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Edizioni ETS con una prefazione di Marco Malvaldi Racconti per il Numero Undici 1 1 ELF

11 Racconti per il Numero Undici

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Undici racconti.Undici storie di donne e di uomini, di vita e di morte, di amore e di solitudine, di paura e di libertà, ognuna narrata in non più di undicimila battute.Comune denominatore, un Numero 11 (con la maiuscola) che è insieme spunto e ambientazione per la memoria e la creatività di undici penne esordienti.

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ETS Edizioni ETS€ 11,00

ISBN 978-884673152-4

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Undici racconti.Undici storie di donne e di uomini, di vita e di morte, di amore e di solitudine, di paura e di libertà, ognuna narrata in non più di undicimila battute.

Comune denominatore, un Numero 11 (con la maiuscola) che è insieme spunto e ambientazione per la memoria e la creatività di undici penne esordienti.

con una prefazione di

Marco Malvaldi

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Racconti per il Numero Undici

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© Copyright 2011EDIZIONI ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126 [email protected]

DistribuzionePDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN 978-884673152-4

È un’iniziativa promossa da

www.edizioniets.com

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Rilassatevi

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In principio era l’Undici, il numero civico di via Dome-nico Cavalca, a Pisa, che per primo diede asilo e nome alprogetto di un ristorante «diverso». Poi il trasloco in viaSan Martino 47, le scartoffie, la burocrazia, e infine l’au-torizzazione ad avviare l’attività: «Si inauguri – diceva –l’11 novembre». Era il 1999.Undici anni dopo, in una tarda serata d’inverno, du-

rante una conversazione a pancia piena nel ristorante or-mai semivuoto, nasceva l’idea di celebrare in modo un po’particolare il dodicesimo compleanno della nuova sede:una sorta di «maggiore età», che per felice combinazionecadeva proprio l’11/11/’11.Il libro che hai in mano è il risultato di quell’idea: un

concorso letterario per racconti brevi, massimo 11.000battute, aventi come tema il Numero 11 (il ristorante), ilnumero 11 (la cifra), o il cibo. Le undici storie vincitrici –a pari merito – sono state selezionate in forma anonimada una giuria rappresentativa di tre diverse categorie dilettori: una docente universitaria, Paola Bora, un giorna-lista, Guido Bini, e uno scrittore, Marco Malvaldi, che ciha regalato anche una vivace prefazione. A loro va tuttala nostra gratitudine. A te, che sei il Lettore per eccellen-za, l’augurio di una piacevole lettura, e un’avvertenza:non è necessario conoscere il Numero 11, averne respiratoi profumi e gustato i sapori, per godersi questo libro, peròaiuta. Facci un salto.

Filippo MarianoComunicarèCultura

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Prefazione, ovvero Il piatto piange

Vado a mangiare al Numero 11 da più o meno dodicianni. Naturale, quindi, che con Marco Griffa si sia in-staurata una certa confidenza. Tale confidenza sfocia invari aspetti positivi, come porzioni abbondanti o consiglisu cosa prendere o occasionali anche se miserrimi sconti,e in altri negativi, come il fatto che quando ordino il piat-to unico vegetariano mi sento sempre chiedere ad alta vo-ce «Sei malato o hai deciso di diventare finocchio?».Va aggiunto, inoltre, che grazie alla confidenza di cui

sopra io ho iniziato la mia carriera di scrittore, approfit-tando dei momenti di distrazione dell’oste per fregargli igessetti colorati nascosti dietro la lavagna dove vienescritto il menu e aggiungere ai piatti del giorno qualchefantasioso suggerimento, come il carpaccio di culo o iformaggi anziani. I gessetti, lo dico per quelli di voi chesi sentono inclini alla carriera letteraria, sono nell’ango-lo in basso a sinistra.

Con il nocchiero del Numero 11, quindi, ormai ho unrapporto di lunga data. Nulla di inaspettato, dunque, chequando Marco ha istituito un concorso letterario per fe-steggiare il compleanno del locale mi abbia chiesto difare da giudice. E nulla di strano che io abbia accettato;in fondo, ho pensato, si tratterà di leggere una decina dibrevi racconti.Come no.La prima tranche da trentadue racconti mi è stata

consegnata a fine settembre, seguita a stretto giro di pa-sto da un’altra agile bustina da dodici. Quarantaquattro

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persone, tra quelle che frequentano questo posto, chesanno scrivere, mi ha detto Marco manifestando un certostupore. Quarantaquattro persone che non si vergognanodi quello che scrivono, ha corretto Alberto poggiando sulbancone dei piatti fumiganti di vapori di ragù.È una dote anche quella, ho pensato io.

Pensiero a cui sono ritornato a volte, mentre leggevoalcuni dei racconti sottoposti al mio giudizio; in certi ca-si, con rimpianto. E qui devo aprire una parentesi, piùche sulla qualità dei racconti, sul tema dei medesimi. Itermini del concorso erano chiari: l’elaborato dovevaavere per tema il Numero 11 (ristorante), il numero un-dici propriamente detto, o in generale la cucina. Ora, lacifra undici è di per sé piuttosto neutra, e sia la cucinache il ristorante sono cose che, di solito, mettono alle-gria. Per quale motivo, quindi, più della metà dei rac-conti sia sulla morte, non riesco ancora a spiegarmelo.Così come non riesco a spiegarmi l’assenza di un nu-

mero undici sulla maglia di un calciatore come oggettodel racconto (il tema, forse, che avrei scelto io) o l’assen-za di cognizioni ortografiche da parte di alcuni dei par-tecipanti. Ma, forse, la cosa che mi ha sorpreso di più èstato il manifestarsi del fenomeno opposto: trovare deiracconti belli. Dei racconti scritti bene, in italiano cor-retto, con uno stile appropriato e soprattutto in grado didare un’emozione.Sarò sincero: quando ho accettato, mi ero rassegnato a

dare una specie di riconoscimento al meno peggio.Spocchioso, lo so. E invece, come spesso capita, larealtà ha preso bellamente per il culo le mie aspettative.Alcuni dei racconti che ho letto erano belli. Non decen-ti, o meritevoli: belli.

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Prefazione, ovvero Il piatto piange 11

Per scrivere un racconto decente basta dire qualcosache gli altri non sanno, o dire molto bene una cosa chesanno tutti. Ma per scrivere un bel racconto, a mio pare-re, serve altro: bisogna riuscire a far capire ad altre per-sone una cosa sulla loro stessa vita. Qualcosa alla qualenon avevano mai pensato, o avevano pensato in modoconfuso. Illuminarli, con la luce breve che scaturisce dalnero della pagina, e sperare che il ricordo di quanto vi-sto nel breve intervallo di quella folata di luce si conser-vi più a lungo e più chiaramente possibile. Ed io, nelmomento in cui scrivo, sono consapevole che di alcunidi questi racconti mi ricorderò per parecchio tempo.

Buona lettura a tutti.

Marco Malvaldi

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Il mio primo permessoAlessandra Porcu

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Sicuramente chi sta leggendo il mio scritto non sa dicosa sto parlando… In breve, sono una detenuta delcarcere «Don Bosco»… Beh, proprio in breve non sipuò raccontare, quindi ecco una parte della mia storia:nel 2007 sono stata carcerata per aver commesso unarapina, sono tossicodipendente dall’età di quindici an-ni, ora ne ho trentotto e capite bene il motivo che mi haspinto a compiere il mio reato. Sono infermiera profes-sionale: quando lavoravo lo stipendio non mi bastavamai…Ora, dopo quattro lunghi anni in carcere, ho avuto il

beneficio dei «permessi premio».Cosa sono?Dopo aver espiato una parte della pena e avendo un

comportamento carcerario adeguato, il magistrato puòdare l’ok a passare uno, due, tre giorni «fuori, in libertà»una volta al mese.Senza voler fare una tesi di giurisprudenza, è neces-

sario però che vi aiuti a capire, perché molti non cono-scono – per fortuna – la realtà carceraria.I preconcetti e i pregiudizi sui carcerati si sprecano.

È più facile giudicare che approfondire il motivo per cuiuna persona, a causa di svariati disagi, commette un cri-mine. È difficile capire un «delinquente», che deve mar-cire in carcere, ma soprattutto il primo pensiero: «Cosam’importa di conoscere quel mondo… a me non capiteràmai di farne parte!».Vi assicuro che non c’è espressione più sbagliata: può

capitare a tutti o quasi. Ho conosciuto molte donne che

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La strana storia di un NumeroundiciDavide Landi

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«Oh-ooh Oh-ooh Oh-ooh VOGA! Oh-ooh…» La vocedei Secondi rimbombava sotto il cielo di cristallo delgrande orologio a muro. Era una pendola di fine ottocen-to, con il quadrante un po’ ingiallito, eleganti numeri ne-ri e lucidi e lancette di ottone dai motivi floreali, in per-fetto stile liberty.Dalla parte inferiore dell’orologio, sporgeva il pendo-

lo: un sottile cilindro che reggeva un cerchio dorato. Inrealtà, il cerchio era la testa del pendolo che, a ogni Oh-ooh dei Secondi, andava a scontrare le pareti del vano incui era alloggiata. Così, il povero pendolo, gemeva co-stantemente per ogni urto: «Ahi» quando scontrava il la-to alla sua sinistra, «Ohi» quando picchiava sul lato allasua destra. E a poco serviva il casco che indossava: icontraccolpi gli avevano ormai causato un’artrite allabase del collo, per non parlare dei problemi di circola-zione dovuti allo stare sempre a testa in giù.Il risultato di tutto quel muoversi era una litania infi-

nita: «Oh-ooh-Ahi-Oh-ooh-Ohi» e al sessantesimo Oh-ooh, l’incitamento: «VOGA!» che faceva scattare i Mi-nuti, subito pronti a manovrare la ruota che governava laloro lancetta.Minuti e Secondi, come rematori di antiche navi, si

trovavano sottocoperta, ovvero sotto il quadrante. Insie-me a loro era il sovrano da cui il nome stesso di orologio:O’ re (come veniva chiamato nel dialetto del costruttoredella pendola). Lui non faceva altro che passeggiarecontinuamente sul ponte dei rematori, sferzando i Minu-ti come un aguzzino perché si ricordassero di muovere,

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Uno come undiciFrancesca Contrada

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Spense la sigaretta premendola contro il posacenerein vetro. Il filtro si ripiegò in una zeta e un ultimo alito difumo si sciolse nell’aria. Seduto sul davanzale della fi-nestra, era rimasto a fumare nel silenzio della casa vuo-ta. In via degli Orafi c’era davvero poca luce al primopiano. Nelle sere di maggio, quando il sole era ormaibasso e la notte tardava ad arrivare, il soggiorno gli sug-geriva parole d’altri tempi. Doveva essere la lampada daterra, con la base in marmo rosso, l’asta in metallo incli-nata e il paralume di stoffa rosa antico, ingombrante emacchiato che terminava con una frangia sdrucita. Do-vevano essere i copripoltrone e il copridivano rosa im-polverati. Quei libri ammassati nello scaffale in viminiche sembrava stesse per esplodere. Lo specchio al murosenza cornice, il mobile basso in legno scuro, pesante econ le chiavi agli sportelli o i quadri alle pareti, grandi edai colori freddi. Al tramonto il colore dei mattoni si fa-ceva più vivo. Dopo due anni, era riuscito quasi a capireil tempo e che ora fosse guardando la sfumatura che as-sumeva il laterizio della Mattonaia che si trovava difronte alla finestra. Chiuse la finestra, prese le chiavi escese in strada.«Allora ci troviamo alle nove in piazza Garibaldi…

sì, sì, davanti al tabacchino, ti aspetto lì».Era in anticipo, ma in piazza c’è sempre qualcosa da

vedere e il tempo sarebbe passato in fretta come sabbiatra le dita. Percorse rapidamente i vicoli lasciandosi allespalle dei turisti tedeschi che fotografavano le grosse pie-tre a terra, il tappeto della città. Dopo qualche passo,

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Il menu di ClorindaChiara Carboncini

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Il notaio Arnolfi si apprestava a dare lettura delle ul-time volontà dell’amore della sua vita, con quel gelo nelcuore che si avverte quando si rimane davvero soli. Nonsi permise cedimenti, lo doveva a lei, che odiava le lita-nie, e che in quel letto d’ospedale, consumata da uncancro al pancreas, lo aveva lasciato con una risataesplosiva.La segretaria lo strappò dalle visioni. Erano arrivati.

Dissimulò la contrazione nervosa quando nella stanzalugubre sfilarono Margaret Cecil di Cambridge, PaulettePicard di Antibes e Cosimo Baldi di Firenze.I più cari amici di Clorinda Nardi, tanto intimi della

defunta, quanto sconosciuti l’un l’altro, si accomodaronostraniti.Margaret, inguainata dentro un tubino da cocktail,

aveva gli occhi gonfi dietro un cappellino floreale; Pau-lette, incassata dentro un paio di spalle gracili, conti-nuava a tormentarsi le mani segnate da un’onicofagia ailimiti del proibito, mentre Cosimo, accompagnato dallasua tosse cronica, si asciugava il sudore della fronteemettendo un ultrasonico fischio polmonare.«Miei adorati, qual momento migliore per conoscervi,

peccato che io non possa essere presente. Margaret, te-soro, non vorrei che le tue mises attillate ti comportasse-ro dei problemi di circolazione e tu, piccola Paulette,hai messo il peperoncino sulle unghie? Cosimo caro, loso che detesti il mare, ma lo iodio fa miracoli. Vi amo in-finitamente. So che il fatto di non avervi parlato dellamia malattia vi ha profondamente offesi, come so che

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Un buon numeroGisella Colombo

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La serata prometteva bene.Francesca aveva invitato gli amici con un sms ad un

aperitivo da Argini e Margini, per le 20.Viola aveva deciso di andarci a piedi, si incamminò

da Borgo, traversò il Ponte di Mezzo e proseguì con cal-ma sul Lungarno.La spalletta che costeggiava la discesa al fiume era

ancora bollente per il sole di quella giornata torrida difine agosto. Si sedette per qualche minuto, ma poi ripre-se a scendere verso il bar.In fondo, dietro il profilo dei palazzi, il cielo era sfu-

mato di arancio. Il sole era già tramontato.Gli amici non erano ancora arrivati e Viola si mise sul

muretto ad aspettarli.Quando vide Francesca affacciarsi sulla discesa, la

riconobbe per il suo modo di camminare e per quel gestodi portarsi una mano allo stomaco. I capelli sciolti eranouna novità, le arrivavano ormai alle spalle, folti e neri,ma lei li portava sempre raccolti.«Li ho appena lavati e aspetto che asciughino del tut-

to…», disse a mo’ di scusa.«Sei tu che non ti vedi con i capelli sciolti, ma stai

benissimo!» replicò Viola abbracciandola.Al tempo del loro primo incontro, Francesca aveva i

capelli alti un centimetro e non ricordava per qualescommessa-favore ricambiato si fosse lasciata convince-re da Mario a non tagliarli per un anno. Ora di anni ne

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Ranocchi alla salvia(un racconto in 11 minuti)

Fulzia Piccinonno

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1° minuto

«…tranne te, tranne te, tranne te… tranne te, trannete…»– Pronto? –– Ciao Marco, sono Marianna. Come sta? –– Anna!! Dove sei? –– Sono a Pisa. Stavo pensando se per cas… –– Assolutamente! Devi venire a cena a casa mia, così

ti faccio finalmente vedere la casa finita e mi racconticon calma come va. –– Bene! Porto qualc…? –– Nulla, figurati. Ti ricordi dove abito? –– Certo. Ora sono in piazza Garibaldi sarò lì tra… –Marco guarda l’orologio della cucina che segna le

19.50.– Ti aspetto per le nove? –– Nooo, sono libera! Arrivo subito! –– (Merda) Perfetto! –Marco si guarda intorno, soffermandosi sul frigorifero

del suo angolo cottura, poi lo sguardo prosegue versol’armadietto vicino alla finestra, per poi vagare, semprepiù sfuocato, sul resto dell’arredamento.Dalla cornice di legno appoggiata sul terzo ripiano

della libreria gli Undici, come sempre, sorridono.

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Undici di numero, undici per un NumeroRiccardo Grillo

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Alessandro l’ha scoperto correndo. Una mattinaquando ancora buona parte della popolazione pisana èimmersa nei sogni ci è passato davanti. L’ha scoperto percaso e ne è rimasto colpito per due motivi. Innanzituttoper il numero che è lo stesso riportato sulla magliettadella squadra giovanile del Pisa in cui milita. Il secondoper la chiarezza della scritta posta all’ingresso: un postoper mangiare.La sera stessa Alessandro ci ha portato quella che era

la sua fidanzata al tempo, Emma. Anni dopo ci ha cono-sciuto Linda che ora è sua moglie. Galeotto fu il coniglio(meno romantico ma più sostanzioso di una rosa).Barbara lavora nella banca in centro a pochi passi

dall’Undici. Si occupa di investimenti, titoli, azioni e«quelle cose lì» come le definisce il suo babbo quandodeve spiegarlo agli amici del circolo. Il padre di Barbaraè felice e orgoglioso di avere un figlia in banca perché fasempre comodo, ripete sempre agli stessi compagni delcircolo, avere qualcuno di famiglia in banca. A Barbaraperò lavorare in una banca non piace. Barbara voleva fa-re la cuoca, ha sempre preferito i rischi del mischiare ildolce con il salato rispetto a quelli della borsa. A voltequando è stufa del lavoro (e capita spesso) stampa il suocurriculum, se lo mette in borsa e se lo porta all’Undicima non ha mai il coraggio di consegnarlo. Forse un gior-no, grazie a un sorso di vino in più, il suo curriculum fi-nirà tra le mani di uno di quei signori alti che lavorano lì(ma poi saranno loro i proprietari?)Carla al Numero Undici va sempre l’undici del mese.

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La ForzaTiziana De Felice

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«È in partenza il volo 747 per San Francisco. I signoripasseggeri sono pregati di portarsi al GATE 95». La vo-ce metallica ripete la sua litania in inglese mentre Lea,paludata nel tailleur a pois che fa tanto Audrey Hep-burn, abbraccia con sguardo distante la varia umanitàaccampata nei corridoi di Fiumicino, inforca gli occhialineri e si avvia al controllo passaporti.«Scusi, può darmi un consiglio per fare una zuppa de-

cente?»Lea riemerse dalla trance e si voltò irritata: possibile

che ci sia sempre qualche scocciatore che vuole attaccarebottone? Già, era più nervosa del solito. Suo marito ta-gliente come un rasoio l’aveva apostrofata appena svegliacon un «dove vai a fare niente, stamani?» Possedeva unacapacità speciale nel distruggere la sua già scarsa auto-stima. Per di più, uscire e trovare quella carta da giocoaccartocciata nel cestino della bici, usato come pattumie-ra… inquietante. Raffigurava una donna che tiene aper-ta la bocca di un leone. Bel disegno nell’insieme, anchese in qualche punto completamente sbiadito. Chissà aquale tipo di mazzo apparteneva? Non le veniva in menteniente ma l’aveva stirata e riposta fra i documenti. Così,senza un motivo.L’uomo al banco dei surgelati guardava perplesso nel

pozzetto dove giacevano confezioni di verdure nellecomposizioni più insolite.«Fosco! Che fai da queste parti?»Ancora un bel tipo nonostante gli «anta» e l’aria fin-

to-trasandata dell’artista gigione.

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Il cliente abitualeChiara Zucchellini

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Ogni locale ha il suo cliente abituale. A Pisa, al Nu-mero 11, c’è Cumino.Lo conobbi la seconda volta che vi misi piede. Entran-

do, il menù scritto in gesso colorato sulla lavagna mi resetremendamente indeciso, sovraccarico di informazioni,come la prima volta. Mentre aspettavo in fila guardavo lelanterne che pendevano silenziose dal soffitto seguendol’inchiostro svelto su di esse. Forse la risposta che cercavoera lì tra le loro pieghe accurate? Non lo sapevo ancora,così, dopo aver ordinato pollo al curry e riso, presi le po-sate e la tovaglia di carta gialla frusciante. Sistemai il mioposto con vista sulla strada, presi il piatto e mi sedetti.Tremendamente indeciso. Ero lì, come tre settimane

prima, quando Lidia mi aspettava davanti al locale salu-tandomi sorridente con la mano, facendo tintinnare isuoi bracciali.Ci eravamo conosciuti a Pisa e ci eravamo laureati da

poco. Avevamo un rapporto strano: ci vedevamo e ci sen-tivamo in modi o del tutto improvvisati o dettati da unoschema ben preciso. Spesso, rifuggendo da discorsi va-cui e quotidiani, parlavamo di noi a discapito della ma-schera che, crescendo, impedisce all’interiorità di tra-spirare perché, crescendo, non ti lasciano più tempo perquesto. Lei era la mia amica, la mia confidente e io do-vevo dirle che me ne sarei andato a breve.Lì per lì avevo evitato qualsiasi contatto fisico sciori-

nando una serie di domande stupide per prendere tem-po. Lei era stata al gioco, ma poi mi aveva guardatoaspettando la verità.

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One mangia OneGiada Fedeli

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Sono sempre stata bellissima, testarda, stronza e pocoraccomandabile.

Fin da piccola era evidente la mia attitudine alla corsa,in seguito ho iniziato a saltare.

Non mi sono più fermata. Sono sempre stata spettinataperché sulle isole Aran c’è solo vento, vento e Oceano.

L’Irlanda mi manca, mi manca il cielo basso e passeg-giare con le ombre delle nuvole addosso.

Non ho più sentito il profumo pungente del verde acu-tizzato dalla pioggia fine che perennemente cade, cadeancora su quell’isola che mi dorme nel cuore.

In Italia ci sono giunta per caso. Un uomo si è presocura di me.

Mi ha guardata, scarnificata. Ha studiato i miei movi-menti, toccato il miei brividi. Ho sentito odore di san-gue, dolce e puro. Mi sono innamorata. Innamorata sen-za dubbio, senza esitazione.Aspettavo il sole per vederlo giungere controluce sul-

la porta di casa.Sono trecento albe che mi accarezza la fronte, pettina

questi fili d’oro lunghi che altrimenti non avrebbero par-venza estetica tanto sanno di mare.

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Sul dirizzone di AltopascioPaolo P. Firmiani

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Chi l’avrebbe mai detto otto anni fa?Otto anni fa, che a stento ci si passava qui in mezzo

tra i campi e i pruni, e da Carraia alla corte del Dori eraun viaggio che ti ci volevano due ore o anche tre, se ave-vi da portare roba, e la vecchia Stanghellini partiva dibuon’ora da Porcari per venire a prendere la messa allaPieve di San Paolo, per via di un vecchio voto che nean-che lei si ricordava più tanto bene com’era.Chi l’avrebbe detto, con quel silenzio che c’era? Spe-

cie la mattina e la sera, quando cadeva il vento, sentivisolo il fruscio dei tuoi passi sull’ortica e magari il mug-gito di una vacca, il bercio di un contadino o tutt’al più,una volta ogni morte di papa, lo sferragliare lontano diun autocarro sulla Pesciatina. Col vento, certo, era tuttaun’altra cosa: certe raffiche che ti spostavano anche daseduto e ti rombavano in testa come tuoni lunghi, lun-ghi. Ogni tanto qualche asina o qualche cristiano finiva-no in un fosso e ci restavano una mattinata intera: e chili sentiva con quel frastuono nelle orecchie?In effetti, a pensarci bene, oggi che il vento c’è, la dif-

ferenza volendo si nota meno: se non guardo in giù, ver-so questa strisciata grigia come di mietitrebbia nel mez-zo della piana, posso benissimo fingermi che l’autostra-da ancora non ci sia, e che quello che sento sia solo latramontana e non, confuso tra le folate, il rombo dell’au-tomobile del Nuvolari che scalda il motore.E invece c’è, sia l’autostrada che il vento che il rombo

che l’automobile che il Nuvolari. Hanno detto al cine-giornale che oggi l’autostrada l’hanno proprio chiusa, da

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Profili

Alessandra PorcuLivornese, 38 anni. Bell’infanzia in famiglia da «Mu-

lino Bianco». A 15 anni sua madre scopre che il maritoha un’amante: inizia il caos e l’eroina entra nella sua vi-ta. È Infermiera Professionale e ha lavorato in Ospedale,ma le rapine l’hanno portata in carcere a 33 anni. Qui hacominciato a riflettere, ad amare la vita e ad accettarsi.Ha imparato ad amare Giorgia, la sua cucciola, e ora sisente pronta a mettersi alla prova.

Davide LandiNato a La Spezia nel ’74, sposato con Francesca, far-

macista e pittrice, vive nella bella Sarzana e lavora a Pi-sa, come ingegnere del software.Dopo aver scritto per anni algoritmi e programmi, re-

centemente ha riscoperto il piacere di raccontare e rac-contarsi in prosa e in versi. Così, nell’ultimo anno, hacomposto due raccolte poetiche e scritto circa venti rac-conti brevi di vario genere.

Francesca ContradaLasciato il suo paesino del Cilento per approdare a

Pisa qualche anno fa, Francesca Contrada intraprendela strada per diventare Ingegnere Edile. Per trovarscampo dai numeri si tiene aggrappata alle lettere. Lesue passioni sono: gli scrittori americani, il teatro, la pit-tura di inizio ’900 e la buona cucina. Il suo obiettivo èuna conoscenza leonardesca!

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Chiara CarbonciniDal banco di scuola alla cattedra di lettere nelle scuo-

le statali.Percorre la provincia fiorentina con i treni regionali e

la sua «Mia» a metano: troppo innamorata del lavoro perconsiderare un sacrificio il suo pendolarismo precario etroppo innamorata di Livorno per decidere di trasferirsie vivere più comodamente.Legge per trovarsi in ogni pagina, scrive per diverti-

mento ed egocentrismo.

Gisella ColomboÈ nata alle porte di Bergamo e ha fatto la maestra ele-

mentare per molti anni in un paesino della Val Seriana.Da tre anni vive a Pisa dove si sta laureando in filo-

sofia.Matteo, Andrea e Mara sono i suoi sorprendenti figli

che guardano con orgoglio alla mamma studentessa fuorisede.Passione, fortuna e numerosi amici la accompagnano

nel piacere di vivere… e di scrivere.

Fulzia PiccinonnoFulvio e Fabrizia Piccinonno condividono le loro vite

dal 1991. Scrivono il loro primo racconto insieme utiliz-zando lo pseudonimo Fulzia, nel caldo pomeriggio diuna domenica d’estate, mescolando le storie sentite dabambini ai piaceri della matematica.Attualmente vivono a Vecchiano con i loro figli.

Riccardo GrilloRiccardo Grillo nasce in un caldo mattino d’agosto

nelle Langhe terra di Pavese, di cui porta gli stessi oc-chiali, e di Fenoglio, di cui ha lo stesso accento. Pur-

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Profili 113

troppo da nessuno dei due ha ereditato la bravura nelloscrivere.Questo è il suo primo racconto e grazie al concorso

letterario ha capito la differenza tra proprietà letteraria eproprietà intellettuale. O almeno è quello che sostiene.

Tiziana De FeliceLivornese, ha superato da poco il mezzo secolo (ma

non è un problema).Quando si prende sul serio esercita la medicina nella

sua accezione più ampia, Anestesia e Omeopatia, cioè,dall’Alfa all’Omega.Nel resto del giorno, che non è molto (ma si moltipli-

ca), ha stivato di tutto e quindi dipinge, strimpella, reci-ta e – ahilei – scrive, perché per dirla con il grandeOscar (Wilde) «la vita passa mentre tu sei occupato a fa-re altro…»

Chiara ZucchelliniChiara Zucchellini è nata a Modena nel 1985. Lau-

reata in Cinema ed Immagine Elettronica presso l’Uni-versità di Pisa sta terminando la specialistica in Storiadell’arte. Ha partecipato alla realizzazione di due edizio-ni del Lucca Film Festival e all’organizzazione di labo-ratori artistici per ragazzi presso la Ludoteca di Nonan-tola (MO). Attualmente cura la rubrica Cineplus per ilsito di divulgazione artistica www.finestresullarte.info.

Giada FedeliPuò essere nera, bianca o verde; dura, difficile da tro-

vare, qualcuno la cerca in India, in Cina e in giro per Pi-sa; insomma è Giada! Ha 27 anni, sta studiando Cinema,dipinge, fa «Pacchetti Strani» da Feffo Carta e certe vol-te scrive. Scrivere per questo concorso l’ha messa alla

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prova. Ha trasfuso l’amore nell’odio, la carnalità nelpiatto, la gelosia nel vino, la vittoria nella sconfitta. Si èimmaginata cavallo. Ci vuole fantasia, follia e il resto giàlo sapete!

Paolo P. FirmianiPaolo P. Firmiani viene concepito in Costa Azzurra

all’inizio degli anni ’80 del Novecento. Durante il suoprimo viaggio in Italia decide di nascere e, immediata-mente conquistato dal clima mite e dal buon cibo, sog-giorna nel Bel Paese per qualche lustro. Temperamentocurioso, muta sovente domicilio, gusti e stili di vita.Scrive poco, parla secondo l’occasione. Non ha ancoradeciso per cosa stia la «P».

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Il Numero 11www.numeroundici.it

Al Numero 11 funziona così: entri, vai al bancone aleggere il menu e ordini. Mentre preparano il piatto chehai scelto, prendi una tovaglietta di carta gialla, bicchie-ri, posate, acqua e vino, e ti apparecchi a uno dei granditavoli, dove trovi posto. Appena è pronto ti chiamano,vai a prendere il piatto e torni a tavola a mangiare.Quando hai finito, sparecchi.Al Numero 11 si pranza e si cena gomito a gomito, se-

duti accanto a studenti, muratori, turisti, impiegati, di-soccupati, professori, cantanti, gioiellieri, pensionati,matti e luminari.Marco, creatore e proprietario del ristorante, dice che

questa storia del numero undici è molto più casuale diquanto non si pensi. Mentre lo dice si guarda intorno: al-le pareti quadri e fotografie, sui lampadari poesie in tut-te le lingue, e sul muro in fondo alla sala l’undicesimocomandamento, Rilassatevi.Guarda un po’, sono undici lettere.

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ComunicarèCulturawww.comunicarecultura.it

ComunicarèCultura è un ‘contenitore’ di esperienze eprofessionalità nel settore della comunicazione, partico-larmente – ma non solo – in ambito culturale.La filosofia di ComunicarèCultura è tutta nel suo nome.

Comunicare è cultura, perché trasmettere in modo effica-ce un messaggio, qualunque esso sia, comporta dellescelte, delle accortezze, delle strategie che non sempre sipossono improvvisare. E questo è tanto più vero quandosi tratta di comunicare cultura, attraverso la creazione, lagestione e la condivisione di eventi (mostre, spettacoli,conferenze, iniziative editoriali eccetera) e dei relativistrumenti di promozione e documentazione.Il marchio ComunicarèCultura accompagna progetti

d’arte, musica, letteratura e comunicazione integrata,promovendo un’idea di cultura estesa ben oltre il soloambito umanistico, in un approccio dinamico, attento ecurioso.

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Indice

Prefazione, ovvero Il piatto piangeMarco Malvaldi 9

Il mio primo permessoAlessandra Porcu 13

La strana storia di un NumeroundiciDavide Landi 21

Uno come undiciFrancesca Contrada 29

Il menu di ClorindaChiara Carboncini 37

Un buon numeroGisella Colombo 47

Ranocchi alla salvia(un racconto in 11 minuti)Fulzia Piccinonno 57

Undici di numero, undici per un NumeroRiccardo Grillo 71

La ForzaTiziana De Felice 77

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Il cliente abitualeChiara Zucchellini 85

One mangia OneGiada Fedeli 95

Sul dirizzone di AltopascioPaolo P. Firmiani 103

Profili 111

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Edizioni ETSPiazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa

[email protected] - www.edizioniets.comFinito di stampare nel mese di novembre 2011

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ETS Edizioni ETS€ 11,00

ISBN 978-884673152-4

9 7 8 8 8 4 6 7 3 1 5 2 4

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Undici racconti.Undici storie di donne e di uomini, di vita e di morte, di amore e di solitudine, di paura e di libertà, ognuna narrata in non più di undicimila battute.

Comune denominatore, un Numero 11 (con la maiuscola) che è insieme spunto e ambientazione per la memoria e la creatività di undici penne esordienti.

con una prefazione di

Marco Malvaldi

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Racconti per il Numero Undici

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