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LO SPAZIO NELL ARTE Conoscenze • la resa della profondità spaziale nelle opere d’arte • l’arte come strumento per cogliere la verità delle cose 1 Tra realtà e illusione Lo studio di sistemi di rappresentazione dello spazio è stato uno dei temi di ricerca più importanti delle arti figurative e un problema molto sentito da- gli artisti, a causa della difficoltà da essi incontrata nel trasferire sul piano bidimensionale del foglio e della tela l’immagine della realtà tridimensio- nale percepita dall’occhio. Lucio Fontana, che negli anni Quaranta del Novecento aveva fondato il mo- vimento artistico denominato «Spazialismo», abbandonò la rappresenta- zione illusoria della profondità per sfruttare unicamente lo spazio concre- to della tela. L’artista, infatti, nelle serie dei «tagli», dei «concetti spaziali» e dei «teatrini», lacera con buchi slabbrati o con tagli decisi la superficie del quadro, che si apre e si piega divenendo spazio reale e tridimensionale (fig. 1). In questo modo la ricerca di Fontana fonde pittura e scultura e rie- sce a superare la lunga tradizione artistica occidentale legata alla rappre- sentazione illusoria dello spazio. E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010. 1 Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1962, acquarello su tela (Coll. privata). 1 2 2 Enrico Castellani, Superficie chiara, 1961, tela verniciata a spruzzo (Milano, Coll. privata). Come Fontana, anche Castellani non rappresenta alcunché sulla tela, ma usa quest’ultima come spazio reale sollevandola e animandola con sporgenze plastiche disposte in modo rigoroso.

Lo Spazio nell'Arte

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Tra realtà e illusione Lo studio di sistemi di rappresentazione dello spazio è stato uno dei temi di ricerca più importanti delle arti figurative e un problema molto sentito dagli artisti, a causa della difficoltà da essi incontrata nel trasferire sul piano bidimensionale del foglio e della tela l’immagine della realtà tridimensionale percepita dall’occhio. Lucio Fontana, che negli anni Quaranta del Novecento aveva fondato il movimento artistico denominato «Spazialismo», abbandonò la rappresentazione illusoria della profondità per sfruttare unicamente lo spazio concreto della tela.

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LO SPAZIO NELL’ARTEConoscenze• la resa della profondità spazialenelle opere d’arte• l’arte come strumento percogliere la veritàdelle cose

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Tra realtà e illusioneLo studio di sistemi di rappresentazione dello spazio è stato uno dei temi diricerca più importanti delle arti figurative e un problema molto sentito da-gli artisti, a causa della difficoltà da essi incontrata nel trasferire sul pianobidimensionale del foglio e della tela l’immagine della realtà tridimensio-nale percepita dall’occhio.Lucio Fontana, che negli anni Quaranta del Novecento aveva fondato il mo-vimento artistico denominato «Spazialismo», abbandonò la rappresenta-zione illusoria della profondità per sfruttare unicamente lo spazio concre-to della tela. L’artista, infatti, nelle serie dei «tagli», dei «concetti spaziali» edei «teatrini», lacera con buchi slabbrati o con tagli decisi la superficie delquadro, che si apre e si piega divenendo spazio reale e tridimensionale(fig. 1). In questo modo la ricerca di Fontana fonde pittura e scultura e rie-sce a superare la lunga tradizione artistica occidentale legata alla rappre-sentazione illusoria dello spazio.

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

1 Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1962, acquarello su tela (Coll. privata).1

22 Enrico Castellani,Superficie chiara, 1961, tela verniciata a spruzzo(Milano, Coll. privata). Come Fontana, ancheCastellani non rappresenta

alcunché sulla tela, ma usa quest’ultima comespazio reale sollevandola e animandola con sporgenzeplastiche disposte in modorigoroso.

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I sistemi di rappresentazione dello spazionella storia dell’arteNel corso dei secoli gli artisti hanno adottato modalità diverse per rappre-sentare la realtà, a seconda delle esigenze della società in cui vivevano e del-la loro concezione del mondo. Anche il modo di raffigurare lo spazio nelleopere d’arte è quindi più volte mutato, seguendo un percorso in cui i pro-gressi si sono alternati a ritorni a sistemi precedenti. La scelta da parte di unartista o di una civiltà di un determinato metodo di rappresentazione dellospazio è determinante sia per gli aspetti simbolici dell’opera d’arte, sia perquelli espressivi.

Presso le civiltà più antiche e nelle fasi più arcaiche dell’arte sono gene-ralmente prevalse la rappresentazione frontale e la rappresentazione to-pologica dello spazio. Lo rappresentazione frontale prevede la proiezione dei soggetti su unpiano verticale, senza il minimo scorcio (fig. 3). Le figure, riprodotte gene-ralmente in posizione frontale, sono quasi del tutto prive di profondità eappaiono quindi non realistiche, astratte. Spesso, per accentuare ulterior-mente la solennità o il distacco di queste figure dal mondo terreno, gli arti-sti hanno associato alla visione frontale la simmetria. La rappresentazione topologica prevede invece la raffigurazione di unoggetto da diversi punti di vista, comprendendo ad esempio la visionefrontale, quella laterale e quella dall’alto all’interno di un’unica immagine(fig. 4).

Nel Medioevo la profondità dello spazio era rappresentata mediante vari si-stemi, tra cui quello basato sul principio della obliquità dei piani (fig. 5).Grazie a tali sistemi, nei primi anni del Quattrocento, l’architetto FilippoBrunelleschi giunse all’elaborazione della prospettiva lineare: un metodomolto naturalistico di rappresentazione dello spazio, che fornisce un’im-magine somigliante alla realtà percepita dai nostri occhi.

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E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

4 Pitture parietali dellatomba di Minnakht a Tebe, 1479-25 a.C. circa. La figura a mostra unospecchio d’acqua vistodall’alto e un’imbarcazione

vista di fronte; la figura b mostra una villa vistadall’alto: gli alberi e la piccola porta di ingressoall’estremità della scala sonorappresentati frontalmente.

5 Pietro Cavallini, Annunciazione, 1291, mosaico (Roma, Santa Maria in Trastevere).

3 Battesimo di Cristo, VI secolo, mosaico (Ravenna,battistero degli Ariani).

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Secondo il critico d’arte tedesco Erwin Panofski, la prospettiva ha assuntonel tempo due ben distinti e contraddittori significati. I pittori italiani delQuattrocento ritenevano questo sistema essenziale per fornire una rappre-sentazione oggettiva della realtà, che, grazie al punto di fuga centrale, si di-staccava dalla visione casuale del singolo spettatore e acquisiva al contem-po una funzione simbolica. Al contrario, artisti di altri paesi o vissuti nei se-coli successivi, hanno utilizzato la prospettiva per dare un’interpretazionesoggettiva della realtà: spostando il punto di fuga, essi hanno ottenuto com-posizioni più dinamiche e coinvolgenti per lo spettatore (fig. 6).

Dal Rinascimento all’Ottocento, gli artisti hanno sfruttato ampiamente glieffetti di illusionismo ottenuti grazie alla rappresentazione prospettica,dando vita a composizioni sorprendenti e monumentali.Allo stesso modo, nel corso del Novecento, la prospettiva, oltre ad essereutilizzata come un metodo per ordinare la composizione secondo criterimatematici o per dare la perfetta illusione della profondità, è stata sfrutta-ta anche per creare spazi fantastici e irreali (fig. 7).

Sempre nel secolo scorso, gli artisti hanno cercato soluzioni alternativealla prospettiva, studiando le possibilità di rappresentazione dello spaziofornite da colori, indicatori di profondità e nuove teorie scientifiche, evi-tando il ricorso ai sistemi proiettivi tradizionali, come dimostrano, tra le al-tre, le ricerche dei cubisti (fig. 8), di Josef Albers (fig. 9) e di Lucio Fontana.

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9 Josef Albers, Omaggio al quadrato, 1959, olio sumasonite, 121,9x121,9 cm,(Washington, SmithsonianAmerican Art Museum).

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

8 Georges Braques, Ragazza con chitarra,1913-14, olio su tela (Parigi, Centre GeorgesPompidou). Le opere cubiste stravolgono le tradizionali regole prospettiche.

7 Maurits C. Escher, Casa di scale I, 1951,litografia, 47x24 cm. L’artista ha costruito uno spazio fantastico e impossibile utilizzandoallo stesso tempo più punti di vista.

6 Tiziano, Martirio di san Lorenzo, 1546-59,olio su tela, 493x277 cm (Venezia, chiesadei Gesuiti).

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La tendenza alla bidimensionalità nell’arte bizantina Nell’arte bizantina il modo di rappresentare lo spazio, e quindi la terza dimensione, è frutto di una scelta linguistica volta a esprimere preci-si contenuti simbolici, come l’immutabilità delle cose e la natura ultraterrena dell’uomo.

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

10 L’imperatoreGiustiniano e il suo seguito, 546-48, mosaico(Ravenna, San Vitale).

11 L’imperatriceTeodora e il suo seguito,546-48, mosaico(Ravenna, San Vitale).Il mosaico si trovanell’abside,esattamente di fronte a quello di Giustiniano.

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3. I personaggi appaiono tridimensionali?Le figure sono caratterizzate dall’assenza di chiaroscuro: lepieghe delle loro vesti sono infatti disegnate da linee verticalio fortemente stilizzate, gli orli hanno un andamento rigido erettilineo, le forme sono delimitate da un contorno nero che lerende schematiche. La linea prevale nettamente sui volumi ele figure appaiono piatte, prive di spessore, come se non aves-sero corpo. Le paste vitree e le pietre utilizzate per la realizza-zione delle tessere hanno colori intensi e vivaci che si rifletto-no tutto intorno, creando un ambiente sfolgorante di colori.Tale fulgore rende incorporee le decorazioni e lo stesso edifi-cio, rimandando il visitatore al mondo ultraterreno.

4. Che cosa esprimono le linee di forza della composizione?Le linee di forza della composizione, che hanno un andamen-to rigidamente verticale e corrispondono agli assi di simme-tria delle figure, determinano all’interno della composizioneun ritmo lento e solenne. I personaggi del mosaico dedicatoall’imperatore mostrano tutti il proprio braccio destro e paio-no avanzare verso la propria sinistra in direzione dell’altare(fig. 12); quelli rappresentati con Teodora sembrano incedereverso la destra, anch’essi dunque verso l’altare (fig. 13).

L’imperatore e l’imperatrice proiettati in uno spazio irreale I due mosaici risalgono agli anni immediatamente seguenti laconquista di Ravenna da parte di Giustiniano e, secondo alcu-ni storici, sono così vicini allo stile di Bisanzio – caratterizza-to da una spiccata tendenza all’astrazione, alla bidimensio-nalità e al decorativismo – da essere frutto del lavoro di arti-sti provenienti proprio dalla capitale dell’impero d’Oriente. Ledue scene riproducono un avvenimento che non però si veri-ficò nella storia, in quanto Giustiniano e Teodora non si reca-rono mai a Ravenna. L’imperatore e l’imperatrice rappresentati nelle due scene sonotuttavia assai somiglianti al vero. È quindi ipotizzabile che imosaicisti, anche se ravennati, abbiano lavorato su modelli

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Il corteo di Giustiniano e TeodoraI due mosaici si trovano a Ravenna nella chiesa di San Vitale: lascena raffigurante l’imperatore Giustiniano con la sua corte(fig. 10) si trova sulla parete sinistra dell’abside e di fronte adessa, sulla parete destra, si trova il mosaico con l’imperatriceTeodora accompagnata dal suo seguito (fig. 11). I due sovranisono rappresentati mentre portano offerte nel giorno dellaconsacrazione dell’edificio. Nel catino absidale è invece raffi-gurato Cristo assiso sul globo del mondo tra angeli e santi. Imosaici furono eseguiti tra il 546 e il 548, poco dopo l’edifica-zione della chiesa. I nomi dei loro autori, come frequentemen-te avveniva nel Medioevo, sono ignoti.

1. In quale ambiente si svolgono le due scene?La scena del mosaico di Giustiniano si svolge in uno spazioastratto. Lo sfondo infatti non è caratterizzato dalla presenzadi elementi architettonici o naturali: la superficie è d’oro nel-la parte superiore e verde nella parte inferiore. Anche nel mo-saico di Teodora lo spazio risulta irreale, nonostante la scenasi svolga all’interno o nell’atrio di ingresso di una chiesa. Nel-la parte superiore sono poste delle tende e, sopra l’imperatrice,la valva rovesciata di una conchiglia (simbolo di regalità); al-l’estremità sinistra si trovano una porta e una fontanella, cia-scuna rappresentata da due punti di vista differenti. Le tesseredorate dei due mosaici riflettono la luce creando un alone lu-minoso attorno alle figure che smaterializza ulteriormente lospazio.

2. La disposizione delle figure crea un senso di profondità?La disposizione delle figure non crea un senso di profondità,poiché queste sono rappresentate in una posizione rigida-mente frontale che pone ciascuna di esse in relazione con l’os-servatore, isolandola però rispetto alle altre. Le figure, inoltre,occupano quasi completamente le due scene e sono allineatetutte sullo stesso piano, al punto che i loro piedi, posti in tra-lice, talvolta si incrociano e si sovrappongono in modo com-pletamente irreale.

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

12 L’imperatore Giustiniano pareavanzare in processione con il suo

seguito verso l’altare e l’abside, doveè raffigurato Cristo.

13 Teodora procede nella direzioneopposta a quella di Giustiniano.

Essendo di fronte a lui, anch’ella paredirigersi verso l’altare.

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L’evoluzione della rappresentazionedello spazio nell’arte ravennate A Ravenna, all’inizio del v secolo, gli artisti della tradizionetardoromana rappresentavano ancora la figura con luci e om-bre che ne evidenziavano i volumi: nei dipinti e nei mosaici,essa gettava un’ombra sui piani circostanti, definendo unospazio riconoscibile (fig. 14). Gli oggetti più lontani eranocollocati più in alto nell’immagine e la spazialità era suggeri-ta anche dall’andamento obliquo delle linee che delimitavanoi piani orientati in profondità. I personaggi inseriti in un am-biente di questo tipo si qualificavano come esseri materiali,fatti di carne e ossa, viventi in un mondo anch’esso fisico e tri-dimensionale.

L’arte bizantina invece, avendo ereditato tratti dal VicinoOriente, come il divieto di rappresentare la divinità, aveva svi-luppato una forte tendenza all’astrazione. Pertanto, quando Ravenna fu conquistata dall’impero romanod’Oriente, si produsse nella sua arte un decisivo cambiamento:essa cominciò infatti a esprimere l’immutabilità delle cose. Lafigura fu privata dei suoi attributi materiali (il volume, sotto-lineato dalle ombre) e fu resa bidimensionale, per sottolinear-ne la spiritualità e la natura divina (fig. 15). Anche la rappresentazione dello spazio subì un processo diastrazione, che risulta evidente nel mosaico raffigurante ilporto di Classe: la superficie del mare appare come un pianoverticale costellato di navi poste una sopra l’altra piuttostoche una dietro l’altra (fig. 16).

provenienti da Bisanzio. La rappresentazione naturalisticadei volti intendeva probabilmente sostituire l’effettiva presen-za dei sovrani nella città, sottolineando anche a distanza il loropotere assoluto, la gerarchia terrena posta a fianco di quella di-vina. Anche i volti di altri personaggi sono trattati in modo na-turalistico e, in particolare, quello del vescovo Massimiano. In-fatti egli, in posizione avanzata rispetto all’imperatore e indivi-duabile dall’iscrizione posta sul suo capo, doveva essere chiara-mente riconoscibile dalla popolazione. Le figure dei sovrani sono evidenziate dalla ricchezza degli abiti,dalla corona, dai gioielli, che ne individuano l’alto rango sociale,oltre che dall’aureola, ossia dall’area circolare luminosa che necirconda il capo ed esprime il legame dei due personaggi con ildivino. L’imperatore era infatti considerato, secondo la concezio-ne orientale, come un essere non del tutto terreno e andava quin-di rappresentato in modo diverso dai comuni mortali.

Il fondo d’oro, utilizzato per secoli nell’arte bizantina, elimi-na l’ambientazione, ponendo i personaggi in uno spazio e inun tempo estranei al mondo reale, al fine di conferire alle fi-gure rappresentate l’aspetto di apparizioni divine. La fitta simbologia presente nei due mosaici è anch’essa un se-gnale dell’interesse degli artisti per una visione mistica e tra-scendente del mondo, che si oppone a una sua rappresentazio-ne puramente naturalistica.Obiettivo di queste opere, che costituivano un efficace stru-mento di comunicazione con i fedeli, era quindi di mostrareun’apparizione al fine di celebrare il potere assoluto del sovra-no e della Chiesa.

6 E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

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14 Il Buon Pastore, V secolo, mosaico(Ravenna, mausoleo di Galla Placidia).L’opera costituisce uno dei primi esempi dell’abilità dei mosaicistiravennati.

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Il ruolo della città di Ravenna tra il V e l’VIII secoloRavenna fu, tra il V e il VI secolo, un centro politico e religiosodi grande importanza. All’inizio del V secolo divenne capitaledell’impero romano d’Occidente. In questo periodo furono con-tinui i contatti commerciali e artistici con Costantinopoli. Nel476 Ravenna fu conquistata dal re ostrogoto Teodorico, che fe-ce della città la sede della sua corte. Sotto Teodorico Ravenna siarricchì di monumenti ed edifici per il culto, finché nel VI seco-lo Giustiniano, imperatore d’Oriente, la conquistò insieme ad

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

altri vasti territori del dominio ostrogoto. La città tornò così adavere fitti contatti con Bisanzio (l’antica Costantinopoli) e sot-to il vescovo Massimiano raggiunse il suo massimo splendore,divenendo il centro culturalmente e artisticamente più rilevan-te della penisola italiana. A questo periodo risalgono importan-ti opere, come la chiesa di San Vitale, edificata a pianta centra-le sul modello degli edifici di Costantinopoli, da dove furonoportati capitelli e transenne già lavorati dagli artisti bizantini.A governare Ravenna in nome di Bisanzio fu posto un esarca(comandante) fino all’VIII secolo, quando la gran parte dei terri-tori bizantini fu conquistata dai Franchi.

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15 Mosaico dell’arcotrionfale di SanLorenzo fuori le Muraa Roma, VI secolo. La profondità,determinata dallapresenza del pratoverde su cui poggiano i personaggi, èannullata dal fondod’oro della partesuperiore.

16 Il porto di Classe, VI secolo, mosaico (Ravenna, Sant’Apollinare Nuovo). Il mare appare come una superficie verticale su cui sono disposte le navi.

17 Mosaici nel mausoleo di Galla Placidia, V secolo (Ravenna). La decorazionesmussa gli angoli dell’interno dell’edificio e ne annulla visivamente il peso.

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L’Ultima cena di Duccio di Buoninsegna Duccio di Buoninsegna ha dipinto l’Ultima cena tra il 1308 e il1311 in uno scomparto della grande pala d’altare della Maestàper il duomo di Siena (fig. 19).

1. Quali strumenti ha utilizzato il pittore per rappresentare la pro-fondità dello spazio?Duccio ha rappresentato la profondità dello spazio descrivendocon cura l’ambiente chiuso in cui si svolge la scena. Riesce infat-ti a rendere la profondità della stanza attraverso l’inclinazionedelle assi del soffitto e delle pareti laterali: queste linee, che con-vergono verso l’asse verticale al centro del dipinto, cercano di ri-produrre ciò che noi vediamo quando ci troviamo in uno spaziochiuso. L’artista ha dato però ai lati del tavolo un’inclinazionediversa rispetto a quella del soffitto, poiché, invece di far conver-gere i due lati brevi verso il centro, li ha mantenuti paralleli.

2. L’artista ha fatto ricorso a un sistema di rappresentazione dellospazio unico e coerente?Come Cimabue, Duccio ha utilizzato, per rappresentare la pro-fondità, il principio della sovrapposizione, il chiaroscuro e

La Madonna in trono fra i santiFrancesco e Domenico di CimabueL’opera, che fu dipinta nel XIII secolo da Cimabue, rappresentala Madonna con il bambino fra i santi Francesco (a sinistra),Domenico (a destra) e due angeli (fig. 18).

1. Quali strumenti ha utilizzato il pittore per rappresentare la pro-fondità dello spazio?Nel dipinto sono principalmente le figure laterali, disposte unadietro l’altra, a suggerire la profondità dello spazio. L’esperienzaci insegna infatti che la sovrapposizione degli elementi è indi-cativa della loro posizione nello spazio. Anche l’inclinazionedel trono contribuisce a creare un effetto di tridimensionalità.L’ambiente in cui è collocata la scena è invece bidimensionaleper la presenza del fondo d’oro tipico della tradizione bizantina.

2. L’artista ha fatto ricorso a un sistema di rappresentazione dellospazio unico e coerente?Per rappresentare la profondità dello spazio l’artista ha utiliz-zato, oltre al sistema della sovrapposizione, un lieve chiaro-scuro (soprattutto nelle pieghe delle vesti) e il principio del-l’obliquità (per le figure e il trono).

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La ricerca di un nuovo sistema di rappresentazione dello spazio nell’arte medievale Nel corso dei secoli XIII e XIV i pittori si interessarono al problema della rappresentazione dello spazio tridimensionale sulla superficie a duedimensioni del dipinto: per risolverlo utilizzarono sistemi diversi e spesso anche più sistemi insieme.

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

18 Cimabue, Madonna in trono fra i santi Francesco e Domenico, XIII secolo, tempera su tavola(Firenze, Galleria degli Uffizi).

19 Duccio di Buoninsegna, retrodella Maestà, Ultima cena, 1308-11,tempera su tavola, 76x57 cm (Siena,Museo dell’Opera del Duomo).

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2. L’artista ha fatto ricorso a un sistema di rappresentazione dellospazio unico e coerente?Giotto, pur non utilizzando un sistema scientifico e coerenteper rappresentare lo spazio, riesce a produrre un efficace effettovisivo: grazie alla convergenza verso il centro delle linee obliquedel pulpito e del ciborio ottiene infatti una profondità credibile.

La presentazione al Tempiodi Ambrogio Lorenzetti La tavola della Presentazione al Tempio fu dipinta nel 1342 dalpittore senese Ambrogio Lorenzetti (fig. 21).

1. Quali strumenti ha utilizzato il pittore per rappresentare la pro-fondità dello spazio?Lo spazio è rappresentato grazie alla convergenza delle lineeortogonali del pavimento rispetto a un unico punto, posto incorrispondenza dell’asse centrale del dipinto. Anche il chiaro-scuro conferisce alle figure vigorosi effetti plastici.

2. L’artista ha fatto ricorso a un sistema di rappresentazione dellospazio unico e coerente?L’artista è riuscito ad avvicinarsi con maggiore naturalismo al-la rappresentazione sia dell’ambiente sia delle figure, ottenen-do un insieme abbastanza coerente anche se ancora piuttostodistante dalla nostra percezione della profondità.

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l’obliquità, ma per quest’ultima ha fatto riferimento a due si-stemi tra loro in contraddizione. Per tale ragione il tavolo appa-re come un piano inclinato e non come un piano orizzontalerispetto alle pareti e alle travi del soffitto. In questo modo Duc-cio è riuscito a rappresentare sia gli apostoli in primo piano siaquelli dall’altro lato del tavolo senza sovrapporre gli uni agli al-tri, così come sarebbe accaduto utilizzando solo la convergen-za delle linee verso l’asse centrale. Ha quindi rinunciato a unarappresentazione più corretta dello spazio per raccontare conmaggiore chiarezza l’episodio.

Il presepe di Greccio di Giotto La scena affrescata da Giotto alla fine del XIII secolo, che rap-presenta il presepe di Greccio – un episodio della vita di sanFrancesco –, fa parte del ciclo decorativo della Basilica Supe-riore di Assisi (fig. 20).

1. Quali strumenti ha utilizzato il pittore per rappresentare la pro-fondità dello spazio?Nell’affresco di Giotto è il chiaroscuro a definire con nuovo vi-gore il volume delle figure, mentre la disposizione dei perso-naggi che si affollano nella chiesa contribuisce a creare un for-te senso dello spazio. Ciò che suggerisce maggiormente la pro-fondità è però l’architettura dipinta: in particolare, la croce in-clinata ci lascia intuire uno spazio oltre la parete.

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

20 Giotto, Il presepe di Greccio,1290-95, affresco, 270x230 cm(Assisi, Basilica Superiore di San Francesco).

21 Ambrogio Lorenzetti, La presentazione al Tempio, part.,1342, tempera su tavola, 257x168 cm(Firenze, Galleria degli Uffizi).

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Nell’Ultima cena, come abbiamo visto, Duccio di Buoninsegnaha utilizzato contemporaneamente la prospettiva a lisca di pe-sce e il sistema assonometrico.

I fratelli Lorenzetti, nel Trecento, giunsero a intuire e sperimen-tare anche la convergenza delle linee ortogonali verso un uni-co punto, osservazione che costituirà il fondamento della pro-spettiva quattrocentesca, ma non riuscirono a elaborare un si-stema utile per individuare con precisione scientifica gli inter-valli in profondità delle linee trasversali, ossia le linee parallelea quelle orizzontali del dipinto. Infatti, nella Presentazione alTempio, il piano del pavimento appare ancora leggermente in-clinato, mentre le volte del soffitto sembrano schiacciate: l’arti-sta, benché avesse intuito che le linee inclinate s’incontrano inun unico punto, non era riuscito a trovare un sistema scientifi-co per stabilire la profondità delle piastrelle e dello spazio tra lecolonne, individuandone unicamente la larghezza.

Proprio grazie a queste osservazioni e a questi esperimentipittorici che convissero per lungo tempo, Filippo Brunelleschiriuscì, all’inizio del XV secolo, a elaborare un sistema scientifi-co di rappresentazione dello spazio chiamato prospettiva li-neare, capace di riprodurre la tridimensionalità dello spazioreale su una superficie piana secondo criteri scientifico-mate-matici che si avvicinano alla nostra visione della realtà.

Il nuovo interesse per la realtà nelle sperimentazioni medievaliDurante i secoli XIII e XIV gli artisti, distaccandosi progressiva-mente dalla tradizione bizantina, cercarono di rappresentare larealtà così come la vedevano. Essi studiarono in particolare ilmodo di riprodurre nei dipinti la profondità dello spazio reale.Partendo dal tradizionale sistema di rappresentazione frontaledello spazio, determinato quasi unicamente dal chiaroscuro,dalla sovrapposizione e dalla collocazione delle figure, gli arti-sti si resero conto – attraverso l’analisi della realtà – che i lati de-gli oggetti e le pareti apparivano inclinati e cercarono di ripro-durre questa impressione utilizzando sistemi sempre diversi.A volte i solidi geometrici che costituiscono gli edifici veniva-no disegnati con i lati tra loro paralleli, secondo un sistema de-finito assonometrico.Altre volte si ricorreva alla convergenza delle linee tra loroparallele. Ad esempio, nelle travi del soffitto di una stanza,queste linee venivano disegnate inclinate verso un asse verti-cale immaginario interno al dipinto, in genere centrale, incorrispondenza del quale le linee inclinate si riunivano a duea due. Si creava così un sistema prospettico intuitivo, ossianon scientifico-matematico, definito prospettiva a lisca dipesce (fig. 22).

10 E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

22 Lo schema mostra che le linee oblique della prospettiva, quandoconvergono verso l’assecentrale del dipinto, danno origine a unoschema «a lisca di pesce».

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23 Simone Martini,Funerale di san Martino, 1317 circa, affresco, (Assisi,Basilica Inferiore di San Francesco). L’internodella chiesa in cui si svolgela scena è rappresentatograzie alla convergenza delle linee ortogonali del soffitto verso un unico punto.

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Le sperimentazioni pittoriche effettuate dagli artisti del Due-cento e del Trecento permettono inoltre di comprendere ilnuovo rapporto dell’uomo con la storia. Dall’interesse domi-nante per la trascendenza dimostrato dall’arte medievale sipassò nei secoli XIII e XIV, ossia appena prima del Rinascimen-to, a una maggiore attenzione per la realtà dei nuovi cetiartigiano e mercantile, che si andavano via via affermandonella società del tempo.

L’introduzione dell’ambientazione nei dipinti Il nuovo interesse per la realtà e quindi per lo spazio si mani-festò nella pittura attraverso la rappresentazione di figure po-ste in rapporto all’ambiente. La scena architettonica e il pae-saggio entrarono così negli sfondi delle tavole dipinte, degliaffreschi e dei rilievi, in modo che i santi e i personaggi dellestorie sacre risultassero inseriti in un’ambientazione reale, ter-rena, perfettamente riconoscibile. Le prime architetture e i primi paesaggi realmente “abitabi-li” dall’uomo sono quelli realizzati da Giotto e dagli artisti delTrecento. Le scene architettoniche, organizzate come sceno-grafie teatrali, sono generalmente trattate come scatole apertesu un lato: esse permettono di mostrare all’osservatore tuttigli elementi narrativi che sono necessari a conferire maggioreverosimiglianza alla vicenda rappresentata (fig. 24). Gli sfon-di vuoti, piatti e immateriali della tradizione bizantina e goti-ca vengono pertanto superati attraverso il ricorso all’ambien-tazione, nel tentativo di costruire uno spazio razionale in-torno alle figure.

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

25 Giotto, Coretto, affresco, 1303-305 (Padova, Cappella degli Scrovegni). Il finto coro sembra sfondare la parete.

24 Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in città, 1337-39,affresco, lungh. 7 m circa (Siena,Palazzo Pubblico). È evidente

il tentativo di dare concretezza e tridimensionalità agli edifici, cheperò non hanno ancora proporzionicorrette rispetto alle figure.

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La prospettiva lineare: un’innovazione rivoluzionaria I pittori del Trecento avevano cercato di riprodurre la profondità dello spazio utilizzando una prospettiva intuitiva. All’inizio del QuattrocentoFilippo Brunelleschi, scultore e architetto fiorentino, ideò la prospettiva lineare, un metodo scientifico per rappresentare la terza dimensione inmodo simile alla visione del nostro occhio. Questa innovazione segnò la linea di confine tra la pittura del Medioevo e quella del Rinascimento.

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

28 Lo schema graficoriporta il punto di fuga,le linee prospettiche e gli assi di simmetriadelle figure.

26 Piero dellaFrancesca, Flagellazionedi Cristo, 1460 circa,tempera su tavola,58,4x81,5 cm (Urbino,Galleria Nazionale delleMarche).

27 L’architetturaclassica dipinta inprospettiva suggerisceun forte senso di profondità.

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delle cornici corrono tutte verso il punto di fuga, che si trovamolto vicino al centro del dipinto, a un terzo circa della sua al-tezza (fig. 28). La pavimentazione e il soffitto a riquadri hannola funzione di definire la profondità dello spazio dipinto e direnderlo perciò misurabile. Le dimensioni delle piastrelle, chediminuiscono progressivamente, permettono ad esempio diindividuare le diverse grandezze delle figure e di calcolare leesatte proporzioni tra architettura e personaggi (fig. 29). Gra-zie alla prospettiva, quindi, le figure poste in lontananza assu-mono dimensioni più piccole, rigorosamente corrette rispettosia a quelle in primo piano, sia a quelle degli edifici, delle por-te e delle colonne con cui sono in stretto rapporto.

2. Quali elementi sottolineano la suddivisione della scena in due parti?Le due scene sono nettamente separate dalla notevole differen-za tra le dimensioni delle tre figure poste in primo piano e quel-le delle figure poste in lontananza, oltre che dalla colonna, chesuddivide in due rettangoli aurei la superficie del dipinto(fig. 30). Nella sezione aurea di un segmento, il segmento inte-ro sta al segmento maggiore come quest’ultimo sta al segmentominore: in questo caso, se AB è la lunghezza del dipinto e C è ilpunto in cui passa l’asse della colonna, il rapporto aureo siesprime nella proporzione AB:AC=AC:CB. I rettangoli con base AC

e CB sono dunque diversi, ma stanno tra loro in rapporto aureo.Grazie a tale proporzione la composizione pittorica esprime unperfetto equilibrio, senza ricorrere al sistema della simmetria.Inoltre, nelle due scene, la luce proviene da direzioni differen-ti: da destra quella della scena della flagellazione, da sinistraquella della scena in primo piano. Le due parti del dipinto so-no però visivamente unite dal comune impianto prospettico.

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La Flagellazione di Cristodi Piero della FrancescaLa tavoletta, di dimensioni piuttosto ridotte, fu dipinta da Pie-ro della Francesca, probabilmente attorno al 1460, per la cortedi Urbino. Il dipinto è composto da due scene distinte. Quellaposta in lontananza rappresenta la flagellazione di Cristo difronte a Pilato, mentre quella in primo piano, nonostante mol-ti tentativi d’interpretazione, resta misteriosa: probabilmentesi riferisce a un episodio, di cui non è rimasto alcun documen-to, legato a vicende della famiglia del signore di Urbino (lacongiura e l’uccisione di Oddantonio, fratello del duca Federi-co di Montefeltro, tradito, come Cristo, da coloro che gli eranovicini). I personaggi appaiono immobili e inespressivi. Persinola figura di Cristo, legato alla colonna e flagellato, sembracompletamente distante dall’avvenimento. Non a caso Pierodella Francesca fu anche definito «l’inventore dell’indifferen-za come espressione dominante dei personaggi» (André Ca-stel), per il senso di immobilità e di distacco espresso dai pro-tagonisti dei suoi dipinti. L’atmosfera della scena raffiguratanella Flagellazione di Cristo trasmette infatti una surreale sen-sazione di silenzio e sospensione.

1. Quali elementi rendono misurabile lo spazio?Le scene rappresentate inducono a credere che il quadro sia dinotevoli dimensioni. Ciò accade perché Piero della Francescariesce a rendere molto ampio lo spazio dipinto grazie alla pa-dronanza della prospettiva lineare. Il senso della profondità èsuggerito principalmente dall’architettura classica resa in pro-spettiva (fig. 27). Le linee della pavimentazione, degli edifici e

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

29 Ricostruzionedella scena dellaFlagellazione di Cristo vista dall’alto.L’ambiente dipinto con il sistemascientifico dellaprospettiva permette di ricostruire le dimensioni delluogo in cui si svolgela scena e l’esattaposizione deipersonaggi.

30 Lo schema grafico evidenzia lasuddivisione aurea del quadro: il lato di base del dipinto (AB) è suddiviso in due segmentidisuguali (AC e CB),

ma tra loro inproporzione aurea.L’equilibriocompositivo è dunque determinatodalla suddivisione della superficie in parti armoniche.

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Le funzioni della prospettiva lineareLa prima fase del Rinascimento fu caratterizzata dalla necessi-tà da parte degli artisti di teorizzare le loro ricerche indivi-duando alcune norme che sono descritte nei numerosi trattatitecnici del tempo. Piero della Francesca fu uno dei primi, insie-me a Leon Battista Alberti e Brunelleschi, a elaborare la pro-spettiva con un metodo matematico-scientifico. Nel suo im-portante trattato De prospectiva pingendi (La prospettiva nellapittura), scritto tra il 1480 e il 1490 e dedicato al duca di Urbi-no, intese dimostrare «quanto questa scientia [la prospettiva]sia necessaria alla pictura». Egli spiega che la prospettiva nonè unicamente finalizzata alla rappresentazione dello spazio ealla resa realistica della scena dipinta, ma anche a disegnare fi-gure in scorcio prospettico, a definire con precisione le esatteproporzioni dei vari elementi presenti nella scena (architettu-re, arredi o figure umane), mettendo in esatto rapporto gli ele-menti collocati in primo piano con quelli in lontananza.Il punto di fuga era posto generalmente al centro del dipinto:il pittore immaginava cioè di trovarsi di fronte alla parete difondo della stanza o alla facciata dell’edificio che doveva rap-presentare. In questo modo la prospettiva contribuiva anche acreare un ordine nella composizione, semplificandola, e aconferire armonia e solennità all’insieme. La realtà rappresen-tata dall’artista permetteva così di manifestare anche l’espe-rienza del divino e la perfezione del mondo creato da Dio.

14 E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

Piero della Francesca

Piero della Francesca nacque a Borgo San Sepolcro (Arezzo) tra il1415 e il 1420 e vi morì nel 1492. Fu uno dei pittori più significativie originali del Quattrocento e operò una sintesi coerente e razionale del-le ricerche compiute dagli artisti del primo Rinascimento. Si formò sul-le opere dei pittori fiorentini (in particolare Masaccio, Beato Angelico,Paolo Uccello e Domenico Veneziano), ma lavorò fuori Firenze, preva-lentemente ad Arezzo, dove realizzò il ciclo di affreschi raffigurante lestorie della croce di Cristo, e a Urbino, alla corte del duca Federico daMontefeltro, dove ebbe modo di conoscere la pittura fiamminga. La sua opera si caratterizza per la grande coerenza delle composizio-ni, matematicamente ordinate dalle strutture geometriche della pro-spettiva centrale e dalle rigorose architetture classiche. La luminositàdei colori, la presenza di luce alta e diffusa, la ricerca della perfezioneformale attraverso la semplificazione dei soggetti, studiati come solidigeometrici, ben definiti dalla luce e proporzionati rispetto allo spazioin cui sono inseriti, trasmettono un’idea di silenzio e di immobilità.L’armonia e la proporzione dei dipinti di Piero della Francesca rifletto-no l’armonia e l’ordine divino che sono originariamente presenti nelcreato e che devono essere riprodotti dall’artista.

31 Piero della Francesca, Madonna di Senigallia,1470-85, olio su carta riportata su tavola, 61x53,5 cm(Urbino, Galleria Nazionale delle Marche).

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32 Il disegno raffigurauna pavimentazionecostruita in base allaprospettiva lineare.Sulla linea di orizzonte

è posto il punto di fugadelle linee ortogonali e, spostato a destra,quello delle lineeinclinate di 45°.

È proprio questa lineaobliqua a permettercidi individuare conprecisione la profonditàdelle piastrelle.

33 DomenicoVeneziano, Pala di santa Lucia deiMagnoli, part., 1445circa, tempera sutavola. L’attenzioneposta nellarappresentazioneprospettica dellapavimentazioneindica la volontà direndere misurabilelo spazio dipinto.

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se, spostando lateralmente o in alto il punto di fuga (fig. 34).Inoltre, la visione dello spazio e la sua rappresentazione nonerano considerati dagli artisti italiani come elementi soggetti-vi, ma oggettivi, poiché erano una conseguenza dell’applica-zione di rigide regole matematiche (fig. 35). Come scrive lostorico dell’arte Erwin Panofski, in Italia «fu sentito come es-senziale il significato oggettivo [della prospettiva], qui [fuoridall’Italia] quello soggettivo. Così un maestro profondamenteinfluenzato dalla pittura fiamminga come Antonello da Messi-na costruisce lo studio di san Girolamo con una notevole di-stanza, tanto che questo studio, come quasi tutti gli interni ita-liani, è in fondo piuttosto una costruzione vista dall’esternocon la parete anteriore scoperta; inoltre egli fa cominciare lospazio con la superficie del quadro, anzi dietro di essa, e collo-ca il punto di fuga pressappoco nel centro. Dürer invece […] cimostra un vero “interno”, in cui noi ci sentiamo inclusi perchéil pavimento sembra continuare fin sotto i nostri piedi. […] Laposizione [laterale] del punto di vista [il punto di vista dell’arti-sta coincide con il punto di fuga delle linee oblique] rafforzal’impressione di una rappresentazione soggettiva». La prospet-tiva lineare fu quindi considerata dagli artisti italiani comeuno strumento utile per sistematizzare e razionalizzare ilmondo esterno.

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La prospettiva lineare organizza quindi l’immagine della real-tà in un insieme ordinato e razionale, ponendo gli eventi rap-presentati nello spazio naturale, fuori dal mondo astratto eieratico delle opere medievali. Il pittore del Quattrocento noncopia fedelmente la realtà, ma la ricostruisce razionalmentetramite l’architettura dipinta in prospettiva, riportando ognielemento della composizione (figure e oggetti) a volumi geo-metrici regolari, anch’essi costruiti in relazione allo spazioprospettico.

Il valore espressivo e simbolico della prospettiva Nel Quattrocento la pittura ebbe grande sviluppo anche nelleFiandre, dove gli artisti volsero l’attenzione alla rappresenta-zione realistica dei loro soggetti. I fiamminghi riproducevanocon un’abilità tecnica straordinaria tutto ciò che vedevano sen-za tralasciare i dettagli più piccoli. Gli artisti italiani, al contra-rio, erano generalmente più portati per la descrizione sinteticadei loro soggetti, e pertanto non si soffermavano sui particola-ri considerati poco importanti ai fini del racconto pittorico. L’uso della prospettiva lineare si diffuse in tutta Europa nellaprima metà del Quattrocento, ma, mentre gli artisti italiani pri-vilegiarono la prospettiva con il punto di fuga centrale, i fiam-minghi e i tedeschi preferirono sperimentare soluzioni diver-

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

34 Albrecht Dürer, San Girolamonello studio, 1514, incisione. Il punto

di fuga è laterale. L’ambiente sembracontinuare oltre i limiti dell’opera.

35 Antonello da Messina, San Girolamo nello studio,

1474 circa, olio su tavola, 46x36,5 cm(Londra, National Gallery).

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ciano alcune figure che sembrano spiare all’interno della stan-za. L’affresco riesce a ingannare chi si trova nell’ambiente, poi-ché il soffitto appare realmente sfondato, cioè aperto verso ilcielo (fig. 36). Grazie a questo effetto illusionistico, l’opera di-venne un punto di riferimento per numerosi artisti del XV e XVI

secolo.

Benché questo fenomeno si sarebbe diffuso maggiormentenei secoli successivi, già nel corso del Quattrocento furonorealizzate molte altre sperimentazioni sulla prospettiva, tese asuggerire in modo illusionistico la profondità. Nel campo del-le tarsie lignee, ad esempio, si ottennero effetti ottici molto au-daci (fig. 37). Le tarsie venivano realizzate accostando l’unaall’altra varietà di legno dal diverso colore, dopo averle ridottein lamine e opportunamente sagomate.

Anche gli architetti ricorsero alla prospettiva per illudere l’os-servatore, come dimostra il coro realizzato da Bramante a San-ta Maria presso San Satiro, a Milano (fig. 38). La chiesa, rico-struita nel 1480, ha una pianta a «T» perché l’area disponibile

La prospettiva, in conclusione, a seconda degli intenti espres-sivi e dei contenuti culturali che l’opera d’arte assumeva nel-l’ambito delle diverse culture, fu utilizzata dagli artisti percreare una visione distaccata, ordinata e oggettiva della realtàoppure una visione soggettiva dello spazio, apparentementecasuale, che comprende l’osservatore.

La prospettiva come inganno dell’occhioLa prospettiva si avvicina alla nostra visione della realtà, alpunto che un’immagine dipinta può ingannare l’occhio del-l’osservatore e indurlo a credere che sia un oggetto reale. Andrea Mantegna, pittore attivo soprattutto tra Padova e Man-tova, verso la metà del Quattrocento utilizzò la prospettiva inmodo illusionistico. Nella Camera degli Sposi del Palazzo Du-cale di Mantova – un ambiente di rappresentanza completa-mente affrescato dall’artista per Ludovico Gonzaga – il soffit-to presenta un’apertura circolare dipinta, dalla quale si affac-

16 E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

36 Andrea Mantegna, oculo delsoffitto della Camera degli Sposi,1465-74, affresco, diametro 2,70 m

(Mantova, Palazzo Ducale). È tra gli esempi più belli del gioco tra spazio reale e spazio dipinto.

37 Baccio Pontelli, tarsie ligneenello studiolo del duca Federico daMontefeltro, 1476 (Urbino, Palazzo

Ducale). Oggetti, mensole e anteaperte sono riprodotte in modoillusionistico.

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In base a molte osservazioni e alle sue ricerche pittoriche, Leo-nardo sosteneva che si può cogliere la distanza tra le cose graziealla massa d’aria che si frappone tra esse e il nostro occhio, e por-tava come esempio le montagne in lontananza, che alla vista ap-paiono azzurre, quasi avessero il colore dell’aria che sta loro da-vanti. Se sopra di noi e nelle vicinanze il cielo appare limpido,per i pochi strati di aria che il nostro sguardo deve attraversare,nelle zone più remote del paesaggio il cielo sembra invece bian-co a causa del maggiore spessore dei vapori atmosferici.Pertanto, secondo Leonardo, occorreva integrare la prospettivalineare con quella aerea schiarendo i colori e sfumando icontorni degli oggetti più lontani, in modo da riprodurre l’effet-to della foschia che satura lo spazio fra le cose. A tale fine egli uti-lizzava la tecnica pittorica dello sfumato, che attraverso a una se-rie di velature rende indefiniti i contorni e sbiadisce i colori.L’interesse di Leonardo per la prospettiva aerea aveva anche unsignificato filosofico, in quanto, attraverso il ciclo delle acqueche evaporano per scendere nuovamente sulla terra, l’artista in-tendeva rappresentare l’eterno divenire della natura (fig. 39).

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per l’edificazione non permetteva la realizzazione del bracciodel coro alle spalle dell’altare. Bramante elaborò una soluzio-ne originale, creando un finto coro con gli strumenti dell’illu-sionismo prospettico. In una profondità assai ridotta (inferio-re al metro) l’artista ha creato una finta volta a botte del tuttosimile a quella degli altri bracci della chiesa. Con questo accor-gimento Bramante è riuscito a dare equilibrio agli spazi del-l’edificio.

La prospettiva aerea elaborata da Leonardo da Vinci La prospettiva lineare si basa, come abbiamo visto, sulla dimi-nuzione delle grandezze in relazione alla distanza e sulla con-vergenza delle linee ortogonali verso il punto di fuga. Ma, intor-no alla fine del Quattrocento, allo scopo di ottenere una resapiù efficace della profondità dello spazio e dunque di integrarela prospettiva lineare, Leonardo da Vinci elaborò la cosiddettaprospettiva aerea.

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38 Donato Bramante, coro di Santa Maria presso San Satiro,1482-86 (Milano). L’architetto ha realizzato dietro l’altare un finto coro prospettico in stucco

dipinto. Chi entra nella chiesa si rende conto dell’inganno soloavvicinandosi lateralmente all’altare.Ponendosi di fronte ad essol’illusione è invece perfetta.

39 Leonardo da Vinci,Annunciazione, part., 1472-75, olio su tela, 98x217 cm (Firenze, Galleria degli Uffizi). I paesaggi di Leonardo erano vere e proprie

riflessioni filosofico-scientifiche sul ciclo delle acque e sulla trasformazione degli elementi: si trattava di costruzioni intellettuali.

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La ricerca di uno spazio infinito e illusorio nell’arte barocca Nel periodo barocco si sviluppò la pittura illusionistica, un genere che cercava di rappresentare sui soffitti di chiese e palazzi uno spazio illu-sorio, infinito. Nelle volte affrescate delle chiese venivano generalmente raffigurati santi nell’atto di salire miracolosamente in cielo.

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40 Andrea Pozzo, Apoteosi di sant’Ignazio, 1691-94, affresco (Roma, chiesa di Sant’Ignazio). Sul pavimento della chiesa, un discoindica il punto esatto in cui l’illusioneottica creata dalla prospettiva è perfetta.

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ne. Le dimensioni dei vari elementi si riducono a mano a ma-no che ci si avvicina al centro dell’affresco, per sottolinearne lalontananza sempre maggiore. Chi osserva il soffitto si sente at-tirato nello spazio divino in cui si manifesta il miracolo.

3. Vi è un rapporto tra la profondità dello spazio e l’uso della luce edell’ombra?La luce diventa più intensa nella parte centrale della compo-sizione, quella che raffigura la zona più lontana, con lo scopodi conferire alla scena un carattere eccezionale, miracoloso(fig. 41b). Le aree dell’affresco più vicine all’osservatore sonocaratterizzate da un chiaroscuro deciso, mentre quelle più di-stanti sono dominate da un’intensa luminosità, che annulla leombre e rappresenta simbolicamente il mondo ultraterreno.

4. Che cosa conferisce dinamismo alla composizione?Il dipinto suggerisce un forte senso di dinamismo, perché losguardo di chi l’osserva è guidato verso il centro dalle lineeoblique della prospettiva e dalla grande spirale determinata daigruppi di figure all’interno della composizione (fig. 42). L’os-servatore ha così l’impressione lasciare lo spazio terreno.

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L’Apoteosi di sant’Ignaziodi Andrea PozzoL’Apoteosi di sant’Ignazio è un dipinto realizzato tra il 1691 e il1694 da Andrea Pozzo (1642-1709). L’affresco ricopre l’interavolta della chiesa edificata dai Gesuiti a Roma.

1. È possibile distinguere il confine tra architettura reale e architettu-ra dipinta?Nella realizzazione dell’Apoteosi di sant’Ignazio Pozzo è riuscitoa nascondere il confine tra l’architettura reale e quella dipinta(fig. 41a), rendendo così credibile la grandiosa visione raffigu-rata nell’affresco. L’artista ha inoltre creato una continuità tral’architettura dipinta e lo spazio aperto del cielo.

2. Quale funzione ha la prospettiva lineare in quest’opera?La prospettiva è qui utilizzata per rappresentare non lo spazioreale, ma uno spazio immaginario. Gli elementi architettonici(colonne, archi e cornici), le figure umane, le nuvole sono di-pinti in scorcio prospettico al fine di sfondare in modo illuso-rio il limite dell’architettura reale, creando uno spazio senza fi-

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42 Lo schema mostrala spirale secondo cui sono state dispostele figure nella scena e individua il punto difuga della prospettiva,che coincidesimbolicamente con la figura di Cristo.

41 Due particolaridell'Apoteosi disant’Ignazio. Nellafigura a è riprodotta la base della volta,dove finiscel’architettura reale e comincia quelladipinta; la figura bmostra il centrodell’opera, doveIgnazio, a bracciaaperte, riceve la luce da Cristo.

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della Chiesa cattolica e del santo), che attraverso la sua spazia-lità coinvolgente poneva il pubblico emotivamente vicino al-la vicenda rappresentata.

Spazio immaginario e celebrazionedella gloriaNel Rinascimento la prospettiva aveva la funzione di ordinarela composizione e rappresentare uno spazio semplice e misu-rabile. Nell’età barocca la prospettiva venne invece utilizzataper suggerire uno spazio immaginario senza confini, in cui ilimiti del reale erano annullati attraverso il dinamismo e lateatralità dell’insieme. Quando le scoperte scientifiche non permisero più all’uomo diavere certezze relative all’ordine in cui fino ad allora erano sta-ti gerarchicamente ricondotti tutti i fenomeni della realtà, lospettacolo della natura cominciò ad essere considerato in pe-renne mutamento e venne rappresentato dagli artisti con com-posizioni di grande dinamismo. Anche l’interesse per unospazio infinito derivava in buona parte dalle scoperte astrono-miche del tempo che, come sosteneva Galileo Galilei, avevanoampliato i confini dell’universo fino ad allora conosciuto.

Il significato iconografico dell’operaNel centro geometrico della composizione, che coincide con ilpunto di fuga verso cui convergono le linee verticali dellastruttura architettonica dipinta, è collocata la figura di Cristo,facilmente individuabile grazie alla presenza della croce.Andrea Pozzo ci ha lasciato una descrizione della sua opera:«Nel mezzo della volta dipinsi un’immagine di Gesù, il qualcommunica un raggio di luce al cuor di Ignazio, che poi vienda esso trasmesso alli seni più riposti delle quattro parti delMondo». Dalla figura di Cristo parte quindi un raggio di luce,simbolo della fede, che va a colpire il petto di sant’Ignazio; ilsuo cuore riflette il raggio di luce in quattro direzioni diverse,fino a incontrare la personificazione dei quattro continenti,individuabili grazie a iscrizioni poste entro scudi. Il dipinto,realizzato per ordine dei Gesuiti, intende in questo modo cele-brare la Chiesa cattolica trionfante, ma soprattutto la figuradel fondatore del loro ordine.Numerosissime sono le altre figurazioni simboliche presentinel grande affresco che, per la loro complessità, solo il pubbli-co più colto e teologicamente preparato era in grado di com-prendere. La maggior parte dei fedeli riusciva a cogliere unica-mente il messaggio fondamentale dell’opera (la celebrazione

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43 Pietro da Cortona,Il trionfo della DivinaProvvidenza, 1633-39,affresco (Roma,Palazzo Barberini). In epoca barocca erano diffusi nellechiese, nei palazzi e nelle regge, i soffittidipinti con sfondatiprospettici cheraffigurano uno spaziodilatato all’infinito.

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fatti affiancato da quadraturisti (ossia pittori esperti in archi-tetture dipinte in prospettiva), da decoratori specializzati in cor-nici e ghirlande e da pittori di figure. In genere gli artisti direttidal responsabile del progetto collaboravano alla realizzazionedell’affresco limitatamente all’ambito della loro specializzazio-ne. Spesso tali professioni erano trasmesse di padre in figlio, al-tre volte erano praticate da un unico artista. Particolarmenteimportanti erano i pittori di «quadrature», perché dalla loroabilità dipendeva il grado di illusionismo spaziale del dipinto.

Per la chiesa di Sant’Ignazio, a Roma, Andrea Pozzo dipinse sutela una grande cupola, che venne collocata sopra il cornicio-ne della volta per nasconderne il vero soffitto. La cupola appa-re perfettamente reale se la si osserva dalla navata centrale. Av-vicinandosi all’altare, invece, si percepisce l’inganno creato dalpittore e dai suoi quadraturisti per mezzo degli elementi archi-tettonici dipinti in prospettiva sulla superficie orizzontale del-la tela (fig. 44).

In questo contesto gli scenografi teatrali e i quadraturisti, insie-me agli insegnanti delle accademie d’arte e ai pittori, gareggia-vano nell’invenzione di soluzioni prospettiche sempre piùcomplesse, sorprendenti e curiose.

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La nuova spazialità delle opere barocche era anche il sintomodi un diverso modo di vedere la religione e il rapporto con Dio,inteso come un’esperienza mistica ed emotivamente coinvol-gente, in cui il sacro si rivela attraverso le apparizioni e i mira-coli rappresentati nelle opere d’arte. In questo modo l’edificio diculto e le sue grandi decorazioni diventarono vere e proprieproiezioni del “cielo” in terra. La pittura illusionistica, che in-tendeva trasportare il fedele nello spazio dell’apparizione mira-colosa avvicinandolo a Dio, divenne per la Chiesa uno strumen-to di propaganda religiosa, poiché rappresentava in modo spet-tacolare la gloria di Dio, dei santi e della Chiesa stessa (fig. 43).

Nella pittura la spazialità illusionistica e teatrale venne utiliz-zata fino alla metà del Settecento anche per celebrare la gloriae il potere dei monarchi europei.

La specializzazione del lavoro nelle grandi decorazioni baroccheNel corso del Seicento si verificò, in particolare nella realizza-zione delle grandi volte affrescate, il fenomeno della specializ-zazione degli artisti. L’artista responsabile del progetto era in-

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44 Andrea Pozzo, fintacupola, XVII secolo, oliosu tela (Roma, chiesadi Sant’Ignazio). Latela, che nasconde lavolta della cupola, creaun’illusione perfetta.Negli ultimi anni del XVII secolo Pozzoriassunse le proprieteorie sulla prospettivain un trattato che ebbegrande diffusione.

45 GiambattistaTiepolo, L’incontro tra Antonio e Cleopatra,1746-47, affresco(Venezia, PalazzoLabia).

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La frantumazione cubista dello spazio prospetticoIl Cubismo rivoluzionò il modo di rappresentare la tridimensionalità dello spazio, rompendo in modo definitivo con la prospettiva in uso dalRinascimento. Gli oggetti sono raffigurati mediante un processo di scomposizione teso a mostrarli da più punti di vista differenti.

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46 (a) Georges Braque, Violino e brocca, 1909-10, olio su tela, 117x73,5 (Basilea, OffentlicheKunstsammlung). Nel disegno ricostruttivo dellafigura b sono evidenziati con linee rosse gli oggettiriconoscibili nel dipinto di Braque.

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Lo spazio vuoto tra gli oggettiL’opera di Georges Braque (1882-1963) fu costantemente ca-ratterizzata, anche dopo la fase cubista, dalla problematicadella rappresentazione dell’oggetto nello spazio e dello spa-zio vuoto tra gli oggetti. Dopo il conflitto mondiale, in cuirimase gravemente ferito, l’artista si allontanò dal rigorosogeometrismo tipico della fase cubista, ma mantenne vivo ilsuo interesse per la rappresentazione dello spazio. È lo stessoBraque a descriverlo nei suoi scritti: parlando degli oggettirappresentati in un suo dipinto, afferma di aver dedicato lamedesima attenzione alla rappresentazione dello spazio vuo-to presente tra essi, che è diventato a sua volta soggetto deldipinto.La frantumazione dello spazio prospettico, utilizzato nellapittura dal Rinascimento in poi, determina la sensazione chegli oggetti non siano disposti nello spazio, ma che siano essistessi e i mille piani che li suddividono a creare lo spazio. Larappresentazione cubista dello spazio è del tutto rivoluziona-ria, perché lo spazio vuoto sembra non esistere, in quanto tut-to è portato in primo piano e gli oggetti sembrano compene-trarsi tra loro e con gli elementi dello sfondo.

La ricerca della quarta dimensione I cubisti affermavano che, per conoscere a fondo la realtà, eranecessario indagarla con la propria mente, andando oltrel’apparenza delle cose. Essi sostenevano infatti che ognuno dinoi possiede una visione mentale degli oggetti, ossia la visio-ne che si forma nella nostra mente unendo i diversi punti di

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Violino e brocca di Georges Braque Il pittore francese Georges Braque, nella fase cubista, dipinse aolio su tela la natura morta intitolata Violino e brocca.

1. Che cosa rappresenta il dipinto?Il dipinto sembra a prima vista incomprensibile, eppure, os-servandolo attentamente, emergono dalla sua superficie alcu-ni oggetti noti che il pittore ha attentamente studiato e ripro-dotto frammentandoli e scomponendoli. Al centro riconoscia-mo una brocca; più in basso, sulla destra, è rappresentato unviolino; in alto, al centro, un chiodo che, conficcato nella pa-rete, trattiene alcuni fogli; poco sotto, un foglio più grandecon un angolo piegato; infine, a destra, sulla parete, una corni-ce decorativa orizzontale.

2. Come sono disposti gli oggetti nello spazio?I rapporti spaziali tra gli oggetti sono illogici. Il piano orizzon-tale su cui è appoggiata la brocca è, ad esempio, rappresentatoin posizione verticale dietro l’oggetto, mentre il violino in pri-mo piano pare addirittura dissolversi e diventare tutt’uno conlo sfondo.

3. Qual è il ruolo della luce e dell’ombra?La luce sembra provenire da più direzioni: il chiaroscuro è infat-ti utilizzato liberamente per dare tridimensionalità ai molti pia-ni che frantumano gli oggetti e lo spazio vuoto dello sfondo.

4. Quale gamma cromatica è stata scelta dall’artista?I colori intensi e luminosi sono esclusi dal dipinto, che è compo-sto unicamente da bruni e grigi per non distrarre l’attenzionedell’osservatore dagli aspetti formali e compositivi dell’opera.

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47 Nelle immagini sono riprodottialcuni particolari del dipinto diBraque: nella figura a la brocca, nella figura b il violino, in c il fogliocon un angolo piegato e il chiodonella parete.

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LO SPAZIO NELL’ARTE

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Le ricerche relative allo spazio e al tempo condotte dai cubistinon sono il frutto di isolate teorie artistiche, ma si colleganoalle ricerche scientifiche intraprese in quegli anni da scienzia-ti e intellettuali in vari campi del sapere. Particolarmente im-portante fu a questo proposito la teoria della relatività ela-borata dal fisico Albert Einstein, secondo la quale lo spazio e iltempo non possono essere considerati come entità distinte,autonome e indipendenti l’una dall’altra. Nella complessa teo-ria di Einstein spazio e tempo vengono unificati in un insiemequadridimensionale. La realtà era insomma da considerare co-me qualcosa di difficilmente definibile per gli infiniti aspettiche di volta in volta possono esserne considerati, qualcosa incontinua evoluzione che si modifica in relazione al punto diosservazione, esattamente come nella pittura cubista.

Il Cubismo Il Cubismo è stato il movimento artistico d’avanguardia che hacompiuto la più importante rivoluzione dell’arte del Novecen-to: ha modificato il modo di vedere e di rappresentare la realtà,rompendo definitivamente con la tradizione ottocentesca. Il Cubismo nacque a Parigi intorno al 1906-907, grazie alle ri-cerche di due pittori, Pablo Picasso e Georges Braque. A loro siunirono poi altri artisti, quali Juan Gris, Le Corbusier e Fer-nand Léger.Il termine «cubismo», coniato dalla critica del tempo con unsignificato dispregiativo, fu accettato per sfida dagli artisti del

vista. I cubisti cercarono quindi di riprodurre questa visionementale, rappresentando ogni oggetto contemporaneamenteda più punti di vista, creando quella che essi chiamarono lavisione simultanea.I cubisti superarono la visione prospettica tradizionale, cheprevedeva un solo punto di vista all’interno del dipinto e tre di-mensioni (altezza, larghezza e profondità), e introdussero quel-la che definirono la «quarta dimensione», che implicava oltrealla fusione delle tre dimensioni anche il concetto di tempo.Infatti la visione simultanea di tanti punti di vista contiene insé il tempo indispensabile al pittore per studiare e scomporrel’oggetto e alla nostra mente per ricostruirlo (fig. 48).I pittori cubisti rappresentano nelle loro opere quella che po-tremmo definire la nostra immagine mentale della realtà,che riassume tutti gli aspetti del soggetto raffigurato e non lorappresenta solo da un particolare punto di vista. In tal modoimpongono agli osservatori di andare oltre l’apparenza dellecose, per comprendere più a fondo la realtà e cogliere l’idea diun complesso spazio-temporale infinito. I cubisti tuttavia non giunsero mai fino all’astrazione e furonosempre attenti a non allontanarsi troppo da quanto vedevanointorno a loro, proprio per permettere agli osservatori di rico-struire il processo mentale che aveva guidato l’artista nellacreazione del dipinto. Queste opere così concettuali crearono molte difficoltà alpubblico del tempo, che non riuscì a capire e ad apprezzare unsimile tipo di pittura.

24 E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

48 Di un normale bicchiere noi nonconosciamo solo ciò che vediamo da un unico punto di vista, ma necogliamo la forma circolare dell’orlo,lo spessore del vetro e le moltepliciforme che assume se lo osserviamoda punti di vista differenti (disegni a-e). Nelle opere dei pittori cubisti è raffigurata la nostra «immaginementale», che riassume tutti i puntidi vista in un’unica raffigurazionedell’oggetto. Il disegno f mostra una delle fasi di sovrapposizione dei diversi punti di vista; il disegno gpresenta la composizione finita.

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49 Georges Braque, Candeliere e carte da gioco sulla tavola, 1910, olio su tela, 65,1x54,3 cm (New York,Metropolitan Museum of Art).

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gruppo. Questi tendevano a rappresentare la realtà riducendotutto a forme essenziali simili a cubi, riprendendo sia le ricer-che di Cézanne, sia le forme semplici dell’arte africana. Obiet-tivo primario dei cubisti non era la rappresentazione di ciò cheessi vedevano nella realtà come facevano gli impressionisti, néla rappresentazione di ciò che essi sentivano, proiettando la lo-ro interiorità sulla realtà secondo le teorie espressioniste, maera piuttosto il tentativo di rappresentare ciò che essi conosce-vano della realtà secondo princìpi di carattere razionale. L’og-getto osservato veniva rappresentato dai cubisti contempora-neamente da diversi punti di vista, sovrapponendo, accostan-do, incastrando le varie facce dell’oggetto, in modo da giunge-re a una raffigurazione più precisa e completa rispetto a quellatradizionale. Al fine di lasciare spazio alla forma e al volume vi-goroso e possente, persero importanza il colore (la tavolozza siridusse ai grigi e ai bruni) e l’atmosfera, mentre tutti i soggettivenivano geometrizzati.

Il Cubismo attraversò tre diverse fasi: il Cubismo originario(1907-909), caratterizzato dalla rappresentazione della realtàsecondo volumi semplificati (fig. 50); il Cubismo analitico(1909-12), caratterizzato dalla scomposizione e ricomposizio-ne simultanea dei soggetti del dipinto (fig. 51); il Cubismosintetico (1912-16 circa), caratterizzato da una maggiore bidi-mensionalità degli oggetti e da una semplificazione delle com-posizioni (fig. 52). Negli anni seguenti molti altri movimentiproseguirono in direzioni diverse le ricerche cubiste.

E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.

51 Pablo Picasso,Natura mortaspagnola, 1912, olio su tela (Coll. privata).

50 Pablo Picasso,Fabbrica di mattoni a Horta de Ebro, 1909,

olio su tela, 50,7x60,2cm (San Pietroburgo,Museo dell'Hermitage).

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52 Georges Braque,Aria di Bach, 1912-13,carboncino e collagesu carta (Parigi, Coll. privata).

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portati naturalmente, e per così dire intuitivamente, a preoccu-parsi delle nuove possibilità di misurare lo spazio, che nel lin-guaggio figurativo dei moderni sono indicate con il termine“quarta dimensione”. Considerata dal punto di vista plastico, laquarta dimensione sarebbe generata dalle tre dimensioni co-nosciute: essa rappresenta l’immensità dello spazio che si eter-na in tutte le direzioni in un momento determinato. È lo spa-zio stesso, la dimensione dell’infinito».

L’invenzione del collage I cubisti utilizzarono tecniche pittoriche tradizionali fino al1912, anno in cui inventarono la tecnica del collage, che consi-ste nell’incollare sulla superficie del dipinto frammenti di ma-nifesti, fotografie, quotidiani, tessuti, sottili strati di legno o dimetallo (fig. 53). Questi elementi erano utilizzati come formee toni di colore su cui era possibile intervenire con le tecnichepittoriche tradizionali. In questo modo alcuni oggetti realientrarono a far parte del dipinto, legando più strettamen-te l’opera alla realtà: ad esempio, la pagina di un giornale, an-ziché essere dipinta, veniva incollata sulla tela. Con questa tecnica, i cubisti intesero sottolineare anche l’asso-luta libertà dell’artista nell’uso dei mezzi espressivi.

L’utilizzo di materiali presi dal mondo esterno, introdotto daicubisti, interessò molti artisti del Novecento, come i dadaisti,che giunsero a realizzare intere sculture solo con oggetti o aproporre come opere d’arte banali utensili prodotti in serie.

Le teorie cubiste esposte dallo scrittore francese Guillaume Apollinaire Guillaume Apollinaire (1880-1918), celebre poeta, scrittore ecritico d’arte francese, sostenne diversi gruppi d’avanguardia efiancheggiò anche la rivoluzione compiuta dai cubisti. Nel suocelebre testo I pittori cubisti troviamo scritto: «Il Cubismo si dif-ferenzia dall’antica pittura perché non è arte d’imitazione, madi pensiero, che tende a elevarsi fino alla creazione. Rappresen-tando la realtà-concepita e la realtà-creata, il pittore può darel’apparenza delle tre dimensioni, può in un certo modo cubi-cizzare. Egli non potrebbe farlo, rendendo semplicemente la re-altà-vista, a meno di fare del trompe l’oeil [pittura capace di in-durre l’osservatore a scambiare l’immagine raffigurata per larealtà] in scorcio o in prospettiva, il che deformerebbe la quali-tà della forma concepita o creata». Secondo Apollinaire la pro-spettiva è quindi considerata dai pittori cubisti come un ele-mento che può solo alterare la forma concepita dalla mentedell’artista e che pertanto deve essere superata dal nuovo si-stema di rappresentazione dello spazio.Tra il 1911 e il 1912 Apollinaire ha anche dato una definizionedella quarta dimensione: «Sinora le tre dimensioni della geo-metria euclidea hanno soddisfatto l’inquietudine che il senti-mento dell’infinito suscita nei grandi artisti. I nuovi pittorinon si sono certo proposti, più degli antichi, di essere geometri.Ma si può dire che la geometria è per le arti plastiche ciò che lagrammatica è per l’arte dello scrittore. Oggi gli scienziati non siattengono più alle tre dimensioni euclidee. pittori sono stati

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53 Pablo Picasso, Natura morta con sedia impagliata, 1912, olio e tela cerata su tela, 29x37 cm (Parigi, Musée Picasso). La rappresentazionedella sedia impagliata è sostituita da un frammento di tela ceratastampata, incollato al dipinto secondola tecnica del collage. In quest’operal’artista ha voluto dare una visionesimultanea (da più punti di vistacontemporaneamente) di alcuni oggetti posti sul tavolino di un caffè e di una sedia. Sul piano del tavolo si trovano un giornale ripiegato, unbicchiere, una pipa, un coltello dacucina, mezzo limone e una conchiglia.

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p.1: (bs) Fondazione Lucio Fontana, Milano; (cd) E.Castellani; p.2:(as) © Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Cul-turali; (bs) © Werner Forman Archive / Scala, Firenze; (bd) © Sca-la, Firenze / S.Maria in Trastevere, Roma; p.3: (ad) © Scala, Firenze/ Chiesa dei Gesuiti, Venezia; (bs) M.C. Escher Foundation; (bc) ©G.Braque / by SIAE, Roma, 2010; (bd) © J.Albers / by SIAE, Roma2010 / Smithsonian American Art Museum, Washington; p.4: SanVitale, Ravenna; p.6: Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna; p.7: (ac)San Lorenzo fuori le mura, Roma; (bs) © Scala, Firenze su conces-sione Ministero Beni e Attività Culturali; (bd) Mausoleo di GallaPlacidia, Ravenna / De Agostini; p.8: (bs) © Foto Scala, Firenze suconcessione Ministero Beni e Attività Culturali / Galleria degli Uf-fizi , Firenze; (bd) Museo dell'Opera del Duomo, Siena / Electa,1999; p.9: (bs) Basilica superiore di San Francesco, Assisi; (bd) © Fo-to Scala, Firenze su concessione Ministero Beni e Attività Cultura-li / Galleria degli Uffizi , Firenze; p.10: Basilica Inferiore di SanFrancesco , Cappella di San Martino, Assisi; p.11: (ad) Cappella de-

gli Scrovegni, Padova / Electa; (b) Palazzo Pubblico, Siena / MottaEditore, 1997; © Scala, Firenze / Galleria Nazionale delle Marche,Urbino; p.14: (as) Galleria Nazionale delle Marche, Palazzo Ducale,Urbino; (bs) Galleria degli Uffizi, Firenze / Electa; p.15: (bs) Alberti-na, Vienna; (bd) National Gallery, Londra / Rizzoli Editore; p.16:(bs) Palazzo Ducale, Mantova / Giunti, 1995; (bd) Palazzo Ducale,Urbino; p.17: (bs) Santa Maria presso San Satiro, Milano; (bd) ©Scala,Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali;p.18: B.McAdam / Sant'Ignazio, Roma; p.20: Palazzo Barberini, Ro-ma; p.21: (cs) Sant'Ignazio di Loyola, Roma; (bd) Palazzo Labia, Ve-nezia / The Metropolitan Museum of Art, New York / O.Bohm,1996; p.22: © G.Braques / by SIAE, Roma 2010 / Offentliche Kun-stsammlung, Basilea; p.24: © G.Braques / by SIAE, Roma 2010 / ©The Metropolitan Museum of Art / Art Resource / Scala, Firenze;p.25: (ad) P.Picasso / © by SIAE, Roma 2010 / Museo dell'Hermita-ge, San Pietroburgo; (bs) P.Picasso / © by SIAE, Roma 2010; (bd) ©G.Braque / by SIAE, Roma 2010;

Referenze iconografiche

© Loescher Editore S.r.l. – 2010

Realizzazione editoriale: Vittoria Napoletano, Coming Book Studio Editoriale, Novara

Redattore responsabile: Maria Alessandra Montagnani

Ricerca iconografica: Manuela Mazzucchetti, Giorgio Evangelisti

Fotolito: Graphic Center, Torino

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