra il primo e il secondo è quella eli una relazione fra un 'indagine storica sul pas­sato e una ricerca teorica, metodologica, programmati­ca, eli carattere materialistico.

Questo ruolo di premessa teorico-metodologica del saggio nei confronti del grande affresco storico lo pone per così dire in concorrenza con un altro scritto teorico dell'ultimo Benjamin, le celeberrime tesi Sul concetto di storia- stese in un periodo che va dagli ultimi mesi del 1939 ai primi del1940 -,anch'esse da riferirsi a un con­testo eli ricerca più ampio consistente nel progetto com­plessivo eli Parigz; capitale del XIX secolo, "rispetto al quale sorge talvolta il sospetto che non sia stato sempre ed esclusivamente la miniera da cui estrarre passi da ri­portare nel brogliaccio delle tesi in fieri, ma in qualche raro caso anche, all'inverso, il deposito in cui trasferire nuove intuizioni cui le tesi avevano portato la riflessio­ne, in vista eli altre future utilizzazioni"6 (CS, XIV).

Come nel caso della "premessa gnoseologica" allo studio del1928 sul dramma barocco tedesco (cfr. DB, 3-3 7) - anche se con un effetto che alla lettura risulta meno terrificante di quell"'angelo con la spada fìam­meggiante"7- avremmo a che fare con una introduzio-

6. I curatori, G. Bonola e M. Ranchetti, ricordano come uno degli s.p· punti dd Passagenwerk {N Il,4) sembri "contenere in nuce quasi per intero il pianodclle tesi" (CS, XII} e si appoggiano ad Adorno, secondo il quale "le tesi Sul concetto di storia riassumono,[ ... ] per cosi dire, le riflessioni sulla teoria della conoscenza [. .. ) il cui svilur.po ha accompagnato quello dd progetto di lavoro suipassages parigini" W ber Walter Benjamin, Suhrkamp, Frankfurt a.M.l970, p. 26).

7. i?. così che Scholem caratterizza la "premessa gnoseologica": •na sempre l'introduzione al Dramma barocco di W alter Benjamin ha scoraggia­to molti lettori. Essa sta davanti allibro come l'angelo con la spada fiammeg­giante del concetto all'ingresso del paradiso della scrittura" {G. Scholem, "Walter Benjamin" [1965], in Walter Benjamin e il ruo angelo, tr. it. di M. T. Mandalari, Addphi, Milano 1978, p. 90}. Rispetto al mutamento di stile OC·

corso dai primi scritti, caratterizzati da un rimuginare sull'incomunicabile,

"UN BREVE SCRITIU PROGRAMMAllCO" 25

ne teorica ad un'indagine storica: ma al ruolo di tale in­troduzione sembrano aspirare due scritti. Come inten­dere il loro rapporto? Non certo, a quanto sembra, nel senso di una sostituzione nel ruolo eli premessa meto­dologica del saggio sull'opera d'arte, ormai "datato", da parte delle più tarde Tesi. Benjamin tornò infatti sempre di nuovo a modificare, integrare, ritoccare il saggio sull'opera d'arte, intendendolo, più che come un testo compiuto e concluso, come un vero e proprio "work in progress" (cfr. GS I, 1035). In una lettera del 12.3 .3 8 a Karl Thieme egli scriveva eli aver trovato- o così almeno credeva- "una fondazione ricca eli conse­guenze del concetto eli aura". E ancora tra il gennaio e il febbraio del1940 (Benjamin, lo ricordiamo, si sareb­be tolto la vita nella notte fra il26 e il27 settembre del­lo stesso anno) andava raccogliendo citazioni e note "Zum 'Kunstwerk im Zeitalter"' (cfr. Epilegomena: GS VII-2, 67 3).

Verrebbe da pensare piuttosto al rapporto tra una teoria della spazialità e una teoria della temporalità co­me indagini sulle condizioni di possibilità dell' espe­rienza della modernità, la cui "protostoria" sarebbe stata tentata nel Passagenwerk. Se il saggio sull'opera d'arte è incentrato sull'analisi eli categorie spaziali co­me la distanza e la lontananza, e sulle prassi tatti!i e otti­che eli apprensione spaziale, le tesi sul concetto eli sto-

i

agli ultimi, ispirati da una "volontà di trovare un accomodamento fra il suo tipo di esperienza spirituale e una comunicazione più vasta", Adorno indica come esemplare dei primi Il compito del traduttore, dei secondi il saggio sul­l'Opera d'arte, che" descrive non soltanto i nessi storico-filosofici che dissol­vono quell'demente [scii. non comunicativo], ma contiene segretamente anche u,n programma per la stessa attività letteraria di Bcnjarnin, cui poi cer­cano di obbedire il saggio Su alcuni motivi di Baudelaire e le tesi Sul conce/lo di storia" ("Introduzione agli scritti di Benjamin" [1955), in Note per la /et· t era tura 1961-1968, tr. it. di E. De Angdis, Einaudi,1òrino 1979, p. 254}.

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26 PICCOLA STOIUA DELLA LONTANANZA

ria assumono a proprio oggetto la dimensione della temporalità, del passato e della mem~:>ria. Ciò natural­mente non impedisce- come vedremo- che i percorsi dei due testi teorici si intersechino, ad esempio sui temi del progresso e della tecnica, e che la dimensione del tempo e della storia interessi anche quelle coppie cate­goriali spaziali di vicino/lontano, tattile/ ottico, deter­minandone la storicità.

2 "UNA SORTA DI UBIQUITÀ"

Già nell' esergo1 al saggio veniamo introdotti imme­diatamente nel cuore della questione della storicità del­la percezione. In una lunga citazione da La conquete de l' ubiquité- di Paul Valéry, breve scritto del1928 in cui l'autore si sofferma sulle profonde trasformazioni che le innovazioni tecniche hanno prodotto nel concetto di bello e di Arte, leggiamo tra l'altro che "né la materia né lo spazio, né il tempo non sono più da vent'anru in qua, ciò che erano da sempre". Tale trasformazione in­veste l'arte nella misura in cui "in tutte le arti si dà una parte fisica che non può più venir considerata e trattata come un tempo, e che non può più verur sottratta agli interventi della conoscenza e della potenza moderne" (III, 18). Si accenna così- anche se fugacemente- al

i l. Nella Fr. manca; nella I e Il l'esergo è costituito dalla citazione di Ma­

dame de Duras, "Le vrai est ce qu'il peut; le faux est ce qu'il veut• (Il vero è quel che può, il falso è quel che vuole).

2. Pubblicato in De la musique avo n/ lou/e chore, Éditions du Tambouri­naire, Paris 1928; ripreso in tutte le edizioni di Pièces sur l'art; cfc. "'La con­quista ddl'ubiquità ",in P. Valéry, Senili sull'arte, te. i t. di V. Lamarque, po­stfazione di E. Pontiggia, Tea, Milano 1984, pp. 107·109 (la citazione di Benjamin si trova alla p. 107). Nel1936, a Parigi, Benjanùn aveva regalato ad Adorno la terza edizione di Pièces sur l'ari, apparsa proprio in quell'an­no. • A durevole ricordo dd giorni parigini dell'ottobre 1936" è la dedica che Benjamin appose al volume (cfr. A·B, 200, n.d.C.).

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28 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

punto di ìntersezione tra l'estetica come filosofia del­l'arte e l'estetica come teoria della sensibilità: la "parte fisiCa" presente in ogni arte è appw1to quell'elemento che si offre alla percezione sensibile e che si correla alle modifibzioni della sensibilità.

Come risulterà evidente dalla trattazione dello svi­luppo dei rapporti percettivi tra uomo e mondo che Benjamin condurrà nei paragrafi successivi, il punto cruciale qui è appunto la questione della storicità del­l'estetica, cioè delle condizioni di possibilità dell'espe­rienza sensibile (materia, spazio, tempo), che non sa­rebbe plausibile porre come universali, cioè sempre uguali a se stesse in ogni tempo e in ogni luogo. Tale storicità, come vedremo, verrà però pensata da Benja­min in modo molto più ampio rispetto a Valéry, che si limita in questo passo a considerare solo le trasforma­zioni degli ultimi vent'anni (cioè dei primi due decenni del Novecento), rispetto ai quali il "prima" è visto co­me un blocco compatto e uguale a se stesso.

È nella Premessa che Benjamin tenta di fondare dal punto di vista del materialismo marxista il proprio me­todo di indagine di tali trasformazioni storiche, ope­rando una di quelle che Adorno chiamava "iniezioni materialistiche" nel suo pensierol e che come tale do­vette apparire a Horkheimer (vuoi per motivi di oppor­tunità politica, vuoi per motivi interni al saggio) un "corpo estraneo"4 da eliminare nella versione francese,

3. Note per la letteratura, cit., p. 254. Adorno ricorda come Benjamin abbia •parlato occasionalmente del 'veleno materialistico' che era costretto a mescolare al suo pensiero affinché sopravvivesse" (''Profilo di Wa.lter Benjamin" [1950), in Prismi. Saggi sulla critica della cultura, te. i t. di C. Mai­noldi, Einaudi, 'l,' orino 1972, p. 240).

4. P. Pullega, Nota 1991, in OA, 175-76; Pullega ricorda la polemica contro l'atteggiam~to prudente e in qualche misura cxnsorio di Horkhei· rner condotta da Ros:emarie Heise (t r. i t. in "Carte segrete" ,.9, 1969, pp. 23-37).

'UNA SORTA DI UDIQUITA'

nel complesso molto più moderata rispetto al testo te­desco per quel che riguarda i riferimenti politici e ideo­logici.

La premessa riguarda una questione· centrale del pensiero mandano, quella dei rapporti tra struttura [Struktur] e sovrastruttura [Uberbau], cioè dei rappor­ti tra le forze produttive (i mezzi della produzione e le tecnologie e i sa peri che la rendono possibile) e le mani­festazioni teoriche, ideologiche e culturali che vi corri­spondono. Benjamin- che nel testo tedesco impiega i termini Unterbau e Uberbau5 -vuole prendere in consi­derazione le "tendenze dello sviluppo dell'arte nelle at­tuali condizioni di produzione".

n problema della relazione struttura-sovrastruttura non è certo inteso da Benjamin in senso deterministico e causalistico (lettura contro cui del resto già Marx ave­va dovuto mettere in guardia), quanto piuttosto in sen­so espressivo: è molto esplicito a questo proposito un appunto del Passagenwerk, espressamente dedicato al­la "teoria della sovrastruttura ideologica": "Se la strut-

5. Nella seconda Lettera da Parigi, del19}6, e, in modo leggermente più esplicito, nella recensione al libro di Gisèle Freund, LA photographie en Fra~ce au dix·neuvième siècle. Essai de sociologie et d'esthétique, del1938, BenJamin così affronta la questione del rapporto fra opera e società: •scrive l'aut~ce [scii. la Freund]: 'Quanto più grande è il genio dell'artista, tanto meglio la sua opera riflette- e proprio in forza ddl'originalità della sua for­ma -le tendenze della società a lui contemporanea' {p. 4). Ciò che in questa frase appare problematico non è il tentativo di determinare la portata di ud lavoro in rapporto alla struttura sociale dell'epoca in cui è sorto· problema­tica è soltanto la con~~one che questa struttura si p_resenti sem'pre sotto lo stesso aspetto. Inventa il suo aspetto potrebbe cambtare con le diverse epo­che che volgono il loro sguardo sull'opera" (CR, 309). Sulla questione si ve­da anche la n. 30 del saggio del!9}7 su Eduard Fuchs, in cui nell'ambito di u!la teoria materialistica dell'arte si descrive un passaggio da un rigido para­digma causalistico ad uno analogico, più elastico, nella comprensione dd rapporto tra struttura e sovrastruttura. In ogni caso, conclude Benjamin il materialista non può trarre automaticamente da premesse relative alla vita lavorativa e sociale "'conclusioni intorno alla genesi degli stili" {OA, 120).

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30 PICCOLA STOIUA DELLA LONTANANZA

tura determina in un certo senso nel materiale empirico e intellettuale la sovrastruttura, e se però questa deter­minazione non ha la forma del semplice rispecchia­mento, come va allora concepito- prescindendo com­pletamente dalla questione delle sue cause genetiche­il suo vero carattere? Come espressione: la sovrastrut­tura è l'espressione della struttura. Le condizion1 eco­nomiche che determinano l'esistenza della società giungono ad espressione nella sovrastruttura; proprio come, nel caso del dormiente, un imbarazzo di stomaco trova nel contenuto del sogno - per quanto possa de­terminarlo in senso causale.:.. non il proprio rispecchia­mentorna la propria espressione" (PW, 513 )6

.

·Grazie a tale correlazione tra struttura e sovrastrut­tura, nel saggio sull'opera d'arte Benjamin può elabo­rare tesi che ".eliminano un certo numero di concetti tradizionali- quali i concetti di creatività e di genialità, di valore eterno e di mistero [SchOp/ertum und Genia­litiit, Ewigkeitswert und Geheimnis] -, concetti la cui applicazione incontrollata .(e per il momento difficil­mente controllabile) induce a un'elaborazione in senso fascista del materiale concreto" (III; 19).

Creatività, genìalità, valore eterno e mistero dell'arte (è significativo che nella I, 435, Benjamin al posto di Geheimnis poness~ altri tre concetti centrali della tra­dizionale teoria dell'arte: "stile, forma e contenuto" [Stil, Form und Inhalt]): sono categorie fondative del-

6. Si veda altresll'appunto in PW, 595: •Marx espone la connessione causale tra economia~ cultura. Qui è in questione una connessione espressi· va. Non si tratta di esporre l'origine economica della cultura, ma l'espressio· ne dell'economia nella sua ·cultura. Si tratta, in altre parole, dd tentativo di afferrare un processo economico come un protofenomeno [Urphà.nomen]

· ben visibile, dal qualeJrocedono tutte le manifestazioni vitali dei passages (e, in questa misura, d XIX secolo)". ~J·' ·r·_- - , -

"UNA SORTA DI UlliQUITA•· 31

l'estetica occidentale, che Benjamin non esita a conce­pire in continuità con una teoria fascista dell'arte, e a contrapporre a quei concetti che nel suo saggio "ven­gono introdotti per la prima volta nella tèoii.iiddl'~i:te" e. che "~ono ~tilizzabili per la formulazione di esigenze nvoluzwnane nella politica artistica" (III, 20; tr. mod.).

Sconcerta forse che il primo di tali concetti inediti a venìre introdotto nel primo paragrafo sia quello di "ri­produzione" [Reproduktion, Nachbildung], dal mo­mento che - come si evince dalla rapida ricognizione o~ferta qui da Benjarnin- esso è da sempre consustan­ztal~ all'opera d'arte stessa: "In linea di principio, l'ope­ra d arte è sempre stata riproducibile [reproduzierbar]. Una cosa fatta dagli uomini ha sempre potuto essere ri- · ~atta da uon:inì" (III, 20); ad esempio dagli allievi per · unparare dat maestri, da questi per diffondere le loro. creazioni sul mercato, da terzi interessati al guadagno. . Ma a qu~ta riproduzione [Nachbtldung], che è. uri .

rifare e un npetere con la mano ciò che la stessa o t.in;al- · tra mano ha fatto [bilden nach =formare secondo: .. ] ..

. Benjarnin contrappone la technische Reproduktion co-· me qualcosa di "nuovo, che si afferma nella storia· a in- . termittenza, a ondate spesso lontane l'una dall'altra e · . . ,. tuttaVIa con una crescente intensità". È importante os·· s~rvare come la modalità tecnìca di riproduzione non . sta da Benjarnin limitata all'età moderna, ma sia consi­derata .~a modalità che si è affacciata anche in un p~­sato ptu remoto sulla scena della "storia mondiale" [weltgeschichtlich], e cioè in modo i.ntermittente ma crescente.

A questo proposito le redazionì divergono: la I, la II e la Fr. prendono le mosse dalla xilografia, dall'incisio­ne ?~ '!is.egno su. un bloc~o di legno come prirr{a m o-. dali t a, di nprodl.IZIOne.teçmca della grafica. La III r:i.sale

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32 PICCOLA STOHIA DELLA LONTANANZA

invece addirittura ai Greci, ai quali, ricorda Benjamin, erano noti soltanto due procedimenti riproduttivi di ri­produzione delle opere d'arte: la fusione e il conio, ap­plicati a bronzi, terrecotte e monete.

Alla xilografia nel corso del Medioevo si aggiunsero acquaforte e puntasecca, che precedettero a loro volta la stampa, la cui influenza sulle modificazioni nella let­teratura ha costituito un caso eclatante, ma non certo unico nella storia della riproducibilità tecnica. È la lito­grafia, nel XIX secolo, a rappresentare un nuovo stadio nell'evoluzione di questo fenomeno, non limitandosi a riprodurre in gran quantità i prodotti artistici, ma va­dandoli in "configurazioni ogni giorno nuove", illu­strando sulla stampa la quotidianità.

La litografia viene presto soppiantata dalla fotogra­fia, nel cui processo di riproduzione di immagini [Pro­zefl bildlicher Reproduktion] "la mano si vide per la pri­ma volta scaricata delle più importanti incombenze ar­tistiche, che ormai venivano ad essere di spettanza del­l'occhio che guardava dentro l'obiettivo. Poiché l'oc­chio è più rapido ad afferrare che non la mano a dise­gnare, il processo della riproduzione figurativa venne accelerato al punto da essere in grado di star dietro al­l'eloquio" (III, 21). Questo passo è importante, perché introduce il tema della mano e dell'occhio, della coppia otticità-tattilità, che vedremo essere centrale nel saggio.

Così come la litografia prefigurava il giornale illu­strato, la fotografia prefigurava il film sonoro, una volta che si fosse integrata con i metodi di riproduzione tec­nica dei suoni. "Questi sforzi convergenti - aggiunge Benjamin nella III, con una citazione sempre dalla Con­quete de l'ubiquité- hanno prefigurato una situazione che Pau! Valéry definisce con questa frase: 'Come l'ac­qua, il gas o la corrente elettrica, entrano grazie a uno

'UNA SORTA DI UDIQUITA' 33

sforzo quasi nullo, provenendo da lontano, nelle nostre abitazioni per rispondere ai nostri bisogni, così saremo approvigionati di immagini e di sequenze di suoni, che si manifestano a un piccolo gesto, quasi un segno, e poi subito ci lasciano"' (III, 21).

Questa prefigurazione valéryana - che va ben oltre gli scenari sperimentati da Benjamin, dal momento che, come l'ha interpretata Régis Debray glossando proprio questo passo, sembra preconizzare addirittura lo zapping televisivo7

- allude a una duplice situazione in cui veniva a trovarsi verso il 1900 la riproduzione tecnica: da un lato, bisogna tener conto della capacità propria dei mezzi tecnici di considerare l'insieme delle opere d'arte tradizionali come qualcosa di cui poter fornire una riproduzione, modificando così profonda­mente l'effetto [Wirkung] delle stesse sui fruitori (Benjamin anticipa qui il tema della ricezione, che sarà fondamentale nel corso della trattazione). Dall'altro, si deve valutare la possibilità che gli stessi mezzi tecnici, non che limitarsi alla riproduzione di opere d'arte tra­dizionali, producano essi stessi nuove opere d'arte, conquistandosi così "un posto autonomo tra i vari pro­cedimenti artistici": Benjamin pensa in primo luogo al "film come arte" (per usare il titolo della celebre opera di Rudolf Arnheim del1932, Film als Kunst, che rap­presenta una delle fonti per la stesura del saggio sull'o-

_7· "Commentando La conquista dell'ubiquità, e partendo da qud che la rad1o aveva comportato per la musica, Valéry ha annunciato il regno dd pic­colo schermo fin dal 1928; [ ... ) Valéry si aspettava molto dallo zapping" (R Debray, Vt_ta e. mort.e de~/ ~mmagm~. Una stona dello sguardo in Occidente [1992), tr.lt. dt A. Pmotu,mtrod. dt E.l'ranzini, Il Castoro, Milano 1999, p. 1_01}. ~~a su~ proposta di istituire una disciplina ·mediologica" come tro­na ~ell unmagme, Debray ha annoverato proprio Va.léry e il Benjamin dd sagg1o sull'opera d'arte come i "'prozii della nostra disciplina, già affissi al suo albo d'onore .. (ibidem), non tralasciando tuttavia- come vedremo- di esprimere una severa critica alla concezione auratica ddl'arte dd secondo.

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34 PICCOLA STOIUA DELLA LONTANANZA

pera d'arte e che senz' altro deve aver corrisposto ai suoi interessi per le questioni relative alla ricezi~né), cioè ad una forma artistica che è costituita al suo mter­no da procedimenti tecnici e da apparecchiatur<~ tecni: che, non però impiegate in vista di una duplicaz~one di opere d'arte già di per sé sussistenti e per altre v1e pro­dotte bensì in vista di una poiesis autonoma.

A 'tale modernità cinematografica Benjamin aveva

opposto, in u~ passo P?i ~spunto ~~lla_III9,_Ja g~:;~ità antica. Quesu due penodi stanno agli antipodi . se consideriamo infatti il polo greco antico, troviamo ope­re uniche create per l'eternità, mentre al polo ~pp~sto, quello moderno, abbiamo nel film "una forma il cw ca­rattere artistico per la prima volta viene costantem~nte determinato dalla sua riproducibilità. Sarebbe ozwso confrontare nei particolari questa forma con 1: a_rte gr~­ca. Tuttavia in un punto esatto tale confronto e tstrutt:­vo. Con il film infatti per l'opera d'arte è diventata dec:­siva una qualità che i Greci avrebbero concesso da uht­ma all'opera d'arte o comunque consider~t~ .c?me la sua qualità più inessenziale: la s~a p;_rfetub~t~ [Ver~ besserungsfà'higkeit]". Al contra no, il film e l oper

8. "In Film ali Kunst, pubblicato per_la ~rima volta in G~n;ùania _nd 1932, Amheim sviluppò una teoria della ncezJOne del film._ Qum . anru, o piuttosto decenni, prima che la cosiddetta Reuptwnsasth~tlk :u~~ mven~a­ta c presentata come un metodo completamente nuovo d1 an st ett~rana, RudoU Arnheim quasi senza essere notato, aveva presentato u~~ te?n.a ~d­la ricezione dd fiim. E non fu certo per caso che le rinnovate edu:oru.~h Ftl'!' l K · d 197' end 1979 quando la Raepttonsasthettk a r unst siano apparse n '1 • h · h

era al culmine deUa popclarità" (D. Grathoff, "Rudolf Am eun at t e Weltbuhne", in Rudolf Arnheim. Revealtng Vwon, ed. by K. Klemma1~lnS~ L. V an Duzer, The University of M1ch1gan Press, ~nn Arl;>or 1997f~' . dJ· veda la t r. it. di P. Gobetti, Film come arte, pref. d1 G. Anstarco, tnn l,

Milano 1983. 1 il if · 9. È il S 8 di J, II, e Fr., di cui la III ha mantenuto so. o r .enm<;nto so­

pradtato elle due tecniche greche di riproduzione, la fuswne e il conto, mse­rendolo n d S l.

"UNA SOifi"A DI UBIQUITÀ" 35

d'arte massimamente perfettibile", constando di una serie di immagini in successione sulle quali chi opera il montaggio ha in ogni momento la possibilità di interve­nire- Chaplin, ricorda Benjamin, per il suo J}opùtione pubblica (1919) ha girato 125.000 metri di pellicola, per conservarne solo 3.000. "E questa sua perfettibilità di­pende dalla sua radicale rinuncia al valore di eternità. Ciò risulta dalla controprova: per i Greci, la cui arte era assegnata alla produzione di valori di eternità, al vertice delle arti stava quella meno perfettibile di tutte, e cioè la scultura, le cui creazioni sono letteralmente tutte d'un pezzo [aus einem Stiick, contrapposto al film fini­to, che è aus einem Wurf, di getto]. La decadenza della scultura nell'epoca dell'opera d'arte monta bile è inevi­tabile"(!, 446-47; II, 361-62; Fr., 719).

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3 UNA LONTANANZA, PER QUANTO VICINA

Ora, per entrambi i tipi di riproduzione, tanto per quello riproduttivo quanto per quello poietico- anche se per motivi differenti-, si deve rilevare una modifica­zione dello statuto tradizionale dell'opera d'arte. Nel paragrafo 2 questo statuto viene circoscritto tramite il celeberrimo concetto di aura, intesa come ciò che nel­l'opera si sottrae a qualsiasi riproduzione tecnica: "An­che nel caso di una riproduzione altamente perfeziona­ta- comincia Benjamin -,manca un elemento: l'hic et n une [das Hier un d ]etzt] dell'opera d'arte -la sua esi­stenza unica [einmaliges Dasein] nel luogo [Ort] in cui si trova" (III, 22; tr. mod.).

Da questo incipit si nota subito che quel che resiste alla riproduzione è il momento crono-topico dell'ope­ra, l'intreccio irripetibile di spazio e tempo che la co.sti­tuisce, la sua origine e la sua collocazione che determi­nano la sua esistenza unica. È questa esistenza crono­topica a poter avere una storia [Geschichte]. Avere sto­ria significa subire modifìcazioni in quel crono-topo: mutare fisicamente nel corso del tempo, mutare il pro­prio luogo a causa dei cambiamenti di proprietà, che si traducono per lo più in uno o più trasferimenti dell'o-

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38 PiCCOLA S1'0RIA DELLA LONTANANZA

pera dalla sua sede originale (Benjamin nella III ag­giunge in nota che ovviamente la storia di un'opera ab­braccia altre questioni, ad esempio per la Monna Lisa, qu;mte riproduzioni ne sono state offerte nel corso dei secoli: III, 48, n. 2).

La storia di entrambi questi tipi di mutamento (de­scrivibile mediante esami chimico-fisici nel caso della modificazione indotta nell'opera dal passare del tem­po, mediante l'identificazione di una tradizione nel ca­so dei passaggi di proprietà) non può evidentemente essere ricostruita prendendo a oggetto una riproduzio­ne dell'opera stessa, ma solo ed esclusivamente l'opera in carne ed ossa, l'originale [Origina!].

Ora Benjamin introduce due ulteriori elementi ca­ratterizzanti ciò che si sottrae alla riproducibilità, e quindi l'esser-opera proprio dell'opera: l'autenticità [Echtheit] e l'autorità [Autoritat]. Vediamo il primo punto: "J; hic et nunc dell'originale costituisce il con­cetto della sua autenticità.[ ... ) J;intero ambito dell'au­tenticità si sottrae alla riproducibilità tecnica- e natu­ralmente non a quella tecnica soltanto", ma anche alla riproducibilità manuale: in questo secondo caso, una copia di un allievo o di un imitatore è falsa rispetto al­l'originale autentico, come è falsa una riproduzione tecnica di un quadro come stampa o cartolina illustra­ta. Nel caso della riproduzione tecnica - aggiunge Benjamin in una nota della III, particolarmente signifi­cativa se si pensa agli sviluppi novecenteschi della itera­zione dell'immagine, ad esempio nella pop art, nella ri­petitività in un Warhol- è il concetto stesso di autenti­cità ad essere colpito alle radici. Si prenda infatti la xi­logralia: che cosa è propriamente "originale" qui -la matrice, la prima stampa, i primi dieci, cento esemplari numerati? Si viene a creare una "differenziazione e una

UNA LONTANANZA, PEJt QUANTO VICINA 39

~r~~~azione .[?zfferenz:erung zmd Stufung] dell'auten­tlctta .e addlrlttura - CIÒ che è ancor più pregnante -nasce il concetto stesso di autentico, che semantica­mente si determina solo a partire dalla correlazione con il proprio concetto-cerniera, il concetto di copia o di falso: "Un'effigie Wild] medievale della Madonna, al momento in cui veniva dipinta, non ·era ancora autentt~ ca; diventa autentica nel corso dei secoli successivi e nel modo più pieno, forse, nel secolo scorso" (III, 49, n. 3 ).

t:f.a - e qui Benjamin introduce un primo aspetto ~oslttvo della riproducibilità tecnica, fin qui in ombra nspetto alla predominante connotazione negativa di distruzione dell'hic et nunc- la riproduzione tecnica "può, per esempio mediante la fotografia, rilevare aspetti dell'originale che sono accessibili soltanto all'o­biettivo, che è spostabile e in grado di scegliere a piaci­mento il suo punto di vista, ma non all'occhio umano, oppure, con l'aiuto di certi procedimenti, come l'in­grandimento o la ripresa al rallentatore, può cogliere immagini che si sottraggono interamente all'ottica na­turale [natiirliche Optik] ". Questa funzione, che po­tremmo chiamare protesica, della tecnica amplia le possibilità percettive dell'uomo, permettendogli di co­gliere qualcosa dell'originale che la sua sola "ottica na­turale" non gli consentirebbe, espandendo quindi l'e­sperienza dell'originalità e dell'autenticità stesse.

In secondo luogo, la tecnica permette di perfezi.ona­re progressivamente quella valéryana "conquista del­l'ubiquità" (la redazione francese non a caso recita a differenza di quelle tedesche: "La reproduction mé~a­nisée assure à l'originall'ubiquité dont il est naturelle­ment privé": Fr., 711, c.vo mio) che avvicina il fruitore all'opera, sia questa sonora (nel disco) sia questa visiva (nella fotografia): "La cattedrale abbandona la sua ubi-

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40 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

cazione [Platz] per essere accolta nello studio di un amatore d'arte; il coro che è stato eseguito in un audito­rio oppure all'aria aperta può venir ascoltato in una ca­merli" (III, 22-23 ). Questo venir-incontro [entge­genkommen] dell'opera al fruitore sotto forma di opera riprodotta tecnicamente riduce la distanza tra spettato­re e opera, riduce cioè quella lontananza che è caratte­ristica della contemplazione tradizionale dell'opera, così come viene descritta da una di quelle categorie del­l'estetica- il mistero o segreto [Geheimnis]- che Benja­min aveva inquadrato in continuità con un approccio "fascista" all'arte.

Tale avvicinamento è un trasferimento, una disloca-zione le cui circostanze possono "lasciare intatta la con­sistenza intrinseca [Bestand, nella Fr., 711 è contenu] dell'opera d'arte- ma in ogni modo determinano la svalutazione [entwerten] del suo hic et nunc". Questo processo, riconosce Benjamin, vale per l'opera d'arte come per il paesaggio naturale trasposto~ un fùm· m_a solo nell'opera investe un punto essenziale: l autenti­cità tutto ciò che è tramandabile, "dalla sua durata ma­teri~e alla sua virtù di testimonianza storica", che si ba­sa sulla prima; in una parola, l' auto:ità [Autori!a:t] o­specificazione soppressa nella III- il peso tradizwnale [traditionelles Gewicht] della cosa.

Veniamo così, con il vacillare di autenticità e auto­rità al cuore dell'argomentazione benjaminiana, il ve­nir ~eno dell'aura dell'opera d'arte causato dalla ripro­duzione tecnica: "Ciò che vien meno nell'epoca della riproducibilità tecnica è !"'aura" [~ura] d~'opera d'arte. [. .. ] La tecnica della riproduzwne, cosi SI po­trebbe formulare la cosa, sottrae il riprodotto all'ambi­to della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone al posto di un evento unico [einmaliges Vorkom-

UNA LONTANANZA. PER QUANTO VICINA 41

me n] un evento di massa [massenweises] (Ili, 23; tr. mod.; cfr. Fr., 711: "son existence en série").

La moltiplicazione tecnica degli originali permette a questi stessi di andare incontro ai fruitori là dove questi si trovano, diffondendosi: ciò, sostiene J3enjamin, at­tualizza [aktualisiert, actualise] la cosa riprodotta. Que­sta situazione consiste in un "violento rivolgimento [. .. ] che è l'altra faccia della crisi attuale e dell'attuale rinnovamento dell'umanità", connesso ai movimenti di massa e all'agente più potente: il cinema (cioè quella tecnica che non si limita a riprodurre opere d'arte del passato, come può fare la fotografia, ma che produce autonomamente nuove opere), la cui valenza sociale positiva consiste proprio nell'essere una forza distrutti­va e catartica [destruktiv, kathartisch] che liquida "il valore tradizionale dell'eredità culturale" (III, 23 ).

In questo modo Benjamin recupera una valenza messianica e politica della trasformazione in corso in seno all'arte, riconnettendosi all'argomentazione poli­tica della premessa, ed allargando l'ambito al di là di quello squisitamente artistico, in direzione di una vera e propria filosofia della storia che verrà meglio precisa­ta nelle Tesi sul concetto di storia. È qui infatti, in parti­colare nella Tesi XIV, che Benjamin riflette sul rappor­to tra passato e presente in termini di distruzione, di at­tualità e di citazione: "La storia è oggetto di una costru­zione il cui luogo non è costituito dal tempo omogetleo e vuoto, ma da quello riempito dell'adesso Uetztzeit] 1•

Così, per Robespierre, l'antica Roma era un passato ca­rico di adesso, che egli estraeva a forza dal continuum

I. Sul concetto cfr. il lemma dei curatori di CS, 141-44, e F. Desideri, "Ad vocem ]e/1./zeit", in La porta della giustàJa. Saggi su \'Valur Benjamin, Pendragon, Bologna 1995, pp.152-65.

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42 PICCOLA STO!UA DELLA LONTANAN'LA

della storia. La Rivoluzione francese pretendeva di es­sere una Roma ritornata. Essa citava l'antica Roma esattamente come la moda cita un abito d'altri tempi" (CS, 45-47). Come si evince nella Tesi XVII -che in modo molto significativo per il nostro discorso connet­te esplicitamente la storia alla storia della cultura (e quindi anche dell'arte) -, questa citabilità2 permette al materialista storico di "far saltar fuori una certa epoca dal corso omogeneo della storia; così fa saltar fuori una certa vita dalla sua epoca, una certa opera dal corpus delle opere di un autore. Il profitto del suo procedere consiste nel fatto che in un'opera è custodita e conser­vata tutta l'opera, nell'opera intera l'epoca e nell'epoca l'intero corso della storia" (es, 53 )l.

Ecco ravvisato proprio nell'aspetto più distruttivo­della riproduzione tecnica dell'opera tradizionale da un lato, e del linguaggio autonomo proprio della tecni­ca, il cinema, dall'altro- il momento più positivo, più rivoluzionario e liberato rio: la liquidazione della tradi­zione, cioè della storia; il che, nota Benjamin, è tanto

2. Si veda altresì "Che cos'è il teatro epico?" [1939), in OA, 125·35, in particolare il paragrafo dedic_ato al ges~o citaf;ile, in cui l'tnterruzton~ dc:ila rappresentazione nel teatro d1 Brecht vtenc;: nco!"'dotta al?punto alla clt,aziO· ne come a un "procedimento che travahca d~ molto il s<:ttore .d~ arte. ( .. .] Citare un testo implica interrompere il con~esto .m cut rte~tra. ( ... ]L'attore dev'essere in grado di spaz.ieggiare i suot gesti, _come _un Up?· grafo le parole" (OA, 131·32). In Brecht però questa inten:ulJ~ne "!."'ne m netto contrasto, come rileva lo stesso BenJamm, con la teona a_nsto~elica dd: la catarsi ("Ciò che viene tolto di mezzo nell'opera dramm~uc~ di Brecht e la catarsi aristotelica, la scarica degli affetti tramite la pa~e.ct~azmn~ al co?"'­movente destino dell'eroe": OA, 130), mentre- come st e vtst~- m BenJa­min la forza distruttiva del cinema è caratterizzata come katharltsch . .

3. I curatori fanno opportunamente notare come questo procedlm:~to dtazionistico che distrugge il contiNuum om?genw trà:J.i.to rapp.resenu un esatto capovolgimento del metodo ermeneutico della c.nuca ston;a, mess? a punto già da ED. E. Schleiermacher (1768·1834), per il9uale un opera VJe. ne compresa esaurientemente solo in ri~erimento a tutto. il corpus delle ?Pe- · re di un autore, a un autore però solo m rapporto con il contesto stanco e culturale della sua epoca" (CS,53, n. 40).

UNA LONTANANZA, PER QUANlD VICINA 43 più evidente proprio nei grandi film storici: Cleopatra, Ben Hur, Federico il Grande e Napoleone (come esem­plifica la sola I, 439). Ed è proprio uno dci primi teorici del cinema, Abel Gance, a invitare inconsapevolmente "a una liquidazione generale"4 della tradizione quando preconizza "una resurrezione nel film" di leggende, mi­tologie, religioni, letterature del passato.

La positività della distruzione nei confronti della tradizione era già stata al centro di un breve e denso scritto dell931, dedicato da Benjamin appunto al Ca­rattere distruttivo: qui Benjamin non contrassegna il ca­rattere distruttivo come semplicemente negato re della tradizione, bensì piuttosto come un suo differente vei­colo: "Il carattere distruttivo sta nel fronte dei tradizio­nalisti. Mentre alcuni tramandano le cose rendendole intangibili e conservandole, altri tramandano le situa­zioni rendendole maneggevoli e liquidandole. Questi vengono chiamati i 'distruttivi"'5• Come è evidente, lo schema corporeo della tattilità corrisponde all'atteg­giamento distruttivo nei confronti di una tradizione sottratta alla sua intangibile lontananza e resa maneg­gevole, cioè in fondo citabile, disponibile ad esseremo­bilitata e attualizzata- e quindi liquidata in quanto tra­dizione.

A questa stessa maneggevolczza e mobilità Bcnja­min pensava quando, esaltando in Esperienza e povertà

!

4. "Lei sa -scrive Adorno nella lettera a Benjamin dd 18.3.36 -che l'og· getto 'liquidazione dell'arte' sta da molti anni dietro i miei saggi estetici" (A­B, 168). Adorno rimanda a un suo saggio del1934 apparso nellaSchOnb"g­/eslschnft per simili riflessioni su tecnica e dialettica {"Il compositore dialet­tico", tr. it. di C. Mainoldi, in Impromplus. Saggt' musicali 1922-1968, Fdtri­nelli, Milano 1973, pp. 3 7 ·42 ).

5. Tr. it. di P. Di Segni, in • Metaphorein", 3, 1978; ripreso in F. Rdla (a c. di), Cn'lica e s/on'a. Materiali su Benjamin, Cluva, Venezia 1980, pp. 201-202, e più recenteO\ente in "'Millepiani", 4, 1995, pp. 11-12.

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44 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

(1933) chi tra i suoi contemporanei era capace di essere "barbaro", di "iniziare dal N uovo; di farcela con il Po­co", richiamava Schccrbart, Loos c Le Corbusicr, le lo­ro "case di vetro regolabili e movibili": "Le cose di ve­tro non hanno "aura". Il vetro è soprattutto il nemico del scgreto"6. .

· Che cos'è dunque l'aura? Se nel paragrafo 2 BenJa-min aveva introdotto il concetto tramite le categorie di hic et nunc, di autenticità e di autorità, nel successivo, paragrafo in tutto e per tutto nevralgico per il discorso benjaminiano, lo,statuto ?di'aura v,iene così a~pro~on­dito: "Che cos'c propnamentc l aura? - SI chiede Bcnjamin - Una particolare trama di spazio e te~po [ein sonderbares Gespinst aus Raum und Zett]: un ap­parizione unica di una lontananza, per quanto questa possa essere vicina [einmalige Erschemung emer Ferne, so nah si e sein mag]" (I, 440; II, 355; Fr., 712)1. Il suo s~­gnificato si illustra- spiega Benja~ s~l? nella III, n­prendendo il binomio natura-~tona- utiliz.zando com.e strumento per comprendere il concetto di aura appli­cabile agli oggetti storici [geschichtliche Geg~nstà'nde~ il concetto di aura applicabile agli oggetti naturali [naturliche Gegenstà'nde]: "Definiamo questi ultimi ap­parizioni uniche di una lontananza, per quanto questa possa c;:ssere vicina" (Ili, 24-25). . . .,

Ritorna la coppia concettuale vicl!1o-lontano, gia an-

6. T r. it. di F. Desideri, in • Metaphorein", 3, 1978; poi, ripresa in F. Rella (a c. di), Critica e rtoria, cit., pp. 203-208, qui p. 206 (e p1u recentemente m "Millepiani",4, 1995,pp.17·2l,quip,·l9).. . ._

7. Si veda l'identica dcfimz1one g1a tn Ptccola stona della fo'uog;afia, _usci ta in tre puntate fra il settembre e l'ott?bre ?~ _1931 sulla_ Luerartsche Wdt" (in OA, 70). Cfr. anche Di a/cunr mo/tut rn Baudelmre (AN, 125). Adorno ricorda che "Benjamin ha sempre dispost? dt una forza defi?nona di una severità all'antica, dalla definizione del dcsuno quale "nesso d1 colp_a fra viventi., fino alla t~rda definizione ddl"a.ura'.,, richiamando la sua predi­lezione per l'immobilizzante "monumentalità dd momentaneo" (Note per la le//eratura, cit., p. 247).

UNA LONTANANZA. PER QUANTO VICINA 45

ticipata nel paragrafo precedente con la descrizione del venir-incontro [entgegenkommen] dell'opera al fruito­re sotto forma di opera riprodotta dalla tecnica. È es­senziale al fenomeno dell'aura che ad apparire sia un che di unico, che deve manifestarsi, anche se è vicino, come se fosse distante. Così esemplifica Benjamin una situazione auratica concernente oggetti naturali: "Se­guire, in un pomeriggio d'estate, una catena di monti al­l'orizzonte oppure un ramo che getta la sua ombra so­pra colui che si riposa- ciò significa respirare [atmen] l'aura di quelle montagne, di quel ramo" III, 25)8•

Se unicità e lontananza sono i due momenti costitu­tivi dell'esperienza auratica9, quel che si definisce con "decadenza dell'aura" [Verfall der Aura] consiste ap­punto nel venir meno di questi due momenti, prodotto secondo Benjamin da un condizionamento sociale pre­ciso: la crescente intensità dei movimenti di massa (la Fr., 713, aggiunge a questa determinazione quantitati­va anche una specificazione qualitativa: "la prise de consdence accentuée des masses"). È infatti una dupli­ce tendenza propria delle masse odierne quella di voler

8. L'esempio era già stato introdotto ndla Piccolo stona dello fotografia, con qualche differenza: "Seguire placidamente, in un mezzogiorno d'estate, una catena di monti all'orizzonte oppure un ra.mo che getta la sua ombra sull'osservatore, fino a quando l'attimo [Augenblick], o l'ora [Stunde], par­tecipino ddla loro apparizione [Erscheinung] -tutto dò significa respirare l'aura di quei monti, di qud ramo" (OA, 70).

9. Benjamin non tralascerà di circoscrivere il significato dell'aura. anche sotto il profilo dd suo rapporto con la memoria- suddivisa proustianamtn­te in "volontaria" e "involontaria"- e con le modificazioni che questa subi­sce da parte delle apparecchiature di riproduzione tecnica: "'Se si definisco­no le rappresentazioni radica te nella mémoire involontaiu, e che tendono a raccogliersi attorno ad un oggetto sensibile, come l'aura di quell'oggetto, l'aura attorno ad un oggetto sensibile corrisponde esattamente all'esperien­za che si deposita come esercizio in un oggetto d'uso. I procedimenti fonda­ti sulla camera fotografica e sugli apparecchi analoghi successivi estendono l'ambito della mimoire volontaire; in quanto pcnnettono di fissare un even­to, sonoramente e visivamente, con l'apparecchio in qualunque momento. E diventano così conquiste fondamentali di una società in cui deperisce l'e­sercizio" (Di alcuni motivi in Baudelaire: AN, 123).

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rendere le cose più vicine [die Dinge sich "niiherzubrin­gen"; "spazialmente e umanamente più vicine", aggiun­ge la III; "le monde [ ... ] plus accessible", preferisce la Fr.], e di voler superare la loro unicità grazie alla loro riproduzione. Sempre più si manifesta la tendenza da parte delle masse di prender possesso dell'oggetto il più possibile da vicino [aus nachster Nlihe], non solo nell'immagine [Bild], quanto piuttosto nell'effigie [Ab­bild, copia], nella riproduzione [Reproduktion].

Qui Benjamin gioca con la duplice accezione di Bild, che significa tanto immagine quanto quadro o dipinto: infatti subito precisa che l'Abbild caratteristica delle ri­produzioni nei giornali illustrati o nei cinegiornali si identifica per la sua !abilità e ripetibilità, di contro al­l'unicità e durata proprie del quadro [Bild;"il tr. it. dà entrambi i significati: "l'immagine diretta, il quadro"; la Fr. preferisce il più generico image d'art].

A questo punto Benjamin stringe l'obiettivo di nuo­vo sulla storicità della percezione che aveva introdotto fm dall'esergo, focalizzando la propria riflessione sulla modalità percettiva dell'epoca in cui l'aura è decaduta: "La liberazione dell'oggetto dalla sua guaina [Entscha~ lung des Gegenstandes aus seiner Hiille; la Fr. usa halo] 10 ,

la distruzione [Zertriimmerung] dell'aura sono il con-

10. È interessante a questo proposito la distinzione- operata da_Benja­min in alcune comunicazioni sull'cssen1..a dell'aura durante un esperunento con l'hascisch ai primi di marzo dd 1930- tra il proprio,concc;to di au.r~a co­me :rodero" e la ~oncezi<?ne volgar_me~ltc _t~~ofìca de~ aura: _Tutto c!? che disst era in polemica con 1 teosofì dt cui mtirntavano lmespenenza e ligno: ranza. E - anche se certo schematicamente - contrapposi sotto tre aspet!l l'aura reale alle rappresentazioni banali c convenzionali dei teos~fi. In pn­mo luogo la vera aura si manifesta in tutte le cose. Non soltanto 1~ alcune, come immagina la gente. In secondo luogo l'aura muta, e muta radicalmen­te, con ogni movimento della cosa di cui è !:aura. In terz~ luogo 1~ vera at;r.a non può in alcun caso essere pensata come il leccato fascmo ra~.tan_tc ~p~~: tualistico, secondo l'immagine e la descrizione che n~ danno t hbn mtsttct volgari. n momento distintivo della vera aura è piUttosto l'ornamento, un'incamiciatura ornamentale nella quale la cosa o l'essenza è calata come in un fodero. Ddl'aura vera nulla ci dà un'idea più giusta dci tardi quadri di

UNA LONTANANZA, PER QUANTO VICINA 47 t rassegno [Stgnatur] di una percezione la cui "sensibtlità per ciò che nel mondo è dello stesso genere" 11 è cresciuta a un punto tale che essa, mediante la riproduzione, con­quista anche ciò che è unico" (III, 25; tr.mod.).

Benjamin conclude il paragrafo osservando come l'importanza delle masse si dia a vedere tanto nella sfe­ra intuiti va [anschaulich], potremmo dire percettiva, quanto nella sfera teorica sotto forma di statistica. Ma la chiusa rimette in discussione quell'iniezione materia­listica e deterministica di cui si diceva sopra: "L'ade­guazione della realtà alle masse e delle masse alla realtà è un processo di portata illin1itata sia per il pensiero sia per l'intuizione" (III, 25). Questa affermazione, a ben vedere, non è infatti più perfettamente compatibile con la concezione secondo cui i movimenti di massa sono la causa che determina la modificazione della percezione e quindi dell'immagine della realtà: qui Benjamin sem­bra non avere in mente un modello univoco (dalle mas­se all'immagine della realtà), ma piuttosto un modello biunivoco o correlativo.

van Gogh, ove tutte le cose- così si potrebbero descrivere questi quadri­sono rappresentate con la loro aura" {H, 88).

11. ·smn fiir das Gleichartige in der Welt", dtazione che solo la I, 440, rimanda allo scrittore danese J ohannes V. J ensen ( 187 3-1950 ). Si veda il Ver. baie di <>perimenlo con l'haJCisch dd 29 settembre 1928 a Marsiglia: •Per fortuna sul mio giornale trovo la frase: 'Con il cucchiaio si deve attingere l'u­guale dalla realtà'. Diverse settimane prima ne avevo annotata un'altra di Johannes V.Jensen, che apparentemente esprime un concetto analogo: 'Ri­chard era un giovane sensibile a tutto ciò che vi è di affme nd mondo':·Que­sta frase mi era piaciuta molto" (H, 83; OC, 169; nd settembre dd 1928 Benjamin lesse le Exotisch< Novellen di Jensen: cfr. OC, 616). Si veda a tal proposito}. Sdz, ·un'esperienza di Walter Benjamin" (1959]: ·n senti· mento deli'identità preoccupava molto Benjamin. [ ... ] Il termine iJentità era d'altronde ben lungi dal soddisfa rio per designare, in certi casi, lo stato di due cose simili, e per parlare dd fenomeno egli aveva inventato una paro­la francese, la parola mém1ié. Sotto l'influsso ddl'hasdsch questa impressio­ne che due cos~ diverse siano un'unica cosa era legata a una sensazione di fe­licità che egli gustava con cura delicata. Egli aveva annotato nd suo diario: "Con il cucchiaio si deve attingere l'uguale dalla realtà'" (H, 140-41).

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EXCURSUS: AURA ED EMPATIA

Come ha rilevato, tra gli altri, ]Urgen Habermas, "Benjamin ha avuto sempre un atteggiamento ambiva­lente nei confronti della perdita dell'aura" 1• Egli oscilla tra una disposizione nostalgica nei confronti di una lontananza irrin1ediabilmente perduta e una positiva fi­ducia nella vicinanza delle immagini resa possibile dai mezzi tecnici di riproduzione2. Questa oscillazione ha sviluppato in Benjamin la sensibilità per i momenti in-

1.]. Habermas, "Critica che rende coscienti o critica che salva. L'attua· lità di Walter Benjamin" [1972], in Cultura e critica, ed. it. a c. di N. Paoli, Einaudi, Torino 1980, p. 252. Sul concetto benjaminiano di aura si possono vedere; per la storia del concetto, W. Fui d, Die Aura. Zur Geschichte eines Begriffer bei Benjamin, in • Akzente", 26, 1979, pp. 352-70; quindi D. Harth - M. Grzimek, '"'Aura• und "Aktualitiit" als isthetische Begn'f/e, in P. Gebhardt et al. (Hrsg.), Wa!ler Benjamin-Zeitgenorre der Moderne, Scriptor Verlag, Kronberg!Ts. 1976, pp. 110-45; A. De Paz, "l: aura, la tecni01, le forme: Benjamin e la contemporaneità", in R Barili i {a c. di), Estetica e so­cietà tecnologica, Il Mulino, Bologna 1976, pp. 121-48; F. Masini, Metacn~lca dell'aura, in • Materiali filosofici", 6, 1980, pp. J -!J.

2. Sembra cogliere esclusivamente il primo aspetto nosta1gico la critica di lfotard che, considerando il .. declino dell'aura", cosl scrive: •Je n'y vois nul dédin, sauf celui d'une esthétique venue de Hegd pour qui l'enjeu était en effet l"expericnce' au sens d'une passion de l'esprit pa.rcourant les for­mes sensiblcs afm de parvenir à la totale exprcssion de soi dans le discours du philosophe. Esthétique appuyée sur le genrc •absolu' du récit spécuJatif, sur la forme de la finalité, et sur l'arrogance métaphysique" Q.-F. Lyotard,

. La philosophie el 14 peinlure à l'ère de leur expérimenlalion. Conlribulion à uneldée de Lz portmodernité [1979], in "Rivista di estetica", 9, 1981, pp. J. 15,quip.!J).

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50 PICCOLA STORJA DELLA LONTANANZA

termedi, grigi, ambivalenti, in cui si sta compiendo, ma non è ancora compiuta, la decadenza dell'aura per ma­no della tecnica.

Nella Piccola storia della fotografia, riflettendo in particolare sui primi ritratti fotografici, Benjami.t1 osser­va che "l'osservatore sente il bisogno irresistibile di cer­care nell'i.tnmagine quella scintilla magari minin1a di ca­so di bi c et n une con cui la realtà ha fotografato il cara t­te;e dell'i.tnmagine, il bisogno di cercare il luogo invisi­bile in cui, nell'essere in un certo modo di quell'attimo lontano si annida ancora oggi il futuro, e con tanta elo­quenza che noi, guardandoci indietro, siamo ancora in grado di scoprirlo", come nel caso dell'immagine della moglie del fotografo Dauthendey, il cui sguardo è "ri­succhiato da una iontananza colma di sciagure" (OA, 62), lontananza che le sta preparando il suo suicidio.

La scarsa diffusione della fotografia e dei giornali, i lunghi tempi di posa in situazioni di pressoché as.soluto isolamento e di totale i.tnmobilità, la composta nserva­tezza nei confronti dell'obiettivo, la componente magi­ca dell'apparecchio (la differenza tra tecnica e magia è una "variabile storica": OA, 63), in una parola l'inat­tualità della fotografia faceva sì che "tutto, in quelle lontane fotografie, era predisposto perché durasse" (OA, 65), in netto contrasto con quello che sarebbe ac­caduto con l'istantanea.

I.: emersione dell'i.tnmagine dal buio dello sfondo, ti­pica delle vecchie lastre, e l'uso dell'ovale come vera e propria aureola che circondava le foto di.gruppo deter­minavano inequivocabilmente nelle pnme fotografie un "fenomeno auratico" (OA, 68) che la successiva commercializzazione e il perfezionamento della tecnica del trattamento del chiaroscuro riuscirono ad eli.tnina­re. Ciò produsse tuttavia una sorta di effetto di com-

EXCURSUS, AUHA ED EMPATIA 51 pensazione: nel periodo di "decadenza", "negli anni successivi al1880, i fotografi considerarono loro com­pito ripristinare artificiosamente quell'aura" (OA, 68). Fu la vendetta della pittura contro la fotografia: il ritoc­co, la spugnatura, l'artificio decorativo, le i.tnprobabili scenografie a metà "tra la camera di tortura e il salone del trono", condussero a i.tnmagini di cui una delle pri­me fotografie di Kafka rappresenta un esempio para­digmatico: "In un vesti tino infantile, stretto, in qualche modo umiliante, sovraccarico di ornamenti, il ragazzo, di circa sei anni, sta in w1a specie di paesaggio da giar­dino d'inverno. Ventagli di palme irrigiditi sullo sfon­do. E quasi che ancora occorresse rendere più ridon­danti e soffocanti questi tropici di carta, il modello reg­ge un copricapo smisurato, dalla testa ampia, alla spa­gnola. E certamente scomparirebbe dentro tutta que­sta messinscena se gli occhi, infinitamente tristi, non dominassero questo paesaggio, predisposto per loro" (OA,W).

Non tristezza, bensì sicurezza e autorità emanavano gli sguardi dei pri.tni soggetti fotografati, ancora "cir­condati da un'aura" (OA, 67), quell'aura che- dopo es­ser stata surrogata dagli artifici leziosi nel suo periodo di decadenza- sarebbe stata definitivamente eli.tninata dalle i.tnmagini pre-surrealiste, deserte di sguardi e di uomini, di Atget: con la sua capacità tattile di "abban­donarsi alla cosa", Atget "disinfetta" il cascame;~om" poso e finto della fotografia artistica, producendo i.tn­magini che "risucchiano l'aura dalla realtà, come l'ac­qua pompata da una nave che affonda" (OA, 69-70).

3. Cfr. la ripresa, lievemente variata, di tale descrizione nd saggio su Kafka del!934 (AN, 282-83), nonché il ricordo di simili sacrifici subiti da Benjamin bambino in uno studio fotografico "'a mezzo tra U boudoir e la ca· mera di tortura", in Infanzia ber/in eu (IB, 55).

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52 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

Se, come si legge nel paragrafo "Ottico" di Strada a senso unico, "lo sguardo è l'ultima goccia dell'uomo" (SSU, 47)- quell'ultima goccia che trattiene Kafka dal­lo scomparire del tutto nel suo ritratto fotografico -, abbiamo dunque qui uno schema oppositivo che con­trappone aura, lontananza, sguardo, umano, arte da un lato, e perdita dell'aura, vicinanza, tatti!ità, inumano, tecnica. Si può approfondire tale nesso tra aura e sguar­do facendo riferimento ad uno scritto successivo al sag­gio sull'opera d'arte, Di alcuni motivi in Baudelaire, pubblicato nel1939-40 sulla "Zeitschrift fiir Sozialfor­schung". Ribadendo qui il ruolo fondan1entale svolto dalla fotograiìa nel processo di decadenza dell'aura, Benjamin scrive: "Nello sguardo è inlplicita l'attesa di essere ricambiato da ciò a cui si offre. Se questa attesa (che può associarsi altrettanto bene, nel pensiero, a uno sguardo intenzionale d'attenzione, come a uno sguardo nel senso letterale della parola) viene soddisfatta, lo sguardo ottiene, nella sua pienezza, l'esperienza del­l'aura. 'La percettibilità- afferma Novalis- è un'atten­zione'. La percettibilità di cui parla non è altro che quella dell'aura. L'esperienza dell'aura riposa quindi sul trasferimento di una forma di reazione normale nel­la società umana al rapporto dell'inaninlato o della na­tura con l'uomo. Chi è guardato o si crede guardato al­za gli occhi. Avvertire l'aura di una cosa significa dotar­la della capacità di guardare. [ ... ]È inutile sottolineare quanto Prousr fosse addentro al problema dell'aura. Ma è sempre degno di nota che egli lo tocchi inciden-

4. In Per un ritrai/o di ProuJI [1929] Benjamin parla della "intangibilità' cui è improntata l'opera proustiana: "il suo indice è incomparabil~. Ma nel rapporto amichevole, nella conversazione c'è anche un altro gesto: il c~ntat· to. Questo gesto è estraneo a Proust più che a ogni altro. E neanche egli può toccare il suo lettore, non lo potrebbe per nulla al mondo. Se si volesse rac·

EXCUR5US: AURA ED EMPATIA 53 talmente in concetti che ne implicano la teoria: 'Certi amanti del mistero vogliono credere che rimanga qual­cosa, negli oggetti, degli sguardi che li hanno toccati'. (E cioè la capacità di ricambiarli)". Anche Valéry offre a Benjamin un pensiero che si muove in questa direzio­ne: "Le cose che vedo mi vedono come io le vedo" (AN, 124-25).

Rispetto alla possibilità di dotare una cosa della ca­pacità di guardare, Benjamin precisa in nota: "Questa dotazione è una scaturigine della poesia. Quando l'uo­mo, l' aninlale o un oggetto inaninlato, dotato di questa capacità dal poeta, alza gli occhi e lo sguardo, egli è at­tratto lontano; lo sguardo della natura risvegliata sogna e trascina nel suo sogno il poeta. Anche le parole posso­no avere la loro aura. Come l'ha descritta Karl Kraus: 'Quanto più davvicino si guarda una parola, e tanto più lontano essa guarda"' (AN, 124-25, n. 3 ).

Qui Benjamin sembra fare ricorso, nel definire il processo di costituzione dell'aura, a un classico proce­dimento dell' Einfiihlung o empatia1: la correlazione

cogliere la poesia intorno a questi due poli -la poesia che indica e qudla che tocca-, il centro della prima sarebbe occupato dall'opera di Proust, qudlo della seconda da Péguy" (A,R 38). h significativo che Benjamin abbia rac· colto un piccolo indice di luoghi proustiani utilizza bili in riferimento al sag­gio sull'opera d'arte ("ProuJistellen zum Kunstwerk im Zeitalttr": GS VII-2, 679): sono soprattutto esperienze delle nuove tecnologie, concernenti tra l'altro il modo differente in cui l'automobile e il trenO si impossessano dd terreno (All'ombra del/t fanciulle in fiore), la modificazione ddl'arte'-'attra­ver.;o la velocità (episodio automobilistico con Albertine in Sodoma t Go­morra), nonché l'auraticità della stazione ferroviaria (Sodoma e Gomorra) e la magia dd telefono (GuermanleJ).

. 5. Commenta Habermas a proposito di questo passo: "'ll fenomeno au. rat1co può verificarsi solo nel rapporto intersoggettivo dell'io con il suo al· tro, con l'alter ego. Dove alla natura viene 'prestato' qualcosa per cui essa spalanca gli occhi, l'oggetto si trasforma nell'altro che ci sta di fronte. L'ani­mazione universale della natura~ il segno delle immaglni magiche dd mon­~o, dove f!On _è ancora avvenuta la separazione fra la sfera di dò che~ ogget· ttvato e d1 cui disponiamo in senso manipolativo, e l'ambito dell'intersog­gettivo, dove ci incontriamo comunicando" (Cultura e critica, cit., p. 253).

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54 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

dell'uomo all'inanimato avviene infatti come se questo fosse un essere umano, e il rapporto fra soggetto e og­getto si configura in termini di intersoggettività. Pur nelle multiformi declinazioni dell'empatia, è comune ai vari teorici l'impiego di termini quali animazione, uma­nizzazione, immedesimazione, trasferimento, trasposi­zione, identificazione, proiezione, che nel complesso sottolineano un'attività di transfert dal soggetto all' og­getto di contenuti estesici o patemici, vuoi nel senso di un'empatia di attività [Tiitigkeitseinfiihlung], ad esem­pio quando si parla di una "fuga" delle colonne, vuoi nel senso di un'empatia di stati d'animo [Stimmungs­einfiihlung], quando ci si riferisce ad un paesaggio ma­linconico o ad un colore gioioso.

n modello che più frequentemente è stato impiegato dai teorici per il chiarimento di tali processi traspositivi potrebbe essere definito idraulico6

, dal momento che opera secondo uno schema dfvasi comunicanti secon­do cui il passaggio del contenuto estesico-patemico av­viene dal soggetto all'oggetto come da un vaso pieno a un vaso vuoto. Questo sembra essere il modello cui an­che Benjamin fa ricorso, nel momento in cui parla di un "trasferimento" dall'umano all'inanimato e afferma che percepire l'aura di una cosa significa "dotarla" del­la capacità di guardare.

La "dotazione" di tale capacità all'oggetto implica una concezione reificante dello stesso come "mera co­sa", la quale deve appunto essere presupposta come vuota e inerte per poter accogliere dal soggetto (ad

6. Ho cercato di circoscrivere il senso di tale modello idraulico c i pro­blemi ad esso connessi in EstetiCJJ ed empatia, Gucrini, Milano 1997, in part. pp. 28-29, e nel saggio" Stimmung ed Ein/iihlung. Modello idraulico e mo· dello analogico ndlc teorie dell'empatia", in R. Poli- G. Scaran~uzza {~c. dt) Estetica fenomenologica, Annali dell'Istituto A. Banfi, n. 5, Almea, Fuenze 1998, pp. 347-64, lavori ai quali mi permetto qui di rinviare.

EXCURSUS, AURA ED EMPATIA 55

esempio dal poeta nel discorso benjaminiano) unica ed ~rigina~i,a _fonte del senso, il contenuto estesÌco-pa­temtco e pm rn generale quello statuto di umanità e di soggettività che le rimarrebbe altrimenti precluso. Ciò evidentemente si pone in contrasto con una concezione vitalistica, magica, panteistica della natura- tipica tan­to di un'umanità primitiva quanto di certe forme di re­ligiosità, quanto infine proprio di certo romanticismo c~ pure la maggior parte dei teorici dell'empatia siri: chtamava come al proprio padrino spirituale -, che di per sé è piena di senso, viva e attiva, e non aspetta come mera cosa vuota il riempimento [Einfiihlung come Ein/iillung] proveniente dal soggetto.

Ma quel modello idraulico si trova altrettanto in c?ntrasto con una filosofia del concreto, quale ad esem­pio si è tentata nel richiamarsi da parte della fenomeno­logia "alle cose stesse" [zu den Sachen selbst], nell'am­bito di un riconoscimento dei diritti dell' oggetto7 e dei suoi autonomi strati di senso che sussistono indipen­dentemente da qualsiasi "conferimento" psicologico soggettivo, e che invece si costituiscono in un rapporto di correlazione con il soggetto stesso. Una filosofia del concreto che lo stesso Adorno, nonostante le sue riser­ve nei confronti del metodo fenomenologico, aveva espressamente avvicinato al "contatto fisico con i con­tenuti" tipico del modo tattile di filosofare proprio di Benjamin8•

7. Si veda ad esempio nell'esemplare saggio di M. Geiger, Zum Problem der Stimmungiein/iihlung, in "Zeitschrift fiir Asthetik un d allgemeine Kun· Stwissenschaft", 6, 1911, pp. 1-42, il riconoscimento dd carattere o stato d'animo dei paesaggio come appartenente di diritto al paesaggio stesso. ru. c?rdiamo qui che Benjamin fu allievo di Geiger nel!916 a Monaco. Cfr. al nguardo G. Scaramuzza, "'Walter Benjamin: incontro con la fenomenolo· gi~", in Id. (a c. di), Estetica monacenu. Un percorso fenomenologico, Cuem, Milano 1996, pp.161·90.

~· N_ote ~er la l;tteratura, cit., pp. 244 e 248. Parlando, a proposito di BenJa~l~, di u_no sfrenat.o ~bbandono all'oggetto ... Adorno scrive: •Fa­cendosi il pensiero per cos1 due troppo dappresso alla cosa, questa diviene

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56 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

Questa adozione del tutto problema ti ca di un impli­cito modello idraulico nell'empatia tra soggetto e og­getto, quale viene posta da Benjamin alla base della co­stituzione dell'aura come "capacità di guardare", divie­ne ancor più problematica se si tiene conto della co­stante polemica che animò gli scritti benjaminiani nei confronti dell'empatia tra soggetto e soggetto. Ricor­diamo ad esempio, per quel che riguarda il procedi­mento empatico connesso alla critica d'arte, l'esclusio­ne dell' Einfuhlung dalla "vera intuizione del bello": questa "non si dischiuderà mai alla cosiddetta "imme­desimazione", e solo imperfettamente alla più pura contemplazione dell'ingenuo" (Le Affinità elettive [1924-25], in AN, 2369). Ancora in Storia della lettera­tura e scienza della letteratura [1931], l'Einfuhlung vie­ne annoverata fra le sette teste dell'"idra dell'estetica scolastica": "Creatività, empatia, emancipazione dal tempo, ricreazione, partecipazione all'esperienza inte­riore altrui, illusione c godimento estetico" (AR, 137).

Questo rifiuto dell'empatia nel metodo della critica d'arte si connette all'esclusione del procedimento em­patico tanto nella produzione quanto nella ricezione dell'opera: è questo un importante punto di concor­danza con la drammaturgia non-aristotelica 10 di Bre-

estranea come qualunque oggetto della vita quotidiana visto~ micro~copio. [ ... ] È cambiato il modo di guardare, l'intera ottica. La tecmca ~.ell'mg_ran­dimento fa muovere l'irrigidito e fermare dò che è mosso.[ ... ] Lmtenz.tone soggettiva viene ra.pprese!ltatil come dissolve~~esi nell'ogget_to. [ ... ] n PC?· siero incalza la cosa, quast volesse trasformarsttn ,un tastar;.~ ~n fiutare, m un gustare. [ ... ] La riduzione della distanza dall ogge_tto ts~Itw~c.e nd ~an­tempo il rapporto con una prassi possibile, che in segutto gmdcra il penstero di Benjamin" (Pnsmi, ci t., pp. 245-46). .

9. Si veda, ndlo stesso saggio, la critica del Goethe dt Gundolf: ·.Invece di ftltrare, da un'idea come qudla di destino, il contenuto vero medtante la conoscenza, questo contenuto è rovinato dal sentimentalismo che- col suo fiuto- 's'immedesima' in essa" (AN, 203 ).

10. Il teatro brechtiano "si qualificava come teatro epico, e come tale si contrapponeva a qudlo drammatico nel senso più stretto, la eu~ teo~a ~ra stata formulata per la prima volta da Aristotele. Brecht presento qumdt la

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cht, là dove- come osserva lo stesso Benjamin, la pecu­liarità del suo teatro epico consiste nel fatto che "non si fa quasi appello alla facoltà di immedesimazione dello spettatore", e "anche l'attore deve rinunciare all'imme­desimazione" (OA, 130-31) 11 •

Ma non è solo nell'ambito della teoria dell'arte e del­la sua storia 12 che Benjamin scaglia i suoi strali contro l' Einfuhlung. Citiamo, introdotta da un esergo proprio brechtiano, la VII Tesi Sul concetto di storia, in cui il "Verfahren der Einfiihlung", il "procedimento di im­medesimazione emotiva", è caratterizzato come la cifra

sua teoria come 'non aristotelica'- come Riemann aveva fondato una geo­metria 'non euclidea'. Riemann aboll il postulato ddle parallele; ciò che è caduto in questa nuova teoria del teatro è la 'catarsi' aristotdica, la scarica degli affetti attraverso l'empatia, l'immedesimazione nd movimentato de­stino dell'eroe. Un destino che ha il movimento dell'onda, che trascina il pubblico con sé. (La famosa 'peripezia' è la cresta ddl'onda, che rotola ca­dendo in avanti, fino a esaurirsi). Per parte sua il teatro epico avanza a scos­se, e può essere quindi paragonato alle immag_ini della pellicola cinemato­grafica. La sua forma fondamentale è quella dello choc con cui le ben distac­cate situazioni singole del dramma si scontrano tra loro. I songs, le didasca­lie, le convenzioni gestuali degli attori staccano una situazione dall'altra. Si determinano così continui intervalli, che contrastano notevolmente all'illu­sione dd pubblico. Questi intervalli sono riservati alla sua presa di posizio· ne critica, alla sua riflessione. ( ... ]Talvolta il drammatico si accende come un lampo al magnesio alla fine di uno sviluppo apparentemente idillico" (I/ paese in cui non si può nominare il proletariato [A proposito della prima rap­presentazione di otto atti unici di Brecht, 1938]: AR, 185).

11. Si veda in generale la teoria dello straniamento (Vet/remdung] in Brecht (Scn.lli teatrali, tr. i t. di E. Castellani, Einaudi, Torino 1962), e il suo scritto ·critica dell'immedesimazione" t in scn·u; sulla lelleratura t sull'art t, tr. it. di B. Zagari, introd. di C. Cases, Einaudi, Torino 1975, pp. 153·54. Cfr. al riguardo F. Masini, Brecht e Benfamin. ScienlJl della letteratura ed erlne­neutica maten'alista, De Donato, Bari 1977.

12 "Come un malato che è sconvolto dalla febbre e che ridabora tutte le parole che riesce a percepire dentro le tumultuanti immagini dd delirio, lo spirito dd tempo s'impadronisce di tutte le testimonianze di mondi spiri­tuali passati e molto remoti per trarle a sé e per incorpora de senza amore nd suo fantasticare, che è prigioniero di se stesso. [ ... ]A questa deprecabile e patologica suggestionabilità, in virtù della quale lo storico cerca di scivolare, tramite 'sostituzione', al posto dell'artista, come se questi, precisamente per­ché l'ha fatta, fosse anche l'interprete della propria opera, è stato dato il no· me di Einfiihlung (entropatia}, dove la mera curiosità è esorcizzata e dissi­mulata sòtto il mantclluccio dd metodo" (DB, 34).

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distintiva della storiografia storicistica, contro cui in­sorge il materialista storico: "La sua origine è l'ignavia del cuore, l'acedia, che dispera di impadronirsi dell'im­magine storica autentica, che balena fugacemente". La natura della tristezza cui tale acedia dà luogo si chiari­sce "se ci si chiede con chi poi propriamente s'immede­simi lo storiografo dello storicismo. La risposta non può non essere: con il vincitore" (CS, 29, 31). Nei ma­teriali preparatori delle tesi un'annotazione precisa che "l'immedesimazione con ciò che è stato serve in ultima analisi alla sua attualizzazione". Ma tale attualizzazio­ne, a differenza della citazione, è "completa soppres­sione di tutto ciò che ricorda la destinazione originaria della storia come rammemorazione", è "falsa vitalità" che consiste nell'" espunzione dalla storia di ogni eco di 'lamento"' (CS, 99-100).

Ricordiamo infine la questione dell'Einfuhlung per la merce, defmita nel Passagenwerk una "immedesima­zione nel valore di scambio stesso" il cui virtuoso è il flaneur (PW, 582-83 ). Questa immedesimazione, come precisa Benjamin in una lettera ad Adorno del9.12.38, "si presenta come empatia con la materia inorganica" (L, 375) tipica del feticismo, che soggiace così al "sex­appeal dell'inorganico" (PW, 11).

4 STORIA DELL'ARTE

E STORIA DELLA PERCEZIONE

I:insufficienza del processo immedesimativo tipico dell'impostazione storicistica non è d'altronde l'unica pecca della storiografìa tradizionale. Se dalla storia tout court ci vogliamo in.particolare alla storia dell'arte, tro­viamo che per lungo tempo essa è stata soggetta a pre­giudizi di carattere classicistico che escludevano dal novero dei temi degni di essere indagati interi periodi artistici e determinate forme d'arte. A tali pregiudizi si sono opposti- osserva Benjamin sempre nel paragrafo 3, fondamentale nell'economia del saggio-, gli studiosi della Scuola di storia dell'arte di Vienna, e sopra tutti due dei suoi massimi rappresentanti: Franz Wickhoff e Alois Riegl. Nelle loro opere principali - rispettiva­mente la Wiener Genesis (studio del1895 dedicato a un celebre codice viennese miniato del Genesi, all'epoca ritenuto del IV secolo) e la Spiitromische Kunstinilu­strie, del 1901, volta allo studio dell'arte del periodo post-costantiniano e delle trasrnigrazioni "barbari­che"1- essi si oppongono innanzitutto alla teoria dei

l. La Wiener Genesù di Wickhoff (nato a Steyr ncl1853, morto a Vene­zia ncll909) è stata tradotta in italiano con il titolo di Arte romana [1895], tr. k di M. An ti, introd. di C. Anti, Le Tre Venezie, Padova 1947; dell'opera di Riegl (nato a Lmz nel1858, morto a Vienna nd 1905) abbiamo due versioni

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periodi di decadenza, guadagnando ad una approfon­dita considerazione storica un'epoca, quella appunto tardo-romana, convenzionalmente tacciata di imperfe­zione e di mancanza di originalità rispetto a quella gre­ca classica, delle cui opere si sarebbe limitata a fornire cop1e.

Ma Wickhoff e Riegl significano per Benjamin qual­cosa di più: questi storici gli forniscono gli strumenti per indagare un nodo problematico cruciale, il nesso fra la storicità dell'arte e la storicità della percezione­nesso che (come si è già accennato a proposito dell'e­sergo valéryano) costituisce il sigillo della prospettiva estetica del saggio sull'opera d'arte, là dove confluisco­no i due significati fondamentali del termine stesso di "estetica" intesa da un lato come teoria dell'aisthesis, come aisthesiologia e percettologia, come dottrina del­la conoscenza sensibile, dall'altro come teoria dell'arte. In tale prospettiva non risulterebbe forse eccessivo considerare Riegl e Wickhoff come i due numi tutelari del saggio.

"Nel giro di lunghi periodi storici - incomincia Benjamin -, insieme coi modi complessivi di esistenza [gesamte Daseinsweise] delle collettività umane [men­schlichen Kollektiva, société humaine; la I, 439 ha histo­rischen Kollektiva], si modificano anche i modi e i ge­neri della loro percezione" (III, 24); qui Benjamin espone la tesi generale della storicità della percezione, che procede a determinare così: "li modo in cui si orga­nizza la percezione sensoriale umana- il medium in cui essa ha luogo -, non è condizionato soltanto in senso naturale [natiirlich], ma anche storico [geschichtlich] ".

italiane: Arte. lardoromana, a c. di L. Collobi Ragghianti, Einaudi, Torino 1959, e Industria artistica tardoromana, t r. it. di B. Forlati Tamaroe M. T. Ron­ga Leoni, introd. di S. Bettini, Sansoni, Firenze 1953, che qui utili:z.z.iamo.

STORIA DELt:AI<TE E STOIUA DELLA PERCEZIONE 61

La condizionatezza naturale di cui parla Benjamin potrebbe venire interpretata in senso kantiano (o per lo meno nel senso di una declinazione psico-fìsiologica del kantismo): il mondo così come lo percepiamo- il mondo come fenomeno, come ciò che ci appare- di­pende dalla nostra struttura percettiva come dalla pro­pria condizione; e questa struttura è determinata per natura, secondo la nostra natura di uomini, diversa da quella di altri animali, di Dio o degli extra-terrestri; il corpo umano risulta costituire l'insieme delle forme a priori dell'intuizione sensibile.

A tale condizionatezza naturale si aggiunge una con­dizionatezza storica. Procedendo oltre Valéry e la sua cesura tra il modo in cui materia, spazio e tempo si pre­sentano nel Novecento tecnologico e il modo sempre uguale a se stesso in cui si presentavano nei secoli pre­cedenti, Benjamin estende il concetto della storicità della percezione a epoche anche molto lontane dalla contemporaneità: "L'epoca delle invasioni barbariche, durante la quale sorge l'industria artistica tardo-roma­na e la Genesi diVienna, possedeva non soltanto un'ar­te diversa da quella antica [la I, 439 ha: "da quella del­l' epoca classica"], ma anche un'altra percezione" (III, 24). Considerata la centralità di questo assunto per la concezione estetica di Benjarnin, è opportuno soffer­marsi qui sugli aspetti fondamentali delle ricerche di Wickhoff e di RiegF. ii

2. Per un primo approccio alla questione dei rapporti fra Benjamin e la Kunstwissemcha/t cfr .. W. Kemp, Walter Benjamin e la sdenxa estetica. 1: i rapporti Ira Benjamin e la Scuola Vi ennese [1973 ], t r. it. di C. Tommasi, in "aut aut", 189·190, 1982, pp. 216·33; saggio poi ridaborato dallo stesso Kemp in •Fembilder. Benjamin und die Kunstwissenschaft .. , in B. Lindner (Hrsg.), "Unkr hall< noch alles Iich zu enlriitseln ... ": Wa[ter Benjamin im Kontexl, Syndikat, Frankfurt a.M.!978, pp. 224·57. Si veda anche il bdsag· gio di E. Raimondi, "Benjamin, Riegl e la filologia" [1984], in u pietre del

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La Wiener Genesis di Wickhoff -lavoro che per al­tro condivide con il saggio sull'Opera d'arte la questio­ne dell'imitazione e della riproduzione degli originali­offriva innanzitutto a Benjamin una riflessione sulle differenti modalità della narrazione per immagini, che gli deve essere risultata particolarmente significativa, se consideriamo quanta attenzione- ad esempio nel sag­gio dell936 su Leskov, da Benjamin stesso accostato al saggio sull'opera d'arte proprio in riferimento alla per­dita dell'aura - egli avrebbe riservato alla questione della narratività. È nel primo capitolo che Wickhoff af­fronta il problema della narrazione figurale, convinto che primaria sia la questione della modalità tipicamen­te romana di raccontare tramite figure, profondamente diversa da quella greca. Per circoscriverne le caratteri­stiche, Wickhoff individua tre tipi o maniere narrative

della figurazione: . . l. maniera distintiva: "quella che sceglie smgole sce-

ne salienti, e le dispone una accanto all'altra, ognuna distinta da una incorniciatura"3; è il modo puramente ellenico, e anche quello che ci è divenuto più familiare, addirittura esclusivo, e corrisponde al dramma;

2. maniera continua: tipica delle ultime opere del­l'arte pagana e delle prime dell'arte cristi~na, compar~ tanto nelle miniature del codice della Wtener Genests quanto in Michelangelo. In un unico l?aesaggi?, .senza alcuna separazione, appaiono momenu.succ~slv1 dell.a storia narrata, e i personaggi vengono npetutl. Tale su­le narrativo non ha più nulla a che vedere con il modo ellenistico, è romano, e corrisponde alla prosa storica;

rogno. Il moderno dopo il rublime, il Mulino, Bologna 1985, ~P· 159-97; T.Y. Levin, Walter Benjamin an d the Theory o/ Art H utory, m October., 47, 1988, pp. 77-83; H. Caygill, Walter Ben;amin. The Colour o/ Expenence, Routledge, London-New York 1998, pp. 80-117.

3. F. Wickhoff, Arte romana, cit., p. 36.

STORIA DEL!: ARTE E STORIA DELLA PERCEZIONE 63

3. maniera integrativa: la più antica, la quale cerca di riprodurre tutto quel che di rilevante e pertinente è av­venuto prima e dopo l'azione narrata. Questo modo narrativo non è originariamente greco, bensì egizio e orientale, e corrisponde all'epopea.

Tale fenomenologia della narrazione figurale descri­ve in Arte romana tre differenti approcci alla trattazio­ne del nesso crono-topico nella figurazione orientale, greca e romana (è lo stesso decorso tripartito che pren­derà in considerazione Riegl qualche anno dopo in In­dustria artistica tardo romana). Ma - altro punto che non deve aver mancato di esercitare su Benjamin un certo fascino (pensiamo al parallelismo tra barocco ed espressionismo in DB, 35; e si veda il richiamo proprio alla Wiener Genesis in relazione all'espressionismo nei saggio su Kraus: AR, 116) - Wickhoff non manca di tracciare parallelismi con stili di altre epoche, non ulti­ma quella sua contemporanea, mostrando di concepire la categoria di stile in una certa ampiezza che esula dai ristretti limiti storiografici, nonché di essere attento alla dimensione dell'attualità. Così le teste appartenenti al periodo che va da Vespasiano a T raiano vengono acco­state ai ritratti di Velazquez e di Frans Hals, monumen­ti come l'arco di Tito o il foro di Traiano "ricordano opere moderne di Veneziani, Olandesi, Spagnoli e dei più recenti Francesi [scii. gli impressionisti4

], più c4e non ricordino le opere barocche del periodo ellenisti­co, quali l'altare di Pergamo o il Laocoonte, che pure

4. C. An~i. ricorda nella sua introduzione come Wickhoff, ·pittore egli stesso non d1 mfimo rango, aveva compreso e apprezzato l'impressionismo francese, estrema e più evidente manifestazione dell'illusionismo ndla se­conda ~età. dd secolo .XIX. H.su~ occhio, educato cosi a comprendere que­sta particolare espressione artistlca, la riconobbe e la apprezzò immediata­mente ndla pittura campana dd primo secolo d.C." (ivi, p. 15}.

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sono a loro tanto vicine nel tempo. [ ... ]fra questi rilievi statue e busti e le figure di Rubens, I-Ials e Velazquez non vi è solo una somiglianza; lo st~sso stile e gli ste~si mezzi artistici hanno prodotto quelli e queste. E lo stile illusionistico che ha avuto la sua prima altissima mani-

' . festazione nel secondo e terzo secolo d.C. per non n-trovarne altra prima del diciassettesimo secolo"5

A grandi affinità stilistiche che vanno oltre i limiti storiografici pensa Wickhoff quando accosta le decora­zioni illusionistiche giapponesi a quelle romane del II sec. d.C., oppure quando evoca nei suoi paragoni la pittura su vetro del XIII-XI sec., o l'uso alessandrino e pompeiana di decorare gli ambienti con motivi egiziani stilizzati, simile a "certe cose del tempo dei nostri non­ni, quando nei vecchi castelli si usarono per la prima volta motivi cinesi adattati proprio come quelli egiziani a Pompei, e nelle sale rococò ci viene nuovamente in­contro in adattamenti simili lo stesso stile egiziano. [ ... ]Ci piace pensare che l'occhio di Goethe possa es­sersi posato su questi resti pompeiani, provandone gioia "6•

Ad una considerazione piuttosto spregiudicata delle parentele stilistiche e dell'attualità si ut;-isce in Wickhoff un'attenzione assai significativa per 1 moder­ni mezzi di comunicazione di- massa, che sono visti in continuità con gli antichi metodi di diffusione delle informazioni relative all'imperatore: "In modo identi­co oggi i giornali illustrati di tutta Europa presentano instacabilmente, di settimana in settimana, in esaurien­ti silografìe, la benevola apparizione dei monarchi in cerimonie militari o civili.[ ... ] Ciò è possibile oggi per

5.lvi, p. 40; c.vo mio. 6. lvi, p. 165.

STORIA DEL!: ARTE E STORIA DELLA PERCEZIONE 65 il diffondersi della fotografia, per il perfezionamento sempre crescente dei mezzi di riproduzione, che divul­gano immediatamente e dappertutto i ritratti di perso-naggi importanti"7• ·

Ma dallo scarso valore artistico che Wickhoff attri­buisce alle copie rispetto agli originali si può dedurre una concezione certamente auratica dell'arte che deve avergli suggerito una certa diffidenza per i mezzi anti­chi e moderni di riproduzione, ad esempio là dove stig­matizza "il copiare in massa" come un "isterilirsi della fantasia artistica"- anche se riconosce che solo grazie a queste copie possiamo avere un'idea di quelli che furo­no i capolavori della cultura greca; o là dove contrap­pone l'eterna monumentalità delle antiche immagini all'"effimero settimanale illustrato"; o ancora là dove afferma che "le opere d'arte illusionistica di prim' ordi­ne si svelano solo ad una cerchia ristretta, poiché pos­sono essere godute soltanto nell'originale, essendone le riproduzioni del tutto insufficienti. In esse, infatti, ciò che conta non è la composizione, o per lo meno non in modo preminente, ma la lotta dell'artista con i valori dei colori, con le ombre e con la luce, lotta che crea ap­punto l'indescrivibile e specialissimo gioco che non può essere imitato. Chi copia, infatti, non può penetra­re nel corpo e nell'anima dell'artista per ripetere con eguale vivacità i colpi di spada che si susseguono come lampi, con i quali egli ha domato la natura"8; o infin~ là dove ammette la possibilità che vi sia arte solo nelle creazioni originali dei grandi maestri, i soli capaci di comprendere sempre più profondamente la natura.

Se questa svalutazione wickhoffiana del momento

7. lvi, p.136. 8. lvi, pp. 88·89.

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copiativo appare molto lontana dal Benjamin cantore della forza rivoluzionaria della riproduzione (non da quello, altrettanto innegabile, della nostalgia per il mo­mento aura ti co dell'arte), vicina deve certamente esse­re ristÙtata a Benjamin la sua concezione non lineare­progressiva e critica nei confronti del modello ascesa­decadenza dello sviluppo storico-artistico degli stili, concezione improntata al rifiuto del "concetto general­mente imperante di una decadenza dell'arte nel perìo­do imperiale romano" che ostacola la ricerca storica come un "ingombrante pregiudizio"9.

Nello studio di tale intricata processualità dell'arte certamente l'impostazione wickhoffiana è "formalisti­ca" ("anticonografica", come la definisce An ti nella prefazione), nel senso dell'identificazione purovisibili­stica dell'artistico con il modo di presentarsi di forma e colore nel piano e nello tpazio, e per questo incorrerà­come vedremo - nel rimprovero benjaminiano: "Chi non sa affrontare l'arte direttamente, in periodi di raffi­nata gioia artistica quale è l'epoca imperiale romana, scorgerà sempre e solo una bruttura di continue ripeti­zioni, perché alla sua solita domanda sul 'che cosa', nel nostro caso il mito e la poesia, rispondono viete com­posizioni, che egli apprezza per le invenzioni greche in esse conservate, mentre di solito gli sfugge ciò che è ve­ramente artistico e che sta solo nel 'come' "10•

Ma vicina all'approccio benjaminiano è l'attenzione riservata da Wickhoff al problema della fruizione eri­cezione di questo "come", di questo contrassegno for­male: si veda la contrapposizione tra il modo di rendere le immagini proprio dello "stilista" e del "naturalista"

9. lvi, p. 84. lO. lvi, pp. 89-90.

STOIUA DELL'ARTE E !>"TOIUA DELLA PERCEZIONE 67

da. un lato (i rappresentanti di quello che in Wolfflin si chramerebbe lo stile "lineare"' affidato alla linea di ~ontorno ~om_e alla propria guida), che "curano fino al­l estrema rifinitu~a la forma, che poi l'osservatore legge come qualcosa di estraneo a lui" a quello dell'"ill ·

. " dall'al ' US!O-n~st_a . tr? (che pratica, sempre nei termini wolf-flmram, uno st~e "pittorico", giocato sulle macchie di colore e stÙ chiaroscuro), che invece costringe l'osser­vat~~e a c?llaborare spiritualmente alla costruzione d_ellrmmag~e. Tale collaborazione si basa su una indu­~lone nel fr_wtore di processi fisiologici analoghi a quel­h eh~ p~ested~ttero all'atto visivo dell'autore, su una specr_e dJ pratrca attiva di integrazione di macchie e punti cromatici e luminosi in figure compiute che si c_ontrappon_e a quella della passiva ricezione della silhouette lineare e che si potrebbe descrivere come una sorta _di mimesis corporea, ben differente da "una vuota copra della natura".

Questa attività integrativa richiesta dal fruitore com~letam~nto dell'esperienza dell'immagine si arti~ cola 111 un mtervento delle "immagini mnemoniche" sulla b~se delle quali il soggetto riempie le lacune dell~ per~eziO_ne attuale, e negli effetti cromatici legati alle le~gt otttc;he fisiologiche, ad esempio di quelle proprie det col_on complementari, e che rende illusionistica­~~nte ~ ~odo di apparire delle cose in maniera molto ptu realistJca e molto meno artificiale dello stil !in ii

1 . C eeare-p a~t~co. . e~~· Wickhoff è consapevole che quegli ef-fetti ill~stomstrci si ottengono solo a patto che l' osser­vatore SI ponga "alla giusta distanza".

Ora, posta. q~esta sostanziale differenza fra stile li­near~-naturalistrco e stile pittorico-illusionistico, poli che st alternano vicendevolmente nei secoli, qual è la causa del loro mutare? Ad una prima considerazione

'

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68 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

Wickhoff sembra rispondere a quest~ deli~ata d_om~~­da (delicata poiché investe il cuore di .og~I teo~Ia s~.ill­stica che, come quella" di Wickh~ff, di ~egl, eli "?'ol.f~ flin, aspiri a ricercare le leggi del! ~voluziOne ~eg~ stil~ artistici- ma delicata anche per chi, c~m~ ~enJamu:, ~~ pone nell'ottica di una storicità degli stili. percettl;l) con la teoria della "stanchezza" e della re~~IOne a un a­bitudine divenuta fiacca, teoria che era gia stata avan~

d Adolf Goller nel suo Zur Aesthetzk der Archt-~a a d'E ·~ tektur del1887' in cui tramite il conc~tto l . :n~u ung (affaticamento) si descriveva l'evoluziOne stilisti ca co­me susseguirsi di reazioni a forme che, dopo :ssere s~a­te dominanti per un certo tempo, perdono·cli· attra~uva e vengono sostituite con altre nuove, capaci. di susc:ta~e curiosità e sorpresa nel fruitore. Trac.ce di un~ Sl~ e concezione- contro cui ebbe a pol.eml~zare W ?lfflin­si possono riconoscere nel testo d.l Wlcl0.of!, il quale mostra di concepire la trasformaziOne st~stlca ~econ­do un principio non dissimile da. quello del colon com­plementari, secondo cui non SI possono .non ve.d_;re macchie verdi se si fissa per lungo t~po .il r:'sso. Se [ ... ]si resta consapevoli che nell'art;e l penod! segu~n? ai periodi, secondo le leggi fisiol?glche che li determi­nano così che di solito all'esaltazione subentra per rea­zio n; la calma, allora si potrà capire come una gell;era­zione, saziatasi alla vista del Laocoonte, potes~e poi gu­stare gli stantii rilievi eli lusso, e anch~ nella p~ttura!~~ tesse rallegrarsi solo per qualcosa di tranquillarn

"11 . commosso . . d ll' E ..

Va rilevato, a integrazione della teona e rm~-

d l Wl.ckhoff non manca di ammettere - alli­ung, c le l' .. d l

neandosi a una consuetudine diffusa fra g l storiCI e -

Il. lvi, p. 170 (c. vi miei). Si vedano anche argomentazioni simili alle pp.

95 e 140.

STORIA DELL'A mc E STORIA DELLA PERCEZIONE 69

l'arte suoi contemporanei -l'azione sugli stili delle dif­ferenze etniche e climatiche, né trascura, ciò che è più pregnante per il discorso benjaminiano, il ruolo svolto dalle innovazioni tecniche e procedurali: "Ora, al prin­cipio del primo secolo a.C., che cosa aveva reso possi­bile che la pittùra, la quale finora non aveva avuto favo­re come decorazione usuale di stanze, venisse invece impiegata quasi esclusivamente per tale scopo? [. .. ]La causa può essere stata solo l'invenzione di un nuovo procedimento, che rendeva più rapida e quindi più economica l'esecuzione delle pitture" 12

, cioè la tecnica dell'affresco, molto più veloce dd precedente procedi-mento ad encausto. \

Questa attenzione per la tecnica, unita a quella per le prassi anonime della Kunstindustrie, sembra un por­tato semperiano, che viene addirittura sviluppato in di­rezione di un influsso inconsapevole sull'in1maginario figurativo dell'artista: "Si potrebbe supporre che abbia esercitato un influsso involontario sull'elaborazione delle forme la consuetudine dell'artista con tal uni pro­cedimenti tecnici della glittica e della toreutica"IJ.

Come già accennato, la fenomenologia che Wickhoff fornisce della narrazione per immagini riguarda nella sua tripartizione gli stessi periodi che nel 1901 Alois Riegl avrebbe preso in considerazione nella sua Indu-

il

12. lvi, p. 160. 13. lvi, p. 55. L'ipotesi di un'incidenza della tecnica sull'inconscio ottico

non solo del produttore, ma anche del fruitore appare chiaramente ammes­sa da questo passo: •rusulta evidente una differenza fondamentale fra arte antica e arte modèrna. Nd quindicesimo secolo l'arte moderna era passata attraverso un procedimento scientifico [scil. la prospettiva], dal quale trae nutrimento ancor oggi. I princìpi allora scoperti influiscono tuttora sull'os~ servatore moderno, senza che ne sia consapevole ed egli alza gli occhi sor· preso soltanto se la sua sensibilità così educata è ferita da un'offesa grossola· na a tali principi" (i vi, pp. 132-33 ).

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70 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

stria artistica tardoromana;, orientale (egizio, greco, tar­do-romano). Wickhoff anticipa quello che sarà il Leit­motiv dell'argomentazione riegliana, e cioè c~ e il modo antico di rappresentare "nel dipingere sul ptan~, non aveva mirato ad altro che ad escludere la terza dtmen­sione"14; questo principio- che tuttavia per Wickhoff vale in pittura solo fino ad Apelle, ~ioè fmo ~l IV sec.a.C.- viene esteso da Riegl alla stona delle art! spa­ziali nel loro complesso. . .

L'indagine di tali arti che Riegl conduce nel su?,! scritti sembra avere esercitato un'influenza anche p!u profonda di quella di Wickhoff nell'insiem,e deU'oper_a benjaminiana. Scholcm, nella Stona dt un amtctzta, n­corda: "Dato che non me ne interessavo, parlammo ~s­sai poco di teoria estetica; rammento solo due eccezio­ni e cioè la sua convinzione, cui rimase fedele per tutta la 'vita, dell'importanza dell'opera di Alois Riegl, Arte tardo-romana, e la sua predilezione per la Vorschule der Asthetik [Propedeu~ica ~el!' estetica] di J ca~ Pa~;,chc lesse in occasione del suo! studt sul romanticismo ·

Nella Berliner Chronik (frammento iniziato nel 1932, in parte rielaborato in Infanzia ~erlz:nese, c come questa dedicato al figlio Stefan~ ~enJai_Dm rammenta come, nel periodo intorno ai pnn11 ~ru della Grande Guerra, avesse incominciato a scopnre, suUo sfond? del mondo degli uomini, il mondo delle cose. In parti­colare nella casa di un antiquario berlinese, scovato dal suo compagno di scuola A!fred Cohn, egli si ab?~nd~­nava alla rapita contemplazione di fibbie e mo?ili prei­storici e longobardi, di collane tardoromanc, di mon_ete medievali, di pcndagli, scudi e bracciali, "sotto l'1m-

14. lvi, pp.ll6-17. . . , .. . ) . 15. G. Scholcm, Walter Benjamin. Storta. dt ~n amraz.ta (1975 , tr. It. e

note di E. Castellani e C.A. Bona dies, Adelphi, Milano 1992, P· 110.

STORIA DELL'ARrE E STORIA DELLA PERCEZIONE 71

pressione dell'Industria artistica tardo romana di Alois Ricgl, che avevo appena studiato" (GS VI, 492).

Quanto durevole sia stata tale impressione è dimo­strato dalla presenza costante di Riegl per tutto l'arco dell'opera bcnjaminiana, dai riferimenti contenuti nel Dramma barocco tedesco a quelli presenti nell'ultimo scritto pubblicato da Benjamin in vita, la recensione del1940 a Le Regard, una raccolta di saggi di Georgcs Salles, all'epoca sovraintendcnte del Louvre (CR, 339-42). il Dramma barocco- oltre che rimandare all'opera ricgliana Die Entstehung der Barockkumt in Rom, che viene citata nella seconda edizione, Wien 1923 - impie­ga nella "Premessa gnoseologica" il celebre concetto riegliano di Kunstwollen (volontà d'arte o volere arti­stico) a proposito di un significativo parallelismo tra espressionismo e barocco16.

.Ora, il concetto di Kunstwollen, dal "profetico" Rie­gP7 più usato operativamente che esattamente definito, indica una fondamentale correlazione tra l'ambito for­male, il modo di intuizione dello spazio, la specificità

16. ·come l'espressionismo, il barocco è un 'epoca meno contrassegnata dal vero e proprio esercizio dell'arte che non da un incontenibile volere arti­stico [Kunstwollen]. E così è sempre nelle cosiddette epoche di decadenza. [. .. ]Per questo Riegl scoprì questo tennine proprio nell'arte tarda dell'im­pero romano. Accessibile al 'volere artistico' è soltanto la forma toul court, mai l'opera singola, totalmente plasmata" (DB, 35).

17. È in Libri chesono rimasti dlluali [ 1929] che Benjamin parla di Indu. stda artisticalardoromana in termini di "profezia": "È un'opera di i~por­tanza storica, che con profeti ca sicurezza ha accostato la sensibilità stilistica e le intuizioni di quell'espressionismo che sarebbe sono di lì a vent'anni ai monumenti del periodo tardo imperiale, ha voltato le spalle alla teoria dei 'tempi di decadenza', e in qudla che prima di essa era stata definita una 'ri­caduta nella barbarie' ha riconosciuto un nuovo senso dello spazio, una nuova volQntà artistica. Nello stesso tempo questo libro è una delle più con­vincenti prove dd fatto che ogni scoperta scientifica rappresenta automati­camente una rivoluzione del metodo, anche se non pretende di esserlo. Di fatto negli ultimi decenni non è uscito nessun libro di storia dell'arte che sia stato ugualmente fecondo dal punto di vista del contenuto e da quello dd metodo" (CR, 105-06; anche in OC, 335·36).

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72 PICCOLA STOR1A DELLA LONTANANZA

antropologica e la determinazione epocale. A questi quattro fattori rimanda infatti una delle esposizioni meno equivoche del concetto: "L'umanità in diversi tempi, in diversa maniera, voleva vedere rappresentate davanti agli occhi le immagini sensibili secondo il con­torno e il colore nel piano e nello spazio" 18. Sviluppan­do suggestioni schopenhaueriane e purovisibilistiche, e ponendosi in contrasto con la teoria dell'arte come po­tere (Konnen) difesa dagli epigoni eli Gottfried Semper, Riegl pensa al Kunstwollen come a una risposta ai più profondi bisogni esistenziali di un'wnanità in ur:a certa epoca. Perciò quel volere non deve essere evidente­mente inteso nel senso di una volontà individuale, ben­sì eli una volontà anonima, scaturente da una comunità, da un senso comune. Per questo stesso motivo è insen­sato parlare eli" decadenze": ogni stile è per così di~e al­l'altezza eli se stesso e dci compiti che gli sono posti dal­la comunità e dall'epoca in cui è "voluto".

Del Kunstwollen, proprio a causa di una certa inde­terminatezza in cui Riegllasciò il concetto, si sono avvi­cendate interpretazioni molto divergenti, se non oppo­ste quali quella psicologica di Wilhelm Worringer ~ quella trascendentale di Erwin Panofskyl9

• Ma, consi­derando l'insistenza con cui Riegl sottolinea il nesso es­senziale fra espressione artistica e intuizione sensibile, sembra ben fondata l'interpretazione eli Dittman se-

18. A. Riegl, Industria artistica tardorom~na, ci t., p.}~. . . I9. W. Worringer, Astrazione ed empalta [1907), tr. tt. dt.E. De Angdt!

introd. diJ. Nigro Covre, Einaudi, Torino 1975; E. Panofsky, }l concetto d1 Kunstwollen" [1920], in Lo prospettiua come "forma simbolrca t alt n scntlt, tr. it. di E. Filippini, introd. di G.D. Neri,Fdt;inclli, Milano 1988, pp. 157: 77. Quest'ultimo deve ammettere che ~~l .~nceptva.an~ora.pc:r mo_lu versi psicologisticamente sia il volere aru:uco s1a 1 concetti. muantt a defimr~ lo[ ... ]; data la sua posizione storica, egh non era ancora Ut grado, per cosl dire, di rendersi perfettamente conto di aver fondato una filosofia trascen· dentale dcll'arte" (ivi, p. 177, n. 18).

STORIA DELL'A mE E STORIA DELLA PEHCEZfONE 73 condo cui "il Kunstwollen come 'principio obiettivo d~ll~ spieg~zione dello stile' non è altro che la polarità, dispiegata 111 uno sviluppo, delle possibilità psicologi­co-percettive dell'uomo"2o.

Quali sono queste possibilità? Fondamentalmente quella tattile e quella ottica. Richiamandosi alle due modalità percettive descritte da Adolf von Hildebrand nel suo Il problema della /orma (1893 ), Riegl storicizza lo schema hildebrandiano, proponendo una filosofia della storia dell'arte che è al tempo stesso una filosofia della storia dell'estetica, cioè del rapporto estesico tra uomo e mondo, mediato dallo stile.

Hildebrand, appoggiandosi sull'ottica helmholtzia­na, aveva infatti distinto una visione ravvicinata, corre­lata ad un'immagine vicina [NahebiMJ e una visione a distanza, correlata ad un'immagine lo;tana [FernbildJ: nel prin1o caso, "avvicinandosi sempre di più all'ogget­to, lo spettatore avrà maggior bisogno di movimenti e l:a?p.arenza.t~tale si dividerà in tante apparenze parzia­li, 111 unmag1111 separate. [. .. ] Si può dire che egli ha tra­sformato il vedere in un reale toccare".21 Nel secondo caso, l'occhio non procede più palpando progressiva­mente l'oggetto, ma lo coglie in un atto percettivo si­multaneo e globale, come un intero: "L'immagine lonta­na consiste proprio in un effetto d'insieme"22 sul piano.

Tale duplice modalità eli apprensione "non si deve necessariamente produrre con due organi separati/ il corpo che tasta, l'occhio che vede, ma deve trovarsi già

20. L. Dittman, Sti4 Symbo4 Struktur. Studien zu K4tegorien der Kunsl· geschtchte, Fink, Miinchen 1967, p. 35.

21. A. vo~ Hild,ebrand, Il problema della /orma [1893], ed. i t. a c. di S. Samek Lodovtct, D Anna, Messina· Firenze 1949, p. }9. Su Hildebrand e in generai~ sul :osiddctto "purovisibilismo" cfr. F. Scrivano, Lo spat.io ~ 1~ for­me. Bast tronche _del vedere contemporaneo, Alinea, Firenze 1996.

22. A. von Hildebrand, Il problema della/orma, cit., p. 47.

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• 74

PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

riunita ncll'occhio"23 : la tattilità di Hildebrand non è pertanto quella propria della mano o del corpo pro­prio, ma si configura purovisibilisticamente come. u~~ operatività possibile dell'occhio stess?, che per di p~u viene normativamentc svalutata, costituendo per I-lil­debrand la sola visione lontana un accesso alla vera ar-

tisticità. Riegl tiene ferma l'intuizione .hil~e?randian~ ~el

nesso fra espressione artistica e mtuizionc sensibile, che troviamo così esposta nel Problema della forma: "La configurazione artistica non può prodursi che co­mc un ulteriore sviluppo della capacità di cogliere lo spazio, la cui base sta già nella nostra facoltà eli vedere c di toccare" 24 • Lamenta però che Hildebrand avesse "stabilito una legge fissa, vietando la possibilità eli una

"25 . . evoluzione all'interno della stessa , e mette m movi-mento la coppia immagine vicina-immagine lontana, traduccndola in una filosofia della storia dell'arte che procede dall'immagine vicina all'~m.aginc lo~tan~. Egli può così sudd_ividere !'.arte ~Uc~ m ~na tn~ar;~­zione basata propno sulla elialetttca eli tattile e otuco .

La prima fase, corrispondente all'arte egi~ia, è carat­terizzata da un "grande rigore della concezwne pura­mente sensibile (possibilmente oggettiva) dell'in~vi­dualità corporea delle cose e in conseguenza masstmo adeguamento del fenomeno corporeo al piano. Questo

23. lvi, p. 31. 24. Ibidem. ddl. " [ 9011 . .,.. . 25. A. Riegl, "Opere della natura e ?pere .'ar:e J. , m Jeona e

prassi della comervo:done dei monumentt, antolog1a di scnttt1898-1905, a c.

di S. Se arrocchi a, Clueb, Bologna 1995, p. 152. . . . . 26. Ho cercato eli render conto di questa st~ncizzaZJone d_elle c~tego~te

hildebrandiane in Il corpo dello stile. Storia del/ arte come stona del/ estelt~a in Semper, Riegl, Wo/ff/in, Aesthetica, Palermo 1998. A quest.o lavoro (t~ part. alle pp. 187-88) mi permetto di rinviare per un cenno su1 rapportt d1 Benjamin con Wolfflin.

STORIA DELt:ARTE E STORIA DELLA PERCEZIONE 75

piano non è il piano ottico che l'occhio ci simula a una certa ~istanza dalle cose, ma il piano tattile, quale ci suggenscono le percezioni del tatto"27 • Questa immagi­ne tattile è correlata a una visione da vicino [Niihsicht], che_ non coglie né scorci né ombre, che potrebbero sug­g~me un effetto di tridimensionalità. Esempio di tale ptano tattilc è offerto, nell' archltettura, dalla piramide, · vera e propria "unità tattile": "Da qualsiasi dei quattro lati si ponga l'osservatore, il suo occhio scopre conti­nuamente solo il piano unitario del triangolo equilatero i cui lati tagliati netti non si richiamano in nessuna par-. te alla chiusura in profondità che sta dietro"2B.

La seconda fase, rappresentata dall'arte classica gre­ca, è caratterizzata secondo Riegl da una visione normale [Normalsicht] o tattile-ottica, cioè una visione interme­dia tra la visione da vicino e quella da lontano.ln questo caso "accanto a scorci possono anche apparire ombre, ma soltanto mezze ombre che non interrompano come le ombre la continuità tattile della superficie"29. n tem­pio greco fornisce l'esempio archltettonico paracligma­tico eli tale appercezione spaziale: "La visione del tem­pio greco si ottiene da quella lontananza moderata che corrisponde alla visione normale, in cui la chlarezza tat­tile del dettaglio e il colpo d' occhlo ottico sull'insieme riescono a valorizzarsi in ugual misura"l0

La terza fase perviene finalmente alla visione d4 lon­tano [Fernsicht] o ottico-cromatica, tipica dell'arte tar­doromana: qui il "piano non è ormai più quello tattile, perché è interrotto da profonde ombre; piuttosto esso è ottico-cromatico su cui gli aggetti ci appaiono in !onta-

27. A. Riegl, lndustn·a artistica tardoromana, ci t., p. 29. 28. lvi, p. 33. 29. lvi, p. 31. 30. lvi, p. 35.

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76 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

nanza e su cui essi anche si confondono con i loro con­tomi"31, ottenendo una resa "impressionistica". Tra gli esempi architettonici si possono citare la basilica cristia­na e gli edifici a pianta centrale, come il Pantheon, in cui "al posto della superficie assolutamente calma dell'idea­le artistico egiziano subentra la curva inquieta che cerca profondità"32. ·

Il progetto, dichiarato da Riegl nell'Introduzione, di individuare "le leggi fondamentali dello sviluppo del­l'industria d'arte tardoromana" si apre quindi ad un'i­potesi di sviluppo estestico-artistico dell'arte a~tica n~l suo complesso, che va incontro ad una progressiva ott.1: cizzazione della percezione (secondo uno schema g1a anticipato da Herder33).

Tale otticizzazione significa al contempo una sogget· tivizzazione e un incremento di espressione patemica. Nel paradigma percettologico riegliano è infatti il tatto e non l'occhio, ad assicurare l'oggettività delle cose: "L'organo dei sensi che noi ~doperiamo di gran lung~ più spesso per prender nozwne delle cose esterne e l'occhio. Questo organo però ci mostra le :os~ ~ura­mente come superfici colorate e non come ~dividu~­lità materiali impenetrabili; appunto la perceziOne ott!· ca è quella che ci fa app~rire le .cose del.mondo esterno in una mescolanza caotica. No! possediamo solo attra­verso il tatto sicure nozioni della chiusa unità indivi­duale delle singole cose", dal momento che l'occhio ci

rfi . l ")4 mostra solo "le cose come supe c1 co ora te .

3 !.lvi, p. 32. 32.M,p.3L f dl . 33. "'La natura procede con ogni singolo uomo come essa a n a spe~te

intera, dal tatto alla vista, dalla plastica alla pittura" Q.G. Herder, Plasttca [1778],<d. it. a c. di G. Maragliano, Aesth<tica, Palerm_o 1994, p. 86) .. Cfr. al riguardo E.H. Gombrich, Arte e illusione [1959], tr. lt. dt R. Fedenct, Et·

n audi, Torino 1965, p. 22. . 34. A. Riegl, IndUJtn'a artistica tardoromana, ctt., p. 25.

STOIUA DELL'ARrE E STORIA DELLA PERCEZIONE 77

Lo schema binario di tattile/aptico35 e ottico viene da Riegl messo in relazione con la sfera delle Weltan­schauungen: "Gli antichi popoli orientali avevano la chiara tendenza a persistere nella loro concezione stret­tamente tattile-oggettiva del mondo sensibile. Al con­trario i Greci ebbero (e verosimilmente tutti i popoli indogermanici) in origine un diverso concetto del com­~ito dell'arte figurativa, indirizzata non a una compren­sione tattile della individualità corporea in una visione da vicino, ma a una concezione sostanzialmente ottica c a una visione a distanza c perciò anche molto più sog-

tt . "36 N ll' d " I h ge 1va . e arte mo erna, c 1e a per oggetto la rappresentazione degli individui corporei nel libero spazio infinito e mediante lo spazio, i compiti sono di­visi in modo uguale tra popoli romanzi e germanici: i primi in generale si pongono con unilaterale preferenza il problema tattile, i secondi quello ottico "l1.

Il connettere le modalità estetico-artistiche della percezione alla questione più complessiva della "visio­ne ~e! mondo" risponde del resto a quell'esigenza, esplicitamente espressa da Riegl, di comprensione glo­bale e (oggi diremmo) interdisciplinare del fenomeno culturale: "L'uomo non è solo un essere che percepisce con i sensi (passivo) ma anche un essere che vuole (atti­vo) e che perciò vuole spiegare il mondo come desidera che gli appaia, nel modo più aperto e dipendente dalla sua volontà (mutevole secondo il popolo, il luogo e il

a 3~~ Nd~a I e?. ~i lndus~n4 ar~ist1~a tardoromana Riegl impiega il termine takul , poi sostitUito con hapt!Sch (tangibile, dal gr<eoi:rm:òç).

J6. lvi, p. 3 l, n. l. 37: I~i1em. Benjamin ripeterà questa distinzione quasi aUa lettera: ·Nei

popoh d1lingua romanza l'affinamento ddle facoltà sensoriali non riduce l'energia del_contatto sensibile. Nei tedeschi l'affinamento e la crescente cul­tura, dd godunento dci sensi vengono pagati in genere con una diminuzione dell arte del contattoj la capacità di godimento perde qui in spessore ciò che guadagna in ddicatezza" (PW, 429).

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7 8 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

tempo). Il carattere eli questa volontà è chiuso in qucll~ che noi abbiamo chiamato oggi la 'Weltanschauung del momento corrente (eli nuovo nel più ampio se.nso della parola): nella religione, nella filosofia,. nella scien­za, anche nello stato c nel diritto, dove eli regola una delle dette forme di espressione generalmente sovrasta

l al ")8 c tre · Id li ili.

Ora, la caratterizzazione proposta da Ricg .eg st. principali dell'arte antica tramite delle cate~~nc es.tetl­chc radicate nella corporeità vivente qual! il tattile e l'ottico ha sconcertato non poco alcuni interpreti, che si sono preoccupati di ridimensionare il ruolo svolto dalle strutture percettive, vuoi spiritualizzandolo come Sedlmayrl9 , vuoi artisticizzandolo come Révész

4•0

(del resto proprio come aveva già f.att.o ~an~fsky ne.! co~­fronti eli Wolfflin, i cui concetti eli stile lineare ~asci: mentale e di stile pittorico barocco sono caratterizzati

38. A. Riegl, Industn'a artistica tardoroman_a, cit.,y. 3~6. . . , 'ili 39. "Quando egli [i. e. RiegiJ parla di co":s1dera~one r~vytcm?ta } U·

sionistica' intende sempre riferirsi a queglt atteggtament.l m pnn~~ u?go spiritualì [geistig]. La stessa cosa vale prindpalme_nte .Pe.r 1 C,?ncettl o.tuc~­tattile'" (H. Sedlmayr, "La quintessenza delle teorte d t Riegl [1929], tn A · te e verità, t r. i t. di F. Paolo Fiore, Ruscom, Mila":o 1984, ~· d5_1). . il

40. Révész sostiene che Riegl non intende 1 concetti 1 ?tu.co e tatt_ e "nel loro senso originario": essi non indicano "concrete fU:nZIOnl ve~cetuve 0

concreti contenuti percettivi, bensì princìpi della p~o?illlone artls.uca e:~ te iamenti dell'uomo che contempla esteticamente ; o.ra questi c~:mc ti ~crdono il loro senso psicologico. e diven~o.no ,co0nc~ttd·autono:;u ~~~ scienza dell'arte e della contemplaz.tone artistica . um l, quan o qv parlava di un'arte aptica 0 tattile, "non intendeva assolutam~te c~e la pras· si artistica nei primi periodi dell'antichità fosse stata domrnata a qu.esta funzione sensoriale. Con aptico lliegl non intend~a dun9ue la p~rceZione aptica, bensì il'vedere aptico'. Non si tratta~a p;r l m del ~r;dto di u;p"'Jdr z.ione biologica- prima dell'aptica, poi dell ottica- bens~. u~ mo l a visione artistica e del comportamento estetico. Entr~mblt.n:odi df vede}e artistico appartengono all'ambito della nostra funz1one :nsava, so o. con a differenza che facciamo emergere proprietà della cosa tal! che nel pruno dd so giungono ad essere percepite particolarmente (o anc~e) ~er me:u;o. , senso tattile, nel secondo caso quasi esdusivame~te tramate senso vtSlVO

(G. Révész. Die Formenwelt d es Tastsinnes, M. Ntjhoff, Den Haag 1938, vol.

Il, pp. 76·78).

STORIA DCLL'ARJC C STORJA OCLLA PERCEZIONE 79

proprio in termini, rispettivamente, di tattilità e otticità41

).

Ben diversamente interpreta Benjamin, nel momen­to in cui- come abbiamo visto- sostiene, appoggian­dosi a Wickhoff e a Riegl, che "l'epoca delle invasioni barbariche[ ... ] possedeva non soltanto un'arte diversa da quella antica, ina anche un'altra percezione" (III, 24). Questa radicale lettura percettologica dei testi dc­gli storici vicnnesi ammette una correlazione fra i diffe­renti stili perccttivi, gli stili artistici e il concetto stesso eli natura, la quale di volta in volta si dà a vedere- divie­ne fenomeno- in modo diverso in relazione alle moda­lità percettive vigenti. Anche il concetto eli natura viene così a pluralizzarsi nella molteplice "stilizzazione" per­cettiva e artistica, cioè si storicizza. A questo riguardo, Hauser ha osservato come per Riegl "nemmeno lana­tura rappresenta qualcosa di costante e coerente. [. .. ] 'Ogni stile', egli dice, 'mira appunto ad una fedele ri­produzione della natura e non ad altro; ma ognuno ha il suo proprio concetto di natura'. Con ciò anche la natu­ra assume un carattere storico [ ... ] . È dunque privo eli senso parlare eli stili fedeli e eli stili infedeli alla natura;

41. Si veda già il saggio anti·wolffliniano del1915, in cui Panofsky la· menta che WOUflin prende •alla lettera un modo di dire che ha un senso fi. gurato: pensa cioè che un'arte, la quale interpreta i dati della visione in un senso lineare o pittorico, veda in modo lineare o pittorico; e- in quanço non si accorge che, così usato, questo modo di dire non designa. più affaito un processo propriamente ottico bensì un processo psichico- assegna alla vi­sione artistico· produttiva quel posto che spetta alla visione naturale ricetti· va, un posto che sta al di qua della facoltà espressiva" (E. Panofsky, ·n pro· blema deUo stile nell~ arti figurative", in LA prorpelliva come •jonna simboli­ca", cit., p. 150). Dd resto, nella prefazione alla prima edizione dei suoi Con· cetti /ond.zmentali del/4 storia dell'arte, Wolfflin loda Riegl proprio per la coppia haptisch·optisch (Kunstgeschichtliche Grundbegriffe, Bruckmann, Miinchen 1915, Vorwort, p. V!). Cfr. su questi problemi P. Spinicci, Ilpa/4z. xo di Atlante. Contributi per una fenomenologia dala rappresentav'one prrr spettica, Guerini, Milano 1997, pp. 221·22.

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80 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

perché il problema non è se si è più o meno fedeli alla natura, ma che concetto ci si fa eli essa. Nella storia del­l' arte non si tratta dei diversi gradi della riproduzione della natura, ma dei diversi concetti della naturalez­za "42.

In effetti, la scomparsa del concetto di natura in sé nella riflessione riegliana era già stata caratterizzata in termini eli "rivoluzione copernicana" à la Kant da Pa­nofsky nel suo Idea, del1924: "Nella teoria della cono­scenza il presupposto di questa 'cosa in sé' è stato scos­so da Kant, nella teoria estetica invece si è infranto solo per l'influenza di Alois Riegl"43

• Salvo poi ridurre tale rivoluzione all'ambito della resa stilistica artistica, la sola espressiva e storicamente determinata, contrappo­sta all'ambito della percezione per così dire "normale", eli per sé neutro, costante e universale.

Questa dicotomia tra stile artistico e percezione nor­male (che in fondo altro non è se non la dicotomia cul­tura-natura) viene decisamente rigettata da Benjamin, in un modo che risulta piuttosto evidente nella sum­menzionata recensione a Le Regard eli Georges Salles. La figura del sovrintendente del Louvre, convinto che il museo debba avere "come primo scopo quello eli affi­nare le nostre percezioni", emerge in tutta la sua rile­vanza proprio nel confronto con Riegl: "Nel bel capito­lo La scuola l'autore traccia, con uno schizzo potente e ardito, i contorni eli quella che si potrebbe chiamare la storia della percezione umana. "Ogni occhio è ossessio­nato, il nostro non meno eli quello delle tribù primitive.

42. A. Hauser, .. Filosofia della storia dell'arte: 'storia dell'arte senza no· mi'", in Le teorie dell'arte. Tendenze e metodi della cn"tica moderna [1958], tr. it. di G. Simone, Einaudi, Torino 1988; p. 185.

43. E. Panofsky, Idea. Contributo alla Jtoria dell'esteti01 [1924], tr. it. di E. C ione, introd. di M. Ghdardi, La Nuova Italia, Firenze 1996, p. 79.

STORIA DEL!: AltrE E STORIA DELLA PERCEZIONE 81

Ad ogni istante plasma il mondo secondo lo schema del suo cosmo". In Riegl, il magnifico storico delle arti mi­nori nella decadenza romana, ci sono delle luci simili. Sono state raramente riflesse. È con esse che Lo sguardo ~on si richiama soltanto alle nostre tentazioni più sotti­li, ma anche ai nostri tentativi più ardui" (CR, 341-42). . Tra questi tentativi si conta anche quello eli cogliere il momento cruciale di una modificazione della perce­zione: "Dice Salles: 'Noi siamo in grado eli cogliere, nell'attuale, quel disturbo ottico eli cui domandavamo il segreto alla storia. [. .. ] Lo sconvolgimento visivo di cui siamo testimoni ha il segno perturba t ore con cui si annunciarono i grandi mutamenti storici"' (CR 342).

Significativamente Benjamin, in una let;era a Horkhei.mer del 23 marzo 1940, cita un passo in cui Salles enuncia la connessione essenziale tra storia del­l' arte, antropologia e sociologia della cultura: "'Un' ar­te', in effetti, 'differisce da quella chel'ha preceduta esi realizza proprio perché essa enuncia una realtà eli tutt'altra natura che non una semplice modificazione plastica: essa riflette un altro uomo ... Il momento da cogliere è quello in cui una pienezza plastica risponde della nascita eli un tipo sociale' (pp. 118-20)"44

• Si riba­disce quindi che l'arte non si limita a una modificazione o deformazione della percezione naturale come sua messa in stile, ma si correla a tipi differenti eli umanità storicamente determinati. . '

eli " N a stessa lettera Benjamin esplicitamente accosta le ricerche eli Salles alle prospettive da lui dischiuse nel saggio sull'opera d'arte, e in particolare nel terzo para­grafo che stiamo commentando: "'Per studiare un'arte nei suoi fondamenti bisogna, in fin dei conti, rompere i

44. Lettera riportata in GS III, 704·06, qui 705-06.

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82 PICCOLA STORIA DELLA lONTANAN"lA

nostri quadri e immergersi nel vivo delle allucinazioni di cui quest'arte ci consegna soltanto un deposito irri­gidito. Bisogna viaggiare nelle profondità di specie so­ciali scomparse. Compito avventuroso che ha di che tentare una sociologia cosciente della propria missione' (pp. 123-24). Non è affatto necessario forzare il testo per rendersi conto che in queste righe l'autore mira a uno scopo identico a quello che contempla il capitolo III del mio saggio sull" opera d'arte nell'epoca della sua riproduzione tecnica'".

Fra gli epilegomeni di questo saggio conservati alla Bibliothèque N ationale si trova un significativo appun­to intitolato Stil - un tema di riflessione presumibil­mente suggerito proprio dalle ricerche kunstwissen­scha/tlich di Wickhoff e del Riegl "cardiografo" dell'ar­te45, che mette in luce il nesso essenziale fra stile e attua­lità da un lato, fra stile e percezione dall'altro: "Sarebbe importante approfondire la questione: da quando esi­ste un concetto dello stile nel senso dello storicismo? Certamente già il diciottesimo secolo conosceva il con­cetto di stile: il Medioevo gotico era per esso un'idea corrente. Il Rinascimento aveva un'idea dello stile clas­sico dei Greci. Quel che distingue tali concetti di stile dal nostro è il loro contenuto attuale. n Rinascimento prendeva le mosse dalla convinzione che il modello classico fosse per esso in tutto e per tutto valido, e che tale modello potesse venire raggiunto in pieno dai mae­stri. n diciottesimo secolo mostrava un disprezzo per il Gotico barbarico del Medioevo, che presupponeva

45. Benjamin parla di Riegl come di un "maestro che penetra tanto in profondità nei contenuti del suo oggetto che a lui riesce di clisegnare come hnea delle loro forme la curva dd loro battito cardiaco" nella recensione dell'opera di Oskar Walzel, Das Wortkunstwerk. Mille/ seiner Erforschung, 1926 (SSU, 123.24).

STORIA DELI:ARTE E STOlUA DELLA PERCEZIONE 83

u~a relazione con esso non meno immediata e attuale d1 quella .che il Rinascimento istituiva con l'antichità. Solo al diciannovesimo secolo il concetto di stile do­vrebbe essere apparso sterilizzato e conservabile nel suo secolo come un preparato delle scienze naturali è conservabile sotto spirito. Ciò autorizzerebbe a sup­porre che come stile si potrebbero rappresentare solo forme che abbiano perduto ogni funzione nella perce­zione" (GS VII-2, 674).

L'.Ottoc~nto, secolo ossessionato dal problema del­lo .stile ~ disperatamente alla ricerca di uno stile pro­prio - ricerca su cui ironizzava caustico Adolf Loos46 -,avrebbe p.erduto quindi la capacità di rapportarsi in modo attualizzante alla storia degli stili, trovandosi in­~ap.ace s~a di mimare un modello positivo, come faceva il Rinasc~ento con l'antichità classica, sia di respinge­re con disprezzo un modello negativo, come faceva il Sett.ecento c.on ~l Medioevo, e limitandosi perciò alla estrmseca citazione eclettica e sincretistica, trasfor­~ando lo stile in un oggetto storicisticamente neutra­lizzato.

Ben altrimenti connesso agli strati profondi dell'e­spe~ienza ~ercet~iva ~e~ differenti tipi di umanità ap­p~r~va lo stile agli storici dell'arte vi ennesi, e attraverso di loro a Benjamin. Tuttavia la capacità di questi stu-

l-'

l 4.6. "Gli uomini s~ aggiravano tristi tra le vetrine e. si vergognavano della oro un potenza. Ogru età ha avuto il suo stile e solo aUa nostra dovrà essere nega

1to uno stile? Per stile si intendeva l'ornamento. Dissi allora: non pian·

~fte. G':'a~d~e, questo appunto costituisce la grandezza dd nostro tempo a~to ctoe c e ess~ non sia in grado di produrre un ornamento nuovo. Noi

(fbtado s~perato l orn~mento, ~on f~ttca ci siamo liberati dell'ornamento. uar .at~, ~momento st approsstma, il compimento ci attende. Presto le vie

della cma nsplenderanno come bianche muraglie'" (A Loos "O e delitto" [1908], in Parole nel vuoto, tr. it. di S Gess~er Adelph7'MJ;~o 1992, p.219). . ' ' o

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84 PICCOI..J\ STOIUA DELLA LONTANANZA

di osi di cogliere per primi nelle epoche e negli stili da loro indagati delle manifestazioni espressive correlate a differenti organizzazioni percettive si è scontrata, se­condo Benjamin, con dei limiti intrinseci alloro ap­proccio: essi si sono infatti concentrati sul "contrasse­gno formale" [formale Signatur] della percezione tipi­ca del periodo tardo-romano, senza affrontare i "rivol­gimenti sociali" che si esprimevano in tali modifìcazio­ni percettive. Questi limiti possono, a parere di Benja­min, essere superati nella modernità: oggi è possibile cioè dar conto delle condizioni sociali [gesellscha/tliche Bedingungen] che determinano le modificazioni per­cettive, complessivamente classificabili con il concetto di "decadenza dell" aura"' (III, 24).

La critica al formalismo degli storici dell'arte (cioè a un'argomentazione che analizza gli stili artistici innan­zitutto e per lo più dal punto di vista, come direbbe Riegl in senso purovisibilistico, del colore e della linea, nel piano e nello spazio) viene condotta da Benjamin in nome di un approccio sociologico all'arte che dia con­to delle modilìcazioni stilistiche (e percettive) come condizionato dai rivolgimenti sociali. È evidentemente una possibile risposta alla domanda: perché gli stili (ar­tistici e percettivi tout court) cambiano? - questione delicata che, come si è visto, Wickhoff tendeva a risol­vere all'interno di una teoria della reazione fisiologica all'affaticamento provocato dallo stile precedente e che Riegl inquadrava nell'ambito di un'evoluzione continuistica per tappe necessarie che a non pochi in­terpreti ha evocato fantasmi hegeliani: le realizzazioni tardo romane sarebbero infatti "gradini necessari per le forme moderne", mentre nel suo complesso "il muta­mento della Weltanschauung tardoantica fu una neces­saria fase transitoria dello spirito umano"47• È però ve-

STORIA DELt:AirrE E STORIA DELLA PERCEZIONE 85

ro che Riegl ammette la possibilità di retrocessioni di '

riprese che spezzano l'intransigente marcia ineluttabi-le del processo evolutivo. Si veda ad esempio la pagina in cui, parlando degli effetti cromatici di luce e ombra nell'arte romana, Riegl ammette che "questo ritmo di colori è proprio delle opere medio-romane, ma anche di quelle del IV secolo [. .. ]; retrocede poi nei rilievi fi­gurati propriamente tardo romani [ ... ] che di nuovo tradiscono la tendenza a un ritorno della concezione tattile"48•

Come vedremo, sarà proprio la possibilità di tali rt~ prese tattili a situarsi- del tutto problematicamente- al centro della riflessione benjaminiana sull'arte nell'epo­ca della perdita dell'aura.

47. A. Riegl, Industn"a artistico /ardoromatui, cit., pp. 10 e 378. 48. lvi, pp. 366·67 (c. vi miei).

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5 CULTO ED ESPOSIZIONE

Procedendo nel paragrafo 4 a interrogarsi sulle ca­ratteristiche proprie dell'opera d'arte auratica, Benja­min afferma che la sua unicità [Eim:igkeit] "si identifi­ca con la sua integrazione nel contesto della tradizione [Tradition]" (III, 25). La tradizione è certamente qual­cosa di mobile, un contesto culturale che può declinare in direzioni anche opposte l'interpretazione di un'im­magine: ad esempio una statua di Venere può essere per gli antichi greci oggetto di culto, per i cristiani me­dievali idolo funesto; eppure ad entrambe le tradizioni si presentava la statua nella sua unicità, cioè nella sua aura1

Questa modalità di esistenza auratica [auratische Daseinsweire] dell'opera non ha in origine tanto a che fare con una tradizione artistica, quanto innanzi~).lttO con un rituale magico (viene qui anticipata la questione della magia che, come vedremo, avrà parte non margi-

l. Si veda, in Di alcuni motivi in Baudelaire, la citazione dalla pagina proustiana in cui Benjamin ravvisa un'implicita deftnizione dell'aura pro· prio in termini di tradizione: "'Essi [sdL certi amanti del mistero] credono che i monumenti e i quadri si presentino solo sotto il velo delicato che hanno tessuto intorno a loro l'amore e la devozione di tanti ammiratori nd corso dei secoli" (AN, 125).

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88 PICCOLA STOIU/\ DE.LLI\ LONTANANZA

naie nel dispiegarsi dell'argomentazione), quindi reli­gioso (con un fondamento "teologico", come si specifì- · ca in I) e si esprime nel culto. In nota Benjamin chiari­sce che la definizione precedentemente fornita dell'au­ra come apparizione unica eli una lontananza per quan­to vicina è la trasposizione "nei termini delle categorie della percezione spazio-temporale" di questa natura essenzialmente cultuale dell'opera: "La distanza è il contrario della vicinanza. Ciò che è essenzialmente lon­tano è l'inavvicinabile [das Unahbare]. Di fatto l'inavvi­cinabilità è una delle qualità principali dcll'in1maginc cultuale. Essa rimane, per sua natura, 'lontananza, per quanto vicina'. La vicinanza che si può strappare alla sua materia non elimina la lontananza che essa conser­va dopo il suo apparire" (III, 49, n. 8).

È su questo punto, cioè sulla connessione eli aurati­co, magico e cultuale, che Adorno indirizza la prima delle sue obiezioni alla II, espresse nella lunga lettera a Benjamin del 18.3 .36. Sottolineando la fecondità di quelle distinzioni operate da Benjamin in scritti prece­denti (la separazione eli allegoria e simbolo nel Dramma barocco, quella eli artistico e magico in Strada a semo unico), Adorno stigmatizza il fatto che nel saggio sull'o, pera d'arte tornino a confondersi "il concetto eli opera d'arte come costrutto [Gebild]", il "simbolo della teo­logia" e il "tabu magico": "Mi risulta sospetto- e vi ve­do un resto molto sublimato eli certi motivi brechtiani­il fatto che Lei adesso trasponga in modo incondiziona­to il concetto dell'aura magica sull"'opera d'arte auto­noma"2 c assegni nettamente quest'ultima alla funzione

2. Con il concetto di Autonomie der Kumt Adorno indica appunto il processo di liberazione dell'arte dai propri condizionamenti teologici e mc­tafisid.

CUI:I"O ED ESPOSIZIONE 89

controrivoluzionaria. Non devo certo assi~urarLa del fatto che sono del tutto consapevole dell'elemento ma­gico nell'opera d'arte borghese (tanto meno, dal mo­memo che tento sempre di nuovo di smascherare la fi­losofia borghese dell'idealismo, che è correlata al con­c~tto eli a.~tonomia estetica, come mitica nel senso più pieno). M1 sembra però che il centro dell'opera d'arte autonoma non appartenga esso stesso al lato mitico -perdoni il modo topico eli discorrere -, bensì che esso sia in sé dialettico: che tale centro intrecci in sé il magi­co con il segno della libertà" (A-B, 169).

A questa obiezione eli aver fatto retrocedere Io sta tu­t? dell'arte autonoma a quello del culto, recentemente n presa tra gli altri da Debray\ Adorno connette una se­conda obiezione, rilevando- ciò che è in fondo I' altro corno del problema -l'impossibilità eli attribuire all' ar­te tecnologicamente riprodotta uno statuto eli imme­diata rivoluzionarietà. Precisando eli non voler garanti­re l'autonomia dell'opera d'arte come riserva e eli esse­re d'accordo con Benjamin nel concepire l'auratico dell'opera come in via eli estinzione (anche se non solo a causa della riproducibilità tecnica, bensì soprattutto per l'adempimento eli una legge formale autonoma propria dell'opera), Adorno osserva che sarebbe tutta-

. 3. Di~~inguendo nella storia dd.l'immagine tre periodi -la logosfera, re· gune d:" idolo; la grafo;;fera, regime dell'arte; la videosfera, regime dd visi· vo -, c!asc.uno carattenzzato da una propria fonte di autorità (rispettiva­mente il dto, la natura, la macchina), Debray sostiene che Bcnjamin, pur avendo.rnolt_o oppor: una mente messo in luce come le condizioni tecniche di pr~uzt?n.e mfluenzmo la creazione artistica, abbia fatto propria •t'illusione conttnu1st1ca de!Ja.storia ufficiale dell'arte. Cosl ha potuto confondere due e~he, ?ue regu;m dello sguardo: l'era degli idoli e l'era dell'arte. La suaau­rt~, !'!fatti~ ~ppartl~ne ~l tanto alla prima. Le qualità di presenza reale, di au­tor:zta e dt Jmmedi~ta tn~arnaz.i?n:, d~ c,ui egli paventa la perversione indu­st':lale, sono quegh stessi aspctu dt cu1l opera d'arte si è spogliata nd Rina­s~.Iment~, sen_za aspettare la 'riproduzione mcccanizzata'" (Vita e morte Jel­ltmmagme, eu., p. 102).

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via un'insufficienza dialettica concepire l'opera d'arte nell'epoca della tecnica come eo ipso progrcssist~; ciò significherebbe peccare- scrive Adorno- di una forma di "romanticismo" rivoluzionario, uguale e contraria a quella del romanticismo rcazionario4• Vedremo nel corso della lettura, e in particolare in quei passi in cui Bcnjamin affronta la questione dell'essenza della tecni­ca, se effettivamente questa seconda obiezione ador­niana sia fondata.

Tornando ora alla cultualità dell'opera, Bcnjamin la connette al suo essere autentica (echt, ma anche, nella III in nota, authentisch): "li valore unico dell'opera d'arte autentica trova una sua fondazione nel rituale", e in quest'ambito- Benjamin aggiunge solo nella III, con un evidente richiamo alla terminologia marxiana- tro­va il suo "primo e originario valore d'uso [Gebrauchs­wert] ", che mantiene anche quando il rituale va incon­tro ad un processo di sccolarizzazionc che si manifesta nel culto profano della bellezza così come si esercita dal Rinascimento all'Ottocento, fino cioè al momento in cui, con la fotografia, "primo mezzo di riproduzione veramente rivoluzionario" c significativamente con­temporaneo del socialismo, la base cultuale dell'arte sperimentò la sua prima profonda crisi, reagendo- po­tremmo dire fisiologicamente- in modo appunto teo-

4. "Les extrèmes me touchent, proprio come toccano Lei: ma solo se ella dialettica dell'estremo inferiore è equivalente quella dd superiore, non se questo semplicemente decade. Ent~a.r:tbi portano.le stimmate dd capitali­smo entrambi contengono elemenu di trasformaziOne[ ... ]; entrambi sono le d~e met_à dilacerate dell'intera libertà, che tuttavia non si lascia comporre dalla loro somma: sacrificare una metà all'altra sarebbe romantico, o come romanticismo borghese della conservazione della personalità e di tutto l'in­cantesimo [Zauber], o come romanticismo anarchico nella fiducia ~ie:ca nei confronti della potenza autonoma dd proletariato nd processo stonco.- del proletariato che comunque è esso st~so borgh:scmente prod<?tto. È d1 que; sto secondo romanticismo che devo m certa misura accusare il Suo lavoro (A-B,l71).

CULTO ED ESPOSIZIONE 91

logico: innanzi tutto con la teoria teologica dell'art pour l'art, e successivamente con la teologia negativa dell'ar­te pura (professata in poesia da Mallarmé come dal suo primo officiante), avulsa da qualsivoglia implicazione non solo sociale, ma addirittura oggettualc.

. È interessant~ nota~e a tale proposito come Bcnja­mtn nella III aggiUnga, m nota, una considerazione sul­la progressiva soggettivizzazione cui va incontro la di­n:ensionc auratica nel passaggio dal culto magico-rcli­gtoso a quello profano della bellezza, in cui all'irripeti­bilc unicità dell'immagine in se stessa viene via via so­vrapponendosi l'autenticità unica dell'artista o del suo gesto; "Nella rappresentazione del fruitore l'unicità delle immagini che appaiono nell'opera cultuale viene sempre più sostituita dall'unicità empirica dell'esecu­tore di immagini [Bildner] o della sua esecuzione [bil­dende Leistung]" (III, 49, n. 9; tr. mod.).

Ciò non significa tuttavia che sia possibile un trapas­so completo e perfetto dell'autentico dell'oggetto cul­tuale nell'autentico del gesto soggettivo: lo dimostra il fet~cismo del collezionista, che possedendo la cosa par­tecipa del suo valore .cultuale indipendentemente dal suo produttore. "Di regola i collezionisti - scriverà Benjamin nel saggio Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico, pubblicato sulla "Zeitschrift fiir Sozialfor­schung" nel193 7, scritto cronologicamente e tematica­mcnte vicinissimo a quello sull'opera d'arte - sbno sempre guidati dall'oggetto" (OA, 113). Esistono tut­tavia due forme di feticismo: a fianco di quella oggetti­va, legata alla cosa di per sé presa, si pone una forma soggettiva, congiunta alla personalità creatrice; "li fe­ticcio del mercato d'arte è il nome del maestro" (OA, 114). li ~rande merito di Fuchs è, secondo Benjamin, quello di avere dato avvio alla dcfeticizzazionc della·

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storia dell'arte nel senso di questa seconda forma di fe­ticcio commerciale: "li suo proposito era di restituire all'opera d'arte la sua esistenza nella società da cui era stata staccata; staccata a un punto tale che il luogo in cui egli la trovava era il mercato artistico, dove essa, ugualmente lontana da coloro che l'avevano prodotta come da coloro che erano in grado di comprenderla, continuava a vivere ridotta a mera merce" (OA, 112-13 ). L'ambito originario di tali oggetti è un ambito ano­nimo, contrassegnato non da una grande individualità creatrice, bensì da una comunità coesa da un sentire condiviso. In questo senso, il "pioniere" Fuchs potreb­be essere a buon diritto annoverato fra i rappresentanti della cosiddetta "storia dell'arte senza nomi", di cui Wickhoff, Riegl, Wolfflin sono stati maestri.

Ma proprio contro il formalismo di quest'ultimo, espresso nella sua teoria secondo cui la modificazione degli stili non può essere spiegata in termini di modifi­cazione dei contenuti, delle mentalità, dell'ideale di bel­lezza, ma solo in termini di autonoma modificazione delle forme della visione, Fuchs obietta che tali forme possono essere comprese solo se vengono ricondotte al­le trasformazioni dell' aunosfera complessiva di un' epo­ca. Molto significativamente, Benjamin rileva la proble­maticità di questa obiezione fuchsiana: l'ipotesi forma­listica di Wolfflin "suscita certo una reazione negativa nel materialista storico. Tuttavia contiene anche ele­menti stimolanti; precisamente perché il materialista non è tanto interessato a far dipendere la modificazione della visione artistica da una modificazione dell'ideale della bellezza quanto da processi più elementari- pro­cessi che vengono promossi dalle trasformazioni econo­miche e tecniche della produzione" (OA, 94). È plausi­bile ritenere che anche qui Benjamin, con l'espressione

CULTO ED ESPOSIZIONE 93

"processi più elementari" [elementarere Prozesse], stia facendo riferimento- anche se in modo piuttosto impli­cito- a quegli strati fondamentali dell'esperienza per­cettiva pensati, come si è visto nel commento al para­gràfo 3, in correlazione con gli stili artistici e con la loro evoluzione, e intesi qui sotto l'influenza di modificazio­ni storiche di carattere economico e tecnico.

È appunto tale carattere tecnico, peculiare della ri­prqduzione meccanica dell'opera, ad essere ritenuto, più del passaggio dalla prassi cultuale alla prassi secola­rizzata dell'arte (dall'arte come gesto magico-religioso all'arte come gesto estetico o estetizzante), responsabi­le di una vera e propria rottura: "La riproducibilità tec­nica dell'opera d'arte emancipa per la prima volta nella storia del mondo quest'ultima dalla sua esistenza pa­rassitaria nell'ambito del rituale. L'opera d'arte ripro­dotta diventa in misura sempre maggiore la riproduzio­ne di un'opera d'arte predisposta alla riproducibilità" (Ili, 26-27). Questa situazione è chiarissima già nel ca­so della fotografia, per cui, essendo possibile una serie infinita di stampe della pellicola, "la questione della stampa autentica non ha senso", ma è massimamente evidente nel cinema, arte che - come Benjamin aveva già anticipato nel paragrafo l -è connessa al mezzo tec­nico non come a una condizione estrinsceca di ripro­duzione e diffusione, bensì come a una condizione in-trinseca e costitutiva. ,

Venuta meno la questione dell'autentico, si trasf;r­ma secondo Benjamin anche la funzione sociale dell'ar­te nel suo complesso, che dalla fondazione nel rito pas­sa alla fondazione nella politica. Naturalmente, come viene specificato a proposito del film, tale politicità di quell'arte che è essenzialmente riproducibile non deve essere automaticamente intesa in senso rivoluzionario,

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anzi si offre in modo altrettanto duttile al grande capi­tale borghese e ad una gestione fascista. Ciò mostra -togliendo terreno all'obiezione "anti-romantica" di Adorno sopra esposta- come Benjamin fosse del tutto consapevole di una sostanziale neutralità politica del mezzo tecnico, il quale di per sé non è immediatamente utilizzabile in vista di una mobilitazione rivoluzionaria delle masse. Di più, le stesse masse non sono, a loro vol­ta, affatto immediatamente mobilitabili in senso pro­gressista.

È una nota dei Paralipomena alla II ad approfondire questo parallelismo tra massa e mass medium, mo­strando come entrambi siano di per sé neutri, cioè pas­sibili di essere piegati in senso reazionario o rivoluzio­nario; considerando la massa degli spettatori cinemato­grafici, Benjamin osserva che "essa per sua natura non è stabilmente determinata secondo la sua struttura di classe, quindi non è senz' altro mobilitabile politica­mente. Ciò non esclude però che attraverso determina­ti film possa venire intensificata o ridotta in essa una certa disponibilità a mobilitarsi" (GS VII-2, 668): il se­condo caso è quello dei film di propaganda controllati dal capitale borghese, sulla cui capacità di minare la presa di coscienza proletaria si è incentrata ad esempio la critica di Siegfried Kracauerl.

Proprio riguardo allo statuto neutro del medium tecnico Benjamin incluse nei suoi ultimi appunti del 1940 riferiti al saggio sull'opera d'arte una significativa citazione dalla conferenza Sull'epoca delle neutralizza­zioni e delle spoliticizzazioni tenuta da Cari Schmitt nel

5. Si veda a questo riguardo il saggio "Le piccole commesse vanno al ci· ne ma .. [1927), in La massa come ornamento, t r. i t. di M.G. Amirante Pappa­lardo e F. Maione, pres. di R.llodei, Prismi, Napoli 1982, pp. 85·98.

CUl:t'O ED ESPOSIZIONE 95

19296, in cui tra l'altro si legge che "la decisione intorno alla libertà e alla servitù non sta nella tecnica in quanto tecnica. Questa può servire[. .. ) tanto alla libertà quan­to alla repressione, tanto alla centralizzazione quanto alla decentralizzazione. Dai suoi [ ... ) princìpi [. .. ) non scaturisce né la posizione di una questione politica né una risposta politica'~ (GS VII-2, 673).

Ad ogni modo, a tale neutralità politica della tecnica non corrisponde altrettanta neutralità estetica, nel sen­so della teoria dell'arte. Per approfondire gli effetti esercitati dalla riproducibilità sullo statuto stesso del­l'arte, Benjamin sviluppa nel paragrafo 5 uno schema binario di carattere assiologico, incentrato sull'opposi­zione di valore cultuale [Kultwert] 7 e valore espositivo [Ausstellungswert], definiti nelle redazioni I e II come Polaritiiten o Pale (in Fr. p6les) dell'opera d'arte stessa fra i quali si muove, accentuando ora questo ora quello, la storia dell'arte nel suo complesso, e nella III come particolari Akzente polari della ricezione [Rezeption) di opere d'arte.

Nella Fr. e nella I manca l'importante riferimento in nota all'estetica idealistica, di cui si denuncia l'incapa­cità di riconoscere quella polarità, alla quale tuttavia­ammette Benjamin- è proprio uno dei sui massimi rap­presentanti, cioè Hegel8, che sembra alludere tanto nel-

6. Citazione che Benjamin trae da un articolo di Karl I..Owith dedicato a Ma x Weber un d sei ne Nachfolgl!re apparso su "Mall un d Wert" ,Jahrg. ID, Heft 2,Januar·Februar 1940, p.173.

7. Leggiamo in una nota degli epilegomeni al saggio sull'opera d'arte: "Il valore cul.tuale (il sacro} deve essere definito com~ un 'aura saturata di un contenuto storico. L'aura era originariam~nte (fino a quando fondava il va· lore cultuale) caricata di storia,. (GS Vll-2, 677).

8. Su una generale vicinanza di Iknjamin a Hegel insiste Adorno (cfr. Pn'rmi, cit., e Note per W lelleratura, cit.). Per le affinità tra la tesi b~njami· niana della decadenza dell'aura~ quella hcgdiana che dopo dihù è diventa­ta nota come tesi della "morte dell'arte,., cfr. Habermas, Cultura ~critica, ci t., p. 249: "Già H egei, nelle sue lezioni di esu:tica, denuncia la perdita del.

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le Lezioni sulla filosofia della storia quanto nelle Lezioni di estetica, là dove afferma che nella sua dimensione sensibile, cioè esterna, la bellezza di un'opera d'arte è in qualche modo "fastidiosa" [storend] per la devozione.

A questa nota, presente sia nella II sia nella III, que­st'ultima ne aggiunge di seguito un'altra, coerente con la determinazione dei due valori come accenti polari della ricezione e riguardante il generale decorso storico della ricezione artistica come appunto segnato dal pas­saggio da una ricezione del valore cultuale a una rice­zione del valore espositivo dell'opera. Ma questo anda­mento storico non impedisce che la polarità giochi al­l'interno di una singola opera e della storia della sua particolare ricezione, addirittura invertendo la direzio­ne generale dal cultuale all'espositivo, come accade nell'esempio addotto da Benjamin della Madonna Sisti­na di Raffaello, commissionata come dipinto da collo­care sulla bara di Papa Sisto in occasione dell'astensio­ne pubblica della salma, e quindi originariamente ca-

l'aura nell'arte". Habcrmas cita a tal riguardo il celebre passo in cui Hegel ossetva che "'si può, sì, sperare che l'arte s'innalzi e si perfezioni sempre di più, ma la sua forma ha cessato di essere U bisogno supremo dello spirito. E per quanto possiamo trovare eccellenti le immagini degli dèi greci, e vedere degnamente e perfettamente raffigurati il Padreterno, Cristo e Maria, tutta­via questo non basta più a farci inginocchiare" (EJletica, t r. i t. di N. Merkere N. Vaccaro, Einaudi, Torino 1976, pp. 120). Per questo aspetto dell'estetica hegdiana si può vedere, nella ricchissima letteratura ad esso dedicata, D. Formaggio, La "morte dell'arte" e l'Estetica, ll Mulino, Bologna 1983; G.Scaramuzza, "Il tema della morte dell'arte ndl'Eitetica di Hegd", in AA.W., Problemi del RomanticiJmo, a c. dj U. Cardinale, Shakespeare & Co., Milano 1983, pp. 1}5.61; A. Gethmann·Siefert, Eine Diskunion ohne Ende: Hege!J T/me vom Ende der Kunst, in "Hegd.Studien", XVI, 1981, pp. 230·45; H. G. Gadamer, "Ende der Kunst? Von Hegds Lehre vom Ver· gangcnheitscharakter der Kunst bis z.um Anti-Kunst von Heute", in H. Friedrich (Hrsg.), Ende der Kunst · Zukun/t der Kunst, Deutscher Kunst· verlag Miinchen 1986, pp. 16·33. Cfr. anche, con riferimento a Benjamin, !"introduzione di P. Gambazzi a G. W. E Hegel, Arte e morte dell'arte. Per· cono nelle Le1.ioni dt. eJietica, a c. di P. Gambazzi e G. Scaramuzza, tr."it. di G.F. Frigo, B. Mondadori, Milano 1997, in p art. pp. 55 e 62.

CULTO ED ESPOSIZIONE 97 ratterizzata da un forte valore espositivo, c poi finita­nonostante il rituale romano vietasse tale collocazione per dipinti esposti durante i funerali- come oggetto di culto sull'altare maggiore della cappella del convento piacentino dei Frati Neri. L'originario valore espositivo del quadro spiega tra l'altro anche il perché Raffaello avesse dipinto il cielo fra due tendine dalle quali la Ma­donna si affaccia e si avvicina [néihert sich) alla salma: se nella nota al precedente paragrafo Benjamin aveva de­~!to la lontananza una trasposizione in termini percet­tlv! d~a cultualità, qui, completando l'altro polo della coppia, pone una connessione essenziale fra esponibi­lità e vicinanza, investendo- come si vede- non solo il piano della ricezione, ma anche quello della produzio­ne, dal momento che gli scopi espositivi [Ausstel!ung­szwecke) del quadro indussero Raffaello a una d et ermi­nata scelta figurativa e compositiva del quadro.

Tornando al decorso storico dell'arte nel suo com­plesso - della sua produzione e della sua ricezione -Benjamin lo descrive come un passaggio dal polo cul: tuale al polo espositivo, che viene altresì connotato nei termini di uno spostamento dall'esistere di per sé- ciò che in fondo conta per il primo tipo di immagini, che sono al servizio del culto (della magia: I, II e Fr.) e che addirittura vengono in alcuni casi tenute "nascoste" [tin Verborgenen] alla vista e rese accessibili solo ai sa­cerdoti- all'esistere per il fruitore, cioè dall'esistere al­l'esser-visto.

La situazione di impercettibilità e nascondimento d~ll' opera si modifica progressivamente con il processo di secolarizzazione cui va incontro l'arte, che via via si emancipa dal rituale: ciò va di pari passo con una cre­scente mobilità e mobilitazion.e dell'opera (ad esempio nell'evoluzione che conduce dalla statua fissa al mezzo

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98 PICCO .LA STORIA DELLA LONTANANZA

busto, oppure dal mosaico all'affresco al dipinto su ta­vola), o se si vuole con la sua progressiva trasferibilità. L'opera si inizia a sradicare dall'hic, dall'Hier, dalla sua collocazione spaziale che avevamo visto essere deter­minante per la sua auraticità.

È curioso riflettere oggi - come spettatori televisivi ed eventualmente come fedeli che la domenica "van­no" in chiesa sul piccolo schermo, rimanendo comoda­mente seduti in poltrona- all'ormai anacronistica an­notazione con cui Benjamin rileva la maggiore esponi­bilità della sinfonia rispetto alla messa, che oggi tramite la TV possiamo ricevere tranquillamente a casa nostra proprio come a casa nostra possiamo ascoltare la regi­strazione eli un concerto o un'incisione: "Se l'esponibi­lità eli una messa per natura non era probabilmente più ridotta eli quella eli una sinfonia, tuttavia la sinfonia nacque nel momento in cui la sua esponibilità promet­teva di diventare maggiore eli quella eli una messa" (III, 27 -28)9.

Ora, secondo un movimento del pensiero che è ri­corrente in Benjamin, lo scenario i per- tecnologicizzato della modernità viene analizzato per comparazione con quello della preistoria, con la quale il primo puntual­mente esibisce tratti eli inquietante affinità: in questo caso specifico del rapporto fra la polarità cultuale e

9. È ancora Debray a offrire su questo problema uno spunto di riflessio­ne: "'Il mistero dcll'eucarestia non opera attraverso Io schermo [. . .]. Un confessore non può impartire l'assoluzione per telefono, né la santa comu­nione alla televisione. Non c'è telepresenz.a. reale della carne e del sangue. Ma già si suppone che la benedizione papale urbi et orbi, trasmessa da reti hertz.iane, mantenga la propria efficacia- innovazione carismatica che an­nuncia forse altri adattamenti. Chissà se un giorno ci sarà soltanto la messa televisiva (come già non ci sono più Giochi Olimpici, ma solo Giochi messi in scena non per ma da parte della loro trasmissione" {Vita e morte dell'im­magine, cit., pp. 245-46).

CULTO El) ESPOSIZIONE 99 q.uella espositiva, l'affmità va ravvisata nell'accentua­~Ione unilaterale~ pressoché esclusiva dell'un polo sul­l altro, ~ccentuaZione che sortisce- anche se per motivi opposti (motivi quantitativi che generano una modifi­cazione qualitativa) -lo stesso effetto, e cioè l'annulla­mento di ciò che è propriamente artistico nell'opera d'~rt~ .. Se l'accen~ua~ione del polo cultuale nell'epoca P~Im!Uva aveva significato una cancellazione dell'arti­stico. a tutto ~a v ore del magico, e solo il progressivo re­gredire del ntuale nella secolarizzazione aveva permes­so ~'emergere dell'opera d'arte in quanto tale, nell'csal­tazwn~ del po.lo. ~spositi~6 quale si verifica nell'epoca della nproduc1bilua tecnica (in prtim's n cl cinema e nel­la fotografia) l'artisticità dell'opera d'arte, faticosamen­te strappata al culto, alla lontananza e all'invisibilità · tornerà a perdersi, o perlomeno risulterà "marginale'; ("Ciò che così avviene- cita Berijamin in una nota della III, proponendo un passo sulla mercificazione del!' arte tratto dal Processo dell"' Opera da tre soldi" eli Brecht lo_

la modificherà [sci!. l'arte] radicalmente, estinguerà il suo passato, a un punto tale che qualora il vecchio con­cetto dovesse venir ripreso- e lo sarà, perché no?- non susciterà più alcun ricordo della cosa che un tempo de­signava" (III, 51, n. 12).

Per mantenersi nelle categorie della percezione cui spes~o ~enjamin ricorre per circoscrivere questi feno­me?I, si potrà allora dire che nell'opera d'arte ciò che assicura l'artistico è una "giusta distanza" o una medie­las .fra l_'invisi~ile lontananza del culto propria della preistoria magica e l'immediata vicinanza resa accessi­bile dalla tecnica. Dalla tecnica, ma non solo da essa,

10. D! quest? testo dd 19} l cfr. la tr. i t. in B. Brecht, Scritti su/h lettera­tura e sul/ arte, eu., pp. 5}·ll4.

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100 PICCOLA STQlUA DCLLA LONTANANZA

bensì anche dalla prassi artistica di certe avanguardie. Già verso la fme del1925, in Kitsch onirico (pubblicato nell927 con il titolo Glossa al surrealismo), Benjamin aveva scritto che "ciò che chiamavamo arte, comincia solo due metri lontano dal corpo. Ora, però, nel Kitsch il mondo delle cose si serra più da vicino all'uomo: si concede alla sua presa che tasta [seinem· tastenden Grr/!J" (SSU, 73; tr. mod.)ll.

Il. Il Kitsch è ·a lato che la cosa volge al sogno" (SSU, 71), cosi come . viene colto nell'tute surrcalista. Si veda al proposito anche il successivo Il surrealismo. I: ultima istantanea sugli intellettuali europei, dd 1929 (in AR, 11·26; in OC. 253·68, seguito da (Àrle per "Il surrea/ismo', 269·93). Sulla qualità tattile dell'arte surrea.lista insiste molto opportunamente E. Tavani, che in particolare osserva come il surrealismo assuma per Benjamin "il ruolo di una guida alia leggibilità 'tattile' dd segno" ("Benjamin, Parigi e il surrea· lismo ", in Simbolo, metafora, linguaggi, a c. di G. Coccoli e C. Marrone, ed. guteNberg, Roma 1998, pp. 143-56, qui p. 151). Sulla categoria benjaminia­na di Traumkitsch dr. E. Bloch, "Wagner salvato dal colportage surrea.lista" [1929], in EredtM del nostro tempo [1935), ed. it. a c. di L. Boella, ll Saggia­tore, Milano 1992, pp. 311-19. Sulla gnoseologia surrcalista in Benjamin cfr. J. Fi.imkas, Surrealùmus als Erkenntnis: Walter Benjamm · Wermarer Etn· bahmtrafie und Pariser Passagen, Metzler, Stuttgart 1988.

6 TECNICA E PREISTORIA

La posizione mediana dell'arte fra culto e tecnica si colloca dunque fra due estremi che per certi versi si toccano e che perciò - scrive Benjamin in un brano espunto nella III - consentono "un confronto con la preistoria in modo non solamente metodologico, bensì materiale" (I, 444; II, 358; Fr., 716). Vale la pena segui­re l_'arg.omentazione di questa pagina, perché qui BenJamm approfondisce la sua posizione sulla questio­ne, assolutamente centrale, della tecnica.

L'arte preistorica- prosegue dunque Benjamin- si pone al servizio delle pratiche magiche, cui offre nota· zioni [Notierungen, notations]: vuoi intagliando la figu­ra di un avo (gesto di per sé carico di valenze magiche), vuoi mostrando l'avo nell'atto di compiere determinati riti (quasi un libretto di istruzioni), vuoi offrendo un oggetto la cui contemplazione potenzia il contemplato· re. Tali funzioni soddisfano le esigenze di una società la cui tecnica esiste solo in quanto fusa con il rituale, e ri­sulta ovviamente superata rispetto alla tecnica odierna, a quella meccanica, che si presenta come quella "più emancipata": "Ma questa tecnica emancipata -scrive Benjamin nella I- sta ora di fronte alla società odierna

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102 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

come una seconda natura e cioè, come dimostrano crisi economiche e guerre- come una natura non meno ele­mentare di quella che era data alla società primitiva" (I,

444). . Allo sguardo dialettico non è tanto questo aspetto di

arretratezza ciò che conta, quanto piuttosto il fatto che -come si legge nella II (e in ~r., ~o n picco;e diffe:en~~ ininfluenti) - "la prima tecmca unp1ega l uomo il p1~ possibile, mentre la seconda lo m:piega il ~e~o.possl­bile. La grande impresa della pnma tecmca e m una certa misura il sacrifico umano, quella della seconda sta sullo stesso piano degli aereoplani telecomandati, che non necessitano di alcun equipaggio. Il detto 'Una vol­ta per tutte' [Ein fiir allema[J vale per la prima tecnica (si tratta della colpa per sempre irreparabile o della morte sacrificale eternamente esemplare). n detto 'Una volta è nessuna volta' [Einmal ist keinmafJ 1 vale per la seconda (essa ha a che fare con l'esperimento e l'infati­cabile variazione delle sue condizioni). I.:origine della seconda tecnica va ricercata là dove l'uomo per la pri­ma volta e con inconsapevole astuzia [Ust, ruse] giun­geva a prendere distanza [Abstandl dalla nat~ra. Tale origine, in altre parole, sta nella rappre:'entazwn~ [m~ anche 'gioco', 'recita teatrale', 'esecuzione musicale: Spie[J" (Il, 359)2

• • •

Proprio il riferimento al gioco reintroduc~ la pos!z~o­ne media dell'arte, in cui si mescolano in vane gradaz1o-

1. Si veda, in Ombre corte, dd 1929, il par~rafo _•p~un.to int\tolato "'Una volta è nessuna volta", in cui questo detto !U t.r. lt. nc~ama l affine proverbio italiano "Una rondine non fa primavera ) vtene pe~o tratta~o od­l'ambito erotico, e contrapposto all'"una volta per sempre dt Don Gtovan-

ni (()C, 349-50). . · ' . d 11 2. Su questo passo ha attirato l'attenzione F. Destdert, UJ_porta e. a

giustizia, cit., pp. 109-1_0, _caratterizza~d? in particol_are la pnma tecntca come "mimesi appropnauva della potests della physu, della sua potenza disvdante ".

TECNICA E PRCISTOIUA 103

ni giocosità e serietà, disinvoltura e rigore: ciò significa che "l'arte è connessa tanto alla seconda quanto alla pri­ma tecnica. Senza dubbio bisogna a questo proposito osservare che la 'dominazione della natura' [Natur­beherrschung] designa lo scopo della seconda tecnica solo nel modo più impugnabile; lo designa piuttosto dal punto di vista della prima tecnica. La prima ha effettiva­mente mirato al dominio della natura; la seconda molto di più ad un gioco combinato [Zusammenspiel, accor­do, affiatamento] tra la natura e l'umanità. La funzione socialmente decisiva dell'arte odierna è esercitazione [Einiibung] in tale gioco combinato"3 (Il, 359).

Proprio come nell'epoca preistorica (caratterizzata dal tentativo di dominio esercitato dalla prima tecnica sulla natura), in cui l'arte poneva le proprie figurazioni al servizio della magia, come notazioni che insegnavano una procedura rituale, così nell'epoca contemporanea (contrassegnata dalla seconda tecnica, ormai diventata una "seconda natura") l'arte- o quello che essa è di­ventata, come fotografia e soprattutto come film - si pone al servizio dell'uomo come educatrice delle sue relazioni percettive con la realtà: "A questa seconda na­tura [scil. quella prodotta dalla seconda tecnica] sta di fronte l'uomo- che l'ha sì inventata, ma che già da lun­go tempo non la padroneggia più-, avviato a un corso di lezioni esattamente come era accaduto una volta da­vanti alla prima. E nuovamente l'arte si pone al stio ser­vizio. È in particolare il @m a fare questo. n film serve ad esercitare in quelle nuove appercezioni e reazioni condizionate dalla relazione con un'apparecchiatura, il cui ruolo nella sua vita aumenta quasi giornalmente.

3. •così la tecnica sottoponeva il senso rio dell'uomo a un training di or­dine complesso" (Di alcuni motiui in Baudelaire: AN, 110).

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104 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

Rendere la gigantesca apparecchiatura tecnica della nostra epoca oggetto dell'innervazione umana- questo è il compito storico, nel cui servizio il film ha il proprio vero senso" (I, 444-45).

È la II a chiarire le implicazioni politiche di questo esercizio appercettivo e reattivo del nostro sistema ner­voso: "La relazione con questo apparato gli insegna (scil. all'uomo] al contempo che l'asservimento al ser­vizio dell'apparato farà posto alla liberazione tramite esso solo una volta che la costituzione [Ver/assung]4

deil'wnanità si sarà adattata alle nuove forze produtti­ve che sono state dischiuse dalla seconda tecnica" (II, 360; anche Fr., 717). Come è evidente, qui Benjamin sta facendo riferimento alle positive valenze rivoluzionarie della seconda tecnica, in linea con la positiva designa­zione della stessa come Zusammenspiel, come "gioco combinato", armonico e affiatato, tra uomo e natura. Infatti, in una nota comune alla II e alla Fr., si legge che è lo scopo stesso delle rivoluzioni l'accelerazione di tale adattamento alle nuove forze produttive: "Le rivolu­zioni sono innervazioni del collettivol: più esattamente,

4. h significativo notare come la Fr. si discosti dalla li su questo punto, ponendo al posto di Verfassung (costituzione nel senso- ci sembra qui, pro­prio per il contesto riferito alle innervazioni, alle appercezioni e alle reazioni umane- di complessione fisica, di condizioni fisiche) l'espressione structure économique.

5. Si veda a tal proposito- oltre che una nota dei Parali'pomena alla Il, GS VII-2, 666- ancoralo scritto sulSurrea/ismo (1929): "Solo se corpo e spazio immaginativo si compenetrano in essa così profondamente che tutta la tensione rivoluzionaria diventa innervazione fisica collettiva, e tutta l'in· nervazione fisica del collettivo diventa scarica rivoluzionaria, solo allora la realtà ha superato se stessa tanto quanto esige il manifesto comunista" (AR, 25-26); nonché il seguente appunto in PW, 829: "Sulla dottrina delle rivolu­zioni come innervazioni dd collettivo: 'La soppressione della proprietà pri­vata è ... la completa emancipazione di tutti i sensi umani. .. ; ma è un'eman· dpazione siffatta ... perché i sensi e lo spirito degli altri uomini sono diven­tati la mia propria appropriazione. Oltre questi organi immediati si formano quindi organi sociali ... per esempio, l'attività che io esplico immediatamen-te in società con altri ... è diventata organo di una manifestazione vitale ed

TECNICA E Plffi!STORIA 105

sono tentativi di innervazione del nuovo collettivo, che per la prima volta appare storicamente, che ha nella se­conda tecnica i propri organi. Questa seconda tecnica è un sistema in cui il padroneggiamento [Bewàltigung] delle elementari forze sociali rappresenta il presuppo­sto per il gioco [Spie!] con le forze naturali" (II, :360, n. 4;cfr. Ft., 717,n . .3). ·

Naturalmente, nel periodo di adattamento, alcune mete saranno percepite come realistiche, altre come utopiche- è a questo proposito molto significativo che nei Paralipomena alla II, risalenti al periodo che va dal­la fine di gennaio ai primi di febbraio dell9.36, Benja­min affermi che "oltre all'utopia della seconda natura vi è un'utopia della prima natura"6 e parli di "eùt dop­pelter utopischer Will" (GS VII-2, 665-66). Ma quel che importa è il fatto che, come si è visto, mentre la prima tecnica impiega l'uomo il più possibile, la seconda lo

un modo dell'appropriazione della vita umana. S'intende che l'occhio uma­no gode _in modo 9-}verso dall'occhio rozzq, inumano, l'orecchio umano in modo daverso dali orecchio rozzo ecc.'. Marx, Der historirche Materiali­smus. Die Friihschn/t,<n, I,_ P\'· 300-1 {Nationa/Okonomie und Philosophie)". 4 cataz:'one SI trova m tr. lt. m K. Marx, Manoscritli economico-filosofici ed lt. a c. d t N. Bobbio, Einaudi, Torino 1985, pp. 130-31. '

6 ... La prima si trova più vicina alla realizzazione della seconda. Quanto ~iù si e;;tende lo. sviluppo dell'umanità, tanto più palesemente le utopie che nguar4ano la pnrna natura (e soprattutto il corpo [Leib] umano) retrocedo­no a vantaggio di quelle che concernono la società e la tecnica. Il fatto che tale recesso sia provvisorio, si capisce da sé. l problemi della seconda natura quelp sociali e. tecnici, ~evono èssere molto vicini alla loro soluzione, ptim~ che l problemt della p n ma natura- amore e morte -lascino presagire~ loro contorni". Se acuti spiriti della rivoluzione borghese, come Sade e Fo~rier pensavano ad una immediata realizzazione della fdicità,l'Unione Sovietic~ connette le modalità collettive di esistenza a una programmazione tecnica su scala planetaria, che include spedizioni nell'Artide c nella stratosfera. •se in tale cont~t? si d~ asc~lto alla parola d'ordine 'sangue e terra', si sente il col­po con ~ut ~-fasc1smo cc;ca d~ sbarrare _la strada a entrambe quelle utopie. Sanç.~e - c1o v.a. co?tro l. utopia della p n~ a na

1

tura, che vuoi dare la propria ~edictna a tutti I m1crob1 sul campo da g1oco. Boden' -dò va contro l'uto· paa d~a se_conda natura, la cui realizzazione deve essere un privilegio di qud tipo da uomo che sale sulla stratosfera per gettarne giù bombe" {GS VII-2, 665-66).

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106 PICCOLA STORIA D.ELLA LONTANANZA

impiega il meno possibile, puntando a una "progressi­va liberazione dell'uomo dalla corvée del lavoro" che gli permette di ampliare in modo incommensurabile il proprio campo d'azione (letteralmente- e preferibil­mente, dato il continuo riferimento del contesto allo Spiel- "spazio di gioco": Spielraum): "Di questo spazio di gioco l'individuo non è ancora informato [non sa an­cora orientarsi, preferisce la F r.], ma già gli presenta le sue esigenze" (II, .360, n. 4).

La seconda tecnica riverbera dunque i suoi effetti non solo sulle masse, ma anche sull'individuo singolo, il quale, emancipato dai limiti che gli imponeva la pri­ma tecnica, torna a porre con urgenza quelle questioni vitali che tale tecnica aveva represso: l'amore e la mor­te: "L'opera di Fourier è il primo documento storico di questa esigenza"7 (II, .360, n. 4).

7. Della figura del filosofo, economista e teorico della società Charlcs f'ouricr (1772-1837) Benjamin si è intensamente occupato- riservandogli ad esempio il primo capitolo (Fourier o le gallerie) dell' Exporé dd 1935 Pari­gi. La a1pitale del XIX reco/o (PW, 5-8) e prevedendo per lui un posto d'ono­re nel Passagenwerk {cfr. i relativi appunti e materiali in PW, 791-~27). il pensiero fourieriano consiste cssenzial~ente in una f~osofi~ d~a sto~~ qua­dripartita {eden primordialei degrada7.lone delle socaetà, di cu1 la cns1 della società civilizzata è l'ultima fase, e quella peggiore; società armonica; morte dell'umanità) e in un esperimento sociale volto a superare l'infimo momento di infelicità corrispondente alla civiltà sua contemporanea i~ direz~one de!la società armonica. Fra i punti ~ond~mentali dd pro?r~m':"a ~~ Founer trovta­mo l'abolizione del commercto pnvato e della famtglia: il prtmo, sotto forma di incontrollato libero scambio, è la causa delle crisi economiche mondialii la seconda, culla dell'egoismo, si basa sulla repressione ddla sessualità e del­la donna. Solo sottraendo alla morale le passioni, cioè quegli impulsi origina­ri dell'uomo che favoriscono la coesione sociale e la creatività, e lasciando lo­ro libera espressione si potrà pervenire alla perfetta fdicità, nonché alla tra­sformazione dd lavoro in lavoro attraente e giocoso. Cruciale in Fourier era l'organizzazione delle comunità in "falangi" (gruppi di 1600 uomini e don­ne), residenti in unità urbanistiche denominate "falansteri" ("Fourier- scri­ve Bcnjamin- ha visto ndle gallerie il canone architettonico dcl falanstero": AN,147-48) e dedite ad attività agricole, artigianali e anche moderatamente industriali, oltre che intellettuali e ludiche. Si veda la tr. it. parziale dd suo Teon·a dei quatlro movimenti [1808t il nuovo mondo amoroso e altri sedili su/lavoro, l'educazione e l'archite/tura nella società d'Armonia, scelta e in­trod. di I. Calvino, tr. i t. E. Basevi, Einaudi, Torino 1971.

TECNICA E PREISTORIA 107

Ora, l'insistenza di Fourier sulla sostituzione del gioco al lavoro e sull'armonia come meta da raggiunge­re nei rapporti tra uomo e uomo e tra uomo e natura mostra tratti evidentemente affini con quelli che abbia­mo visto caratterizzare la prefigurazione benjaminiana dell'avvento compiuto della seconda tecnica. Ma a Benjamin, come ben si evince dal paragrafo dedicato. a Fourier nell'Exposé del1935, interessa, oltre alla pre­conizzazione del futuro, anche altro, e cioè- dialettica­mente -l'emergere, proprio nel nuovo, di tratti arcaici: "Nel sogno in cui, ad ogni epoca, appare in immagini la seguente8, questa appare sposata ad elementi della pro­tostoria [Urgeschichte], e cioè di una società senza clas­si. Le esperienze della quale, depositate nell'inconscio del collettivo, producono, compenentrandosi col nuo­vo, l'utopia, che lascia le sue tracce in mille configura­zioni della vita, dalle costruzioni durevoli alle mode ef­fimere. Questi rapporti sono riconoscibili nell'utopia diFourier" (PW, 7).

Per questa sua riflessione sul rapporto tra arcaico e moderno, tra preistoria mitica ed era tecnologica, con­dotta soprattutto nella "protostoria del XIX secolo"9

del Passagenwerk, nonché nella sua premessa metodo­logica, il saggio sull'opera d'arte, Benjamin può essere a buon diritto annoverato fra gli esempi più significati­vi di quel pensiero della tecnica10 che, proprio negli an-

8. L'esergo a questo passo è una citazione daJ. Michdet, Avdhir! Avt­nir_l: "'Chaque époque rive la suivante".

9. lo! 'Protostoria dd XIX secolo'. Essa non avrebbe alcun interesse se la si intendesse nd senso che all'interno del XIX secolo debbono essefe ritro· vate forme protostoriche. ll concetto di protostoria dd XIX secolo può ave· re un senso solo là dove il XIX secolo è esposto come forma originaria ddla protostoria, cioè come una forma in cui l'intera protostoria si rinnovi tanto da far riconoscere alcuni suoi tratti più antichi come precursori di quelli più recenti." (PW, 1063; cfr. anchc600).

10. Sul pensiero della tecnica cfr. l'utile antologia a c. di M. N a cci, Tecm·· ca e cultura de/14 criri(1914-1939), Loescher, Torino 1982.

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108 PICCOLA STOlti/l. DELLA LONTANANZA

ni Trenta, ha visto il contributo- per non citare che al­cuni tra i casi più noti - di Spcnglcr (Uuomo e la tecnica, 1931), di Husserl (La crisi delle scienze europee, 1936), di Jaspers (La situazione spirituale del nostro tempo, 1931), di Huizinga (La crisi delta civiltà, 1935), di Friedrich Georg]linger (La perfezione della tecnica, 1939), del suo più celebre fratello Ernst (La mobilita­zione totale, 1930; Il lavoratore, 1932).

La concezione benjaminiana della tecnica- proprio come quella relativa alla perdita dell'aura - oscilla in modo caratteristico tra una visione sostanzialmente po­sitiva, improntata come si è accennato al Zusammen­spiel, al gioco combinato di uomo e natura, c una visio­ne pessimistica e negativa, incentrata sul concetto di sfruttamento. A questo proposito, è particolarmente si­gnificativa la Tesi XI Sul concetto di storia, che fa pro­prio esplicito riferimento a Fourier: lamentando l'inge­nuità dei lavoratori tedeschi, illusi che lo sviluppo tec­nico del lavoro avrebbe significato di per se stesso un progresso politico, Benjamin afferma che un tale con­cetto del lavoro "vuoi tenere conto solo dei progressi del dominio della natura, non dei regressi della società. Esso mostra già i tratti tccnocratici che più tardi s'in­contreranno nel fascismo. A questi tratti appartiene an­che un concetto di natura che contrasta malaugurata­mente con quello delle utopie socialiste prequarantot­tesche. n lavoro, come ormai viene inteso, ha per sboc­co lo sfruttamento della natura, che viene contrappo­sto, con ingenua soddisfazione, allo sfruttamento del proletariato. Confrontate con questa concezione posi- . tivistica, le fantasticherie che tanto hanno contribuito alla derisione di un Fourier, mostrano di avere un loro senso sorprendentemente sano. Secondo Fourier, il la­voro sociale ben organizzato avrebbe avuto come con­seguenza che quattro lune illuminassero la notte terre-

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stre, il ghiaccio si ritirasse dai poli, l'acqua eli mare non sapesse più di sale, e gli animali feroci entrassero al ser­vizio degli uomini. Tutto ciò illustra un lavoro che, ben lqntano dallo sfruttare la natura, è in grado eli sgravarla delle creazioni che, in quanto possibili, sono sopite nel suo grembo. Al concetto corrotto di lavoro appartiene, come suo complemento, quella natura che, come ha detto Dietzgen, 'è là gratuitamente'" (CS, 39-41).

Questa visione per così dire ostetrica, maieutica, della buona tecnica, capace eli far partorire la natllra, femmina gravida, dei suoi prodotti, contrasta sensibil­mente con l'atteggiamento della cattiva tecnica, che scava fosse sacrificali nel ventre della Madre Terra, così come Benjamin l'aveva descritta nell'ultimo aforisma di Strada a senso unico, "Al planetario", in riferimento a quel "nuovo inaudito connubio con le potenze co­s~ich~" che si era verificato durante la Prima guerra mondiale: "Masse umane, gas, energie elettriche sono state gettate in campo, correnti ad alta frequenza han­no attraversato le campagne, nuovi astri sono sorti nel cielo, spazio aereo ed abisso marino hanno risuonato di motori, e da ogni parte si sono scavate nella Madre Terra fosse sacrificali. Questo grande corteggiamento del cosmo s'è compiuto, per la prima volta, su scala planetaria, cioè nello spirito della tecnica. Ma poiché l'avidità di profitti della classe dominante contava di soddisfarsi a spese di essa, la tecnica ha tradito l'uma­nità e ha trasformato il letto nuziale in un mare di san­gue" (SSU, 68) 11 •

11. Si veda quest'immagine di Berlino in Cn.si del romanto recensione del!9}0 di.Berlin Alexande..pùm di DOblin: "Che cos'è l'Alex~nderplatz a ~rimo? È il luogo dove da due anni in qua avvengono le trasfonnazioni più viOlente, draghe e bulldozer sono continuamente in attività, il suolo trema ~r i loro colpi, per le colonne degli autobus e per la metropolitana, dove le vtscere della capitale, i cortili intorno alla Georgenkirchplatz st sono aperti più in profondità che altrove" (AR, 96).

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Dunque, la differenza tra cattiva tecnica (imperiali­stico "dominio della natura") e buona tecnica (''domi­nio del rapporto tra natura e umanità") dipende da un radicalmente diverso intendimento della natura, là ma­dre feconda, qui mera cosa utilizzabile. È da un fram­mento del Passagenwerk che si può evincere a quale pensatore Benjamin fu debitore della sua concezione materna e femminea della natura: "Anche in epoche di relativo sottosviluppo delle forze produttive l'idea fe­roce dello sfruttamento della natura [ ... ] non è stata af­fatto quella decisiva. Certamente essa non ebbe alcuno spazio fintanto che l'immagine vigente della natura fu quella della madre dispensatrice di doni, qual è stata ri­costruita da Bachofen per le società matriarcali. Nella figura della madre quest'immagine è sopravvissuta a tutti i mutamenti della storia. È evidente però che essa diviene ben più sfocata in epoche in cui persino molte madri si trasformano, rispetto ai loro figli, in agenti di classe" (cit. inJJB, 33)Y

L'influenza del grande storico svizzero del diritto J ohann J acob Bachofen sull'opera di Benjamin è diffi­cilmente sopravvalutabile. Nel saggio sul Simbolismo funerario degli antichi, del1859, e più sistematicamente nel grande lavoro sul Matriarcato, del 1861D - lavori che Benjamin tentò problematicamente di "salvare"

12. Sulla presenza di Bachofen in Benjamin cfr. G. Plumpe, Die Ent· deck~'!g.,Jer Von.velt. Er/Juterungen tu Benjamim Bacho/en/ektUre, in ·rext + Kriuk , 31132, Miinchen, 1971-19792, pp. 19-40; M. Pezzella, Interpreta­zioni di Bacho/en nell'opera di Walter Benjdmin, in "'Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa", 18, 1988, pp. 843-57; E. Villari, Introduzione aJJB, pp.ll-34.

!J. J.J- Bachofen, Il simbolùmo funeran'o degli antich1; t r. it. di M. Pez­z:Ua e V. ~anzara Gigante, Guida, Napoli 1989; Il matn"arcato. Ricerca sulla gm~cocra~ta del n:ondo an/i~ nei suoi aspetti religiOJi e giunJici, tr. it. di G. Schiavoni e F.Jest, 2 voli., Etnaudi, Torino 1988.

'ITCNICA E PREISTORIA 111

dalle interpretazioni reazionarie degli anni Venti (Kla­ges, il klagesiano Bernoulli, Baeumler)l4 - Bachofen espone una filosofia della storia incentrata sulla scoper­ta di una fase matriarcale, precedente a quella patriar­cale e comune a tutte le culture.

Operando per coppie simboliche oppositive (Cielo vs Terra; Giorno vs Notte; Luce vs Olllbra; Apollo vs Demetra; Padre vs Madre; mondo olimpico-uranico vs mondo tellurico-ctonio; diritto paterno vs diritto ma­terno; diritto positivo vs diritto naturale; etica aristo­cratica della differenza vs promiscuità orgiastico-co­munistica; Occidente vs Oriente; civiltà degli Eroi vs civiltà delle Madri; spirito vs materia; purezza vs impu­rezza; destra vs sinistra), Bachofen propone uno sche­ma diacronico dell'evoluzione dell'umanità in cui ogni fase scaturisce per negazione della fase che la precede, per bruschi rovesciamenti dei rapporti di forza che vengono così resi comprensibili: "Le caratteristiche pe­culiari di ogni stadio si fanno pienamente comprensibi­li solo quando vengono contrapposte" 15

n primo stadio è l'eterismo o a/roditismo, caratteriz­zato da promiscuità sessuale e dominato dalla legge del più forte, quindi dalla violenza fisica esercitata dagli uomini sulle donne (il matrimonio ancora non esiste). n suo "prototipo naturale" è la flora palustre, dominata dalla legge naturale della materia: lo ius naturale in cui

.'!

I 4. Si veda JJB, del1934; la recensione di J .] . Bachofen, Griechische Rri­se, in OC, 40-41, e quella di C.A. Bernouilli,Johann Jakob Bacho/en un d dar Naturrymbol, 1924, in GS lll, 43-45. Sulla riscoperta reazionaria di Bacho­fen cfr. G. Schiavoni, .. Rovine della 'Simbolica'. Su Creuzer, BachOfen e cul­tura di destra", in Risalire il N ilo. Mtio, /M ba, allegoria, a c. di F. Masini e G. Schiavoni, Sellerio, Palermo 1983, pp. 349-70; F. Jesi, "Scienza dd nùto e 'destra tradizionale'. Polemica di W. Bcnjamin verso qudla 'destra"', in Mi­lo, Monda dori, Milano 1989, pp. 69-75.

15.].]. Bachofen, Il matriarC4IO, cit., p. 47.

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si intrecciano putrefazione e procreazione. È nel "con­trasto fra l'agricoltura e la iniussa ultronea crea t io [spontanea produzione della Madre Terra]" 16 tipica della palude che si determina il passaggio alla fase de­metrica, che regolamenta tramite il matrimonio i rap­porti sessuali. Ciò costituisce però al tempo stesso una disobbedienza alla legge di natura, la cui ira doveva es­sere pacificata tramite una prostituzione sacra, con­trappeso della conquistata monogamia. L'equilibrata norn1a demetrica, definita entusiasticamente da Bacho­fen "la poesia della storia" 17 , garantisce pace, pietà, equità (in questa fase bachofeniana i marxisti salutaro­no un Urkommunismus).

Strettamente connessa all'eterismo palustre è la fase dell'amazzomsmo, uno stadio di imperialismo femmi­nile ritenuto da Bachofen un "necessario" momento di resistenza armata alla violenza maschile. Alla gineco­crazia amazzonica risponde il dionisismo, visto come l"'irreducibile avversario della degenerazione innatu­rale in cui era caduta l'esistenza femminile" 18. Dioniso è divinità femminile e al contempo fallica: ambivalente nel suo opporsi all' amazzonismo in favore della femmi­nilità demetrica, però anche nell'innegabile legame tra culto bacchico e sfrenatezza eterica, nonché per l'an­nunciarsi in esso del principio spirituale paterno: egli costituisce il primo germe di quella che sarà l'apollinea rivoluzione patriarcale, per Bachofen "la svolta più im­portante nella storia dei rapporti fra i sessi" 19, definiti­vamente garantita dall'avvento dell'imperium virile ro­mano.

16. lvi, p. 32. 17. lvi, p.19. 18. lvi, p. 36. 19. lvi, p. 44.

TECNICA E PREISTORIA 113

Ora, è significativo che secondo Bachofennella fase dionisiaca ritorni un momento eterico-tellurico, sfrena­tamente insofferente di ogni limite. Ciò significa che, pur all'interno di una necessaria progressione evolutiva . verso il patriarcato, non si esclude la possibilità che sta­di di vita inferiori possano riemergere, nonostante il presunto superamento compiuto verso fasi superiori: una riemersione che Bachofen connota ora in senso po­sitivo ora in senso negativo, come "rinascita" o come "ricaduta". Ciò comporta- come è stato osservato20 - il ricorso a due modelli di temporalità: uno teleologico, basato sulla dimensione unidirezionale che va dalla matriarcato al patriarcato, e uno circolare, basato sulla mitica lotta primordiale di Maschio e Femmina, in cui nulla è veramente sorpassato una volta per tutte e si è consegnati alla ineluttabilità dell'eterno ritorno dell'i­dentico: un'alternativa che Benjamin ha declinato in termini di "complementarietà "21 •

Verificando la fecondità della legge bachofeniana secondo cui, "radicalizzandosi all'estremo, ogni princi­pio favorisce la vittoria del suo opposto;[. .. ], il supre­mo trionfo è anche l'inizio della disfatta "22

, Benjamin scorge nell'ambito dell'impianto tecnico del mondo, che rimuove le originarie potenze naturali, la rinascita

20. Per i due paradigmi temporali in Bachofen cfr. C. Ces.a, &c~o(en; L: fi/mofoz de/L: storia, in • Annali della Scuola Normale Supenore di P1.1a , s. 3, vol. XVUI, 1988,2, p. 641; A. Cesana, I: antico <il nuovo Stato.~ critica del moderno e la JUa motivazione s/ori'co-univeriizle in f.]. &cho/en, m •Qua­derni di storia", 28, 1988, p. IO!.

21. "La fede nel progresso- in una perfettibilità infinita quale co.mpito infinito della morale- e l'idea dell'eterno ritorno sono complementan. Esse costituiscono le indissolubili antinomie rispetto alle quali va svilu_ppato il concetto dialettico de:l tempo storico. Di fronte a questo l'idea dell'eterno ritorno appare frutto proprio di qud •piatto raz.ionalismo' di cui si accusa la fede nd progresso, e quest'ulùma si rivda altrettanto appartenente al pen­siero mitico quanto l'idea dell'eterno ritorno" (PW, 174).

22.J.J. Bachofen, Il matriarcato, cit., p. 28.

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eli un mondo mitico, tdlurico e ctonio, la cui torbida acquaticità2> è l'habitat ideale delle prostitute baudelai­riane24 e delle eteriche figure kafkiane, e in primo luogo delle sue donne, bachofeniane "creature palustri, come Leni, che stende 'il medio e l'anulare della destra, con­giunti fra loro da una membrana fin quasi all'ultima fa­lange'" (AN, 295)25: "'Credere nel progresso - cita Benjamin da Kafka, nel saggio a lui dedicato del1934-non significa credere che un progresso sia già avvenu­to'" (AN, 295). Il tempo si è fermato alla Vorwelt miti­ca: "L'epoca in cui egli vive non significa per lui alcun progresso sugli inizi preistorici. I suoi romanzi si svol­gono in un mondo palustre. La creatura appare in lui allo stadio che Bachofen definisce eterico. Che questo stadio sia dimenticato, non significa che esso non affio­ri nel presente. Anzi, esso è presente proprio in virtù di questa dimenticanza" (AN, 295).

23. La stessa descritta nel saggio sulle Affinità elellive: "L'acqua, come elemento caotico della vita, non minaccia qui in onde selvagge che recano all'uomo la morte, ma nella quiete enigmatica che lo fa andare a fondo" (CCRT. 187). Si veda- in questa tr. it. più completa dd saggio rispetto a quella di AN -la citazione da Bernouilli sull'interpretazione bachofeniana dd simbolo, prima ctonio e poi celeste, della cicala (CCRT, 245). Anche per la trattazione delle pietre scpolcrali e dell'atteggiamento dei protagonisti nei confronti dei defunti (CCRT, 186} Benjamin sembra aver tenuto ben pre­sente l'orizzonte dischiuso dalla Sepulkralhermeneutik bachofeniana.

24. • 'L'ottusità - scrive Baudelaire in uno dei suoi primi articoli - è spesso l'ornamento della bdlezza. È grazie ad essa che gli ocdù sono tristi e trasparenti come i neri acquitrini, o hanno la calma oleosa delle palucli tropi­cali'. Se c'è una vita ln quegli occhi, è quella della bdva che si assicura dal pericolo mentre guarda intorno in cerca di preda. Così la prostituta, mentre bada ai passanti, si cautela insieme dai poliziotti" (AN,127).

25. Il passato di Frieda, nel Castello, •ci riporta nel grembo oscuro dei tempi, dove si compie quell'accoppiamento 'la cui lussuria sfrenata- per dirla con Bachofen- è invisa alle pure potenze della luce celeste, e giustifica l'espressione luteae voluptates, di cui si serve Amobio' (AN, 295. Cfr. J.J. Bachofen, Simbologia funeraria degli antichi, cit., p. 556). Per le categorie bachofeniane impiegate da Benjamin nella sua interpretazione di Kafka mi permetto di rimandare al mio Ridare voce alla palude silenziosa. Benjamin­Ka/ka via Bacho/en, in "Pratica filosofica",}, 1994, pp. 10}-18.

TECNICA E PREISTORIA 115

Ma a nostro avviso la riflessione bachofeniana sulla Vorwelt fornisce a Benjamin gli strumenti categoriali non solo per rilevare il riaffiorare eli tratti arcaici nell'e­ra della tecnica, bensì anche per circoscrivere lo statuto dell'arte auratica e del suo valore cultuale, grazie al "si­gnificato metodologico dd confronto tra l'epoca di vol­ta in volta trattata con la preistoria, come si trova sia nel lavoro sul film (nella caratterizzazione del valore cul­tuale), sia nel lavoro su Baudelaire (nella caratterizza­zione dell'aura)" (Materiali preparatori delle tesi: CS, 102-103 ).

Molto significativamente, nel saggio dedicato a Ba­chofen, Benjamin cita q__uesto passo dalla autobiografia dello storico svizzero: "E con la pietra tombale che si è formato il concetto eli Sanctum, eli ciò che è immobile e inamovibile. Quanto stabilito, vale in seguito anche per i cippi confinari e le mura che, quindi, formano con le pietre tombali l'insieme delle res sanctae"26 (JJB, 44). "Anche l'arte e 1' ornamentistica - scrive Bachofen in quella stessa pagina -hanno avuto origine dalla deco­razione delle tombe". Queste, assieme alle pietre confi­narie e alle mura, sono partorite dalla stessa mad~e ter­ra: "La terra ci reca dal suo grembo pietre tombali, pie­tre confinarie.e mura, facendole venire fuori là dove, come elice Platone, esse prima dormivano"27 •

Di tale originaria radice cultuale e sepolcrale dell' ar­te- compensata per certi versi dal riegliano "cultcr mo­derno dei monumenti"28 - Benjamin descrive la para-

26. Cfr.J.J. Bachofen, "Autobiografia", in Din"tto e storia. Sm~ti sul ma­lri'arcato, l'antichità e l'Ollocento, a c. di M. Ghdardi e A. Cesana, Marsilio, Venezia 1990, pp. 3-4}, qui p. 24.

27 lvi, pp. 24-25 (il riferimento platonico è auggi, 7780). 28. Sul Denkmalkultus cfr. A. Riegl, Il culto moderno dà monumenti. Il

suo cara l/ere e i suoi inizi [1903 ], a c. di S. Sc~rrocchia, Nuova Alfa editoria­le, Bologna 1990, c il breve scritto di W. Kemp, •Iknjamin e il culto dei mo-

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boia discendente, che prima di inabissarsi completa­mente nel cinema si trattiene per un momento nei pri­mi ritratti fotografici, la cui auraticità è conservata dalla lontananza del morto. Osservando infatti nel paragrafo G come sia stata la fotografia a promuovere la progressi­va sostituzione del valore espositivo al valore cultuale, Benjamin nota che questo però resiste nelF"ultima trincea, che è costituita dal volto dell'uomo. Non a caso il ritratto è al centro delle prime fotografie" (III, 28). È la funzione cultuale- puntualmente connessa alla cate­goria di distanza (spaziale: i cari lontani; temporale: i cari defunti) ad accomunare secondo Benjamin i ritrat­ti dei quadri tradizionali e i primi ritratti fotografici: "Nell'espressione fuggevole di un volto umano, dalle prime fotografie, emana per l'ultima volta l'aura", che viene soppressa dalla dominanza del valore espositivo una volta che l'uomo esce di scena dalle fotografie. Ciò accade con Atget e con le sue fotografie di deserte stra­de parigine: "Molto giustamente è stato detto che egli fotografava le vie come si fotografa il luogo di un d eli t­to", alla ricerca di tracce e indizi che vanno a costituire "documenti di prova nel processo storico" (III, 29). Ciò costituisce secondo Benjamin la nascosta valenza politica delle immagini di Atget, che per il loro caratte­re inquietante impediscono una ricezione contemplati­va e divagante, tipica invece delle immagini tradiziona­li, e ci ingiungono di "cercare una strada particolare" per poter accedere alloro senso. Ugualmente i giornali illustrati non si limitano a offrire al lettore immagini, ma dotano queste di didascalie (cosa del tutto differen­te dal titolo del quadro), proponendo chiavi di lettura,

nume.nti di Riegl", in S. Scarrocchia (a c. di), AloiJ Riegl: teoria e praHÌ della comervaz.ione dei monumenti, cit., pp. 417-19.

TECNICA E PREISTORIA 117

"una segnaletica. Vera o falsa - è indifferente", dice Benjamin procedendo con la metafora della viabilità, che diventeranno ben più vincolanti nella ripresa cine­matografica, "dove l'interpretazione di ogni singola immagine appare prescritta dalla successione di tutte quelle che sono già trascorse" 29 (III, 29).

Agli occhi di Benjamin, a costituire· una prova del­l'incompatibilità di questa nuova forma cinematografi­ca di comunicazione dell'immagine con una concezio­ne auratico-cultuale dell'arte è proprio il fatto che i pri­mi teorici del cinema abbiano tentato di caratterizzare il nuovo mezzo in termini per l'appunto teologici eri­tuali. Come ci racconta nel paragrafo 7, i primi teorici del cinema (siamo nella seconda metà degli anni Venti), ancor più di quelli della fotografia, inconsapevoli della portata e del significato della trasformazione in atto, si provarono a reintrodurre come consustanziale al nuovo mezzo l'elemento rituale: Abel Gance accosta il fùm ai geroglifici egizi e lamenta la mancanza di un culte ade­guato per comprendere il nuovo linguaggio; Séverin­Mars, citato dallo stesso Gance, auspica l'esclusiva rap­presentazione di nobili personaggi "negli attimi più perfetti e più misteriosi della loro vita"; Arnoux (citato solo nella Fr. e nella III) impiega definizioni che, come

29. Si ricordi a tale proposito l'esperimento di Pudovkin, che M,erleau· Ponty così sintetizza: "'Pudovkin riprese un giorno un primo piano di Motukhin impassibile, e lo proiettò preceduto prima da Wl piatto di mine­stra, poi da una giovane donna morta ndla bara e infine da un bambino che giocava con un orsacchiotto fdpato. Si accorse subito che Mofukhin aveva l'aria di guardare il piatto, la giovane donna e il bambino, e poi che guardava il piatto con aria pensosa, la donna con dolore, il bambino con un luminoso sorriso[ ... ]. n senso d'una immagine dipende dunque da quelle che ]apre­cedono nel film: la loro successione crea una realtà nuova che non è quella della semplice somma degli dementi impiegati" (M. Merlcau-Ponty, .. Il ci­nema e la nuova psicologia" [1945], in Senso e non unso, tr. it. di P. Caruso, introd. di E. Paci, Il Saggiatore, Milano 1974, p. 76).

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118 PICCOLA SI URlA DELLA LONTANANZA

lui stesso ammette, sarebbero adatte a determinare la natura della "preghiera". E ancora F ranz Werfel, in pie­ni anni Trenta, lamenta che il cinema non abbia ancora compreso "il suo vero senso", e cioè il compito di rap­presentare il "magico, meraviglioso, sovrannaturale"30•

Testimonia forse una volta di più dell'oscillazione con cui Benjamin affronta il problema del rapporto tra culto ed esposizione, tra magia e tecnica, tra arte e mass media, il fatto che egli stigmatizzi questa auraticizzazio­ne del cinema auspicata da Werfel come tipica di "certi autori reazionari", laddove il suo stesso "saggismo -come sintetizza efficacemente Adorno - consiste nel trattare testi profani come se fossero sacri"31 , grazie alla "capacità di penetrare le manifestazioni della cultura borghese come geroglifici del suo fosco segreto"32 •

Una sacralizzazione non dissimile accompagnava la rinascita di tratti arcaici nelle prime caratterizzazioni teoriche del cinema. Con la reintroduzione del mo-

30. l testi cui Benjamin fa riferimento sono: A. Gance, Letemps de l'ima­ge est uenu (I:art cinématographique, II}, Paris 1927; A. Amoux, Cinéma, Paris 1929; F. Werfcl, Ein Sommernachtstraum. Ein Film von Shakespeare und Reinhardt, in "Neues Wiener Journal",l5.11.1935.

31. Sullo stile auratico di Benjamin Si veda la domanda che lo storico dell'arte americano Meyer Schapiro, entusiasta lettore del saggio sull'opera d'arte, pose ad Adorno: "Quanto intensamente egli [se il. Schapiro] si sia confrontato con le Sue cose, Le: può risultare dalla domanda che mi ha po­sto: qual è il rapporto tra la Sua critica ddl'auratico e il carattere auratico dci Suoi propri scritti. Se qualcuno si merita un esemplare in omaggio di Stradtz a senso unico, quello è certamente Schapiro" (lettera dd 2.8.38, in A·B, 346).

32. Prismi, cit., p. 240. Sul gerogUfico cfr. anche E. Bloch, "Geroglifici del XIX secolo", in Eredità del nostro tempo, cit., pp. 319-25: "La forma in cui questo secolo ha imitato il sogno, ha copiato, mescolato e sostituito epo· che passate si cristallizza in geroglilici" (ivi, p. 320). Questo testo blochiano fece insorgere in Bcnjamin sospetti di plagio a danno del Panagenwerk: .. Ai miei colleghi letterati, e perfino agli amici, non faccio invece saper nulla di questo lavoroj nulla di preciso. Attualmente è in uno stadio in cui è partico­larmente esposto a ogni immaginabile ingiuria, non da ultimo a quella del furto. Capirai che i Geroglifici del secolo XIX di Bloch mi hanno messo un poco di paura" (lettera ad Alfred Cohn .. 18.7.1935: L, 292).

TECNICA. E PREISTORIA. 119

mento cultuale si cerca di recuperare la dimensione au­ratica, riallacciando il polo dell'estrema tecnologicizza­zione al polo arcaico della ieratica espressività egizia: "È molto istruttivo osservare come lo sforzo di far rien­trare il cinema nell'arte costringa tutti questi teorici ad attribuirgli, con una pervicacia senza precedenti, que­gli elementi cultuali che non ha" (III, 30). Sembra qui che venga ad essere esemplificata quella legge presenta­ta nell'Exposé del 1935, secondo cui "alla forma del nuovo mezzo di produzione, che, all'inizio, è ancora dominata da quella del vecchio (Marx), corrispondo­no, nella coscienza collettiva, immagini in cui il nuovo si compenetra col vecchio. Queste immagini sono proiezioni del desiderio, in cui il collettivo cerca di eli­minare o di abbellire l'imperfezione del prodotto so­ciale, come pure i difetti dell'ordinamento sociale della produzione. Emerge insieme, in queste proiezioni, l'e­nergica tendenza a distanziarsi ~all'invecchiato- e cioè dal passato più recente. Queste tendenze rimandano la fantasia, che ha tratto impulso dal nuovo, al passato an­tichissimo" (PW, 6-7).

Così "un rivolgimento di portata storica mondiale [weltgeschichtlich]" quale la riproducibilità tecnica del­l'arte, responsabile dell'estinzione dell'"apparenza del­la sua autonomia", poté venire inquadrato nell'ambito di una domanda in fondo mal posta: "Se già preceden­temente era stato sprecato molto acume per decidere la questione se la fotografia fosse un'arte- ma senza the ci si fosse posta la domanda preliminare: e cioè, se attra­verso la scoperta della fotografia non si fosse modificato il carattere complessivo dell'arte-, i teorici del cinema ripresero ben presto questa male impostata problema­tica" (Ili, 29-30), interrogandosi sull'artisticità o meno del film piuttosto che sulle trasformazioni che esso pro­vocava in seno al concetto stesso di "artisticità".

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7 TECNICA E MIMESI

Per dar conto delle modificazioni dello statuto del­l'arte, Benjamin si diffonde in interessanti considera­zioni sul confronto tra riproduzione fotografica di un dipinto e di una scena in uno studio cinematografico, tra attore di teatro e attore di cinema, nonché in rifles­sioni sull'esperienza del test così come si presenta du­rante le riprese di un fìlm, in gare sportive, alla q.tena di montaggio e in colloqui attitudinali.

La riproduzione di un dipinto è di un tipo diverso dalla riproduzione di un evento fittizio preparato in uno studio cinematografico: "Nel primo caso il ripro­dotto è un'opera d'arte e la riproduzione non Io è. Poi­ché la performance del fotografo che opera con l' obiet­tivo è tanto poco un'opera d'arte quanto lo è quella di un direttore che dirige un'orchestra sinfonica; nel mi­gliore dei casi è una performance artistica: Le cose van­no diversamente con le riprese in uno studio cinemato­grafico. Qui già il riprodotto non è un'opera d'arte, e lo è naturalmente altrettanto poco, dal canto suo, la ripro­duzione, come non lo era una fotografia nel primo ca­so. L'opera d'arte nasce qui nel migliore dei casi solo sulla base del montaggio. Nel fìim essa riposa su un

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122 PICCOLA SfORIA DELLA lONTANAN'"lA

montaggio, ogni singolo componente del quale è lari­produzione di una scena che non è un'opera d'arte in sé, né la produce nella fotografia" (II, 364).

Che cosa sono allora, si chiede Benjamin, questi sin­goli elementi costitutivi del film che non rappresentano -se singolarmente presi- alcunché eli artistico- né in sé, né nella loro riproduzione nel fotogramma? La ri­sposta va cercata nella particolare prestazione profes­sionale dell'attore eli cinema il quale, a elifferenza del­l'attore di teatro, non si trova a recitare di fronte a un pubblico occasionale e contingente, bensì eli fronte a un comitato eli specialisti- direttore eli produzione, re­gista, operatore eli macchina, tecnico del suono o delle luci ecc.- che hanno la possibilità eli intervenire in ogni momento nella recitazione dell'attore, moelificandola. Questa situazione, che Benjamin definisce un "inelice sociale molto importante", accomuna il film alla presta­zione sportiva e più in generale all'esecuzione eli un test. Il montatore infatti, trascegliendo dalle nwnerose varianti eli una stessa scena- che viene infatti per lo più girata molteplici volte- istituisce una gerarchia fra esse (una prima arrivata, un seconda, ecc.), cioè un primato o record. Con questa clifferenza: "Una scena rappre­sentata nello stuelio eli registrazione clifferisce dunque dalla corrispondente scena reale come il lancio eli un disco in un campo sportivo durante una gara clifferisce dal lancio dello stesso elisco nello stesso luogo e sulla medesima traiettoria, se ciò accadesse per uccidere un uomo. Il primo caso sarebbe l'esecuzione di un test, il secondo no" (II,364).

Ma- precisa Benjamin -l'esecuzione del test pro­pria dell'attore cinematografico è eli carattere del tutto particolare. Essa consiste nel superamento eli quei limiti naturali posti dalla costituzione fisica umana allo sporti-

TECNICA E MI MESI 123

vo, la cui prova in gara- esibita al pubblico secondo un alto valore espositivo - è sempre e comunque un test naturale. Altrimenti stanno le cose quando il test è mec­canizzato, cioè valutato da apparecchiature, da macchi­ne, dalla tecnologia. Recitare sotto la luce dei riflettori e al contempo soddisfare le esigenze dei microfoni è un'e­secuzione eli test eli primo grado. Questo test meccanico· ha luogo, oltre che nel cinema, nel mondo nwdemo del lavoro- sotto forma eli lavoro alla catena eli montaggio, che quotielianamente impone agli operai innumerevoli test1 -,nonché in quelle prove eli attit4dine professiona­le che valutano appunto tramite test l'idoneità del sog­getto a sottomettersi a quella forma.

A questo punto interviene il cinema, eli cui Benja­min rileva qui l'enorme potenzialità ideologica e con­servatrice dei rapporti eli forza vigenti tra capitale e la­voratore: "Il film rende esponibile l'esecuzione del test, nel momento in cui/a dell' esponibilità stessa dell' esecu­zione un test. I: attore cinematografico non recita infatti eli fronte a un pubblico, bensì eli fronte a un apparec­chio. Il elirettore delle riprese sta esattamente al posto in cui, nella prova d'idoneità, sta il elirettore dell'esa­me" (II, 365)2. Recitando davanti ad una macchina, l'attore climostra eli essere in grado eli conservare cio­nonostante la propria wnanità: "I: interesse per questa performance è enorme. Poiché è un apparecchio quel­lo davanti al quale la stragrande maggioranza degli abi­tanti delle città, durante il giorno lavorativo, deve alie­nare [entaufiern] la propria wnanità negli uffici com­merciali e nelle fabbriche. Alla sera quelle stesse masse

l. •Lo choc che nel fùm determina il ritmo della ricezione, determina al­la catena di montaggio il ritmo deUa produzione" (GS Vll-2, 678).

2. Questa argomentazione si ritrova, estremamente ridotta, sotto forma di nota al S 8 della III, 52, n. 17.

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riempiono le sale cinematografiche, per esperire [erte­ben] come l'attore cinematografico si prenda per esse la rivincita, nel momento in cui la sua umanità (o ciò che a loro appare tale) non solo si afferma di fronte al­l'apparecchio, ma pone questo al servizio del proprio trionfo" (II, 365).

Se consideriamo invece la stesura della III, troviamo al paragrafo 8 una trattazione della differenza tra attore teatrale e attore cinematografico che riduce al minimo l'analisi dello statuto di test della performance di que­st'ultimo (Benjamin si limita a dire che, dato l'essenzia­le intervento dell'apparecchio durante le riprese, sotto forma innanzitutto di movimenti e inquadrature della cinepresa, "la prestazione dell'interprete viene sotto­posta a una serie di test ottici [optische Tests]"), mentre amplia la parte relativa alle differenti modalità della ri­cezione proprie del pubblico teatrale rispetto a quello cinematografico.

Ragione di tali differenze è il fatto che "la prestazio­ne artistica dell'interprete teatrale viene presentata de­finitivamente al pubblico da lui stesso in prima perso­na; la prestazione artistica dell'attore cinematografico viene invece presentata attraverso un'apparecchiatura" (III, 31). Ciò comporta in primo luogo che il fruitore del film non percepisca la totalità dell'esecuzione com­piuta dall'attore, ma solo quelle parti che sono state prescelte nel ·montaggio dalle "prese di posizione" [Stellungnahmen] del montatore. In secondo luogo, che, non trovandosi difronte a un pubblico, l'attore del film a differenza di quello di teatro non può adeguare la sua recitazione ai fruitori: "Il pubblico viene così a tro­varsi nella posizione di chi è chiamato a esprimere una valutazione senza poter essere turbato da alcun contat­to personale con l'interprete. Il pubblico s'immedesi-

TECNICA E MIMESI 125

ma [fiihlt sich ... ein] all'interprete soltanto immedesi-mandosi [sich ... einfiihlt] all'apparecchio. Ne assume quindi l'atteggiamento: fa un test" (III, 31-32). Ciò eli­mina, conclude Benjamin, la possibilità che si possa in­tendere un'esperienza del genere come esprimente va-lori cultuali. ·

Ora, la liquidazione della cultualità; l'impossibilità di una immedesimazione [Ein/iiblung] nell'attore (siri­cordino le ~:onnessioni già esaminate fra aura ed empa­tia); l'esecuzione di un test non solo svolta dal regista e dai tecnici, bensì anche dallo stesso pubblico; la scom­parsa della riflessione sulle implicazioni conservatrici della cinematografia come" rivincita" delle masse, uni­tamente ad una significativa citazione in nota dal Pro­cesso da tre soldi di Brecht, in cui si afferma che il film informa sulle azioni umane nei particolari, ma non sul­l'interiorità dei personaggi, sono tutti elementi che im­primono un complessivo tono positivo al discorso benjaminiano, accentuando nella III le valenze pro­gressive del nuovo mezzo rispetto alle stesure prece­denti, che ne rilevavano piuttosto le funzioni compen­satorie dell'alienazione.

Quanta fiducia Benjamin (in questo molto vicino a Blochl) riponesse del resto nella tecnica- cinematogra- · fica e surrealista - del montaggio per la propria pro­spettiva filosofica stessa è testimoniato da una nota del Passagenwerk: "Metodo di questo lavoro: montaggio letterario. Non ho nulla da dire. Solo da mostrare. Non sottrarrò nulla di prezioso e non mi approprierò di al­cuna espressione ricca di spirito. Stracci e'rifiuti, inve­ce, ma nonper farne l'inventario, bensì per rendere lo-

3. Si veda, ad es., "Montaggi da una sera di febbraio", in Tracce [1930), ed. it. a c. dj L. Boella, Coliseum, Milano 1989, pp. 173-76.

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ro giustizia nell'unico modo possibile: usandoli" (PW, 595).

Come si è visto, a tale uso non si sottraggono nel sag­gio sull'opera d'arte interpretazioni nostalgiche, con­servatrici o reazionarie delle modifìcazioni apportate dalla tecnologia nel cuore stesso dell'arte, interpreta­zioni che Benjamin impiega in funzione descrittiva, mutando ne il segno. È quello che accade, nel paragrafo 9, con Luigi Pirandello. Proseguendo le riflessioni già avviate nel paragrafo precedente sul tema dell'attore, Benjamin riconosce a Pirandello di essere stato - lui

' drammaturgo- uno dei primi a rendersi conto che "al film importa non tanto che l 'interprete presenti al pub­blico un'altra persona, quanto che egli presenti se stes­so di fronte all'apparecchiatura" (III, 32). Con una lun­ga citazione dal romanzo Si gira ... 4, Benjamin riporta le preoccupazioni che agitavano lo scrittore siciliano di fronte all'attore cinematografico come uomo-macchi­na, esiliato dal proprio corpo vivente e ridotto a mera immagine sullo schermo, "giuoco d'illusione su uno squallido pezzo di tela". È la macchina a farsi carico della mediazione fra pubblico e attore, e questi deve li­mitarsi a recitare di fronte ad essa.

Ma la mediazione dell'in1magine cinematografica si­gnifica anche un venir-incontro della figura dell'attore alle masse, un suo avvicinamento, una sua dislocazione rispetto alla posizione del corpo proprio, cioè del suo hic et n une. Ed esattamente come accade all'oggetto ar­tistico, ad esempio alla cattedrale o al coro (cfr. quanto detto supra per il paragrafo 2), anche l'attore subisce

4. Pubblicato per i tipi dci F.lli Treves a Milano nel1916; ma Benjamin ha presente una citazione di seconda mano, tratta da Léon Pierre-Quint Si­gni/ication du dnéma, in I: art cinématographi'que, Il, Paris, 1927, pp. 14:15.

TECNICA 11 MIMESI 127

una deauraticizzazione: "Per la prima volta- ed è que­sto l'effetto del film -l'uomo viene a trovarsi nella si­tuazione di dover agire sì con la sua intera persona vi­vente, ma rinunciando all'aura. Poiché la sua aura è le­gata al suo hic et n une. Non se ne dà copia [Abbild] al­cuna" (III, 3 3: tr. m od.). E la perdita di tale auraticità è duplice: investe tanto il rappresentante quanto il rap­presentato, tanto l'attore quanto il personaggio.

n cinema viene così nettamente contrapposto al tea­tro, come già lo era stato alla scultura: 'T arte del presente può contare su tanta più efficacia, quanto più essa si im­posta alla riproducibilità, dunque quanto meno essa po­ne al centro l'opera originale. Se fra tutte le arti è quella dran1111atica ad essere colpita nel modo più palese dalla crisi, ciò dipende dalla natura stessa della cosa" (I, 452). È un passo dal testo di Amheim Film als Kunst a confer­mare questa opposizione: è noto, osserva il teorico gestal­tista dell'arte, che al cinema "si ottengono quasi sempre i maggiori risultati quando si recita il meno possibile". Av­viene una sorta di reificazione dell'attore, che è trattato­rileva Amheim- dal regista come un attrezzo o uno stru­mento messo al posto giusto nel momento giusto. Questo aspetto, non che risultare negativo ed esecrabile a Benja­min (per nulla preoccupato del destino della soggettività, anzi fermamente convinto- come afferma Adorno- che "la conciliazione dell'uomo con la creazione è condizio­nata dalla dissoluzione di ogni essere umano che abbia af­fermato sestesso"J), è positivo nel momento in cui può ri­baltarsi nel suo opposto: "Se l'attore diventa un attrezzo, non di rado, d'altra parte, l'attrezzo funge da attore". È questo un orizzonte del cinema a parere di Benjamin squisitamente materialistico, poiché per la prima volta si

5. Th. W. Adorno, Pn!mi, ci t., p. 241.

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mostra come "la materia agisca [ma anche reciti: mit­spielt] insieme con l'uomo" (III, 52, n. 19).

Ma non è questo l'unico effetto della macchina da presa sull'attore: Benjamin torna in questo paragrafo sulla questione della immedesimazione o identificazio­ne. Se in quello precedente aveva negato la possibilità che il pubblico si immedesimasse direttamente nell'in­terprete cinematografico, essendo costretto a passare prima per una immedesimazione nell'apparecchiatura, qui Benjamin contesta la possibilità che l'attore stesso possa identificarsi con la propria parte, il proprio per­sonaggio: "L'attore che agisce sul palcoscenico si iden­tifica [versetzt si eh] in una parte. Ciò è spessissimo ne­gato all'interprete cinematografico" (III, 33 ). Troviamo qui un preciso collegamento tra perdita dell'aura e per­dita dell'Ein/iihlung. A causa della frammentazione dell'azione, scomposta in numerose scene che per imo­tivi più svariati (dalla disponibilità dei locali a quella degli attori, da esigenze tecniche piuttosto che scena­grafiche) vengono girate separatamente e che non ne­cessariamente stanno fra loro in un rapporto di conse­quenzialità logica e cronologica (rapporto che even­tualmente verrà recuperato solo in fase di montaggio), l'attore non esperisce più durante l'esecuzione della sua performance quell'unità di senso che gli permette­va la trasposizione [Versetzung] 6 nel personaggio e nel

6_. Ricordi~mo a t~_Ie proposito il teorico dd teatro e regista russo Kon­stantm S. StamslawskiJ (pseudonimo di K.S. Alekseev, Mosca 1863·1938), il Ct_ll metodo_ per l~ formazione dell'attore era basato proprio sull'approfon­~lmc:nto pstcologtco e l'esaltazione ddle possibili affinità tra il mondo inte­riore del personaggio e quello dell'attore: l/lavoro dell'attore su u stesso [1938), a c. di G. Guerrieri, Laterza, Roma. Bari 1991; l/lavoro dell'al/ore Jul Pm?naggro [1957), a c. di F. Malcovati, pref. di G. Strehler, Laterza, Ro­~a-~an 1993; s~ veda_ la celebre autobiografia La mia uita nell'arte [1926], tr. tt. dt M. Borsellmo D1 Lorenzo, Einaudi, Torino 1963.

TECNIChE MIMESI 129

suo mondo interiore. n trasalimento - esemplifica Benjamin- che l'atto.re deve manifestare al bussare alla porta, se insufficiente, può benissimo essere ottenuto sparando un colpo di pistola alle sue spalle, ripreso e poi opportunamente montato a creare l'illusione di un continuum. "il procedimento del regista che, per ri­prendere lo spavento del personaggio rappresentato, provoca sperimentalmente un effettivo spavento nel­l' attore è del tutto corrispondente alle esigenze del film [filmgerecht]. Durante la ripresa cinematografica, nes­sun attore può pretendere di abbracciare con lo sguar­do il contesto in cui la sua propria performance è collo­cata. L'esigenza di produrre una performance senza un'immediata connessione che sia conforme al vissuto con una situazione non regolata nel senso della rappre­sentazione [SpielJ è comune a tutti i test, a quelli sporti­vi come a quelli filmici" (I, 453 ).

Fino a che punto possa arrivare questo sradicamen­to dal continuum del vissuto è esemplificato in modo paradigmatico da un aneddoto (riportato solo in I, 453) riguardante l'attrice Asta Nielsen, durante le ri­prese di una riduzione cinematografica dell'Idiota di Dostoevskij. Prevedendo la scena successiva che le sa­lissero le lacrime agli occhi alla vista della propria av­versaria in amore in compagnia del principe Myshkin, già nella pausa prima delle riprese la Nielsen, vedendo l'attrice antagonista, cominciò a lacrimare, non C'stante fosse impegnata in una piacevole conversazione con un amico, e senza che l'espressione del suo viso ne venisse modificata7•

7. Ben altrimenti •l'occhio si bagna [dtH Auge nelz.l sich]" in Goethe, se­condo la definizione di Hermann Cohen "l'uomo che semina lacrime, le la­crime dell'amore .infinito" (cfr. Le Affinità <lettive: CCRT, 244).

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Tanto questo esempio quanto quello dello sparo evi­denziano la natura astratta della recitazione cinemato­grafica, che non si basa sull'immedesimazione ma su una performance avulsa dal sostrato dell'esperienza vissuta e dd suo contesto complessivo: su un test, ap­punto. È questa esigenza di performance tecnica a co­stituire una profonda differenza tra la recitazione fì!mi­ca e quella teatrale, c a spiegare, secondo Benjamin, il motivo per cui quasi mai le star cinematografiche sono eccellenti attori teatrali, quanto piuttosto interpreti di secondo o terzo rango, che ben di rado tentano il salto dallo studio al palcoscenico, e quando lo tentano spes­so vanno incontro a un fallimento. "Nulla mostra in modo più drastico- conclude Benjamin- come l'arte sia sfuggita al regno della bella apparenza [schoner Schein], cioè a quel regno che per tanto tempo è stato considerato l'unico in cui essa potesse fiorire" (III, 34).

Viene qui meno dunque quella tradizionale caratte­rizzazione dell'opera d'arte come bella apparenza, che Benjamin aveva indagato negli anni Venti, ad esempio nel saggio dedicato alle Affinità elettive di Goethe (CCRT, 245-48) e nella Premessa gnoseologica al Dram­ma barocco tedesco (DB, 7-8), in entrambi i casi con esplicito rimando al Simposio platonico, e in connessio­ne con la teoria della verità. È utile a questo proposito richiamare una pagina dedicata appunto a I.:"apparen­za", manoscritto appartenente ai materiali riferiti al saggio goethiano: "In ogni opera ed in ogni genere d'arte- scrive Benjamin- è presente la bella apparen­za. [ ... ] Esistono diversi gradi della bella apparenza, una scala, che non è determinata dalla maggiore o mi­nore bellezza in essa presente, ma dal suo carattere più o meno apparente. [. .. ] L'apparenza è tanto maggiore quanto più si mostra vivente" (CCRT, 261-63 ).

TECNICA E MI MESI 131

Ma l'apparenza vivente è solo un polo dell'opera d'arte che, se accentuato in maniera esclusiva, la con­duce alla morte: "Nessun'opera d'arte può apparire as­solutamente vivente senza diventare mera apparenza e cessare di essere un'opera d'arte. La vita che in essa tre­ma deve mostrarsi irrigidita e come fissata in un istante.[ ... ]. Ciò che impone un arresto a questa appa­renza, fissa la vita [. .. ] è il privo di espressione [das Aus­druckslose]. Quel tremare costituisce la bellezza, que­sto irrigidimento la verità dell'opera. [ ... ] Il privo di espressione è quella potenza critica che, se non riesce certo a separare nell'arte l'apparenza dal vero, vieta però loro di mescolarsi" .8

Benjamin può così respingere la tesi romantica e idealistica del bello come verità che appare: "Non è perciò, come insegnano banali filosofemi, che la b~ez­za stessa sia apparenza. Anzi la celebre formula, svilup­pata da ultimo nel modo più piatto da Solger, essere la bellezza la verità divenuta visibile, è la deformazione più radicale di questo grande motivo.[ ... ) Non appa­renza né involucro di qualcos' altro è la bellezza. Essa stess; non è fenomeno, ma essenza, anche se tale che resta essenzialmente eguale a se stessa solo sotto un in­volucro. [. .. ) Poiché né l'involucro, né l'oggetto velato è il bello, ma l'oggetto nel suo involucro. Disvelato, es-

8. Si veda, n d tardo Benjamin, l'impiego di questo concetto.di _!lssazione estetica n d campo della filosofia della s~oria, attrave~o !a m.edt~one ddJ~ Vie d es formes di Henri Focillon: •Per l arresto messtantco d~ accad~re ~ si potrebbe valere della definizione che Focillon dà. dello "stile clasSICO : 'Breve momento eli pieno possesso ddle forme, ess~ st presenta ... ~om~?na felicità rapida., come l'akmé dei greci: l'asta della bilanca no~ oscilla. ptu s~ non dcbolrriente. Qud che mi attendo non è di vederla subtto P7ndere d~ nuovo, e ancor meno un momento di fissità ass.oluta, bc~s:. nd mlf~~olo. dt questa immobilità esitante, il tremolìo legge.ro, tmpcrcetttbile, eh~-~~ mdi~a che è viva'" (Materiali preparatori delle teSI: C~, 98). Dd rest?• g1a. il s~gg1o sulle A/fini là eleuive aveva dichiarato che ·o.gm bellezza conttene m se, co· me la rivelazione, ordini di filosofia della stona" (CCRT, 248).

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so si rivelerebbe infinitamente inappariscente. Su ciò si fonda l'antichissima idea che nel disvelamento il velato si trasforma, che esso rimarrà 'eguale a se stesso' solo sotto l'involucro" (CCRT, 247).

Ritroviamo questa critica, ribadita (anche tramite un'autocitazione) ed integrata con un significativo rife­rimento al concetto di aura, proprio nel saggio sull'o­pera d'arte, in particolare nella nota l O nei Paralipome­na alla II versione (Il, 368-69): "Il significato della bella apparenza per l'estetica tradizionale affonda le sue ra­dici nell'epoca della percezione auratica, che è ormai al tramonto. La teoria estetica che la riguarda è stata for­mulata con la più grande incisività da Hegel, secondo il quale la bellezza è 'l'apparenza dello spirito nella sua immediata [ ... ]forma sensibile, creata dallo spirito co­me a lui adeguata'; una concezione da epigono, almeno in qualche tratto. La formula di Hegel stando alla qua­le l'arte strappa 'la parvenza e l'illusione di questo mondo cattivo, caduco, da quel vero contenuto dei fe­nomeni'9, non è più sostenuta dalla tradizionale espe­rienza fondativa [Erfahrungsgrunc!J di questa dottrina, cioè dall'esperienza dell'aura" 10

A differenza di Hegel, questo Erfahrungsgrund, que­sto fondo esperienziale che stava alla base della teoria i artistica dell'antichità ancora domina Goethe, ancora le sue ligure di Mignon, Ottilia ed Elena sono avvolte dall'involucro che solo, assieme al velato, è bello. La decadenza [Ver/atrl di questa concezione, prosegue Benjamin, "ci spinge con maggior forza a volgere anco­ra una volta lo sguardo alla sua radice [Ursprung], che

9. G.W.F. H egei, Es/elica, ci t., pp. 582, 13. 10. Citiamo dalla traduzione parziale di questa nola apparsa, ad opera

di D. Mai c ma e con introduzione di F. Desideri, in • Linea d'ombra", 131, 1988, p. 31. Si vedano anche i Paralipomena alla Il: GS VII-2, 667.

TECNICA E MI MESI 133

r!siede per intero nella mimesi come fenomeno origina­no [Urphiinomen] 11 di ogni attività artistica. Colui che imita, solo apparentemente [scheinbar] fa ciò che fa. Il genere più antico di imitazione conosce, in verità, solo un'unica materia e cioè il corpo stesso di colui che imi­ta. La danza e il linguaggio, il moimento del corpo e delle labbra sono le prime matùfestazioni della mimesi. Colui che imita, rende la sua cosa apparente [scheinbar] "12

La mimesi come fenomeno originario dell'artistico è dominata da una polarità: quella di apparenza [Schein] e rappresentazione [Spiel], che si incarnano anche in li­gure paradigmaticlie della storia dell'arteu. Al 'primo polo Benjamin connette i procedimenti magici della prima tecnica, al secondo polo i protocolli sperimentali

11. Ha sottolineato gli influssi goethiani su Benjamin Hannah Arendt in Il pesOJiore di perle: Walter Benjamin (1892-1940), tr. it. di A. Carosso, A. Mondadori, Milano 1993. . 12. In "Linea d'ombra", 131, 1988, p. J2 (tr. mod.). Desideri, appog·

g~andos.l a c;tu.esto pas;o, sosti~ne che_ l'interpretazione tradizionale del sag­gio benJanumano sull opera d arte- mcentrata suUe trasformazioni indotte dalla riproducibilità tecnica, e volta a evidenziare l'oscillazione benjaminia­na tra la nostalgia per l'aura e l'entusiasmo per i nuovi medià- non coglie il punto fondamentale dello scritto: .. La novitas costituita dall'epoca della ri­producibilità tecnica viene alquanto ridimensionata. La tensione tra la ri­produzione tecnica c l'unicità-irripetibilltà propria dell'opera d'arte pre­tecnologica risulta, insomma, una tensione assai meno problematica di quel­la tra il momento mimetico-riproduttivo del bdlo e l'oggetto {o piuttosto l'i­dea} che ad esso sempre si sottrae. Mettendo a giorno quello che l'arte è semp~e. s~ata! ossia _una variant~ della tecnica in 8enerale, l'epoca dcll.a ripro­duclbdua spmge piUttosto a chiedersi perché proprio in questo caso (n d ca-so d?Ja cosiddetta ."arte bella") il momento della mimesi e della riproduzio- Ì' ne s1a prev~ente nspetto a quello puramente produttivo e perfettivo ddle altre lechnat. Forse appunto per il motivo che qui si tratta di produrre pro­prio l'irriproducibile" (La ven"tà mimelica, i vi, p. JJ ).

13 ... Notoriamente Schiller nella sua estetica ha riservato alla rappre­sentazione una posizione decisiva, mentre l'estetica di Goethe è determina­ta da un interesse appassionato per l'apparenza. Tale polarità deve trovar posto nella defmizione dell'arte. L'arte, cosi dovrebbe essere formulata, è una proposta di miglioramento rivolta alla natura: un imitare [Nachahmen] il ~ui n_udco n~scosto è un mostrare [Vormachen]. L'arte è, in altre parole, mlmest perfezionante [vollendmde Mimesis]" (Para/ipomena aJla II: GS VI!-2, 667-68).

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della seconda tecnica. Nel momento storico della d~ca­dcnza dell'aura, inaugurato dalla fotografia c d_al eme­ma come agenti della seconda tcc?ica, lo spazio della rappresentazione [Spiel-Raum] SI espande enorme-mente, a tutto svantaggio dell'apparenza. . .

TECNICA E MI MESI 1.35

A tale trasformazione sembra richiamarsi la I, là do­ve Benjamin propone una pregnante quanto fugace contrapposizione di mimo e attore di cinema: conside­rando la peculiare natura del film, per cui è più in1por­tante che l'attore interpreti se stesso davanti all'appa­recchiatura che non un altro personaggio davanti al pubblico, come invece accade nel teatro, Be.njamin scrive che "il tipico attore cinematografico recita solo se stesso. Egli sta in opposizione al tipo del mimo. Tale

La modificazione del rapporto fra i due poli costitu­tivi della mimcsi significa però al contempo .una com­plessiva trasformazione della capacit~ mimeuca st;ssa, in un processo metamorfico che nonmveste solo l a:n­bito dell'esperienza artistica, bensì anche quello del! e­sperienza t aut court. A questo proposito è forse oppor­tuno richiamare un breve e denso scritto del193 3, da Benjami.n dedicato appunto ali~ Fa.colt~ n:imetic~. "N~ le forze mimetiche, né gli oggettlmlmetlcl, sono r1111ast1 gli stessi nel corso dei millenni. B.is~gna invece suppo.r­re che la facoltà di produrre som1glianze- per esempiO nelle danze, la cui più antica funzione è app,u.nto questa -,e quindi anche quella di ric?no~cerle, .si e trasforma­ta nel corso della storia. La dirczwne d1 que~to mut~­mento sembra determinata da un crescente mdebol~­mento della facoltà mimetica. Poiché è evidente c?e il . mondo percettivo dell'uomo moderno non contiene !

più che scarsi relitti di qu~~ c?r_rispon~e.nz:'4 .e analo­gie magiche che erano familiari al popoli_antlchL li pro: blema è se si tratta qui della decadenza di questa facolta oppure della sua trasformazione" (AN' 71-72) 15

' condizione limita la sua utilizzabilità sul palcoscenico, ma la amplia straordinariamente nel film. Poiché la star cinematografica corrisponde al suo pubblico soprat­tutto per il fatto che a ciascuno sembra schiudersi la possibilità di "far parte a sua volta di un film". L'idea di farsi riprodurre dall'apparecchiatura esercita sull'uo-

' mo odierno un'enorme for;za di attrazione" (I, 454; cfr. i simili argomenti svolti in III, 3 5, senza però riferimento ; almimo). l

14. "ll dono di scorgere analogie altro non è c.~e un pallido) ret_a~iorid~ l'antica coazione all'identificazione e alla mtmeSi (al!B, 54-~eJi SI neo

ucsto ro sito l'attenzione dedicata a Benjamm tema : corre~pon-J.mcer !ei f:oi scritti su Baudelaire: esse "fissano un cdodn~tt~ di esdpenaecnozan

• • J · ul 1· [ J Ciò che Bau aire mten ev che ritiene m se e emenu c tua l. ·" . h d' . , d fir · 'esnl"'rtenza c e cerca 1 sta-ueste correrpondancer SI puo e ure come un ~"'~ , . ul a1

~ilirsi al riparo di ogni crisi. Essa è IJ?Ssibile solo ndl .. ambito c tu e. Quando esce da questo ambito, assume las~etto dd )>ello (AN d 117). h l

15 Sul delicato problema della mimes1 m BenJamm SI ve a anc e a Lehre ~om Ahnlìchen (GS 11-1, 204-10), redatta nd febbraio 193}. Per la

,-teoria mimetica del linguaggio cfr. SuiLz lingua in generale~ sulla lingua del· · l'uomo [1916] (MG, 177-9}); Il romptlo del traduttore [1921] (CCRT, !57-i 70), e Problemi de/14 rociologia del linguaggio [19}4-35] (CR, 223-51). Per ~ questo tema rimandiamo a W. Menninghaus, Walter B~njamins Theon·~ der • Sprachmagie, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1980.

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8 SPECCHI, MAGHI E CHIRURGHI

Questa rappresentazione dell'uomo da parte del­l' apparecchiatura- procede Benjamin nel paragrafo 11 della I- ha significato sì la sua autoestraneazione [Selb­stent/remdung], ma anche una valorizzazione [Verwer­tung] massimamente produttiva: "Tale valorizzazione si può misurare dal fatto che lo stupore [Befremden] dell'attore davanti all'apparecchiatura, così come lo descrive Pirandello, è per sua natura della stessa specie dello stupore dell'uomo romantico di fronte alla sua immagine allo specchio- notoriamente un motivo pre­diletto diJean Paul. ora però questa immagine specula­re è diventata staccabile dall'uomo, e trasportabile. E dove viene trasportata? Davanti alla massa (al pubbli­co, preferirà la III, 34)" (I, 451) 1

Benjamin non manca di sottolineare la possibilità di i!

volgere in senso progressivo o reazionario questo stato di cose. Se l'attore cinematografico sa - e non smette mai un momento di sapere - che in ultima analisi egli ha a che fare con la massa, "è proprio questa massa che

l. Il tema dell'immagine speculare verrà ripreso nella UI, 34, all'inizio del 5 10, ma verrà soppresso il riferimento ai romantici e aJean Pau,l: Benja­min lì parlerà solo in termini generici di immagine speculare trasportabile.

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lo controllerà. E proprio essa non è visibile e nemmeno presente mentre egli esegue la sua performance artisti­ca, che verrà controllata dalla massa. L'autorità di tale controllo però viene incrementata da quell'invisibilità. Certamente non si può mai dimenticare che l'utilizza­zione politica di questo controllo si farà attendere fino a qùando il film si sarà liberato dalle catene dd suo sfruttamento capitalistico. Poiché le chances rivoluzio­narie di questo controllo vengono trasformate dal capi­tale cinematograficd in controrivoluzionarie. Il culto delle star promosso da tale capitale non conserva sol­tanto quell'incantesimo [Zauber] della personalità che già da lungo tempo consiste nel marcio fulgore del loro carattere di merci, ma anche il suo complemento, il cul­to del pubblico, favorisce cioè al contempo la costitu­zione corrotta della massa, che il fascismo cerca di por­re al posto di una sua costituzione che abbia coscienza di classe" (I, 451-452; II, 370; cfr. simili argomentazioni in III, 34-35). È questo un tentativo reazionario e no­stalgico di surrogare la perdita dell'aura dell'opera con un'auraticizzazione dd divo: "Il cinema risponde al de­clino dell'aura costruendo artificiosamente la persona­lity fuori dagli studi"3 (III, 34).

In nota Benjamin traccia un significativo- e si direb­be attualissimo - parallelismo tra il modo espositivo [Ausstellungsweise] artistico e il modo espositivo poli­tico. Se in arte l'intervento dei moderni mezzi di ripro-

2. U "Filmkapital" appartiene a quelle "abstrakte Kategoricn" da cui Adorno vedeva inficiata l'argomentazione dialettica dd saggio (cfr. lettera del!8.3.1936,inA·B, 173).

3. Si veda, in connessione a ciò, il parallelo culto dd letterato: •1n Bau­delaire il poeta rivendica per la prima volta un valore di mercato. Baudelaire fu l'impresario di se stesso. La perle d'auréole colpisce innanzi tutto il poeta. Di qui la sua mitomania" (Parco centrale: AN, 134).

SPECCIII, MAGli! E <.:l IIRUHGIII 139

duzione tecnica provoca un passaggio dall'immedia­tezza del messaggio teatrale alla mediatezza del mes­saggio cinematografico, allo stesso modo in politica al­l'immediatezza tipica della democrazia, grazie a cui l'o· ratore o il governante si espone direttamente al suo pubblico, il parlamento, subentra la mediatezza della riproduzione sonora e visiva: "Si svuotano i parlamen­ti, contemporaneamente ai teatri" (II, 369, n. 11; III, 53, n. 20). Al culto della personalità cinematografica viene così a corrispondere il culto della personalità po­litica; entrambe davanti all'apparecchiatura si sotto­pongono a un test, esattamente come lo sportivo du­rante una gara: "Da questa selezione escono vincitori il campione, il divo e il dittatore" (Il, 369, n. 11).

È questo lo scenario dell'arte e della politica domi­nate dal capitale. Suo intento è dunque quello di impie­gare il cinema come strumento per il mantenimento dei rapporti di forza; ciò significherebbe un arresto del processo e una fissazione sulla condizione di alienazio­ne del soggetto, sia esso attore sia esso fruitore: "Ma­conclude la Fr.- la tecnica dd film p.reviene questo ar­resto: essa prepara il rovesciamento dialettico" (Fr., 726). È infatti peculiare alla tecnica stessa la promozio­ne della partecipazione delle masse, fornendo a ciascu­no "la possibilità di trasformarsi da passante in com­parsa cinematografica. [ ... ] Ogni uomo contempora­neo può avanzare la pretesa di venir filmato" (III, J 5)4 .''

Allo stesso modo, nel Novecento ogni lettore può avanzare la pretesa di scrivere grazie all'enorme espan-

4. Questa idea npn convinceva Adorno: "Si pone molto seriamente la questione se la riproduzione di qgni uomo ~prima in effetti quell'a priori del Hl m, come Lei richiede, o se piuttosto tale riproduzione non appartenga proprio a qucl 'realismo ingenuo' il cui carattere borghese ci trovava così fondamentalmente concordi a Parigi" (A.B, 172}.

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sione dei mezzi eli comunicazione di massa, che preve­de espressamente- ad esempio tramite la posta al di­rettore sui quotidiani - spazi per la manifestazione del singolo: "il lettore è sempre pronto a diventare autore" (III, 36).

Se nel primo caso, quello del cinema, Benjamin de­scrive la possibilità di passare anche ex abrupto dal ruo­lo eli spettatore a quello eli protagonista (e si pensi a quale enorme sviluppo è andata incontro questa possi­bilità, ad esempio nella diffusione dei programmi della cosiddetta TV-verità o, anche se ad un livello inconsa­pevole, delle candid cameras)- !ad dove però il ruolo eli autore rimane nelle mani di un singolo: il regista -, nel secondo, quello della scrittura, il passaggio consiste piuttosto nell'abbandonare il ruolo di fruitore per as­sumere quello di autore.

Contestando l'interpretazione reazionaria di questo fenomeno eli massilicazione dell'autorità [Autorschaft] fornita da Aldous Huxley in Crociera d'inverno in Ame­rica centrale, in cui si stigmatizza l'aumento progressivo della "produzione di scarti" nell'ambito del "consumo sproporzionato di materiale letterario, illustrativo e so­noro" (III, 54, n. 21), e opponendosi al potente "publi­zistischer Apparat" (I, 456)- ad esempio le carriere o la vita amorosa delle star cinematografiche- con cui il ca­pitale impedisce al soggetto fruitore di raggiungere una conoscenza di sé come singolo e della classe cui appar­tiene, Benjamin vi contrappone il caso dell'Unione So­vietica, in cui la letteratura che scaturisce dalla prepa­razione non umanistica, bensì politecnica, mette a di­sposizione delle masse delle specifiche competenze professionali e permette d'altro canto a ciascun singo­lo, se competente (anche eli una "funzione irrisoria"), di diventare autore: "Nell'Unione Sovietica è il lavoro

SPECCIII, MAGI li E CHIRURGHI 141

stesso che si esprime. [. .. ] Una parte degli interpreti del cinema russo non sono interpreti nel senso nostro, bensì persone che interpretano se stesse- in primo luo­go nel loro processo lavorativo"5 (III, 36).

È al luogo di tali interpretazioni filmiche- cioè allo studio cinematografico- che ora Benjamin deve rivol­gere la propria riflessione. E Io fa nel paqtgrafo 11, pro­cedendo al contempo ad approfondire la differenza tra teatro e cinema dalla prospettiva della percezione: una differenza così profonda da rendere inutile qualsiasi tentativo di accostare le due forme artistiche. La ripre-sa cinematografica, in particolare del film sonoro, pro· duce in studio una vista [Anblick], una scena o spetta­colo che in passato non erano nemmeno pensabili: al contrario del teatro, che in linea di principio prevede un punto di vista- quello dello spettatore in platea- a partire dal quale l'illusione di realtà è garantita, il cine­ma- nel mentre viene girato- offre a chi sta a guardare, oltre che gli attori e le scenografie, anche un insieme di apparecchiature tecniche, di registrazione dei suoni, di illuminazione, e un insieme di persone, gli assistenti al-la regia e i tecnici, che nulla hanno a che fare con la vi­cenda da riprendere, ma che non possono non venire percepiti da chi osserva le riprese ("a meno che la posi­zione della sua pupilla non coincida con quella dell'o­biettivo della cinepresa", che ritaglia la scena rappre­sentata dagli attori da tutto quanto il resto: III, 37). "La sua natura illusionistica- afferma Benjamin- è una na- '!

tura di secondo grado; è il risultato del montaggio"6

(III,37).

5. Cfr. al riguardo il dis~rso su L'autore come produttore, tenuto da llenjamin all'Istituto per lo studio dd fascismo di Parigi il 27 aprile 1934 (AR, 199·217, in part. 204).

6. Sulla sopravvalutazioneda parte di Benjamin della funzione dd mon­taggio si vedano le obiezioni di Adorno: "'Quando due anni fa ho trascorso un giorno agli studi di Neubabdsberg, qud che mi ha colpito maggiormen·

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Qui evidentemente Benjamin sta riprendendo la di­stinzione tra rappresentazione (o mimesi) immediata della realtà tramite il corpo nel teatro e rappresentazio­ne mediata della realtà tramite la tecnica nel cinema. Propriamente parlando, lo spettatore cinematografico non è colui che assiste alle riprese in studio, bensì colui che le fruisce in sala una volta tagliate e montate. Se la natura illusionistica del teatro è di primo grado, se cioè essa si allontana dalla realtà di un ordine (l'attore sul palcoscenico finge di essere R.iccardo III), nel cinema questa illusione non viene prodotta immediatamente sulla scena, ma necessita dell'intervento e della media­zione del montaggio, un passaggio ulteriore che ne de­termina il secondo grado o ordine di illusione. In altre parole, lo spazio in cui si produce l'illusione di realtà­il luogo in cui gli attori interpretano i propri personaggi -non ha la medesima funzione nel teatro e nel cinema: se nel primo tale luogo, il palcoscenico, è lo spazio in cui la rappresentazione teatrale nella sua ili usorietà si offre immediatamente alla percezione dello spettatore, nel secondo questo spazio, Io studio cinematografico, non viene mai percepito come tale dal fruitore, ma vie­ne scomposto e ricomposto nel montaggio, e solo a quel punto proposto alla percezione del pubblico: "La vista sulla realtà immediata è diventata una chimera nel paese della tecnica" (III, 37)- laddove per "realtà im­mediata" [unmittelbare Wirklichkeit] si comprende evidentemente anche la rappresentazione illusoria del­la realtà stessa così come avviene sulla scena teatrale.

te è stato quanto poco sia dò che viene effettivamente determinato dal mon­taggio e dalle novità dd progresso rispetto ~ qu~o che Lei fa ~mergcre; _piuttosto la realtà viene in tutto e per tutto rnJmetJcamcnte coJtrurta [au/ge:­baut] in modo infantile e quindi 'fotografata' [abphotographi<rtl. Lei sotto· valuta la tecnidtà dell'arte autonoma e sopravvaluta queUa ddl'arte dipen­dentej sarebbe questa- detto chiaro e tondo -la mia obiezione principale" (lettera del18.3.1936, in A-B, 173 ).

SPECCIII, MAGHI E CIIIRURGIII 143

Nella seconda parte del paragrafo 11 Benjamin pas­sa ad un altro confronto, ancora più rivelatore: quello tra pittura e cinema. Il pittore viene paragonato al ma­go, l'operatore cinematografico al chirurgo: sono, que­sti, due poli opposti di un ordinamento, in cui è impli­citamente ammesso - proseguendo il parallelismo -che il rappresentato corrisponda all'ammalato. Il mago guarisce l'ammalato tramite l'imposizione delle mani­quindi a distanza. Il chirurgo interviene nel corpo del malato - quindi M vicino, addirittura dal di dentro. Torna la coppia percettiva lontananza-vicinanza, così elaborata da Benjamin: "Il mago conserva la clistanza [Distanz] tra sé e il paziente; in termini più precisi: lari­duce- grazie all'apposizione delle sue mani- soltanto cli poco e l'accresce- mediante la sua autorità [Auto­rità'!]- di molto. Il chirurgo procede alla rovescia: ridu­ce la sua distanza dal paziente di molto - penetrando nel suo interno-, e l'accresce di poco- mediante la cautela con cl!i la sua mano si muove tra gli organi" (III, 38).

Alla distanza tra mago e paziente, garantita dall'im­posizione delle mani, corrisponde la "distanza natura­le" [natiirliche Distanz] mantenuta dal pittore nei con­fronti cli ciò che deve dipingere; alla penetrazione del chirurgo nel corpo malato corrisponde invece la pene­trazione del cameraman nel "tessuto della datità"; que-. sta differenza nelle prassi operative determina la diffei" renza dell'immagine che ne scaturisce, totale [total] nel caso della pittura, frammentata [zerstiickelt] nel caso del cinema: "Così, la rappresentazione filmica della realtà è perl'uomo oclierno incomparabilmente più si­gnificativa, poiché, precisamente sulla base della sua intensa penetrazione mediante l'apparecchiatura, gli offre quell'aspetto, libero dall'apparecchiatura, che

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egli può legittimamente richiedere dall'opera d'arte" (III, 38).

n parallelismo tra mago e chirurgo da un lato e pit­tura e cinema dall'altro ribadisce dunque l'interpreta­zione cultuale che Benjamin fornisce dell'arte tradizio­nale, la cui ritualità viene via via disperdendosi man mano che decresce la distanza fra il produttore di im­magini e la realtà rappresentata. Dal piano della produ­zione Benjamin si sposta ora a quello della fruizione, proseguendo nel paragrafo 12 ad elaborare la contrap­posizione fra pittura e cinema e valutandone anche le implicazioni sociali e politiche. La differenza di ricezio­ne tra il quadro tradizionale e il fiLn è discriminata dal­la riproducibilità tecnica, che trasforma profondamen­te la relazione che le masse instaurano con l'arte. Così lo stesso pubblico che si comporta nel modo più retri­vo nei confronti di Picasso, si atteggia nel modo più progressivo nei confronti di Chaplin, adottando, nel­l'ambito della fruizione che gode di ciò che viene rap­presentato sullo schermo e Io rivive [Erleben], al tempo stesso il ruolo di "giudice competente". È evidente qui l'allusione al parallelismo tra cinema, sport e test intro­dotto precedentemente.

Questa modificazione dell'atteggiamento del. pub­blico provocata dalle moderne modalità di espressione artistica risponde secondo Benjarnin ad una legge che potremmo definire di natura sociologica: "Quanto più il significato sociale di un'arte diminuisce, tanto più il contegno critico e quello della m era fruizione da parte del pubblico divergono - come risulta evidente per quel che riguarda la pittura" (III, 38-39; tr. mod.). Pro­prio nella pittura si dà a vedere quale irriducibile forbi­ce si sia venuta a produrre fra il godimento del vecchio (godimento che si confina esclusivamente alle modalità

SPECCllf, MAGHI ECHIRURGJII 145

convenzionali di espressione artistica) e la critica del nuovo (critica che rigetta ad esempio le avanguardie come manifestazioni aberranti).

AI contrario, "al cinema l'atteggiamento critico e quello del piacere del pubblico coincidono" (III, 39): qui la reazione del pubblico in quanto massa è sì com­posta dalla somma delle reazioni dei singoli individui che la compongono, ma che la compongono in quanto fin dall'inizio massilicati come "pubblico". La ricezio­ne collettiva simultanea [simultane Kollektivrezep­tion], la possibilità cioè che l'opera d'arte venga recepi­ta e fruita contemporaneamente da un pubblico di massa, è un aspetto caratteristico della fruizione cine­matografica che Benjamin torna a paragonare alla frui­zione della pittura. Questa modalità di ricezione è stata tentata dalla pittura nel XIX secolo, ma questo, più che l'indice di una sua evoluzione, è il sintomo della sua cri­si. "La pittura non è in grado di proporre l'oggetto alla ricezione collettiva simultanea, cosa che è invece sem­pre riuscita all'architettura, che riusciva un tempo all'e­popea, che riesce oggi al film" (III, 39).

"Chi ascolta una storia è in compagnia del narrato­re; anche chi legge partecipa a questa società. Ma il let­tore di un romanzo è solo. Egli è più solo di ogni altro lettore" (AN, 265), e non può affatto ricorrere alle radi­ci che il narratore ha ben salde nella collettività anoni­ma. Così Benjarnin, nelle Considerazioni sull'opera di Nicola Leskov (luglio-agosto 1936), saggio concepito in stretta affinità con quello sull'opera d'arte1, avrebbe contrapposto la fruizione del racconto, incentrata sulla

7. Si veda la lettera ad Adorno del4.6.36: "Ho scritto in quest'ultimo pe­ricx,fo un lavoro su Nikolai Leskov che, senza pretendere di avere neanche lontanamente la portata dd lavoro di teoria ddl'arte, mostra alcuni paralldi con la 'decadenza dell'aura' nella circostanza dclla fine dell'arte di narrare"

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memoria [Gediichtnis], alla fruizione del romanzo, in­centrata sulla reminiscenza volontaria [Eingedenken]. Queste due forme, ancora indistinte nell'epico, fonda­to nel ricordo [Erinnerung] come sapere della tradizio­ne, si scindono nel momento in cui- in seguito ad una trasformazione i cui ritmi sono paragonabili a quelli geologici- dopo un lungo periodo di latenza il roman­zo emerge, alle soglie dell'età moderna, come forma letteraria specifica della borghesia in ascesa (cfr. AN, 262-63 ). La tecnica della stampa, che lo rese possibile, minaccia nondimeno di estinguerlo, sostituendolo con l'informazione: "Ciò che trova ora più facilmente ascolto non è più la notizia che viene da lontano, ma l'informazione che offre un aggancio immediato. La notizia che veniva di lontano godeva di un prestigio che le assicurava validità anche se non era sottoposta a controllo. Ma l'informazione ha la pretesa di poter es­sere controllata immediatamente. Dove anzitutto essa vuoi essere intelligibile di per sé e alla portata di tutti"8

(AN,253).

(A-B, 185). Come il saggio sull'opera d'arte, anche quello sul narratore è informato allo schema binario vicino vs lontano. Esso si apre con una rifles. sione sulla distanza: "ll narratore- per quanto il suo nome possa esserci fa­miliare- non ci è affatto presente nella sua viva attività. È qualcosa di già re­moto e che continua ad allontanarsi. Presentare Leskov come narratore non significa, quindi, avvicinarlo, ma_accres~ere la di_st_anza ~he da Iu_i c! separ~. Considerati a una certa distanza,! grandi e semplici tratti che costltwscono il narratore prendono in lui il sopravvento .. O, per_ di: meglio, ~ssi emergo_no in lui come una testa umana o un corpo ammale s1 disvdano, rn una roccia, al­l'osservatore che si è messo alla giusta distanza end giusto angolo visuale. Questa distanza e questa prospettiva ci sono imposte da un'esperienza che abbiamo modo di fare quasi ogni giorno. Essa ci dice che l'arte di narrare si avvia al tramonto" (AN. 247). Distinguendo quindi fra due "tipi fondamen­tali" di narratori -l'agricoltore sedentario e il mercante navigatore -, Benja­min li caratterizza per un diverso rapporto con la distanza, temporale per il primo tipo, spaziale per il secondo: dal canto suo, "Leskov è a suo agio nella lontananza dello spazio come in quella del tempo" (AN, 249).

8. Sull'essenza del giornalismo si veda il saggio benjaminiano del1931 dedicato a KArl Krous (in AR, 100-33). Se il giornalista è un uomo che "segue

SPECCIII, MAGli! ECIIIRURGifl 147

A questa stessa portata di mano collettiva mira, nel presente, la riproducibilità tecnica, quando tenta di mettere a disposizione delle masse le immagini pittori­che nelle gallerie e nei salom. Costringendo però la pit­tura ad un accesso di massa, si contraddice la sua natu­ra: se nel passato (nel Medioevo e nel Rinascimento) la fruizione collettiva era possibile mai in modo immedia­to e simultaneo, ma sempre solo in modo mediato e ge­rarchizzato, con l'odierna massifìcazione della fruizio­ne pittorica le masse non hanno la possibilità di "orga­nizzare e controllare se stesse in vista di una simile rice­zione" (III, 39). il pubblico "avrebbe dovuto gridare allo scandalo - aggiungeva a questo punto la I - per manifestare in modo palese il suo giudizio. In altre pa­role: la manifestazione palese del suo giudizio avrebbe prodotto uno scandalo" (I, 460). E così lo stesso pub­blico che si caratterizza in modo progressivo nella sua fruizione di un film grottesco, si contraddistingue per una reazione retriva nei confronti del surrealismo.

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le cose solo nei loro rapporti, soprattutto negli eventi dove si scontrano fra loro", che quindi concentra tutta la sua sensibilità per il contatto tattile fra gli avvenimenti, nessuno più di Kraus "avrebbe potuto essere indotto in uno stato di più nera disperazione dall'incontro dell'evento con una data, un te· stimone oculare o una macchina fotografica [ ... ].Egli ha concentrato tutte le sue energie nella lotta contro la frase fatta, che è l'espressione linguistica dell'arbitrio con cui, nd giornalismo, l'attualità si arroga il domi n) o sulle co­se" (AR, 101). È significativo che Benjamin descriva il Kraus impegnato nd­lo "smascheramcnto dell'inautentico" come •mimo" (AR,l12).

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Non sono soltanto le condizioni di possibilità della fruizione e della produzione nell'era della riproducibi­lità tecnica, nonché le loro modalità, a impegnare Benjamin nel saggio sull'opera d'arte: egli non trascura di prendere in considerazione anche gli orizzonti cono­scitivi dischiusi dai nuovi media. È a tal proposito signi­ficativo il parallelismo istituito nel paragrafo 13 tra ci­nema e psicoanalisi.

Comune alla psicoanalisi e al cinema è una capacità di isolare determinati fenomeni dal continuum evene­menziale. Così come, prima della pubblicazione di Psi­copatologia della vita quotidiana1 (1901), un lapsus po­teva passare inosservato perché confuso nel flusso degli eventi, mentre dopo tale pubblicazione esso diventa in-

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l. Sulla lettura benjaminiana di Freud cfr. J. Wiegmann, Prychoanalyt1: sche Geschichtstheon"e: eine Studie xur Freud·Reuption Walter Benfamùu, Bouvier, Bonn 1989. È noto il confronto avviato da Benjamin anche con gli scritti dijung: "'Ho cominciato, a San Remo, a immergermi nella psicologia di Jung- una vera diavoleria, che deve essere affrontata con gli strumenti della magia bianca" (lettera a Scholem dd 5.8.37: TU, 232). Nel corso del 1937 lo studio della concezione junghiana ddl'inconscio collettivo e degli archetipi in relazione alla preparazione dd Panagenwerk (cfr. PW, 507 ·29) si precisa come un'ipotesi di ri~rca (mai portata a termine} su Klages e ] ung, che Hork.hcimer insiste nd subordinare al Baudelaire.

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nanzittutto percepibile distintament~, e ~uindi assw_ne lo statuto di uno specifico oggetto d1 un mterpretazJO­ne e di un indice di una dimensione interiore comples­sa legata alle pulsioni più profonde dell'individuo, an­che il cinema "ha avuto come conseguenza un analogo approfondimento dell'appercezione su tutto l'arco del mondo della sensibilità ottica [opttJche Merkwelt], e ora anche di quella acustica" (III, 40), grazie allo svi-I uppo del sonoro. .

Più che nel teatro, in cui la rappresentaziOne delle azioni non permette una loro esatta isolabilità [Isolier­barkeit]; più che nella pittura, in cui il rad!ca_mento del­la rappresentazione in un unico punto di vista _n?n ne permette una precisa analizzabil!t~ ?~ ~olteplic1 ?ro­spettive, il cinema offre una poss1bilita di ~~n:trazJO_ne nel reale che dischiude orizzonti conoscJUVJ nuovi e proprio perciÒ promuove "la vice~devol_e compenetra­zione di arte e scienza" (III, 40), nattualizzando la loro unità quale si era avuta precedentemente nel caso della pittura rinascimentale, ad esempi? in un. Leonardo: "Una delle funzioni rivoluzionarie del cmema sara quella di far riconoscere l'ide~tit~ dell'utilizzazione ar­tistica e dell'utilizzazione scientifica della fotografia, che prima in genere divergevan?" (I~I, 4_1). . .

Che cosa abbia in mente qUJ Ben)amm ci viene sug· gerito dalla Piccola storia della fotografia: "Con le su_e straordinarie fotografie di piante, Blossfeldt ha reper~­to in certi steli nervati le forme di certe colonne arcru­che nella forma di certe felci il bastone pastorale, nel­la g'emma del castagno e dell'acero (ingr~ndita_ ~eci volte) certi alberi totemici, nel cardo dei la~a10_h l~ crociera gotica" (OA, 63). Già nel1928 BenJami~ ~~ era occupato di Karl Blossfeldt, recensendo sulla LI­terarische Welt" il suo libro di fotografie Urformen

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der Kunsf- (Novità suifiori, in CR, 91-93). Lodando il suo contributo a quella "grande revisione dell'inventa­rio della percezione che cambierà ancora la nostra im­magine del mondo in modo imprevedibile", Benjamin osserva come i mezzi tecnici liberino "un geyser di nuo­vi mondi iconici. Queste fotografie schiudono nell'esi­stenza vegetale un tesoro del tutto insospettato di ana­logie e forme. Soltanto la fotografia può farlo. Poiché occorre un forte ingrandimento, perché queste forme si tolgano il velo che la nostra pigrizia ha gettato su di esse". A questa rinnovata capacità di stupirsi prodotta dalla fotografia corrisponde- niente meno -la perce­zione di goethiani fenomeni originari: "Forme origina­rie dell'arte- certamente. Ma questa espressione non può significare altro che le forme originarie della natu­ra. Forme, dunque, che non furono mai un puro mo­dello per l'arte, ma sono state fin dall'inizio all'opera come forme originarie di tutto il creato", quelle stesse forme che "nuovi pittori come Klee e ancor più Kan­di.nsky da tempo cercano di renderei familiari" e che, metamorfosandosi attraverso le loro "varianti", fonda­no la possibilità morfologica del regno fenomenico.

Se già nel paragrafo 2 del saggio sull'opera d'arte Benjamin aveva rilevato le implicazioni positive della fotografia come espansione protesica della nostra co­noscenza percettiva, nel paragrafo 1.3 egli dunque riba­disce che l'ingrandimento fotografico non è una m era chiarificazione di ciò che si vedrebbe in ogni modo an­che se in maniera indistinta, ma rappresenta un cogli­mento di inedite strutture del reale.

2. Karl Blossfddt, Ur/ormen der Kunsl. Photographische Pfomzenbitder, hrsg. mit einer Einleitung v. K. Nicrendorf, 120 Bildtafdn, E. Wasmuth, Berlin 1928.

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Dalla funzione conoscitiva della fotografia il discor­so benjaminiano si allarga quindi a quella del cinema: "Col primo piano si dilata lo spazio, con la ripres-a al rallentatore si dilata il movimento" (III, 41) . Diventano così percepibili aspetti ignoti del mondo quotidiano, dettagli prima inavvertiti degli ambienti usuall di vita, contrassegni solitamente trascurati di gesti e di movi­menti3: questo ampliamento della nostra percezione costituisce un incremento di conoscenza, cioè per Benjamin un maggiore "spazio di gioco (o di rappre­sentazione)" [Spielraum]: "Le nostre bettole e le vie delle nostre metropoli, i nostri uffici e le nostre camere ammobiliate, le nostre stazioni e le nostre fabbriche sembravano chiuderci irrimediabilmente. Poi è venuto il cinema e con la dinamite dei decimi di secondo ha fatto saltare questo mondo simile a un carcere; così noi siamo ormai in grado di intraprendere tranquillamente avventurosi viaggi in mezzo alle sue sparse rovine4 " ·

(III, 41).

3. Emst ~Joch h~ sottolineato l'effetto spaesante della lente di ingrandi­mento, che rende il noto spesso estraneo, spesso grottesco, non di rado perturbante. [. .. ] Tanto più terrificante rimane però il mondo ingigantito sotto la lente rafforzata, quando mosche sembrano demoni e la pelle umana assomiglia a una porzione di territorio su un continente estraneo e non pro­prio rassicurante" . Al contrario "gli oggetti accelerati, visti cioè attraverso la lente che rimpicciolisce, hanno un effetto di umana vicinanza· l'aura del pic­colo è qui più umana" . Confrontando il rimpicciolimento e l'ingrandimento dello spazio con l'accelerazione e il rallentamento del tempo egli individua la seguente legge: "il rimpicciolimento dei processi temporali ha un effetto perturbante,_ l'ingra~dimento ha un effetto piacevole, il rimpicciolimento spazz~le degli oggetti al contrario li rende gradevoli, l'ingrandimento pertur­banti" ("Accelerare, rallentare il tempo e il loro rapporto con lo spazio", in Geographica [scritti degli anni '20 e '30], a c. di L. Boella, Marietti, Genova 1992, pp. 224-25).

4. Si veda - a richiamo di queste "sparse rovine", di queste weitverstreu­ten Triimmer che infrangono il continuum percettivo ed esistenziale della vi­ta borghese- nella IX Tesi Sul concetto di storia la catastrofe che accumula Triimmerau/Triimmer, macerie su macerie, così come appaiono all'angelo kleetano "là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti" (CS 36-37). '

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L'amplificazione della percezione guadagna alla consapevolezza regioni dell'intuizione spaziale prima sprofondate nei meandri dell'inconscio: "Si capisce co­sì come la natura che parla alla cinepresa sia diversa da quella che parla all 'occhio. Diversa specialmente per il fatto che al posto di uno spazio elaborato dalla coscien­za dell'uomo interviene uno spazio elaborato incon­sciamente" (III, 41). La possibilità di scomporre, isola­re, rallentare, fermare, focalizzare, e quindi analizzare ad esempio il movimento del camminare o il gesto del­l'afferrare ci rende consapevoli della natura di dettagli che pertengono al rapporto fra le diverse parti del no­stro corpo, all'incontro tra noi e le cose del mondo, e al­le modulazioni che variano quel rapporto e quell'in­contro a seconda del variare dei nostri stati d 'animo. "Dell'inconscio ottico [Optisch-Unbewuflt] sappiamo qualche cosa soltanto grazie ad essa [scil. alla cinepre­sa], come dell'inconscio istintivo [Triebhaft-Unbewuflt] grazie alla psicanalisi" (III, 42)5

A questo punto il paragrafo 13 della III si conclude, mostrando una notevole divergenza rispetto alla l, II e Fr. che (con variazioni minime) proseguono con un ap­profondimento molto significativo delle implicazioni di psicologia individuale e sociale: "Del resto tra le due specie di inconscio sussistono connessioni strettissime. Perché gli aspetti molteplici che l'apparecchio di regi­strazione può ricavare dalla realtà si trovano in gran

5. Nella Piccola storia della foto grafia la scoperta dell'" inconscio ottico" era stata attribuita alla macchina fotografica (OA, 62-63 ). Ma vi è anche un inconscio acustico: "Nell'epoca della massima estraniazione [Ent/remdung] degli uomini fra loro, dei rapporti infinitamente mediati che sono ormai i lo­ro soli , sono stati inventati il fìlm e il grammofono. Nel fìlm l'uomo non rico­nosce la propria andatura, nel grammofono non riconosce la propria voce. Ciò è confermato da esperimenti. La situazione del soggetto di questi espe­rimenti è quella di Kafka" (FranzKafka: AN, 302-03).

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parte solo al di fuori di un normale spettro delle perce­zioni sensoriali. Molte delle deformazioni e stereotipie, delle trasformazioni e delle catastrofi che possono ri­guardare il mondo dell'ottica nei film, lo riguardano in effetti nelle psicosi, nelle allucinazioni, nei sogni. E così quei procedimenti della cinepresa sono altrettante pro­cedure grazie alle quali la percezione collettiva può ap­propriarsi dei modi di percezione individuale dello psi­cotico o del sognatore. Nell'antica verità eraclitea- gli svegli hanno in comune il loro mondo, i dormienti han­no ciascuno il proprio- il film ha aperto una breccia. E cioè molto meno con raffigurazioni del mondo onirico che non con la creazione di figure del sogno collettivo come Mickey Mouse, che ruota tutt'intorno alla terra" (II, 376-77).

Il riferimento all'esperienza psicotica risulta parti­colarmente p regnante nel contesto del parallelismo tra cinema e psicoanalisi, e viene subito sviluppato in dire­zione di una teoria del cinema come "psicofarmaco": "Se ci si rende conto di quali pericolose tensioni la tec­nicizzazione abbia provocato [aggiunge la Fr., 732: "la tecnica razionale in seno all'economia capitalistica di­venuta da molto tempo irrazionale") con le sue conse­guenze sulle grandi masse- tensioni che in stadi critici assumono un carattere psicotico -, si giungerà a rico­noscere che contro tali psicosi di massa questa stessa tecnicizzazione si è procurata la possibilità di una vac­cinazione psichi ca attraverso certi film, in cui uno svi­luppo forzato di fantasie sadiche o di rappresentazioni deliranti masochistiche può impedire la loro naturale e pericolosa maturazione nelle masse [aggiunge la Fr., 732: "particolarmente esposte a causa delle forme at­tuali dell'economia"). Lo scoppio prematuro e salutare di simili psicosi di massa è raffigurato dalla risata collet-

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tiva. Le enormi quantità di eventi grotteschi che vengo­no consumate nel film sono un indice drastico dei peri­coli che minacciano l'umanità provenienti dalle rimo­zioni [repressioni: Verdrà"ngungen] che la civiltà porta con sé. I film grotteschi americani e i film di Disney provocano un'esplosione terapeutica dell'inconscio [la

· Fr., 732, preferisce "un dynamitage de l'incoscient", riecheggiando la "dynamite des dixièmes de seconde" di Fr., 730). [ ... ) In questo contesto trova posto Cha­plin come figura storica" (II, 377 -78).

L'idea dell'immagine artistica come cuscinetto che ammortizza l'impatto tra il soggetto e la realtà ostile­idea, assieme a non poche altre (non ultima quella, goethiana, di polarità6), condivisa da Benjamin con Aby Warburg, che aveva preposto ai suoi frammenti di psicologia dell'arte il motto "Du lebst und tust mir ni­chts" (vivi e non mi fai nienteF- ritorna nel paragrafo

6. "È vero- aggiunge Benjamin- che un'~malisi generale di questi film non dovrebbe tacere il loro senso antitetico. Essa dovrebbe prendere le mosse dal senso antitetico di quegli stati di cose che agiscono in modo tanto comico quanto terrifico. La comicità e il terr<,ne, come mostrano le reazioni dei bambini, si trovano molto vicini fra loro. [ ... ] Quello che emerge alla luce dei più recenti film di Disney è in effetti già annunciato in alcuni film più vecchi: l'inclinazione ad accettare in modo affabile la bestialità e l'atto violento come fenomeni concomitanti dell'esistenza. Così viene ripresa un'antica e non meno rassicurante tradizione; essa viene dagli hooli"gans danzanti che troviamo ndle immagini medievali dei pogrom, e la 'gentaglia' della fiaba dei Grimm costituisce la loro scialba e confusa retroguardia" (ll,J77, n. 14). -''

7. Cfr. E. Gombrich, Aby Warburg. Una biografia inte/leiiU4le [1970], tr. i t. di A. Dal Lago e P.A. Rovatti, Fdtrinclli, Milano 1983, p. 70. Sulle profonde affinità tra l'approccio di Benjamin e quello di Warburg (nonché sui tentativi dd primo di entrare in contatto ron il circolo che ruota va intor­no alla KulturwiJJenschaftlich~ Bibliothek fondata dal secondo, in pn'mis con Panofsky e Saxl) dr. innanzi tutto W. Kemp, Walter Benjamin e id sa'en­za eJielica Il: Walter Benjamin e Aby Warburg, tr. it. di C. Tommasi, in •aut aut", 189-90, 1982, pp. 234-62; quindi M.Jesinghausen-Lauster, Die Suche nach der symbolischen Form, Koerner Verlag, Baden Baden 1985, pp. 273-309; R. Kany, Mnemosyne als Programm. Geschichte, Erinnerung und die Andacht r.um Unbedeutenden im Werk uon Usener, Warburg und Benj'amin,

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successivo, il 14, là dove Benjamin affronta un punto cruciale della sua trattazione: !'"effetto di choc" [Schockwirkung] del film. Questo effetto fisico impone al fruitore una reazione, una "presenza di spirito" simi­le a quella che esige la forma di vita tipica della moder­nità, ad esempio quando l'uomo deve difendersi dai pericoli del traffico metropolitano: "Il bisogno ·di esporsi ad effetti di choc è un tentativo di adeguazione dell'uomo ai pericoli che lo minacciano. Il cinema ri­sponde a certe profonde modificazioni del complesso appercettivo [Apperzeptiomapparat] - modificazioni che nell'ambito dell'esistenza privata sono vissute [er­lebt] da ogni passante immerso nel traffico metropoli­tano, e nell'ambito storico da ogni cittadino odierno" (III 55-56, n. 29; tr. mod.).

Su quello stesso effetto Adorno andava contempo­raneamente riflettendo nella sua ]azzarbeit, in partico­lare per quanto concerne l'impiego del sincopato nel jazz. Ma, al di là delle comuni categorie descrittive, la posizione adorniana è profondamente divergente da quella benjaminiana: Adorno condanna senza appello la "nuova" forma musicale come fascista, "sadomaso­clùstica", affetta da "regressione anale", e accosta la sincope all'impotenza e all' ejaculatio praecox 8

Niemeyer, Ttihingen 1987; E. Tavani, "Paesaggi di rovine. Tempo e paesag­gio. Su alcuni motivi in Benjamin, Sedlrnayr, Warburg ", in Il paesaggio del­l'estetica. Teon·e e percorsi, atti del lil convegno nazionale A.I.S.E., a c. di G. Marchianò, Trauben, Torino 1997, pp. 3 77-88.

8. n saggio O ber ]a:a venne pubblicato, sotto lo pseudonimo di Hektor Rottwciler, nella "Zeitschrift fur Sozialforschung", 5, 1936, Heft Il, pp. 235· 57 (ora raccolto in Th.W. Adorno, Schri/ten, hrsg. v. R. Tiedemann, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1982, vol. 17, pp. 74-100; per questi giudizi cfr. in part. pp. 83, 92, 93, 98 (se ne veda anche l'esposizione abbreviata nd più tardo saggio "Moda senza tempo. Sul jazz" [1953], in Prismi, cit., pp. 115· 28). Come scrive Adorno a Benjarnin, nel Jav.arbeit "si giunge a un verdetto pieno sul jazz, nel momento in cui proprio i suoi dementi "progressistici" (apparenza del montaggio, lavoro collettivo, primato della riproduzione

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Ben altre potenzialità rawisa Benjamin nella Schockwirkung9

• La teoria dello choc come cifra dello · stile di vita metropolitano viene da Benjamin ap­profondita nelle pagine dedicate a Baudelaire: "In ba­lia dello spavento, Baudelaire non è alieno dal provo­carlo a sua volta. [ ... ]La psichiatria conosce tipi trau­matofili. Baudelaire si è assunto il compito di parare gli chocs, da qualunque parte provenissero, con la propria persona intellettuale e fisica" (AN, 97). L'abitante della /ourmillante cité baudelairiana, precorso dall'Uomo della folla di Poe, si muove guardingo fra la calca, scan­sando i colpi o incassandoli nella più perfetta inlpassi­bilità. Egli si familiarizza con quei gesti bruschl (l' ac­censione del fiammifero, la telefonata, lo scatto foto­grafico, l'attraversamento di una strada trafficata, il bombardamento pubblicitario dei giornali- ma anche il lavoro alla catena di montaggio) che caratterizzano la

sulla produzione) vengono mostrati come facciate di qualcosa che in verità è del tutto reazionario. Credo mi sia riuscito di decifrare davvero il jazz e di determinare la sua funzione sociale" (lettera dd 18.3.1936: A-B, 175).

9. Benjamin individuava nelle contemporanee indagini musicologiche dell'amico Adorno la controparte "sonora" delle proprie ricerche sul visivo. In una lettera del30.6.36 sottolinea "quanto il complesso 'effetto-choc' nd ft.lm mi sia stato chiarito dalla Sua descrizione della sincope nel jazz.ln linea più generale, mi sembra che le nostre ricerche siano come due riflettori di· retti da lati opposti ad un oggetto, che rendano riconoscibili i contorni e le dimensioni dell'arte contemporanea in modo dd tutto nuovo e molto più fecondo di quanto fin qui è stato raggiunto" (A·B, 190). Più tardi, però, in un passo della lettera dd 9.12.1938 riferito al saggio adomiano sul C,ralt<re dijeticdo in musica (il regrerro dell'ascoùo (tr. it. in Dissonanu, a c. di G. Manzoni, Fcltrinelli, Milano 1990, pp. 7-51), si chiede proprio riguardo al paralldismo tra cinema e jazz: •Ex i.mproviso non sono in grado di giudicare se la diversa distribuzione delle zone di luce e d'ombra nd nostri rispettivi tentativi risulta da divergenze teoriche. Può darsi che si tratti solo di diffe. ren.ze apparenti della visuale, che in verità, in modo ugualmente adeguato, concerne oggetti diversi. Giacché non è detto che percezione acustica e otti· ca siano ugualmente suscettibili di un rivolgimento rivoluzionario.[ ... ] Nd mio lavoro ho tentato di articolare i momenti positivi con la stessa chiarezza che Lei ha dedicato a quelli negativi. Vedo quindi una fona dd Suo lavoro proprio dove vi era una debolezza dd mio" (L, 374-75).

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sua vita da spadaccino esercitandosi al tavolo da gioco: "Allo scatto del movimento della macchina corrispon­de il coup nel gioco d'azzardo" (AN, 113). Oppure, più tardi, andando al cinema: "Nel film la percezione a scatti si afferma come principio formale. Ciò che deter­mina il ritmo della produzione a catena, condiziona, nel ftim, il ritmo della ricezione" 10 (AN, 110).

Di questo uomo metropolitano ha cantato Baudelai­re: egli "ha mostrato il prezzo a cui si acquista la sensa­zione della modernità: la dissoluzione dell'aura nell"esperienza' dello choc" (AN, 130). Ma, oltre alla poesia baudelairiana, è alle analisi sulle modalità di esperienza tipiche della modernità di Georg Simmel che bisogna guardare per comprendere una delle fonti più importanti di Benjamin per la teoria dello choc. Nel breve saggio del1903 Le metropoli e la vita dello spirito, che riprende in modo più succinto alcuni temi esposti più diffusamente nella grande opera del1900, Filosofia del denaro (peraltro espressamente citati in Di alcuni motivi in Baudelaire: AN, 127, e nel Passa­genwerk: PW, 564 e 580-81), Simmel descrive la cifra psicologica dell'individuo metropolitano come un'"in­tensificazione della vita nervosa, che è prodotta dal ra­pido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori", quali sono provocate dallo stile della vita

10. Il film come training dd sensorio umano deve evidentemente tener conto della _spe~ificit~ del pubbli~ metr?politano. Per converso, si veda quanto BenJamm scnve a proposito dd film culturale russo, rivolto a un pubblico di contadini: "Attraverso il cinematografo si cerca di dare loro informazioni storiche, politiche, tecniche e igieniche in modo più chiaro e corn~:ensibile. Ma si~ ancora- ~uttosto sprovveduti di fronte alle difficoltà che SI InContrano. fl modo di pel'lepire dei contadini è radicalmente diverso da quello delle masse cittadine. Si è visto, per esempio, che il pubblico rura­le non è in grado di cogliere due sen·e di/alli simultanee, come ce n'è a centi­naia in ogni fùm. Segue solo un'unica successione di immagini, che deve svolgersi cronologicamente davanti a lui, esattamente come nelle canzoni dei cantastorie" (Su/14 situazione dell'arie dn~matograjiCti in Russia [1927]: AR,86).

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cittadina, a partire da un qualsiasi attraversamento del­la strada. Questi ritmi incalzanti inducono l'individuo metropolitano a sviluppare un "organo di difesa" che c?nsiste. sostanzialmente nella cessazione di ogni' rea­ZIOne. S1 produce così l'individuo blasé: "C essenza del­l' essere blasé consiste nell'attutimento della sensibilità r~spetto alle differenze fra le cose. [ ... ]Le cose galleg­giano con lo stesso peso specifico nell'inarrestabile cor­rente del denaro" 11

• A tale adattamento autoconserva­tivo agli stimoli dell'ambiente metropolitano, consi­stente nel reagire non reagendo, corrisponde nei rap­porti umani la "riservatezza", che contrasta con il con­tinuo contatto esteriore con centinaia di individui: un'indifferenza, "ma, più spesso di quanto non siamo disposti ad ammettere, una tacita avversione, una reci­proca estraneità, una repulsione che al momento di un contatto ravvicinato, e a prescindere dall'occasione, p_uò capovolgersi immediatamente in odio e in aggres­siOne". Così, nel "brulichio della metropoli", "la vici­nanza e l'angustia dei corpi rendono più sensibile la distanza psic)1ica" 12

• Si sviluppa così in alcuni casi .quella degenerazione denominata "fobia del contatto" [~~riihru_ngsangst], la paura di essere toccati troppo da v1cmo, di essere consegnati "agli chocs e ai turbamenti che derivano dalla prossimità immediata e dal contatto con uomini e cose"H.

1~. G. Simmel, u metropoli t la vita dello spirtio [1903], tr. it. di,P.Jed­lowski e.R Siebert, !"trod. di P.J~owski, Annando, Roma 1995, pp. 36, 37, 43. S1 veda, per l espenenza musicale, la seguente osservazione di Ador­no: •La fonna di reazione costituita dal jazz si è talmente:: accumulata che tutta un~ gi?,:e,nt~ ~ent~ ormai naturalmente, primariamente, a sincopi e non coglie ptu l ongl!lano conllitto fra le sincopi ed il metro fondamentale" (Mod4 senutempo. Suljav:, cit., pp.ll5-16).

12.lvi, pp.45 e 49. . 13. G. Simmel, Filosofo d<i denaro [1900], a c. di A. Cavalli e L. Peruc­

cht, Utel, Torino 1984, p. 668. Per questi temi cfr. M. Cacciati (a c. di), Me­tropoli s. Sagg1 sulla grande cillà di Sombart, Enden Sche/f/er e Simm<i, Offi­cma, Roma 1973.

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Come si colloca l'arte in questa costellazione metro­politana? Molto significativamente Simmel, come avrebbe fatto poi Benjamin, caratterizza l'arte in termi­ni di distanza e vicinanza e la correla alle nostre moda­lità percettive generali e "naturali": "Ogni arte trasfor­ma il campo visivo in cui ci poniamo originariamente e naturalmente di fronte alla realtà. Da un lato essa ce l'avvicina, ci pone in un rapporto più immediato con il suo senso più vero e più intimo [ ... ]. D'altra parte, però, ogni arte comporta un allontanamento dall'im­mediatezza delle cose, arretra la concretezza degli sti­moli e stende un velo tra noi e loro, simile al sottile va­pore turchino che aleggia sui monti lontani" 14• Ora, se il "principio vitale di ogni arte[. .. ] consiste nell'avvici­narci alle cose ponendoci ad una certa distanza da es­se", è vero però che "l'interesse estetico del tempo re­cente va verso l'aumento della distanza dalle cose" 15

offrendo - ricordiamo che queste pagine simmelian~ vengono pubblicate nel1900 - una possibilità di sollie­vo all'iperstimolazione quotidiana tramite una fuga nel remoto, nel simbolico e nell'inattuale.

14. G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 666. 15. lvi, p. 667.

lO TEORIA DEL PROIETTILE

Una situazione completamente ribaltata stava da­vanti agli occhi di Benjamin trent'anni dopo: cioè dopo che le avanguardie avevano invertito quella direzione verso la lontananza in una scandalosa vicinanza.

Ne è indice eclatante l'arte dei dadaisti, improntata com'è a un'intenzione distruttiva nei confronti dell'au­ra che si concretizza in una "radicale degradazione del loro materiale" 1 (III, 42): tanto la loro letteratura (si ci­ta come esempio una poesia di August Stramm), nel confezionare "insalate di parole" spesso oscene e irri­verenti nei confronti dei linguaggi tradizionali, quanto la loro pittura (è Arp che qui Benjamin richiama), che grazie al montaggio incorpora nel quadro rifiuti e scarti

1. A proposito della benjaminiana "teoria del dad.aismo", che t~.vava Adorno pienamente concorde (dr. lettera del.18.3.36, m A-B, 175), Bu.rger osserva: "La perdita dell'aura non VIene qui ncondotta alla trasformaZione delle tecniche di riproduzione, ma a un mtento del cr~atore:,La trasfor_ma· zione dell"intera funzione dell'arte' in tal senso non VIene pm a essere il n· sultato di innovazioni tecnologiche, ma è il prodotto del comporta~ento cosciente di tutta una generazione di artisti. [ .. .] Si stenta a sottra;-;1 co~· pletamente all'impressione che solo in un secondo tempo BenJamiD abb1a voluto fondare materialisticamente una scoiX;rta, 9uella d~a per?ita ddcll. ra delle opere d'arte, che in realtà doveva al suoi contatti con l arte e avanguardie" (P. Biirger, Teoria dell'avanguardia [1974] , ed. 1t. a c. d1 R Ru· schi, Bollati Boringhieri, Torino 1990, p. 36).

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della quotidianità, sono volte a impedire una ricezione che si configuri come "rapimento o sprofondamento contemplativo" [kontemplative Versenkung], cioè co­me esperienza, attuata nella dimensione dell'isolamen­to individuale borghese, della lontananza e dell'otticità -in lilla parola, dell'auraticità, ancora possibile nel rac­coglimento [Sammlung] e nella presa di posizione [Stellungnahme] che esigono da noi una poesia di Rilke o un dipinto di Derain.

Benjamin infatti individua come precipuo risultato di tali gesti dadaisti, volti innanzitutto a provocare pubblico scandalo, "lilla spietato annientamento del­l'aura dei loro prodotti" (III, 43), che determina nella fruizione uno spostamento dallo sprofondamento alla diversione [Ablenkung; la Fr., 733, preferisce distrae­/ton]: "Coi dadaisti, da llil'attraente apparenza ottica [Augenschein] o da una formazione sonora convincen­te qual era, l'opera d'arte divenne lli1 proiettile. Essa colpiva l'osservatore. Assllilse lUla qualità tattile [takti­schel Qualitat]" (III, 43; tr. mod.).

In questo modo l'opera dadaista precorreva il cine­matografo, il cui potere diversivo, cioè anti-contempla­tivo, risiede appunto nella modalità "a scatti" [a scosse, stoflweise] con cui le immagini vengono proposte al fruitore. L'estrema mobilità della proiezione, del cam­biamento repentino di inquadratura, di luoghi (e si po­trebbe aggillilgere: di tempi) di azione fa sì che il dato visivo si sottragga al controllo dello spettatore e sfugga

2. Riguardo alla sostituzione- pr<?po~ta dai curat?ri n~ll'.ed. di G~ I­dd tenni ne taktisch impiegato da Bcnjamm al posto ditakt1l,1 curatori del­l'ed. della II GS vri.2, 664, avvertono che • 'taktisch' per 'taktil' non è sba. gliato, bensì' di uso del tutto corrente in saggi di teoria ~dl'arte ~meno nel­l' area linguistica austriaca". È evidente che, al contra no, la t r. lt., l ad dove ammette per taktisch .. tattico" invece di .. tattile" (Ili, 45), deve essere emen­data.

lEO Ili A DEL PltOJFITJLE 163

al vissuto contemplativo di quest'ultimo, che tendereb­be- se potesse fissare l'immagine- a inserir! a nell' am­bito delle proprie associazioni di idee. Come è spesso caratteristico di Benjamin, l'opinione di lli1 interprete conservatore, che legge questo stato di cose in senso negativo e reazionario, serve a confortare l'ipotesi di partenza: "Duhamel, che odia il cinema, che non ha ca­pito nulla del suo significato, però ha colto qualcosa della sua struttura, definisce questo fatto nella nota che segue: 'Non sono già più in grado di pensare quello che voglio pensare. Le immagini mobili si sono sistemate al posto del mio pensiero"'3 (III, 43, tr. m od.).

L'interruzione inaspettata e incontrollabile del flus­so di pensieri nel fruitore determina l'effetto di choc proprio del film. È in particolare il suo essere basato su un apparato tecnico a permettere di esibire il lato pro­priamente fisico dello choc, che ancora era avvolto da lli1 "imballaggio" morale nella scandalosa arte dadai­sta. L'espressione tattile che colpisce [zustoflendJ tipica del film distrugge l' auraticità che si nutre della lonta­nanza ottica, quell' auratidtà che si presenta sempre co­me llil' esperienza della distanza "per quanto vicina".

li rapporto fra arte dadaista e cinema offre a Benja­min Io spunto per delineare una filosofia della storia dell'arte organizzata in tre momenti preceduti da lilla premessa. Questa consiste nell'idea che ogni forma d'arte gillilga, nella sua storia di sviluppo interno, a lli1

momento critico in cui pone determinate esigenze, sol­leva determinate questioni, aspira a raggillilgere certi risultati cui puo pervenire solo una nuova forma d'arte originata da lli1 ulteriore livello tecnico. Appoggiando-

}. G. Duhamd,Scènes de la uiefuture, II ed., Paris 1930, p. 52.

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si su Brcton, secondo il quale "l'opera d'arte ha valore soltanto in quanto sia traversata dai riflessi del futuro", Bcnjamin sviluppa uno schema kunstgeschichtsphilo­sophisch secondo il quale ogni forma d'arte sta all'~te~­sczionc di "tre lince di sviluppo [Entwlcklungsltmen] , rispettivamente connesse alla tecnica, alla produzione artistica c alla sua fruizione4

• ·

In primo luogo è la stessa tecnica a mirare a una de­terminata forma artistica. Così vediamo che alcune tec­niche di rappresentazione delle immagini p reco q-ono il cinema ben prima che questo fosse inventato: ad esem­pio quei libretti fotografici le cui pagine dovevano esse­re fatte scorrere velocemente tramite la pressione del pollice, in modo che le immagini guizzasser~ veloce­mente davanti all'osservatore, proiettando un mcontro di boxe o una partita di tennis nella loro dinamicità; oppure quegli apparecdù automatici collocati nei ba­zar (nei Passagen, preferiva significativamc_n~c la I, _457) che offrivano lo scorrin1cnto delle immagmi tramite la rotazione di una manovella.

In secondo luogo sono le stesse forme artistiche tra­dizionali a puntare faticosamente, in certi sta~ ~ella lo­ro evoluzione, a effetti che la nuova forma artistica suc­cessivamente otterrà spontaneamente c con grande fa­cilità: "Prima che il cinema s'imponesse, i dadaisti cer­carono nelle loro manifestazioni di suscitare nel pub­blico una reazione [letteralmente" movimento", Bewe­gung] che più tardi un Chaplin ottenne del tutto natu­ralmente" (Ili, 55, n. 26).

In terzo luogo, modificazioni sociali spesso mode:t~ mirano a una modificazione della ricezione che favonra

4. In nota 26, m. 54-55; queste righe erano incluse nel corpo dd te~to nel S 13 dclla l, 456·57, e passarono già in nota 15 della li, 378; mancano In·

vece nella F r.

TEORIA DEL PROIETTILE 165

solo la nuova forma artistica. Prima che il film avesse incominciato a formare il suo pubblico, già il Kaiserpa­norama offriva immagini in movimento alla ricezione di un pubblico riunito. "Ora, un pubblico simile - ag­giungeva la I, 457 -era anche quello che frequentava le pinacoteche, ma senza che il loro arredamento, come ad esempio quello del teatro, fosse in grado di organiz­zarlo". Nel Kaiserpanorama invece sono previsti posti a sedere, la cui distribuzione davanti ai diversi stereosco­pi permette una molteplicità di contemplatori di imma­gini. "Il vuoto in una galleria di dipinti può essere pia­cevole, non è più tale nel Kaiserpanorama, c a nessun costo lo è al cinema. E tuttavia ciascuno nel Kaiserpano­rama -leggiamo sempre nella I, 457 -,come per lo più nelle pinacoteche, ha ancora la sua propria immagine". Allo stesso modo, Edison, prima che si inventasse la proiezione su schermo, esibiva la pellicola cinemato­grafica a ciascun spettatore. Viene così ad emergere la "dialettica di questo sviluppo. Poco prima che il film renda collettiva la visione delle immagini, davanti agli stereoscopi di questi stabilimenti, peraltro rapidamen­te tramontati, la visione delle immagini da parte del sin­golo riacquista la stessa pregnanza che un tempo aveva la visione dell'immagine del dio per il sacerdote nella cella" (III, 55, n. 26).

Il dadaismo, più di altri movimenti artistici', è un esempio paradigmatico di tale legge di sviluppo, nel

/.'

5. Cubismo e futurismo sono al pari del dadaismo messi in relazione con il cinema, e descritti come "tentativi incompleti di tener conto ddla penetra­zione nella realtà da parte della macchina"; incompleti, perché diversamen­te dal cinema non impiegano un'apparecchiatura tecnica nei loro procedi­menti produttivi dell'opera d'arte, ma rappresentano l'apparecchiatura stessa nell'opera- il cubismo nd •presentimento della costruzione di questa apparecchiatura, che si basa sull'ottica"; il futurismo nd "'presentimento degli effetti di questa apparecchiatura", cioè nella resa dell'immagine in mo­vimènto così come si presenta ndla sequenza cinematografica (cfr. III, 56, n.JO).

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momento in cui si presenta come un complesso di for­me artistiche (sostanzialmente pittura e letteratura) che in un suo periodo critico mira a conseguire determinati effetti che solo il cinema saprà garantire al proprio pubblico nella più spontanea naturalezza. È caratteri­stico del dadaismo, così come in generale degli stili del­le cosiddette epoche di decadenza [Verfallszeiten], un insieme di Extravaganzen und Kruditéiten contrasse­gnate da Barbarismen: non che essere elementi di nega­tività da condannare, tali aspetti costituiscono il vero centro di forza di tali stili. Come è evidente, qui Benja~ min tiene in filigrana Riegl e Wickhoff, con la loro sto­riografia artistica polemica nei confronti del concetto di 'decadenza e il loro coraggioso recupero di periodi stilistici tradizionalmente considerati "brutti", quale appunto il tardo impero romano.

È inoltre evidentemente l'impiego della coppia tatti­le/ottico a rivelare l'influenza dell'impianto riegliano. Essa ricompare nel paragrafo successivo, il15, che pro­segue nell'indagare la correlazione fra storia dell'arte e storia della percezione, Cominciando con il definire la massa una matrice (matrix) che rinnova l'atteggiamen­to usuale rispetto all'opera d'arte, Benjamin osserva co­me le modificazioni quantitative che essa apporta alla partecipazione abbiano indotto delle trasformazioni di carattere qualitativo, considerate in modo negativo e svalutativo da critici reazionari. È infatti ancora Duha­mel a essere qui citato, in un passo in cui si stigmatizza il cinema come "divertissement d'ilotes" (Fr., 735; cit. da Scènes de la vie future, cit., p. 58), che offre una com­pensazione futile e passeggera ad una vita miserabile. Ma ancora una volta è proprio attraverso una caratteri­stica inversione della critica negativa di un fenomeno artistico o sociale che Benjamin può attingere gli stru-

TEORIA DEL PROIETTILE 167

menti analitici e descrittivi più consoni al proprio in­tento. il divertissement che Duhamel e in generale i commentatori conservatori contrappongono come de­generato atteggiamento distratto al serio raccoglimen: to [Sammlung] preteso dall'opera diviene, in quanto dt­strazione [Zerstreuung], la cifra peculiare della ricezio­ne filmica di massa.

Se il paragrafo precedente era stato impostato sul-l'opposizione tra sprofondamento [Versenk.ung] bo~­ghese e diversione [Ablenkung] dadaista, qmla coppia Sammlung-Zerstreuung, a quella imparentata, por:a Benjamin alla seguente formula.: "C?lui che s! racco?li~ [der sich Sammelnde] davanti ali opera d arte V1 s1 sprofonda [versenkt sich]; penetr~ nell'ope~a, come racconta la leggenda di un pittore cmese alla v1sta della sua opera compiuta. Inversamente, la massa distratta [zerstreute] fa sprofondare in sé [versenkt in sich] l'o­pera d'arte" (III, 44; tr. mod.)6

. .,

Di questo caso del pittore cinese Benjamin aveva g1a trattato- e più diffusamente- in "La Comarehlen", un capitolo di Infanzia berlinese, i cui primi appunti risal­gono all'autunno del1932. Riandando all'incanto che la porcellana cinese esercitava su di lui quan~o. era bambino, Benjamin riporta quella leggenda che Vlene dalla Cina e narra di un vecchio pittore che mostrava agli amici il suo ultimo dipinto. Vi si vedeva un giardino

6 Negli Epilegomena alla II troviamo queste '?regnanti annotazioni ~ulla distrazione: "I valori della distrazione sono da sviluppa.re nel !ilm co~e l V~· !ori della catarsi nella tragedia. Distrazione e catars~ da c1rcos7nve~ m quanto fenomeni fisiologici • (GS VII-2, 678). La questione_ ~ella d~strazton~ è un ulteriore punto su cui si incentrano le osservaztom cnuc~e d1 Ado~o. "La teoria della distrazione, nonostante la sua choccante se~uzwne, non ne· sce a convincermi. Non foss'altro che per il semplice motivo _che n~~a so· cietà comunista il lavoro sarà organizzato in modo tale che gli uonu~ no~ saranno più così stanchi e così istupiditi da aver bisogno della distraZione (A-B, 172).

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168 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

e uno stretto sentiero che, lungo l'acqua e attraverso un boschetto, si snodava fino alla piccola porta di una ca­supola sullo sfondo. Quando però gli amici si volsero ver:-o il pittore, egli era svanito ed era nel quadro. Là egli percorse lo stretto sentiero verso la porta, vi si fermò in silenzio davanti, si girò, sorrise e sparì nel suo vano. Allo stesso modo anch'io, alle prese con le mie ciotole e coi pennelli, mi trovavo d'un tratto trasferito nell'immagine. Avevo anch'io qualcosa della por~ella­na, nella quale facevo ingresso in mezzo a una nuvola di colori" (IB, 57).

Come è stato opportunamente notato7 il senso che Benjamin attribuisce a questa leggenda s~bisce una si­gnificativa inversione nel passaggio da Infanzia berli­nese al saggio sull'opera d'arte: se nel primo caso lo scomparire del pittore nel proprio quadro era portato ad esempio di uno sprofondamento tattile nell'imma­gine, di un'identificazione corporea con le cose (tema fra i più ricorrenti di quello scritto incentrato sulle e~perien~e infantili), nel secondo caso la leggenda del pittore cmese viene contrapposta, come sprofonda­mento contemplativo nell'opera tipico di chi si racco­glie davanti a un quadro, all'atteggiamento delle mas­se,_ che al contrario fanno sprofondare l'opera nel pro­pnogrembo.

Di questo sprofondamento l'esempio più chiaro è ~appres~tato dall'architettura, che "ha sempre fornito il prototipo di un'opera d'arte la cui ricezione avviene n~a distrazione e da parte della collettività" (III, 45). A diff~renza di altre forme artistiche -la tragedia, l'epos, la pittura su tavola-, che nella loro contingenza così co-

7 ·Cfr. L. Boella, Attualità e distruzione. Il linguaggio del mito nel mondo della tecnica, Cuem, Milano 1987, p. 115.

169 TEORIA DEL PROIETTILE

me sono nate possono anche morire, l'architettura, do­vendo rispondere a un bisogno necessario dell'umanità (quello di ripararsi in un'abitazione), accompagna la storia dell'uomo fin dai tempi preistorici e fintantoché esisterà l'uomo non deve temere di scomparire.

Ora, nota Benjamin, due sono i modi di fruire del­l'architettura: "Attraverso l'uso [Gebrauch] e attraver­so la percezione [Wahrnehmung]. O, in termini più precisi: in modo tattile [taktisch] e in modo ottico ~op­tisch] ", precisando che "la fruizione tattile non aVViene tanto sul piano dell'attenzione [Aufmerksamkeit] quanto su quello dell'abitudine [Gewohnheit]. Nei confronti dell'architettura, anzi, quest'ultima determi­na ampiamente perfino la ricezione ottica. Anch'essa, in sé, avviene molto meno attraverso un'attenta osser­vazione [gespanntes Au/merken] che non attraverso sguardi occasionali [beilaufiges Bemerken]" (III, 45; tr.

mod.). Vediamo qui Benjamin impiegare la coppia riegliana

tattilelottico, ma piegarla in direzione di una polarità nelle modalità della ricezione che si determina in rela­zione ad una specifica forma d'arte. In altre parole, se in Rieglla percezione tattile e quella ottica contrasse­gnavano ciascuna un periodo storico-artistico nel suo complesso (senza tener conto delle differenze fra pittu­ra, scultura, architettura, artigianato), in Benjamin l_a percezione tattile diviene la cifra distintiva della frui­zione di una determinata forma d'arte, l'architettura.

Ciò non impedisce tuttavia a Benjamin di estender~ questa modalità all'epoca nel suo complesso; e anche di più: alla gestione del passaggio da un'epoca all'altra. Per quel che riguarda questo secondo punto, ammet­tendo infatti che "in certe circostanze" questa modalità di ricezione dell'edificio architettonico può diventare

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170 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

canonica, egli sottolinea che il nesso essenziale sussi­stente fra tattilità ed abitudine fa sì che le modificazioni percettive che avvengono nel corso della storia si svol­gano fondamentalmente sulla base di una ricezione tat­tile: "I compiti che in certe epoche di trapasso [Wende­zeiten] storico vengono posti all'apparato percettivo umano non possono essere assolti per vie meramente ottiche, cioè contemplative. Se ne viene a capo a poco a poco grazie all'intervento ddla ricezione tattile, all'abi­tudine" (III, 45).

Ma l'abitudine, oltre che correlarsi alla tattilità, si connette alla distrazione: il soggetto distratto contrae abitudini, e la sua capacità a svolgere certi compiti an­che in condizioni distratte documenta l'abitudine da lui contratta. L'occasione in cui si può ottenere questa documentazione è offerta secondo Benjamin dall'arte: "Attraverso la distrazione, quale è offerta dall'arte, si può controllare di sottomano in che misura l'apperce­zione è in grado di assolvere compiti nuovi. [ ... ]Lari­cezione ndla distrazione, che si fa sentire in modo sem­pre più insistente in tutti i settori dd!' arte e che costi­tuisce il sintomo di profonde modificazioni ddla perce­zione" (III, 46; tr. mod.), forgia l'apparato percettivo dell'epoca, che quindi risulta configurarsi nel suo com­plesso come epoca tatti/e.

È il cinema il mezzo più potente di questa trasfor- , mazione percettiva; grazie ad esso il valore cultuale del­l'arte recede, in quanto questa non è più oggetto di una rispettosa contemplazione da lontano, ma viene sotto­posta ad un esame, ad una perizia (qui Benjamin allude nuovamente al parallelismo con il test sportivo), esige quindi dallo spettatore una valutazione e una presa di posizione da vicino, non però un comportamento at­tento (che sarebbe ancora caratterizzato dal rispetto adorante dd!' auratico), bensì distratto.

TEORIA DEL PROIE"nlLE 171

Come ci spiega la I: "Là dove la collettività cerca la propria distrazione, non manca in nessun modo la do­minante tattile, che governa il nuovo raggruppamento dell'appercezione. In origine essa è di casa nell'archi­tettura. Ma nulla rivela in modo più chiaro le immense tensioni ddla nostra epoca del fatto che questa domi­nante tattile si faccia valere anche nell'ottica. E questo accade appunto nel film attraverso l'effetto di choc del­Ia sua sequenza di immagini. Così il film, anche sotto questo aspetto, dimostra di essere attualmente l'ogget­to più importante di quella dottrina della percezione [Lehre von der Wahmehmung] che presso i Greci era chiamata estetica"8 (I, 466).

8. Quest'ultima frase (presente anche in li, .381 e in Fr., 736; è invece espunta in III) è stata tradotta anche da D. Maierna in ·Linea d'ornbra",loc. cit., p. 31. Commentandola, Desideri nota come •per Benjarrtin il bivio 'eroico' tra l'arte e la sua fme, tra l'arte e la questione della verità si risolva in direzione di un'Estetica anziché in una Poetica nd senso eli Heidegger. Ov­vero- come ricorda lo stesso Bcnjamin richiamandosi ai Greci- in una 'dot­trina della percezione'" (LA porltt d~lla giustiz.itt, ci t., p. 113 ).

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11 ESTETICA ED ESTETIZZAZIONE

Estetica, dunque, come "dottrina della percezione". Tuttavia non manca nell'argomentazione benjaminiana una differente accezione del termine "estetica" così co­me si sente risuonare- nella Postilla al saggio sull'opera d'arte1 - in Asthetisierung, "estetizzazione", nella con­trapposizione a Politisierung, "politicizzazione". Este­tizzazione è secondo Benjamin l'operazione condotta dal fascismo nel momento in cui esso riconosce alla massa la possibilità dell'espressione di se stessa- di es­sere, per usare la formula di Siegfried Kracauer, "massa come ornamento"2 -, ma non il diritto di cambiare i

l. Essa. corrisponde al S 19 in l, II e Fr. Sostenere che qui, per così dire all'ultimo minuto, •Benjamìn cerca di riscattare il suo discorso alla causa dd comunismo, come per fedeltà al suo p~posito di lanciare una puntata in fa­vore di una teoria marxista dell'arte" (Pullega, loc. cit., p. 178), significhe­rebbe forse sottovalutare eccessivamente gli echi marxiani che, c;:Ome si è vi­sto, pervadono tutto il saggio (anche se certlllllente non ne esauriscono gli orizzonti), e non solo il suo alfa e omega, la Premessa e la Postilla (alla quale Benjamin pare tenesse in modo particolare: si veda lo •spezialerlaubnis", il permesso speciale che Benjamin millantava di avere ricevuto da Horkhd.­mer riguardo all'intoecabilità di questo paragrafo: cfr. GS 1-3, 988).

2. Nel suolJds Ornam~ntderMtuU, del1927, Kracauer analizzòJ'oma­mentazione nelle forme sociali di massa proprie dd capitalismo moderno, ritenendo che "la figura umana inserita neUe figurazioni ornamentali di mas­sa ha intrapreso l'esodo dal rigoglioso splendore organico e dalla forma indi­viduale [ ... ] . L'uomo come ~sere organico è scomparso dalle figure orna­mentali" (in La massa come ornamento, cit., p. 107). Kracauer distingue si-

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174 VJCCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

rapporti di proprietà. Anzi, la concessione di quell'e­spressione è strategicamente intesa ad assicurare la con­servazione di quei rapporti.

Benjamin non manca di segnalare l'aspetto tecnico del problema: "Alla riproduzione in massa è particolar­mente favorevole [letteralmente: viene incontro, kommt entgegen] la riproduzione di masse" (III, 56, n. 32). La progressiva massificazione, quale si dà a vedere nei cortei pubblici, nelle adunate oceaniche, negli spet­tacoli sportivi, nelle guerre, si offre in modo più ade­guato all'apparecchio di registrazione che non all'oc­chio umano. La possibilità di una prospettiva a volo d'uccello che colga gli immensi movimenti collettivi è sì accessibile all'occhio umano, ma viene pienamente svi­luppata solo dalla macchina che ne permette ingrandi­menti. Così "la massa vede in volto se stessa" (III, 56, n.

32). Questo sguardo viene filtrato in senso estetistico:

"Con D'Annunzio ha fatto il proprio ingresso in politi­ca la decadenza, con Marinetti il futurismo e con Hiùer la tradizione di Schwabing" (I, 467; II, 382). La propa­ganda totalitaria, coltivando il culto di un duce o Fiihr­er, alimenta il valore cultuale della personalità: come è evidente, Benjamin qui si richiama al culto delle star ci­nematografiche come surrogato dell'aura (esposto al paragrafo 10), ritradotto però in termini politici.

L'auraticizzazione del leader politico non è del resto l'unico compito dell'estetizzazione della politica; essa anzi tende alla guerra come alla sua meta finale: è la guerra a "mobilitare" le grandi masse verso uno scopo,

gnifi:cativamente tra maJJa e popolo: • Elemento portante delle figurazioni ornamentali è la massa. La massa, non il popolo~ infatti, quando è H popolo a creare figure, esse non vivono in una dimensione astratta, ma si sviluppano dal seno della comunità" (ivi, p. 100).

ESlliTICA ED ESTEllZZAZIONE 175

ga~antendo dal punto di vista politico il mantenimento der rapp?rti ~proprietà sussistenti, e dal punto di vista tecnolog~co l impiego della totalità delle apparecchia­ture tecnrche.

È interessante confrontare la lettura benjaminiana della mo~ilitazione militare delle masse con quanto a~eva teotiZz~t~ pochi anni prima ErnstJ Gnger nel sag­gw apptJ?tO mtrtolato La mobilitazione totale, apparso per la prima volta nel volume collettivo, curato daJGn­ger stesso, Guerra e combattenti, del1930: "L'immagi­ne stess~ della guerr~ col? e azione armata- scriveJiin­g~r-finisce persfocrare m quella, ben più ampia, di un grga~tesco processo lavorativo. Accanto agli eserciti che s~ ~contrano sui campi di battaglia nascono i nuovi ~~ercltl ~elle ~~munic~zion~, del vettovaglia mento, del­l md,ust~Ia militare:. l esercito del lavoro in assoluto. Nel! ultima f~se, grà adombràta verso la fine della C?uerra mondiale, non vi è più alcun movimento- fos­s anche quello di una lavoratrice a domicilio dietro la s~a macchina da cucire- che non possieda almeno in­direttamente un significato bellico. In questo impiego ~ssolut<;> ~el!' e~ergia ~~tenziale, che trasforma gli Stati r~dustnali belligeranti m fucine vulcaniche, si annun­cia nel modo forse più evidente il sorgere dell'età dclla­voro"J. ques.ta moJ:'ilitazione totale non si presenta so­lo.co~e il comvolgimento di ogni soggetto nell'econo­n~ra ~ guerr~ ma anche come l'estensione della minac­cia di m.orte .anche al ~ambino nella culla"; i bombar­damer:tr a~~e! ~otturru non fanno più distinzione tra soldat! e civili: C?me ogni ":iça;produce il genne della pr?pna ~o~e, cosrla comparsa delle grandi masse rac­chiude !11 se un~ democrazia della morte". Ad uno sguardo che coglie da un punto di vista estetico la mo-

'b .3. E. }Unger,_ "L~ mobilitazione totale", in Foglie~ pietre, t r. it. di F. Cu· n1 erto, Adelph1, Mi!JUlo 1997, pp.l!J-35, qui p.1!8.

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176 J'IC(;()LA STORIA DELLA LONTANANZA

bilitazione totale (percependone con un senso d~ "eb­brezza" lo "spettacolo" nel suo "esuberant~ d~sp1e~ar~ si", "con le sue aree produttive fumanti e scmtilla~tl ~ luci con la fisica e la metafisica del suo traffico, I suoi mo;ori, aeroplani e metropoli bruli~anti di g~nte"), J tinger unisce anche un?, s~uar~o d est;~ al c congwnto a un senso di "sgomento : Qui non c c un sol? atom? che non sia al lavoro,[ ... ] questo processo delirante e, in profondità, il nostro destino .. La Mobilitazione Tota~ le non è una misura da esegUire, ma qualcosa che SI compie da sé, essa è, in guerra come ~n pace? 1: espres­sione della legge misteriosa c inesorabile a c w ci conse­gna l'età delle masse c delle macchi?~· Succc?c. allora che ogni singola vita tenda sempre pw mdiscuubilmen-te alla condizione del Lavoratore"4

• • • " •

Recensendo l'antologia ji.ingeriana sulla n vista D1e Gesellschaft" nello stesso anno della sua pubblicazione, Benjamin significativamente apre la sua radicale e anche ironica critica a quel "misticismo della guerra"5 con un commento alla frase di Léon Daudet "L'automobile c'est la guerre" che verrà letteralmente ripreso ~el sag­gio sull'opera d'arte: "Ciò che s~~va all~ ba~e di questa sorprendente associazione era !Idea di un mcrcmento

4. lvi, p. 120. II riferimento al Lavoratore, all'Arbeiter, prefigura il tito!~ di una delle opere più significative dili.inger, Der Arbetter appunto, app~rs nell'autunno dd 1932, il cui sottotito o -Efemc_ka/t un d G~stalt ([)omltllo e forma)_ indica l'intenzione di operare un anahs1 morfol~g1ca. dd t.'f:o uma­no nell'epoca della tecnica: "'La tecnica è il,mod~_ela ma~1era l~ cui a f~n~a dell'operaio [Arbeiter] mobilita il mondo (E.Junger, L operato. Domtnto t forma, ed. it. a c. di Q. Principe, Guanda, Parma1995, P· !40).

5. "Se si considera la mobilitazione totale del paesaggro, il senso t~desCQ della natura ha realizzato un progresso insospettato. [ ... ]Tutto era dtvent~­to terreno ddlo stesso idealismo tedesco, ogni buco prod~tto d~llo sc<?pp1o di una granata era un problema, ogni reticol~to era un'an~u:omla, ogni trat­to di filo spinato una definizione, ogni esplos1one ~n a posiZI~ne (Setzung] • e il cielo di giorno era il cosmico faro interno dell el~etto, dJ _notte la_Iegge morale sopra di te. Con i cordoni di fuoco c i cammmamentt la tccn1c~ ha voluto ricalcare i tratti eroici dd volto dell'idealismo tedes~. _H_a sba~ltato. Poiché quelli che essa riteneva eroici erano i tratti ippocraucJ, l tratti dclla .

morte" (CR,I58).

E..o;·rrrncA ED ESH~llZZAZIONE. 177

dci sussidi tecnici, delle velocità, delle fonti di energia ccc., che nella nostra vita privata non trovano un'utiliz­zazione completa, adeguata, c tuttavia esigono di giusti­ficarsi. Si giustificano in quanto rinunciano all'accordo armonico, nella guerra, che con le sue distruzioni dimo­stra che la realtà sociale non era matura per fare della tecnica il proprio. organo, che la tecnica non era abba­stanza forte per controllare le forze elementari della so­cietà" (Teorie del fascismo tedesco [1930]: CR, 149).

È quella stessa deviazione della tecnica originaria­mente intesa (si ricordi la categoria di "prima tecnica") come dominio delle forze naturali a vantaggio dell'uo­mo che il saggio sull'opera d'arte avrebbe descritto in termini di prassi distruttiva della stessa umanità: "Se l'utilizzazione naturale delle forze produttive viene fre­nata dall'ordinamento attuale dei rapporti eli pro­prietà, l'espansione dei mezzi tecnici, dei ritmi di lavo­ro, delle fonti di energia spinge verso un'utilizzazione innaturale" (III, 47). L'impiego delle forze tecniche in senso distruttivo porta in luce una duplice e reciproca immaturità: immaturità in primo luogo della società, che si dimostra non ancora pronta ad assumere la tecni­ca come proprio organo; immaturità in secondo luogo della tecnica stessa, che si rivela incapace a dominare la società nelle sue energie più elementari (ma anche e in terzo luogo, potremmo aggiungere, immaturità del rapporto fra tecnica, uomo c natura, incapace di svi­lupparsi in quello Zusammenspiel, in quel gioco eombi­nato e armonico prcfigurato dalla categoria benjami­niana di "seconda tecnica").

È su questa base che Bcnjamin spiega l'enorme po­tenziale distruttivo della guerra; stanti i vigenti rapporti di proprietà, ad un enorme capacità produttiva delle industrie non corrisponde un mercato adeguato come spazio di sfogo eli quella produzione: "La guerra impe­rialistica è una ribellione della tecnica, la quale ricupera

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178 PICCOLA STORIA DELLA LONTANANZA

dal materiale umano le esigenze alle quali la società ha sottratto il loro materiale naturale [ ... ].Nell'uso belli­co dei gas ha trovato un mezzo per distruggere l'aura in modo nuovo" (III,48).

Se lo snaturamento della tecnica punta alla mobilita­zione totale come alla propria meta, il mascheramento estetistico di questa viene garantito in senso propagan­distico dall'avanguardia futurista, di cui Benjamin as­sume come campione Marinetti nel suo manifesto per la guerra coloniale etiopica: secondo tale estetica della guerra, nell'esaltazione delle esperienze percettive (ot­tiche: il fuoco, i tracciati degli spari; acustiche: gli spari; i rombi; olfattive: i profumi della decomposizione dei cadaveri), l'affermazione della bellezza della distruzio­ne è intesa come apertura di un nuovo orizzonte poeti­co, plastico ed estesico. L'" art pour l'art", che si com­pie nel "fiat art- pereat mundus" fascista, manipola lo snaturamento della tecnica, trasformandolo in qualco­sa di godibile all'occhio, in un "soddisfacimento artisti­co della percezione sensoriale modificata dalla tecnica. [ ... ] Questo è il senso dell'estetizzazione della politica che il fascismo persegue. Il comunismo gli risponde con la politicizzazione dell'arte"6 (III, 48).

6. Si noti che la Fr. ha sempre "état totalitaire" al posto di .. fascismo" e •totalitaire" al posto di "fascista", mentre "'comunismo" diventa "l~s fo_rces constructives de l'humanité". "'Si potrebbe a questo punto - st chiede Benjamin in un appunto dei Paralipomena alla II-( ... ] soll~vare la doman: da: come ci si può aspettare nell'ambito dell'arte una funz10ne salutare di forze che nell'ambito della politica conducono al fascismo? A ciò bisogna ri­spondere così: l'arte non è solo, come ha mostraw la psicoanalisi, quell'a~­bito particolare in cui i conflitti dell'esistenza individuale possono essere n­composti, bensì essa ha la medesima funzione, forse in modo ancora più~­tenso, su scala sociale. La forza devastante che dimora nelle tendenze pacifi­cate dell'arte non significa nulla contro l'arte stessa; allo stesso modo in cui non significa nulla contro di essa la follia in cui i conflitti individuali, che il creatore ha pacificato nell'arte, avrebbero potuto indurlo a cadere nella vi­ta" (GS VII-2, 669).

12 UNA VICINANZA, PER QUANTO LONTANA

Giunge così alla fine questa piccola storia della lon­tananza che si fa sempre più vicina1• Per come l'ha rac­contata il saggio sull'opera d'arte, essa si è rivelata in­nanzitutto come un tentativo di elaborare una versione moderna "di quella dottrina della percezione [Lehre von der Wahrnehmung] che presso i Greci era chiamata estetica" (I, 466). "Moderna" nel senso di una riflessio­ne sulle condizioni di possibilità e sulle modalità dell'e­sperienza sensoriale nell'era della tecnica, così come si compie in primo luogo, ma non esclusivamente, nel­l' ambito delle nuove forme artistiche di massa.

Tale riflessione estesiologica sulla modernità e sui suoi fondamenti esperienziali riposa sulla convinzione che la percezione non sia qualcosa di "sempre uguale", bensì che si distenda diacronicamente in una storia: una storia che procede dalla lontananza alla vicinanza, dall'ottico al tatti! e. 1'

Di queste categorie, come si è visto, Benjamin fu principalmente debitore di Alois Riegl. Ma l'impiego

l. Sullo schema della vicinanza e della lontananza come paradigmatico dello stile benjaminiano di pensiero cfr. D. Thicrkopf, Niihe und Ferne. Kommenlare zu Benjamins Denkuer/ahren [1971], in '1èxt + Kritik', 31-32, 19792, pp. 3-18.

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che Benjamin fa di Riegl è al tempo stesso un suo signi­ficativo ribaltamento2

• Lo storico viennese poteva de­scrivere lo sviluppo dell'arte antica come un movimen­to dalla tattilità egizia all'otticità tardoromana, passan­do per la cosiddetta "visione normale" dei greci, utiliz­zando cioè un modello di progressiva otticizzazione o de-tattilizzazione o soggettivizzazione. La cifra della · cosiddetta epoca di decadenza della spiitromische Kun­stindustrie è una qualità squisitamente ottica, un gioco di luci e ombre, di chiaroscuri e di cromatismi, un im­pressionismo.

Dal canto suo Benjamin caratterizza invece la para­bola dell'arte nel suo complesso come un passaggio dall'ottico al tattile, dal lontano al vicino. Egli legge lo stile tanto della letteratura e della pittura dadaiste quanto del cinema, che ne porta a compimento le aspi­razioni, come un ritorno del tattile e dell'elemento col­lettivo. Sembra quindi far agire sulle categorie riegliane della percezione l'idea in fondo bachofeniana3 - come si è visto già impiegata nel saggio sulle Affinità elettive e nel Ka/ka, e destinata a diventare centrale nella rifles-

2. "!.:apprezzamento da parte di Benjamin della teoria di Riegl non gli impedì di capovolgerla, cioè rendendo la percezione moderna tattile o apti· ca piuttosto che ottica" (M. lversen, Alois Riegl: Art Hislory an d Theory, ll1e MIT Press, Cambridge (Mass.) 199}, p. 16). Sul peculiare impiego dd. le categorie di tattile e ottico da parte di Benjamin dr. anche F.J. Verspohl, "Optische" und "takttle" Funklion von Kunst. Der Wandel des Kunstbegrilfs im Zeita!Jer der massenha/ten Rez.eplion, in "Kritische Berichte", .3, 1975, pp.25-4}.

3. È forse degno di nota che, in un passo dd saggio dedicato a Bachofen, Benjamin accosti proprio Wickhoff e Riegl allo storico di Basilea, in quanto capaci, come quest'ultimo, di "'profezie scientifiche": "Uno di questi studio­si era Alois Riegl che- con il suo libro Arte tardoromtJna- rifiutava la pretesa barbarie artistica dell'epoca di Costantino il Grande; l'altro, Franz Wickhoff, il quale- pubblicando Arte romana (Die Wiener Genesis)- atti· rava l'attenzione sui primi miniaturisti medievali che sarebbero poi diventa­ti di gran moda grazie all'espressionismo. Sono questi gli esempi che biso­gna ricordare per comprendere il recente ritorno a Bachofen" (JJB, 38-39).

UNA VICINANZA, PER QUANTO LONTANA 181

sione del Passagenwerk- di un riemergere di tratti ar­caici (il tatti! e è in Riegl proprio la modalità originaria, primaria, della percezione che, lo si è accennato, può ri­tornare a dispetto dell'evoluzione atticizzante) nel cuo­re della modernità tecnologica.

È la I a rivelare questo schema argomentativo, in un passo poi espunto nelle redazioni successive: "E così [sci!. l'opera d'arte] si accingeva a recuperare per il pre­sente quella qualità tattile che risulta la più indispensa­bile per l'arte nelle grandi epoche di trasformazione della storia. Il fatto che tutto ciò che viene percepito, che cade sotto i sensi sia qualcosa che colpisce- questa formula della percezione onirica, che abbraccia al con­tempo anche il lato tattile della percezione artistica- è quello che il dadaismo ha di nuovo rimesso in circola­zione" (l, 463-64; c.vi ns.). "La modernità -leggiamo nell'Exposé dcll935- cita continuamente la protosto­ria" (PW, 15): allo stesso modo il dadaismo e il cinema hanno citato il primo momento percettivo riegliano, quello aptico, che riemerge nel moderno, proprio quando l'arte ottica e lontana sta per morire, nella de­cadenza dell'aura.

"Chaque époque réve la suivante", cita Benjamin da Michelet. Anche Benjamin sognò l'epoca a lui successi­va -l'epoca dell'ubiquità conquistata, della civiltà del­l'immagine, del visivo e del numerico, forse non a caso detta l'era del "digitale". Ed essa gli apparve (come sempre appare a chi la sogna ogni epoca futura) 11,"\esco­lata a elementi arcaici, quelli della percezione tatiile ap­punto, che riaffiorano dalla protostoria bachofeniana, dall'Egitto riegliano. Ma questi elementi gli si erano già annunciati, còme "geroglifici del XIX secolo", in quel­le tracce che si facevano incontro alfoineur, archeologo metropolitano, che lo pressavano, per quanto lontane, da vicino, sempre più da vicino.

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182 l'ICCOLII5TORIA DELLA LONTANANZA

La "rinuncia all'incanto della lontananza" (AN, 137) che questa decadenza comporta dischiude però altri orizzonti, non meno fascinosi. Sono i percorsi del­la traccia che si aprono al rapporto tattile che ilflaneur, . vero fisionomo materialista, instaura con la propria città: "La traccia [Spur] è l'apparizione di una vicinan­za, per quanto possa essere lontano ciò che essa ha la­sciato dietro di sé. L'aura è l'apparizione di una lonta­nanza, per quanto possa essere vicino ciò che essa su­scita. Nella traccia noi facciamo nostra la cosa; nell'au­ra essa si impadronisce di noi" (PW, 581)4•

4. "Il concetto di traccia trov11la sua determinazione filosofica in oppo­sizione a qudlo di aura" {L, 369).

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